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Periodico quindicinale | FE n. 09 | 9 agosto 2012
CONSIGNMENT STOCK AGREEMENT
ABSTRACT
Il consignment stock agreement è una forma contrattuale di origine anglosassone che si è andata
sempre più sviluppando nel commercio internazionale. Essa, infatti, garantisce notevoli vantaggi
finanziari e operativi per l’acquirente tutelando, al contempo, i diritti reali del fornitore sulla merce
ceduta sino all’effettivo trasferimento della proprietà.
LO SCHEMA CONTRATTUALE
Il consignment stock è un contratto atipico, non espressamente tipizzato dall’ordinamento giuridico
italiano, le cui caratteristiche, tuttavia, lo rendono assimilabile al contratto estimatorio disciplinato
dagli artt. da 1556 a 1558, C.C.
Lo schema negoziale prevede l’invio di beni presso un deposito dell’acquirente o di un soggetto
terzo, in cui l’acquirente abbia accesso esclusivo, senza l’immediato trasferimento del diritto di
proprietà sui beni stessi.
L’acquirente può quindi prelevare i beni secondo le proprie esigenze commerciali o produttive,
acquisendone la proprietà solo all’atto del prelievo dal deposito, con il vantaggio di abbattere
sensibilmente gli impegni finanziari per la costituzione del proprio magazzino.
I beni nella disponibilità dell’acquirente restano di proprietà del cedente (c.d. “tradens”), il
quale, tuttavia, non può disporne liberamente (ad esempio, per destinarli a un altro
acquirente) sino alla loro eventuale restituzione.
Il soggetto che riceve le merci (c.d. “accipiens”) è tenuto a custodirle sotto la propria responsabilità
e risponde degli eventuali danni cagionati, anche se per cause a lui non imputabili. Le merci non
possono essere sottoposte a pignoramento o sequestro da eventuali creditori del ricevente.
In ambito comunitario il termine “consignment stock” designa le operazioni con le quali il
fornitore invia merce all’estero presso un magazzino in attesa di un potenziale acquirente;
le operazioni a effetti traslativi differiti sono invece denominate “call off stock”. È, quindi,
opportuno tener conto di tale discrasia terminologica in sede di redazione del contratto.
Si tratta, in buona sostanza, di un contratto a effetti reali differiti, caratterizzato dalla circostanza
che il momento impositivo IVA è differito sino all’effettivo passaggio della proprietà, che viene a
determinarsi solo all’atto dell’estrazione dei beni dal deposito.
Dal punto di vista fiscale, tuttavia, il passaggio di proprietà non può essere rimandato sine die e,
pertanto, una volta trascorso un anno dalla consegna dei beni, l’operazione si considera
comunque effettuata.
Se, ad esempio, la merce giunge presso il deposito dell’accipiens in data 5.9.2012, lo stesso può
liberamente disporne sino al 5.9.2013, termine entro il quale l’acquisto si considera comunque
perfezionato ai fini IVA.
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CONSIGNMENT STOCK IN AMBITO COMUNITARIO
La disciplina degli acquisti intracomunitari di beni in esecuzione di contratti di consignment stock è
contenuta nell’art. 39, c. 1, DL 331/1993.
La norma prevede che gli effetti traslativi o costitutivi della proprietà dei beni si considerano
effettuati all’atto della loro rivendita o prelievo oppure, se i beni non sono restituiti anteriormente,
alla scadenza del termine pattuito dalle parti e, in ogni caso, dopo un anno dal ricevimento.
I principali chiarimenti circa l’applicazione della disciplina agli acquisti intracomunitari in conto
consignment stock sono contenuti nella RM n. 44/E/2000.
Per quanto riguarda la disciplina IVA applicabile alle cessioni intracomunitarie in partenza
dall’Italia, con RM n. 235/E/1996 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che occorre far riferimento
all’art. 6, c. 2, lett. d), DPR 633/1972.
Tale disposizione, pur avendo rilevanza domestica, trova applicazione in relazione al trasferimento
dei beni in ambito comunitario, in virtù del generale rinvio operato dall’art. 56, c. 1, DL 331/1993,
per cui, anche in questa ipotesi, vale la presunzione legale di carattere antielusivo, in base alla
quale il bene si considera comunque ceduto allo scadere di un anno dalla consegna o spedizione.
Esaminiamo di seguito gli adempimenti IVA cui sono tenute le imprese italiane in relazione alle
diverse ipotesi di destinazione dei beni in ambito comunitario.
SPEDIZIONE DEI BENI IN AMBITO COMUNITARIO CON DESTINAZIONE ITALIA
All’atto del ricevimento dei beni, l’impresa italiana è tenuta ad annotarne l’avvenuta consegna nel
registro di cui all’art. 50, c. 5, DL 331/1993.
Nel registro vanno indicate le informazioni relative a:
1)
2)
3)
natura, qualità e quantità dei beni ricevuti;
causale del trasferimento (contratto di consignment stock);
dati identificativi del mittente.
Il registro non è soggetto all’imposta di bollo, resta invece fermo l’obbligo di numerazione
progressiva delle pagine. Esso va tenuto secondo le norme di un’ordinata contabilità,
senza spazi in bianco, interlinee e trasporti in margine. Se è necessaria qualche
cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili. Il
registro va conservato fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al
corrispondente periodo d’imposta (dunque, anche oltre il termine di 10 anni previsto dall’art.
2220, C.C.).
All’atto del prelievo dei beni dal magazzino (momento in cui l’acquisto si considera effettuato ai fini
IVA), l’impresa italiana deve comunicare al fornitore comunitario l’avvenuto utilizzo dei beni, o di
parte di essi. La fattura ricevuta in seguito va quindi numerata, integrata con IVA e annotata nel
registro IVA vendite e nel registro IVA acquisti. L’operazione va quindi riepilogata nel mod. INTRA
2-bis.
Nel caso in cui la merce sia interamente restituita al fornitore entro i termini contrattualmente
previsti e, comunque, prima del decorso del termine di un anno dalla sua consegna, l’operazione
non si considera effettuata e l’impresa italiana è tenuta soltanto allo “scarico” dei beni dal registro
ex art. 50, c. 5, DL 331/1993.
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Se la merce è restituita dopo il termine di un anno dalla consegna, l’acquisto si considera
comunque effettuato; in tale ipotesi è quindi necessario concordare con il fornitore l’emissione di
una nota di variazione a storno della fattura di vendita emessa (in tal caso sorge l’obbligo di
presentare il mod. INTRA 2-ter a rettifica del mod. INTRA 2-bis già presentato).
Il termine ultimo di un anno dalla consegna non opera solo se la merce è immessa in un
deposito IVA.
L’art. 50-bis, DL 331/1993, prevede, infatti, una particolare tipologia di deposito IVA per gli accordi
di consignment stock nell’ambito dei quali il destinatario finale dei beni (accipiens) si identifica con
il depositario.
Al ricorrere di questa ipotesi, l’acquisto intracomunitario si considera effettuato soltanto nel
momento in cui il destinatario/depositario estrae i beni dal deposito IVA. Non è quindi previsto
alcun limite temporale: la merce può essere estratta dal deposito anche oltre il termine
originariamente fissato dalle parti per la sua restituzione, senza che operi neppure il termine di un
anno dalla consegna.
Fino a quando la merce è mantenuta in regime di deposito IVA l’acquisto intracomunitario
non si considera perfezionato. Pertanto, se dopo avere comunicato il prelievo della merce
al proprio fornitore, l’impresa italiana la mantiene in regime di deposito IVA (ad esempio,
per sottoporla a lavorazioni nell’ambito del deposito), l’acquisto intracomunitario viene
comunque a determinarsi al momento della successiva estrazione.
Secondo la Guida “Shipping & Fisco” realizzata dalla Direzione Regionale Liguria dell’Agenzia
delle Entrate, tale fattispecie è applicabile anche se il deposito IVA è gestito da un soggetto terzo,
purché la merce sia presa in carico, oltre che dal depositario professionale sul proprio registro di
carico e scarico, anche dal cliente tramite annotazione sul registro di cui all’art. 50, c. 5, DL
331/1993.
Art. 39, c. 1, DL 331/1993.
Il momento impositivo si realizza all’atto della rivendita dei beni o del loro prelievo da
parte del ricevente oppure alla scadenza del termine pattuito dalle parti, in ogni caso
dopo un anno dal ricevimento.
Art. 50-bis, c. 2, DL 31/1993
Il momento impositivo si realizza all’atto di estrazione dei beni dal deposito da parte del
ricevente/depositario, che può avvenire anche oltre il limite temporale di un anno.
SPEDIZIONE DEI BENI IN AMBITO COMUNITARIO CON PARTENZA DALL’ITALIA
La spedizione dei beni va annotata in un apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’art.
50, c. 5, DL 331/1993.
Il registro non è soggetto all’imposta di bollo, resta invece fermo l’obbligo di numerazione
progressiva delle pagine. Esso va tenuto secondo le norme di un’ordinata contabilità,
senza spazi in bianco, interlinee e trasporti in margine. Se è necessaria qualche
cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili. Il
registro va conservato fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al
corrispondente periodo d’imposta (dunque, anche oltre il termine di 10 anni previsto dall’art.
2220, C.C.).
Nel registro vanno indicate le informazioni relative a:
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natura, qualità e quantità dei beni inviati;
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3)
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causale del trasferimento (contratto di consignment stock);
dati identificativi del destinatario.
Nel momento in cui il cliente comunitario comunica di avere prelevato la merce per utilizzarla,
l’impresa italiana è tenuta a emettere fattura non imponibile IVA ex art. 41, c. 1, lett. a), DL
331/1993.
Ai sensi dell’art. 1, c. 4, DM 18.11.1976, per le cessioni di beni inerenti a contratti estimatori
gli obblighi di fatturazione, registrazione e annotazione possono essere eseguiti entro il
mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. Ad esempio, se la merce è
prelevata dall’accipiens il 20.9, il tradens può emettere fattura entro il 31.10.
Va inoltre presentato il mod. INTRA 1-bis con riferimento al periodo di emissione della fattura. Se
per l’emissione della fattura ci si avvale del maggior termine previsto dal DM 18.11.1976, anche la
presentazione del relativo mod. INTRASTAT è posticipata di un mese (l’elenco va, infatti,
presentato con riferimento al periodo di registrazione della fattura).
Nel caso in cui la merce sia interamente restituita al fornitore entro i termini contrattualmente
previsti e, comunque, prima del decorso di un anno dalla sua consegna, l’operazione non si
considera effettuata e l’impresa italiana è tenuta soltanto ad annotare il rientro dei beni nel registro
ex art. 50, c. 5, DL 331/1993.
Se la merce è restituita dopo il termine di un anno dalla consegna, la cessione si considera
comunque effettuata e, pertanto, occorre emettere una nota di variazione per stornare la fattura di
vendita emessa e presentare il mod. INTRA 1-ter di rettifica.
È comunque necessario verificare se lo Stato del destinatario prevede un termine inferiore
all’anno, entro il quale l’operazione si considera perfezionata.
In alternativa è possibile emettere un semplice documento di accredito, da registrare solo in
contabilità generale. In questa ipotesi nel modello INTRA 1-ter non va compilata la parte fiscale ma
soltanto quella statistica (se dovuta).
Si ricorda infine che l’operazione di cessione concorre alla formazione del plafond IVA con
riferimento al mese di emissione della fattura.
IDENTIFICAZIONE IVA NEL PAESE DI DESTINAZIONE DEI BENI
Nel caso in cui la legislazione del Paese comunitario di destinazione dei beni imponga all’impresa
italiana l’apertura di una posizione IVA in loco, lo schema di consignment stock sopra delineato
non è applicabile.
Nel momento della spedizione della merce, l’impresa italiana è quindi tenuta a emettere una
fattura ex art. 41, c. 2, lett. c), DL 331/1993, sulla propria posizione IVA accesa nel Paese di
destinazione dei beni.
Ai sensi dell’art. 41, c. 2, lett. c), DL 331/1993, l’invio di beni nel territorio di altro Stato
membro, mediante trasporto o spedizione a cura del soggetto passivo nel territorio dello
Stato, o da terzi per suo conto, di beni ivi esistenti è assimilato alle cessioni
intracomunitarie non imponibili.
L’operazione, che tra l’altro contribuisce alla formazione del plafond IVA, va dichiarata nel mod.
INTRA 1-bis con riferimento al mese di spedizione dei beni (a sua volta, la posizione IVA aperta
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Focus Estero n. 09/2012 – Consignment stock agreement
nello Stato estero dall’impresa italiana è tenuta a presentare il mod. INTRA 2-bis). La successiva
cessione dei beni al cliente comunitario risulta fuori campo IVA ex art. 7, DPR 633/1972 (all’atto
della cessione i beni si trovano al di fuori dal territorio dello Stato).
L’operazione è, infatti, soggetta alla normativa IVA domestica del Paese ove è effettuata la
cessione. Il cedente italiano deve emettere un documento di addebito, senza applicazione dell’IVA
locale, che sarà assoggettato a imposta a cura del cessionario con emissione di autofattura.
CONSIGNMENT STOCK IN AMBITO EXTRACOMUNITARIO
Il contratto di consigment stock trova applicazione anche con riferimento alle operazioni poste in
essere con operatori stabiliti in Paesi extracomunitari.
SPEDIZIONE DEI BENI IN AMBITO EXTRACOMUNITARIO CON PARTENZA DALL’ITALIA
Con RM n. 58/E/2005, l’Agenzia delle Entrate ha delineato la procedura da osservare per inviare i
beni verso Paesi extracomunitari in dipendenza di un contratto di consignment stock. In particolare
l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’invio all’estero della merce costituisce esportazione solo
ai fini doganali, ma non ai fini IVA (in quanto all’atto della spedizione non si è ancora realizzata la
cessione a titolo definitivo).
L’invio della merce all’estero va quindi effettuata con una fattura proforma o con un documento
equivalente, nel quale la merce è valorizzata in base al corrispettivo pattuito con il destinatario, in
caso di esercizio dell’opzione di acquisto.
Nella fattura proforma o nel documento equivalente va indicato che l’operazione è
effettuata in dipendenza di un contratto di consignment stock (“consignment stock
agreement”) e che la stessa non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 8, DPR
633/1972.
All’atto del prelievo dei beni da parte dell’operatore extracomunitario, l’impresa italiana emette
fattura non imponibile ex art. 8, c. 1, lett. a), DPR 633/1972, da annotare nel registro IVA vendite
(la fattura concorre alla formazione del plafond IVA).
Con RM n. 58/E/2005 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che se la merce è custodita nello
Stato extracomunitario di destinazione per conto dell’esportatore italiano, invece che per
conto del cliente destinatario, l’operazione non concorre alla formazione del plafond IVA
(all’atto dell'esportazione delle merci non si verifica infatti alcuna cessione a titolo oneroso
e la rivendita, effettuata al di fuori dal territorio dello Stato, non rileva agli effetti dell’IVA).
Ai sensi dell’art. 1, c. 4, DM 18.11.1976, è data facoltà al cedente di emettere la fattura entro il
mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione (il prelievo dei beni).
È opportuno che il documento riporti l’indicazione dell’ordine di acquisto emesso dal cliente
extracomunitario, il numero della bolletta doganale di uscita dei beni dal territorio italiano,
gli estremi della fattura proforma o del documento equivalente sulla base del quale è
avvenuta l’esportazione doganale dei beni e il documento di prelievo dei beni emesso
dall’acquirente.
Come precisato dalla RM n. 17/E/2009, anche in questo caso trova applicazione il disposto di cui
all’art. 6, c. 2, lett. d), DPR 633/1972: l’operazione si considera quindi effettuata all’atto del prelievo
dei beni e, comunque, una volta trascorso un anno dalla consegna o spedizione dei beni.
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Per vincere la presunzione di cessione è sufficiente conservare la bolla doganale di esportazione
della merce (completa dell’annotazione che trattasi di invio in dipendenza di un contratto di
consignment stock).
Per evitare che la merce sia assoggettata a dazi e imposte al momento del suo eventuale ritorno
nella Comunità a seguito di restituzione da parte del cliente, è possibile ricorrere alla
reintroduzione in franchigia.
Allo scopo è necessario che la reimportazione avvenga entro 3 anni dalla data di esportazione,
che le merci siano reintrodotte nello stato in cui sono state esportate (senza aver subito modifiche,
se non manipolazioni usuali) e che l’impresa italiana non abbia usufruito del plafond maturato sulla
precedente cessione relativa alla merce che si intende reintrodurre.
SPEDIZIONE DEI BENI IN AMBITO EXTRACOMUNITARIO CON DESTINAZIONE ITALIA
Quando la merce proviene da un Paese extracomunitario in dipendenza di un contratto di
consignment stock, l’impresa italiana acquirente deve procedere alla sua immissione in libera
pratica, assoggettandola a imposta.
Ai fini IVA, infatti, l’operazione si considera effettuata in tale momento, nonostante la
compravendita definitiva non sia ancora avvenuta.
Sul punto la RM n. 346/E/2008 ha chiarito che l’imposta assolta in dogana in sede di
importazione di beni inerenti all’attività d’impresa esercitata, è immediatamente detraibile
(dopo aver registrato la bolletta doganale nel registro IVA acquisti), a nulla rilevando la
circostanza che in tale momento l’importatore non sia ancora il proprietario della merce.
Nel momento del prelievo dei beni dal conto deposito, l’impresa italiana è tenuta a emettere
un’autofattura indicando il corrispettivo pagato e la relativa imposta, nonché gli estremi della
bolletta doganale di importazione e quelli della sua registrazione nel registro IVA acquisti.
L’autofattura va poi annotata nel registro IVA vendite e nel registro IVA acquisti in un’apposita
colonna, al fine di documentare l’acquisto ai soli fini delle imposte sul reddito (l’imposta è già stata
assolta in dogana).
Tuttavia, se il prezzo corrisposto al momento dell’acquisto definitivo è superiore a quello
indicato in dogana, la differenza concorre alla liquidazione periodica IVA.
In caso di eventuale restituzione della merce viene a configurarsi una cessione all’esportazione ex
art. 8, DPR 633/1972.
LE TRIANGOLAZIONI NELL’AMBITO DELL’ACCORDO DI CONSIGNMENT STOCK
Con due interventi di prassi l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il differimento del regime di
non imponibilità IVA riconosciuto ai trasferimenti intracomunitari di beni in dipendenza di un
contratto di consignment stock, non può trovare applicazione nell’ipotesi di triangolazione
comunitaria (e neppure extracomunitaria).
In particolare, la RM n. 49/E/2008 ha chiarito che se il cessionario comunitario acquista i beni dal
cedente italiano chiedendogli di effettuarne la consegna al proprio cliente residente in altro Paese
membro (diverso da quello del cessionario stesso), la cessione posta in essere dal soggetto
italiano non può beneficiare della sospensione d’imposta discendente dal contratto di consignment
stock che il cessionario comunitario ha stipulato con il proprio cliente (essa infatti interessa le sole
operazioni che coinvolgono soggetti passivi stabiliti in due diversi Stati membri).
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Inoltre, neppure la cessione effettuata dall’operatore italiano ha natura intracomunitaria in quanto,
all’atto del trasporto dei beni nel Paese membro di destinazione, non si verifica il contestuale
trasferimento della proprietà sui beni stessi (che, si ricorda, si realizza solo all’atto del prelievo dei
beni).
Il cedente italiano deve quindi identificarsi ai fini IVA nel Paese di destinazione al fine di acquisire i
beni trasferiti dall'Italia in regime di non imponibilità IVA ex art. 41, c. 2, lett. c), DL 331/1993; la
successiva cessione nei confronti del cessionario comunitario, territorialmente rilevante nel Paese
di destinazione dei beni, va assoggettata all’imposta ivi applicata.
La successiva RM n. 17/E/2009, concernente una triangolazione all’esportazione verso la
Repubblica di San Marino (ITA1 acquista merce da ITA2 incaricandolo di consegnare la merce al
proprio cliente sammarinese con il quale ha in essere un accordo di consignment stock), ha
negato l’applicazione del regime di non imponibilità IVA alla cessione tra soggetti passivi italiani
(ITA1 e ITA2), in quanto, “a valle”, il rapporto tra il promotore e il suo cliente sammarinese non è
regolato da un contratto di cessione ma da un contratto estimatorio.
All’atto del trasporto dei beni a San Marino, infatti, non è ancora verificato l’effetto traslativo della
proprietà tra il promotore e il suo cliente sammarinese, sicché non ricorre l’ipotesi di un’operazione
triangolare. ■
BREAKING NEWS
NUOVO MOMENTO DI EFFETTUAZIONE DELLE PRESTAZIONI DI SERVIZI GENERICI
Come noto (si veda la FE n. 1/2012), la L. 217/2011, c.d. “Comunitaria 2010”, ha introdotto, con
effetto dal 17.3.2012, una deroga al criterio generale di individuazione del momento di
effettuazione delle prestazioni di servizi che, di regola, coincide con il momento del pagamento o,
se antecedente, con l’emissione della fattura (limitatamente all’importo pagato o fatturato).
Il momento di effettuazione delle prestazioni di servizi “generici” (per le quali opera il criterio
generale di territorialità in funzione del luogo di stabilimento del committente), intercorse tra
soggetti passivi comunitari o extracomunitari, va ora individuato nel momento dell’ultimazione della
prestazione, salvo che non sia stato pagato anticipatamente il corrispettivo, in tutto o in parte, nel
qual caso l’operazione si considera effettuata al momento del pagamento.
Fanno eccezione le prestazioni a carattere periodico o continuativo, per le quali opera il criterio
della data di “maturazione del corrispettivo”, e le prestazioni di durata ultrannuale senza pagamenti
parziali, che si considerano effettuate al 31.12 di ciascun anno solare.
Il nuovo criterio dell’ultimazione del servizio pone il problema dell’individuazione dell’esatto
momento in cui la prestazione si considera terminata; infatti, non sempre il prestatore informa il
committente circa la conclusione dell’operazione.
Nel corso di un recente incontro organizzato dalla stampa specializzata, alcuni funzionari della
Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate, hanno fornito un primo contributo
interpretativo sulla questione.
Il chiarimento, che non assumerà carattere ufficiale sino a quando non sarà tradotto in una vera e
propria circolare, verte sull’individuazione del momento di effettuazione delle prestazioni di servizi
rese da soggetti passivi comunitari a committenti soggetti passivi italiani.
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Secondo i funzionari dell’Agenzia delle Entrate il momento di ultimazione della prestazione va
ricondotto alla ricezione della fattura del prestatore che, per il committente, rappresenta indice di
avvenuta conclusione della prestazione.
Pertanto, il momento rilevante ai fini IVA (momento dal quale decorrono gli adempimenti IVA di
integrazione e registrazione della fattura) è da individuarsi nella data in cui il committente ha
notizia dell’ultimazione della prestazione per effetto del ricevimento della fattura.
In attesa di chiarimenti ufficiali, è presumibile che tale interpretazione possa essere estesa alle
prestazioni ricevute da operatori extracomunitari.
I funzionari dell’Agenzia delle Entrate hanno inoltre precisato che l’obbligo di emettere autofattura,
adempimento posto in capo al committente che non riceve la fattura entro il mese successivo a
quello di ultimazione (o pagamento) della prestazione, va assolto solo se lo stesso ha conoscenza
che la prestazione è stata effettuata o quando ha eseguito il pagamento.
Ne deriva, pertanto, che l’obbligo di emissione dell’autofattura in caso di mancato ricevimento della
fattura estera, ricorre soltanto se il committente ha certezza dell’ultimazione del servizio e
dell’ammontare del corrispettivo dovuto.
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