Gamlet - Movie Forum

Transcript

Gamlet - Movie Forum
Movie Forum - Analisi e discussioni sul mondo del cinema
Gamlet
Inviato da Alfredo Venanzi
giovedì 11 gennaio 2007
Ultimo aggiornamento giovedì 05 dicembre 2013
Gamlet (URSS 1964, b/n, 149')
Regia: Grigori Mihailovic Kozintsev
Produzione: Lenfilm
Sceneggiatura ed adattamento: Grigori Kozintsev
Fotografia (Sovscope): Jonas Gritsius
Montaggio: Elena Makankova
Scenografia: Evgenij Enej, Georgui Kropatzev
Costumi: Simon Virsaladze
Musica: Dmitrij Dmetrievic
Interpreti: Innokentij Smotunovskij (Amleto), Anastasia Vertinskaia (Ofelia), Mihail Nazvanov (Claudio), Elsa RadzinSzolkonis (Gertrude), Stefan Oleksenko (Laerte), V. Erenberg (Orazio), Jurij Tolubeev (Polonio), Antonij Krevald
(Fortebraccio), I. Dmitriev (Rosencrantz), V. Medvedev (Guildenstern), A. Kolpakov (il becchino)
Con la sua versione cinematografica di Amleto, Kozintsev sembra volersi staccare dalla tradizione teatrale russa di
stampo melodrammatico. La sua sceneggiatura non si avvale della traduzione meccanica ottocentesca usata fino ad
allora, ma di quella di Boris Pasternak, molto più fredda, veloce e realistica, che, in un certo senso, può essere
considerata un esempio raffinatissimo di poesia russa. Pasternak, infatti, romanziere e poeta russo, noto soprattutto per
la stesura del Dottor Zivago, romanzo terminato già nel 1955 e pubblicato solo qualche anno più tardi in seguito alle tante
polemiche ed alle accuse di antisovietismo, influenza notevolmente la messa in scena di Kozintsev. Dal 1934 in poi il
poeta si dedica ad una intensa e ricercata attività di traduttore, passando da Kleist a Goethe, da Shakespeare a Marlowe,
dai poeti espressionisti tedeschi ai poeti georgiani (Traduzioni scelte, 1940), e raggiunge, così, una personale esperienza
nell'arte di una traduzione nuova e libera.
Grigori Kozintsev abbandona ogni intento psicanalitico per presentare un
Amleto eroico, romantico, un ribelle che non si batte contro gli usurpatori per vendicare la morte del padre, ma mosso da
un insopprimibile anelito alla libertà. La differente impostazione rispetto ad Olivier, è giustificata, secondo lo stesso regista,
dal fatto che Shakespeare non descrive la storia di un uomo oppresso da cupi pensieri, la cui origine è da ricercarsi nel
subconscio, né nel "complesso di Edipo", così come anche lo psicanalista scozzese Ernest Jones puntualizza nel suo
saggio (1975: 35-47); per Kozintsev le ragioni della tragedia di Amleto provengono, invece, dall'ambiente in cui vive,
poiché i suoi ideali di umanità non riescono a trovare una soddisfacente incarnazione nella vita (Manvell, 1971: 90-93).
Amleto è un eroe del Rinascimento, dall'immagine positiva ed antidecadente, che non sa accettare la falsità dei rapporti
sociali e si sforza di difendere la dignità umana, di risvegliare la coscienza degli uomini, in un secolo che di umano non ha
niente.
Il testo del dramma non si propone di ricercare sullo schermo quella precisa epoca in senso naturalistico; ma porta in
scena la vita, con i suoi conflitti irrisolti che oltrepassano le epoche. La vicenda di Amleto, dall'apparizione dello spettro
del padre, al duello finale e alla morte -fedele al testo teatrale- ha in questa versione una particolare innovazione proprio
nel contesto sociale e nel quadro ambientale assai allusivo. In un castello lontano dal mondo, gli uomini di potere, il re, la
regina ed i cortigiani vivono distaccati dal popolo ridotto a ignorate figure che passano sullo sfondo. Sono queste figure,
però, che diventano il centro del dramma, in una affascinante interpretazione storica sul terreno delle contraddizioni sociali
in cui il potere si specchia nei sudditi, i ricchi nei diseredati e i sapienti negli incolti.
Sebbene l'opera di Kozintsev sia stata criticata dalla stampa del tempo come "troppo accademica", è stata definita, solo
qualche mese più tardi, da Peter Brook "la migliore tra le realizzazioni cinematografiche tratte dalla produzione teatrale di
Shakespeare" (Sight and Sound, marzo 1965).
La forza e la chiarezza del film risultano interamente da tutto ciò che compare sullo schermo: la scelta dei luoghi, l'incontro
di Amleto ed Ofelia sulla scalinata, le caratteristiche del castello... Ogni scelta di regia è strettamente legata alla struttura
della trama. Il lavoro, nella sua resa finale, ha tutta la forza drammatica e le qualità presenti anche in Olivier: è ben girato,
senza risparmi di mezzi, con buona tecnica di ripresa ed attori capaci; se ne distacca per la rinuncia ad un approccio
prettamente introspettivo.
Amleto è ambientato esattamente nella cultura anglo-danese del periodo elisabettiano, tra le rovine di un castello vero
con l'aggiunta di strutture artificiali. Lo scenografo E. Enej ed il costumista S. Virsaladze (specializzato in costumi per il
balletto classico) hanno lavorato insieme, con lo scopo di creare, attraverso l'immagine visiva, la cornice ideale per
riflettere l'atmosfera e lo spirito del dramma.
L'elaborazione dei particolari, attenta a riprodurre la realtà, ha suscitato critiche per il risultato fin troppo realistico di scene
e costumi. Gli interni sono curati con minuzia estrema; pareti dagli elaborati basso-rilievi, o ricoperte da enormi dipinti e
scudi, ornano ampi locali, in cui le fedeli ricostruzioni dei mobili lasciano comunque spazio ai liberi movimenti degli attori.
I costumi sono realizzati in perfetto stile elisabettiano, come è possibile notare nei vari modelli di abbigliamento di quegli
anni, recuperati e studiati nei minimi dettagli da Iris Brooke nella sua History of English Costume (1972: 70-87). Abiti
scuri in pesante velluto, liscio o damascato, fanno risaltare i grandi colletti chiari inamidati che incorniciano i volti
femminili. I corpi sono fasciati da busti stretti che delineano la vita, mentre lunghe gonne scendono fino a terra, sostenute
dal farthingale, la tipica sottoveste in crinolina dalla caratteristica forma a campana. I vestiti sono impreziositi da
http://www.movieforum.it/mf
Visita: www.movieforum.it
Generata: 30 September, 2016, 00:26
Movie Forum - Analisi e discussioni sul mondo del cinema
applicazioni di perle ed altri gioielli sulle cuciture più in vista, quali lo scollo, le maniche e il giro vita.
I personaggi maschili vestono prevalentemente colori scuri e, nelle occasioni importanti, la soluzione d'abito prevede
bianchi ruff al collo e ai polsi. E' riconoscibile il doublet imbottito (giacchino corto), realizzato con pesanti stoffe, che
accresce la linea delle spalle per mezzo di grandi spalline cucite internamente (Brooke, 1972: 83). La camicia bianca di
Amleto è piuttosto stretta, il collo ed i polsini sono lisci, semplici, secondo il modello che sostituì quella più ampia e
morbida del periodo di Enrico VIII. L'abbigliamento è completato da gioielli molto appariscenti; lunghi collier con medaglie
e ciondoli, anelli con pietre dure per il re, vistosi orecchini di perle e oro per Gertrude.
Le capigliature femminili sono molto curate e generalmente raccolte in elaborate acconciature che, in alcuni casi,
lasciano intuire l'uso di posticci. I capelli biondi di Ofelia e Gertrude, biondi come quelli di Amleto, si distinguono tra gli
altri interpreti, uomini e donne, uniformati dal colore castano-bruno delle teste.
I costumi contribuiscono, dunque, ad arricchire il senso realistico di tutto il film e la bravura del costumista va riscontrata,
non tanto nel fatto che essi rivelino l'indispensabile e dettagliata documentazione sottostante alla loro produzione,
quanto nell'essere riuscito a ricrearli in tutta la loro naturalezza, nascondendo all'occhio dello spettatore l'irrealtà della
finzione cinematografica.
Il monologo
La diversa interpretazione che Kozintsev dà alla figura di Amleto e la sua personale chiave di lettura di tutta la storia
traspaiono molto chiaramente anche nella resa del monologo. Questo, infatti, anziché essere un momento di elevata
drammaticità, come si era visto in Olivier, pare essere usato soprattutto come stacco dal resto della narrazione, in cui il
principe danese approfitta per perdersi nelle sue riflessioni.
La scena si svolge in esterni ed inizia con alcuni scorci di scogli in riva al mare, lambiti da onde che appaiono in
tempesta, sincrone col ritmo in crescendo della colonna sonora.
Ma, subito dopo, inaspettatamente, tutta questa agitazione si placa: la musica acquista un tempo sempre più dilatato e
nel paesaggio si riflette la nuova atmosfera. Appare un Amleto calmo e meditativo, che sembra lasciarsi ispirare dal
mare. Non è sconvolto dal tumulto delle passioni, non è vinto da emozioni più forti di tutto, perfino della ragione; e non ci
fa temere per la sua stessa vita, non si mostra sul punto di compiere un gesto estremo. Pare, piuttosto, un uomo
qualunque, in dialogo con i suoi pensieri.
L'ambiente potrebbe essere quasi una citazione della precedente versione filmica inglese, da noi già ricordata; ma i toni,
la scala dei grigi utilizzati, rendono le figure più nette, i contorni più nitidi, manifestazione di quanto più concreto e legato
alla realtà sia, in effetti, il protagonista di questa trasposizione.
Il ritmo del quadro in questione è molto lento. Amleto passeggia tra le rocce, la macchina da presa lo segue per poi
fermarsi ogni volta che egli indugia, quasi in posa, e lo inquadra ora in primo piano, ora a figura intera, sullo sfondo delle
onde increspate.
Assorto nelle proprie meditazioni, Amleto ha gli occhi bassi, mentre si perde nelle famose considerazioni sull'esistenza:
"To be...not to be..."; per poi risvegliarsi, alzare lo sguardo, rivolgerlo all'orizzonte, al mondo, allo spettatore, forse
simbolo di tutta l'umanità: "...that is the question". E' fermo, immobile vicino al mare, poi pochi passi ed assume di nuovo
una postura statica, quasi bloccato in un breve fermo-immagine (vv. 2-5). La cinepresa lo avvolge con piccoli movimenti
circolari e si arresta subito dopo in fisse inquadrature.
Il testo ricalca l'originale delle battute shakespeariane, seppur mancante di brevi pause, semplici interiezioni, secondo
l'adattamento di Pasternak, molto probabilmente non a seguito di una censura, ma al fine di suggerire una poeticità in
sintonia con la tipica costruzione dei versi della lingua russa. Non è recitato in modo plateale, ma giunge interamente da
fuori campo, simile ad un'eco riflessa dal vento, delle confidenze più intime che il principe fa a sé stesso.
La voce un po' roca, vaga come un sussurro, ci suggerisce il carattere più intimista che melodrammatico di questo
assolo. Rilassato fin quasi ad essere statico, l'attore limita all'essenziale i suoi gesti e muta solo di poco anche
l'espressione del volto, sottolineando appena i diversi passaggi, con una recitazione distaccata, forse perfino un po'
fredda, a dimostrare che non vi è passione alcuna a sconvolgere il suo animo in quel momento. Dentro e fuori di lui tutto
è ormai compiuto: sebbene non lo esterni esplicitamente, ha già deciso di non porre fine alla sua vita.
Lentamente come è comparso (vv. 32-33), infine Amleto si allontana, misurando i passi uno alla volta, lungo la bianca
scalinata di pietra che lo riporterà al castello, dove egli sarà nuovamente coinvolto nella vita di corte.
La narrazione prosegue secondo lo schema shakespeariano, proponendo l'incontro con Ofelia, che lo attende, già istruita
dal padre Polonio sulla condotta da tenere; ed il ritmo della vicenda torna ad essere più concitato verso le scene più
dinamiche che concludono la tragedia.
Al di là del riconoscimento del pregio del testo poetico, che non si può fare a meno di rinnovare, ci sembra giusto affermare
che questo brano debba essere ricordato soprattutto come una buona pagina di cinema, e dunque, in questo senso,
svincolata da ogni rapporto con l'evento della rappresentazione teatrale. Infatti, se la recitazione, nei tempi e negli
atteggiamenti dell'interprete, può permettergli di fare sfoggio della sua maestria, tutto il resto, le immagini, i suoni, la
scenografia, risentono di un'impronta prevalentemente cinematografica.
Anche le suggestioni del bianco e nero, espressamente volute dallo stesso regista, rimandano ad una precisa scelta di
impostazione stilistica, quasi a voler ulteriormente sottolineare la collocazione storica dei fatti, quasi a precisare che allo
spettatore sono presentati avvenimenti remoti nel tempo.
Si evidenzia in che modo, per Kozintsev, la trasposizione sul grande schermo di un testo che nasce per il palcoscenico
possa svincolarsi del tutto dal retaggio teatrale ed avere, da questo punto di vista, vita autonoma, raggiungendo
comunque alti livelli di espressione artistica.
La sua è una dimostrazione di come il cinema possa impossessarsi di un'opera teatrale, realizzandola con tutti i nuovi
http://www.movieforum.it/mf
Visita: www.movieforum.it
Generata: 30 September, 2016, 00:26
Movie Forum - Analisi e discussioni sul mondo del cinema
mezzi tecnici a sua disposizione, senza stravolgerne il significato; ma permettendone, anzi, una più ampia diffusione.
Dunque, un buon testo teatrale può diventare anche un'ottima sceneggiatura e il teatro fatto al cinema deve seguire le
modalità proprie della tecnica e della pratica cinematografica. A differenza di Olivier, ad esempio, il cinema non è più solo
un mezzo, uno strumento per mostrare ad una platea più nutrita la poesia e la grandezza di un dramma. La
trasposizione diventa, infatti, un genere cinematografico vero e proprio, con precise regole di codifica, segni distintivi,
immagini, suoni e particolari leggi interpretative.
Alfredo Venanzi
http://www.movieforum.it/mf
Visita: www.movieforum.it
Generata: 30 September, 2016, 00:26