Le notti di Gherardo Antonio Natali Direttore della Galleria degli Uffizi
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Le notti di Gherardo Antonio Natali Direttore della Galleria degli Uffizi
Le notti di Gherardo Antonio Natali Direttore della Galleria degli Uffizi Da quando gli Uffizi sono stati investiti dalla furia criminale dell’attentato mafioso, nel 1993, l’Adorazione dei pastori di Gherardo delle Notti s’è fatta memoria di quella stagione buia, assurgendo però nel contempo a simbolo anche d’una rinascita orgogliosa. La tela – non già lacerata (come successe ad altre in quella notte), bensì abrasa da un vento di tempesta – venne sulle prime reputata persa. E fu stesa sull’impiantito della sala di Leonardo coperta di veline, per salvare quel poco di colore ch’era rimasto. Fu poi trasportata nelle stanze della riserva del museo con la coscienza d’un guasto irrimediabile. Quando infine giunse il momento di deciderne il destino, ci s’avvide – una volta rimosse tutte le protezioni di carta – che quasi metà della sua dipintura s’era salvata; ma la parte che più aveva patito era purtroppo quella dove s’affollavano le figure. Se il cielo cupo della notte aveva mantenuta quasi intatta la compattezza cromatica, gli sbattimenti di luci e ombre che agivano sui panni e sui carnati dei convenuti alla mangiatoia s’erano dissolti come fossero stati dipinti su una vela che un turbine improvviso avesse gonfiato e poi ripetutamente sbattuto. Del tutto scomparsa era la figurina del Gesù bimbo adagiata sulla paglia e su un piccolo lenzuolo bianco. Era lui – prima – la fonte luminosa che schiariva gli astanti, obbedendo all’immagine giovannea del Verbo che s’incarna e della luce che brilla nelle tenebre. Integrare non si poteva; giacché non c’era modo di ridar vita a quanto era svanito. Sarebbe stato un arbitrio ricostruire qualche piccolo dettaglio sulla base di tracce esangui e trascurarne altri (magari anche più significativi, ma privi d’ogni indizio che ne consentisse un recupero almeno parziale). L’intervento dei restauratori badò a risanare la tela e a pulire quanto in essa restava del dipinto. Dopodiché ci si risolse a rimetterla nel luogo dove aveva sperimentato la violenza dell’uomo, a testimonianza d’un capitolo oscuro della storia degli Uffizi. Perché tuttavia non suonasse alla stregua d’un ricordo lugubre, le fu posta accanto un’epigrafe coi versi di speranza di Mario Luzi. La lirica alta dell’Adorazione di Gherardo delle Notti è oggi pertanto offuscata e offesa; ma del suo primitivo piglio poetico rimangono spie affidabili, talora palpitanti (come le fisionomie ruvide dei pastori), talaltra soavi (come i polpastrelli della mano di Maria, che una luce, ormai spenta, accende di barbagli sottili). Un piglio – il suo – ch’è capace di trasmettere un monito morale a chiunque le si fermi davanti, sostando un poco sul pianerottolo dello scalone che dalla Galleria porta al Corridoio Vasariano. La collocazione proprio all’esordio del Vasariano serve anche a ricordare le prime vicende dell’Adorazione dei pastori, giacché la sua ubicazione originaria era in Santa Felicita; chiesa sul cui porticato antistante transita giustappunto il Corridoio Vasariano, aprendosi, con un balcone (posto sulla controfacciata), alla vista dall’alto dell’aula elegante. La tela era stata infatti allogata nel 1619 da Piero Guicciardini per la cappella maggiore, della quale la nobile famiglia fiorentina era patrona. E la cappella Guicciardini – eccezion fatta per la casata medicea – costituisce forse l’unico episodio di mecenatismo caravaggesco a Firenze. Il cui tenore qualitativo e la cui spregiudicatezza potranno essere ben attestati dalle altre due allogagioni di Piero (sempre del 1619) per la medesima cappella: una allo Spadarino, l’altra a Cecco del Caravaggio, cioè Francesco Boneri. Se gli Uffizi dedicano a Gherardo delle Notti una rassegna ragguardevole è però specialmente per via del pregio che vanta il nucleo d’opere di lui esibite nelle sale di Galleria. Nucleo che, oltre tutto, è anche il più cospicuo, nei numeri, d’ogni museo d’Italia. E finalmente nucleo che spiccava alla mostra voluta dagli Uffizi e da Pitti per celebrare i quattro secoli dalla morte di Caravaggio, con tele del Merisi e dei suoi seguaci nelle collezioni fiorentine. Di quell’esposizione, inaugurata nel maggio del 2010, fu curatore Gianni Papi, ch’è fra i maggiori conoscitori di quella stagione. Alla sua esperienza s’è di nuovo affidata la Galleria per ordinare una rassegna di quadri che per la prima volta offrisse una lettura monografica di Gherardo: dagli esordi fin al termine della sua carriera; tenendo d’occhio il soggiorno italiano. A Roma, certamente; ma con qualche sospetto almeno d’una puntata a Firenze (congettura che la committenza Guicciardini non può in sé comprovare, ma indubbiamente conforta).
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