niccolo` machiavelli
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NICCOLO’ MACHIAVELLI La vita Niccolò Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese di buone tradizioni culturali: il padre Bernardo, impiegato nel campo giudiziario, possedeva una piccola biblioteca. Machiavelli ricevette un’educazione umanistica anche se non imparò mai il greco. Sin dalla sua giovinezza il suo interesse fu indirizzato verso una cultura materialistica e laica. A circa 30 anni cominciò la sua carriera nel campo politico. Si candidò alla segreteria della cancelleria di Firenze senza successo in quanto fu battuto da un sostenitore del leader fiorentino del tempo, Gerolamo Savonarola. In seguito alla caduta di Savonarola, Machiavelli si ricandidò questa volta con successo. Gli furono affidati diversi incarichi di notevole importanza e responsabilità nei campi di politica estera e militare. È proprio grazie al lavoro in segreteria che Machiavelli apprese una notevole esperienza diretta della politica dalla quale trasse poi riflessioni e teorie molto profonde. Gli furono affidati diversi incarichi diplomatici: nel 1499 si recò a Pisa; nel 1500 in Francia; nel 1502 si recò presso Cesare Borgia il quale, con l’aiuto del Papa, suo padre, era riuscito ad ottenere il ducato di Urbino. Machiavelli rimase molto affascinato dalla politica spregiudicata che Cesare Borgia stava attuando per espandere i propri possedimenti. Contemporaneamente alla sua attività politica Machiavelli si dedicò anche all’attività letteraria. Fu proprio in questo periodo che iniziarono a comparire e maturare le idee, poi raccolte nelle sue opere, come la necessità di un esercito, non più mercenario, ma alle dirette dipendenze dello stato e composto dai cittadini stessi. Si applicò lui in prima persona per formare questo tipo di esercito divenendo segretario della magistratura dei Nove. Insieme all’amico Francesco Vettori compì diversi viaggi per l’Europa, restando affascinato dalla compattezza di popoli, come gli svizzeri ed i tedeschi, di grandi tradizioni militari che si rifacevano al popolo della Roma repubblicana. In seguito allo scontro tra la Francia e la Lega Santa, conclusasi con la vittoria di quest’ultima con la relativa sconfitta e caduta della repubblica di Firenze (alleata dei francesi), Machiavelli fu licenziato da tutti i suoi incarichi per mano dei Medici che ritornarono al potere. Nel 1513, sospettato di aver preso parte ad una congiura ai danni dei Medici, fu inizialmente arrestato per poi essere costretto all’esilio nel suo podere di San Casciano. In questo periodo si dedicò agli studi ma non tralasciò la vita politica. Difatti mantenne una fitta corrispondenza con il Vettori (ambasciatore a Roma per conto di Firenze) proprio riguardante la situazione politica del tempo ed anche riguardante la sua situazione personale piena di amarezza. Fu proprio in questo periodo che scrisse “Il Principe” e “La mandragola”. Dopo un breve periodo di tempo cercò di riavvicinarsi ai Medici per ottenere degli incarichi politici. Ci riuscì soltanto in seguito alla morte di Lorenzo quando a capo della città fiorentina vi era Giulio. In uno di questi nuovi incarichi venne a conoscenza di Francesco Guicciardini. Ritornato a Firenze si accostò ad un gruppo di intellettuali ammiratori della Roma repubblicana. Nel 1527, in seguito alla nuova caduta dei Medici, si re-instaurò la repubblica che non gli diede molta importanza a causa del suo avvicinamento alla famiglia caduta. Machiavelli morì il 21 giugno 1527 in seguito ad un malore improvviso. L’epistolario Le lettere scritte da Machiavelli non furono scritte per poi essere pubblicate; non sono quindi delle opere letterarie come quelle di Petrarca. Sono molto dirette e sembrano dei colloqui intensissimi con i destinatari. I temi trattati sono diversi: vanno dalle riflessioni politiche ai racconti della vita personale. Le lettere più importanti sono quelle scritte all’amico Francesco Vettori. Altre lettere di notevole rilevanza sono i Ghiribizzi, indirizzate al nipote del gonfaloniere di Firenze Soderini; in esse Machiavelli esprime alcuni dei suoi pensieri fondamentali come la necessità di un’accurata conoscenza della realtà. Il Principe “Il Principe” è un’opera composta alla metà del 1513 tutta in una volta ad eccezione della dedica a Lorenzo de’ Medici che fu aggiunta in seguito; difatti l’opera era inizialmente indirizzata a Giuliano de’ Medici. La dedica alla famiglia fiorentina è testimonianza della volontà del poeta di rientrare attivamente nella vita politica della città toscana. L’opera è un breve trattato che si rifà agli specula principis, cioè a dei trattati, molto diffusi nel Medioevo, nei quali si forniva un’immagine di un regnante dotato di tutte le più lodevoli virtù (Es. clemenza, mitezza, fedeltà). Tuttavia Machiavelli, pur ispirandosi ai trattati medioevali, rivoluzionò le caratteristiche del regnante, caratteristiche che non sono più le virtù morali ma tutte quelle virtù ed azioni che abbiano come fine il mantenimento ed il rafforzamento dello stato. Machiavelli possedeva questo pensiero in quanto, osservando la “verità effettuale della cosa” ( la realtà), si rese conto che il regnante doveva confrontarsi con uomini malvagi e per farlo doveva essere coraggioso da imbrogliare, crudele e spregiudicato tuttavia soltanto quando se ne aveva l’effettiva esigenza. L’opera è un trattato molto breve ma intriso di pensieri e riflessioni. È composto da 26 capito i cui titoli sono scritti in latino. Si divide essenzialmente in sei parti che sono: Parte I: capitoli I – XI (I tipi di principato) Nella prima parte Machiavelli analizza i tipi di principati esistenti cercando di trovare tutti quei mezzi che li facciano mantenere e rinforzare. Dall’analisi scaturisce che esistono tre categorie di principati: 1) i principati ereditari; 2) i principati di nuova formazione; 3) i principati misti. Secondo Machiavelli i principati di nuova formazione possono essere conquistati: 1) attraverso le virtù proprie del Principe; 2) attraverso una serie di situazioni fortunate; 3) attraverso milizie di terze persone; 4) attraverso l’appoggio dei cittadini ( in questo caso Machiavelli parla di principato civile). Nell’ottavo capitolo Machiavelli effettua una distinzione tra la crudeltà del regnante che può essere: 1) bene usata, cioè quando vi è una vera necessità, crudeltà che deve sempre avere come scopo il bene dello stato e dei sudditi; 2) male usata, cioè quando il regnante si trasforma in un tiranno, crudeltà che in questo caso fa si che i vantaggi siano esclusivamente del tiranno. Parte II: capitoli XII – XIV (Le milizie) Nella seconda parte Machiavelli analizza il problema delle milizie, argomentando il suo parere contrario nei confronti delle milizie mercenarie, ritenute da lui poco affidabili. Per lui l’esercito dovrebbe essere composto dai cittadini stessi ritenuti molto affidabili in quanto combattono per difendere i loro averi. Parte III: capitoli XV – XXIII (I comportamenti del Principe) Nella terza parte Machiavelli esprime il suo pensiero sui metodi che il Principe deve attuare per regnare. È proprio qui che Machiavelli propone un regnante, non dotato di numerose virtù morale, capace di essere crudele quando lo ritiene necessario. Parte IV: capitolo XXIV (Perché i principi italiani hanno perso i loro stati) In questa quarta parte il poeta esamina le cause che hanno portato alla caduta di principi italiani. Per lui la causa principale è l’ignavia. Parte V: capitolo XXV(Virtù e fortuna) Nella quinta parte Machiavelli descrive il rapporto tra le virtù e la fortuna che deve essere alla base di un buon politico. Il rapporto consiste nel fatto che il politico, attraverso le sue virtù, deve saper cogliere la fortuna positiva e deve prevenire la fortuna avversa, paragonata dal poeta ad un fiume in piena; tutto sempre per il bene dello stato. Parte VI: capitolo XXVI (Esortazione finale) Nell’ultima parte Machiavelli esorta il popolo affinché si applichi per ricercare un principe nuovo che sia capace di liberare l’Italia dagli stranieri. I discorsi sopra la prima decade di Tito Livio “I discorsi” è un’opera formata da appunti e riflessioni che Machiavelli fa partendo dai primi dieci libri della “Storia” di Tito Livio, nei quali l’autore romano racconta i primi anni di vita della Roma repubblicana. L’opera è divisa in tre libri, ognuno dei quali ruota attorno ad una tematica: 1) il primo libro tratta le iniziative di Roma riguardo la sua politica interna; 2) il secondo libro tratta la politica estera, in particolare la politica espansionistica, di Roma; 3) il terzo tratta le azioni dei singoli cittadini che contribuirono alla grandezza di Roma. Secondo Machiavelli attraverso l’analisi della storia della Roma repubblicana era possibile trovare degli spunti per riflessioni sui problemi che affliggevano la città di Firenze al suo tempo; pensava che si potesse ricavare l’esperienza dal passato. “I discorsi” non rientrano in nessuna categoria rispetto al genere in quanto, a differenza del “Principe”, non è un’opera con una architettura propria. Un’altra importante differenza con “Il Principe” riguarda il diverso modo di pensare del poeta. Infatti nel “Principe” Machiavelli aspira ad un monarca forte e coraggioso, mentre nei “Discorsi” aspira ad una repubblica per governare lo stato. Questi due modi di pensiero sono in netto contrasto. Gli studiosi, per spiegare questa contraddizione, ritengono che Machiavelli aspirasse ad un monarca capace di creare e difendere uno stato unitario, dotandolo di tute le istituzioni necessarie, in un primo tempo; mentre in un secondo tempo, essendo lui convinto che la repubblica fosse la forma di governo più stabile, in quanto non dipendeva dal singolo, dopo che il monarca avesse creato il nuovo stato, si sarebbe potuta instaurare una forte repubblica. Il pensiero politico • Teoria e prassi Le idee di Machiavelli sono il frutto della fusione tra teoria (ideali) e pratica (esperienza diretta della realtà). Egli possedeva un’accurata conoscenza della situazione di crisi che stava imperversando nell’Italia del tempo; è a conoscenza della crisi politica, dovuta alla mancanza di organismi unitari statali; è a conoscenza della crisi militare, dovuta alla mancanza di eserciti formati dai cittadini dello stesso stato; è a conoscenza della crisi morale, dovuta alla mancanza dei valori civili (amor della patria, eroismo, sacrificio e onore) che nell’antica Roma erano predominanti. Per Machiavelli l’unico modo per uscire da questo grande periodo di crisi è la figura di un principe di virtù capace di riorganizzare lo stato e difenderlo dagli attacchi degli stranieri. • Il metodo della scienza politica Machiavelli viene considerato come il fondatore della scienza politica. Egli infatti delimitò il campo della politica distinguendolo da altre discipline come ad esempio l’etica, sia quella laica che quella religiosa. Effettuò questa distinzione poiché secondo il poeta la politica ha delle proprie leggi ed i politici devono essere valutati soltanto in base a queste leggi. Ciò significa che un principe può assumere qualsiasi tipo di comportamento (buono – crudele; volpe – leone) a patto che alla fine raggiunga gli obbiettivi utili per il bene dello stato. Machiavelli possiede questa teoria in quanto va alla ricerca della verità effettuale della cosa e non dell’utopia di un principe pieno di virtù morali e basta; vuole trovare quello strumento che si possa applicare immediatamente alla politica reale per renderla più efficace. Per Machiavelli ogni teoria deve partire sempre da un’indagine accurata della realtà dalla quale deriva un’esperienza utile per lo stato, esperienza che può essere di due tipi: 1) diretta, cioè ricavata dalla partecipazione alla vita politica dell’individuo stesso; 2) indiretta, cioè ricavata da un attento esame delle opere degli autori antichi. Secondo il poeta l’uomo, come diversi fenomeni naturali, non muta mai il suo comportamento. Arrivò a questa conclusione in seguito ad un’attenta esamina della realtà del passato attraverso le opere antiche, esamina che può fornire delle azioni da imitare nella società del tempo, anche nel campo politico. • Le leggi dell’agire politico Machiavelli aveva una visione dell’uomo totalmente pessimistica. Secondo lui tutti gli uomini erano malvagi. Egli non andò a trovare le cause che portavano ai comportamenti che rendevano malvagi gli uomini; si limitò soltanto a constatare gli effetti che i comportamenti hanno sulla realtà. Da questa constatazione Machiavelli arrivò alla conclusione che tutti gli uomini agivano sempre e soltanto per i propri interessi, nella maggior parte dei casi, materiali. Per questo motivo il principe deve essere in grado, quando lo riteneva necessario, di essere “non buono”. Per il poeta quindi il principe deve sembrare un centauro. Tuttavia il poeta, pur possedendo questo modo di pensare, non deve essere considerato un consigliere di azioni malvagie. Arrivò a questa conclusione poiché riuscì ad andare in fondo nella distinzione tra il giudizio dal punto di vista politico ed il giudizio dal punti di vista morale. • Lo stato ed il bene comune Secondo Machiavelli l’unico rimedio possibile alla malvagità umana era uno stato forte che potesse perdurare nel tempo. Per far sì che perdurasse erano necessarie delle virtù civili come l’amore per la propria patria, l’onestà e la solidarietà. Affinché queste virtù potessero risiedere in uomini malvagi per Machiavelli erano necessarie diverse istituzioni: 1) la religione, in quanto, usata come strumento politico, obbligava i cittadini ad un rispetto reciproco; 2) le leggi, in quanto disciplinavano l’agire degli uomini; 3) le milizie, che, se formate dai cittadini dello stato stesso, potevano far si che si rafforzasse nei cittadini stessi l’amore per la propria patria; • Il rapporto tra virtù e fortuna Per Machiavelli esistevano due concezioni diversi di virtù: 1) la virtù straordinaria di un singolo individuo che sapeva affrontare, in maniera brillante, le situazioni più complicate; 2) la virtù normale di un comune cittadino che svolgeva i compiti a lui affidati nelle istituzioni cittadine. Machiavelli, nonostante il suo pessimismo, aveva molta fiducia nei confronti dell’agire degli esseri umani, riconoscendone tuttavia i propri limiti. Secondo il poeta l’uomo poteva gestire soltanto la metà delle proprie azioni; l’altra metà dipendeva da fattori che faceva rientrare nel concetto di fortuna. Per Machiavelli la fortuna era una forza laica che poteva essere anche fronteggiata. Un modo per fronteggiarla, quando si trattava di una fortuna negativa, quindi avversa, era la prevenzione. Per il poeta, un buon politico doveva riuscire a comprendere in anticipo le difficoltà che gli si presentavano dinanzi, riuscendo così ad attuare le necessarie contromosse. Un altro modo per fronteggiare la fortuna negativa è quello di “riscontrarsi coi tempi” cioè di essere in grado di adattare il proprio comportamento alle difficili situazioni che si presentano. Un ulteriore modo per fronteggiarla, quando si trattava di un fortuna positiva, era quello di cogliere l’occasione che essa offriva. Per Machiavelli un buon politico, se avesse avuto delle ottime doti ma non avesse trovato l’occasione giusta, non avrebbe mai potuto sfruttare le sue capacità che sarebbero rimaste soltanto potenziali; viceversa, un’occasione potrebbe rimanere potenziale se non ci fosse un buon politico che la sappia cogliere ed approfittarne. In conclusione per Machiavelli la virtù di un politico era composta da due qualità: 1) la conoscenza delle leggi dell’agire politico ricavata sia dall’esperienza diretta sia della lettura delle opere degli scrittori antichi; 2) la capacità di saper applicare le leggi prevenendo gli eventuali comportamenti scorretti degli avversari. La virtù per Machiavelli era quindi un mix di doti pratiche ed intellettuali. • La lingua e lo stile Lo stile che Machiavelli ha utilizzato è profondamente diverso da quello usato dagli autori rinascimentali. Quest’ultimi utilizzavano uno stile che tendeva al sublime, attraverso l’utilizzo di diverse frasi subordinate o di figure retoriche come le metafore; Machiavelli invece, rifiutando questo stile, impiegò uno stile più crudo e diretto in quanto riteneva che per esprimere i suoi concetti non erano necessari degli ornamenti letterari. Il lessico utilizzato da Machiavelli non si rifà ai canoni del Bembo ma è un lessico nel quale si mescolavano latinismi usati nelle cancellerie e parole usate dal popolo. Nel lessico di Machiavelli si rispecchiano anche i suoi concetti. Infatti non ha usato termini astratti ma termini reali che forniscano realtà concrete e corpose. La mandragola “La mandragola” è una commedia scritta nel 1518 che fu rappresentata per la prima volta nel settembre dello stesso anno in occasione delle nozze di Lorenzo de’ Medici. È una commedia particolare in quanto ha una comicità cupa. Per Machiavelli la commedia rappresentava un mondo oscuro nel quale tutti gli individui agivano con l’astuzia e con l’inganno soltanto per soddisfare i propri interessi economici. È ambientata a Firenze e racconta la storia di un amore contrastato che si risolve grazie ad un gesto di astuzia di un parassita. ANALISI DEL TESTO “La lettera al Vettori” Nel primo paragrafo emergono il pessimismo e l’amarezza di Machiavelli (“chi lascia i propri comodi per fare quelli degli altri, so che perde i suoi, e di ciò che fa per gli altri non riceve alcuna gratitudine”), che tende sempre a ricavare le esperienze universali dall’esperienza diretta. Emergono inoltre riflessioni sul problema della fortuna, riflessioni che mostrano un Machiavelli remissivo, a differenza del Machiavelli del “Principe”, nei confronti della fortuna. Questo suo comportamento è dovuto al fatto che nella lettera privata si riflettono maggiormente le situazioni personali rispetto ad un’opera destinata alla pubblicazione. Tuttavia la remissività di Machiavelli non è totale, infatti egli, capendo che non la può contrastare adatta i propri comportamenti ai tempi. Nel secondo paragrafo Machiavelli inizia la descrizione della sua giornata (il taglio del bosco, le liti, i contrasti con gli amici sull’acquisto delle legna). Nella descrizione, che a primo impatto può sembrare comica, si manifesta tutta l’amarezza di Machiavelli (“prima affari di stato ed ora cose plebee”). Nel descrivere la sua giornata Machiavelli descrive minuziosamente tutto. Quest’operazione viene utilizzata dal poeta sia per far risaltare la sua degradazione sociale, sia per far risaltare, quando la fortuna tornerà dalla sua parte, il suo riscatto. Un’altra importante operazione che Machiavelli compie durante la sua giornata è quella dell’ingaglioffamento cioè trascorrere diverse ore senza dare nulla (“giocando all’osteria con gente plebea”). Tutto questo periodo però consente a Machiavelli di entrare nei dettagli del reale, operazione che gli risulterà utilissima per accumulare quell’esperienza su cui fondare le riflessioni politiche. Nel paragrafo seguente Machiavelli descrive il suo riscatto giornaliero che avviene quando, alla sera, attraverso la lettura degli autori antichi, Machiavelli si “spoglia” di quei panni che gli ricordano il resto del giorno (panni pieni di fango) per vestirsi “condecentemene”. Lo stesso Machiavelli afferma di passare dai “pidocchi alle antiche corti”. Attraverso l’operazione di lettura Machiavelli entra in contatto con gli autori antichi trasferendosi in un’altra dimensione, immune dagli attacchi della fortuna avversa (“non sento alcuna noia, dimentico tutti gli affanni, non ho paura della morte”). Nell’ultimo paragrafo emerge un’attenta analisi del reale compiuta da Machiavelli; quest’analisi consente di valutare i pro ed i contro di una sua eventuale visita all’amico Vettori a Roma; consente di valutare i vantaggi e gli svantaggi nel dedicare “Il principe” a Giuliano de’ Medici. “Il principe” • La dedica Nella prima parte della dedica risalta l’orgoglio dello scrittore per la conoscenza delle leggi della politica, accumulata, con tanti “disagi e pericoli”, nei tanti anni di vita politica. Machiavelli ritiene di aver compreso fino in fondo le leggi della politica tanto da poterle dominare. Nell’opera Machiavelli vorrebbe offrire la sua esperienza ad uno statista affinché possa riuscire a dominare le leggi che regolano la politica in un breve periodo di tempo. Nella terza parte della dedica Machiavelli espone la lingua e lo stile di tutta l’opera. Rifiuta il periodare ed i termini complessi che caratterizzavano i trattati risalenti al suo tempo; essendo un uomo d’azione vuole che la sua opera sia di immediata applicazione. Per questo motivo utilizza uno stile incisivo e diretto senza utilizza alcun ornamento letterario. Ed è proprio per questo motivo che il suo linguaggio viene considerato antiletterario ed alla base della prosa scientifica. • Capitolo I: Quanti siano i generi di principati e in che modi si acquistino Nel primo capitolo Machiavelli distingue le due forme di governo esistenti: la repubblica ed il principato. Oltre a questa distinzione, Machiavelli distingue inoltre i tipi di principati: ereditati o nuovi; questi ultimi si suddividono a loro volta in: misti, cioè quelli formati dall’aggiunta di nuovi territori ad un principato già esistente, e totalmente nuovi. Alla fine del capitolo Machiavelli elenca i mezzi che possono essere usati per conquistare dei nuovi territori, quali: le armi proprie o di terze persone; la fortuna e le virtù. Il modo di scrivere di Machiavelli si discosta totalmente dal modo di scrivere opere dottrinarie che caratterizzava il Medioevo. Egli infatti non partiva dai principi trascendentali ma analizzava in maniera attenta ciò che era in grado di vedere. Per questo motivo i suoi concetti vengono espressi tutti sullo stesso piano (a catena) e non su piani diversi (a piramide). • Capitolo VI: I principati nuovi che si acquistano con armi proprie e con le virtù Nel sesto capitolo Machiavelli illustra la situazione di persone che conquistano un principato con armi proprie o con la propria virtù. Nel capitolo Machiavelli propone il canone dell’imitazione anche nell’ambito della politica ma ribadisce che per reggere uno stato era necessario un principe virtuoso che sapesse rafforzarlo e che sapesse prevenire la fortuna avversa, cautelandosi secondo le proprie virtù (propone l’esempi degli arcieri che aumentano l’inclinazione dell’arco prima di scoccare la loro freccia). Machiavelli afferma anche che è possibile conquistare un principato attraverso la fortuna ma mettendo in guardia coloro che lo conquistano in questo modo in quanto andrebbero ad incontrare maggiori difficoltà rispetto a coloro che lo conquistano con le proprie virtù. Machiavelli fornisce esempi di principi che riuscirono a conquistare un principato con le proprie virtù: Mosè, che riuscì a dare delle leggi al popolo ebraico; Ciro, che riuscì a fondare la monarchia di Persia; Romolo, che divenne il primo re di Roma; Teseo, che divenne re di Atene. Machiavelli però afferma anche che, affinché un uomo virtuoso possa conquistare un principato, bisogna che gli si presenti la giusta occasione e che sia dotato di proprie milizie, che essendo più fidati erano fonte di minori difficoltà (“e i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinarono”). • Capitolo XVIII: In che modo i principi devono mantenere la parola data All’inizio del capitolo Machiavelli riconosce quanto sarebbe bello che un principe possa governare bene seguendo soltanto le leggi della morale. Egli tuttavia riconosce che, nel campo della politica, le grandi imprese si possono compiere soltanto mettendo in pratica azioni moralmente scorrette. È proprio in questo capitolo che Machiavelli effettua la distinzione tra il giudizio politico ed il giudizio morale. Machiavelli non rinuncia alle virtù morali ma considera i comportamenti moralmente non corretti più produttivi se applicati nel campo politico. Tuttavia non giustifica questi comportamenti; sa che sono dei comportamenti riprovevoli; li accetta poiché li giudica secondo le leggi che regolano la politica. Questi comportamenti non sono fini a se stessi ma servono per la creazione ed il mantenimento di uno stato. Per Machiavelli, nel campo della politica, esistevano delle circostanze in cui il politico doveva usare la legalità ed altre circostanze in cui doveva essere in grado di usare la forza. Machiavelli propone quindi una metafora per il vero principe: il centauro (mezzo uomo, cioè capace di usare la legalità, e mezzo bestia, cioè capace di usare la forza e la violenza). La parte animalesca del principe doveva essere metà volpe e metà leone; il buon principe doveva comprendere in quali momenti essere volpe, cioè comprendere quei momenti in cui si sarebbe dovuta usare l’astuzia, ed in quali momenti essere leone, cioè quei momenti in cui si sarebbe dovuta usale la violenza. Per Machiavelli quindi un buon principe doveva saper mutare il proprio comportamento in base alle circostanze che gli si presentavano intorno. Sosteneva infatti che un principe con un comportamento rigido non avrebbe mai avuto successo. Machiavelli sapeva che se tutti gli uomini fossero stati “buoni” non sarebbe stato necessario che il principe si sarebbe dovuto comportare in maniera malvagia; tuttavia, essendo gli uomini “tristi” il principe era obbligato a comportarsi da bestia. Per Machiavelli un buon principe doveva essere capace di, oltre a compiere del male si ciò aveva come fine il bene dello stato, dissimulare la malvagità e di simulare le virtù. Per quanto riguarda le virtù Machiavelli effettua una distinzione in quanto: esistono virtù, come la duttilità, che il principe doveva possedere per natura; ma esistono altre virtù, come la bontà, che il principe non doveva avere in quanto dannose per il suo operato politico. Per Machiavelli era utile simulare alcune virtù come al pietà, la fedeltà e l’umanità piuttosto che possederle in quanto, nel momento in cui si fosse presentata un’occasione, il principe non avrebbe avuto difficoltà a comportarsi in maniera totalmente opposta. • Capitolo XXV: Quanto possa la fortuna nelle cose umane e in che modo occorra resisterle Machiavelli sapeva che al crisi che stava imperversando in Italia era dovuta anche alla fortuna avversa. Sapeva che per uscire da questa crisi occorreva una grande virtù. Tuttavia gli uomini del tempo, oltre a non possedere questa grande virtù, erano passivi rispetto alla fortuna; rifiutavano di affrontarla in quanto la consideravano una forza invincibile, fatta di circostanze e non proveniente da Dio. Questa concezione della fortuna era molto diffusa nel Cinquecento; lo stesso Machiavelli, in questo capitolo, ammette si essersi abbandonato alla fortuna ma non completamente in quanto possedeva una concezione eroica e combattiva della vita; non credeva che l’uomo non potesse modificare il corso delle sue azioni; non credeva che l’uomo fosse in totale balia dei capricci della fortuna. Per Machiavelli, poiché la fortuna poteva sconvolgere tutto in poco tempo, un principe, per prevenire questo sconvolgimento, doveva essere in grado di fornire allo stato delle istituzioni solide. In questo capitolo, Machiavelli non si limita ad affermare il suo pensiero in maniera astratta ma lo accompagna con immagini concrete e molto dirette. Ne è un esempio la similitudine tra la fortuna ed il fiume in piena; il paragone tra la virtù umana e gli argini del fiume. Nella seconda parte del capitolo Machiavelli analizza i motivi che portano al fallimento di un principe. Secondo Machiavelli il principale motivo era l’incapacità del principe di cambiare il proprio comportamento a seconda delle circostanze che la “mutevole fortuna” gli presenta. Per Machiavelli esistevano due comportamenti fondamentali che erano: la prudenza e l’impeto. Un buon principe doveva essere in grado di attuarli entrambi nei momenti giusti. Ciò sta a rimarcare la caratteristica principale che, secondo Machiavelli, un principe doveva avere: la duttilità. Tuttavia, nel caso in cui non fosse possibile trovare un principe duttile, era preferibile trovare un principe dal comportamento impetuoso in quanto i momenti in cui era necessario l’impeto erano sempre maggiori rispetto a quelli in cui era necessaria la prudenza. • Capitolo XXVI: Esortazione a pigliare l’Italia e liberarla dalle mani dei barbari Nell’ultimo capitolo la trattazione di Machiavelli lascia il tono scientifico in favore di un tono più concitato e ricco di pathos. Questo processo è realizzato attraverso l’utilizzo di metafore molto più incisive che vanno a descrivere la difficile situazione italiana del tempo e lo sdegno degli stessi italiani per la presenza degli stranieri. In quest’ultimo capitolo Machiavelli sembrerebbe abbandonare la ricerca della “verità effettuale della cosa” in favore di un’utopia. Infatti comincia ad immaginare Lorenzo de’ Medici come quel principe in grado di liberare l’Italia dagli stranieri. Tuttavia quest’immaginazione non deve essere considerata come un’utopia ma bensì uno slancio volontaristico del poeta stesso. Difatti il vero intento dell’opera di Machiavelli era quello di sbloccare l’inerzia presente in Italia a quel tempo. Lo slancio di Machiavelli è dovuto al fatto che riteneva che la disperata situazione che affliggeva l’Italia era l’occasione più propizia, che un uomo del tempo avesse potuto ricordare, per la creazione di un nuovo stato. L’occasione era dovuta all’umiliazione che stava subendo il popolo italiano a causa degli stranieri. Alla fine del capitolo Machiavelli offre delle strategie di battaglia che il condottiero doveva utilizzare per scontrarsi con i barbati. Afferma inoltre che anche gli stranieri avevano dei difetti nei loro eserciti come: 1) la fanteria spagnola non riusciva a sostenere gli attacchi di una cavalleria ben organizzata ; 2) la fanteria svizzera non riusciva a sostenere il confronto con fanterie aventi lo stesso impeto e lo stesso coraggio
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