Il Caffè Pedrocchi: il capolavoro di Jappelli, il simbolo della città
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Il Caffè Pedrocchi: il capolavoro di Jappelli, il simbolo della città
Il Caffè Pedrocchi: il capolavoro di Jappelli, il simbolo della città “El café de Pedrocchi xe un portento che supera ogni umana aspetassion; più se lo varda e sora e soto e dentro, più se resta copai d'amirassion». Fin dalla sua apertura il Caffé Pedrocchi suscitò il consenso incondizionato – come si coglie nelle parole del poeta satirico veneziano Pietro Buratti - dei padovani e dei foresti in visita alla città. L’inaugurazione delle sale al pianoterra ebbe luogo il 9 giugno del 1831, dopo cinque anni dall’approvazione del progetto di Jappelli; ma l’elaborazione del centralissimo caffè aveva preso avvio anni prima, grazie al genio imprenditoriale del caffettiere bergamasco Antonio Pedrocchi. Questi, subentrato al padre nella direzione della piccola bottega aperta nell’area dell’attuale loggetta sud, aveva iniziato, già nel 1805, una spregiudicata campagna di acquisti immobiliari e di demolizioni nella zona dell’attuale “Isola Pedrocchi” con l’idea di ampliare e rinnovare l’esercizio. Si trattava di un sito irregolare e angusto, compreso a nord-est tra Piazza delle Legne e la Garzeria, a sud-ovest tra l’antico palazzo della Prefettura, prospiciente il Bo, e la contrada della Campana: un’area “anomala” per un luogo di svago e di ritrovo, ma assolutamente strategica. Il Pedrocchi, con la sua presenza, “rivoluzionò” l’urbanistica della città, spostando il traffico dalle due piazze storiche a Piazza delle Legne, attuando quella “centralizzazione” lodata dal Selvatico e rispondendo a un complessivo quanto ambizioso disegno. “…C’erano di fronte il Bo e di fianco il Municipio – scrive Giuseppe Toffanin – ma fu il Caffè Pedrocchi che ipotecò il centro della città…Le piazze delle Biade e dei Noli acquistarono importanza in ragione del Pedrocchi, ospitando alberghi e stazioni di posta. Davanti verrà addirittura ad aprirsi un teatro. E forse, un secolo dopo, il corso che condurrà alla Stazione trarrà, persino quello, plausibile remota spiegazione dal fatto che avrebbe accorciato la distanza col Pedrocchi”. Jappelli verrà coinvolto nel disegno dell’imprenditore bergamasco solo nel 1826 e in quello stesso anno la Deputazione degli Ornati, esaminato il suo progetto, autorizza a procedere. Dopo l’apertura delle sale al piano terra ci vollero tuttavia altri dieci anni perché si ultimassero i lavori al piano superiore. Intanto nel 1837 prendevano avvio anche le opere per il cosiddetto “Pedrocchino”, appendice neogotica dello stabilimento, destinata ad “offelleria” e alla ristorazione e pasticceria, a questo collegato mediante un cavalcavia. Nel 1841 Ippolito Caffi terminava le pitture per la saletta rotonda del piano nobile e nel 1842 i locali appena terminati del Caffè ospitavano il IV Congresso degli Scienziati Italiani. Per l’allestimento e l’arredo degli interni collaborò con l’architetto veneziano lo scultore romano Giuseppe Petrelli autore, oltre che delle quattro sfingi del prospetto nord, delle statue del Giorno e della Notte, fiancheggianti il bancone marmoreo disegnato dallo Jappelli per la sala centrale del pianterreno. Al piano superiore ogni sala è concepita secondo uno stile differente: dallo scalone d’ingresso si accede alla sala etrusca che ospitava lo spogliatoio, seguono la sala greca, ottagonale e affrescata dal Demin con l’Accademia di Platone, la saletta rotonda decorata da Caffi con vedute e rovine di Roma, la sala delle armi destinata alla lettura dei giornali, la sala del Rinascimento con il soffitto del Gazzotto, la sala ercolana con otto pitture murali del Paoletti e la grande sala da ballo dedicata a Rossini, decorata in stile impero. Il gusto moresco contraddistingue la sala di toilette per le signore e quello egizio la sala stellata, prospiciente la terrazza della loggetta nord e la galleria corinzia. All’esterno: loggette doriche, con avancorpi decorati originariamente da Demin, e la galleria corinzia. L’architetto si mostra in grado di fornire una risposta funzionale a precise esigenze strutturali, ambientali e logistiche, prestando grande cura anche al disegno degli arredi: tavoli, sedie, lampadari, macchine per il servizio. Ci vollero parecchi anni perché Antonio e il figlio Domenico decidessero la destinazione dei locali superiori dello “Stabilimento”: alla fine il piano nobile ospiterà un circolo, la Società del Casino Pedrocchi con circa 300-350 soci ordinari e 60 straordinari, che appena funzionante ricevette le censure di Carlo Leoni (“è detto il Casino dei Mismas perché sono soci moltissimi ebrei, sensali, borghesi”) e l’ironia di Andrea Cittadella Vigodarzere (“il Casin dove, cosa stupenda, quatrocento paga a quaranta el gusto de zogar, de lezer i giornali e de fumar”). In ogni caso, com’è noto, il Caffè padovano diventerà il punto di riferimento di nobili, borghesi e intellettuali, luogo di ritrovo e conversazione – aperto ventiquattrore su ventiquattro – scenario di dibattiti politici e di affari.
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