Inserto L`Ordine del 10-11-2013
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Inserto L`Ordine del 10-11-2013
L’ORDINE 5 DOMENICA 10 NOVEMBRE 2013 SCRIVERE CANZONI È UN MODO DI PREGARE Il più spirituale dei cantautori italiani racconta i valori e le esperienze che hanno ispirato brani come “Fiume Sand Creek” e “Un angelo in meno” fino alle poesie civili in musica dell’ultimo album “In alto i cuori” MASSIMO BUBOLA Massimo Bubola è nato a Terrazzo (Verona) nel 1954, a 22 anni esordì con l’album “Nastro giallo” “Bisogna aver buoni ricordi e un po’ d’infinito negli occhi”. Nella canzone “Cantare e portare la croce” del mio ultimo album “In alto i cuori” c’è una piccola sum ma di cosa intendo per canzone spirituale. È scrivere una canzone come se si pregasse, cioè con un rap porto interiore col trascendente, ma al contempo armonizzando più voci con quella coralità che viene dall’ambiente famigliare e per via specialmente materna. Così ho imparato una lingua che è divenuta consueta e ogni tanto vibrava di oscure altezze e di in sperati riverberi e in questo c’è stato il dono della musica, una scala che t’innalza per natura ol tre le nuvole. La spiritualità è la presenza del divino nei nostri giorni di tutti i giorni. È quel po’ di poesia che filtra dai muri delle case. È una lenta canzone che mostra il nostro cammino invisibile a noi stessi, fatto di spedite osserva zioni, di considerazioni a fior di pensiero, di limpide riflessioni e di ignote paure che turbinano intorno alla nostra vita come una polvere dorata di insetti in con troluce. Vengo da una famiglia conta dina e patriarcale della bassa Ve ronese che è una terra tra i grandi fiumi l’Adige e il Po, una sorta di Mesopotamia d’Italia. È un terri torio di nebbie e di fossi, di meli all’infinito e di terra buona, nera e grassa. Quando in qualche bella giornata di fine ottobre, dopo un paio di giorni di pioggia, la vista si allunga, dagli argini dell’Adige, dai tetti delle fattorie, dalle torri colombare e dai campanili, si ve dono lontani all’orizzonte, come dei dinosauri in cammino, i Colli Euganei: Abano, Monselice, Ar quà Petrarca. Ho fatto in tempo nella mia infanzia a vedere la povertà. Le gente girare scalza, le gonne e i pantaloni con le toppe e tanti bambini e adulti magri ed ema ciati. Per anni da bambino ho portato tutte le mattine il latte ad una vedova con tanti figli, in una casa in fondo alla nostra via e non ho mai saputo che lo facevamo in maniera gratuita, perché mia nonna che mi dava il pentolino, aveva riguardo per la miseria al trui ed anche il pudore per i sen timenti e una grande umiltà nel far del bene e fede nella Provvi denza. Dio e la povertà Dio e la Povertà erano cose da rispettare sempre e nessuno po teva permettersi di bestemmiare l’uno o l’altra, così come il dolore e le disgrazie che venivano giù, in quei tempi d’indigenza, come pioggia. I miei nonni erano so pravvissuti a due guerre mondia li conoscendo un abisso di vio lenze, di follia, di sadismo e di perdizione, ma avevano cono sciuto anche grandi gesti di bon tà, di abnegazione e di coraggio. Si salvarono con la cultura del sacrificio e della rinuncia per portare avanti la loro comunità, per crescere i figli e dargli possi bilmente un futuro migliore, an che annullando se stessi in lunghi anni di stenti e di privazioni. È certo che tutto questo mi ha profondamente formato ed ha creato in me un humus dove era naturale avere una tensione co stante verso la spiritualità che è innanzitutto il punto in cui s’in contrano tutte le spinte verso la verità e la giustizia. E sappiamo che non c’è giustizia se non c’è verità. La poesia anche quella più semplice e popolare tende alla verità come calamitata dalla sua natura epica e quindi rappresen tazione di un raccontare comune e di un sentimento collettivo. Una diecina di anni fa ho af frontato in un album, “Quel lun go treno”, un tema che mi era particolarmente caro e legato al le mie radici, che erano le canzoni della Grande Guerra, che sono le prime canzoni che ho imparato. I canti del Piave Ricordo che mio nonno quando c’erano le larghe cene sull'aia da vanti alla nostra casa colonica, per le grandi ricorrenze agricole come la trebbiatura, alla fine del la cena e dei balli, raccoglieva intorno a se gli adulti e comincia va a intonare quelle canzoni che aveva imparato da militare sul Piave, dove aveva combattuto, e questo gli procurava ogni volta una prorompente commozione, tanto che si metteva il cappello sulla faccia per non farsi vedere piangere, si alzava di scatto e an dava di buon passo in stalla per restare da solo con le sue lacrime e le sue terribili visioni di guerra. Questo, ho capito dopo tanto tempo, è stato il principale moti vo per cui ho deciso di dedicarmi a questa impresa di scrivere nuo ve e vecchie canzoni. Mio padre mi insegnò invece che c’è anche una spiritualità lai ca, di chi ha creduto e pagato con la vita per un mondo migliore coltivando tante utopie e ideali di giustizia sociale e di emancipa zione. La migliore società è quel la che si rapporta al più debole economicamente, fisicamente e psicologicamente, mi diceva. La APPROFONDIMENTI “In alto i cuori”, l’ultimo album di Massimo Bubola INSTANT SONG SULL’ITALIA DI OGGI «Per me, quando uno ha messo mano a Fiume Sand Creek e Don Raffaè (in panchina Il cielo d’Irlanda) è in regola col mondo». Così Gianni Mura sintetiz zò su “Repubblica” la carriera di Massi mo Bubola. Classe 1954, in trentacinque anni di attività, ha sfornato venti album e scritto più di 300 brani. Musicista, poe ta e produttore, ha composto a quattro mani con De Andrè due dei dischi più belli di quest’ultimo, “Rimini” e “Fabri zio De Andrè” (meglio noto come “L’In diano”). Ha scritto inoltre molte canzo ni portate al successo da varie inter preti femminili, fra cui “Il cielo d’Irlan da”,resa popolare da Fiorella Mannoia. E ha anche collaborato con i due princi pali quotidiani italiani, “Il Corriere del la sera” e “Repubblica”. Dal suo ultimo recente album, “In alto i cuori” , ha preso spunto per un nuovo progetto, Instant songs (www.instant songs.it), realizzato in collaborazione con Repubblica.it: si tratta di brani ispirati da episodi realmente accaduti nel nostro Paese in tempi recenti e che confermano Bubola come ineguagliato cantore dell’epica del quotidiano, un tratto che ha caratterizzato tutta la sua carriera e anche le sue collaborazioni (si pensi a “Don Raffaè”, sui rapporti tra Stato e antistato, o a “Una storia Sbagliata” sulla morte di Pasolini). spiritualità è un pesce pulitore che crea acqua pulita digerendo la sporca. Tanti anni di sottocultura te levisiva hanno cambiato quelle virtù e mutato il sentire comune. Quelli che erano considerati dei disvalori come l’incoerenza, l’ar rivismo, l’opportunismo, la su perficialità, la prostituzione mo rale, l’apparire, sono stati quasi incoraggiati dal mezzo televisivo e questa mancanza di spiritualità ha generato una la crescita espo nenziale di quella che un tempo si chiamava tristezza e adesso si “Il cielo d’Irlanda” vuole essere un inno religioso alla bellezza della creazione dice depressione incrementata da una sconosciuta solitudine di chi non ne conosce più la cultura e il valore. Ho vissuto in una famiglia feli ce, grande e affollata da zii, cugini e nonni. Si condivideva tutto: la noia, il divertimento, la fatica e la festa, la vita e la morte. Come sosteneva lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, noi siamo i primi dieci anni della nostra vita e questo è il nostro imprinting e la visione che avremo del mondo. La dignità umana Negli anni ho scritto canzoni che poi ho riconosciuto come pre ghiere e invocazioni ad un mon do che stava scomparendo e rim piangevo già. “Fiume Sand Creek” scritta a poco più di ven t’anni anni con Fabrizio De An drè, narrava di una strage di don ne, vecchi e bambini pellerossa nelle guerre di conquista ameri cana dell’Ovest e si può applicare anche alla viltà delle guerre mo derne dove ormai muoiono so prattutto i civili, alle deportazio ni naziste e alle pulizie etniche della recente guerra nell’exJu goslavia, così come quelle scritte per le tante stragi degli innocen ti, come “Un angelo in meno” composta nel 1994 sulla strage dell’aereo militare italiano che cadde sull’Istituto Tecnico “Sal vemini” di Casalecchio sul Reno, uccidendo dodici ragazzi. La recente canzone “Hanno sparato a un angelo”, scritta al l’indomani di un feroce assassi nio avvenuto in un sobborgo di Roma a gennaio dell’anno scorso, quando due rapinatori uccisero sotto il portone di casa il barista cinese Zhou Zeng, 32 anni, e la figlioletta di nove mesi che aveva in braccio. “Cosa possiamo dire se non abbiamo voce/Noi che non sappiamo stare ai piedi della Croce/e non possiamo credere che morta sia Pietà. Hanno spa rato a un angelo e a un po’ d’eter nità”. “Tutti assolti” nei primi anni novanta sulle stragi che ave vano insanguinato il nostro pae se negli anni Ottanta. “Se questo è un uomo” dal libro di primo Levi. “Se ti tagliassero a pezzetti”, tratto da una preghiera cheyen ne. “Rosso su Verde” da una lette ra di un mio prozio sepolto sul monte Grappa. Ed infine quella che per me è una vera e un proprio inno reli gioso alla bellezza della creazio ne che è “Il cielo d’Irlanda” scrit ta nell’85 al ritorno da una lunga permanenza a Donegal Town, dove avevo rivisto i volti, le voci e le espressioni della mia infanzia e la stessa lieta dignità nella po vertà e nella fede.
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