La piazza Tahrir e la sua democrazia

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La piazza Tahrir e la sua democrazia
La piazza Tahrir e la sua democrazia
Écrit par Ahmed Bensaada
Dimanche, 24 Juin 2012 18:00
Egitto, giugno 2012 - Da banale e abbastanza qualunque luogo sovraffollato di autobus e
venditori di ogni genere, la piazza Tahrir si è trasformata, nello spazio di una “primavera”
invernale, in epicentro dell’effervescenza sociale “democratizzante” dell’Egitto
(nella foto, piazza Tahrir nel 1983)
Da banale e abbastanza qualunque luogo sovraffollato di autobus e venditori di ogni genere, la
piazza Tahrir si è trasformata, nello spazio di una “primavera” invernale, in epicentro
dell’effervescenza sociale “democratizzante” dell’Egitto (sotto, piazza Tahrir nel 2011)
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Le diverse manifestazioni popolari che vi si sono svolte dall’inizio del 2011 hanno dimostrato
che l’ideologia di resistenza non violenta, teorizzata da Gene Sharp, abbinata ad una
applicazione pratica dei concetti acquisiti attraverso i formatori del “Center for Applied Non
Violent Action and Strategies” (CANVAS, Belgrado), è indubitabilmente efficace nella
destabilizzazione dei regimi autocratici (1). I giovani cyberattivisti e militanti “filo-democratici”
egiziani, formati da organizzazioni di “esportazione” della democrazia (soprattutto USA), hanno
saputo efficacemente combinare la potenza delle reti sociali nella mobilitazione delle folle nello
spazio virtuale e la stretta applicazione, nello spazio reale, dei “metodi di azione non violenti”
chiaramente messi a punto da CANVAS. Il presidente Mubarak ne ha pagato il prezzo: è stato
cacciato dai “ribelli” della piazza Tahrir dopo tre decenni di potere non condiviso. Lo stesso
Gene Sharp ha dichiarato che era particolarmente fiero di quanto i cyberattivisti egiziani
avevano realizzato (2).
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Ma, dopo questa storica giornata dell’11 febbraio 2011 che ha visto la rovina del rais, i successi
del campo “rivoluzionario” si sono fatti piuttosto rari, nonostante la mobilitazione quasi
permanente di piazza Tahrir.
Risultati deludenti alle elezioni legislative arraffate dagli islamisti (3), un tasso di astensionismo
molto elevato che testimonia di una forte disaffezione popolare, l’assenza di donne e copti nelle
liste dei candidati alle presidenziali, la rinuncia di Mohamed El Baradei, il loro candidato alla
magistratura suprema, e soprattutto il risultato scadente al primo turno delle presidenziali dei tre
candidati sui quali avevano ripiegato: Hamdine Sabbani, Abdel Moneim Abou El_Foutouh e
Khaled Ali (4).
Quando il primo turno delle presidenziali ha prodotto l’inatteso risultato del ballottaggio tra
Mohamed Morsi, il candidato dei Fratelli Mussulmani, e Ahmed Chafik, l’ultimo primo ministro di
Mubarak, i militanti “filo-democrazia” si sono sentiti spossessati della “loro rivoluzione”. Tutti i
mezzi erano allora buoni per recuperare il loro “bene, a qualunque costo.
Alcuni di loro hanno predicato il boicottaggio del secondo turno per delegittimare le elezioni,
mentre altri hanno proposto una alleanza coi Fratelli mussulmani tentando qualche intesa. Ma
l’idea più sorprendente che è venuta fuori dalla mitica piazza Tahrir è stata quella del blocco del
processo elettorale e della creazione di un ”consiglio presidenziale civile”(5). Questa proposta,
antidemocratica se non semplicemente reazionaria, ha fatto scorrere molto inchiostro nel
paese, alimentando numerosi dibattiti contraddittori. Suggerita dai tre sfortunati candidati del
primo turno (citati precedentemente) e sostenuta dal campo “rivoluzionario”, comprendeva
anche, secondo qualcuno, il coinvolgimento del candidato prediletto dei giovani cyberattivisti,
Mohamed El-Baradei. La dichiarazione comune redatta dal triumvirato è stata sottoscritta a
anche da molti piccoli partiti detti “progressisti” e dal famoso “Movimento del 6 aprile” (6),
composto dai cyberattivisti protagonisti della rivolta di piazza egiziana(7).
Questa idea del “consiglio”, respinta sdegnosamente da Mohamed Morsi e dalla sua
confraternita, non ha avuto lunga vita e alla fine è finita nel nulla (8).
Ma come si spiega che dei militanti che si vantano di essere “filo-democratici”, che hanno lottato
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contro il regime autocratico di Mubarak, che predicano la creazione di uno Stato di diritto
rispettoso delle istituzioni, abbiano potuto chiedere di bloccare il processo elettorale, pietra
miliare della democrazia, e di costituire un consiglio fantoccio dopo essere stati battuti nelle
urne?
Di quale democrazia si parla quando si accetta la candidatura di Chafik, ex cacicco del regime
vilipeso, invece di opporvisi fino a non partecipare alle elezioni se essa venga mantenuta, e poi
si tenta di cambiare le regole del gioco durante la partita?
Quale legittimità avrebbe avuto un consiglio presidenziale formato da candidati nettamente
battuti al primo turno, mentre sarebbero stati scartati quelli che erano stati democraticamente
designati dalla prima elezione presidenziale libera (9) del paese?
Oppure il campo “democratico” starebbe per ricorrere alle tecniche che meglio sa utilizzare,
vale a dire la mobilitazione delle folle in piazza Tahrir, per imporre all’Egitto la propria agenda,
sfidando la volontà popolare che si è comunque manifestata per due volte contro di loro?
Strattonata dallo lo stato religioso di Morsi, da un lato, e da quello militare di Chafik, dall’altro, ed arbitrata da un campo “rivoluzionario” che galleggia su una democrazia “di circostanza”, il
futuro politico dell’Egitto è destinato ad essere agitato.
A meno che, in un soprassalto di spirito patriottico, le forze politiche rispettino il risultato delle
urne, mettendo in sordina i loro interessi di parte e lavorando alla costruzione di un progetto
nazionale riunificante, fondato sul rispetto di ciascun Egiziano e nel quale il vivere-insieme non
sarà solo una parola.
Liberata dagli autobus, dai venditori di tutti i generi ma anche da qualche militante che la
occupa e che pensa che la democrazia è buona solo quando gli dà ragione, piazza Tahrir avrà
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allora la sua consacrazione ufficiale.
Note:
1. Ahmed Bensaada, «Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la
rue arabe», Éditions Michel Brûlé, Montréal (2011) ; Éditions Synergie, Alger (2012).
2. Aimée Kligman, « Why is Gene Sharp credited for Egypt's revolution? », Examiner, 5 marzo
2011, http://www.examiner.com/article/why-is-gene-sharp-credited-for-egypt-s-revolution
3. Benjamin Barthe, « La grande solitude des progressistes », Le Monde, 2 dicembre 2011, htt
p://egypte.blog.lemonde.fr/2011/12/02/la-grande-solitude-des-progressistes/
4. Ahmed Bensaada, « Égypte : la grande désillusion des révoltés de la place Tahrir », Le
Quotidien d’Oran, 7 giugno 2012, http://www.ahmedbensaada.com/index.php?option=com_co
ntent&view=article&id=181:egypte-la-grande-desillusion-des-revoltes-de-la-place-tah
rir&catid=46:qprintemps-arabeq&Itemid=119
5. Courrier International, « Le futur président déjà contesté », 6 giugno 2012, http://www.courrie
rinternational.com/article/2012/06/06/le-futur-presidentdeja-conteste
6. Essafir, « Les forces révolutionnaires pressent Chafik et ne s’entendent pas avec Morsi », 5
giugno 2012, http://m.assafir.com/content/1338856395354954700/first
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7. Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la
rue arabe », Op. Cit.
8. Nile International, « Égypte: Le PLJ rejette la création d’un conseil présidentiel », 4 giugno
2012, http://www.nileinternational.net/fr/full_story.php?ID=48733
9. Così considerate da tutti gli osservatori, anche quelli del campo « rivoluzionario » prima della
promulgazione dei risultati
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