Allegato A Relazione al Piano _aprile 2011

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Allegato A Relazione al Piano _aprile 2011
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Allegato A
Relazione al Piano allegata alla delibera
redatta per la riunione
Assembleare del 18 aprile 2011
Servizio Parco Adamello:
Dott. Alessandro Ducoli
Aprile 2011
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
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INQUADRAMENTO TERRITORIALE
piano di indirizzo forestale (PIF) interessa il settore nord del Parco Regionale dell’Adamello, in provincia di
Brescia, nei comuni di Ponte
PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE: AREA DI STUDIO
Il presente piano di settore con valenza di di Legno (il 41% del territorio comunale è compreso nel PIF), Temù (48%),
Vione (26%), Vezza d'Oglio (20%) e Incudine (44%).
La zona interessata dallo studio ha un’estensione di circa 9.000 ha, e i sui limiti corrispondono a nord con il confine
del Parco regionale dell’Adamello (Monte Tonale Occidentale, Cima le Sorti, e il fondovalle sulla sinistra idrografica
del fiume Oglio), a est con il confine regionale con il Trentino Alto Adige (fino alla cima del Monte Mandrone, 3282
m s.l.m.), a sud e ovest con i confini comunali di Edolo e Saviore dell’Adamello.
Il territorio è compresa fra una quota minima di 890 m s.l.m. (confine tra i Comuni di Edolo ed Incudine) a quella
massima di 3.323 m s.l.m. della Punta del Venerocolo. L’esposizione prevalente è settentrionale ad esclusione delle
pendici poste a nord del tratto della SS 42 (Strada Statale del Tonale e della Mendola) che collega Ponte di Legno al
Passo del Tonale in esposizione sud.
L’orografia dell’area è fortemente caratterizzata dalla presenza del crinale al confine ovest e sud che, sviluppandosi
con andamento NE/SW, è marcato dalle cime del Monticello Superiore (2.608 m s.l.m., presso il Passo Paradiso),
della Punta di Castellaccio e dal Monte Mandrone (3.282 m s.l.m.); da qui, proseguendo in direzione E/W, giunge
fino alla Bocchetta Del Foppone in Comune di Incudine (sotto il Monte Aviolo, 2.881 m s.l.m.), passando per Monte
Venezia (3.289 m s.l.m.), Monte Narcanello (3.250 m s.l.m.), la già citata Punta del Venerocolo e le Cime di Vallaro
(2.900 m s.l.m.).
Il limite nord dell’area studiata è invece sostanzialmente definito dal fondovalle del Fiume Oglio, con esclusione del
tratto a nord della valle del Torrente Oglio Narcanello, dove risale in vario modo il versante NW del Monte Tonale
Occidentale.
Numerosi crinali secondari circondano le incisioni vallive dei tributari dell’Oglio in gran parte disposti in direzione
Sud-Nord.
L’insieme di queste pendici in sinistra orografica del Fiume Oglio vengono definite al “vago”, cioè in ombra, mentre
sono dette “solive”, cioè soleggiate, le pendici in esposizione meridionale. Queste ultime sono limitate al versante
sottostante il crinale che collega il Monte Tonale Occidentale (2.693 m s.l.m.), Cima Bleis (2627 m s.l.m.) e Cima le
Sorti (2432 m s.l.m.).
Di rilievo la presenza nella zona sud-est del territorio in esame del ghiacciaio del Pisgana da cui si origine il Torrente
Oglio Narcanello, tra i principali tributari originari del Fiume Oglio.
ASPETTI CLIMATOLOGICI
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L’ambito territoriale cui si riferisce il presente piano di indirizzo forestale, come già accennato, si estende su due
versanti ad esposizione opposta, notoriamente identificabili come zona del “vago” e del “solivo”, cui afferiscono
condizioni microclimatiche sostanzialmente differenti.
Per lo studio e l’interpretazione dei parametri climatici sono stati utilizzati i dati ricavati dalla quinta revisione del
Piano di Assestamento delle proprietà silvo-pastorali del Comune di Vione redatto dal tecnico assestatore dott. for.le
Riccardo Mariotti, Direttore Tecnico del Consorzio Forestale Due Parchi. I dati in particolare sono stati ricavati dalle:
- serie giornaliere elaborate rilevate dalla stazione meteorologica del lago d’Arno nel trentennio 1950-1980;
- serie giornaliere elaborate rilevate dalla stazione meteorologica del lago d’Arno nel decennio 1990-2000;
- serie giornaliere elaborate rilevate dalla stazione meteorologica di Edolo nel periodo 1992-2003.
Le due stazioni di riferimento sono rappresentative delle condizioni climatiche riscontrabili nell’area oggetto dello
studio di settore; in particolare, quella del Lago d’Arno, fornisce indicazioni valide per i territori posti alle quote
superiori (orizzonte altimontano, subalpino e alpino), quella di Edolo, fornisce dati attendibili per le aree poste alle
quote inferiori (orizzonte montano).
Di seguito si espongono le elaborazioni mensili ottenute dai dati relativi alle precipitazioni medie, ai giorni di pioggia
e alle temperature medie.
Stazione
Gen.
(mm)
Feb.
(mm)
Mar.
(mm)
Apr.
(mm)
Mag.
(mm)
Giu.
(mm)
Lugl.
(mm)
Ago.
(mm)
Sett.
(mm)
Ott.
(mm)
Nov.
(mm)
Dic.
(mm)
TOTALE
(mm)
55
50
94
105
151
149
138
134
133
145
123
71
1.348
67
55
95
87
160
196
155
144
202
263
186
101
1.711
39,9
19
48,2
72,7
77,4
101,8
93,7
124,8
89,6
124,7
136,3
46,8
975
L. Arno
(19501980)
L. Arno
(19902000)
Edolo
(19922003)
Tabella 1 Precipitazioni medie mensili in mm (elaborazione dott. for.le Riccardo Mariotti)
La rappresentazione grafica evidenzia i periodi in cui sono concentrate le precipitazioni, siano esse di carattere
nevoso o piovoso, ed i relativi picchi: si notano le differenze fra la stazione sita a quote elevate (circa 2.000 metri
s.l.m.) e quella inferiore (circa 700 metri s.l.m.), sia in termini di quantità che di distribuzione, oltre che le differenze
tra il periodo più remoto e quello più recente a livello della stazione del Lago d’Arno (aumento delle precipitazioni in
generale, con presenza di picchi più accentuati a giugno e ottobre: uno nella stagione primaverile ed il secondo in
quella autunnale, dovuti probabilmente alla presenza di correnti caldo – umide).
PRECIPITAZIONI MEDIE MENSILI in mm PER STAZIONE METEOROLOGICA
L. d'Arno(1950-1980)
Edolo (1992-2003)
L. d'Arno(1990-2000)
300
250
mm
200
150
100
50
0
GEN
FEB
MAR
APR
MAG
GIU
mesi
LUG
AGO
SET
4
OTT
NOV
DIC
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Per quanto riguarda i giorni caratterizzati da precipitazioni piovose o nevose si osserva che, alle quote inferiori, è
minore oltre che la precipitazione caduta, anche il totale dei giorni di pioggia conteggiati mensilmente, come
evidenziato in tabella n. 2.
Stazione
L. Arno
(19501980)
L. Arno
(19902000)
Edolo
(19922003)
Gen.
N
Feb.
N
Mar.
N
Apr.
N
Mag.
N
Giu.
N
Lugl.
N
Ago.
N
Sett.
N
Ott.
N
Nov.
N
Dic.
N
TOTALE
N
7
6
8
11
15
13
12
10
10
9
9
7
117
6
4
3
10
15
15
12
10
9
12
9
7
112
4
3
5
9
10
12
10
11
9
8
9
6
96
Tabella 2 Giorni di pioggia mensili: la soglia minima per il giorno piovoso è pari a 0,4 mm (elaborazione dott. for.le Riccardo Mariotti)
La temperatura media mensile (media aritmetica della temperatura massima e minima riscontrate mensilmente)
rimane sempre positiva nella stazione di Edolo, mentre scende sotto lo zero nella stazione del lago d’Arno. In
quest’ultima stazione si registra un aumento dei valori nel più recente periodo di calcolo a seguito del generalizzato
innalzamento delle temperature medie dovuto al progressivo riscaldamento dell’atmosfera.
Confrontando infatti i dati rilevati al lago d’Arno nell’ultimo decennio con quelli del trentennio precedente, si
osserva un generale aumento della temperatura media mensile (tranne che per il mese di febbraio che ha segnato
una lieve diminuzione), aumento che raggiunge i 3 gradi centigradi nei mesi di gennaio e agosto.
Stazione
Gen.
Feb.
Mar.
Apr.
Mag.
Giu.
Lugl.
Ago.
Sett.
Ott.
Nov.
Dic.
Lago D’Arno
(1950-1980)
-4,7
-0,7
-0,7
2,6
6,2
9,6
11,7
11,1
8,5
4,2
-0,2
-3
Lago D’Arno
(1990-2000)
-1,67
-0,77
1,29
3,29
8,42
10,58
13,8
14,17
9,67
5,94
1,14
-1,64
Edolo (19922003)
0,8
2,5
6,7
9,4
14,4
17,7
19,3
19,4
14,5
10,3
4,3
1,7
media
-1,9
0,3
2,4
5,1
9,7
12,6
14,9
14,9
10,9
6,8
1,7
-1,0
Tabella 3 Temperatura media mensile (elaborazione dott. for.le Riccardo Mariotti)
La tabella n.3 è riportata graficamente nel grafico seguente.
TEMPERATURA MEDIA MENSILE in gradi C PER STAZIONE METEOROLOGICA
L. d'Arno(1950-1980)
Edolo (1992-2003)
L. d'Arno(1990-2000)
30
25
20
15
°C
10
5
0
-5
-10
GEN
FEB
MAR
APR
MAG
GIU
LUG
mesi
5
AGO
SET
OTT
NOV
DIC
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L’elaborazione stagionale dei dati di piovosità, temperatura e umidità relativa, è stata effettuata assegnando ad ogni
singola stagione i seguenti intervalli mensili:
- primavera: mesi di aprile, maggio e giugno;
- estate: mesi di luglio, agosto, settembre;
- autunno: mesi di ottobre, novembre, dicembre;
- inverno: gennaio, febbraio, marzo.
Le tabelle n. 4 e 5 riassumono, per ogni stagione, le precipitazioni medie ed i giorni di pioggia.
STAZIONE
L. Arno
(1950-1980)
L. Arno
(1990-2000)
Edolo (19922003)
PRIMAVERA
(apr/mag/giu)
mm
ESTATE
(lug/ago/set)
mm
AUTUNNO
(ott/nov/dic)
mm
INVERNO
(gen/feb/mar)
mm
TOTALE
ANNUO
mm
405
405
339
199
1.348
443
501
550
217
1.711
251,9
308,1
307,8
107,1
975
Tabella 4 Precipitazioni medie stagionali in mm (elaborazione dott. for.le Riccardo Mariotti).
STAZIONE
L. Arno
(1950-1980)
L. Arno
(1990-2000)
Edolo (19922003)
PRIMAVERA
(apr/mag/giu)
gg
ESTATE
(lug/ago/set)
gg
AUTUNNO
(ott/nov/dic)
gg
INVERNO
(gen/feb/mar)
gg
TOTALE
ANNUO
gg
21
39
32
25
117
13
40
31
28
112
31
30
23
12
96
Tabella 5 Giorni di pioggia stagionali (elaborazione dott. for.le Riccardo Mariotti).
L’analisi dei dati esposti permette di inquadrare il regime climatico nel tipo sublitoraneo alpino, con discreto grado di
continentalità, proprio delle vallate più interne e più alte in quota, dove l’influsso delle correnti caldo-umide
provenienti dal lago d’Iseo stenta a percepirsi, per progressivo raffreddamento e perdita di umidità delle masse
d’aria. Il flusso di aria calda è ostacolato nella risalita anche dall’orientamento delle vallate, perpendicolare a quello
principale della Valle Camonica (direttrice principale delle correnti ascensionali calde provenienti dalla pianura). Il
clima dell’area inoltre è influenzato anche dalle correnti fredde provenienti da NE dal Passo del Tonale. Le minime
sono molto basse d'inverno e il sole riesce a scaldare poco anche di giorno. D'estate le nuvole di carattere locale
sono spesso presenti, e i temporali sono violenti. Le vallate laterali, Val Paghera di Vezza, Val d'Avio e la valle
Narcanello, presentano una morfologia articolata e stretta; qui il clima risente dell’esposizione Nord ma anche della
presenza dei ghiacciai alle quote maggiori: ghiacciai del Pisgana est e ovest, ghiacciaio del Baitone, il ghiacciaio della
Calotta e della vedretta d'Avio.
Trasferendo al territorio in esame i risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati ambientali forniti dalle stazioni di
Edolo e del lago d’Arno, va sottolineato che si registrano delle variazioni anche considerevoli dei dati di temperatura
e precipitazione.
Ciò è dovuto in particolare alla morfologia piuttosto variabile del territorio, oltre che alla notevole escursione
altimetrica.
In ogni caso, restano valide le seguenti considerazioni generali:
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-
l’andamento delle temperature varia notevolmente a seconda dell’esposizione dei versanti (versante solivo:
temperature invernali più miti e caldo estivo accentuato; versante vago: minimi termici accentuati e
temperature estive più fresche), con conseguenti influssi sulla vegetazione forestale (varianti xerofile o
mesofile);
-
l’estensione del territorio in senso altimetrico induce una forte diversità per quanto riguarda le
precipitazioni a carattere nevoso e la loro permanenza al suolo, con conseguente abbreviazione del periodo
vegetativo alle altitudini più elevate (sopra i 1500 – 1600 m) e ridotte possibilità di sviluppo della
vegetazione arborea (sopra i 1900 – 2000 m);
-
negli ultimi anni si è assistito ad una diminuzione sensibile degli eventi nevosi soprattutto alle quote medio–
basse.
INQUADRAMENTO GEO-PEDOLOGICO
1
Dal punto di vista geologico il territorio in questione è caratterizzato da una spiccata variabilità dovuta alla presenza
del gruppo Adamello-Presanella. Circa 40 - 20 milioni di anni fa (età terziaria eocenico-oligocenica), periodo
corrispondente alla fase finale di formazione rocciosa delle Alpi (costituite prevalentemente da rocce metamorfiche
e sedimentarie), si introdusse, tra la linea delle Giudicarie e del Tonale, un grande corpo magmatico, cristallizzatosi in
profondità (rocce ignee intrusive), denominato “Batolite dell’Adamello”. Il batolite è intruso entro le rocce
metamorfiche, indicate come “basamento cristallino sud-alpino” (appartenenti al “dominio delle Alpi Meridionali”)
che, in origine, costituivano una continua copertura del batolite.
In seguito all'emersione delle Alpi, durante e dopo l'orogenesi, le forze erosive (acqua, vento e ghiaccio) agirono sulla
superficie della terra, esponendo le formazioni rocciose del corpo magmatico al contatto con l’atmosfera.
I corpi intrusivi, con volume relativamente piccolo, prendono il nome di “plutoni”. Dalle datazioni effettuate sulle
rocce intrusive affioranti, si ritiene che la risalita del magma sia avvenuta in almeno cinque fasi e abbia formato i vari
blocchi di roccia che costituiscono l'attuale Massiccio dell'Adamello chiamati, dal più antico al più recente, Plutone
Re di Castello (42-40 Ma), Plutone Adamello (36-34 Ma), Plutone Avio (34-32 Ma), Plutone Corno Alto e Plutone
Presanella(33-29 Ma). Inoltre sono presenti masse eruttive femiche di diversa età e limitata estensione, sparse nel
gruppo montuoso.
Dal punto di vista geomorfologico risulta ben visibile l'azione di modellamento riconducibile all’azione fluvio-glaciale,
con evidenti profili a U delle vallate principali, solo localmente incise con profilo a V dall’azione erosiva dei corsi
d’acqua.
Le complesse vicende geologiche descritte, che interessano anche l’area in esame, fanno si che nell’area stessa si
riscontrino diversi litotipi, o gruppi omogenei di rocce, i quali condizionano in maniera significativa la formazione dei
suoli.
1 La principale fonte documentaria per i contenuti del paragrafo è rappresentata dal Piano di Assestamento delle proprietà silvo-pastorali del
Comune di Vione redatto dal tecnico assestatore dott. for.le Riccardo Mariotti, Direttore Tecnico del Consorzio Forestale Due Parchi.
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I suoli che si differenziano in corrispondenza delle diverse matrici geolitologiche presentano caratteri pedogenetici
quanto mai variabili, nonché differenti attitudini a sopportare le cenosi forestali, mostrando condizioni evolutive
sensibilmente diverse in ragione della più o meno pesante interferenza dovuta alle attività esercitate in passato
dall'uomo (pascolo, disboscamenti del periodo bellico), comunque sempre riconducibili ai caratteri mineralogici
propri della roccia madre da cui derivano.
In corrispondenza delle stazioni di basso e medio versante, laddove allignano i soprassuoli afferenti alle classi
ecologico-attitudinali a più spiccata vocazione produttiva, i profili pedogenetici presentano caratteristiche fisicochimiche abbastanza comuni, con buona ripartizione delle componenti granulometriche, presenza di abbondante
scheletro, tessitura di medio impasto e contenuto in frazione argillosa localmente ottimale, fatto che agevola il
mantenimento di un grado di freschezza sempre abbastanza elevato, soprattutto nelle esposizioni settentrionali,
reazione da neutra a subacida.
Nelle postazioni della fascia boscata più alte in quota, dove ai rigori termici si associano spesso anche condizioni di
acclività e di rocciosità superficiale più accentuate, più evidenti risultano anche i danni riconducibili al pascolamento
pregresso; i suoli si mostrano spesso superficiali, con bassi tenori di umidità e con locali fenomeni di erosione
superficiale piuttosto accentuata.
Nel complesso il livello di fertilità dei suoli della fascia boscata é da ritenersi abbastanza buono, localmente molto
buono in corrispondenza di alcune aree in cui l’evoluzione del profilo non ha subito limitazioni dovute a pressione
antropica. Nei boschi che hanno subito le interferenze più pressanti, legate all'esercizio del pascolamento in bosco la
fertilità risulta ridotta.
L'orizzonte umifero presenta caratteristiche molto variabili, in ragione dello spessore del terreno, della pendenza,
dell'esposizione, della più o meno accentuata pressione antropica, e risulta molto condizionato dal carattere
selvicolturale proprio del bosco che su di esso si evolve, in funzione delle variabilità strutturali, di densità e di
composizione specifica.
In linea di massima si riscontrano più frequentemente terre brune forestali piuttosto lisciviate, con profilo A, B, C,
ovunque privo di carbonati, con B difficilmente distinguibile da A ad occhio nudo.
Nelle condizioni migliori, in stazioni di basso versante ed esposizione settentrionale, possono essere presenti zone
con humus dell’ordine moder (gruppo mormoder), in corrispondenza di soprassuoli a composizione mista di conifere
e latifoglie mesofile tra cui acero di monte, frassino e betulla. L'orizzonte A è solitamente costituito da un sottile
strato di lettiera (A0) in fase di veloce decomposizione, strati zoogenici (A1), di colore bruno, con reazione
tendenzialmente sub-acida (pH 5,5-6,5). In A1 le sostanze umiche sono intimamente legate alla porzione minerale,
attraverso complessi aggregati di argilla, humus, ossidi di ferro.
Si tratta di terreni di fertilità media, tendenzialmente più elevata su substrati terrigeni-scistosi, almeno nelle
condizioni migliori di freschezza.
Nella maggior parte dei casi le terre brune forestali presenti entro il territorio d'indagine presentano però forme
anche evidenti di lisciviazione, e questo comporta alcune alterazioni rispetto alla successione ed alla tipologia degli
orizzonti sopra descritti.
Le terre brune lisciviate sono proprie del bosco misto di latifoglie e conifere (specialmente ove prevalgono
quest’ultime), presentano profilo A1, A2, B, C, con A2 poco differenziato e più ampio rispetto ad A1 ed a B, di
profondità anche notevole, con indice di trasporto di ferro piuttosto ridotto.
La lisciviazione risulta ancor più evidente dove la componente a foglia larga tende a scomparire del tutto,
soprattutto in corrispondenza di soprassuoli monospecifici di conifere (sia nelle peccete sia nei lariceti), per lo più
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giovani e chiusi, entro i quali gli orizzonti perdono il loro carattere di stabilità, mantengono frequentemente uno
spesso orizzonte A0 costituito dalla lettiera indecomposta di aghi, con tendenza all'abbassamento del valore di pH
(suoli acidi), evidenziano una netta differenziazione fra A2 (chiaro, limoso) e B (di colore rossastro), e comportano un
maggiore trasporto degli ossidi di ferro verso gli strati più profondi del suolo. L’orizzonte umifero, è presente in
maniera variabile; l’humus riscontrato appartiene all’ordine mor, dove domina l’attività fungina mentre l’attività
della pedofauna resta limitata, il pH è basso ed il rapporto C/N elevato.
Sono presenti i gruppi Hemimor e Humimor; il primo rappresenta la quota preponderante, tipico in boschi di
conifere e climi freddi; il secondo, tipico in foreste di conifere a clima umido da temperato a subalpino, si riscontra
nelle peccete montane dei suoli mesici.
Questa situazione, particolarmente diffusa ed accentuantesi man a mano che il soprassuolo coetaneiforme e
tendenzialmente puro procede nella fase dell'accrescimento, può comportare nel tempo anche sensibili variazioni
nella qualità dei terreni, creando un ostacolo non indifferente per l'affermarsi della rinnovazione, principalmente
dovuto alla formazione di un consistente strato di lettiera costituita di aghi, difficilmente degradabili dalla pedofauna
presente, con evidenziazione di un orizzonte organico a moder micogenico o a mor. Di qui la necessità di favorire la
polispecificità e la disetaneità strutturale dei soprassuoli.
Dentro le formazioni chiuse e monostratificate, infatti, la formazione di humus patogenico si evidenzia con la
formazione di miceli ben visibili anche a occhio nudo, posti al di sotto della lettiera, che tendono oltretutto ad
impermeabilizzare il suolo ed a limitarne lo scambio gassoso con l'esterno, riducendo gravemente la possibilità di
mantenere un’adeguata popolazione batterica, di micro e mesofauna terricola in grado di accelerarne i processi di
mineralizzazione ed umificazione, con conseguente innalzamento del rapporto C/N.
Pur essendo il processo di podsolizzazione da considerarsi generalmente incompiuto e transitorio, prova ne é la
mancata differenziazione di un vero e proprio orizzonte A2 di color grigio-chiaro, le linee di tendenza evolutiva di
questi suoli procede spesso in questa direzione, provocando un rallentamento nei ritmi di accrescimento e un
abbassamento del livello di fertilità del bosco in senso generale. Tale processo può essere bloccato o invertito con
interventi selvicolturali di riordino che prevedano riduzione della densità (diradamenti) e diversificazione strutturale
che favoriscono i processi trasformativi di degradazione della sostanza organica in eccesso.
Quale sintesi dell’inquadramento podologico si elencano di seguito i raggruppamenti di suolo (secondo il sistema
tassonomico WRB) presenti sul territorio:
RAGGRUPPAMENTO
Cambisol
Podzol
Leptosol
Regosol
Umbrisol
FORMAZIONI FORESTALI DI RIFERIMENTO
peccete montane
peccete altimontane e subalpine
lariceti primitivi
lariceti tipici
lariceti in successione con pecceta
ZONE FITOCLIMATICHE E INQUADRAMENTO VEGETAZIONALE
La zona dell’Alta Valle Camonica è caratterizzata dalla presenza di una vegetazione tipica delle aree alpine più
2
continentali; viene inquadrata infatti, nella regione forestale endalpica, caratterizzata principalmente da un clima
2
Con il termine regione forestale si intende la suddivisione del territorio con riferimento alle formazioni forestali; si sostituisce il termine di
distretto fitogeografico che riguarda invece la distribuzione di tutta la flora.
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continentale. Il distretto geobotanico è definito Alto-Camuno le cui discriminanti sono indicate nella presenza di
substrati geolitologici di natura prevalentemente acida e clima di tipo sublitoraneo alpino. Dal punto di vista
vegetazionale, si riscontra una sostanziale omogeneità nei caratteri associazionali espressi dalla vegetazione
forestale, con presenza di tipologie piuttosto monotone su vaste superfici. Sicuramente anche l’azione antropica del
passato (in particolare durante gli eventi bellici) ha contribuito a questa riduzione di biodiversità, attraverso il taglio
di specie di latifoglie, in particolare acero di monte e frassino.
Secondo le classificazioni associazionali di Schmid, basate sulle condizioni ecologiche descritte dalla presenza di un
determinato corredo floristico nello strato erbaceo, oggi confermate dalle più recenti classificazioni fitosociologiche,
la zona in esame può essere inquadrata entro i cingoli di vegetazione di seguito descritti.
- QTA (Quercus-Tilia-Acer) per le zone più calde, non necessariamente fresche, afferenti ai settori più bassi in quota
e più soleggiate, in Orizzonte Montano Inferiore;
- FA (Fagus-Abies) in tutto l’Orizzonte Montano Inferiore in corrispondenza delle stazioni più fresche, pur se ridotto
in consistenza per le ripetute azioni antropiche dirette e indirette tendenti a un suo drastico ridimensionamento
spaziale;
- P (Picea), grosso modo corrispondente alla fascia altitudinale del Picetum, Orizzonte Montano e Altimontano,
ovunque caratterizzato dalla dominanza dell’abete rosso nelle associazioni;
- LxC (Larix-Cembra) corrispondente alle formazioni arboree delle quote più elevate dominate dai radi lariceti, ove il
pino cembro sta mostrando una chiara ed inequivocabile tendenza a colonizzare le stazioni più microterme;
- a quote superiori l'assetto vegetazionale tende a sfumare nelle serie Vaccinium Loiseleuria (VC) e Carex-Elyna (CE).
Secondo l'inquadramento vegetazionale proposto da Sandro Pignatti nel 1978 la vegetazione del territorio in esame
interessa le 5 fasce considerate dall'autore per la zona alpina, escludendo quella nivale.
La fascia medioeuropea, estendentesi fin verso gli 800-1000 m, in origine principalmente rappresentata da querceti
misti di rovere e roverella, oggi caratterizzata in via primaria da cedui misti con frassino maggiore, acero di monte,
maggiociondolo, betulla, pioppo tremolo, e nei versanti soleggiati orniello, roverella e carpino nero.
La fascia subatlantica, fino a 1400-1500 m, decisamente dominata dal peccio (Picea abies) sia per la continentalità
del clima che per le azioni selvicolturali passate che ne hanno favorito la diffusione.
La fascia boreale, in grado di estendersi fino a circa 2000-2200 m., tipica dei boschi di conifere con peccio, e
subordinatamente larice e anche pino cembro. Appartengono a questa fascia formazioni arbustive, anche
progressivamente insediatesi in aree in passato disboscate per l'allargamento degli alpeggi, con i due rododendri
(Rhododendron ferrugineum e R. hirsutum), il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), il mirtillo rosso (Vaccinium vitisidaea), il brugo (Calluna vulgaris), e il ginepro nano (Juniperus nana) variamente associati in base alle esigenze
edafiche.
La fascia alpica, dai 2000-2200 fino ai 2700-2800 m, è caratterizzata su substrato siliceo da consorzi erbacei a Festuca
scabriculmis e/o a Carex curvula; ove le praterie sono utilizzate a fini zootecnici sono diffusi Nardus stricta e
Deschampsia caespitosa.
3
Andreis C., in “I tipi forestali della Lombardia” a cura di R. Del Favero, CIERRE EDIZIONI, 2002.
10
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
La fascia nivale, al di sopra di 2700-2800 m, è caratterizzata da vegetazione pioniera costituita da muschi e licheni ma
anche da varie piante superiori capaci di particolari adattamenti per le estreme condizioni ambientali.
Un inquadramento maggiormente specifico per i territori in esame, fondato su principi ecologico-forestali, è stato
studiato e definito nella “Carta dei boschi comunali” della Comunità Montana di Valle Camonica (Poda A., Hoffmann
A, 1978). Di seguito si riportano i raggruppamenti descrittivi delle diverse formazioni forestali presenti.
ACERI-FRASSINETO e CORILO-FRASSINETO
Formazioni diffuse in alta Valle Camonica, derivanti da processi di ricolonizzazione di coltivi o prati abbandonati
gradualmente negli ultimi 40 anni. La colonizzazione dei versanti terrazzati avviene generalmente ad opera di
frassino (Fraxinus excelsior) e nocciolo (Corylus avellana). Quest’ultimo è sempre stato favorito dall’uomo per i suoi
molteplici usi. Inoltre, si diffonde facilmente grazie alla disseminazione zoocora ed alla elevata capacità pollonifera,
dando vita a formazioni pure (es. nei Comuni di Temù e Incudine) o miste a orniello (Fraxinus ornus), frassino e ad
altri arbusti quali ligustro e sanguinella (Cornus sanguinea).
Il frassino invece prende il sopravvento sulle altre specie forestali grazie alla buona germinabilità del seme ed alla
rapida crescita iniziale, laddove i suoli sono dotati di buona disponibilità idrica.
Si formano quindi cenosi a dominanza di frassino, con nocciolo ben presto relegato nel piano dominato.
Solo in alcuni casi la ricolonizzazione avviene anche ad opera dell’acero di monte (esempi a Ponte di Legno e Temù);
più frequentemente l’acero di monte entra in un secondo tempo nel popolamento, grazie ad una maggiore plasticità
rispetto al frassino ed alla capacità di sopportare la copertura anche per lungo tempo.
Alla colonizzazione partecipano, come specie secondarie, tiglio, pioppo tremolo, ciliegi e betulla; in alcuni casi si
riscontra rinnovazione di abete rosso.
In prossimità degli impluvi o in aree ripariali lungo il corso del fiume Oglio si trovano soprassuoli più evoluti con
frassino associato all’ontano bianco (Alnus incana) e ontano nero (Alnus glutinosa), oltre a salicone, pioppi e robinia.
Salendo di quota si trovano formazioni miste che presentano oltre alle specie tipiche dell’acero-frassineto e corilofrassineto anche abete rosso in misura significativa soprattutto lungo impluvi o esposizioni meno favorevoli, e larice,
su versanti assolati. Lungo versanti pendenti ed a matrice prevalentemente calcarea gli aceri-frassineti si mescolano
con l’orno-ostrieto.
BETULETO
Formazione ecologica poco diffusa e transitoria a dominanza di betulla colonizzatrice dei versanti a substrato acido,
generalmente esposti a settentrione, destinati un tempo al pascolo o allo sfalcio. Si presenta pura, nel comune di
Vezza d’Oglio, o mista ad altre specie colonizzatrici come nocciolo, ontano bianco, pioppo tremolo, frassino,
maggiociondolo e tiglio.
BOSCO IGROFILO
Tale formazione è caratterizzata dalla dominanza di specie igrofile in prevalenza di pioppo e salice. E’ caratteristica
delle aree golenali e delle sponde del fiume Oglio, caratterizzate da terreno di buono sviluppo, falda superficiale e
spesso soggette ad un forte disturbo antropico.
11
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
In tali situazioni si insediano formazioni miste di pioppo, salice (Salix spp.) e robinia, a cui si possono aggiungere
ontano nero, ontano bianco e frassino. Sono pure compresi in questa categoria gli impianti di pioppo.
PECCETA MONTANA
La pecceta montana si colloca lungo tutta la Valle Camonica nel piano montano, pur trovandosi anche negli orizzonti
contigui, soprattutto come rimboschimenti a basse quote. L’abete rosso si trova spesso associato con latifoglie. In
tali situazioni la presenza di abete rosso è destinata ad incrementarsi rispetto alle latifoglie perché al momento del
taglio del ceduo è scelta come matricina.
PECCETA SUBALPINA
Formazione a stretto contatto con le peccete montane od i lariceti, nei quali sfuma salendo di quota. La formazione
in oggetto si differenzia dalla pecceta montana per il minor dinamismo, dovuto alle difficili condizioni stazionali, e
per densità dei soggetti arborei che riuniti in piccoli gruppi o in formazioni rade lasciano spazio a larice o a fasce
arbustive, prevalentemente costituite da ericacee, ed erbacee.
LARICETO MONTANO
Formazione diffusa negli orizzonti montano ed altimontano della Valle Camonica, risultato della ricolonizzazione
naturale o artificiale su versanti a pascolo.
Si possono trovare anche a basse quote formazioni pure di origine artificiale e altre naturali in cui il larice si associa a
latifoglie pioniere quali betulla, pioppo tremolo, salicone o all’abete rosso in condizioni edafiche migliori.
LARICETO SUBALPINO
La formazione è diffusa lungo l’orizzonte subalpino della Valle Camonica su qualunque tipo di substrato e spesso
costituisce il limite della vegetazione arborea.
Essa rappresenta generalmente il primo stadio nei processi di ricolonizzazione dei pascoli alpini abbandonati,
insediandosi dove fenomeni di erosione o franamento interrompono la continuità del cotico erboso o su ceppaie e
massi affioranti. Si tratta di un bosco a densità rada, il cui sottobosco è ricco di ontaneti, ericacee, graminacee e
juncacee a seconda della notevole variabilità microstazionale.
Proprio per le sue caratteristiche di specie colonizzatrice il larice può dare vita a formazioni rade miste ad altre
latifoglie anche in orizzonte montano, la cui evoluzione verso altre associazioni vegetali è fortemente limitata dalle
difficili condizioni stazionali.
CONSORZI RUPICOLI
Per consorzi rupicoli si intendono cenosi forestali di varia natura accomunate da una orografia aspra ed accidentata
tale da limitare fortemente le possibilità evolutive del soprassuolo.
Si incontrano perciò formazioni differenti per composizione specifica, a seconda del substrato geologico,
dell’esposizione del versante e delle cenosi forestali limitrofe.
12
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
FAUNA
La fauna del Parco Adamello è quella tipica alpina ad eccezione dell'orso bruno (Ursus arctos), di cui oggi esistono
segnalazioni per divagazione delle popolazioni del versante trentino del massiccio dell’Adamello. Tra i mammiferi di
piccole dimensioni diversi sono quelli appartenenti alla famiglia dei Mustelidi: il tasso (Meles meles), carnivoro dalle
abitudini notturne che predilige ambienti boscosi, e ai margini dei coltivi, la faina (Martes foina), la martora (Martes
martes), specie arboricola legata alla foresta matura, la donnola (Mustela nivalis) e negli orizzonti superiori
l’ermellino (Mustela erminea).
Fra i Roditori arboricoli è facile avvistare lo scoiattolo (Sciurus vulgaris), che predilige i boschi di latifoglie e conifere
dai 500 ai 2000 metri di quota, mentre il ghiro (Glis glis), è legato alle foreste mature di caducifoglie.
La volpe (Vulpes vulpes), specie ubiquitaria, predilige ambienti selvaggi ricchi di copertura vegetale, anfratti
cespugliati e rocce in cui stabilisce le tane, dai 500 fino ai 2000 metri di quota.
In ampie radure al margine delle foreste miste di latifoglie e conifere e nelle peccete non troppo dense e chiuse si
trova il cervo (Cervus elaphus), appartenente alla famiglia dei Cervidi. Lo stesso habitat è frequentato dal capriolo
(Capreolus capreolus), altro ungulato appartenente alla stessa famiglia. Dello stesso ordine degli ungulati, ma con
abitudini diverse, sono lo stambecco (Capra ibex) e il camoscio (Rupicapra rupicapra); questi ultimi prediligono
vivere negli ambienti oltre il limite della vegetazione arborea, su rocce impervie e pendii scoscesi.
Alle stesse quote, nelle praterie alpine e nelle pietraie, si possono osservare altri mammiferi come la lepre variabile
(Lepus timidus), la marmotta (Marmota marmota) e l'arvicola delle nevi (Microtus nivalis).
Numerosissime sono le specie di avifauna. Caratteristici dei boschi dell'orizzonte submontano sono i Picidi quali il
picchio verde (Picus viridis), il picchio rosso maggiore (Picoides major) ed il raro picchio nero (Dryocopus martius), la
cui presenza è strettamente legata alla disponibilità di vecchi alberi marcescenti. Durante la primavera e l'estate esso
si nutre soprattutto di larve di insetti parassiti degli alberi, che ricerca scavando buchi nel tronco; in autunno ed in
inverno si nutre degli insetti svernanti sotto le cortecce e dei semi degli strobili.
Tra i rapaci notturni la civetta nana (Glaucidium passerinum), l'allocco (Strix aluco), il gufo comune (Asio otus), e la
civetta capogrosso (Aegolius funereus). Fra i rapaci diurni si ricordano il falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), lo
sparviere (Accipiter nisus), la poiana (Buteo buteo), il gheppio (Falco tinnunculus), l'astore (Accipiter gentilis).
Di particolare interesse a causa della loro rarità e delle notevoli esigenze ecologiche sono i Tetraonidi. Nei boschi
misti con ricco sottobosco è possibile avvistare il francolino di monte (Bonasia bonasia), mentre il fagiano di monte o
gallo forcello (Tetrao tetrix) predilige i lariceti e gli arbusteti alpini tra i 1600 ed i 2200 m di quota. Rarissimo è il gallo
cedrone (Tetrao urogallus), specie particolarmente sensibile al disturbo antropico, che vive solo in ambienti naturali
integri e che è presente, con consistenze assai limitate, in pochi ambiti boscati della Val Paghera di Vezza d'Oglio.
La prateria alpina è abitata dal culbianco (Oenanthe oenanthe), dal sordone (Prunella collaris) e dal fringuello alpino
(Montifringilla nivalis).
Sui dirupi rocciosi alle alte quote nidifica l'aquila reale (Aquila chrysaëtos): specie territoriale e monogama, durante
l'estate si nutre soprattutto di marmotte, giovani ungulati, ricci, volpi, corvidi e passeriformi, mentre in inverno e
primavera consuma le carcasse degli erbivori selvatici e anche del bestiame domestico.
Nelle acque correnti la specie ittica più frequente è la trota fario (Salmo trutta fario), diffusa anche per le periodiche
immissioni di ripopolamento: originariamente autoctona è ampiamente diffusa nell’alta Val Camonica, fino ad oltre
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
2000 m di quota. Altri Salmonidi presenti, seppure non autoctoni, sono la trota marmorata (Salmo trutta
marmoratus) e la trota iridea (Salmo gairdneri).
Legati all'acqua e più in generale agli ambienti umidi almeno nelle prime fasi del ciclo vitale, sono gli Anfibi. Per gli
Anfibi Urodeli, la salamandra pezzata (Salamandra salamandra) abita le vallecole umide del bosco misto (nel
territorio del Parco è indicata per la Valle dei Re a Niardo, la Val Paghera di Ceto, la Val Saviore, la Val Malga e la Val
d'Avio). Il tritone alpino (Triturus alpestris) frequenta laghi e laghetti dei siti alto-montani, e le anse dei torrenti ove
la corrente è meno forte; nel territorio del Parco è segnalato esclusivamente in alta Val d'Avio. La rarità dei tritoni in
Valle Camonica è ritenuta anche imputabile alle indiscriminate immissioni di trote, vere e proprie predatrici di
Urodeli.
Per quanto riguarda gli Anfibi Anuri, nel Parco sono presenti rane verdi, rane rosse e rospi propriamente detti. La
presenza della rana verde per eccellenza (Rana esculenta) è possibile anche lungo il fondovalle di tutto il medio
corso dell'Oglio. Al gruppo delle rane rosse è riferibile la rana temporaria (Rana temporaria), specie montana e
subalpina, solo temporaneamente acquatica; è segnalata in numerosissime località, anche oltre i 2000 metri di
quota.
La natrice dal collare (Natrix natrix) e la natrice tessellata (Natrix tessellata) sono legate alle acque stagnanti tra i 300
e i 1800 metri di quota; sono segnalate nel territorio Vezza d'Oglio e Temù. Gli ambienti secchi con arbusti, ai
margini del bosco, nelle radure e negli incolti, sono frequentati dal biacco (Coluber viridiflavus). Fra gli Ofidi, le
uniche specie velenose sono la vipera comune (Vipera aspis), ampiamente diffusa fra 500 e 1200 m, e il marasso
(Vipera berus) che pare non condivida il territorio con la prima, diffuso fra l'orizzonte montano superiore e quello
altoalpino.
UNIONE DEI COMUNI DELL’ALTA VALLE E IL CONSORZIO FORESTALE DUE PARCHI
I cinque comuni interessati dal PIF fanno parte dell’ Unione Dei Comuni Dell’Alta Valle e del Consorzio Forestale Due
Parchi.
L'Unione Dei Comuni dell’Alta Valle fa parte del sistema delle autonomie locali della Repubblica Italiana, delle
comunità locali della Regione Lombardia e della Provincia di Brescia. Essa è stata costituita, ai sensi dell'art. 26 della
Legge 8 giugno 1990. n. 142, modificato dalla Legge 3 agosto 1999 n. 265, a partire dall’ottobre del 2000, e
comprende l’insieme dei territori dei comuni di Ponte di Legno, Temù, Vione, Vezza d’Oglio, Incudine e Monno. Tale
ente è incaricato della gestione associata di funzioni comunali e di promozione territoriale. Gli obiettivi principali
dell'Unione, come previsto dall’art. 2 dello statuto istitutivo dell’Unione, sono:
- migliorare la qualità di tutti i servizi erogati nei singoli comuni ed ottimizzare le risorse economicofinanziarie, umane e strumentali impiegandole in forme unificate;
- promuovere e concorrere allo sviluppo socio-economico dell’Alta Valle Camonica, favorendo la
partecipazione dell'iniziativa economica dei soggetti pubblici e privati alla realizzazione di strutture di
interesse generale compatibili con le risorse ambientali: a tal fine essa promuove l'equilibrato assetto del
territorio nel rispetto e nella salvaguardia dell'ambiente e della salute dei cittadini, valorizzando inoltre il
patrimonio storico, artistico e le tradizioni culturali;
- favorire il miglioramento della qualità della vita della propria popolazione per meglio rispondere alle
esigenze occorrenti al completo sviluppo della persona;
- armonizzare l'esercizio delle funzioni e dei servizi attribuiti con le esigenze generali dei cittadini, assicurando
un uso equo delle risorse;
14
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
-
esercitare un'efficace influenza sugli organismi sovraccomunali che gestiscono servizi che interessano
direttamente od indirettamente l'Unione o i singoli Comuni;
ampliare il numero delle funzioni e dei servizi rispetto a quelli prima gestiti dai singoli Comuni,
assicurandone l'efficienza e la maggiore economicità a vantaggio della collettività; (art. 2 dello Statuto
dell’Unione Dei Comuni Dell’Alta Valle).
Il Consorzio Forestale Due Parchi, con sede a Incudine, è stato costituito in data 01/10/2002 e riconosciuto dalla
Regione Lombardia con Delibera di Giunta Regionale n° VII/16253 del 6 febbraio 2004; fanno parte del Consorzio i
comuni di Monno, Incudine, Vezza d’Oglio, Vione, Temù, Ponte di Legno e la Comunità Montana di Valle Camonica.
Si tratta di un Ente di diritto privato senza fine di lucro, che si pone come obiettivo “la costituzione di
un’organizzazione comune per la disciplina e lo svolgimento di fasi della produzione agro-silvo-pastorale e per la
gestione delle risorse ambientali rientranti nella competenza delle rispettive proprietà e/o imprese. L’organizzazione
consortile sarà operante sia con attività di supporto alle funzioni esercitate dai singoli consorziati, sia attraverso la
gestione integrata e programmata delle funzioni comuni di tutela, ricerca, sviluppo, valorizzazione e gestione delle
risorse ambientali nell’ambito del territorio affidato alla competenza del Consorzio ...” (art. 3 dello Statuto del
Consorzio Forestale Due Parchi).
La sostanziale differenza tra il neonato organismo ed i Consorzi già presenti in Valle Camonica è rappresentata dalla
concessione in gestione (mediante apposite convenzioni) delle proprietà silvo-pastorali comunali, che i Comuni
hanno sottoscritto in sede di costituzione del Consorzio.
Il Consorzio Forestale Due Parchi è quindi l’Ente che, secondo l’intenzione dei Comuni soci, deve pianificare,
programmare e gestire gli interventi da realizzarsi sul territorio, con particolare attenzione al presidio, salvaguardia e
corretta gestione (anche in termini di sostenibilità e di economia di scala) dei boschi e delle risorse pastorali,
operazioni che difficilmente i singoli Comuni riescono ad effettuare.
Il Consorzio Forestale Due Parchi esercita inoltre una intensa attività propositiva verso gli enti Comunali e
sovraccomunali (Comunità Montana di Valle Camonica, Provincia di Brescia, Regione Lombardia) per l’attuazione di
interventi in ambito territoriale, ambientale, promozionale.
PATRIMONIO FORESTALE: MACRODATI E INQUADRAMENTO GENERALE
Il territorio dei cinque comuni ricadenti nel PIF è stato oggetto di uno studio di settore all’interno del Piano di Azione
Locale PAL – LEADER II – Azione 13, “Studi di mercato dei prodotti silvicoli locali”, realizzato nel 2000 da: dott.ssa
Lucia Mondini (Coordinamento progetto e Studio della risorsa forestale) dott. Mauro Benigni (Sistema informatico
geografico e cartografia numerica), dott. Stefano Enfissi e dott. Marco Sangalli (Studio del mercato del legno), dott.
Aurelio Volpe (Mercato nazionale e internazionale), dott. Davide Pettenella (Direzione scientifica del progetto). Lo
studio ha interessato oltre al territorio del PIF, altri 31 comuni della Valle Canonica ed è stato finanziato allo scopo di
conoscere in modo puntuale le risorse forestali della Valle e del mercato dei prodotti silvicoli, individuando
strumenti e strategie di valorizzazione e sviluppo del settore.
Dai dati riportati nella tabella sottostante si evidenzia come solo il 34,29% del territorio (nei 5 comuni) abbia una
copertura forestale. Per definire la copertura forestale è stata utilizzata la definizione di bosco dell’Inventario
Forestale Nazionale ovvero “si definisce bosco un territorio con copertura arborea maggiore del 20% e una superficie
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minima di 2.000 mq; per le formazioni a prevalente sviluppo unidirezionale, la larghezza minima è di 20 m” (IFNI,
1985).
Superficie Comunale
Superficie forestale
Indice boscosità
Incudine
Ponte di Legno
Temù
Vezza d’Oglio
Vione
(ha)
2023
10075
4304
5405
3563
(ha)
1177,89
2153,42
1847,60
1967,21
1554,02
%
58,22%
21,37%
42,93%
36,40%
43,62%
Totale
25370
8700,14
34,29%
Comune
La superficie forestale si riferisce ai boschi assestati e non assestati delle proprietà comunali, demaniali e private. I
dati di riferimento per i boschi assestati sono stati desunti dal software “Catasto Piani di Assestamento della Regione
Lombardia” che ha permesso di reperire le informazioni dei Piani di Assestamento redatti in Valle Camonica. La
quantificazione della superficie boscata non assestata è stata ottenuta tramite l’individuazione della superficie
forestale, attraverso fotointerpretazione a video delle ortofoto georeferenziate dell’AIMA, distinguendo le aree
forestali dagli altri usi del territorio. La risorsa forestale non assestata è stata quindi ottenuta come differenza tra
l’intera superficie forestale e la superficie forestale della proprietà assestata fornita dal Catasto Piani di
Assestamento.
I dati di superficie sono stati elaborati anche in base a raggruppamenti descritti nella “Carta dei boschi comunali”
4
della Comunità Montana di Valle Camonica (Poda A., Hoffmann A, 1978) e riassunti nella seguente tabella.
Pecceta
montana
(ha)
Pecceta
subalpina
(ha)
Lariceto
montano
(ha)
Lariceto
subalpino
(ha)
Acero e
corilo
frassineto
(ha)
Incudine
753,37
61,48
11,88
280,14
71,02
0
Ponte di Legno
367,34
920,74
56,28
383,69
28,77
Temù
760,88
497,82
36,35
349,73
Vezza d’Oglio
700,46
320,43
144,23
Vione
308,14
382,99
187,04
Comune
Boschi Consorzi
igrofili rupicoli
(ha)
(ha)
Betuleto
(ha)
Superficie
totale
(ha)
0
0
1 177,89
3,6
393
0
2 153,42
102,98
0
99,84
0
1 847,60
675,89
47,87
10,1
50,06
18,17
1 967,21
570,8
105,05
0
0
0
1 554,02
Tabella 6 Superficie forestale riferiti ai vari tipi di formazione (anno 2000).
Peccete e lariceti sono presenti in tutti i comuni con superfici variabili a seconda delle diverse condizioni climatiche e
pedologiche presenti sul territorio mentre il betuleto è presente con una superficie minima (18,17 ha) nel comune di
Vezza d’Oglio. Come i boschi di conifera anche la formazione di acero e corilo frassineto è presente in tutti i comuni,
con le superfici maggiori presenti nei comuni di Temù e Vione.
Dalla seguente tabella si evince come siano le peccete e il lariceto subalpino le formazioni preponderanti di questo
territorio mentre le latifoglie (10,69% della superficie forestale) sono relegate ad un ruolo prettamente secondario.
4 Cfr. par. 1.3 .
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Superficie
ha
%
Pecceta montana
2890,19
33,22%
Pecceta subalpina
2183,46
25,10%
Lariceto montano
435,78
5,01%
Lariceto subalpino
2260,25
25,98%
Acero e corilo frassineto
355,69
4,09%
Boschi idrofili
13,7
0,16%
Consorzi rupicoli
542,9
6,24%
Betuleto
18,17
0,21%
Formazioni forestali
Boschi
Superficie
ha
%
Conifere
7769,68
89,31%
Latifoglie
930,46
10,69%
Tabella 7 Superficie totale delle diverse formazioni forestali (anno 2000).
All’interno dello studio di settore utilizzato per inquadrare la risorsa forestale sono stati elaborati i principali dati
dendrometrici desunti dal Catasto Piani di Assestamento della Valle Camonica in modo da poter determinare la
produzione forestale in Valle. In particolare di seguito si riportano i principali dati dendrometrici riferiti all’intero
territorio della Valle, elaborati ottenendo i dati medi ad ettaro di provvigione, incremento annuo e ripresa riferiti ad
ogni formazione forestale. Mancano dati riferiti ai boschi idrofili e ai betuleti in quanto si riferiscono a superfici
limitate e di scarso interesse dal punto di vista assestamentale.
Tipologia
Pecceta montana
Pecceta subalpina
Lariceto montano
Lariceto subalpino
Acero e corilo-frassineto
Consorzi rupicoli
Provvigione Incremento
media
medio
(mc/ha)
(mc/ha/anno)
167,02
3,4
102,9
1,7
127,16
2,7
44,9
0,5
57,16
1,1
31,14
0,4
Ripresa
prevista media
(mc/ha/anno)
1,19
0,45
0,73
0,1
0,24
0,01
Tabella 8 Tabella riassuntiva dei dati dendrometici riferiti alle formazioni forestali.
ESAME DELL’ASSETTO TERRITORIALE E FORESTALE IN RIFERIMENTO ALL’ANTROPIZZAZIONE
DEI VERSANTI E ALLA PRESENZA DELLE STRUTTURE SCIISTICHE
Il territorio studiato ha un estensione di circa 9400 ettari che secondo la prima classe della “Destinazione d’Uso dei
Suoli Agricoli e Forestali” (DUSAF), redatto dall’ERSAF e dalla Direzione Generale Agricoltura della Regione
Lombardia, sono così suddivisi:
Superficie
ha
408,50.16
1.548,92.28
51,18.91
4.035,08.68
944,28.94
2.411,18.47
Classe
Superfici idriche
Aree sterili
Aree urbanizzate
Boschi
Prati
Vegetazione naturale
17
%
4%
16%
1%
43%
10%
26%
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Totale
9.399,17.43
100%
Tabella 9. I dati delle superfici ottenute da elaborazione GIS
Dall’analisi della precedente tabella risulta evidente come quasi la metà della superficie (43%) presenti una
copertura boscata (copertura di vegetazione arborea superiore al 20%) mentre un quarto della stessa sia da
attribuire alla classe “Vegetazione naturale”. In quest’ultima classe sono state inserite quelle superfici che
presentano una copertura costituita principalmente da specie erbacee e specie arbustive. In particolare rientrano in
questa classe la maggior parte dei territori che si trovano ai limiti della vegetazione, oltre i 2000 m s.l.m., e che
costituiscono il passaggio fra le aree boscate (vegetazione arborea) e le formazioni rocciose prive di vegetazione
delle zone di maggior quota. All’interno di questa classe rientrano anche parte dei pascoli abbandonati ed invasi da
vegetazione che si trovano in fase di evoluzione successionale secondaria.
I territori alle quote maggiori, costituiti da roccia affiorante e privi quasi totalmente di vegetazione, costituiscono la
classe, definita secondo i criteri DUSAF, delle aree sterili (16% del territorio).
Le aree idriche presentano una superficie elevata in considerazione della presenza del ghiacciaio Pisagana che
occupa un’area di circa 380 ha (93% della classe Aree idriche). La restante superficie è costituita da bacini, artificiali e
non, e dai torrenti e fiumi che solcano le valli del territorio.
Il 10% del territorio risulta invece utilizzato a prato; la distribuzione di tale tipologia d’uso non risulta omogenea in
quanto è concentrata nelle zone di prateria del passo del Tonale (55% della superficie a prato); la restante superficie
si trova intercalata alle aree boscate e lungo i terrazzi fluviali del fondovalle.
All’interno di questa classe risultano diversi usi del suolo: sono presenti superfici a prato che svolgono solo la
funzione di pascolo, superfici con funzione di pascolo utilizzati nel periodo invernale come piste da sci e superfici a
copertura erbacea appositamente realizzate per l’attività sciistica. Le superfici a prato riconducibili alle piste da sci si
collocano esclusivamente all’interno dei comuni di Ponte di Legno e Temù. Nei comuni limitrofi a questi, ricadenti
nel PIF, non sono presenti strutture sciistiche.
Infine, solo l’1% della superficie risulta urbanizzata; le aree appartenenti a questa classe sono localizzate
principalmente nel fondovalle e al passo del Tonale e sono costituite da fabbricati ad uso abitativo, agricolo e
turistico (parcheggi, stazioni e impianti di risalita).
18
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
PARCO REGIONALE DELL’ADAMELLO
Il Parco dell’Adamello è istituito con Legge Regionale n. 79 del 16 settembre 1983, modificata dalla Legge Regionale
n. 23 del 1 dicembre 2003. Il territorio del parco, ricadente interamente nella provincia di Brescia, ha una superficie
di circa 51.000 ettari di cui circa l’80% è di proprietà pubblica (comunale e demaniale); si estende da una quota
minima di 390 m s.l.m. ed una massima di 3539 m s.l.m..
L’Ente di gestione del Parco è rappresentato dalla Comunità Montana di Valle Camonica, con sede a Breno; il Parco
comprende al suo interno il territorio di 19 Comuni; si trova al centro della catena alpina, nelle Alpi Retiche, dal
Passo del Tonale a quello di Crocedomini. Insieme ai parchi contigui rappresentati dal Parco Nazionale dello Stelvio,
dal Parco trentino Adamello-Brenta, e dal non lontano Parco svizzero dell’Engadina, contribuisce alla creazione di un
territorio protetto contiguo di circa 250.000 ettari complessivi, il più esteso delle Alpi.
Come previsto dalla legge regionale di istituzione, l’Ente Parco, si è dotato di un Piano Territoriale di Coordinamento
(PTC), attraverso il quale si intendono perseguire i seguenti obiettivi:
-
tutela della biodiversità, conservazione e incremento delle potenzialità faunistiche, floristiche,
vegetazionali, geologiche, idriche ecosistemiche e paesaggistiche dell'area;
-
garanzie di un uso del suolo e dei beni compatibile con le qualità naturalistiche;
-
conservazione e ricostruzione dell'ambiente;
-
integrazione tra uomo e ambiente naturale mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici,
storici, architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;
-
promuovere e disciplinare la fruizione dell'area a fini scientifici, culturali, educativi e ricreativi.
Di seguito si analizzeranno, per la parte del Parco che rientra nel PIF, gli articoli del PTC di interesse per il presente
studio.
PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO DEL PARCO REGIONALE DELL’ADAMELLO
Il Piano territoriale di coordinamento del Parco dell’Adamello (PTC) è stato approvato dalla Regione
Lombardia con D.G.R. n° VII/6632 in data 29.10.2001 e successiva variante approvata con D.C.R. 22.11.2005 n° 8/74.
Il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) rappresenta il primo e fondamentale strumento di pianificazione del
territorio di un'area protetta e racchiude in sé un complesso lavoro di conoscenza e di interpretazione della realtà
naturale e sociale del territorio.
La protezione della natura e dell'ambiente si colloca al primo posto tra gli obiettivi del PTC del Parco Adamello; essa
va perseguita non con l'esclusione dell'uomo, ma "attraverso il recupero di un corretto rapporto, culturale ed
economico, dell'uomo con l'ambiente". In stretta coerenza con questo obiettivo primario si collocano gli obiettivi
riguardanti la fruizione ricreativa dell'ambiente naturale (valorizzazione del Parco come fattore di promozione di un
turismo sostenibile) e la funzione di sviluppo sociale, economico e culturale delle comunità locali. Tali obiettivi vanno
perseguiti attraverso "la ricerca di nuovi comportamenti umani, compatibili con la tutela delle risorse naturali".
19
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
La zonizzazione del PTC articola il territorio, ai fini della tutela ambientale e paesistica, in tre orizzonti (art.18):
- ORIZZONTE DEL PAESAGGIO ANTROPICO, che comprende le aree d’insediamento urbano, esistenti e d’espansione,
le aree tradizionalmente destinate all’agricoltura e alla pastorizia, l’edificato rurale e le aree naturalistiche, in
particolare boschive, maggiormente influenzate dalla presenza dell’uomo. In esso è consentita la tradizionale
fruizione antropica e la trasformazione controllata dell’ambiente e del paesaggio;
- ORIZZONTE DEL PAESAGGIO ALPESTRE, che comprende le aree naturali e d’interesse naturalistico costituite da
boschi e prati, da riserve naturali e zone scarsamente edificate tradizionalmente destinate all’agro-selvicoltura, nelle
quali va esercitata tutela di carattere conservativo, con trasformazione e fruizione antropica limitata;
- ORIZZONTE DEL PAESAGGIO CULMINALE, che comprende le aree di maggior interesse geomorfologico per la
presenza di forme modellate dall’azione glaciale e caratterizzate da tipica vegetazione d’alta quota; le trasformazioni
devono essere eccezionali e la fruizione antropica limitata.
All’interno di queste fasce sono state individuate altre zone che per particolari caratteristiche naturali o socioeconomiche, necessitano di un maggiore e diverso grado di tutela.
-
(art. 19) ZONA DI PARTICOLARE RILEVANZA PAESISTICA-AMBIENTALE: aree volte al mantenimento, al
ripristino e alla valorizzazione delle potenzialità naturali, botaniche, zoologiche, forestali e delle peculiarità
morfo-paesistiche, nonché alla prevenzione degli effetti negativi dell’antropizzazione;
-
(art.22) ZONE DI INIZIATIVA COMUNALE: le aree comprese in questa zona sono destinate agli insediamenti
urbani, turistici e produttivi e relativi standard, e all’agricoltura. La disciplina urbanistica è riservata agli
strumenti urbanistici comunali, nel rispetto dei criteri previsti nel presente articolo;
-
(art.23) ZONA ATTREZZATURE E INSEDIAMENTI TURISTICI: la zona è destinata al mantenimento, allo
sviluppo, al nuovo insediamento di attrezzature, edifici e impianti per il turismo, nonché dei servizi connessi,
in funzione dello sviluppo sociale ed economico della popolazione e della funzione pubblica del Parco;
-
(art. 24) ZONA PRATI TERRAZZATI: la zona è destinata alla conservazione e sviluppo delle attività agro-silvopastorali tradizionali e al recupero, anche con trasformazione controllata, del patrimonio edilizio esistente,
quale risorsa economica della popolazione, in funzione del mantenimento dell’ambiente e del paesaggio
montano e in funzione di presidio umano.
-
(art. 37) ZONE UMIDE E TORBIERE: sono ambienti il cui ecosistema complesso è sottoposto a specifica tutela
in funzione scientifica, culturale, educativa. La tutela è estesa alle acque di alimentazione della zona;
-
(art. 46) AREE SCIABILI: nel quadro degli interessi turistici (art. 45) assumono particolare rilevanza gli
impianti, le attrezzature e le piste per l’esercizio dello sci, in funzione di promozione e sviluppo socioeconomico delle popolazioni residenti. Gli interventi, indicati nel piano di settore turismo, devono essere
realizzati nel rispetto delle esigenze di tutela ambientale e paesaggistica, fatta salva l’eventuale valutazione
di impatto ambientale (previsto dalla normativa vigente). La planimetria generale di Piano individua le aree
sciabili esistenti ed ammesse:
a)
ambiti per l’esercizio dello sci, quali sedi e tracciati di impianti di risalita, piste e
attrezzature accessorie
b)
ambiti per l’apertura di piste da sci, quali zone in cui è consentita solo l’apertura e
l’esercizio di piste da sci.
20
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Il PTC prevede, al titolo II bis, una particolare disciplina per il Parco Naturale dell’Adamello; in particolare sono
individuate per le aree naturali i seguenti gradi di protezione:
-
ZONA DI RISERVA NATURALE INTEGRALE;
-
ZONA DI RISERVA NATURALE ORIENTATA;
-
ZONA DI RISERVA NATURALE PARZIALE.
Nell’area oggetto di studio sono presenti solo aree di riserva naturale parziale che sono state classificate nel
seguente modo (art.28):
a)
zone di riserva naturale parziale biologica, caratterizzate da presenze botaniche e zoologiche di specie rare
o divenute tali in conseguenza della riduzione del loro habitat, spesso anche di rilevante valore paesisticoambientale;
b) zone di riserva naturale parziale botanica, caratterizzate da tratti di vegetazione di particolare pregio o
interesse, sia per la loro rarità all’interno del parco o per le caratteristiche peculiari ambientali e floristiche,
sia per la presenza al loro interno di specie rare o minacciate;
c)
zone di riserva naturale parziale zoologico-forestale, caratterizzate da popolamenti animali particolarmente
diversificati o interessanti per la presenza di specie sensibili o sedentarie anche minacciate, inseriti in
ambiente vegetazionale climacici o comunque molto maturi da mantenere nell’attuale assetto strutturale;
d) zone di riserva naturale parziale morfopaesistica, caratterizzate da mineralogia, litologia o morfologia
interessanti per la loro peculiarità sia nel Parco, sia in termini assoluti, derivate da manifestazioni
geochimiche (metamorfismo), o tettoniche (strutture di dislocazione), o da eventi paleoclimatici
(glacialismo), con conseguente elevato valore paesistico.
Le zone di riserva naturale parziale individuate nell’area sono:
-
zona di riserva naturale parziale morfopaesistica e biologica “Adamello”;
-
zona di riserva naturale parziale biologica “Torbiere del Tonale”;
-
zona di riserva naturale parziale zoologico-forestale “Boschi di Vezza e Vione”.
RETE NATURA 2000
Rete Natura 2000 trae origine dalla Direttiva dell'Unione Europea n. 92/43/CEE “Habitat” e dalla direttiva n.
79/409/CEE "Uccelli", finalizzate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione
Europea, e in particolare, alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali particolarmente rare
indicate nei relativi elenchi allegati.
La Direttiva in questione prevede che gli Stati, membri dell'Unione Europea, contribuiscano alla costituzione della
rete ecologica Natura 2000 in funzione della presenza e della rappresentatività sul proprio territorio di questi
ambienti e delle specie, individuando aree di particolare pregio ambientale, denominate Siti di Importanza
Comunitaria (SIC) previste dalla direttiva “Habitat”, ai quali vanno aggiunte le Zone di Protezione Speciale (ZPS)
previste dalla direttiva “Uccelli”; SIC e ZPS possono avere diverse relazioni spaziali tra loro, dalla totale
sovrapposizione alla completa separazione a seconda dei casi.
21
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
All’interno dell’area indagata sono presenti quattro SIC, riconosciuti e approvati con Decisione della Commissione
delle Comunità Europee n. C(2003)4957 del 22 dicembre 2003, e la ZPS IT2070401 del Parco Naturale dell’Adamello,
identificabile con la Riserva Parziale “Adamello”, la Riserva Parziale “Torbiere del Tonale” e la Riserva Parziale
“Boschi di Vezza e di Vione”.
CODICE
SIC
IT2070001
IT2070002
IT2070009
IT2070013
DENOMINAZIONE
SIC
TORBIERE DEL TONALE
MONTE PICCOLO - MONTE COLMO
VERSANTI DELL'AVIO
GHIACCIAIO DELL'ADAMELLO
SUPERFICIE
(ettari ricadenti nel PIF)
56,33.80
98,59.90
76,82.10
558,48.00
COMUNE
PONTE DI LEGNO
INCUDINE
TEMU'
PONTE DI LEGNO/TEMU'
Di seguito si riportano delle schede sintetiche descrittive degli habitat e delle specie presenti nei
sopraelencati SIC.
IT2070001 TORBIERE DEL TONALE
HABITAT di interesse comunitario (Allegato I, Direttiva92/43/CEE)
Codice
habitat
TIPO DI HABITAT
7140 Torbiere di transizione e instabili
SPECIE ANIMALI di interesse comunitario (Direttiva 79/409/CEE)
Codice
Codice
Nome della specie
specie
specie
Uccelli elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
Nome della specie
A338 Lanius collurio
A409 Tetrao tetrix tetrix
Uccelli migratori abituali non elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
A247
A257
A259
A256
A226
A366
A364
A363
A368
A365
A212
A253
A378
A376
A269
A096
A322
A359
A360
A153
Alauda arvensis
Anthus pratensis
Anthus spinoletta
Anthus trivialis
Apus apus
Carduelis cannabina
Carduelis carduelis
Carduelis chloris
Carduelis flammmea
Carduelis spinus
Cuculus canorus
Delichon urbica
Emberiza cia P D
Emberiza citrinella
Erithacus rubecula
Falco tinnunculus
Ficedula hypoleuca
Fringilla coelebs
Fringilla montifringilla
Gallinago gallinago
A261
A260
A319
A277
A328
A329
A327
A354
A273
A274
A313
A315
A314
A316
A267
A266
A250
A345
A317
A275
22
Motacilla cinerea
Motacilla flava
Muscicapa striata
Oenanthe oenanthe
Parus ater
Parus caeruleus
Parus cristatus
Passer domesticus
Phoenicurus ochruros
Phoenicurus phoenicurus
Phylloscopus bonelli
Phylloscopus collybita
Phylloscopus sibilatrix
Phylloscopus trochilus
Prunella collaris
Prunella modularis
Ptyonoprogne rupestris
Pyrrochorax graculus
Regulus regulus
Saxicola rubetra
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
A299 Hippolais icterina
A276
A340 Lanius excubitor
A311
A369 Loxia curvirostra
A310
PIANTE elencate nell'allegato II della Direttiva 92/43/CEE
1499
Saxicola torquata
Sylvia atricapilla
Sylvia borin
Euphydryas aurinia
IT2070002 MONTE PICCOLO - MONTE COLMO
HABITAT di interesse comunitario (Allegato I, Direttiva92/43/CEE)
Codice
habitat
TIPO DI HABITAT
4060 Lande alpine e boreali
Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron
4070 * hirsutum
(mugo-rhododendretum
hirsuti)
6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee
Codice
habitat
TIPO DI HABITAT
9410
Foreste acidofile montane e subalpine di
peccio (vaccinio-piceetea)
91DO
Mughete acidofile con sfagni
9420
Foreste silicicole alpine di Larix decidua e
Pinus cembra
SPECIE ANIMALI di interesse comunitario (Direttiva 79/409/CEE)
Codice
Codice
Nome della specie
specie
specie
Uccelli elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
Nome della specie
A223 Aegolius funereus
A236 Dryocopus martius
A412 Alectrois graeca
A217 Glaucidium passerinum
A091 Aquila chrysaetos
A338 Lanius collurio
A104 Bonasa bonasia
A246 Lullula arborea
A215 Bubo bubo
A072 Pernis apivorus
A224 Caprimulgus europaeus
A409 Tetrao tetrix
A082 Circus cyaneus
Uccelli migratori abituali non elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
A085
A086
A324
A247
A257
A259
A256
A226
A228
A221
A263
A087
A366
A368
A365
A350
A348
A212
Accipiter gentilis
Accipiter nisus
Aegithalos caudatus
Alauda arvensis
Anthus pratensis
Anthus spinoletta
Anthus trivialis
Apus apus
Apus melba
Asio otus
Bombycilla garrulus
Buteo buteo
Carduelis cannabina
Carduelis flammmea
Carduelis spinus
Corvus corax
Corvus frugilegus
Cuculus canorus
A328
A327
A330
A326
A273
A274
A313
A315
A314
A316
A237
A235
A267
A266
A250
A372
A345
A318
23
Parus ater
Parus cristatus
Parus major
Parus montanus
Phoenicurus ochruros
Phoenicurus phoenicurus
Phylloscopus bonelli
Phylloscopus collybita
Phylloscopus sibilatrix
Phylloscopus trochilus
Picoides major
Picus viridis
Prunella collaris
Prunella modularis
Ptyonoprogne rupestris
Pyrrhula pyrrhula
Pyrrochorax graculus
Regulus ignicapillus
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
A253
A378
A376
A269
A096
A322
A359
A342
A233
A369
A280
A358
A262
A261
A344
A277
Delichon urbica
Emberiza cia
Emberiza citrinella
Erithacus rubecula
Falco tinnunculus
Ficedula hypoleuca
Fringilla coelebs
Garrulus glandarius
Jynx torquilla
Loxia curvirostra
Monticola saxatilis
Montifringilla nivalis
Motacilla alba
Motacilla cinerea
Nucifraga caryocatactes
Oenanthe oenanthe
A317
A275
A219
A311
A310
A309
A308
A333
A265
A286
A283
A285
A284
A282
A287
Regulus regulus
Saxicola rubetra
Strix aluco
Sylvia atricapilla
Sylvia borin
Sylvia communis
Sylvia curruca
Tichodroma muraria
Troglodytes troglodytes
Turdu iliacus
Turdus merula
Turdus philomelos
Turdus pilaris
Turdus torquatus
Turdus viscivorus
IT2070009 VERSANTI DELL'AVIO
HABITAT di interesse comunitario (Allegato I, Direttiva92/43/CEE)
Codice
habitat
TIPO DI HABITAT
4060 Lande alpine e boreali
Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron
4070 * hirsutum
(mugo-rhododendretum
hirsuti)
6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee
Codice
habitat
TIPO DI HABITAT
7140
Torbiere di transizione e instabili
8110
Ghiaioni silicei dei piani montano fino a
nivale
9420
Foreste silicicole alpine di Larix decidua e
Pinus cembra
SPECIE ANIMALI di interesse comunitario (Direttiva 79/409/CEE)
Codice
Codice
Nome della specie
specie
specie
Uccelli elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
Nome della specie
A091 Aquila chrysaetos
A409 Tetrao tetrix tetrix
A408 Lagopus mutus helveticus
Uccelli migratori abituali non elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
A259
A256
A087
A366
A368
A350
A212
A378
A269
A096
A359
A342
Anthus spinoletta
Anthus trivialis
Buteo buteo
Carduelis cannabina
Carduelis flammmea
Corvus corax
Cuculus canorus
Emberiza cia
Erithacus rubecula
Falco tinnunculus
Fringilla coelebs
Garrulus glandarius
A313
A315
A267
A266
A250
A372
A345
A318
A317
A275
A311
A310
24
Phylloscopus bonelli
Phylloscopus collybita
Prunella collaris
Prunella modularis
Ptyonoprogne rupestris
Pyrrhula pyirrhula
Pyrrochorax graculus
Regulus ignicapillus
Regulus regulus
Saxicola rubetra
Sylvia atricapilla
Sylvia borin
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
A358
A262
A261
A344
A277
A328
A273
Montifringilla nivalis
Motacilla alba
Motacilla cinerea
Nucifraga caryocatactes
Oenanthe oenanthe
Parus ater
Phoenicurus ochruros
A308
A333
A265
A283
A285
A282
A287
Sylvia curruca
Tichodroma muraria
Troglodytes troglodytes
Turdus merula
Turdus philomelos
Turdus torquatus
Turdus viscivorus
IT2070013 GHIACCIAIO DELL'ADAMELLO
HABITAT di interesse comunitario (Allegato I, Direttiva92/43/CEE)
Codice
habitat
6150
TIPO DI HABITAT
Formazioni
silicee
erbose
boreo-alpine
Codice
habitat
8110
TIPO DI HABITAT
Ghiaioni silicei
8340 * Ghiacciai permanenti
SPECIE ANIMALI di interesse comunitario (Direttiva 79/409/CEE)
Codice
Codice
Nome della specie
specie
specie
Uccelli elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
Nome della specie
A412 Alectoris graeca saxatilis
A082 Circus cyaneus
A091 Aquila chrysaetos
A408 Lagopus mutus helveticus
A139 Charadrius morinellus
A409 Tetrao tetrix tetrix
Uccelli migratori abituali non elencati dell’Allegato I della Direttiva 79/409/CEE
A247
A052
A053
A257
A259
A226
A228
A366
A365
A136
A264
A350
A113
A212
A253
A378
A376
A269
A096
A153
A342
Alauda arvensis
Anas crecca
Anas platyrhynchos
Anthus pratensis
Anthus spinoletta
Apus apus
Apus melba
Carduelis cannabina
Carduelis spinus
Charadrius dubius
Cinclus cinclus
Corvus corax
Coturnix coturnix
Cuculus canorus
Delichon urbica
Emberiza cia
Emberiza citrinella
Erithacus rubecula
Falco tinnunculus
Gallinago gallinago
Garrulus glandarius
A280
A358
A262
A261
A277
A273
A315
A316
A267
A266
A250
A345
A275
A310
A308
A333
A265
A283
A282
A287
25
Monticola saxatilis
Montifringilla nivalis
Motacilla alba
Motacilla cinerea
Oenanthe oenanthe
Phoenicurus ochrurus
Phylloscopus collybita
Phylloscopus trochilus
Prunella collaris
Prunella modularis
Ptyonoprogne rupestris
Pyrrhocorax graculus
Saxicola rubetra
Sylvia borin
Sylvia curruca
Tichodroma muraria
Troglodytes troglodytes
Turdus merula
Turdus torquatus
Turdus viscivorus
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
I SIC vengono considerati all’interno del Piano di Coordinamento Territoriale (art.17), che li riconosce come tali e
prevede particolari disposizioni (comma 4).
- IT2070001 “Torbiere del Tonale”: tutti gli interventi previsti all’interno o nelle aree limitrofe sono da sottoporre a
valutazione d’incidenza. La scelta delle sementi da impiegare nelle opere di inerbimento del comprensorio sciistico,
deve garantire il mantenimento della biodiversità e della ricchezza floristica del territorio.
- IT2070002 “Monte Piccolo e Monte Colmo”: per la tutela all’habitat 6150 “Formazioni erbose boreo-alpine silicee”
occorre mantenere il cotico erboso. Per la gestione dell’habitat 9410 “Foreste acidofile montane e subalpine di
peccio (Vaccino-Piceetea)” sono da applicare le tecniche selvicoltura naturalistica privilegiando l’alto fusto disetaneo
a struttura ben articolata composizione arborea mista, mantenendo le radure al fine di favorire la diversità
ambientale e la salvaguardia del sottobosco e dei microhabitat che ospitano le specie erbacee più significative a
favore della biodiversità specifica. Per la tutela degli habitat 4060 “Lande alpine e boreali”, 4070 “boscaglie di Pinus
mugo e Rhododendron hirsutum (Mugo-Rhododendretum hirsuti) e 9420 “Foreste silicicole alpine di Larix decidua e
Pinus cembra” si applicano le tecniche di selvicoltura naturalistica, privilegiando l’alto fusto disetaneo a
composizione arborea mista o, in caso di Cembrete pure, alla monospecificità. Gli individui monumentali sono
salvaguardati.
- IT2070009 “Versanti dell’Avio”: per la tutela dell’habitat 9420 “Foreste silicicole alpine di Larix decidua e Pinus
cembra” si applicano le tecniche di selvicoltura naturalistica, privilegiando l’alto fusto disetaneo a composizione
arborea mista o, in caso di Cembrete pure alla monospecificità. Gli individui monumentali sono salvaguardati.
- IT2070013 “Ghiacciaio dell’Adamello”: regolamentazione della fruizione turistica.
La Regione Lombardia ha coordinato e realizzato all’anno 2005 un monitoraggio degli habitat sull’intero territorio
regionale organizzato a livello di provinciale. Per la Provincia di Brescia sono state predisposte Relazioni tecniche di
monitoraggio degli habitat per ogni singolo SIC che includono anche linee d’indirizzo gestionale per la conservazione
degli habitat.
IT2070001 “TORBIERE DEL TONALE”
Habitat 7140 Torbiere di transizione e instabili (CORINE 54.5)
Tipologia: Torbiere basse e torbiere intermedie di transizione instabili
Sintaxa rappresentativi: Scheuchzerio-Caricetea fuscae, Sphagnetalia magellanici
Fisionomia: Acquitrini, prati torbosi a cyperacee, aggallati, prati torbosi instabili dominati da ciperacee di piccola
taglia su tappeti di sfagni, mosaici di prati torbosi con intercalati cumuli di sfagni
Ecologia: Acquitrini e stazioni con ristagno di acqua (torbiere montane, subalpine e alpine); Ex; modesti corpi lacustri
ormai estinti; Sistemi di depressioni dei terrazzi glaciali subalpini e alpini; Tasche e depressioni fra le morene
oloceniche
Contenuti floristici significativi: Carex fusca, Carex rostrata, Carex magellanica, Trichophorum alpinum,
Trichophorum caespitosum, Eryophorum angustifolium, Eryophorum latifolium, Eryophorum vaginatum, Eryophorum
scheuchzeri, Drosera rotundifolia, Drosera anglica, Utricularia minor, Sphagnum magellanicum, Sphagnum fuscum,
Sphagnum rubellum, Andromeda polifolia, Vaccinium microcarpum, Majanthemum bifolium, Menyanthes trifoliata
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Contatti catenali: Acque libere (pozze di torbiera), praterie più o meno igrofile montane, subalpine e alpine, rupi e
macereti
Grado di stabilità: Vegetazioni a rapida evoluzione in funzione della velocità di accumulo di torba e/o di
interramento e successivo distacco dalla falda con conseguente drenaggio della vegetazione
Condizioni di rischio: Gli ambienti di torbiera sono caratterizzati da una rapida dinamica controllata
prevalentemente dal fattore disponibilità d’acqua: pericolo di drenaggi soprattutto nell’orizzonte montano. Altri
elementi tuttavia entrano in gioco in modo determinante: prime fra tutte le variazioni del chimismo (pH e
disponibilità di nutrienti) con conseguenze negative sul sistema quali: -ingresso di specie invasive (differenti a
seconda della quota); -diffusione delle vegetazioni ruderali proprie degli ambienti fortemente disturbati (negli
orizzonti inferiori) con conseguente banalizzazione delle vegetazioni turficole; -avanzata del bosco o degli arbusteti; eccessiva pressione del pascolo.
Indirizzi gestionali: Mantenimento dello stato di fatto: un persistente abbassamento della falda sarebbe esiziale per
la vegetazione idro-igrofila così come una persistente sommersione. Monitoraggio della qualità delle acque e del
comportamento delle specie invasive. Regolamentare la frequentazione.
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Sono comunque da sottoporre a valutazione di
incidenza tutti gli interventi, nessuno escluso, progettati all’interno del SIC, trattandosi di un complesso mosaico di
habitat concentrati su una superficie tutto sommato contenuta. Sono comunque da sottoporre a valutazione di
incidenza tutti gli interventi previsti nell’ambito del bacino imbrifero del SIC in quanto direttamente o indirettamente
hanno inferenza con questo habitat. In particolare sono da tenere in considerazione gli interventi che comportano: variazione del regime dei suoli (variazioni colturali, tagli e/o impianti boschivi, interventi edilizi anche minimi,
bonifiche di qualsiasi natura); - modificazioni del bilancio idrologico in termini quantitativi e/o qualitativi
IT2070002 “MONTE PICCOLO E MONTE COLMO”
Habitat 4060 Lande alpine e boreali (CORINE 31.4)
Tipologia: Vegetazioni ad arbusti nani e contorti, soprattutto ericacee, degli orizzonti alpino e subalpino.
Sintaxa rappresentativi: Loiseleurio-Vaccinion, Rhododendro-Vaccinion, Empetro-Vaccinietum uliginosi, Juniperion
Fisionomia: Le brughiere, delimitate inferiormente dal limite superiore delle foreste e superiormente dal limite degli
alberi nani isolati anche se compaiono già come sottobosco dei boschi di conifere, e si spingono ben oltre le praterie
di quota, fino anche alla base di pendii detritici. 1) Brughiera ad azalea nana del Loiseleurio-Vaccinion: vegetazione
tipica dei dossi e delle creste ventose, con breve permanenza della neve al suolo e quindi esposizione al gelo e al
disseccamento. 2) Brughiera a empetro dell’ Empetro-Vaccinietum uliginosi: vegetazione intermedia tra i
rododendreti e i loiseleurieti, soprattutto per le condizioni intermedie di permanenza al suolo della neve. Empetrum
ermaphroditum è associato al falso mirtillo (Vaccinium gaultherioides) e ai licheni, ben resistenti al gelo. 3) Brughiera
a ginepro dello Juniperion nanae: vegetazione caratteristica dei versanti caldi e aridi. Esistono due varianti
altitudinali che vedono dominare rispettivamente il ginepro comune (Juniperus communis) alle quote più basse e il
ginepro nano (Juniperus nana) a maggiori altitudini, entrambe associati, in proporzioni variabili, a Calluna vulgaris e
Arctostaphylos uva-ursi. 4) Brughiera a rododendro ferrugineo del Rhododendro-Vaccinion: vegetazione acidofila
distribuita prevalentemente su versanti freschi, esposti a nord, con prolungato innevamento a protezione della
specie caratteristica Rhododendron ferrugineum. Al di sotto dei suoi rami, trovano spazio diverse specie di mirtilli e
una ricca componente lichenica e briofitica.
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Ecologia: L’estensione e la composizione floristica degli arbusteti varia soprattutto in funzione del chimismo del
substrato, dell’esposizione e della pendenza dei versanti e delle condizioni microclimatiche, influenzate dalla
permanenza di neve al suolo, dall’azione del vento, dall’assolazione, dalla disponibilità idrica. L’attuale distribuzione
degli arbusteti non può essere unicamente giustificata dalla naturale successione altitudinale, ma deve anche la
propria estensione da un lato all’opera di disboscamento che ha sottratto terreno alle foreste favorendo
l’espansione degli arbusti, dall’altro al recente abbandono dei pascoli e degli alpeggi, che in passato invece ne hanno
contrastato l’espansione. Falde di detrito silicatiche.
Contenuti floristici significativi: Loiseleuria procumbens, Rhododendron ferrugineum, Vaccinium myrtillus, Vaccinium
gaultherioides, Empetrum ermaphroditum, Juniperus communis, Juniperus nana , Arctostaphylos uva-ursi,
(Arctostaphylos alpina), Lonicera coerulea, Pyrola seconda.
Specie arboree più frequenti: Larix decidua, Picea excelsa, Sorbus aucuparia.
Contatti catenali: Thlaspietea rotundifolii, Caricetalia curvulae.
Grado di stabilità: Cenosi stabile ad evoluzione lenta se non intervengono pesanti alterazioni
ambientali.
Condizioni di rischio: Fenomeni di degradazione del suolo per compattazione dovuti a calpestio. Fenomeni di
erosione (idrica incanalata e di massa). Per quanto riguarda le attività connesse con la presenza dell’uomo, si
segnalano il pascolo e il turismo invernale.
Indirizzi gestionali: Rallentare l’evoluzione a bosco (dove ne sussiste la potenzialità). Conservare una modesta
attività di pascolo (l’abbandono totale è dannoso quanto il sovrappascolo).
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Carico bovino nelle vicinanze
Habitat *4070 Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum (Mugo-rhododendretumj hirsuti) (CORINE 31.5)
Tipologia: Cespuglieti e boscaglie, in genere molto fitti, rampanti (M.te Colombine, alta Valle del Caffaro; Dosso Alto,
Cima Caldoline).
Sintaxa di riferimento: Mugo-Rhododendretum irsuti.
Ecologia: Detrito calcareo consolidato, a forte drenaggio, con buona disponibilità di calcare libero.
Contenuti floristici significativi: Cypripedium calceolus, Rhodotamnus chamaecytisus, Silene elisabethae (nelle
aperture su substrati compatti) e differenti elementi del Caricion firmae s.l.
Specie arboree più frequenti: Larix decidua e Pinus cembra (sempre rari e di taglia ridotta).
Tipologie forestali di riferimento: Differenti tipi di mughete.
Contatti seriali: Thlaspion rotundifolii, Caricetum firmae s.l.
Contatti catenali: Ghiaioni e macereti calcarei (Habitat 8120).; Pareti rocciose calcaree (Habitat 8210); Praterie
calcaree più o meno discontinue.
Grado di stabilità: Cenosi stabile (anche in virtù della posizione su conoidi in parte ancora attivi).
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Condizioni di rischio: In alcuni casi rapida evoluzione verso formazioni boschive; in altri, processi erosivi spesso
conseguenti ad interventi apparentemente insignificanti.
Indirizzi gestionali: Arrestare eventuali fenomeni erosivi. Rallentare l’evoluzione verso compagini boschive.
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Interventi, anche modesti, sui coni di detrito
(compreso bacino alimentatore e piede della scarpata) (innescano processi destabilizzanti ed erosivi devastanti).
Habitat 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee (CORINE 36.32)
Tipologia: Praterie alpine acidofile stabili.
Sintaxa rappresentativi: Caricion curvulae, Festucion variae.
Fisionomia: Formazioni erbacee sviluppate oltre il limite superiore degli arbusti nani. Le praterie naturali sono oggi
intercalate a formazioni seminaturali e secondarie derivanti dalla gestione del territorio che ha favorito l’espansione
di aree da destinare al pascolamento del bestiame.
Ecologia
La variabilità nel chimismo del substrato, nelle condizioni ecologiche e stazionali determina la diversificazione delle
seguenti tipologie. Curvuleti: praterie naturali tipiche dei pianori e delle dorsali delle catene montuose
centroeuropee, a quote comprese tra i 2500 e i 2700 m. Rappresentano la vegetazione climax dell’orizzonte alpino e
prediligono suoli evoluti, a pH acido, ricchi di humus, con buona disponibilità idrica e con discreta copertura nevosa a
protezione dal disseccamento e dal gelo invernali. Varieti: praterie delle Alpi meridionali, tipiche dei versanti ripidi
esposti a sud, quindi assolati e aridi, su suoli acidificato e ricco di humus. I grandi cespi si dispongono in lunghe file a
costituire delle gradinate accentuate anche dal calpestio del bestiame.
Contenuti floristici significativi: Carex curvala, Soldanella alpina, Senecio incanus, Gentiana verna, Festuca
scabriculmis, Prunella grandiflora, Allium victorialis, Hypochoeris uniflora, Pulsatilla sulphurea.
Contatti catenali: Formazioni erbose di Nardus stricta (Habitat 6230); Ghiaioni silicei (Habitat 8110).
Grado di stabilità: Vegetazioni climaciche stabili
Condizioni di rischio: Fenomeni erosivi gravitativi, soliflussi. Eccesso di frequentazione localizzata.
Indirizzi gestionali: Contenere l’eccesso di pascolo (soprattutto sui pendii meno acclivi). Mantenere l’integrità del
cotico erboso.
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Per i curvuleti, apertura di piste (vegetazione
restia alla cicatrizzazione).
Habitat 9410 Foreste acidofile montane e subalpine di peccio (Vaccinio-piceetea) (CORINE 42.21)
Tipologia: Sono comprese in questo habitat le foreste di conifere dominate da Picea excelsa sia montane che
subalpine
Sintaxa rappresentativi: Vaccinio-Piceetea
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Fisionomia: Si presentano in genere come foreste a Abete rosso, Larice e Abete bianco. Le peccete montane
raramente sono di origine naturale; più spesso sono foreste di Fagus sylvatica o di Abies alba (spesso mantengono
individui di queste specie, soprattutto l’abete bianco) trasformate in peccete da interventi selvicolturali o perché
impoverite da un eccessivo sfruttamento. Le peccete subalpine hanno un sottobosco più povero a briofite ed
ericacee.
Ecologia: Molto spesso queste tipologie forestali si estendono in fasce altitudinali che non sono loro proprie ma che
hanno conquistato grazie alla gestione forestale ad esse favorevoli. In base alla distribuzione altitudinale si
distinguono le peccete montane da quelle subalpine. Le prime si estendono tra gli 800 e i 1500 m di quota dove
hanno sostituito boschi misti di abeti e faggio o addirittura pascoli e prati sia per abbandono di questi ultimi che per
interventi di riforestazione. Le peccete subalpine si distribuiscono oltre i 1500 m, fino al limite del bosco in
associazione al larice e godono in genere di maggiore naturalità.
Contenuti floristici significativi: Veronica latifolia, Calamagrostis varia, Hieracium sylvaticum, Orthilia secunda,
Sorbus aucuparia, Vaccinium myrtillus, Vaccinium vitis-idaea, Lonicera nigra, Lycopodium annotinum, Luzula luzulina
Vaccinium myrtillus, Vaccinium vitis-idaea, Matteuccia strutiopteris, Athyrium filix-foemina, Dryopteris filix-mas,
Maianthemum bifolium , Oxalis acetosella, Prenanthes purpurea, Saxifraga cuneifolia, Solidago virgaurea, Homogyne
alpina, Melampyrum sylvaticum.
Specie arboree più frequenti: Picea excelsa, Larix decidua, Abies alba, Acer pseudoplatanus, Sorbus aucuparia.
Contatti catenali: Vegetazione delle rupi e dei macereti, praterie montane (prati e prati pascolo).
Grado di stabilità: Vegetazioni stabili (climaciche nell’orizzonte montano superiore e subalpino).
Condizioni di rischio: Erosione del suolo, idrica incanalata e di massa (frane). Incendi, particolarmente dannosi
soprattutto per le formazioni a dominanza di conifere. Eccessiva antropizzazione delle compagini boschive, con
sviluppo di boschi coetanei monospecifici. Apertura di linee di penetrazione, quali strade carrozzabili e piste
forestali. Tagli a raso su estese superfici.
Indirizzi gestionali: Normare i boschi e seguire le tecniche della silvicoltura naturalistica tendendo di regola all’alto
fusto disetaneo, a struttura ben articolata, a composizione arborea mista. Rigida salvaguardia dei microhabitat che
ospitano le specie erbacee più significative. A scala di sito, la strategia di conservazione deve prevedere:
-nelle zone interessate da fenomeni di erosione, la riduzione al minimo delle azioni che li possano innescare, come
apertura di nuove strade, sovrappascolo, incendi e altre azioni di disturbo (inteso, in senso stretto, come asporto
eccessivo di biomassa);
-misure di pianificazione antincendio boschivo;
-mantenimento di radure al fine di favorire la diversità ambientale e di un abbondante strato del sottobosco a favore
della biodiversità specifica;
-localmente ed in ambiti circoscritti e costantemente monitorati (rischio bostrico) mantenere alberi vetusti per la
nidificazione di Strigiformi e Piciformi;
-quando gli habitat forestali ospitano anche specie animali d’interesse comunitario (o comunque d’interesse
conservazionistico), possono essere pianificati interventi selvicolturali tesi al miglioramento delle condizioni che le
favoriscono;
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
-misure di regolamentazione degli accessi e dei flussi turistici e delle attività di fruizione (sentieristica per trekking,
mountain bike, ecc.), sulla base delle caratteristiche di vulnerabilità degli habitat (ad esempio, rischio di erosione del
suolo);
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza
Dovranno essere tenuti sotto controllo, attraverso la valutazione d’incidenza, i progetti e/o le attività che possono
comportare sovraccarichi ambientali legati al turismo di massa, invernale e estivo (costruzione di attrezzature e
impianti di risalita, proliferazione di seconde case e infrastrutture connesse), la realizzazione d’impianti di
produzione energetica e la realizzazione d’infrastrutture di trasporto.
Habitat 9420 Foreste silicicole alpine di Larix decidua e Pinus cembra (CORINE 42.31)
Tipologia: Formazioni pure a larice o a pino cembro e consorzi misti delle due specie.
Sintaxa rappresentativi: Vaccinio-Rhododendretum ferruginei laricetosum.
Fisionomia: Nelle alpi continentali si rinvengono boschi misti nei quali dominano alternativamente le due essenze,
larice e cembro mentre nel sottobosco dominano ericacee e ginepro.
Oggi solo pochissime foreste di larice sono da considerarsi naturali perché molto spesso questa essenza è stata
utilizzata nelle opere di rimboschimento. Sono per contro frequenti i “lariceti a parco” in cui i larici si sviluppano
distanziati gli uni dagli altri, e ospitano un sottobosco a pascolo.
Ecologia: Lariceti e cembrete si estendono rispettivamente dai 1300 e 1500 m fino oltre i 2200 m di quota,
costituendo il limite superiore della vegetazione arborea.
Sono formazioni per lo più indifferenti alla natura del substrato; alle alte quote raramente acqua e chimismo del
suolo rappresentano fattori limitanti la distribuzione delle specie, mentre lo sono di più il calore, la durata del
periodo vegetativo, il tempo di permanenza della neve al suolo. Entrambe le specie ben si adattano al clima rigido
delle vallate continentali alpine.
Contenuti floristici significativi: Linnaea borealis, Listera cordata, Juniperus communis, J. nana, Vaccinium spp.,
Rhododendron ferrugineum, Calluna vulgaris, Arctostaphylos uva-ursi, Calamagrostis varia, Avenella flexuosa,
Galium anysophyllum, Hieracium sylvaticum, Homogyne alpina. Su calcare: Rhododendron hirsutum, Erica herbacea,
Sesleria albicans.
Specie arboree più frequenti: Larix decidua, Pinus cembra, Pinus mugo.
Contatti catenali: Boschi misti di conifere, vegetazione delle rupi e dei macereti, brughiere, pascoli e praterie alpine.
Grado di stabilità: Vegetazioni stabili, climaciche.
Condizioni di rischio: Incendi, particolarmente dannosi soprattutto per le formazioni a dominanza di conifere.
Apertura di linee di penetrazione, quali strade e impianti da sci.
Indirizzi gestionali: Normare i boschi e seguire le tecniche della silvicoltura naturalistica tendendo di regola all’alto
fusto disetaneo a composizione arborea mista ma in alcuni casi (cembrete pure) alla monospecificità. Salvaguardia
individui monumentali.
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Rigida salvaguardia dei microhabitat che ospitano le specie erbacee più significative. A scala di sito, la strategia di
conservazione deve prevedere:
-nelle zone interessate da fenomeni di erosione, la riduzione al minimo delle azioni che li possano innescare, come
apertura di nuove strade, sovrappascolo, incendi e altre azioni di disturbo (inteso, in senso stretto, come asporto
eccessivo di biomassa);
-quando gli habitat forestali ospitano anche specie animali d’interesse comunitario (o comunque d’interesse
conservazionistico), possono essere pianificati interventi selvicolturali tesi al miglioramento delle condizioni che le
favoriscono;
-misure di pianificazione antincendio boschivo;
-misure di regolamentazione degli accessi e dei flussi turistici e delle attività di fruizione (sentieristica per trekking,
mountain bike, ecc.), sulla base delle caratteristiche di vulnerabilità degli habitat (ad esempio, rischio di erosione del
suolo).
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Dovranno essere tenuti sotto controllo,
attraverso la valutazione d’incidenza, i progetti e/o le attività che possono comportare sovraccarichi ambientali
legati al turismo di massa, invernale e estivo (costruzione di attrezzature e impianti di risalita, proliferazione di
seconde case e infrastrutture connesse), la realizzazione d’impianti di produzione energetica e la realizzazione
d’infrastrutture di trasporto.
Habitat 91DO Mughete acidofile con sfagni: Questo habitat rappresenta l’epilogo boschivo delle torbiere alte; tali
mughete con sfagni ed elementi boreali sono state descritte al *4070.
IT2070009 “VERSANTI DELL’AVIO”
Habitat 4060 Lande alpine e boreali (CORINE 31.4)
Tipologia: Vegetazioni ad arbusti nani e contorti, soprattutto ericacee, degli orizzonti alpino e subalpino.
Sintaxa rappresentativi: Loiseleurio-Vaccinion, Rhododendro-Vaccinion, Empetro-Vaccinietum uliginosi Juniperion
Fisionomia: Le brughiere, delimitate inferiormente dal limite superiore delle foreste e superiormente dal limite degli
alberi nani isolati anche se compaiono già come sottobosco dei boschi di conifere, e si spingono ben oltre le praterie
di quota, fino anche alla base di pendii detritici. 1) Brughiera ad azalea nana del Loiseleurio-Vaccinion: vegetazione
tipica dei dossi e delle creste ventose, con breve permanenza della neve al suolo e quindi esposizione al gelo e al
disseccamento. 2) Brughiera a empetro dell’ Empetro-Vaccinietum uliginosi: vegetazione intermedia tra i
rododendreti e i loiseleurieti, soprattutto per le condizioni intermedie di permanenza al suolo della neve. Empetrum
ermaphroditum è associato al falso mirtillo (Vaccinium gaultherioides) e ai licheni, ben resistenti al gelo. 3) Brughiera
a ginepro dello Juniperion nanae: vegetazione caratteristica dei versanti caldi e aridi. Esistono due varianti
altitudinali che vedono dominare rispettivamente il ginepro comune (Juniperus communis) alle quote più basse e il
ginepro nano (Juniperus nana) a maggiori altitudini, entrambe associati, in proporzioni variabili, a Calluna vulgaris e
Arctostaphylos uva-ursi. 4) Brughiera a rododendro ferrugineo del Rhododendro-Vaccinion: vegetazione acidofila
distribuita prevalentemente su versanti freschi, esposti a nord, con prolungato innevamento a protezione della
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specie caratteristica Rhododendron ferrugineum. Al di sotto dei suoi rami, trovano spazio diverse specie di mirtilli e
una ricca componente lichenica e briofitica.
Ecologia: L’estensione e la composizione floristica degli arbusteti varia soprattutto in funzione del chimismo del
substrato, dell’esposizione e della pendenza dei versanti e delle condizioni microclimatiche, influenzate dalla
permanenza di neve al suolo, dall’azione del vento, dall’assolazione, dalla disponibilità idrica. L’attuale distribuzione
degli arbusteti non può essere unicamente giustificata dalla naturale successione altitudinale, ma deve anche la
propria estensione da un lato all’opera di disboscamento che ha sottratto terreno alle foreste favorendo
l’espansione degli arbusti, dall’altro al recente abbandono dei pascoli e degli alpeggi, che in passato invece ne hanno
contrastato l’espansione. Falde di detrito silicatiche.
Contenuti floristici significativi: Loiseleuria procumbens, Rhododendron ferrugineum, Vaccinium myrtillus, Vaccinium
gaultherioides, Empetrum ermaphroditum, Juniperus communis, Juniperus nana, Arctostaphylos uva-ursi,
(Arctostaphylos alpina), Lonicera coerulea, Pyrola seconda.
Specie arboree più frequenti: Larix decidua, Picea excelsa, Sorbus aucuparia.
Contatti catenali: Thlaspietea rotundifolii, Caricetalia curvulae.
Grado di stabilità: Cenosi stabile ad evoluzione lenta se non intervengono pesanti alterazioni ambientali.
Condizioni di rischio: Fenomeni di degradazione del suolo per compattazione dovuti a calpestio. Fenomeni di
erosione (idrica incanalata e di massa). Per quanto riguarda le attività connesse con la presenza dell’uomo, si
segnalano il pascolo e il turismo invernale.
Indirizzi gestionali: Rallentare l’evoluzione a bosco (dove ne sussiste la potenzialità). Conservare una modesta
attività di pascolo (l’abbandono totale è dannoso quanto il
sovrappascolo).
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Carico bovino nelle vicinanze
Habitat *4070 boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum (mugo-rhododendretumj hirsuti) (CORINE 31.5)
Tipologia: Cespuglieti e boscaglie, in genere molto fitti, rampanti (M.te Colombine, alta Valle del Caffaro; Dosso Alto,
Cima Caldoline).
Sintaxa di riferimento: Mugo-Rhododendretum irsuti.
Ecologia: Detrito calcareo consolidato, a forte drenaggio, con buona disponibilità di calcare libero.
Contenuti floristici significativi: Cypripedium calceolus, Rhodotamnus chamaecytisus, Silene elisabethae (nelle
aperture su substrati compatti) e differenti elementi del Caricion firmae s.l.
Specie arboree più frequenti: Larix decidua e Pinus cembra (sempre rari e di taglia ridotta).
Tipologie forestali di riferimento: Differenti tipi di mughete.
Contatti seriali: Thlaspion rotundifolii, Caricetum firmae s.l.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Contatti catenali: Ghiaioni e macereti calcarei (Habitat 8120); Pareti rocciose calcaree (Habitat 8210); Praterie
calcaree più o meno discontinue.
Grado di stabilità: Cenosi stabile (anche in virtù della posizione su conoidi in parte ancora attivi).
Condizioni di rischio: In alcuni casi rapida evoluzione verso formazioni boschive; in altri, processi erosivi spesso
conseguenti ad interventi apparentemente insignificanti.
Indirizzi gestionali: Arrestare eventuali fenomeni erosivi. Rallentare l’evoluzione verso compagini boschive.
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Interventi, anche modesti, sui coni di detrito
(compreso bacino alimentatore e piede della scarpata) (innescano processi destabilizzanti ed erosivi devastanti).
Tipologie analoghe o assimilabili: - Formazioni a Pinus uncinata in forma eretta (Habitat 9430); - Mughete su
argilloscisti o su suoli decalcificati (a Sorbus chamaemespilus e Rhododendron intermedium) (Sorbo chamaemespilipinetum mugi) (P.sso dei Campelli); - Mughete acidofile con Juniperus nana, Arctostaphylos uva ursi, Polygala
chamaebuxus) su substrati cristallini grossolani (gande) (M.te Piccolo-M.te Colmo) ed arenacei (in disfacimento);
spesso in contatto seriale e catenale col varieto; - Mughete acidofile con sfagni ed elementi boreo-artici (con sfagni,
Betula pubescens, Empetrum) (alta Val Paisco); - Mughete su suoli torbosi (Habitat 91D3) boscaglie di Pino montano
su torba (non più attiva) in rilevato e drenata con qualche sporadica presenza di specie relitte degli Sphagnetalia fusci
e degli Sphagnetalia magellanici (Pinetum rotundatae); - Mughete microterme (impostate su fomazioni a Carex
firma, a Dryas octopetala, a Salix reticulata e S. retusa); - Mughete microterme delle bocche da freddo (c/o Rifugio
Iseo, Val Clegna); - Mughete dealpinizzate (Amelanchiero ovalis-pinetum mugo) (Casto); - Mughete secondarie da
invasione post-pascolo (M.te Caplone et al.).
Habitat 6150 Formazioni erbose boreo-alpine silicee (CORINE 36.32)
Tipologia: Praterie alpine acidofile stabili.
Sintaxa rappresentativi: Caricion curvulae, Festucion variae.
Fisionomia: Formazioni erbacee sviluppate oltre il limite superiore degli arbusti nani. Le praterie naturali sono oggi
intercalate a formazioni seminaturali e secondarie derivanti dalla gestione del territorio che ha favorito l’espansione
di aree da destinare al pascolamento del bestiame.
Ecologia: La variabilità nel chimismo del substrato, nelle condizioni ecologiche e stazionali determina la
diversificazione delle seguenti tipologie. Curvuleti: praterie naturali tipiche dei pianori e delle dorsali delle catene
montuose centroeuropee, a quote comprese tra i 2500 e i 2700 m. Rappresentano la vegetazione climax
dell’orizzonte alpino e prediligono suoli evoluti, a pH acido, ricchi di humus, con buona disponibilità idrica e con
discreta copertura nevosa a protezione dal disseccamento e dal gelo invernali. Varieti: praterie delle Alpi meridionali,
tipiche dei versanti ripidi esposti a sud, quindi assolati e aridi, su suoli acidificato e ricco di humus. I grandi cespi si
dispongono in lunghe file a costituire delle gradinate accentuate anche dal calpestio del bestiame.
Contenuti floristici significativi: Carex curvala, Soldanella alpina, Senecio incanus, Gentiana verna, Festuca
scabriculmis, Prunella grandiflora, Allium victorialis, Hypochoeris uniflora, Pulsatilla sulphurea.
Contatti catenali: Formazioni erbose di Nardus stricta (Habitat 6230); Ghiaioni silicei (Habitat 8110).
Grado di stabilità: Vegetazioni climaciche stabili
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Condizioni di rischio: Fenomeni erosivi gravitativi, soliflussi. Eccesso di frequentazione localizzata.
Indirizzi gestionali: Contenere l’eccesso di pascolo (soprattutto sui pendii meno acclivi). Mantenere l’integrità del
cotico erboso.
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Per i curvuleti, apertura di piste (vegetazione
restia alla cicatrizzazione).
Habitat 7140 Torbiere di transizione e instabili (CORINE 54.5)
Tipologia: Torbiere basse e torbiere intermedie di transizione instabili
Sintaxa rappresentativi: Scheuchzerio-Caricetea fuscae, Sphagnetalia magellanici
Fisionomia: Acquitrini, prati torbosi a cyperacee, aggallati, prati torbosi instabili dominati da ciperacee di piccola
taglia su tappeti di sfagni, mosaici di prati torbosi con intercalati cumuli di sfagni
Ecologia: Acquitrini e stazioni con ristagno di acqua (torbiere montane, subalpine e alpine). Ex modesti corpi lacustri
ormai estinti. Sistemi di depressioni dei terrazzi glaciali subalpini e alpini. Tasche e depressioni fra le morene
oloceniche.
Contenuti floristici significativi: Carex fusca, Carex rostrata, Carex magelanica, Trichophorum alpinum,
Trichophorum caespitosum, Eryophorum angustifolium, Eryophorum latifolium, Eryophorum vaginatum, Eryophorum
scheuchzeri, Drosera rotundifolia, Drosera anglica, Utricularia minor, Sphagnum magellanicum, Sphagnum fuscum,
Sphagnum rubellum, Andromeda polifolia, Vaccinium microcarpum, Majanthemum bifolium, Menyanthes trifoliata.
Contatti catenali: Acque libere (pozze di torbiera), praterie più o meno igrofile montane, subalpine e alpine, rupi e
macereti
Grado di stabilità: Vegetazioni a rapida evoluzione in funzione della velocità di accumulo di torba e/o di
interramento e successivo distacco dalla falda con conseguente drenaggio della vegetazione
Condizioni di rischio: Gli ambienti di torbiera sono caratterizzati da una rapida dinamica controllata
prevalentemente dal fattore disponibilità d’acqua: pericolo di drenaggi soprattutto nell’orizzonte montano. Altri
elementi tuttavia entrano in gioco in modo determinante: prime fra tutte le variazioni del chimismo (pH e
disponibilità di nutrienti) con conseguenze negative sul sistema quali: -ingresso di specie invasive (differenti a
seconda della quota); -diffusione delle vegetazioni ruderali proprie degli ambienti fortemente disturbati (negli
orizzonti inferiori) con conseguente banalizzazione delle vegetazioni turficole; -avanzata del bosco o degli arbusteti; eccessiva pressione del pascolo.
Indirizzi gestionali: Mantenimento dello stato di fatto: un persistente abbassamento della falda sarebbe esiziale per
la vegetazione idro-igrofila così come una persistente sommersione. Monitoraggio della qualità delle acque e del
comportamento delle specie invasive. Regolamentare la frequentazione
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Sono comunque da sottoporre a valutazione di
incidenza tutti gli interventi, nessuno escluso, progettati all’interno del SIC, trattandosi di un complesso mosaico di
habitat concentrati su una superficie tutto sommato contenuta. Sono comunque da sottoporre a valutazione di
incidenza tutti gli interventi previsti nell’ambito del bacino imbrifero del SIC in quanto direttamente o indirettamente
hanno inferenza con questo habitat. In particolare sono da tenere in considerazione gli interventi che comportano: variazione del regime dei suoli (variazioni colturali, tagli e/o impianti boschivi, interventi edilizi anche minimi,
bonifiche di qualsiasi natura); - modificazioni del bilancio idrologico in termini quantitativi e/o qualitativi
35
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Habitat 9420 foreste silicicole alpine di Larix decidua e Pinus cembra (CORINE 42.31)
Tipologia: Formazioni pure a larice o a pino cembro e consorzi misti delle due specie.
Sintaxa rappresentativi: Vaccinio-Rhododendretum ferruginei laricetosum.
Fisionomia: Nelle alpi continentali si rinvengono boschi misti nei quali dominano alternativamente le due essenze,
larice e cembro mentre nel sottobosco dominano ericacee e ginepro. Oggi solo pochissime foreste di larice sono da
considerarsi naturali perché molto spesso questa essenza è stata utilizzata nelle opere di rimboschimento. Sono per
contro frequenti i “lariceti a parco” in cui i larici si sviluppano distanziati gli uni dagli altri, e ospitano un sottobosco a
pascolo.
Ecologia: Lariceti e cembrete si estendono rispettivamente dai 1300 e 1500 m fino oltre i 2200 m di quota,
costituendo il limite superiore della vegetazione arborea. Sono formazioni per lo più indifferenti alla natura del
substrato; alle alte quote raramente acqua e chimismo del suolo rappresentano fattori limitanti la distribuzione delle
specie, mentre lo sono di più il calore, la durata del periodo vegetativo, il tempo di permanenza della neve al suolo.
Entrambe le specie ben si adattano al clima rigido delle vallate continentali alpine.
Contenuti floristici significativi: Linnaea borealis, Listera cordata, Juniperus communis, J. nana, Vaccinium spp.,
Rhododendron ferrugineum, Calluna vulgaris, Arctostaphylos uva-ursi, Calamagrostis varia, Avenella flexuosa,
Galium anysophyllum, Hieracium sylvaticum, Homogyne alpina. Su calcare: Rhododendron hirsutum, Erica herbacea,
Sesleria albicans.
Specie arboree più frequenti: Larix decidua, Pinus cembra, Pinus mugo.
Contatti catenali: Boschi misti di conifere, vegetazione delle rupi e dei macereti, brughiere, pascoli e praterie alpine.
Grado di stabilità: Vegetazioni stabili, climaciche.
Condizioni di rischio: Incendi, particolarmente dannosi soprattutto per le formazioni a dominanza di conifere.
Apertura di linee di penetrazione, quali strade e impianti da sci.
Indirizzi gestionali: Normare i boschi e seguire le tecniche della silvicoltura naturalistica tendendo di regola all’alto
fusto disetaneo a composizione arborea mista ma in alcuni casi (cembrete pure) alla monospecificità. Salvaguardia
individui monumentali.
Rigida salvaguardia dei microhabitat che ospitano le specie erbacee più significative. A scala di sito, la strategia di
conservazione deve prevedere:
-nelle zone interessate da fenomeni di erosione, la riduzione al minimo delle azioni che li possano innescare, come
apertura di nuove strade, sovrappascolo, incendi e altre azioni di disturbo (inteso, in senso stretto, come asporto
eccessivo di biomassa);
-quando gli habitat forestali ospitano anche specie animali d’interesse comunitario (o comunque d’interesse
conservazionistico), possono essere pianificati interventi selvicolturali tesi al miglioramento delle condizioni che le
favoriscono;
-misure di pianificazione antincendio boschivo;
-misure di regolamentazione degli accessi e dei flussi turistici e delle attività di fruizione (sentieristica per trekking,
mountain bike, ecc.), sulla base delle caratteristiche di vulnerabilità degli habitat (ad esempio, rischio di erosione del
suolo).
36
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Elementi da tenere in considerazione nelle valutazioni di incidenza: Dovranno essere tenuti sotto controllo,
attraverso la valutazione d’incidenza, i progetti e/o le attività che possono comportare sovraccarichi ambientali
legati al turismo di massa, invernale e estivo (costruzione di attrezzature e impianti di risalita, proliferazione di
seconde case e infrastrutture connesse), la realizzazione d’impianti di produzione energetica e la realizzazione
d’infrastrutture di trasporto.
Habitat 8110 Ghiaioni silicei dei piani montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladani)
(CORINE 61.10)
Tipologia: Ghiaioni dei campi antistanti i ghiacciai o alle morene, detriti che ricoprono i pendii sotto pareti rocciose o
che riempiono i canaloni, falde di detrito non stabilizzate e continuamente alimentate.
Sintaxa rappresentativi: Androsacetalia alpinae.
Fisionomia: Vegetazioni pioniere rade e discontinue dei ghiaioni e delle pietraie silicee.
Ecologia: Si tratta di vegetazioni altamente specializzate e adattate alle condizioni proibitive in cui vivono: substrato
incoerente, mancanza di un suolo evoluto, forti escursioni termiche diurne, brevità del periodo vegetativo (per
quelle di quota più elevata), azione degli agenti atmosferici, disturbo meccanico.
Contenuti floristici significativi: Androsace alpina, Ranunculus glacialis, Cryptogramma crispa, Agrostis schraderana,
Oxyria digyna, Luzula alpino-pilosa.
Contatti catenali: Praterie, cespuglieti e boschi montani, subalpini e alpini; vegetazione delle rupi, vegetazione
periglaciale e delle morene, vallette nivali.
Grado di stabilità: Rappresentano stadi transitori di colonizzazione di substrati incoerenti o associazioni stabili, a
seconda del grado di disturbo a cui sono sottoposte in funzione della distanza del pendio dall’angolo di riposo.
Condizioni di rischio: Processi erosivi spesso conseguenti ad interventi apparentemente insignificanti possono avere
effetti devastanti.
Indirizzi gestionali: Massima cautela negli interventi, soprattutto alla base dei conoidi.
IT2070013 “GHIACCIAIO DELL’ADAMELLO”
Habitat * 8340 Ghiacciai permanenti (CORINE 53.3)
Tipologia: Ambienti glacializzati con presenza di calotte o ghiacciai vallivi.
Fisionomia: Presenza di licheni o vegetazione pioniera solo nelle porzioni abbandonate dal ghiaccio. Bassa diversità,
trattandosi di un ambiente limite.
Contatti seriali: Le vegetazioni della serie di colonizzazione post-ritiro
Contatti catenali: Vegetazione delle rupi, delle morene, dei macereti, delle vallette nivali
Condizioni di rischio: Cambiamenti climatici, inquinamento atmosferico, pressione antropica per lo sfruttamento
turistico.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Indirizzi gestionali: Attenzione nella manutenzione della rete sentieristica per avere il minor impatto possibile. Se
presenti gli impianti di risalita devono avere una manutenzione costante per evitare qualsiasi possibilità di
inquinamento diretto o indiretto.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
LA GRANDE GUERRA
Il territorio in esame è caratterizzato, oltre che dalla presenza di elevati valori naturalistici, ambientali e
pedologici, da una notevole rilevanza storica. Nel corso del Primo conflitto mondiale, l'estremità occidentale del
fronte italo-austriaco attraversava i due imponenti gruppi montuosi dell'Ortles-Cevedale e dell'Adamello-Presanella;
su questa linea si sono combattute numerose battaglie anche ad oltre 3000 metri di quota, in condizioni ambientali e
climatiche difficilissime. Sull'Adamello tutte le azioni, svoltesi nei diversi anni, tendevano sostanzialmente a
scardinare, direttamente o indirettamente, il caposaldo austriaco dei Monticelli, in modo da poter aver via libera sul
Passo del Tonale. Gli Austriaci avevano disposto trinceramenti e scavato numerose caverne lungo la linea del fronte
che collegava i Monticelli alle alture del Tonale orientale. Inoltre avevano occupato anche i Passi Paradiso,
Castellaccio e Lagoscuro che dominavano la conca di Ponte di Legno.
L’importanza storica deriva, oltre che dagli eventi che si sono susseguiti, dalla presenza di numerose tracce
lasciate dagli uomini che qui vissero combattendo per quasi tre anni e mezzo (il fronte fu quasi immobile per lungo
tempo): ricchissima rete di vie di comunicazione (strade, mulattiere, sentieri), elementi specifici di una guerra di
posizione (trincee, camminamenti, postazioni per armi leggere, postazioni d'artiglieria, gallerie, casematte, ecc.), ma
anche ricoveri per uomini, animali e materiali (caserme, baracche, villaggi, depositi, stalle), nonché manufatti diversi
e strutture fortificate di ogni genere (forti, blockhaus, tagliate, ecc.).
Questi elementi rappresentano testimonianze storiche e culturali importanti per il mantenimento di una memoria
storica di eventi che hanno fortemente segnato il territorio e l’evoluzione culturale e sociale delle comunità locali.
Si tratta inoltre di elementi che possono rappresentare fonte di attrazione per una fruizione turistica che associa gli
interessi storico-culturali a quelli ambientali. A tal proposito è opportuno rilevare come nel Comune di Temù sia già
stato organizzato e reso fruibile il “Museo della Guerra Bianca” in cui sono raccolti ed esposti materiali, documenti e
testimonianze della Prima Guerra Mondiale.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
IL SISTEMA BOSCO-LEGNO E GLI OBIETTIVI GESTIONALI
PIANI D’ASSESTAMENTO FORESTALE (PAF)
I boschi di proprietà dei Comuni di Incudine, Ponte di Legno, Temù, Vezza d’Oglio e Vione si estendono su una
superficie complessiva pari a circa 8.700 ha (cfr. cap. 3) che in rapporto ad una superficie totale dei territori comunali
di circa 25.370 ha definisce un indice di boscosità corrispondente a 34,29%.
Tutte le proprietà comunali sono dotate di Piano di Assestamento Forestale (PAF) in vigore o in corso di revisione.
Piani di Assestamento Forestale
Comune
Temù
Vione
Vezza d’Oglio
Incudine
Ponte di Legno
Periodo validità
2007-2021
2005-2019
2001-2015
1996-2010
1993-2002
Superficie totale lorda (ha)
4.257,4389
2.982,5754
4.527,1228
1.521,6365
7.373,8977
In una visione di sintesi complessiva i contenuti e/o obiettivi assestamentali riscontrati sono riconducibili ai seguenti:
-
valorizzazione economica dei boschi con attitudine produttiva secondo i criteri di una selvicoltura
ecologicamente sostenibile;
-
individuazione di trattamenti selvicolturali tendenti principalmente a favorire la rinnovazione naturale, e ad
incrementare la complessità strutturale e la biodiversità dei popolamenti;
-
valorizzazione delle funzioni turistico-ricreative e naturalistico-paesaggistiche;
-
determinazione delle riprese reali secondo criteri colturali;
-
prudenzialità delle riprese in riferimento ai tassi d’incremento determinati.
E’ riscontrabile inoltre una sostanziale unitarietà di orientamenti selvicolturali derivanti da consolidate esperienze
relativamente all’assestamento delle foreste alpine di peccio e larice.
Di seguito si riportano in maniera schematica i principali contenuti assestamentali dei Piani dei singoli comuni.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙPONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Comune di Vezza d’Oglio
Piano di Assestamento 2001-2015 (Dott. G. Gregorini)
CLASSE A - Pecceta montana mesofila (Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici)
Superficie
ha
Superficie produttiva
ricadente all'interno
del PIF
ha
Normalità o orientamenti colturali
441,268
420,900
Fustaia mista disetanea per piccoli gruppi;
Provvigione normale
280 m3 ha-1
Trattamento o interventi colturali
taglio saltuario a gruppi, taglio raso a strisce e a buche
3
Provvigioni
mc
Provv. Partt. del PIF
mc
Riprese annue
mc
Ripresa annua particelle del
PIF
mc
119.502
119.502
980
980
(117.880 m )
CLASSE B - Pecceta montana xerofila a ericacee (Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli xerici)
178,722
Fustaia mista disetanea per piccoli gruppi;
mantenimento aree rinnovazione e spessine
CLASSE C – Lariceto montano (Lariceto tipico variante montana, Lariceto in successione con pecceta, Lariceto tipico con frassino)
113,8064
Pecceta mista a larice
208 m3 ha-1
2
3
(35.714 m )
240 m3 ha-1
3
taglio saltuario a gruppi, taglio raso a strisce e a buche (500-1000 m )
39.540
320
taglio raso a strisce su superfici non troppo piccole
27.040
240
taglio raso a strisce su superfici non troppo piccole
82.808
35.625
560
taglio saltuario per pedali
17.200
4.540
/
Trattamento o interventi colturali
Provvigioni
mc
Provv. Partt. del PIF
mc
Riprese annue
mc
Ripresa annua particelle del
PIF
mc
(26.280 m )
Lariceto: fustaia coetaneiforme monoplana nei lariceti.
200 m3 ha-1
CLASSE D – Lariceto tipico e Peccete altimontane e subalpine (Lariceto tipico, Peccete altimontane e subalpine dei substrati silicatici dei suoli sia
mesici che xerici
499,774
198,700
CLASSE H – Peccete e lariceti subalpini e dei consorzi rupicoli a picea e larice (Lariceto tipico, Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli mesici e xerici, Lariceto primitivo, Alneto di ontano verde, Larici-cembreto primitivo)
595,995
137,000
Fustaia mista disetanea pluristratificata per gruppi
Superficie
ha
Superficie produttiva
ricadente all'interno
del PIF
ha
Normalità o orientamenti colturali
Provvigione normale
306,3047
214,500
Fustaia disetanea, polistratificata, polispecifica (favorire
specie minoritarie soprattutto latifoglie)
268-296 m ha
70,500
Fustaia disetanea, polistratificata, polispecifica (favorire
specie minoritarie soprattutto larice)
266-284 m ha
Comune di Temù
Piano di Assestamento 2007-2021 (Dott. R. Mariotti)
CLASSE A - Pecceta montana mesofila (Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici)
CLASSE B - Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici
3
Pecceta: fustaia disetanea a gruppi
3
(da 59.599 a 71.519 m )
111,6881
3
-1
(82.291 m3)
3
-1
(26.733 m3)
3
CLASSE C – Lariceto di produzione (Lariceto tipico variante montana; Lariceto in successione con pecceta)
CLASSE H – Fustaia di protezione (Lariceto tipico, Lariceto in successione con pecceta, Pecceta montana, altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli mesici e xerici)
CLASSE K – Peccete montane e altimontane/subalpine, lariceti in successione con pecceta; funzione turistico-ricreativa (Peccete montane dei
substrati silicatici dei suoli mesici, Lariceti in successione con pecceta)
Comune di Vione
Piano di Assestamento 2005-2019 (Dott. R. Mariotti)
CLASSE A - Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici e xerici
CLASSE B - pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici e xerici
CLASSE C – Lariceto di produzione (Lariceto tipico variante montana; Lariceto in successione con pecceta)
227
(93.740 m )
100/120 m3 ha-1
134,17
614,5629
Insediamento del tipo potenziale, o tipo climax
280,500
Fustaia multiplana, disetaneiforme; aumento
componente arbustiva, aumento abete rosso e
mescolanza specifica
Fustaia disetanea, polistratificata, polispecifica (favorire
specie minoritarie)
220 m ha
-1
(21.525m3)
non indicata
3
232/272 m ha
Taglio a buche, a strisce e marginale; taglio sgombero, a gruppi, ad orlo; taglio di
curazione e saltuario
105.904
79.889
567
417
Taglio a buche, a strisce e marginale; taglio sgombero, a gruppi, ad orlo; taglio di
curazione e saltuario
31.629
18.580
153
113
Taglio di sgombero; taglio saltuario per piede d’albero o per gruppi o a strisce o
marginale
24.269
Tagli di sgombero, tagli saltuari a gruppi, a strisce, marginali o per piede d’albero
52.508
27.770
147
Tagli colturali puntuali (scopi fitosanitari ed estetici)
76.902
76.995
/
173
Riprese annue
mc
Ripresa annua particelle del
PIF
mc
83
87
-1
307,0462
297,500
Superficie
ha
Superficie produttiva
ricadente all'interno
del PIF
ha
Normalità o orientamenti colturali
Provvigione normale
Trattamento o interventi colturali
Provvigioni
mc
343,9741
218,100
Fustaia disetanea, polistratificata, polispecifica (favorire
specie minoritarie soprattutto latifoglie)
281-312 m3 ha-1
Taglio a buche, a strisce e marginale; taglio sgombero, a gruppi, ad orlo; taglio di
curazione e saltuario
121.157
89.192
760
660
Taglio a buche, a strisce e marginale; taglio sgombero, a gruppi, ad orlo; taglio di
curazione e saltuario
75.678
36.683
529
289
taglio di sgombero; taglio saltuario per piede d’albero o per gruppi
19.746
41.154
245,4788
109,700
Fustaia disetanea, polistratificata, polispecifica (favorire
specie minoritarie soprattutto larice)
94,3704
Insediamento del tipo potenziale, o tipo climax
389,2158
Fustaia multiplana, disetaneiforme; aumento
componente arbustiva, aumento abete rosso e
mescolanza specifica
3
(78.888 m )
3
(94.599 m )
3
-1
248-284 m ha
3
(63.045 m )
190-256 m3 ha-1
3
Provv. Partt. del PIF
mc
60
(21.034 m )
CLASSE H – Fustaia di protezione (Lariceto tipico, Lariceto in successione con pecceta, Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei
suoli mesici e xerici)
CLASSE K – Lariceto tipico e Lariceto primitivo; funzione turistico-ricreativa
161,800
183,0731
non indicata
tagli di sgombero, tagli saltuari a gruppi o per piede d’albero
Lariceto coetaneiforme a gruppi anche ampi;
incremento specie arbustive e arboree
non indicata
Tagli colturali puntuali (scopi fitosanitari ed estetici)
21.763
Provvigione normale
Trattamento o interventi colturali
Superficie
ha
Superficie produttiva
ricadente all'interno
del PIF
ha
Normalità o orientamenti colturali
CLASSE A - Pecceta montana di produzione (Pecceta montana mesofila, Pecceta montana xerofila a ericacee)
560,1926
393,900
Fustaia mista, disetanea a gruppi, pluristratificata
CLASSE B - Pecceta subalpina di produzione
123,919
50,600
non indicati
Comune di Incudine
Piano di Assestamento 1996-2010 (Dott. E. Zanon)
3
245 m ha
3
3
CLASSE C – Pecceta montana di protezione (Pecceta montana mesofila)
30,751
5,500
non indicati
123,500
non indicati
Superficie
ha
Superficie produttiva
ricadente all'interno
del PIF
ha
Normalità o orientamenti colturali
Provvigione normale
269,3893
241,200
Fustaia disetanea per gruppi, incremento presenza
aree fasi di rinnovazione e spessina
(69.700 m )
(5.860 m3)
Comune di Ponte di Legno
Piano di Assestamento 1993-2002 (Dott. G. Gregorini)
CLASSE A - Pecceta montana mesofila di produzione (Pecceta montana mesofila)
165 m ha
270 m3 ha-1
3
240 m3 ha-1
441,8395
347,000
Fustaia disetanea per gruppi
CLASSE C – Fustaia ad attitudine produttiva della pecceta subalpina in fase di ricostituzione (Pecceta subalpina fresca)
224,353
196,000
Ricostituzione della pecceta; fustaia mista di picea e
larice disetanea per piccoli gruppi
Provv. Partt. del PIF
mc
Riprese annue
mc
Ripresa annua particelle del
PIF
mc
Taglio marginale, a scelta di piccoli gruppi, di sgombero
134.268
91.919
517
365
non descritti
17.241
5.491
65
27
90
non descritti
900
non descritti
9.359
5.259
/
/
Trattamento o interventi colturali
Provvigioni
mc
Provv. Partt. del PIF
mc
Riprese annue
mc
Ripresa annua particelle del
PIF
mc
Taglio saltuario a gruppi; localmente taglio raso a buche (fino a 500-1000 m2)
71.592
66.249
420
372
Taglio saltuario a gruppi
90.366
76.745
400
346
Taglio soggetti adduggianti; tagli fitosanitari o di diradamento tardivo
9.018
9.044
20
12
-1
(36.712 m3)
CLASSE B - Pecceta subalpina fresca
Provvigioni
mc
-1
228,8018
3
CLASSE H – Lariceto subalpino di protezione
73
-1
(21.798 m3)
196 m ha
24
-1
(135.000 m3)
180 m ha
18.010
3
(101.400 m )
CLASSE H – Pecceta subalpina di protezione
CLASSE I - Lariceto subalpino (Lariceto subalpino d’alta quota)
CLASSE Y – Alneto e consorzi rupicoli
160 m3 ha-1
3
(35.896 m )
40 m3 ha-1
226,754
Consolidamento biocenosi, assistenza colturale con
taglio soggetti secchi o deperienti
Tagli fitosanitari
9.359
(9.359 m )
306,9
Consolidamento biocenosi, assistenza colturale con
taglio soggetti secchi o deperienti
120 m ha
3
(34.560 m )
Tagli fitosanitari
30.690
/
/
/
/
/
/
393
282,000
41
3
3
/
-1
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
UTILIZZAZIONI FORESTALI
La normativa vigente (art. 50 L.R. 31/2008) prevede che le utilizzazioni boschive siano eseguite in conformità con le
Norme Forestali Regionali. Le autorizzazioni sono gestite dagli Enti Locali delegati in materia; nel territorio studiato
responsabile della gestione è l’Ufficio gestione delle risorse del Parco dell’Adamello che si occupa delle autorizzazioni
all’interno del territorio del Parco.
Secondo la L.R. 9/77 (Norme di tutela della vegetazione nei Parchi istituiti con Legge Regionale), chiunque intenda
effettuare utilizzazioni boschive è tenuto a presentare apposita denuncia di taglio; le piante di alto fusto che si intende
tagliare dovranno essere preventivamente contrassegnate dall’Ente gestore del Parco.
Nel periodo 2002-2006, nel territorio oggetto del presente Piano, sono state rilasciate le seguenti autorizzazioni (dati
forniti dal Parco dell’Adamello):
Autorizzazioni
AU
ASPR
ASPE
RTPR
RTPE
PTPR
PTPE
AN
n°
0
172
55
28
29
2
32
12
AU - autorizzazioni d’ufficio, rilasciate senza alcun contrassegno forestale
ASPR - autorizzazioni semplici superfici private
ASPE - autorizzazioni semplici superfici pubbliche
RTPR - relazione di taglio superfici private
RTPE - relazione di taglio superfici pubbliche
PTPR - progetto di taglio superfici private
PTPE - progetto di taglio superfici pubbliche
AN - richiesta alberi di natale
In totale, nel territorio in esame, risultano rilasciate 330 autorizzazioni nel periodo 2002-2006; tale numero non si
discosta dalla media delle autorizzazioni rilasciate negli anni precedenti a questo periodo.
L’analisi di tali dati mostra come circa il 70% delle autorizzazioni rilasciate siano di tipo semplice, cioè per le quali non
è necessario presentare alcuna relazione o progetto di taglio; si tratta di singoli tagli che interessano superfici ridotte e
scarsi volumi di prelievo.
Solo il 10% delle autorizzazioni corrisponde ad utilizzazioni per le quali è necessario un progetto di taglio.
Generalmente tali utilizzazioni corrispondono ai tagli ordinari previsti dai Piani di Assestamento Forestale, e sono
riferibili a lotti boschivi a fini commerciali. Per il periodo 2002-2006 la maggior parte di tali autorizzazioni è
riconducibile ai lavori di ampliamento del demanio sciabile.
Una parte considerevole (25%) delle autorizzazioni riguarda l’esercizio dei diritti di uso civico (ASPE, RPTE).
Infine, considerando il tipo di proprietà per la quale sono state fatte le denunce di taglio, circa il 60% delle
autorizzazioni riguarda superfici forestali di proprietà privata.
Autorizzazioni forestali 2002-2006
10%
4%
Autorizzazioni semplici
17%
Relazione di taglio
Progetto di taglio
69%
Richiesta alberi di natale
Figura 1 - Grafico relativo ai tipi di autorizzazione rilasciate dal Parco dell’Adamello nell’ambito del territorio del Parco stesso.
42
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Di seguito si riporta la tabella riportante i dati diametrici delle piante di alto fusto contrassegnate con martello
forestale e i corrispondenti volumi legnosi. I dati sono riferiti al periodo 2002-2006 e al territorio dei comuni di
Incudine, Vezza d’Oglio, Vione, Temù, Ponte di Legno ricadente nel Parco.
Alberi contrassegnati con martello forestale (proprietà pubbliche e private)
Abete rosso
Larice
Altro
tot
Classe
diametrica
15
20
25
30
35
40
45
50
55
60
65
70
75
80
Totale
n.
VCrm*
n.
VCrm*
n.
VCrm*
n.
VCrm*
7562
4178
3266
2788
2266
1927
1374
924
450
236
95
45
12
3
25126
718,54
945,16
1328,47
1818,94
2071,49
2322,5
2109,94
1750,82
1011,21
643,19
302,26
156,29
47,2
15,63
15241,64
514
515
577
655
686
601
392
248
109
51
17
7
2
1
4375
10,48
99,36
199,58
327,23
469,42
523,86
451,31
352,93
192,17
102,02
40,16
20,74
6,1
3,3
2798,66
436
197
78
54
15
13
2
7
1
1
1
1
0
1
807
38,92
41,84
28,25
31,98
13,79
15,58
2,91
14,65
2,98
2,45
3,8
4,42
0
5,78
207,35
8512
4890
3921
3497
2967
2541
1768
1179
560
288
113
53
14
5
30308
767,94
1086,36
1556,3
2178,15
2554,7
2861,94
2564,16
2118,4
1206,36
747,66
346,22
181,45
53,3
24,71
18247,65
3
*valori in m . Il calcolo volumetrico (volumi unitari per classe diametrica) viene effettuato facendo riferimento alle
serie diametriche contenute nei Criteri di compilazione dei Piani d’Assestamento attualmente in vigore in Lombardia.
Nel caso delle latifoglie, per le quali solo il faggio è stato inserito nelle serie, si è utilizzato il valore attribuito a
quest’ultimo., pur ammettendo sovrastime del 30%.
3
Al totale di 18.247,65 m , riferito alle utilizzazioni autorizzate con progetti o relazioni di taglio, che prevedono il
contrassegno delle piante con martello forestale, è necessario sommare il dato di prelievo relativo alle utilizzazione
cosiddette “forfettarie”, la cui autorizzazione è rilasciata sulla base di stima sintetica del volume asportabile (senza
cioè obbligo di preventiva contrassegnatura delle piante). Per il periodo 2002-2006 il volume riferibile alle
3
autorizzazioni “forfettarie” ammonta a 1.655,53 m . La massa legnosa complessivamente utilizzata nel periodo 20023
2006 ammonta così a 19.903,18 m .
La parte più considerevole di tale valore, per la quota di circa il 70%, corrisponde alle utilizzazioni per l’ampliamento
3
del demanio sciabile: sono infatti stati asportati a tal fine circa 14.250 m di legname d’alto fusto.
USI CIVICI
L’intera proprietà pubblica dell’ALTO PARCO è gravata da diritti d’Uso civico la cui gestione amministrativa compete
alla singole amministrazioni proprietarie.
L’esercizio dell’Uso civico è disciplinato da regolamenti predisposti da ogni singolo Comune.
All’interno dei regolamenti vengono indicate le modalità con le quali i soggetti aventi diritto, residenti e domiciliati nei
comuni, possono esercitare i diritti d’uso ed accedere ai beni.
I diritti tradizionalmente riguardano:
43
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
la raccolta di legna secca e verde lasciata in bosco dopo l’utilizzazione dei lotti messi all’asta dalle Amministrazioni
Comunali (ramaglie e cimali);
l’assegnazione di legname da opera per rifabbrico (necessità da parte dei residenti di ripristinare o ricostruire
fabbricati civili o rurali danneggiati da incendio, valanghe o altre calamità colpose o naturali);
il taglio per legna da ardere (focatico);
diritto di pascolo;
diritto di raccolta dello strame e dei frutti del sottobosco.
Nella tabella seguente, sono riassunti in modo sintetico i principali contenuti dei regolamenti riguardanti le
assegnazioni di legname e/o legna: soggetti interessati, tempistica di presentazione della domanda, la quantità
massima assegnabile, le prescrizioni per le utilizzazioni o raccolta, i criteri di definizione dei prezzi.
44
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙPONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
COMUNE
TIPO
SOGGETTI
INTERESSATI
TEMPISTICA DOMANDA
QUANTITÀ
PRESCRIZIONI
PREZZO
entro 15 febbraio
viene fissato da
una commissione legname martellato, sgombero delle
che valuta le
ramaglie e residui del taglio
domande
commerciale diminuito del 30% manutenzione ordinaria
e del 15% per altri usi
residenti e
domiciliati
chi non ne vuole usufruire entro il
mese di febbraio deve
comunicarlo al comune
stabilita per
persona ogni
anno
non deve impiegarsi per altro uso
il prezzo dell’abbonamento viene stabilito dal consiglio
comunale ogni anno
Legname
residenti e
domiciliati
entro 1 febbraio
in base alla
domanda e
all’utilizzo
legname martellato, il comune
esegue il taglio allestimento e
avvallamento
stabilito dall’autorità forestale a cui si aggiunge la spesa
del taglio
Legna
residenti e
domiciliati
nella zona, al solivo
solo abitanti delle
frazioni
entro il 1 marzo
individuata area
dove poter
raccogliere
raccolta dal 1 settembre al 15
maggio
corrisponde alla metà di quello indicato per il legname
Legname
residenti e
domiciliati
Legna
PONTE DI LEGNO
VEZZA D’OGLIO
legname
proprietari
fabbricati
dal 1 gennaio al 31 marzo
massimo 5 m3
taglio, allestimento
e trasporto dal 1 aprile al 31
ottobre
1/2 del prezzo commerciale se totale
legname < 2 m3
più costo
2/3 del prezzo commerciale se totale
martellata
legname >2 < 5 m3
prezzo commerciale se totale legname > 5
m3
Legna
residenti e
domiciliati
entro il 31 marzo bisogna
dichiarare se si vuole altrimenti si
paga
uso famigliare
taglio allestimento e trasporto dal 1
aprile fino al 31 ottobre
tassa fissa
Legname
residenti e
domiciliati
richiesta con motivazione di
utilizzo
3 m3 per
capofamiglia
la quantità può essere maggiore in
caso di calamità;
è a carico dei cittadini la pulitura del
bosco nella zona di taglio e della
strada nella zona di carico
delibera della giunta comunale in base al luogo e tipo di
legname
legna
residenti e
domiciliati
è a carico dei cittadini la pulitura del
bosco nella zona di taglio e della
strada nella zona di carico
ogni anno indicato dalla giunta comunale
TEMU’
INCUDINE
dal 1 gennaio al 28 febbraio,
nel caso di legna secca con
dimensioni < ai 15 cm non è
necessaria domanda scritta
3 m3 per
capofamiglia
Tabella 9 Estratto dei regolamenti comunali per la disciplina degli usi civici (per il Comune di Vione non è risultato reperibile nessun documento regolamentare)
45
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
All’attualità i diritti esercitati sono limitati ai prodotti della legna da ardere (Uso focatico) e del legname da opera (Uso
rifabbrico), che oltre ad essere consuetudine e tradizione delle popolazioni residenti, trovano concreta giustificazione
sul piano economico e famigliare, sia per il prezzo elevato dei combustibili da riscaldamento alternativi, sia a motivo
del fatto che molte abitazioni dei residenti utilizzano anche legna da ardere per il riscaldamento e la cucina.
L’esercizio di tali diritti viene riconosciuto ai cittadini residenti sul territorio e concesso agli aventi diritto che ne fanno
richiesta attraverso due principali modalità:
-
utilizzazione dei residui di lavorazione dei prodotti legnosi in bosco al momento dell’allestimento dei lotti di
fustaia posti in vendita dall’Amministrazione Comunale;
-
attraverso l’assegnazione specifica di determinati quantitativi di legna.
Per quanto riguarda il taglio delle latifoglie, la cui presenza é piuttosto scarsa su tutto il territorio, vige la consuetudine
di considerare libero il taglio delle latifoglie all’interno dei periodi consentiti dalle Prescrizioni di Massima e di Polizia
Forestale. In assenza o estrema carenza di boschi cedui tale pratica si esercita sulle formazioni di ontano verde (Alnus
viridis) nei canaloni ripetutamente percorsi da valanghe, e su popolamenti con frassino (Fraxinus excelsior), ontano
bianco (Alnus incana), e con salicone (Salix caprea) e betulla (Betula alba) in prossimità di vallecole o sulle rive dei
corsi d’acqua.
In ogni caso i quantitativi di legna da ardere richiesti annualmente dalla popolazione avente diritto si attestano ad un
3
massimo di circa 250 m per ogni singolo Comune, mentre risulta inferiore la richiesta di legname da opera che si
3
aggira intorno ai 50 m all’anno per Comune (quest’ultimo valore è però suscettibile di forti variazioni in base alle
necessità).
Osservando i contenuti della Tabella 9 risulta evidente come i regolamenti siano alquanto diversi da Comune a
Comune.
L’orientamento dei Comuni in esame, coincidente con la proposta gestionale che emerge dal presente lavoro, prevede
5
che la gestione di tali diritti sia interamente affidata al Consorzio Forestale Due Parchi e pertanto secondo un
regolamento di riferimento unitario per tutto il territorio “Regolamento d’Uso Civico dei Comuni dell’Unione dell’Alta
Valle Camonica”.
Tale condizione sarebbe certamente auspicabile e consentirebbe di valorizzare in maniera concreta le nuove finalità
che si ritiene debbano essere affidate agli usi civici:
-
gestione unitaria degli usi civici per i singoli ambiti territoriali affidata ai consorzi forestali;
-
assegnazioni prevalenti ad indirizzo fitosanitario (bostrico), idrogeologico (schianti) e di riordino (soprassuoli
densi);
-
esclusione dai programmi di assegnazione di tipologie forestali marginali;
-
esclusione dai programmi di assegnazione di soprassuoli ad indirizzo protettivo;
5
La definizione di un regolamento unitario di gestione potrebbe opportunamente coinvolgere anche il Comune di Monno, non ricompreso nel
presente Piano di settore, ma aderente al Consorzio Forestale Due Parchi.
46
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
-
esclusione dai programmi di assegnazione di specie accessorie e specie rare quali il faggio, le querce e le
latifoglie nobili (vedasi il concetto di Specie obiettivo al capitolo Modello di gestione forestale);
-
favorire una maggiore rotazione delle superfici assegnate evitando l’utilizzo reiterato delle stesse superfici.
Oltre a ricercare una omogeneità e una certa innovazione negli indirizzi tecnici in questa sede si ritiene opportuno
proporre al contempo di ricercare una uniformità regolamentare anche per quanto riguarda le modalità e le
procedure per la gestione degli assegni di Uso civico in riferimento alla tempistica della presentazione delle domande,
alle quantità assegnabili, alla determinazione del prezzo, ecc..
Il Consorzio Forestale Due Parchi è il soggetto con i requisiti e le competenze per la definizione precisa di una proposta
di regolamento unitario. Si tratta di individuare i contenuti principali che possono essere condivisi dalle diverse
Amministrazioni e dagli utenti aventi diritto. Alcuni contenuti quali la tempistica per le richieste e le quantità massime
di legname e/o legna ammesse presumibilmente non presentano particolari difficoltà in merito all’individuazione di
parametri unici condivisi; diversamente può essere presumibile per le prescrizioni e le modalità di prelievo, nonché
per la determinazione del costo, viste le diversità degli attuali regolamenti e delle consuetudini dei singoli Comuni. In
ogni caso è opportuno che siano previsti alcuni momenti di confronto tra Consorzio, Amministrazioni e utenti aventi
diritto, per la ricerca delle possibili migliori convergenze su parametri e contenuti di riferimento omogenei per la
predisposizione di un unico regolamento degli Usi civici.
Una uniformità nelle procedure e nelle modalità di esercizio degli usi civici contribuirebbe ad agevolare le attività di
coordinamento e gestione amministrativa e tecnica in carico al Consorzio Forestale Due Parchi.
La definizione e l’adozione di un regolamento omogeneo richiede un percorso amministrativo di modifica o
superamento dei regolamenti vigenti da parte dei singoli Comuni.
Con la Legge Regionale n. 31 del 5 dicembre 2008, Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste,
pesca e sviluppo rurale, Titolo XI (Disposizioni sugli usi civici), la Regione ha promosso, attraverso l’ERSAF, il riordino
degli usi civici per i Comuni della Lombardia, trasferendo alle Province le funzioni amministrative relative ad
alienazioni e mutamenti di destinazione.
LA FILIERA DEL BOSCO-LEGNO
LE PROVVIGIONI LEGNOSE
La massa legnosa delle foreste italiane cresce più velocemente del suo utilizzo. In Italia, infatti, il volume di legname
utilizzato dai boschi è notevolmente inferiore alla sua produzione biologica, consentendo un aumento costante del
3
volume legnoso in piedi. Le foreste italiane, di fatto, presentano un volume di legname superiore a 1 miliardo di m ,
3
3
-1
con una crescita annua pari a 30 milioni di m (34 M m anno nel 1995 dati EUROSTAT).
Di questa produzione, in media, circa un decimo viene utilizzato annualmente, coprendo solo in minima parte il
fabbisogno di materia prima dell’industria italiana.
47
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
In termini di qualità la produzione italiana non si rivela essere particolarmente elevata. Il 60% della produzione è
infatti rappresentato da legna da ardere.
Per quanto concerne l’utilizzo in termini di superficie l’Italia ha una percentuale annua di utilizzo pari a circa 1,1% della
superficie forestale nazionale totale.
Secondo un criterio territoriale si può affermare come la produzione di legname da lavoro sia concentrata per circa il
75% nell’Italia settentrionale alpina ed appenninica, per il 10% nell’Italia centrale e per il restante 15% nell’Italia
meridionale.
Come riferimento indicativo delle provvigioni legnose relative ai soprassuoli forestali presenti nei territori comunali
interessati dal PIF si riportano i dati desunti dai Piani di Assestamento, in vigore o in fase di revisione, che riguardano i
boschi di proprietà dei Comuni. I valori dei volumi sono riferiti all’anno di esecuzione dei rilievi e non comprendono gli
incrementi maturati nel periodo trascorso fino all’attualità. I valori di superficie sono relativi alla superficie forestale
totale (al lordo di improduttivi e produttivi non forestali).
Comune di Vezza d’Oglio
Piano di Assestamento 2001-2015 (Dott. G. Gregorini)
Superficie
ha
Provvigione
reale
totale m
3
Ripresa reale
3
annua m
CLASSE A - Pecceta montana mesofila
441,2680
119.502
980
CLASSE B - Pecceta montana xerofila a ericacee
178,7220
39.540
320
CLASSE C – Lariceto montano
113,8064
27.040
240
CLASSE C – Lariceto tipico e Peccete altimontane e subalpine
499,7740
82.808
560
CLASSE H – Peccete e lariceti subalpini e dei consorzi rupicoli a
picea e larice
595,9950
17.200
TOTALE
Comune di Temù
Piano di Assestamento 2007-2021 (Dott. R. Mariotti)
1829,5654
Superficie
ha
286.090
Provvigione
reale
totale m
3
2100
Ripresa reale
3
annua m
CLASSE A - Pecceta montana mesofila
306,3047
105.904
567
CLASSE B - Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli mesici
111,6881
31.629
153
CLASSE C – Lariceto di produzione
134,1700
24.269
83
CLASSE H – Fustaia di protezione
614,5629
52.508
147
CLASSE K – Peccete montane e altimontane subalpine, lariceti
in successione con pecceta; funzione turistico-ricreativa
307,0462
76.902
48
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
TOTALE
Comune di Vione
Piano di Assestamento 2005-2019 (Dott. R. Mariotti)
1473,7719
Superficie
ha
291.212
950
Provvigione
reale
totale m
3
Ripresa reale
3
annua m
CLASSE A - Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli
mesici e xerici
343,9741
121.157
760
CLASSE B - Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli mesici e xerici
245,4788
75.678
529
CLASSE C – Lariceto di produzione
94,3704
19.746
60
CLASSE H – Fustaia di protezione
389,2158
41.154
24
CLASSE K – Lariceto tipico e Lariceto primitivo; funzione
turistico-ricreativa
183,0731
21.763
90
TOTALE
1256,1122
279.498
1463
Comune di Incudine
Superficie
ha
Piano di Assestamento 1996-2010 (Dott. E. Zanon)
Provvigione
reale
totale m
3
Ripresa reale
3
annua m
CLASSE A - Pecceta montana di produzione
560,1926
134.268
517
CLASSE B - Pecceta subalpina di produzione
123,9190
17.241
65
CLASSE C – Pecceta montana di protezione
30,7510
900
CLASSE H – Lariceto subalpino di protezione
228,8018
9.359
943,6644
268.890
TOTALE
Comune di Ponte di Legno
Piano di Assestamento 1993-2002 (Dott. G. Gregorini)
Superficie
ha
Provvigione
reale
totale m
3
582
Ripresa reale
3
annua m
CLASSE A - Pecceta montana mesofila di produzione
269,3893
71.592
420
CLASSE B - Pecceta subalpina fresca
441,8395
90.366
400
CLASSE C – Fustaia ad attitudine produttiva della pecceta
subalpina in fase di ricostituzione
224,3530
9.018
20
CLASSE H – Pecceta subalpina di protezione
226,7540
9.359
CLASSE I - Lariceto subalpino
306,9000
30.690
CLASSE Y – Alneto e consorzi rupicoli
393,0000
TOTALE
49
1862,2358
211.025
840
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Considerando solo le Classi Colturali con prevalente funzione di produzione legnosa (Classi A, B, C) le proprietà
3
6
3
comunali sono dotate di una provvigione di circa 887.850 m , cui corrisponde una ripresa reale (Rr) annua , 5.114 m ,
7
corrispondente ad un Tasso di utilizzazione annuo pari a 0,58%.
3
Considerando tutte le Classi Colturali la Provvigione reale complessiva ammonta a circa 1.336.715 m , cui corrisponde
3
una Ripresa reale di 5.935 m , ed un Tasso di utilizzazione pari a 0,44%.
Passando a considerare i dati relativi ai soprassuoli assestati ricadenti nell’area d’indagine risulta una superficie
produttiva totale di 3.748,90 ha, una provvigione totale di 761.493,10 mc e una ripresa annua di 4.141 mc.
I boschi non assestati, di prevalente proprietà privata, interessano 672,45 ha e presentano una provvigione totale di
109.620 mc.
Superficie produttiva
ha
Provvigione
mc
Ripresa annua
mc
CLASSE A - Pecceta montana mesofila (Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici)
420,900
119.502
980
CLASSE D – Lariceto tipico e Peccete altimontane e subalpine (Lariceto tipico, Peccete altimontane e subalpine dei substrati silicatici dei
suoli sia mesici che xerici
198,700
35.625
227
CLASSE H – Peccete e lariceti subalpini e dei consorzi rupicoli a picea e larice (Lariceto tipico, Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli mesici e xerici, Lariceto primitivo, Alneto di ontano verde, Larici-cembreto primitivo)
137,000
4.540
756,600
159.667,000
1207
Superficie produttiva
ha
Provvigione
mc
Ripresa annua
mc
CLASSE A - Pecceta montana mesofila (Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici)
CLASSE B - Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici
214,500
70,500
79.889
18.580
417
113
CLASSE H – Fustaia di protezione (Lariceto tipico, Lariceto in successione con pecceta, Pecceta montana, altimontana e subalpina dei
substrati silicatici dei suoli mesici e xerici)
280,500
27.770
87
CLASSE K – Peccete montane e altimontane/subalpine, lariceti in successione con pecceta; funzione turistico-ricreativa (Peccete montane
dei substrati silicatici dei suoli mesici, Lariceti in successione con pecceta)
297,500
76.995
173
863,000
203.234,000
790
Superficie produttiva
ha
Provvigione
mc
Ripresa annua
mc
CLASSE A - Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici e xerici
CLASSE B - pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici e xerici
218,100
109,700
89.192
36.683
660
289
CLASSE H – Fustaia di protezione (Lariceto tipico, Lariceto in successione con pecceta, Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli mesici e xerici)
161,800
18.010
73
489,600
143.885,100
1022
Superficie produttiva
ha
Provvigione
mc
Ripresa annua
mc
393,900
50,600
5,500
123,500
573,500
91.919
5.491
365
27
5.259
102.669,000
392
Superficie produttiva
ha
Provvigione
mc
Ripresa annua
mc
241,200
347,000
196,000
282,000
1.066,200
66.249
76.745
9.044
372
346
12
152.038,000
730
Comune di Vezza d’Oglio
Comune di Temù
Comune di Vione
Comune di Incudine
CLASSE A - Pecceta montana di produzione (Pecceta montana mesofila, Pecceta montana xerofila a ericacee)
CLASSE B - Pecceta subalpina di produzione
CLASSE C – Pecceta montana di protezione (Pecceta montana mesofila)
CLASSE H – Lariceto subalpino di protezione
Comune di Ponte di Legno
CLASSE A - Pecceta montana mesofila di produzione (Pecceta montana mesofila)
CLASSE B - Pecceta subalpina fresca
CLASSE C – Fustaia ad attitudine produttiva della pecceta subalpina in fase di ricostituzione (Pecceta subalpina fresca)
CLASSE Y – Alneto e consorzi rupicoli
6
7
Per Ripresa reale è da intendersi il prelievo annuo definito in applicazione dei trattamenti selvicolturali previsti nei Piani di Assestamento.
Per Tasso di Utilizzazione si intende il rapporto espresso in termini percentuali tra la Ripresa reale (Rr) e la Provvigione reale (Pr).
50
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IL CONTESTO NAZIONALE, REGIONALE E LOCALE
Insieme a Toscana e Lazio la Lombardia è una forte produttrice di legna da ardere, con circa 560 mila metri cubi
all’anno.
La Lombardia è prima regione produttrice di legname da sega/sfoglia e legname per pasta e per pannelli,
principalmente in ragione della rilevante produzione pioppicola nella pianura Padana.
Tabella 10: Utilizzazioni legnose per assortimento e regione, 1997. Migliaia di metri cubi.
LEGNAME DA LAVORO
SPECIE LEGNOSE
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino
Alto
Adige
Bolzano - Bozen
Trento
Veneto
Friuli Venezia G.
Liguria
Emilia - Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
ITALIA
Tondame da
sega, da
trancia e
compensati
Legname per
traverse
ferroviarie
264,38
4,92
760,26
413,24
1,39
196,82
246,41
72,41
133,57
17,19
155,41
65,11
18,73
8,38
11,26
16,48
4,56
35,01
3,67
6,13
89,27
8,50
1,46
2089,93
Legname
per
travame
asciato
Legname per
pasta e
pannelli
Paleria
Minuta
10,09
0,57
5,35
15,44
Grossa (a)
0,00
0,00
1,53
1,70
2,53
44,48
147,28
1,13
330,37
3,67
0,00
0,00
0,00
0,00
0,04
0,10
1,17
3,34
0,08
0,86
0,63
0,46
0,02
0,00
6,84
0,08
0,00
0,00
14,99
0,00
44,48
3,54
3,28
0,12
0,69
1,81
0,01
0,00
3,40
0,00
0,02
0,37
0,00
0,00
0,62
0,11
0,00
64,20
3,67
7,51 45,50
0,00
7,93 12,58
16,89
1,64
1,27
21,91
7,04
0,89
3,83
4,56
5,38
100,29
1,94
1,03
70,31 45,85 21,43
7,80
1,96
2,11
1,07
1,73
0,03
5,20 23,80 40,77
2,84
0,35
0,54
0,57
0,00
0,00
19,22 43,65
7,75
0,14
0,09
0,00
0,25
4,57
3,35
87,10 38,61 35,87
0,00
6,23
5,44
0,24
0,58
0,59
820,10 214,06 195,79
Fonte: Istat (a) Puntellame da miniera è contenuto in paleria grossa
8,39
0,41
2,46
58,08
Altri
assortimenti
(b)
Totale
47,61 480,68
0,96
9,68
37,76 1138,73
142,95 677,85
Legna per
combustibili
TOTALE
217,54 698,22
17,32
27,00
560,40 1699,13
313,17 991,02
78,73 332,23 120,77 453,00
64,22 345,62 192,40 538,02
2,48
98,23
70,06 168,28
2,06 168,75 124,61 293,37
9,13
40,24
43,34
83,58
3,82 263,29 277,82 541,11
37,10 242,77 1186,50 1429,27
1,90
35,84 320,24 356,08
0,77
12,06 250,66 262,72
15,21 100,50 639,77 740,26
5,10
25,95 124,89 150,84
0,70
6,30 145,21 151,51
29,81 135,82 266,57 402,39
0,00
3,90
68,68
72,58
0,85
21,98 133,88 155,86
48,22 299,77 193,44 493,21
2,51
22,79
42,70
65,49
0,31
3,18 143,04 146,22
389,25 3788,31 5139,84 8928,15
(b) Legname da spacco e doghe è contenuto in altri assortimenti
Dal punto di vista occupazionale la provincia di Brescia rappresenta poco più del 2% della occupazione nazionale nel
settore delle prime trasformazioni del legno e poco meno dell’1.5% nella occupazione del settore del mobile.
51
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Tabella 11: Occupazione nel settore legno-arredamento per provincia.
Legno
1.781
2.465
1.135
1.160
7.060
4.938
3.954
1.437
501
1.573
3.655
29.659
170.235
Varese
Como
Lecco
Sondrio
Milano
Bergamo
Brescia
Pavia
Lodi
Cremona
Mantova
Lombardia
Italia
Arredamento
1.611
11.115
874
459
20.240
3.740
2.933
385
231
676
938
43.202
211.481
Fonte: ISTAT, Censimento industria e servizi anno, 1998
DITTE DI UTILIZZAZIONE BOSCHIVA IN VALLE CAMONICA
Per l’analisi della filiera bosco-legno è necessario considerare un territorio più vasto rispetto a quello che interessa il
Piano di Indirizzo Forestale.
L’analisi riportata si avvale dello “Studio di mercato dei prodotti silvicoli locali della Valle Camonica”, realizzato
nell’ambito del Piano di Azione Locale – LEADER II – Azione 13 nell’anno 2000 da: dott.ssa Lucia Mondini
(Coordinamento progetto e Studio della risorsa forestale) dott. Mauro Benigni (Sistema informatico geografico e
cartografia numerica), dott. Stefano Enfissi e dott. Marco Sangalli (Studio del mercato del legno), dott. Aurelio Volpe
(Mercato nazionale e internazionale), dott. Davide Pettenella (Direzione scientifica del progetto).
Le ditte impiegate nel settore delle utilizzazioni boschive in Val Camonica sono diverse; si concentrano maggiormente
nella bassa Valle, nelle vicinanze del lago d’Iseo, mentre nell’Alta Valle Camonica il numero di ditte si riduce
notevolmente localizzandosi solo in due paesi, Edolo e Corteno Golgi. Nei cinque comuni interessati dal presente
Piano non sono presenti ditte iscritte all’Albo Regionale delle imprese Boschive.
Le forme giuridiche prevalenti sono quelle “semplici”, quali la Ditta Individuale e la Società in nome collettivo
affiancate da un numero molto esiguo di altre forme societarie (S.a.S., S.r.l.). Oltre a queste ditte sono presenti anche
diversi consorzi forestali ma tra questi solo il Consorzio Forestale Alta Valle Camonica si occupa di utilizzazioni
forestali.
Il settore è ancora molto legato alle tradizioni locali e poco aperto all’ingresso di manodopera straniera. Infatti non è
stato riscontrato personale extracomunitario, a differenza della situazione di questo settore in altre regioni d’Italia.
52
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Questo è dovuto, oltre che alla tradizione locale, alla diffidenza dei proprietari delle ditte di utilizzazione ad usufruire
di manovalanza non autoctona.
Dall’indagine eseguita è risultato che il 46% degli addetti nel settore è costituito dai titolari delle imprese a cui si
somma un 5% che corrisponde alla collaborazione dei familiari (presenti solo nelle ditte individuali). Il 21% del
personale risulta essere assunto con contratti a tempo indeterminato mentre il 28% degli addetti ha un contratto di
tipo stagionale.
L’età degli addetti, impiegati in questo settore della filiera, risulta medio-bassa; questo è principalmente dovuto alle
caratteristiche proprie del lavoro che risulta fisicamente logorante impedendo di continuare l’attività lavorativa fino
ad età avanzata.
ADDETTI
Età min
Età max
Età media
Titolari /soci
25
62
40,7
Operai a tempo indeterminato
18
68
27,2
Operai stagionali
20
50
38
Collaboratori familiari
19
38
28,6
Il numero di mesi lavorati in azienda non copre quasi mai l’intero arco dell’anno per le caratteristiche proprie del
lavoro in bosco; per motivi stagionali e atmosferici è possibile svolgere l’attività lavorativa al massimo per 9 mesi
all’anno.
3
-1
Le giornate complessivamente lavorate sono 9.720 e la resa giornaliera è di 3,64 m giorno per singolo addetto,
3
-1
corrispondente ad una resa annua di 627 m giorno per singolo addetto.
La tendenza generale delle ditte è quella di mantenere il lavoro all’interno del territorio di Val Camonica, con una
parte minoritaria di ditte che si spostano al di fuori dei confini della Valle.
Le ditte operano in prevalenza in fustaia, le attività nel ceduo sono spesso solo marginali. L’acquisto di lotti boschivi in
fustaia si svolge principalmente con la modalità “in piedi a misura”, sia sulla proprietà pubblica sia su quella privata. Si
verifica invece l’opposto per il ceduo, per il quale gli acquisti si effettuano quasi esclusivamente con modalità “in piedi
a corpo”.
Il prezzo di vendita dei lotti varia notevolmente a seconda delle zone e a seconda che gli stessi siano di proprietà
pubblica o privata. I lotti acquistati sulla proprietà pubblica hanno generalmente prezzi superiori a quelli acquistati
sulla proprietà privata.
Il legname ottenuto dai lotti tagliati subisce assortimentazione solo per una frazione minoritaria: i quantitativi di
maggior peso sono infatti venduti come assortimento unico (38%). Le restanti frazioni sono costituite da tondame per
imballaggio (27,6%) e tondame da sega per il 17% del totale. Le ditte che posseggono una segheria, effettuando
integrazione verticale assorbono tutto il legname da loro tagliato che costituisce il 16% della produzione totale. Risulta
quindi evidente che l’assortimentazione del legname ottenuto dal bosco, sia poco diffusa, evidenziando l’arretratezza
delle imprese in netto contrasto con l’evoluzione del mercato.
Confrontando i dati desunti dallo studio di mercato analizzato fino a questo momento (2000) e lo “Studio del Settore
Forestale” per la Comunità Montana di Vallecamonica, riferito all’industria del legno nel 1979, effettuato dal Dott.
Alberto Poda, si nota come nell’ultimo ventennio siano avvenute le seguenti variazioni:
53
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-riduzione del 26% delle imprese di utilizzazione boschiva operanti in Valle Camonica;
-incremento del 16% delle imprese che si occupano esclusivamente di utilizzazioni;
-si sono ridotte del 55% le imprese integrate verticalmente con segherie;
-i quantitativi utilizzati complessivamente dalle imprese si sono ridotti del 39%;
-il numero degli addetti delle imprese di utilizzazioni forestali si è drasticamente ridotto del 81%;
-il numero complessivo di giornate di lavoro in bosco si è ridotto del 65%, con una media per addetto che è aumentata
del 45%;
-la resa media giornaliera per addetto è aumentata del 76,5%.
Le note d’analisi positive sono l’aumento della specializzazione delle imprese riscontrabile dalla maggiore
indipendenza dalle ditte di prima trasformazione, dalle maggiori rese giornaliere di produzione, dal maggior numero di
giornate svolte per addetto. Anche l’analisi delle attrezzature e dell’approccio ai problemi della sicurezza denota
l’evoluzione in questo senso delle imprese boschive.
I dati negativi che emergono dal confronto con i dati del 1979 sono la contrazione generale delle imprese, la riduzione
delle giornate di lavoro in bosco e dei quantitativi complessivi di legname lavorato.
DITTE DI PRIMA TRASFORMAZIONE
La distribuzione delle ditte di prima trasformazione in Valle Camonica si mantiene in linea con quanto osservato per le
ditte di utilizzazione boschiva; il numero maggiore di ditte si trova infatti nella bassa Valle mentre rimane assai ridotta
la presenza di questo tipo d’attività nei comuni della media Valle e della Alta Valle. Sono assenti nel territorio dei
cinque comuni ricadenti nel presente Piano; le più vicine sono localizzate nei Comuni di Edolo, Corteno Golgi e Sonico.
La forma giuridica più frequente è quella della “ditta individuale”, mentre le altre forme societarie sono presenti in
numero ridotto (S.a.S., S.R.L.). Circa il 30% di queste ditte è iscritta all’albo delle ditte di utilizzazione boschiva, quindi
si tratta di ditte ad integrazione verticale.
Per quanto riguarda gli addetti del settore è risultato che il 30% del personale è costituito dai titolari dell’impresa con
un 4% costituito da collaboratori familiari. A differenza delle ditte di utilizzazione boschiva si evidenzia come nel
settore di prima trasformazione del legname sia molte elevato (64%) il numero degli addetti assunti con contratto a
tempo indeterminato mentre il numero di operai stagionali è molto inferiore (1%). Sono presenti operai assunti anche
con contratti di apprendistato ma questi rappresentano un numero molto esiguo (< 1%).
Come per il settore delle utilizzazioni boschive, l’età degli addetti tende ad essere di tipo medio-basso: il 54% presenta
età inferiore ai 30 anni, il 36% inferiore ai 50 anni, e solo il 10% ha più di 50 anni.
Come per le imprese boschive, il settore è ancora molto legato alle tradizioni locali e poco aperto all’ingresso di
manodopera straniera. Nelle ditte è stata infatti rilevata una bassissima incidenza di addetti extracomunitari (due di
provenienza della ex Jugoslavia ed uno del Marocco), a motivo soprattutto della diffidenza dei titolari a rivolgersi
anche in caso di necessità a manodopera non locale.
La materia prima principalmente consumata dalle ditte di prima trasformazione è costituita da legname di conifere in
gran parte importato dall’estero (54,4%), affiancato da una parte inferiore di acquisti locali (27,7%) e nazionali
(17,9%).
54
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PROVENIENZA MATERIE PRIME
locale
estero
nazionale
Le specie legnose impiegate hanno una varietà limitata e, in ordine di volume sono: abete rosso (78,5%), abete bianco
(11,7%), larice (4,7%) e altre specie (pino, faggio e altre latifoglie).
Il legname viene lavorato in prevalenza per la produzione di imballaggio (66%) soprattutto di tipo industriale (palletts),
mentre gli altri prodotti destinati alla vendita sono travature (23%) e tavolame (10%).
I prodotti vengono destinati in gran parte (68%) a industrie e commercianti le cui attività si collocano al di fuori del
territorio di Valle Camonica; frazioni inferiori di prodotto vengono destinate al consumo diretto (22%) e a
commercianti e industrie locali (10%).
55
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IL MERCATO
OFFERTA ATTUALE
3
L’offerta attuale dei prodotti legnosi dai boschi della Val Camonica è pari a circa 20.000 m all’anno di tondame di
conifere e a circa 950 t di legname di latifoglie ottenuto dal taglio dei cedui.
3
3
Il tondame viene per lo più destinato alle segherie locali: circa 15.000 m commercializzati, e 5.000 m reimpiegati
dalle imprese integrate verticalmente con ditte di prima trasformazione.
Il tondame commercializzato è frequentemente venduto come assortimento unico (44,8%) e solo in parte assortito in
tondame da sega (20,3%), tondo da imballaggio (32,9%) e tondo da triturazione (2%).
Il legname ottenuto dai tagli dei cedui 950 t, di cui 710 t di legna da ardere e 240 t di paleria, è venduto quasi
esclusivamente sul mercato locale direttamente ai consumatori.
Da sottolineare che nel caso dei cedui i tagli effettuati dalle ditte di utilizzazioni boschive rappresentano una esigua
percentuale delle effettive utilizzazioni (6,6% circa) in quanto la maggior parte di queste sono effettuate da privati che
utilizzano boschi di cui sono proprietari o goduti sotto altre forme, oppure per lotti di uso civico.
OFFERTA POTENZIALE
La stima dell’offerta potenziale di legname dai boschi della Valle Camonica deve essere operata sulla base della ripresa
annua potenziale rapportata alla capacità complessiva di lavoro delle ditte presenti in Valle o comunque operanti o
disposte ad operare in Valle.
3
La ripresa annua potenziale dei boschi della Valle Camonica è stimata in 58.000 m , così suddivisi:
3
-conifere: principalmente abete rosso, seguito da larice: 32.000 m ;
3
-latifoglie: prevalentemente castagno, frassino e carpino nero: 26.000 m .
3
Le ditte residenti in Valle Camonica lavorano annualmente circa 25.000 m di legname, mentre il totale di quelle
3
indagate è di circa 32.000 m .
Da sottolineare è il fatto che le ditte operanti in Valle lavorano quasi esclusivamente legname di conifere.
La ripresa annua potenziale dei boschi ricadenti nell’area d’indagine è di 4.141 mc di legname di conifere.
CONSISTENZA DELLA DOMANDA
56
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3
Il consumo annuo di tondame da parte delle ditte di prima trasformazione indagate è costituito da 72.615 m di cui
3
3
20.082 di provenienza locale, 39.519 m di tondame di provenienza estera e 13.014 m di tondame di provenienza
3
3
3
nazionale. La specie più utilizzata è l’abete rosso (57.030 m ), seguita dall’abete bianco, 8.430 m , dal larice (3.405 m ),
3
3
3
dal pino silvestre (700 m ), dal faggio (500 m ) e dalle altre latifoglie, essenzialmente pioppo, (2550 m ).
Nel caso dell’abete rosso, la provenienza è estera per il 51%, locale per il 30% e nazionale per il 18%. All’estero viene
3
3
principalmente acquistato tondo per travature (13.765 m ) e tondo per imballaggio (9.954 m ). Anche per l’abete
bianco gli acquisti esteri sono rilevanti (64%), mentre l’approvvigionamento locale è del 22%, con l’assortimento più
3
acquistato all’estero rappresentato dal tondo da sega (3.627 m ). Nel caso del larice gli acquisti esteri rappresentano il
41%, mentre l’approvvigionamento locale è del 24%. L’assortimento maggiormente acquistato all’estero è il tondo per
3
travature con acquisti dell’ordine di 660 m annui.
3
3
Riguardo ai prodotti semilavorati le segherie acquistano 26.017 m di semilavorati di provenienza estera e 2.922 m di
semilavorati di provenienza nazionale.
PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE
ELEMENTI DI DEBOLEZZA DELLA FILIERA
Sempre con riferimento allo studio realizzato nell’anno 2000 nell’ambito del Piano di Azione Locale – LEADER II –
Azione 13, le problematiche maggiormente segnalate dalle ditte operatrici sono rappresentate dalla concorrenza
soprattutto di tipo estero, dalla pressione fiscale, dalla viabilità e dai costi di trasporto elevati. Nella tabella che segue
si riportano le valutazioni espresse dalle ditte nel corso di inchieste condotte nel sopraccitato studio.
Problematiche
Pressione fiscale
Attività poco remunerativa
Concorrenza
Costo manodopera
% risposte
21%
13%
58%
17%
Difficoltà a reperire manodopera
17%
Viabilità e costi trasporto
33%
La filiera bosco-legno nell’Alta Valle Camonica, come nel resto della Regione Lombardia, presenta diverse
problematiche legate sia alla fase di utilizzazione dei boschi che nei successivi passaggi di trasformazione del legname.
Nei cinque comuni ricadenti nel presente PIF la superficie forestale di proprietà pubblica risulta dotata di
pianificazione assestamentale. Tuttavia la gestione forestale presenta notevoli difficoltà: non di rado le proprietà
pubbliche sono caratterizzate da un interesse gestionale limitato, anche quando i piani di assestamento prevedono
precisi interventi colturali.
Generalmente le utilizzazioni forestali asportano una quantità di legname decisamente inferiore all'incremento
corrente determinando oltre che accumuli di biomassa, in certe situazioni da considerarsi positivi, un invecchiamento
strutturale dei soprassuoli diffuso in maniera disomogenea, con locali condizioni di indebolimento e di minore stabilità
fisica, vegetativa ed ecologica dei popolamenti che risultano così maggiormente vulnerabili alle avversità.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Inoltre sussistono difficoltà infrastrutturali, legate all’orografia del territorio, che ostacolano l’accesso al bosco ed il
trasporto a valle del legname, ma soprattutto legate alla mancanza di una rete viaria adeguata che possa essere
premessa a valori di macchiatico positivi.
Negli ultimi anni sono state realizzate diverse strade con funzione di servizio al bosco; deve tuttavia registrarsi il fatto
che frequentemente gli enti locali, deputati alla realizzazione della viabilità, hanno preferito dare priorità all’accesso a
nuclei di seconde case piuttosto che migliorare l’accesso al bosco.
Per quanto riguarda il mercato del legno, questo è stato in passato fortemente influenzato da un’elevata disponibilità
di legname di provenienza estera, a seguito di gravi danni ai soprassuoli causati dagli straordinari eventi meteorici che,
verso la fine degli anni 1990, hanno colpito Francia, Svizzera e Germania.
Inoltre negli ultimi anni è andata via via affermandosi la convenienza nell’importazione di legname dai paesi dell’est
europeo. Di fatto spesso risulta più conveniente importare dall’estero anche se esistono boschi maturi utilizzabili nelle
vicinanze delle industrie di trasformazione.
Oltre al prezzo anche la qualità del legname stesso non sempre è al medesimo livello di quello importato.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che i comuni proprietari spesso preferiscono lasciare invenduti i lotti boschivi piuttosto
che incassare cifre modeste.
PROBLEMATICHE DEL MERCATO
A livello mondiale, si registrano condizioni record per produzione e consumo di prodotti legnosi: è prevista
un’ulteriore crescita della domanda di legname nei prossimi 5-10 anni.
Misure volte al rimboschimento vengono già attuate. In base a dati FAO in Europa le foreste si accrescono- al netto dei
prelievi - di 130 milioni di metri cubi all’anno.
E’ inoltre ragionevolmente prevedibile un’ulteriore crescita dell’export di legname dei Paesi dell’Europa orientale
verso il mercato dei paesi dell’Unione Europea.
Per effetto dei finanziamenti europei legati al Piano Regionale di Sviluppo Rurale 2000-2006, misura h, (Reg. CE
1257/1999) e al reg. CE 2080/1992 in Lombardia si è verificato un aumento di oltre 10.000 ettari di superficie boscata
(ricostituzione di boschi e impianti di arboricoltura da legno).
Riguardo ai prezzi è prevista una instabilità dei prezzi del legname per effetto dei processi di globalizzazione, crisi
economiche e problematiche ambientali.
Localmente è prevista un’ulteriore riduzione del prezzo del macchiatico, stimata pari a circa -16% al 2010.
PROSPETTIVE E PROPOSITIVITÀ
Le prospettive di sviluppo della filiera in un contesto di mercato nazionale e internazionale assai poco favorevole alla
valorizzazione delle produzioni locali deve essere improntato a migliorare le condizioni di efficienza e integrazione tra
le fasi e tra gli attori della filiera locale.
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Possono indicarsi alcune linee guida sulle quali fondare i processi di consolidamento e sviluppo. Queste riguardano
necessariamente il contesto dell’intero territorio di Valle Camonica mentre in riferimento al territorio interessato dal
presente Piano le azioni da intraprendersi andranno opportunamente declinate su criteri di compatibilità con le
finalità istitutive del Parco.
Miglioramenti gestionali
-) Analisi delle procedure burocratiche in essere in merito alle utilizzazioni in funzione della ricerca di possibilità di
alleggerimento e snellimento delle stesse per ridurre i tempi e gli oneri in tutte le fasi tra l’acquisto dei lotti e la
collocazione mercantile del prodotto trasformato.
-) Incentivare lo sviluppo di una razionale rete infrastrutturale (viabilità forestale) a servizio delle attività di gestione
del territorio in generale e del patrimonio agro-silvo-pastorale in particolare, in modo da migliorare le condizioni di
accessibilità al bosco.
-) Incentivare la politica degli interventi di miglioramento, rinaturalizzazione e riordino forestale, innescando un
efficace meccanismo di controllo delle quote accantonate dai proprietari forestali per il cofinanziamento delle opere
forestali (fondo di accantonamento per Migliorie Boschive).
Proprietà pubblica
- Valorizzazione dei Consorzi Forestali quali soggetti preposti alla gestione tecnico-operativa, ad esempio istituendo a
livello comprensoriale servizi consulenza in materia amministrativa, legale, di sicurezza di supporto alle attività e alla
gestione delle proprietà conferite.
- Incentivazione dei Contratti pluriennali di utilizzazione forestale tra Consorzi e Ditte boschive locali, anche per offrire
un orizzonte temporale di programmazione degli investimenti alle ditte stesse e per garantire il rispetto della
tempistica delle utilizzazioni previste dai Piani di Assestamento.
- Organizzazione di “Piazzali di Vendita” del legname a livello sovraccomunale per consentire un migliore incontro tra
domanda e offerta nonché una maggior valorizzazione del prodotto locale (migliore assortimentazione, migliore
risposta alle esigenze del mercato, coinvolgimento di un maggior numero di ditte, contenere logiche di monopolio
locale).
- Certificazione del Sistema di Gestione Ambientale e dei prodotti derivanti dalle attività di gestione dei Consorzi
forestali per l’inserimento nel mercato di prodotti certificati.
- Tempestiva revisione dei Piani di Assestamento scaduti, quali strumento principe della pianificazione degli interventi
di gestione del patrimonio montano.
-) Revisione dei criteri di compilazione dei Piani stessi per una migliore connessione con la pianificazione territoriale e
della sempre più complessa multifunzionalità del patrimonio forestale.
Proprietà privata
-) Incentivare la selvicoltura con la valorizzazione della filiera della legna da ardere a livello locale attraverso politiche
di promozione dell’impiego di caldaie ad alta resa termica e di progetti per l’alimentazione di impianti termici per
edifici a uso collettivo.
-) Incentivare l’associazionismo tra privati per la gestione del patrimonio forestale.
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-) Creazione di servizi di informazione e consulenza in merito a disponibilità di finanziamenti pubblici per la gestione
selvicolturale.
Ditte boschive
Le azioni devono tendere alla riduzione dei rischi di compravendita e alla valorizzazione della qualificazione
professionale delle ditte.
-) Riduzione delle elevate anticipazioni di capitali richieste prima della disponibilità del legname (tra acquisto e vendita
legname passa circa un anno, la ditta paga 30% prima di iniziare a tagliare e deve pagare tutto alla misurazione)
sostituendole con forme di cauzione fidejussoria bancarie o assicurative.
-) Riorganizzazione dell’Albo regionale delle ditte, con una più attenta selezione delle imprese basata sulle capacità
professionali del titolare e le attrezzature disponibili.
-) Per le ditte iscritte all’Albo, organizzazione permanente di iniziative di aggiornamento professionale per utilizzazione
attrezzature innovative e tradizionali con rilascio di patentino di operatore forestale;
-) promuovere iniziative di job creation per l’entrata di giovani imprenditori nel settore.
-) maggior vigilanza sul rispetto della normativa anti-infortunistica e sulla regolarità contrattuale delle attività delle
ditte boschive.
60
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LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA.
Il Piano Regolatore Generale (P.R.G.) è definito dalla Legge Urbanistica Statale 17 agosto 1942, n. 1150 come
strumento pianificatorio che deve considerare la totalità del territorio comunale e deve indicare essenzialmente:
1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi
impianti;
2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato
urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;
3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o
sociale;
5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per l'attuazione del piano.
Questo documento, che viene redatto da un singolo comune o da più comuni limitrofi (Piano Regolatore Generale
Intercomunale).
Nella tabella seguente si riporta lo stato dei diversi P.R.G. nei cinque comuni analizzati; in particolare sono indicati la
data di approvazione dei diversi piani, l’ultima variante approvata dai consigli comunali e i diversi progettisti che
hanno realizzato i diversi elaborati (Fonte: Regione Lombardia).
COMUNE
STRUMENTO
DATA ATTO
PROGETTISTI
P.R.G.
14/06/1978
DOTT. ARCH. FERDINANDO BELLONI
Variante al P.R.G. vigente
16/10/1984
STUDIO JONUTAS PUSCASIU
P.R.G.
26/07/1984
ARCH. VALTER FILATONDI
Variante ex LR 23/97
26/02/2005
UFFICIO TECNICO COMUNALE
P.R.G.
06/10/2000
ARCH. CIGOGNETTI GIOVANNI
Variante ex LR 23/97
14/07/2005
ARCH. FAUSTO BIANCHI
P.R.G.
24/06/1975
CEPRO S.r.l.
Variante ex LR 23/97
28/06/2001
UFFICIO TECNICO COMUNALE
P.R.G.
06/11/1984
ARCH. VALTER FILATONDI
Variante al P.R.G. vigente
14/11/1997
ING. LANDRINI GEROLAMO
Vione
Vezza d'Oglio
Temù
Ponte Di Legno
Incudine
Con la Legge Regionale n. 12 dell'11/03/2005, in materia di governo del territorio, la Regione Lombardia, in
sostituzione del Piano Regolatore Generale, ha introdotto un nuovo strumento di pianificazione urbanistica a livello
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comunale: il Piano di Governo del Territorio (P.G.T.). Questa legge, entrata in vigore a fine marzo del 2005, dispone
che tutti i Comuni lombardi deliberino l'avvio del procedimento di adeguamento dei loro Piani Regolatori entro un
anno da tale data, procedendo all'approvazione di tutti gli atti del Piano di Governo del Territorio secondo i principi, i
contenuti e il procedimento stabiliti nel testo di legge. Nel frattempo i PRG vigenti conserveranno la propria efficacia
fino all'approvazione del nuovo PGT che, salvo deroghe, dovrebbe avvenire entro Marzo 2009 (non oltre quattro anni
dall'entrata in vigore della nuova LR 12/2005 "Legge per il governo del territorio" come previsto dalla legge stessa).
Nei cinque comuni studiati i Piani di Governo del Territorio sono ancora in fase di realizzazione.
Ogni P.R.G. suddivide il territorio in aree omogenee indicandone i vincoli e i caratteri da osservare nell’edificazione e
nella realizzazione di infrastrutture attraverso l’applicazione di “Norme Tecniche di Attuazione” (N.T.A.) che
stabiliscono le caratteristiche delle opere realizzabili nelle varie zone.
Le N.T.A. possono definire gli indici massimi di edificabilità, l'altezza dei fabbricati, la distanza dai confini, ecc.;
costituiscono in sostanza l’applicazione concreta delle destinazioni e previsioni delle diverse zone.
L’analisi dei P.R.G. sui cinque comuni ricadenti all’interno del Parco dell’Adamello ha evidenziato come la parte
preponderante della superficie nel territorio osservato, in base alla zonizzazione ricavata dai P.R.G. e dalle successive
varianti, ricade all’interno della zona agricola (in cui rientrano anche tutte le aree boscate).
Di seguito si riportano, in riferimento ai singoli Comuni, la definizione delle zonizzazioni e un estratto dei contenuti
delle N.T.A. in riferimento alle opere di urbanizzazione coinvolgenti trasformazioni di popolamenti arborei, alberature,
e formazioni forestali.
COMUNE DI INCUDINE
-
ZONA 1 – RISP “rispetto di strade, fiumi e cimiteri”: in tali aree sono proibiti l’abbattimento di piante ad alto
fusto e la costruzione di qualsiasi edificio (solo manutenzione ordinaria e straordinaria con esclusione di
aumenti di volume).
-
ZONA 2 - ZP “zone panoramiche”: è fatto obbligo di conservare le alberature di alto fusto o di essenze
pregiate provvedendo alla sostituzione delle piante morte con altre di eguale essenza. Non sono ammessi
nuovi insediamenti; sono consentite soltanto opere realizzate in funzione della conduzione agricola del fondo
(come individuato nella L.R. 93 del 7.6.1980 “Norme in materia di edificazione nelle zone agricole”). Sono
ammessi impianti di trasporto tramite cavo e di risalita per attività sciistiche.
-
ZONA 3 – E “zona agricola”: questa zona è stata suddivisa a sua volta in:
⇒ E1 a prato;
⇒ E2 a pascolo montano;
⇒ E3 boschiva con piantumazione d’alto fusto;
⇒ E4 boschiva da conservare e valorizzare a protezione;
⇒ E5 terreno roccioso incolto e sterile.
62
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Nelle zone E3, E4 e E5 non è ammessa alcuna edificazione né riguardante opere realizzate in funzione della
conduzione del fondo, né destinate alla residenza.
Nelle zone E1 ed E2, sono ammesse costruzioni anche residenziali, attinenti alla conduzione del fondo; queste
potranno essere realizzate solo in posizioni ove non contrastino con la tutela del paesaggio. La concessione
edilizia è subordinata alla presentazione al Sindaco di un atto di impegno che preveda il mantenimento della
destinazione d’uso dell’immobile al servizio dell’attività agricola. Negli agglomerati rurali sono ammessi anche
ampliamenti.
-
ZONA 4 - C1 “abitazioni estensive”: sono ammessi insediamenti di tipo residenziale. I tipi ammessi sono le
case isolate, doppie o multiple. E’ obbligatoria la predisposizione di un piano di lottizzazione (ove indicati
negli elaborati di piano).
-
ZONA 5 – C2 “abitazioni estensive”: sono ammessi insediamenti di tipo residenziale. I tipi ammessi sono le
case isolate, doppie o multiple. E’ obbligatoria la predisposizione di un piano di lottizzazione (ove indicati
negli elaborati di piano). Rispetto alla zona C1 gli indici di edificabilità sono maggiori.
-
ZONA 11 - ZIA “zona di industria agricola destinata all’allevamento in batteria”: è ammessa anche la
costruzione residenziale annessa all’attività. Le costruzioni adibite alla conduzione del fondo potranno essere
insediate solo nelle posizioni ove non contrastino con la tutela del paesaggio
-
ZONA 12 - VPS “verde pubblico o sportivo”: zone destinate a parchi, giardini, verde attrezzato, impianti e
attrezzature sportive aperti al pubblico. L’utilizzazione di tali zone può aver luogo solo per iniziativa comunale
In sintesi si possono individuare tre tipologie di zone in base all’edificabilità/trasformazione della stessa:
-
zone con divieto assoluto di edificazione/trasformazione: RISP “rispetto di strade, fiumi e cimiteri”, E3
boschiva con piantumazione d’alto fusto, E4 boschiva da conservare e valorizzare a protezione, E5 terreno
roccioso incolto e sterile;
-
zone con limitata possibilità di edificazione/trasformazione legata all’attività agricola: E1 agricola a prato, E2
agricola a pascolo montano, ZP zone panoramiche;
-
zone con elevata possibilità di edificazione/trasformazione: C1 e C2 abitazioni estensive, VPS verde pubblico
o sportivo, zona 11 di industria agricola destinata all’allevamento in batteria.
COMUNE DI PONTE DI LEGNO
-
Zona B2 – “norme particolari per la zona di conservazione e ristrutturazione edilizia” (Art. 18): tale zona
comprende tutti quei nuclei già costituiti o gruppi di malghe esistenti sparsi sul territorio comunale (non
ricadenti in altre zone); in questa zona sono consentite solo opere di ristrutturazione, risanamento ed
adeguamento igienico edilizio, restauro conservativo, nel rispetto dei valori ambientali e delle caratteristiche
tipologiche ed architettoniche esistenti. Sono ammesse opere di trasformazione ed adeguamento degli
ambienti esistenti, recuperandoli anche ad altre destinazioni, sempre nel rispetto dei valori volumetrico –
dimensionali esistenti, e dei valori ambientali ed architettonici esistenti.
63
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-
Zona B2 S – “aree di conservazione edilizia” (art. 18): in dette aree non è ammessa alcuna nuova edificazione
ma sono consentiti esclusivamente gli interventi di cui alle lettere a), b), c), d) dell’Art. 3 del D.P.R. n. 380 del
2001 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” (ex art. 31 della Legge n.
457 del 5 Agosto 1978,) al fine di garantire il recupero ad uso residenziale e ricettivo dei fabbricati esistenti o
altre destinazioni:
a) interventi di manutenzione ordinaria, quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e
sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti
tecnologici esistenti;
b) interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire
parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici,
sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche
delle destinazioni di uso;
c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad
assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili.
Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio,
l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli
elementi estranei all'organismo edilizio;
d) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la
eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica.
-
Zona C2 – “norme particolari per le zone di espansione” (Art. 21): questa zona comprende aree già
parzialmente edificate, da complementarsi nel loro tessuto edilizio con semplice licenza edilizia.
L'edificazione deve avvenire tramite "piano di lottizzazione convenzionato" (art. 5) o mediante licenza singola
per le sole strutture pubbliche, di uso o interesse pubblico.
-
Zona C4 - “norme particolari per le zone di espansione” (Art. 23): questa zone comprendono aree non
edificate nelle quali l'edificazione può avvenire solo tramite "piano di lottizzazione convenzionato" nel
rispetto delle modalità di cui all'art. 5 delle norme tecniche di attuazione.
-
Zona E1 – “norme particolari per la zona di tutela ecologica” (Art. 25): sono consentite, nei limiti di
sfruttamento e con determinati indici di edificabilità, costruzioni al servizio dell'agricoltura e della pastorizia,
attinenti alla produzione, alla trasformazione ed al trasporto dei prodotti agricoli, il tutto commisurato alle
normali esigenze del fondo agricolo sul quale i fabbricati stessi devono sorgere e a cui devono servire. Sono
esclusi nuovi insediamenti residenziali non al servizio dell'agricoltura. Potranno essere ammesse attrezzature
ed impianti sciistici secondo quanto previsto dalle stesse N.T.A. (art. 31 “norme particolari per le aree
comprese nella zona dei demani sciabili”).
64
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-
Zona E2 – “norme particolari per la zona boschiva” (Art. 26): tali zone dovranno essere sottoposte a
particolare tutela, dovranno essere mantenuti i valori ambientali e paesaggistici, dovrà essere salvaguardato
il patrimonio boschivo. Tale zona è inedificabile, potranno essere ammesse attrezzature ed impianti sciistici
secondo quanto previsto dalle stesse N.T.A. (art. 31“norme particolari per le aree comprese nella zona dei
demani sciabili”).
-
Zona E3 – “norme particolari per la zona di tutela ambientale” (Art. 27): tali zone dovranno essere sottoposte
a particolare tutela, dovranno essere mantenuti i valori ambientali e paesaggistici esistenti. Tale zona è
inedificabile. Potranno eventualmente essere ammesse attrezzature ad impianti sciistici secondo quanto
previsto dall'art. 31 delle N.T.A. (“norme particolari per le aree comprese nella zona dei demani sciabili”).
-
Zona U.P.S.- “norme particolari per la zona di uso pubblico speciale per impianti tecnici ed attrezzature
ricettive” (Art. 29): tale zona è destinata ad attrezzature connesse agli impianti tecnici di risalita, attrezzature
sportive ricreative, di ristoro o ricettive. L'edificazione può avvenire tramite "piano di lottizzazione esteso
all'intero comparto" (obbligatoriamente nelle aree previste dallo strumento urbanistico) e "singola
concessione edilizia" nel rispetto delle modalità di cui agli art. 5 e 7 delle N.T.A.. Il 20% delle aree di comparto
sarà destinato a parcheggi pubblici.
-
Zona U.P. – “norme particolari per la zona di uso pubblico” (Art. 30): l'edificazione è riservata ad utilizzazioni
di uso pubblico, ossia ad edifici od impianti appartenenti ad enti pubblici e destinati alle finalità di carattere
pubblico, di cui all'art. 3 del D.M. 2 Aprile 1968. L'edificazione degli edifici pubblici può avvenire a "semplice
licenza edilizia" nel rispetto delle modalità e delle prescrizioni di cui all'art. 7 delle N.T.A. e di particolari
prescrizioni di altre leggi specifiche e nel rispetto degli indici precisati.
In sintesi si possono individuare tre tipologie di zone in base all’edificabilità/trasformazione del territorio in relazione
alle zone boscate:
-
zone con divieto assoluto di edificazione/trasformazione: B2 e B2S zona di conservazione e ristrutturazione
edilizia
-
zone con elevata possibilità di edificazione/trasformazione: C2 e C4 zone di espansione, U.P. e U.P.S., zone di
uso pubblico, E1, E2 e E3 realizzazione di strutture legate all’attività sciistica.
Nel comune di Ponte di Legno sono presenti diversi piani di lottizzazione in corrispondenza delle zone C2, C4, U.P. e
U.P.S.
Art. 31 - Norme particolari per le aree comprese nella zona dei demani sciabili. Sulle aree comprese nella zone E1, E2 e
E3 potranno essere ammessi impianti ed attrezzature tecniche per la pratica dello sci (impianti di risalita a fune o di
altro tipo); modificazione, trasformazione, rimozione degli impianti esistenti; apertura di nuove piste da sci e modifica
dei tracciati esistenti. Compatibilmente con le caratteristiche e le esigenze degli impianti e delle aree sciabili, possono
essere realizzati i seguenti manufatti:
- deposito per attrezzature e mezzi per la manutenzione degli impianti e la battitura delle piste;
- locali pronto soccorso e servizi igienici;
- biglietteria;
- uffici o scuole sci e servizi connessi.
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Per il rilascio della concessione, è necessario sottoscrivere atto di vincolo permanente relativo alla destinazione d’uso
dei locali. Sono stati individuati nelle N.T.A. una serie di indici di edificabilità diversi per ogni tipologia di edificio.
COMUNE DI VEZZA D’OGLIO
ZONA 1 - “rispetto di strade, fiumi e cimiteri”: in tali aree sono proibiti l’abbattimento di piante ad alto fusto e la
costruzione di qualsiasi edificio (solo la manutenzione ordinaria e straordinaria senza aumenti di volume).
ZONA 3 – “zone panoramiche”: è fatto obbligo di conservare le alberature di alto fusto o di essenze pregiate
provvedendo alla sostituzione delle piante morte con altre di eguale essenza. Non sono ammessi nuovi insediamenti;
sono ammesse soltanto opere realizzante in funzione della conduzione agricola del fondo (L.R. 93 del 7.6.1980). Sono
ammessi impianti di trasporto tramite cavo e di risalita per attività sciistiche.
ZONA 4 – “zona agricola”:
- E2 a pascolo montano;
- E3 boschiva con piantumazione d’alto fusto;
- E4 boschiva da conservare e valorizzare a protezione;
- E5 terreno roccioso incolto e sterile.
Nelle zone E3, E4 e E5 non sono ammesse nuove opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate
alla residenza.
Nelle altre sono ammesse costruzioni anche residenziali attinenti alla conduzione del fondo; le costruzioni adibite alla
conduzione del fondo come fienili, tettoie, stalle ecc. potranno essere insediate solo nelle posizioni ove non
contrastino con la tutela del paesaggio. La concessione edilizia è subordinata alla presentazione al Sindaco di un atto
di impegno che preveda il mantenimento della destinazione d’uso dell’immobile al servizio dell’attività agricola.
ZONA 22 – “zone alberghiere e turistiche di transito”: la concessione edilizia comporta un vincolo di destinazione di
almeno 10 anni per alberghi, motel, colonie estive, ristoranti, campeggi con attrezzature annesse (ammessa solo
l’edificazione delle strutture a servizio del campeggio).
ATTREZZATURE E CENTRI TURISTICI MONTANI BISTAGIONALI: zone destinate ad impianti e servizi per gli sport
invernali ed estivi, campeggi e d attrezzature connesse, piste da sci. La possibilità edificatoria è subordinata alla
preventiva approvazione di piani regolatori particolareggiati o di piani di lottizzazione, in questa zona si devono
prevedere:
- attrezzature ricettive;
- attrezzature di ristoro;
- ed impianti per gli sport invernali (le piste da sci sono equiparate ad opere infrastrutturali);
- varie per lo sport e il gioco;
- di svago;
- commerciali e varie (es. Pro loco);
- di pronto intervento sanitario.
In sintesi si possono individuare tre tipologie di zone in base all’edificabilità/trasformazione della stessa:
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
-
zone con divieto assoluto di edificazione/trasformazione: ZONA 1 rispetto di strade, fiumi e cimiteri, E3, E4 ed
E5 zone boschive e territori rocciosi;
-
zone con limitata possibilità di edificazione/trasformazione: zone panoramiche, zona E2, edificabili ai fini
agricoli;
-
zone con elevata possibilità di edificazione/trasformazione: ZONA 22, zone alberghiere e turistiche di
transito, ZONA per attrezzature e centri turistici montani bistagionali.
COMUNE DI VIONE
Zone di rispetto di fiumi, strade art. 8.3: non è ammessa alcuna edificazione nonché l’esecuzione di opere di
urbanizzazione.
Zona B di risanamento conservativo e ristrutturazione art. 4.1: sono da conservare le caratteristiche architettoniche
dell’ambiente preesistente. Sono ammesse solo opere di ristrutturazione e manutenzione degli edifici. E’ ammesso il
cambio di destinazione nel rispetto delle norme di zona.
Zona Agricola art. 3: è ammessa una edificazione sparsa di costruzioni rurali ed attrezzature per l’agricoltura; servizi
ed impianti di pubblica utilità di mole modesta, come cabine elettriche, stazioni di sollevamento, servizi ed impianti di
pubblica utilità per i quali appaiono convenienti l’allontanamento ed il decentramento dell’aggregato urbano come:
mattatoi, impianti di depurazione. Saranno altresì ammessi impianti sportivi che non alterino le caratteristiche
agricole, paesaggistiche ed ambientali della zona quali: campi da golf, maneggi per equitazione, ecc. Al servizio di
questi impianti saranno ammesse costruzioni che rispettino gli elementi tipo morfologici di zona. La presenza di vani
residenziali è ammessa solo se al servizio della conduzione agraria dei fondi
Zona sportiva-verde pubblico SVP 5.3: aree per campi da gioco coperti e non, palestre e piscine coperte e non, impianti
sportivi in genere. Verde attrezzato. L’edificazione residenziale è ammessa solo per quanto concerne il personale di
custodia.
Zone destinate a parcheggio pubblico art. 6: non vi è ammessa alcuna edificazione e le aree stesse dovranno essere
facilmente accessibili dalla pubblica via.
In sintesi si possono individuare tre tipologie di zone in base all’edificabilità/trasformazione della stessa:
- zone con divieto assoluto di edificazione/trasformazione: ZONA 1 rispetto di strade, fiumi Zona B di
risanamento conservativo e ristrutturazione;
- zone con limitata possibilità di edificazione/trasformazione: Zona Agricola;
- zone con elevata possibilità di edificazione/trasformazione: Zone destinate a parcheggio pubblico Zona
sportiva-verde pubblico.
67
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
COMUNE DI TEMU’
Zona B1 art 27 ristrutturazione residenziale.
Zona B2 art 28 edificazione residenziale rada.
Zona E1 art 39 attività agricola.
Zona E2 art 40 verde ambientale.
Zona E3 art 41 ambiente naturale boschivo.
Zona SP1 attrezzature di interesse comune/istruzione.
Zona SP2 attrezzature tecnologiche.
In sintesi si possono individuare tre tipologie di zone in base all’edificabilità/trasformazione della stessa:
-
zone con divieto assoluto di edificazione/trasformazione: zona B1, B2 ristrutturazione residenziale ed
edificazione residenziale rada; zona E2, E3 verde ambientale e ambiente naturale boschivo;
-
zone con limitata possibilità di edificazione/trasformazione: Zona E1 agricola;
-
zone con elevata possibilità di edificazione/trasformazione: Zona SP attrezzature di interesse
comune/istruzione, attrezzature tecnologiche e per la pratica dello sci.
68
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
INTERAZIONE BOSCO – AMBITI URBANI – AMBITI AGRICOLI
Per quanto riguarda il presente Piano, diviene di fondamentale importanza l’analisi dei Piani Regolatori Generali
vigenti soprattutto in relazione alle aree boscate presenti.
Nei comuni di Incudine, Vezza d’Oglio e Vione, la superficie che risulta ricadere in aree che possono subire un
cambiamento di destinazione d’uso, in relazione alla zonizzazione dei P.R.G., è molto limitata e localizzata soprattutto
in terreni di fondovalle che si trovano nelle vicinanze del centro abitato. Si tratta di zone di espansione residenziale,
realizzazione di aree verdi pubbliche, strutture per il turismo e l’industria (agricola).
Questi ambiti urbani e agricoli interessano maggiormente zone prive di copertura forestale in quanto si trovano in
corrispondenza di aree agricole o pascoli.
La superficie boscata interessata da una possibile trasformazione, è limitata ad una area di circa 0,56 ha nel comune di
Incudine (vedi fig. 1), che da P.R.G. risulta destinata alla realizzazione di parchi, giardini, verde attrezzato (ZONA 12) e
abitazioni estensive (ZONA 5); la tipologia di bosco che potrebbe essere interessata è l’acero-frassineto.
Zonizzazione PRG del Comune di Incudine: nell’immagine sono state evidenziate le aree sottoposte ad una possibile trasformazione. Solo le zone
5 e 12 interessano porzioni di bosco del tipo acero-frassineto. Scala 1:5.000.
Nel Comune di Vezza d’Oglio è stata individuata un’area di circa 4,5 ha, localizzata all’incrocio tra la Val Paghera e la
valle di Scalvino, che in base al P.R.G. risulta destinata ad attrezzature per il turismo (denominata attrezzature e centri
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
turistici montani bistagionali); in quest’area il bosco è rappresentato dalla pecceta montana dei substrati silicatici –
suoli mesici.
Zonizzazione PRG del Comune di Vezza d’Oglio: nell’immagine è stata evidenziate l’area denominata dal PRG “attrezzature e centri turistici
montani bistagionali” che interessa porzioni di bosco del tipo pecceta montana dei substrati silicatici – suoli mesici. Scala 1:5.000
Più importanti risultano invece le trasformazioni degli ambiti boschivi previsti, ed in parte già realizzati, nei comuni di
Ponte di Legno e Temù in relazione all’apertura delle nuove piste da sci.
In particolare nel Comune di Temù sono stati individuati più di 350 ettari, che costituiscono la zona destinata alle
attrezzature per la pratica dello sci (SP5); una parte di questa superficie (circa 110 ha) è già consolidata ed utilizzata
per attività sciistiche.
Nel Comune di Ponte di Legno, secondo il P.R.G., l’area dove è prevista la possibilità di realizzare impianti per l’attività
sciistica corrisponde all’intero territorio comunale. L’apertura di nuove piste e la realizzazione di strutture connesse
all’attività sciistica, come già visto, è regolamentato specificatamente nelle N.T.A. del piano regolatore all’art. 31.
Oltre alle aree destinate all’attività sciistica, il P.R.G. ha individuato altre zone che interessano l’eventuale
trasformazione del bosco in ambito urbano. Si tratta delle zone di uso pubblico e le zone di espansione (C2 e C4)
localizzate a ridosso del centro abitato di Ponte di Legno e lungo la statale nelle vicinanze del passo del Tonale.
70
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
INQUADRAMENTO FORESTALE
MACROCLASSIFICAZIONE
L’analisi di larga scala delle cenosi forestali presenti nel territorio dell’alto Parco dell’Adamello è condotta assumendo
come elemento distintivo e caratterizzante la macroclassificazione la successione altitudinale dei diversi ambienti
rinvenibili:
- I boschi del fondovalle. Le aree di fondovalle, limitate a pochi lembi sub pianeggianti e contigui al corso del
fiume Oglio, sono caratterizzate dalla parcellizzazione delle superfici tipica degli ambiti agricoli montani. In
queste aree, altimetricamente comprese tra i 900 m s.l.m. e i 1.300 m s.l.m., le formazioni forestali,
caratteristiche del piano montano, sono relegate a piccole superfici che, per rarità, assumono rilevante
significato ecologico. Si tratta perlopiù di piccoli lembi boscati in cui latifoglie e conifere si alternano e
mescolano a seconda della pressione antropica passata. In prevalenza si riscontrano formazioni dominate dal
frassino maggiore, dall’acero montano, dall’ontano bianco, dal nocciolo, dall’abete rosso. Una menzione
particolare meritano le formazioni presenti a ridosso dei corsi d'acqua dove dominano le specie ripariali (Salix
alba, Populus nigra, Salix eleagnos, Salix caprea, Alnus incana e Alnus viridis).
- I boschi del basso e medio versante. In quest’area le formazioni forestali interessano la maggior parte del
territorio e risultano notevolmente condizionate dall’intenso sfruttamento antropico subito nel passato. Le
attività legate all’agricoltura e alla pastorizia (terrazzamenti, maggenghi e coltivi), il trattamento
selvicolturale, da sempre finalizzato alla costituzione di boschi coetanei e monospecifici di abete rosso, gli
intensi tagli effettuati a seguito degli eventi bellici e, non da ultimo, l’abbandono del territorio verificatosi
negli ultimi decenni, hanno determinato profonde alterazioni tipologico-strutturali a carico delle formazioni
forestali del basso e medio versante.
L’elemento principale che caratterizza questi ambiente è certamente l’affermazione diffusa dell’abete rosso
che costituisce la specie forestale “principe” dell’area montana relegando le latifoglie ad ambienti marginali e
alle fasi ricostitutive della pecceta.
In quest’area possiamo riscontrare le seguenti formazioni:
o I boschi puri di Picea excelsa. Dal punto di vista forestale le peccete offrono un tasso di
biodiversità inferiore rispetto ad altri ecosistemi, tuttavia si caratterizzano per la significativa
variabilità strutturale dei soprassuoli. Alla “picea” dominatrice incontrastata di questi ecosistemi
si affiancano soprattutto Larix decidua, Acer pseudoplatanus, Fraxinus excelsior, Salix caprea e
Populus tremula).
o I boschi misti di Picea excelsa e Larix decidua. In alcune situazioni il dominio della “picea” viene
bilanciato dalla convivenza con Larix decidua la cui diffusione anche a basse quote è
principalmente dovuta alla sua grande capacità di disseminazione ed al suo carattere frugale. La
sua presenza è comunque un fattore positivo per l'economia dell'ecosistema perché ne
arricchisce la biodiversità e soprattutto per le sue straordinarie capacità di consolidamento
idrogeologico.
o I boschi di latifoglie. Si tratta di lembi relitti dei boschi tipici dell’orizzonte montano,
caratterizzati dalla mescolanza di frassino maggiore, acero di monte e, spesso, ontano bianco.
o I boschi di ricolonizzazione delle aree agricole abbandonate. Trattasi di formazioni giovani,
spesso originatesi dalla disseminazione delle piante portaseme presenti nell’intorno e lasciate
alla libera evoluzione per abbandono del territorio. La composizione è dominata dal frassino
71
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
maggiore e dal nocciolo a cui si associano con buona frequenza acero montano, ontano bianco,
betula pendula oltre ad altre latifoglie.
-
-
I Boschi altimontani. Salendo in quota, lungo il versante, risulta evidente la minor pressione esercitata sulle
formazioni forestali che assumono progressivamente i caratteri più naturaliformi tipici dei boschi altimontani,
sia per la variabilità compositiva sia per l’articolazione strutturale. La vegetazione diventa meno fitta, la
presenza di radure è più abbondante e la partecipazione di latifoglie arboree è sempre minore. Il principale
fattore limitante lo sviluppo della vegetazione è la temperatura, ovvero le elevate escursioni termiche giornonotte e estate-inverno; a questo fatto si aggiunge il ruolo fondamentale esercitato dagli agenti atmosferici
quali vento, acqua, neve e fulmini che contrastano in continuazione il normale ciclo vegetativo delle piante.
Anche in questo caso le specie arboree principali sono Picea excelsa e Larix decidua, ma si osservano anche
Pinus cembra e Pinus mugo, ad esse si associano poche altre specie tra cui si possono sicuramente ricordare il
Sorbus aria, Sorbus aucuparia e Alnus viridis. Con l'aumento di quota il bosco tende in maniera naturale a
trasformarsi in arbusteto e in prateria alpina.
o I boschi puri di Picea excelsa. La caratteristica principale di questi boschi rispetto alle analoghe
peccete montane è sicuramente osservabile nel portamento degli abeti, che nella maggior parte dei
casi presentano chiome che si sviluppano lungo tutto il tronco. Si tratta infatti di soprassuoli
tendenzialmente meno chiusi rispetto a quelli montani, per cui il maggior apporto di luce impedisce
“l'autopotatura” naturale dei rami inferiori. Il bosco di abete presenta una maggiore biodiversità
rispetto all'analogo bosco montano ed è caratterizzato dalla continua alternanza con gli arbusteti e i
cespuglieti.
o I boschi puri di Larix decidua. Il bosco altimontano di Larix decidua è molto diffuso, soprattutto dove
ha incontrato i favori dell’uomo per la sua naturale convivenza con le aree pascolive (“prati a
larice”). Si tratta di boschi altimontani radi in cui il larice convive in diversa misura con la Picea
excelsa, il Pinus cembra, la Betula pendula, il Pinus mugo e l’Alnus viridis.
o Le Cembrete e le mughete. Le formazioni a prevalenza di Pinus cembra e/o di Pinus mugo
costituiscono preziosi e residuali ecosistemi del Piano subalpino. La spiccata tendenza ad associarsi
delle due specie è riconducibile al fatto che le due specie hanno simili esigenze ecologiche pur
essendo tra loro estremamente diverse: Pinus cembra ha un portamento tipicamente arboreo,
mentre Pinus mugo si sviluppa in forme pressoché arbustive.
Gli arbusteti altimontani. Questi ecosistemi sono caratterizzati dalla continua alternanza fra il bosco e il
pascolo. Rappresentano un prezioso “ecosistema di passaggio” tra le formazioni arboree del piano
altimontano e quelle erbacee di culmine. Sono molto diffusi gli arbusteti di Alnus viridis che caratterizzano
canaloni freschi anche a quote elevate (2.200 m s.l.m.). Insieme all’ontano si possono osservare in diversa
misura Juniperus communis (sp. nana), Rhododendron ferrugineum, Vaccinium myrtillus, Vaccinium vitisidaea e Sorbus chamaemespilus.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
LE TIPOLOGIE FORESTALI
L’uniformità dei caratteri ambientali (geopedologici, morfologici, climatici) del territorio dell’alto Parco dell’Adamello,
evidenziata nelle analisi introduttive al presente studio, unitamente al comune e intenso sfruttamento subito dai
soprassuoli forestali, determinano la generale semplificazione tipologico-forestale di questi ultimi. In linea del tutto
generale anche i caratteri fisionomico-strutturali dei soprassuoli risultano poco diversificati a causa della massiva
diffusione dell’abete rosso con formazione di soprassuoli coetanei e monospecifici. Le peccete risultano
particolarmente diffuse, anche in ambienti in cui le condizioni stazionali appartengono ad altre categorie (nel caso di
alcuni soprassuoli dell’abete rosso si utilizza il termine di “formazioni in sovrapposizione”, proprio per significare
questa naturale tendenza dell’abete rosso a colonizzare soprassuoli che potrebbero essere occupati da altre specie).
Venuti meno gli effetti negativi dell’intenso sfruttamento antropico dei soprassuoli (carbonaie, tagli del periodo
bellico, pascolamento in bosco, ecc.), la situazione, particolarmente accentuata sulle superfici assestate di proprieta
pubblica, stà lentamente evolvendosi verso condizioni di maggiore naturalità con diversificazione tipologica e
articolazione fisionomico-strutturale dei soprassuoli come ben evidenziato dall’ampia varietà di tipologie forestali
segnalate, ancorché su superfici cartograficamente irrilevanti.
SUPERFICIE
TIPOLOGIA FORESTALE
Aceri-frassineto tipico
Aceri-frassineto con ontano bianco
Aceri-tiglieto
TOTALE
SUPERFICIE
%
ASSESTATA
SUPERFICIE
%
NON ASSESTATA
%
Ap-Fr-t
63.12.71 ha
1,1%
1.38.86 ha
0,0%
61.73.85 ha
9,2%
Ap-Fr-Ai
42.13.96 ha
0,8%
2.52.02 ha
0,1%
39.61.94 ha
5,9%
n.c.
A-T
n.c.
n.c.
n.c.
n.c.
n.c.
Betuleto secondario
B-s
Betuleto primitivo
B-p
8.06.01 ha
0,1%
8.06.01 ha
0,2%
.. ha
Corileto
Ca
48.61.61 ha
0,9%
14.51.95 ha
0,3%
34.09.66 ha
5,1%
Pm-mc-s
44.74.79 ha
0,8%
44.74.79 ha
0,9%
.. ha
0,0%
1044.37.82 ha 21,5%
151.29.37 ha
22,5%
Mugheta microterma dei substrati silicatici
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli xerici
P-s-mnt-x
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici
P-s-mnt-m
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli xerici
P-s-ams-x
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici P-s-ams-m
n.c.
n.c.
1195.67.19 ha 21,6%
161.06.20 ha
2,9%
1545.56.66 ha 28,0%
117.37.22 ha
0,0%
n.c.
2,4%
43.68.98 ha
6,5%
1444.67.00 ha 29,8%
100.89.66 ha
15,0%
Pecceta azonale su alluvioni
P-al
68.24.81 ha
1,2%
32.66.57 ha
0,7%
35.58.24 ha
5,3%
Peccete secondaria montana
P-sc
410.02.98 ha
7,4%
332.24.40 ha
6,8%
77.78.58 ha
11,6%
Peccete di sostituzione
P-st
Lariceto primitivo
L-p
49.61.56 ha
0,9%
49.61.56 ha
1,0%
.. ha
Lariceto tipico
L-t
340.06.26 ha
6,2%
329.82.88 ha
6,8%
10.23.38 ha
1,5%
L-t-m
2.18.91 ha
0,0%
1.04.05 ha
0,0%
1.14.86 ha
0,2%
Lariceto tipico variante montana
n.c.
n.c.
n.c.
0,0%
L-P
48.05.05 ha
0,9%
38.72.61 ha
0,8%
9.32.43 ha
1,4%
Larici cembreto primitivo
L-Pc-p
45.40.26 ha
0,8%
44.94.33 ha
0,9%
.45.93 ha
0,1%
Larici cembreto tipico
L-Pc-t
0,9%
26.02.08 ha
0,5%
22.04.92 ha
3,3%
1317.95.92 ha 27,2%
84.53.32 ha
12,6%
Lariceto in successione con Pecceta
Alnete di ontano bianco
Al-i
Alnete di ontano verde
Al-v
n.c.
48.07.00 ha
n.c.
1402.49.25 ha 25,4%
n.c.
Saliceto di ripa
Sx-r
n.c.
n.c.
n.c.
Saliceto di greto
Sx-g
n.c.
n.c.
n.c.
Saliceto a Salix cinerea
n.c.
n.c.
n.c.
Saliceto a Salix caprea
n.c.
n.c.
n.c.
Pp-t
n.c.
n.c.
n.c.
Formazioni di sorbo degli uccellatori
Sb
n.c.
n.c.
n.c.
Impianti artificiali di conifere
Art
n.c.
n.c.
Formazioni di pioppo tremulo
TOTALE SUPERFICIE FORESTALE
5523.15.20 ha
100%
4850.70.07 ha
“I tipi forestali della Lombardia” a cura di R. Del Favero, CIERRE EDIZIONI, 2002
74
n.c.
100%
672.45.12 ha
100%
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
900.00.00 ha
AF
AF con OB
800.00.00 ha
ALN OB
ALN OV
700.00.00 ha
BE
600.00.00 ha
CORILET O
L in SUCC con P
500.00.00 ha
L PRIM
LCP e CR
400.00.00 ha
LT
300.00.00 ha
LT M
MMSS
200.00.00 ha
P second M
PA SU ALL
100.00.00 ha
PAMeSUBSS SM
PAMeSUBSS SX
.. ha
INCUDINE
VEZZA D'OGLIO
VIONE
TEMU'
PONTE DI LEGNO
PMSS SM
Distribuzione per Comune delle tipologie forestali cartografabili
Le tipologie forestali dei boschi non assestati
Per quanto attiene invece le tipologie forestali classificate per l’intero territorio del Parco si rimanda a quanto
riportato nelle specifiche schede dei “Modelli di gestione delle tipologie forestali” riportate all’ultimo capitolo.
I CUSTODI
Già da qualche anno il parco ha attivato un consistente programma di catalogazione e segnalazione di alberi e
soprassuoli le cui caratteristiche siano ritenute “monumentali”. L’identificazione di questi “monumenti” trascende gli
aspetti esclusivamente morfologici (alberi di dimensioni maggiori) comprendendo altresì valutazioni di carattere
storico-culturale e paesaggistiche. Ad esempio nei territori dell’ALTO PARCO oltre a singoli alberi di particolare pregio
morfologico, sono stati classificati tra i custodi del parco i soprassuoli del comprensorio di Valbione interessati dai
trinceramenti della prima guerra mondiale (il “Bosco degli Alpini”) e i soprassuoli altimontani di grande valore
paesaggistico di Santa Giulia.
La gestione selvicolturale dei soprassuoli dell’ALTO PARCO dovrà essere orientata alla valorizzazione dei custodi e
mirare ad accrescerne la presenza.
75
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
DEFINIZIONE DELL’ATTITUDINE POTENZIALE E DELLA FUNZIONE DEI
COMPRENSORI BOSCATI
La definizione della funzione prevalente dei complessi boscati è stata condotta con il metodo dell’analisi
multicriteriale facendo particolare riferimento alla specificità dell’area parco e quindi alle funzioni istituzionalmente
derivanti quali protezione e conservazione della flora e della fauna, fruizione turistico-ricreativa, conservazione del
paesaggio, valorizzazione delle risorse. In aggiunta a tali funzioni sono state considerata le necessità di
compensazione degli impatti derivanti dalle infrastrutture per lo sci recentemente realizzate.
Nella fase di zonizzazione funzionale del territorio, l’analisi multicriteriale ha trovato applicazione nell’identificazione e
valutazione delle alternative di pianificazione, permettendo di assegnare ad ogni porzione “omogenea” di territorio la
funzione ritenuta maggiormente rispondente agli obbiettivi gestionali.
La definizione della destinazione funzionale del territorio rappresenta una delle fasi di contenuto strategico più
importante nella definizione del piano, per tale ragione è opportuno che il processo decisionale sia partecipato.
Il metodo dell’analisi multicriteriale adottato ha permesso di razionalizzare e semplificare questo processo,
consentendo all’Ente Parco di svolgere consapevolmente il ruolo di decisore finale nelle scelte di indirizzo strategico
del piano.
Il metodo ha permesso di definire per ciascuna tessera di territorio, rappresentata da una cella, da un particella
forestale o da una qualsiasi superficie relativamente omogenea, la scelta migliore tra le diverse alternative decisionali,
rappresentate dalle diverse funzioni che il bosco potrebbe essere destinato a svolgere in un determinato contesto
storico e territoriale.
Obiettivo della
decisione
Scelta della destinazione funzionale
(di un’unita di territorio omogenea per
caratteristiche stazionali e tipologico forestali)
Come primo passo per conseguire l’obiettivo preposto sono stati presi in esame diversi fattori e attributi,
sinteticamente riconducibili a due aspetti fondamentali:
•
“attitudine del sito”, determinato dalle caratteristiche fisiche, topografiche, economiche, del contesto
geotopografico e vincolistico del territorio;
76
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
•
“vocazione del tipo forestale”, rappresentato dalla realtà biologica ed in particolare dalla formazione
forestale che occupa quella determinata tessera di territorio.
Entrambi questi due aspetti, con tutti gli attributi che li caratterizzano, sono generalmente presi in esame nel processo
di zonizzazione funzionale. Chi effettua questa operazione valuta sinteticamente di volta in volta quali elementi
considerare dei due criteri e quali aspetti valutare, sulla base di considerazioni di ordine, economico, estetico,
ambientale, funzionale, ecc..
È importante tuttavia, porre l’attenzione al fatto che nel fare tali valutazioni dare maggiore peso al criterio “attitudine
del sito” rispetto al criterio “vocazione del tipo forestale” significa accentuare o meno la valenza strategica del piano.
Come risulterà più evidente nelle fasi successive del processo di redazione del piano, dare un peso più grande alle
attitudini del sito, può presupporre implicitamente un maggiore intento modificatore della realtà, prefigurando un
assetto forestale più rispondente alle funzioni individuate. Alternativamente privilegiare l’aspetto relativo alle
vocazioni dei tipi forestali può prefigurare, invece, una scelta più conservatrice, più vicina allo status attuale delle
cose, che può risultare, in alcuni casi, addirittura priva di contenuto pianificatorio.
Criteri con cui
valutare le
alternative
Attitudine del sito sulla base delle
caratteristiche stazionali, del contesto
geotopografico-ambientale e dei vincoli
Vocazione, intesa come la
potenzialità di un tipo forestale a
svolgere una particolare funzione
I pesi rappresentano, quindi, il meccanismo attraverso il quale il decisore, assegnando un’importanza relativa ai criteri,
definisce il livello di incisività dell’azione gestionale.
ATTITUDINI POTENZIALI DEL SITO
Considerata la particolarità del territorio in esame, determinata dalla presenza del Parco, delle Riserve Naturali e dei
Siti Natura 2000, del demanio sciabile, dei siti di valore storico-culturale, ecc., le attitudini considerate sono state le
seguenti:
-
attitudine produttiva
-
attitudine didattico-fruitiva e storico-culturale
-
attitudine protettiva
-
attitudine paesaggistica
-
attitudine naturalistica
-
attitudine tampone
77
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Ad ogni tessera omogenea di territorio è stato attribuito un valore per ogni attitudine; quando l’attitudine è
pienamente espressa il valore è uguale a 1, quando espressa in forma meno rilevante un valore inferiore a 1 e
quando assente 0.
Il risultato è stata una prima suddivisione del territorio in tessere omogenee rispondenti ad una o più funzioni. Nel
software GIS è contenuta una tabella nella quale per ogni tessera è riportato il valore di ciascuna attitudine:
ID Tessera
1
2
3
n
Produttiva
1
1
1
0
Tampone
1
0
1
0
Funzione
Paesaggistica Naturalistica
0
0
1
1
0,8
0
1
1
Didattico-Fruitiva
0
1
0
0
Protettiva
0,33
1
0
0,8
ATTITUDINE PRODUTTIVA
Per attitudine produttiva si intende la capacità del bosco di fornire legname e altri prodotti non legnosi. Tale capacità
è congenita per ogni soprassuolo forestale ma si fa rilevante solo dove le caratteristiche climatiche, topografiche,
dendrometriche e l’assenza di rischi idrogeologici, rendono gli interventi a basso profilo tecnico e creano opportunità
di prelievo regolare e conveniente (macchiatico positivo). Tale attitudine riveste un importanza primaria per la
valorizzazione dell’economia montana oltre che essere un elemento strategico per la gestione forestale comunque
orientata.
Nell’area in esame l’attitudine produttiva è rilevante per tutti i boschi, ad esclusione di corileti e betuleti, che poco si
prestano alle normali utilizzazioni forestali, posti nella parte basale dei versanti, fino ad una quota variabile compresa
tra i 1400 e i 1900 m s.l.m.. Il limite di quota è definito principalmente dal sopraggiungere di una maggiore asperità
topografica che riduce le potenzialità produttive a favore di altre attitudini.
In particolare le pendici sovrastanti l’abitato di Incudine si coprono di boschi a buona attitudine produttiva, e così sino
ad incontrare i lariceti d’alta quota che sfiorano le pendici acclivi della Cresta di S. Vito e del Monte Plazza. A tali quote
le formazioni di larice sono rade, spesso composte da individui vecchi ma di dimensioni ridotte (e qualità del legname
mediocre). Scarsa e lenta è poi la capacità di rinnovazione venendo quindi a mancare le prerogative per lo
sfruttamento dei soprassuoli per la produzione di legname.
Sempre a quote elevate sulle pendici delle altre formazioni montuose verso Ponte di Legno, troviamo altre formazioni
particolari quali larici-cembreti, mughete e alnete di ontano verde, che per natura non si prestano alla produzione, se
non per le occasionali, ma controllate, asportazioni di buoni individui di larice e cembro.
In Val Paghera e Val di Vallaro l’attitudine produttiva ha un limite evidente e quasi netto nei versanti più interni
segnati da un forte aumento della pendenza e dalla scarsa consistenza dei soprassuoli ivi posti.
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Allo stesso modo in Val d’Avio e Val Bione peccete e lariceti progrediscono sui pendii sino a ricoprire suoli a forte
pendenza in corrispondenza delle creste del Monte di Mezzodì, del Monte Càsola e del Corno d’Aola.
In Val Sozzine i pendii si rendono inadatti su quasi tutto il versante sinistro già a quote attorno ai 1500 m s.l.m., al
contrario, salendo verso il Tonale, dove le pendenze si addolciscono, le peccete e i lariceti trovano poca complicazione
nelle utilizzazioni forestali elevando il limite dell’attitudine produttiva, anche a quote di 1800 – 1900 m s.l.m..
Per l’assegnazione dell’attitudine ci si è basati sul particellare dei Piani d’Assestamento Forestale dei cinque comuni,
considerando le classi funzionali produttive, ad esse sono state aggiunte le superfici boscate delle comprese turisticoricreative definite dai P.A.F., qualora rispondenti alle caratteristiche dell’attitudine e i soprassuoli privati in stazioni
con caratteristiche atte alle utilizzazioni. L’area complessivamente coperta dall’attitudine produttiva è di 3.057,42 ha.
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ATTITUDINE DIDATTICO-FRUITIVA E STORICO-CULTURALE
L’attitudine didattico-fruitiva e storico-culturale si riscontra nel caso di soprassuoli sottoposti a frequentazione
intensive determinate dalla presenza di infrastrutture, manufatti ed edifici per lo svago, la ricreazione, lo sport o di
storici, artistici, culturali.
Le prerogative che maggiormente caratterizzano i boschi soggetti a tale attitudine sono:
•
la posizione strategica (vicinanza ai centri turistici, ai luoghi sacri o a tutte le mete ricreative o sportive
esistenti);
•
la struttura adatta all’attrazione e fruizione antropica (alberi adulti e grandi, accessibilità e ricchezza di
composizione).
Negli ultimi decenni l’aumento demografico e la maggiore mobilità determinata dalle possibilità di trasporto moderne,
unitamente al benessere diffuso e alle necessità di svago in luoghi aperti hanno determinato la crescente richiesta di
spazi adatti ed attrezzati per la ricreazione. Anche per le foreste si rende indispensabile una gestione finalizzata di
alcuni soprassuoli a questi usi, particolarmente in un territorio, come quello dell’alto Parco dell’Adamello,
caratterizzato da intense frequentazioni turistiche.
Le frequentazioni possono differire per intensità e qualità. Si passa da fruizioni intensive (aree attrezzate, vicinanza ai
campeggi o alle stazioni di risalita degli impianti da sci), a fruizioni meno costanti come per boschi posti in vicinanza di
infrastrutture culturali (storiche, artistiche, religiose, ecc.) fino a fruizioni di tipo didattico per le attività formative.
Nell’area d’indagine tali attitudini si riscontrano in aree a bosco limitrofe alle località di soggiorno, il maggior afflusso
turistico è imperniato nei centri sciistici di Ponte di Legno e Tonale, dove la frequenza dei visitatori si fa intensa
soprattutto nei pressi delle aree attrezzate e delle stazioni di risalita. Frequentazioni leggermente meno intensive si
riscontrano nei Comuni vicini riducendosi progressivamente verso il Comune di Incudine. Nei Comuni di Temù e Vezza
d’Oglio questa è legata ancora molto agli sport invernali ed è in aumento grazie alla creazione dei nuovi impianti. In
questi Comuni si rileva anche il maggior afflusso di tipo escursionistico, principalmente legato alle due maggiori valli
laterali (Val d’Avio e Val Paghera) che offrono molti siti attrezzati per pic-nic, percorsi e sentieri d’accesso alle
montagne sovrastanti.
Una buona attitudine didattico-fruitiva è stata assegnata anche alle aree prossime ai percorsi e alle aree attrezzate
posizionate lungo il confine Nord del Parco, in prossimità della strada principale che collega gli abitati di Vezza d’Oglio
e Incudine.
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L’attitudine è stata inoltre assegnata ad aree poste in prossimità delle aree attrezzate esistenti, in modo da iniziare a
gestirle in funzione di eventuali necessità future di sostituzioni o manutenzioni prolungate delle aree attrezzate
8
esistenti .
Di richiamo storico-culturale, ma con frequentazioni meno intensive, sono stati considerati i luoghi religiosi, con le
chiese campestri di S. Giulia e S. Vito, e i siti di interesse storico costituiti dai manufatti della Grande Guerra, presenti
in località Casola, presso la chiesetta del Corno d’Aola sopra Valbione, sulla piana dei Morei in Val Paghera e nei pressi
del Castellaccio al Passo del Tonale.
Per l’assegnazione dell’attitudine fruitiva rivolta alle zone di frequentazione intensiva, sono stati individuati i boschi
limitrofi delle stazioni di risalita o delle aree designate dal PTC (Buffer di 150 m). Allo stesso modo sono stati assegnati
a tale attitudine i soprassuoli prospicienti i parcheggi e le aree attrezzate per picnic, distribuite sul territorio
soprattutto sui margini inferiori del bosco e all’imbocco delle valli principali.
8
Il continuo calpestio del sottobosco in aree circoscritte causa problemi sia a livello di rinnovazione (i semenzali e le giovani piantine sono spesso
calpestate), sia a livello edifico causando costipamento del terreno a sfavore della normale attività radicale da parte delle piante adulte esistenti,
portando anche a casi di senescenza precoce.
81
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Per quanto riguarda gli ambiti sottoposti ad una frequentazione più dinamica si è ritenuto opportuno assegnare a tale
attitudine i boschi direttamente prospicienti i percorsi a maggiore frequentazione (sentieri CAI) per una ristretta fascia
di 25m. Ugualmente l’attitudine didattico-fruitiva e storico-culturale è stata assegnata ai soprassuoli che
accompagnano la viabilità forestale (VASP) ed i percorsi della grande guerra, principalmente in Val Paghera, Val d’Avio
e Valbione.
Da ultimo l’attitudine didattico-fruitiva e storico-culturale è stata attribuita ai boschi presenti nell’intorno di manufatti
della Grande Guerra, per un raggio variabile da 50 a 150 m.
La superficie forestale assegnata a tale attitudine è di 931,6 ha.
ATTITUDINE PROTETTIVA
Si tratta di una delle principali funzioni congenite a tutte le formazioni forestali. Nel senso più ampio del termine
l’attitudine protettiva del bosco si riferisce sia alla capacità indiretta di protezione idrogeologica, contribuendo alla
regimazione delle acque e alla difesa dall’erosione, sia alla capacità diretta dei boschi di proteggere attività umane,
infrastrutture e altri soprassuoli da pericoli naturali (valanghe, frane, caduta massi, ecc.).
Mentre il compito di autoprotezione degli habitat viene meglio espresso dall’attitudine naturalistica, più propriamente
designata alla salvaguardia degli ecosistemi sia nell’aspetto faunistico che floristico, l’accezione più usata per
attitudine protettiva è quella che svolgono i boschi nei confronti:
•
della stabilità dei versanti, per l’effetto consolidante degli apparati radicali;
•
dell’erosione del suolo, causata dagli eventi meteorici, attraverso la regimazione delle acque;
•
degli abitati e delle opere in genere dai fenomeni valanghivi e dalle frane.
La natura del soprassuolo può aumentare o diminuire le capacità protettive a seconda del governo, della struttura e
delle caratteristiche dendrologiche. Così ad esempio un bosco altofusto maturo ha maggior capacita di ritenuta di
fenomeni valanghivi e franosi di un ceduo o di un arbusteto ed una maggiore ritenzione a livello del suolo delle piogge
meteoriche.
Tutte le formazioni sia arbustive che d’altofusto, poste in zone di dissesto idrogeologico, zone di potenziale
esondazione e in aree soggette a fenomeni valanghivi, così come segnate dalla carta delle valanghe e dall’inventario
dei dissesti della R.L., sono chiamate a svolgere funzione di protezione. Lo sono inoltre tutti i boschi ripariali che
accompagnano il reticolo idrografico delle incisioni vallive primarie e secondarie.
Nel complesso l’area più soggetta ad eventi di dissesto e valanghe è posta a Sud – Est dell’area di studio, dove si fanno
più aspre le pendici granitiche delle prime creste che portano ai rilievi principali. Qui aree di crollo e valanghe sulle
pareti di roccia e nei canaloni sono tuttora attive e rendono opportuno il costituirsi ed il mantenimento dei soprassuoli
che si contrappongono a tali eventi. Trattasi quasi unicamente di consorzi rupicoli cespugliati, con abbondanza di
ontano verde, solo più raramente troviamo mughete, lariceti e larici-cembreti.
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Sul resto dell’area, sui versanti delle valli e sui rilievi meno acclivi di quelli rocciosi, insistono fenomeni di dissesto
antichi più o meno stabili, si tratta di conoidi sia quiescenti che attivi, di nicchie di frane relitte e accumuli di frane e
colate detritiche quiescenti o attive, sui quali i soprassuoli sono chiamati ad apportare una maggiore stabilità.
Le superfici boscate ricadenti in aree di dissesto sono state desunte dall’inventario delle frane e dei dissesti
idrogeologici della Regione Lombardia e dall’integrazione dei rilievi per la L. 267/98 evidenziando i possibili fenomeni
d’esondazione. I fenomeni sono distinti nei vari tipi di dissesto (frane, conoidi, ecc.), e in diversi livelli di gravità
descritta dall’inventario (pericoloso, attivo, riattivato, quiescente). La superficie forestale a cui è stato attribuito un
attitudine protettiva nei confronti dei dissesti è risultata di 2.668,7 ha.
I fenomeni valanghivi sono stati desunti dal SIRVAL (Sistema Informativo Regionale Valanghe) della Regione
Lombardia. L’attitudine protettiva nei confronti delle valanghe ha interessato complessivamente 2.904 ha.
Per la funzione di protezione delle superfici forestali poste a ridosso delle aste torrentizie, si sono considerate fasce di
25m prospicienti il reticolo idrografico come desunto dalla cartografia vettoriale della Provincia, con l’integrazione di
alcune incisioni vallive minori note per i problemi legati al deflusso nei periodi piovosi. La superficie boschiva
interessata ricopre 721 ha.
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ATTITUDINE PAESAGGISTICA
Il paesaggio è l’aspetto visibile di un territorio ed è dato dall’interazione tra le forme naturali e quelle antropiche.
La percezione del paesaggio che ha un singolo osservatore è il risultato dato dall’unione della sensazione soggettiva,
dei caratteri del territorio e dal senso di identità riconosciuto ad un determinato ambiente dall’intera collettività.
Proprio per quest’ultimo aspetto, le foreste sono per la nostra sociètà la colonna portante per l’intero paesaggio
montano.
Per attitudine paesaggistica si intende la capacità di un soprassuolo o di porzione di esso di contribuire alla
9
costituzione del paesaggio, modificando l’aspetto di un territorio in diversi modi:
•
direttamente, attraverso la varietà di forme del manto forestale, l’avvicendamento tra presenza e assenza
della copertura boschiva e l’alternanza di cromatismi data dalla compartecipazione di diverse specie o dal
ciclo stagionale;
•
indirettamente creando canali visivi che valorizzino alcuni aspetti pregevoli del paesaggio, o creando barriere
occultanti aspetti meno graditi.
Naturalmente concorrono alla definizione di paesaggio anche diversi elementi quali il profilo orografico, gli specchi
d’acqua e le stesse infrastrutture.
L’attitudine paesaggistica è di sicura importanza soprattutto se inserita nel contesto di un Parco chiamato a svolgere
compiti di tutela nei confronti dei beni ambientali nei loro molteplici aspetti. La funzione quindi di costituzione e
salvaguardia del paesaggio si fa rilevante per tutti gli ambiti boscati, ma in modo particolare per i Tipi Forestali che
presentano caratteri cromatici rilevanti o alternanza di forme particolari, ancor più espresse dalle formazioni più rare
e quindi maggiormente in grado di influenzare l’aspetto di un territorio.
L’attitudine è poi attribuita ai boschi di margine, soprattutto a ridosso delle aree più antropizzate, nel sicuro ruolo di
contrasto visivo che propongono allo sguardo del panorama percepito dai nuclei abitati, ma anche dalle strade
principali percorrenti le valli laterali. Tali boschi costituiscono non solo una prima presentazione a livello visivo di tutto
il manto boscato retrostante ma inducono indirettamente alla creazione di coni visivi stabili esaltando aree
panoramiche o incanalando l’attenzione su aspetti dell’ambiente circostante di grande pregio (i ghiacci o le creste di
fondo valle, ecc.).
Allo stesso modo l’alternanza delle forme ottenute dai margini boscati direttamente a ridosso dei prati di mezza costa
o dei pascoli di quota è stata ritenuta di alto valore paesaggistico, così da apporre tale attitudine a tutti i soprassuoli
direttamente coinvolti nel delimitare tali aperture e nel condizionarne la chiusura o il mantenimento.
9
Dal punto di vista di un singolo osservatore è la capacità del bosco di fungere da elemento caratterizzante di un panorama, inteso questo come
visione fisicamente ridotta rispetto al paesaggio.
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Infine, per l’alto impatto paesistico causato dalla creazione delle nuove piste da sci e relativi impianti di risalita, tra
Temù e Ponte di Legno, si è ritenuto opportuno attribuire un rilevante valore paesaggistico di contrasto ai soprassuoli
compresi tra le opere stesse.
Le formazioni forestali considerate ad alto valore paesaggistico sono le alnete di ontano bianco, gli aceri-frassineti, le
mughete, i lariceti e i larici-cembreti.
Per i boschi di margine, delimitanti i prati e i pascoli, e per quelli a ridosso della viabilità principale e secondaria,
l’attitudine paesaggistica è stata attribuita a fasce soprassuolo dell’ampiezza di 25-50m.
La superficie forestale totale interessata da tale attitudine risulta essere di 1.230,3 ha.
ATTITUDINE NATURALISTICA
L’attitudine naturalistica rappresenta la capacità congenita ai popolamenti forestali di costituire ecosistemi articolati e
complessi, con un alto grado di biodiversità, e che spesso si distinguono per la presenza di particolari pregi floristici o
faunistici. L’attitudine si esplica con la capacità di protezione degli habitat naturali e del grado di ricchezza biologica.
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L’attitudine è stata assegnata ai boschi con preminente ruolo di protezione degli habitat e a quelli che, per
complessità strutturale e compositiva, presentano caratteri di naturalità elevata. Queste formazioni si trovano poste
nelle aree meno accessibili e più interne del Parco, dove gli effetti della pressione antropica passata risultano meno
evidenti.
In particolare l’attitudine è stata attribuita:
•
alle cenosi forestali ricadenti negli ambiti delle zone umide, come evidenziate dall’articolo 37 del PTC del
Parco. Queste risultano localizzate: sul versante Sud del Monte Plazza in località Plazza, tra le quote 1600 e
1700m s.l.m., nei pressi di Valbione, in corrispondenza dei tratti piani prospicienti il dosso Prepazzone, e sulle
prime pendici del versante Sud del Passo del Tonale in aree anche di estesa superficie.
•
alle superfici forestali ricadenti in zone di Riserva Naturale Parziale evidenziate dall’art. 28 del PTC e
localizzate: sul versante destro della parte finale della Val Paghera, passando per il Pian dei Morei e coprendo
le pendici ed il fondovalle della Valle di Vallaro, per i boschi e gli arbusteti ricadenti nella riserva dell’Adamello
siti al culmine della Val d’Avio, Val Seria e Valle Narcanello.
•
al sito forestale evidenziato come monumento naturale (art. 20 PTC), in Val Seria.
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•
ai soprassuoli ricadenti nei SIC dei Versanti dell’Avio (cod. IT2070009), del Monte Piccolo - Monte Colmo (cod.
IT2070002) e delle Torbiere del Tonale (cod. IT2070001)
•
ai soprassuoli forestali posti in aree subalpine (quota maggiore di 1700m s.l.m.).
L’attitudine interessa superfici forestali per complessivi 2.505,9 ha.
ATTITUDINE TAMPONE
Le particolari trasformazioni subite dal territorio oggetto del PIF, in seguito alla realizzazione dell’ampliamento del
demanio sciabile di Ponte di Legno e Temù, hanno reso opportuno considerare la particolare funzione a cui le
formazioni forestali, poste in prossimità dei nuovi impianti, devono adempiere.
In particolare l’apertura dei tracciati dei nuovi impianti ha comportato la creazione di estesi margini artificiali in
soprassuoli con copertura colma e continua.
A causa dell’intensa frequentazione delle infrastrutture per lo sci questi soprassuoli di margine risultano d’importanza
strategica per la percezione visiva ed emozionale del paesaggio da parte dei fruitori e quindi di primaria importanza
per la costituzione del valore paesaggistico collettivo dell’intero comprensorio.
Oltre a determinare l’instabilità meccanica dei soprassuoli, i nuovi margini costituiscono un’interruzione artificiale
degli ecosistemi naturali, causa di alterazioni microclimatiche ed esposizione degli ecosistemi a perturbazioni esterne,
prima fra tutte quella determinata dal disturbo antropico.
L’attitudine tampone è definita principalmente dalla localizzazione dei soprassuoli in prossimità delle infrastrutture ad
elevata frequentazione. Per essa risulta fondamentale il ruolo complesso che le formazioni forestali devono svolgere,
nel quale si fondono aspetti particolari di più funzioni, comprendenti quella protettiva, quella paesaggistica e quella
naturalistica.
La funzione protettiva deve intendersi rivolta alla costituzione di soprassuoli in grado di resistere all’isolamento
laterale e rendere i margini stabili e sicuri per l'esercizio delle attività antropiche e nei confronti delle strutture stesse.
Relativamente alla funzione paesaggistica questi soprassuoli partecipano direttamente alla formazione del paesaggio,
condizionandone sensibilmente la qualità a causa della loro elevata visibilità, dell’azione di mascheramento delle
infrastrutture e del ruolo primario nella costituzione od occlusione dei coni visuali.
La funzione naturalistica è data dall’importanza ecologica dei margini che costituiscono ecosistemi cuscinetto tra
ambienti diversi con funzione di reciproca protezione. Nel caso specifico risulta importante il ruolo di protezione degli
ecosistemi forestali dalle alterazione e destabilizzazioni causate con la creazione dei nuovi margini, che creano
fenomeni di instabilità strutturale e di alterazione del microclima forestale. Se opportunamente rinaturalizzati, con
formazione del mantello ecotonale, i margini costruiranno importanti componenti di diversificazione ecosistemica e
complessità biologica.
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L’attitudine tampone è stata attribuita alle fasce di bosco, con ampiezza di 50m, prospicienti le infrastrutture sciistiche
e la viabilità principale.
La superficie boscata interessata da tale attitudine è di 249,3 ha
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VOCAZIONE DEI TIPI FORESTALI
La relazione tra l’attitudine e la formazione forestale che la esplica è stata chiamata “vocazione del tipo forestale”. La
vocazione del tipo forestale esprime la capacità di una formazione di assolvere alle diverse attitudini funzionali
esposte nel capitolo precedente: attitudine produttiva, didattico-fruitiva e storico-culturale, protettiva, paesaggistica,
naturalistica, tampone.
10
La vocazione è stata espressa in valori (pesi) assegnati secondo la letteratura esistente e l’esperienza acquisita sulla
gestione di questi soprassuoli dal personale del Parco.
10
Didattico-Fruitiva
Tampone
Protettiva
Produttiva
Aceri-frassineto tipico
Aceri-frassineto con ontano bianco
Alnete di ontano bianco
Alnete di ontano verde
Betuleto primitivo
Corileto
Lariceto in successione con Pecceta
Lariceto primitivo
Larici cembreto tipico
Lariceto tipico
Lariceto tipico variante montana
Mugheta microterma dei substrati silicatici
Peccete secondaria montana
Pecceta azonale su alluvioni
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici di suoli mesici
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici di suoli xerici
Pecceta montana dei substrati silicatici di suoli
Paesaggistica
Tipo Forestale
Naturalistica
La seguente tabella riporta i valori vocazionali assegnati ai tipi forestali cartografati.
0,7
0,8
1,0
0,8
1,0
0,6
0,8
1,0
1,0
0,8
0,7
1,0
0,1
1,0
0,8
1,0
1,0
0,7
1,0
0,5
0,6
1,0
1,0
0,8
0,6
1,0
0,2
1,0
0,7
0,8
0,9
0,2
1,0
0,5
0,6
0,2
0,5
1,0
0,8
0,1
0,5
1,0
0,8
1,0
0,9
0,8
0,6
0,6
0,5
0,4
0,4
0,6
0,6
0,2
0,4
0,6
1,0
1,0
1,0
1,0
1,0
0,5
0,7
1,0
1,0
0,8
0,7
1,0
0,2
1,0
0,7
0,6
0,4
0,2
0,1
0,4
0,6
0,2
0,1
0,7
0,8
0,0
0,8
0,3
0,8
0,9
0,8
0,8
0,8
0,8
0,9
0,9
0,8
0,8
0,9
0,7
0,5
0,7
0,7
0,6
0,6
1,0
Del Favero R. e altri, 2000 - Biodiversità e indicatori nei tipi forestali del Veneto. - Regione Veneto, Direzione Regionale dell’Economia Montana e
delle Foreste, Mestre-Venezia.
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mesici
LE FUNZIONI PREVALENTI
Dopo aver definito, caratterizzato e pesato i due criteri, “attitudini del sito” e “vocazione del tipo forestale”, il metodo
di analisi multicriteriale adottato ha previsto, con l’ausilio di software GIS, la suddivisione del territorio in celle
omogenee e la definizione ad opera del decisore del peso da attribuire ai due possibili criteri di attribuzione della
funzione prevalente (“attitudine del sito”, “vocazione del tipo forestale”).
Ricordando che dare maggiore peso al primo criterio significa accentuare l'intento modificatore della realtà,
prefigurando un assetto forestale più rispondente alle funzioni individuate, e che alternativamente privilegiare
l’aspetto relativo alle vocazioni dei tipi forestali può prefigurare, una scelta conservatrice, più vicina allo status attuale
delle cose, che può risultare, in alcuni casi, addirittura priva di contenuto pianifacatorio.
La scelta, operata dai funzionari del Parco, è stata quella di optare per un intento maggiormente strategico
attribuendo alle attitudini del sito un valore di 0,70 e alla vocazione forestale il restante 0,30.
Nella valutazione dell’ordine d’importanza delle diverse funzioni dei comprensori boscati si è ricorsi al metodo dei
confronti a coppie con il quale i pesi vengono assegnati ad ogni alternativa confrontandola con tutte le altre,
costruendo, come rappresentato in figura, una matrice quadrata e simmetrica rispetto alla diagonale principale
(matrice di Saaty). Anche in questo caso il coinvolgimento dai funzionari del Parco nel confronto tra le varie coppie di
funzioni è stato determinante per stabilire gli orientamenti pianificatori dell’ente.
IMPORTANZA RELATIVA
DEL PARAMETRO
PESO
Funzione
meno importante
1/9
1/7
1/5
uguale importanza
1/3
1
più importante
3
5
7
9
Protezione
idrogeologica
Naturalistica e di
Produzione
DidatticoTampone
Paesaggistica
e di
conservazione
legnosa
Fruitiva
conservazione
della biodiversità
del suolo
Produzione legnosa
1
1/4
1/3
1/3
1/2
1/5
Tampone
4
1
3
3
3
1
Protezione
idrogeologica e di
conservazione del
suolo
3
1/3
1
1/2
1/2
1/2
Paesaggistica
3
1/3
2
1
1/2
3
Didattico-Fruitiva
4
1
2
2
1
1/2
90
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Naturalistica e di
conservazione della
biodiversità
5
1
2
1/3
1
2
L’ordine d’importanza delle diverse funzioni è dato da un algoritmo che, sulla base dei valori riportati dalla matrice di
Saaty, restituisce, in termini percentuali, il peso di ogni alternativa funzionale.
Tale risultato è supportato da un processo statistico atto a mantenere una “coerenza” di immissione dei valori,
11
attraverso l’indice di consistenza . La teoria dei sistemi relazionali di preferenza dimostra, infatti, che le relazioni di
preferenza e di indifferenza che conseguono da un insieme di confronti a coppie possono essere non transitive (ad es.,
a è preferito a b, b è preferito a c, ma a può essere non preferito a c).
La fase finale di definizione della funzione prevalente prevede l’utilizzo di un secondo algoritmo specifico che,
applicato per ogni cella omogenea di territorio, determina il valore della funzione considerata:
Valore alternativa = Peso criterio x Peso alternativa x Attitudine sito + Peso criterio x Peso alternativa x Vocazione tipo
Ad esempio:
0,70*0,05*1 + 0,30*0,05*1 = 0,05
Criterio decisionale
Peso del criterio
Attitudine del
sito
0,70
Vocazione del tipo Peso di ogni
forestale
alternativa Valore della
funzione
funzionale
0,30
Produzione
1
1
0,05
0,050
Tampone
Protezione idrogeologica e di
conservazione del suolo
0
0,8
0,25
........
0,33
0,8
0,10
…..
Paesaggistica
1
0,6
0,19
…..
Didattico – Fruitiva
Naturalistica e di conservazione della
biodiversità
0
0,4
0,20
…..
1
0,6
0,21
……
11
L’indice di consistenza (CI, consistency index) permette di misurare la consistenza della matrice tramite lo scarto complessivo tra due insiemi di
valori. Nel caso di consistenza perfetta CI è uguale a zero: quando la matrice è perfettamente consistente. Al crescere dell'inconsistenza il valore di
CI aumenta. Il metodo AHP prevede che l'indice CI sia confrontato con l'indice RI (random index). Questo secondo indice si calcola effettuando la
media dei valori di CI di numerose matrici reciproche dello stesso ordine, i cui coefficienti vengono generati in modo random (cioè casuale) da un
computer. Quando il valore di CI della matrice compilata dall'esperto supera una soglia convenzionalmente posta uguale al 10% del valore di RI, la
deviazione dalla condizione di consistenza perfetta viene giudicata inaccettabile. Secondo Saaty un valore di CI superiore a tale soglia indica una
scarsa coerenza (forse anche una scarsa attenzione) dell'esperto che ha effettuato i confronti, piuttosto che una non transitività strutturale, e come
tale accettabile, del suo sistema di preferenze. Quando il valore di CI supera la soglia, l'esperto deve sforzarsi di aumentare la coerenza dei suoi
giudizi modificando, totalmente o in parte, le stime poste.
91
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
La scelta della alternativa decisionale ricade sulla funzione che ottiene il risultato più grande definendo l’azzonamento
funzionale del territorio riportato nella Carta delle Funzioni Prevalenti.
92
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Il metodo utilizzato sottolinea la multifunzionalità delle superfici forestali del Parco; la definizione della funzione
prevalente costituisce pertanto l’indirizzo prioritario delle strategie gestionali e programmatorie del territorio che non
devono in ogni caso esimersi dall’assolvimento delle altre funzioni.
Sup. ha
PA ESA GGISTICA
1800,00
1600,00
NA TURA LISTICA
1400,00
1200,00
PRODUTTIVA
1000,00
PROTETTIVA
FRUITIV A
800,00
600,00
TA M PONE
400,00
200,00
0,00
TIPO
ATTITUDINE
PAESAGGISTICA
NATURALISTICA
PRODUTTIVA
PROTETTIVA
FRUITIVA
TAMPONE
SUP. ha
1740,55
1311,83
817,85
706,47
702,08
244,40
L’azzonamento del territorio prevede le seguenti destinazioni funzionali prevalenti:
Produzione legnosa. Riservata pressoché esclusivamente al bosco montano di conifere (categoria forestale della
Pecceta); tale funzione viene proposta nelle forme proprie della selvicoltura senza tuttavia prevederne l’applicazione
intensiva se non per motivate necessità di riqualificazione forestale, fitosanitarie e/o idrogeologiche; gli obiettivi
principali in capo alla funzione di produzione legnosa sono i seguenti:
- massimizzazione del reddito compatibile con il funzionamento degli ecosistemi forestali e con le finalità istitutive del
parco;
- valorizzazione dell’offerta di legname locale;
- potenziamento del sistema locale di impresa.
Tampone. Questa funzione è attribuita alle superfici contigue alla Strada Statale n. 42, alle strade provinciali e di
12
interesse intercomunale, ed alle strutture sciistiche ; si identifica nella necessità di adottare forme puntuali e
modulate di gestione dei soprassuoli contigui a tali strutture, in grado di consentire sia il mantenimento delle
condizioni ordinarie di sicurezza delle strutture stesse, sia l’ottenimento di maggiori benefici in termini ambientali e
paesaggistici; gli obiettivi principali in capo alla funzione prevalente tampone sono i seguenti:
- creazione di margini naturaliformi, mantenimento e/o ricostituzione del mantello ecotonale;
- valorizzare soprassuoli meccanicamente stabili e autosufficienti nel tempo;
- favorire un migliore inserimento paesaggistico delle infrastrutture;
12
Analoga attribuzione potrebbe essere prevista per gli elettrodotti e viadotti di grande e media portata (maggiore di 30.000 volt), tuttavia si è ritenuto
rimandare questa trattazione perché è in fase di definizione proprio in questo periodo, uno specifico protocollo d’intesa con TERNA, ENEL ed
EDISON, per la definizione delle procedure di intervento forestale in tali ambiti per i quali, tra le altre cose, sussistono necessità tecniche particolari
che limitano fortemente la scelta di alternative programmatorie.
93
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
- in presenza di percorsi o punti panoramici la continuità dei soprassuoli potrà essere interrotta o mantenuta
interrotta per consentire la percezione visiva del paesaggio.
Protezione idrogeologica e di conservazione del suolo. In questa categoria sono ricompresi buona parte dei
soprassuoli tradizionalmente classificati come “boschi di protezione” (ambiti altimontani e subalpini) oltre ai
soprassuoli comunque localizzati in condizioni di elevato rischio idrogeologico (formazioni ripariali e vegetazione
ripariale, canaloni da valanghe, ghiaioni e aree inastabili, ecc.); pur evidenziando che per tale funzione le linee di
indirizzo proposte si identificano pressoché interamente nella “libera evoluzione naturale”, gli obiettivi principali che
la contraddistinguono sono:
- mantenere e/o migliorare l'azione di protezione esercitata dalle formazioni forestali (protezione idrogeologica,
sanitaria, ecc.);
- programmare interventi di monitoraggio delle condizioni di sicurezza della vegetazione (necessità di interventi di
svaso di collettori attivi, bonifica di alberi instabili in condizioni di rischio idrogeologico);
- favorire la riqualificazione forestale di ambiti degradati per diminuire il rischio di incendi boschivi.
Paesaggistica. Comprende i soprassuoli che per tipologia forestale e/o particolare localizzazione topografica,
assumono un’elevata rilevanza paesaggistica (lariceti montani e primitivi, larici-cembreti, betuleti, soprassuoli ad
elevata affluenza turistica, ecc.); gli obiettivi principali in capo alla funzione prevalente paesaggistica sono i seguenti:
- mantenimento di formazioni paesaggisticamente pregevoli e capaci di diversificare gli aspetti cromatici del
paesaggio (lariceti tipici e aceri-frassineti);
- contrastare la ricolonizzazione degli spazi aperti (prati di mezza costa, pascoli);
- creazione e/o mantenimento dei “coni ottici” di percezione del paesaggio.
Didattico – Fruitiva. In questa categoria sono stati inseriti soprassuoli particolarmente interessati da afflusso turistico
e/o comunque esposti a flussi antropici molto elevati; comprendono anche i soprassuoli contigui ai manufatti della
Grande Guerra ai luoghi di culto e spiritualità o scenario di particolari eventi o leggende; gli obiettivi principali in capo
alla funzione prevalente didattico-fruitiva sono i seguenti:
- valorizzare soprassuoli a significativo impatto emotivo (alberi stramaturi, interesse storico, migliore accessibilità,
ecc.);
- individuare aree alternative per la fruizione al fine di consentire la rinnovazione dei soprassuoli o il recupero dagli
stress dovuti alla intensa frequentazione;
- mantenere un elevato livello di stabilità dei soprassuoli ed elevate condizioni di sicurezza per i fruitori;
- mantenere e/o migliorare la qualità estetico-paesaggistica dei soprassuoli;
94
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
- in corrispondenza di luoghi di culto, spiritualità o scenario di particolari eventi o leggende, conservazione e/o
ricostituzione delle particolari scenografie vegetali.
Naturalistica e di conservazione della biodiversità. Tale funzione è stata attribuita alle aree a Parco Naturale (ZPS) e
ai SIC, oltre a quelle superfici che per particolare configurazione tipologica e topografica suggeriscono regimi di
protezione particolari; in questa categoria rientrano altresì le “tipologie forestali di margine” comunque non rilevate
cartograficamente quali le Formazioni particolari, i Betuleti primitivi, la Pecceta a sfagni e tutte quelle tipologie per le
quali comunque è stata proposta come indicazione gestionale la “libera evoluzione naturale”; gli obiettivi principali in
capo alla funzione prevalente naturalistica e di conservazione della biodiversità sono i seguenti:
- mantenimento e arricchimento della variabilità e complessità ecosistemica anche in contrasto con la naturale
evoluzione dei soprassuoli;
- migliorare i soprassuoli in ottiche di valorizzazione faunistica anche con interventi diretti al sostegno di particolari
emergenze faunistico-naturalistiche (es. arene di canto del cedrone);
- mantenere le formazioni che svolgono azione di protezione degli ecosistemi più delicati (es. mantenimento di una
scarsa attrattività turistico-ricreativa delle aree circostanti quelle ad alta vulnerabilità ecologica).
95
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
MODELLO DI GESTIONE SELVICOLTURALE
L’analisi pregressa delle autorizzazioni forestali evidenzia la necessità di garantire anche in futuro, una forma
coordinata di gestione forestale proseguendo la linea già tracciata nel decennio precedente. I piani di indirizzo
forestale possono prevedere forme dedicate di procedura autorizzativa rientranti nei regimi della dichiarazione di
conformità (R.R. 5/2007 – art- 13/comma 4); si ritiene adeguato proporne l’applicazione anche nel caso del parco
perché consentirebbe, oltre alla possibilità di mantenere l’impostazione consolidata, di rendere più elastica
l’applicazione delle disposizioni di indirizzo previste da questo piano e, soprattutto, di favorire il maggior
coinvolgimento da parte di professionisti e consorzi forestali.
Procedure. Dovrà essere obiettivo di breve periodo la redazione di “protocolli d’intesa” e “disposizioni puntuali” che
consentano di consolidare i rapporti operativi tra il parco, le proprietà, i consorzi forestali e le associazioni di
categoria. Per quanto attiene invece gli aspetti esclusivamente procedurali, in riferimento a quanto già disposto dal
13
R.R. 5/2007 – art- 13/comma 4 , è previsto quanto segue:
1. Dichiarazione di conformità tecnica. Ogni richiesta di utilizzazione forestale ordinaria riguardante qualsiasi
tipologia di bosco e di intervento, dovrà essere accompagnata da specifica Dichiarazione di Conformità Tecnica al
presente Piano di Settore, redatta da un dottore forestale o agronomo; nella DCT, oltre ai dati tradizionalmente
richiesti in sede di denuncia di taglio, dovrà essere esplicitato in maniera esaustiva il rispetto dei contenuti del
modello di gestione forestale del parco; è facoltà del parco rilasciare specifico parere autorizzativo e/o richiedere
integrazioni puntuali della DCT. La compilazione della DCT potrà essere anche richiesta direttamente al parco, il
quale, a meno di giustificata indisponibilità organizzativa, provvederà in tal senso entro i 60 giorni successivi.
2. Relazioni e progetti di taglio. Le Relazioni di taglio e i Progetti di taglio sono comunque necessari nei casi e nelle
modalità previste dal R.R. 5/2007.
3. Autorizzazione per tagli all’interno dei Siti Natura 2000 e nel Parco Naturale. I tagli eseguiti in conformità a
quanto disposto dal R.R. 5/2007 e successive modifiche, nonché ai contenuti tecnici del MODELLO DI GESTIONE
FORESTALE PER IL PARCO DELL’ADAMELLO, possono essere eseguiti previa Procedura Semplificata di Valutazione
d’Incidenza così come prevista dalla Deliberazione del Consiglio Direttivo della Comunità Montana di Valle
Camonica n. 263 del 28 novembre 2007.
Le norme forestali del Parco dell’Adamello e i Modelli di funzionamento delle Tipologie forestali. Per ogni tipologia
forestale presente nel parco, indipendentemente dalla preventiva localizzazione cartografica, viene individuato uno
specifico modello di gestione che, prendendo le mosse dai recenti studi tipologici validi per la Regione Lombardia, a
loro volta integrati con valutazioni specifiche di Funzione prevalente così come individuata dal presente studio,
13
(…)Il piano di indirizzo forestale può, con riferimento all’intero territorio ad esso assoggettato:
-
rendere non necessaria la presentazione della dichiarazione di conformità tecnica;
-
prevedere la dichiarazione di conformità tecnica anche nel caso di comunità montane e parchi;
-
modificare la soglia oltre la quale vale l’obbligo della presentazione della dichiarazione di conformità tecnica.
-
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
individua le linee di indirizzo forestale da adottarsi nell’intero territorio forestale del parco (Modelli gestionali delle
tipologie forestali – SCHEDE) .
Ambito di applicazione delle procedure e dei modelli di funzionamento. Il Modello di gestione forestale per il Parco
dell’Adamello, validato in sede di redazione del PIF ALTO PARCO, è da intendersi valido ed applicato all’intero
territorio del Parco dell’Adamello.
Direttive gestionali di indirizzo del Parco dell’Adamello. La gestione forestale del parco viene attuata secondo le
seguenti direttive di indirizzo:
- Indirizzi tecnici:
-
Il governo a fustaia. Il parco promuove la forma di governo a fustaia e nel contempo la conversione a fustaia
dei cedui non attivamente gestiti.
-
Il governo a ceduo. Il parco promuove la gestione a bosco ceduo solo nei casi in cui siano garantiti i dettami
tecnici propri di tale forma di governo (cure colturali).
-
Biodiversità. Il parco promuove la valorizzazione di soprassuoli tra loro diversificati e caratterizzati da maggiori
livelli di complessità fisionomico-strutturale.
-
La libera evoluzione naturale. La libera evoluzione naturale viene dettata per tutte quelle tipologie forestali le
cui caratteristiche fisionomico-strutturali ne suggeriscano a priori tale necessità, indipendentemente da
considerazioni di carattere idrogeologico e/o topografico (boschi di protezione), ovvero in tutte quelle
formazioni la cui importanza forestale predilige interessi bio-ecologici (formazioni particolari, neoformazioni,
formazioni ripariali, formazioni primitive, rupicole, di forra, di falda detritica, ecc.).
-
Selvicoltura modulata. Il parco promuove l’adozione di sistemi di taglio non intensivi ed attenti alla
valorizzazione della variabilità compositivo-strutturale dei soprassuoli ed al mantenimento della continuità di
copertura (“taglio a scelta”, “taglio di preparazione” e “tagli successivi uniformi”); forme intensive di taglio
potranno essere invece essere adottate nelle situazioni di derivazione antropica (rimboschimenti e boschi
secondari di conifere) e per motivate necessità fitosanitarie ed idrogeologiche.
-
Tutela delle specie accessorie. Il parco promuove la tutela delle specie accessorie e di quelle in fase pioniera:
Prunus avium, Crataegus monogina, Acer campestre, Betula pendula, Juniperus communis, Laburnum
anagyroides, Cornus sanguinea, Cornus mas, Morus alba, Populis tremula, Quercus pubescens, Salix caprea,
Taxus baccata, Ulmus glabra, Sambucus nigra, Sambucus racemosa, Sorbus aucuparia e Sorbus aria.
-
Specie a valenza faunistica. Il parco promuove la tutela di tutti le erbe e arbusti bacciferi , e degli alberi ad
elevata valenza faunistica quali: Prunus avium, Crataegus monogina, Acer campestre, Betula pendula,
Juniperus communis, Laburnum anagyroides, Mespilus germanica, Malus sylvestris, Morus alba, Prunus sp.,
Pyrus pyraster, Taxus baccata, Cornus sanguinea, Cornus mas, Sambucus nigra, Sambucus racemosa, Quercus
pubescens, Sorbus aucuparia e Sorbus aria.
-
Specie obiettivo. Il parco promuove il contenimento della banalizzazione tipologica dei soprassuoli ed in
particolare la salvaguardia delle specie e delle tipologie meno “competitive”: Quercus sp., Carpinus betulus,
14
14
La tutele delle erbe e arbusti bacciferi viene attuata modulando le operazioni di contrassegno in maniera oculata e attenta ad evitarne il danneggiamento durante i tagli. Tra le specie principali oggetto di salvaguardia
possiamo citare le seguenti: Actaea spicata, Amelnachier ovalis, Arctostaphylus sp., Arum sp., Asparagus tenuifolius, Atropa belladonna, Berberis vulgaris, Bryonia dioica, Cotoneaster integerrimus, Euonymus sp.,
Fragaria vesca, Frangula aluns, Ligustrum vulgare, Lonicera sp., Paris quadrifolia, Polygonatum sp., Ramnus sp., Ribes sp., Rosa sp., Rubus sp., Ruscus aculeatus, Vaccinium sp., Rododendron sp. e Viburnum sp.
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Acer pseudoplatanus, Tylia cordata, Fagus sylvatica, Abies alba e Pinus cembra; per tali specie, definite “specie
obiettivo”, in particolare dovranno essere adottati regimi di tutela “ad hoc” che possano prevederne anche il
divieto di utilizzazione.
-
Alberi superdominanti. Il parco promuove la tutela e valorizzazione degli alberi superdominanti (anche qualora
sia necessario il rilascio di cespi e/o gruppi di alberi a corredo degli stessi).
-
Alberi monumentali. Il parco promuove la tutela e valorizzazione monumentale di singoli alberi e di soprassuoli
boschivi con caratteristiche monumentali (cure colturali, selvicoltura d’educazione, segnalazione puntuale e
pubblicità).
-
Necromassa. Il parco promuove il mantenimento di un buon livello di necromassa adulta in piedi e/o al suolo,
prevedendo il rilascio di vecchi alberi morti in piedi in fase di più o meno avanzata colonizzazione biotica
(presenza di nidi e tane), e di almeno 10 mc/ha di necromassa adulta durante i tagli.
-
Stagionalità degli interventi. Gli interventi forestali dovranno essere programmati valutando se le superfici
oggetto d’intervento e quelle strettamente contigue siano abitualmente utilizzate da specie particolarmente
minacciate (tetraonidi, ungulati, mustelidi, ecc); a livello preventivo viene disposta l’adozione di sistemi di
contrassegno puntuale che escludano comunque dall’utilizzazione aree di nidificazione certa (presenza di tane,
arene di canto, radure miste e alberi dotati di nido) e/o comunque determinanti per il completamento del ciclo
vitale di determinate specie (siti di svernamento, tutela delle aree umide, tane e ricoveri ipogei, ecc.). Non
sono previste limitazioni di periodo delle utilizzazioni forestali, ritenendo in tal senso più efficace una maggior
attenzione in fase di redazione dei progetti di taglio. Quest’ultimo concetto non è esteso alle aree SIC e ZPS per
le quali le singole progettazioni potranno prevedere ulteriori limitazioni operative da sottoporre a specifica
valutazione d’incidenza semplificata.
-
Tutela dei “punti acqua”. Il parco promuove la tutela delle microaree umide all’interno del bosco.
-
Fasce arborate di protezione. Il parco promuove l’applicazione di forme modulate di intervento nelle porzioni
di bosco adiacenti a strade e infrastrutture forestali affinchè siano meglio protette dal disturbo le superfici
interne più interne (mantenimento di strati di vegetazione in successione: radura-boscaglia-bosco; tutela degli
arbusti).
-
La lotta antincendi boschivi. Il parco promuove la diminuzione della suscettività dei soprassuoli boschivi nei
confronti del fuoco, adottato forme di selvicoltura “ad hoc” che prevedano il contrasto delle situazioni di
monospecificità, la conversione in altofusto dei cedui (con particolare riferimento ai castagneti), la
valorizzazione di formazioni minori, ecc.
- Indirizzi amministrativi:
-
Il ruolo del Consorzio Forestale. Il parco individua i Consorzi Forestali come principali interlocutori nella
gestione attiva del patrimonio forestale pubblico e, mediante protocolli d’intesa dedicati, individua con essi
forme condivise d’intervento e di programmazione.
-
Il ruolo degli Usi civici. Il parco promuove il riordino degli Usi civici e la loro valorizzazione come forma
capillare di utilizzazione e manutenzione del territorio.
-
Il contrassegno forestale. Il parco individua il contrassegno forestale preventivo (sia per la frazione di bosco
a fustaia che per quella a bosco ceduo) effettuato da personale tecnico qualificato, come condizione tecnica
necessaria per l’attuazione degli obiettivi di gestione e di indirizzo forestale; le operazioni di contrassegno
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
potranno essere non necessarie nel caso di tagli di piccola entità (“tagli ad uso familiare” attuati su superfici
private inferiori a 1000 mq) e per la bonifica di alberi morti e/o sradicati ed instabili.
-
Assistenza tecnica. Il parco promuove iniziative atte a garantire ai proprietari la migliore assistenza tecnica (corsi specifici,
patentino per il contrassegno e il taglio del bosco, convenzioni con i consorzi forestali e con i professionisti abilitati, ecc.).
Viabilità forestale. Il PIF ALTO PARCO rimanda la programmazione e gestione della viabilità agro-silvo-pastorale a
quanto già previsto dai Piani d’assestamento, dal PTC ed in particolare dal Catasto della viabilità agro-silvo-pastorale
per la Valle Camonica (VASP), approvato con deliberazione del Consiglio Direttivo della Comunità Montana di Valle
Camonica n. 42 del 12.03.2008. Per quanto attiene invece la realizzazione di “infrastrutture forestali temporanee” di
attinenza selvicolturale (piste forestali, piazzali di deposito) si rimanda a quanto già previsto nel vigente R.R. 5/07 (art.
76).
Attività agricola e pastorale. I territori del parco sono utilizzati diffusamente per le attività di attinenza pastorale.
L’interazione tra gestione forestale e gestione pastorale viene attuata secondo quanto già disposto dal vigente R.R.
5/07 (art. 57 e Titolo 4). Il PIF ALTO PARCO promuove la valorizzazione degli ambiti pastorali, agevolando il
mantenimento delle aree pascolive in attualità di gestione ed il contenimento della ricolonizzazione arboreo-arbustiva
dei loro pascoli (facendo riferimento per l’individuazione degli stessi a quanto già contenuto nei PAF e rimandando
ulteriori indicazioni a specifici piani di gestione del settore agricoltura nel parco).
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
15
Gestione modulata nei SIC e nelle ZPS . In sede di valutazione ambientale strategica del PIF ALTO PARCO, sono state
15
Si riportano alcuni brevi tratti della deliberazione citata, riportante “Criteri per l’applicazione della procedura semplificata di Valutazione di
Incidenza o l’esclusione dalla procedura di Valutazione di Incidenza di interventi di limitata entità interessanti i siti di Rete Natura 2000 gestiti dal
Parco dell’Adamello-Comunità Montana di Valle Camonica (Ai sensi dell’allegato C della D.G.R. n. 7/14106 del 8 agosto 2003 e succ. mod. ed int.)”:
(…) La Valutazione di Incidenza si applica agli interventi all’interno dei siti di Rete Natura 2000 non direttamente connessi o necessari al
mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti e che possono avere incidenze significative sugli
stessi, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi. Si applica inoltre agli interventi che riguardano ambiti esterni ai siti di Rete Natura 2000
qualora, per localizzazione e natura, siano ritenuti suscettibili di produrre incidenze significative sulle specie e sugli habitat presenti nel sito stesso.
(…) Sono esclusi dalla procedura di Valutazione di Incidenza gli interventi di opere interne, manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro,
risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, che non comportino aumento di volumetria, superficie o modifiche di sagoma, a condizione
che il soggetto proponente o il tecnico incaricato dichiarino, ai sensi degli artt. 38 e 47 del D.P.R. 445/2000, che gli interventi proposti non abbiano
né singolarmente né congiuntamente ad altri interventi, incidenze significative sui siti di Rete Natura 2000, fatte salve eventuali norme di settore
più restrittive.
(…) Non devono essere sottoposti a procedura di Valutazione di Incidenza gli interventi e le attività previsti e regolamentati dai piani di gestione dei
siti di Rete Natura 2000, riconosciuti direttamente connessi o necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e
degli habitat presenti nei siti.
(…) Non sono infine sottoposti a Valutazione di Incidenza gli interventi, previsti da strumenti di pianificazione già positivamente sottoposti a
Valutazione di Incidenza, individuati nel provvedimento di valutazione del piano come non soggetti a ulteriore successiva procedura di valutazione.
(…) Possono essere sottoposti a procedura semplificata di Valutazione di Incidenza, interventi di limitata entità riferibili a tipologie esemplificative
individuate dagli enti gestori sulla base delle specifiche esigenze di conservazione di ogni sito.
(…) L’ente gestore si riserva comunque la possibilità di sottoporre l’intervento alla completa procedura di Valutazione di Incidenza, richiedendo la
redazione di uno studio di incidenza, anche nel corso della realizzazione dell’intervento, qualora si verifichi la possibilità di incidenze significative sul
sito. La procedura semplificata si può applicare nell’ambito delle tipologie esemplificative di interventi secondo una delle seguenti modalità:
Autovalutazione di assenza di incidenza significativa, Valutazione di Incidenza sulla base dell’analisi diretta della documentazione progettuale
(…) Tipologie esemplificative di interventi che possono essere sottoposti alla procedura semplificata di Valutazione di Incidenza:
interventi di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia di edifici e loro spazi accessori non finalizzati a destinazione produttiva,
che comportino aumenti di superficie o di volume non superiori al 20% del preesistente;
ampliamento di fabbricati esistenti e loro spazi accessori aventi destinazione produttiva (caseifici, fienili, rimesse, stalle, ecc..) in adeguamento a
specifiche norme igienico-sanitarie, contenuti nel 20% della superficie o del volume preesistenti;
realizzazione di depositi per acqua o gas per utenze domestiche o agricole, se interrati comportanti scavi di alloggiamento non superiori a 15 mc, e
posa delle relative condotte di allacciamento interrate;
realizzazione di brevi tratti di condotte interrate per l’allacciamento elettrico, idrico, fognario ecc. di fabbricati, ivi compresa la realizzazione di fosse
biologiche;
scavi e riporti di entità limitata in aderenza o prossimità dei fabbricati volti al risanamento, ristrutturazione o sistemazione esterna;
realizzazione di opere di drenaggio per la regimazione idrica superficiale nell’area di pertinenza degli edifici, finalizzata al consolidamento o alla
manutenzione;
realizzazione di piccoli fabbricati e/o tettoie di volume massimo 20 m3 e contestuale superficie planimetrica massima 10 m2, quali depositi per gas,
acqua, latte, fieno, attrezzature agricole, legnaie, punti di osservazione, con esclusione di uso abitativo anche temporaneo;
realizzazione di manufatti accessori agli edifici quali cordoli, muretti, recinzioni di contenuta dimensione, percorsi pedonali, pavimentazioni
circostanti gli edifici, pannelli solari, a condizione che non comportino perdita di habitat;
Interventi edilizi di qualsiasi natura, compresa la nuova costruzione, purché realizzati all’interno dei centri edificati, così come individuati nelle
deliberazioni comunali di riferimento, ai sensi dell'art. 18 della Legge 865/1971, ossia, per ciascun centro o nucleo permanentemente abitato,
delimitati dal perimetro continuo che comprende tutte le aree edificate con continuità ed i lotti interclusi.
sistemazione di piste forestali ed altre infrastrutture forestali conformi ai piani di assestamento o di indirizzo forestale che abbiano superato
positivamente la valutazione d’incidenza;
manutenzione ordinaria e straordinaria di strade e sentieri compresa la realizzazione di nuovi brevi tratti di muratura, la realizzazione di piccole
opere di regimazione quali cunette laterali, canalette trasversali, caditoie, selciatoni di attraversamento ecc, realizzazione di brevi tratti di
protezione laterale, realizzazione di piazzole di scambio e di sosta, posa di segnaletica, ripulitura della sede viaria e delle scarpate dalla vegetazione
ostacolante il transito;
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ampiamente discusse ed analizzate le puntuali necessità di adattamento dei modelli di gestione forestale agli ambiti di
tutela di interesse comunitario (SIC e ZPS). Occorre in tal senso evidenziare che le finalità stesse di “migliore
programmazione e gestione del sistema foresta”, proprie del PIF ALTO PARCO, sono già di per sé garanzia di tutela
ambientale anche per SIC e ZPS. In tali ambiti si ritiene tuttavia necessario adottare sistemi di valutazione d’incidenza
specifici per ogni singolo intervento, consentendo l’applicazione della PROCEDURA SEMPLIFICATA DI VALUTAZIONE
D’INCIDENZA per gli interventi realizzati in sintonia con le disposizioni d’indirizzo del PIF ALTO PARCO e della
Deliberazione del Consiglio Direttivo della Comunità Montana di Valle Camonica n. 263 del 28 novembre 2007.
limitati allargamenti e/o pavimentazioni della sede viaria;
rifacimento e/o nuova realizzazione di muri di sostegno e controripa con tecniche che non prevedano l’uso di cls;
interventi di stabilizzazione delle scarpate a monte ed a valle con tecniche di ingegneria naturalistica, con esclusivo impiego di specie autoctone.
realizzazione di staccionate in legno e di piccole muracche a secco;
realizzazione di recinzioni di vario tipo purché di limitata estensione;
realizzazione di siepi e/o filari con esclusivo impiego di specie autoctone;
realizzazione di orti o seminativi o coltivazioni di piccoli frutti ecc. per una superficie inferiore a mq 500;
interventi di gestione forestale conformi alle Norme Forestali Regionali;
utilizzazioni e interventi di gestione forestale, interventi agronomici e di decespugliamento previsti da piani di assestamento e/o di indirizzo
forestale e/o pascolo, etc. con valutazione d’incidenza positiva, la cui attuazione sia stata specificatamente rinviata a singole valutazioni d’incidenza;
impianti di gru a cavo provvisori per l’esbosco di prodotti forestali;
interventi urgenti finalizzati alla difesa fitosanitaria e alla conservazione del bosco;
interventi, previsti da Piani antincendio boschivo con valutazione d’incidenza positiva, la cui attuazione sia stata specificatamente rinviata a singole
valutazioni d’incidenza;
pulizia di canali e rogge;
piccole opere provvisorie di attingimento e distribuzione idrica, per uso agricolo e d’alpeggio;
piccole sistemazioni di corsi d’acqua con tecniche di ingegneria naturalistica che prevedano
l’impiego di specie autoctone e che non determinino limitazioni nei movimenti della fauna;
impianti di illuminazione in prossimità delle abitazioni;
manutenzione di supporti per il posizionamento di ripetitori, trasmettitori, antenne e simili;
sostituzione di elettrodotti tradizionali con cavo aereo isolato, con cavo interrato o con analoghe opere volte al contenimento degli impatti
faunistici e paesaggistici;
interventi di manutenzione ordinaria ad opere di regimazione idraulica già esistenti;
interventi di manutenzione ordinaria di limitata entità ad impianti idroelettrici già esistenti;
interventi di manutenzione ordinaria agli impianti sciistici esistenti, alle opere accessorie e alla rete di innevamento;
scavi per sondaggi geognostici e simili;
prelievo di reperti faunistici, vegetazionali, mineralogici e simili in numero limitato per attività di ricerca scientifica;
prelievo di piccoli quantitativi di materiale lapideo per interventi edilizi autorizzati all’interno del sito;
restauro di manufatti della Prima Guerra Mondiale purché preventivamente autorizzati ai sensi della normativa in materia;
attività di campeggio in aree autorizzate, compresa realizzazione di piccoli manufatti accessori a carattere provvisorio;
manifestazioni varie (eventi sportivi, raduni, ecc.) di durata non superiore a giorni 3 realizzati in piazzali e/o presso strutture esistenti o condotti
sulla rete stradale e sentieristica.
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16
L’impatto delle utilizzazioni forestali . Le utilizzazioni forestali hanno sempre effetti più o meno significativi
sull’ambiente (compattazione e solcature del suolo, erosione diffusa e localizzata, rimescolamento o rimozione degli
orizzonti organici, modificazione locale dei regimi di deflusso epidermico, immissione di sostanze inquinanti, disturbo
alle popolazioni animali, danneggiamenti degli alberi, ecc.). Gli impatti prodotti si manifestano in maniera diversa a
seconda dell’operazione e delle modalità con cui l’operazione è condotta tuttavia occorre considerare che nelle
utilizzazioni forestali le diverse attività si concentrano spesso su superfici limitate rispetto l’intera superficie
sottoposta al taglio e che i tempi di applicazione prevedono un ritorno delle attività sulla stessa superficie a distanze in
genere superiori ai dieci anni. Ciò significa che l’intensità dell’impatto può essere sì elevata, ma sovente contenuta in
termini spaziali e che i meccanismi dell’ecosistema hanno spesso tempi sufficienti per assicurare un naturale ripristino
delle componenti ambientali influenzate da un determinato impatto:
- Abbattimento e allestimento con motosega. L’abbattimento e l’allestimento con motosega produce tre principali
impatti: inquinamento diffuso delle acque profonde con oli, immissione in atmosfera di sostanze inquinanti,
allontanamento temporaneo o permanente della fauna. L’inquinamento diffuso con oli è dovuto al funzionamento
della motosega che prevede la lubrificazione continua della catena (si stima che circa l’85% dell’olio impiegato per la
lubrificazione della catena cada a terra con effetti non trascurabili sull’inquinamento di falde più o meno profonde.
Tale condizione può essere contenuta in termini minimi adottando per la lubrificazione della catena oli di
derivazione vegetale. Per quanto attiene invece l’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti, i quantitativi
possono essere validamente ridotti adottando catalizzatori specifici e ricorrendo all’uso di benzine sintetiche. Per
quanto attiene invece il terzo aspetto impattante, causato dal rumore prodotto dalla motosega durante il suo
funzionamento, non sono obiettivamente individuabili sistemi di controllo e contenimento.
- Abbattimento e allestimento con harvester. Il ricorso agli harvester nelle operazioni di abbattimento e di
allestimento sta aumentando progressivamente tuttavia incontra notevoli difficoltà ad affermarsi in ambiente alpino
a causa delle condizioni topografiche di versante. Tali strumenti possono essere causa di notevole numerosi impatti
quali la compattazione e/o solcatura e rimescolamento degli orizzonti organici del terreno, l’inquinamento diffuso
delle acque profonde, l’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti, i danneggiamenti degli alberi non tagliati e
l’allontanamento temporaneo o permanente della fauna. Trattandosi di strumenti la cui funzionalità assume
significati importanti in forme di selvicoltura difficilmente applicabili ai territori in esame per le già citate difficoltà
topografiche, si ritiene comunque occasionale la sua possibilità di utilizzo e pertanto minori le contingenze
impattanti sul territorio.
- Abbattimento e allestimento con processor. I processori hanno avuto maggiore diffusione rispetto agli harvester e
consentono una notevole diminuzione degli impatti rispetto ad altre soluzioni. Il processore, infatti, è una macchina
che opera prevalentemente all’imposto, di norma a bordo strada, e il materiale abbattuto è esboscato fino al
processore per essere allestito. Questo tipo di organizzazione può consentire anche di limitare l’impatto generato
dal rumore prodotto dal funzionamento del motore e della sega a catena della testata allestitrice. Il processor
staziona sulla strada o comunque ai margini della particella nella quale si stanno effettuando le operazioni di
abbattimento e di esbosco; esso è quindi una sorgente di rumore concentrata in un unico luogo e non diffusa
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“La Gestione Forestale e la Conservazione degli Habitat della Rete Natura 2000” (Masutti, Battisti; 2007).
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attraverso tutto il bosco. tali strumenti sembrano essere i macchinari più indicati per forme di selvicoltura intensiva
in ambiente alpino e/o comunque caratterizzato da difficoltà di accesso diretto ai versanti.
- Concentramento ed esbosco per via terrestre. I processori hanno avuto maggiore diffusione rispetto agli harvester e
consentono una notevole diminuzione degli impatti rispetto ad altre soluzioni. Il processor, infatti, è una macchina
che opera prevalentemente all’imposto, di norma a bordo strada, e il materiale abbattuto è esboscato fino al
processor per essere allestito. Questo tipo di organizzazione può consentire anche di limitare l’impatto generato dal
rumore prodotto dal funzionamento del motore e della sega a catena della testata allestitrice. Il processor staziona
sulla strada o comunque ai margini della particella nella quale si stanno effettuando le operazioni di abbattimento e
di esbosco; esso è quindi una sorgente di rumore concentrata in un unico luogo e non diffusa attraverso tutto il
bosco. tali strumenti sembrano essere i macchinari più indicati per forme di selvicoltura intensiva in ambiente alpino
e/o comunque caratterizzato da difficoltà di accesso diretto ai versanti. Il concentramento e l’esbosco per via
terrestre avvengono di norma con sistemi che prevedono lo strascico e semistrascico con traino animale e
meccanico e il trasporto a carico portato meccanico. Quando si impiegano dei mezzi meccanici, sia per lo strascico e
il semistrascico sia per il trasporto a carico portato, gli impatti che possono determinarsi sono: compattazione e/o
solcatura e rimescolamento degli orizzonti organici del terreno; inquinamento delle acque profonde con oli;
immissione in atmosfera di sostanze inquinanti; allontanamento temporaneo o permanente della fauna;
scorticamenti, danni alle ceppaie, danni all’apparato radicale, danni alla rinnovazione. Nel caso, invece, dell’impiego
di strascico con traino animale gli impatti sono molto più limitati e consistono in compattazione del terreno,
scorticamenti e danni alla rinnovazione. La compattazione e/o la solcatura e il rimescolamento degli orizzonti
organici del terreno dipendono dalla massa dei veicoli (incluso il materiale trasportato nel caso di trasporto a carico
portato) e dal tipo di organo di propulsione adottato (a ruote, a cingoli). Questi elementi condizionano, infatti, la
pressione specifica sul terreno, che è la componente dell’effetto statico di compattamento, e lo slittamento, che è la
componente dell’effetto dinamico di compattamento e la causa del disturbo superficiale del terreno. L’intensità con
cui si manifestano le azioni sul suolo dipendono poi dalla pendenza della superficie su cui si muovono le macchine,
dalla direzione di avanzamento (verso monte o verso valle) e dal tipo di terreno e dalla sua umidità. La riduzione
degli effetti prodotti può essere ottenuta con l’adozione di tecniche di lavoro adeguate quali la concentrazione dei
passaggi delle macchine e il ripristino della superficie delle piste sui cui si sono concentrati i passaggi, oppure con
l’impiego di sistemi di esbosco mediante trasporto a carico (forwarder), capaci di operare in periodi in cui il suolo è
meno suscettibile al compattamento (terreno gelato, terreno innevato). Anche per gli impatti connessi
all’inquinamento diffuso delle acque profonde con oli; all’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti;
all’allontanamento temporaneo o permanente della fauna valgono le medesime valutazioni fatte per l’harvester,
poiché, nello strascico e semistrascico con traino meccanico e nel trasporto a carico portato meccanico, si ricorre a
mezzi meccanici equipaggiati di motori Diesel e dotati di impianti e dispositivi idraulici. Circa gli impatti sulla
vegetazione questi possono risultare particolarmente accentuati nello strascico e semistrascico, causati dal
movimento dei carichi piuttosto che da quello dei mezzi meccanici. L’individuazione delle piste di strascico
preliminarmente all’effettuazione dell’abbattimento, in modo da direzionare opportunamente la caduta degli alberi
favorendo così la loro estrazione, può limitare considerevolmente i danni arrecati alla vegetazione e a piccoli corpi
idrici o zone umide eventualmente presenti. Lo strascico con traino animale, eseguito principalmente con cavalli,
presenta ridotti impatti, limitati esclusivamente alla compattazione del terreno e ad eventuali scorticamenti e danni
alla rinnovazione. Va chiarito che la compattazione è concentrata ai soli sentieri percorsi dagli animali e ha
un’estensione minima, se comparata con quella determinata dai mezzi meccanici. Questo fatto può essere utilizzato
per organizzare sistemi di esbosco combinati che prevedono il concentramento con cavallo e l’esbosco con trattori
equipaggiati con pinza. L’effetto principale che si ottiene è la limitazione sia spaziale sia temporale dell’impiego dei
mezzi meccanici con possibili benefici per l’habitat forestale in cui si pratica l’utilizzazione.
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- Concentramento ed esbosco per via aerea con gru a cavo. L’utilizzo delle gru a cavo nel concentramento ed esbosco
può prevedere il trasporto del materiale completamente sospeso oppure parzialmente sospeso (a teste sollevate).
Nel primo caso gli impatti che si possono determinare sono: inquinamento diffuso delle acque profonde con oli;
immissione in atmosfera di sostanze inquinanti; allontanamento temporaneo o permanente della fauna; danni
all’apparato radicale, danni alla rinnovazione. Nel secondo caso si aggiungono solcatura ed erosione localizzata.
Circa l’attenuazione dei fenomeni di inquinamento diffuso delle acque profonde con oli e di immissione in atmosfera
di sostanze inquinanti si possono considerare le stesse soluzioni previste per le macchine dotate di motore Diesel ed
equipaggiate di dispositivi idraulici, impiegate nelle utilizzazioni forestali. Per quanto concerne l’allontanamento
temporaneo o permanente della fauna a causa del rumore prodotto, in particolare dal motore della gru a cavo, vale
quanto accennato per il processore. Le gru a cavo, infatti, sono attrezzature stazionarie e costituiscono quindi una
sorgente di rumore concentrata in un unico luogo e non diffusa attraverso tutto il bosco. Inoltre, nel funzionamento
delle gru a cavo, il motore Diesel è regolato a regimi di rotazione minimi o medi e, di conseguenza, anche la
pressione sonora prodotta risulta attenuata. Infine va considerato che per gli argani su slitta sono disponibili dei
modelli a elevata insonorizzazione con l’adozione di soluzioni simili a quelle che equipaggiano i compressori mobili
da cantiere. I danni all’apparato radicale del soprassuolo residuo e alla rinnovazione, causati durante il
concentramento dei carichi sotto la linea, trovano un valido rimedio nel direzionamento della caduta degli alberi in
rapporto alla pendenza del terreno, che favorisce il movimento dei carichi verso la linea con limitati spostamenti
verso valle. Nel caso del trasporto a teste sollevate gli impatti derivanti dalla solcatura del terreno e dall’innesco di
fenomeni di erosione localizzata possono essere attenuati costruendo linee con fune portante più alta possibile; a
parità di angolo di inclinazione laterale del carrello, aumentano la distanza di concentramento e la possibilità di
strascicare fusti o alberi interi. In questo modo le linee possono essere disposte a maggior distanza l’una dall’altra,
riducendo così l’incidenza delle zone solcate rispetto all’intera superficie della particella. Inoltre lo strascico di fusti o
di alberi interi mitiga l’azione di solcatura del terreno.
- Esbosco per via aerea con elicottero. L’esbosco per via aerea con elicottero costituisce il limite ultimo dei sistemi di
esbosco per quanto concerne gli impatti provocati sulle componenti dell’habitat forestale. Con l’elicottero i carichi
sono agganciati e sollevati direttamente dal letto di caduta, annullando ogni possibile interferenza con il terreno e la
vegetazione. Molto limitati risultano gli impatti connessi all’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti e
all’allontanamento della fauna. La permanenza del velivolo al di sopra della zona di carico è contenuta a pochi minuti
per ovvie esigenze operative e, di conseguenza, anche i gas di scarico emessi e il rumore generato dal motore a
turbina e dai rotori sono prodotti nell’area di carico solo per tempi assai ridotti. Inoltre la possibilità di operare con
funi di notevole lunghezza, appese al gancio baricentrico dell’elicottero, permette al velivolo di mantenersi, durante
il carico, ad un’altezza di volo stazionario alla quale minime appaiono le interferenze con la superficie.
Accorgimenti specifici per la tutela della flora protetta. La necessità di tutela della flora nemorale ed in particolare di
quella protetta dalle normative vigenti in materia ambientale è stata ben evidenziata nelle Norme Forestali Regionali
che all’art. 32 impongono di evitarne il danneggiamento. Tali disposizioni non vengono integrate in maniera specifica
nel PIF ALTO PARCO, rimandando tuttavia ai singoli casi maggiori necessità di tutela (assecondate con operazioni
dedicate di contrassegno forestale).
Accorgimenti specifici per la tutela della fauna selvatica. La possibilità di modulare gli interventi forestali avendo cura
di non interferire in maniera radicale con i bioritmi della fauna selvatica rappresenta uno dei più difficili e complessi
obiettivi di un piano d’indirizzo forestale. Occorre in tal senso evidenziare che non esistono forme di intervento di
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utilizzazione forestale a cosiddetto “impatto zero” e soprattutto che ogni limitazione delle stesse rappresenta
un’ulteriore variabile negli obiettivi di valorizzazione di filiera propri del PIF. Questo aspetto quindi, soprattutto negli
ambiti di tutela speciale quali i SIC-ZPS-ZPRPA, comporta la necessità di individuare un filo comune tra le necessità di
programmazione forestale e quelle di salvaguardia e tutela della fauna selvatica.
Nel PIF ALTO PARCO ad esempio non si è deciso di identificare a priori un periodo di interruzione delle attività di
utilizzazione forestale, privilegiando invece maggiori attenzioni in sede di progettazione e esecuzione dei lavori.
Questo fatto certamente non esclude la possibilità, qualora siano verificate presenze faunistiche importanti in periodi
delicati della stagione, di concordare con le parti in gioco la sospensione temporanea dei tagli.
17
Nella tabella seguente si riportano alcune indicazioni gestionali di riferimento per la tutela specifica di alcune tra le
18
più delicate specie faunistiche :
Specie
Habitat
Rischi e minacce
Indicazioni gestionali
Austropotamobius
pallipes
Acque correnti di torrenti montani o collinari (di solito
fino a 1300 m), più raramente nel tratto medio dei
fiumi maggiori o in laghi naturali o artificiali; anche in
zone di risorgive. Esigente: richiede temperatura
dell’acqua relativamente costante, attorno ai 15-18° C,
comunque non superiore ai 25° C, acque basiche,
elevate concentrazioni di ossigeno disciolto (minimo
vitale: 5 mg/l di O2).
La scomparsa della specie da molte località,
avvenuta massicciamente dagli anni ’70, è stata
causata dall’alterazione degli habitat dei corsi
d’acqua (rettificazione e cementificazione dei corsi
d’acqua, distruzione della vegetazione ripariale,
intorbidamento dell’acqua causato da lavori,
perturbazioni del regime idraulico e termico),
l’inquinamento (metalli pesanti, fitofarmaci,
fertilizzanti, rifiuti organici), la pesca di frodo,
l’immissione di specie di gamberi non autoctone, i
ripopolamenti di salmonidi.
Tutelare e conservare le aree idonee alla specie,
pianificare interventi di rinaturalizzazione dei corsi
d’acqua, controllare le attività che causano un
intorbidamento dell’acqua e che alterano l’equilibrio
termico e idraulico e minimizzare gli impatti da esse
causati, identificare e controllare le attività inquinanti,
valutare attentamente l’impatto dei ripopolamenti di
salmonidi su questa specie, non introdurre specie
esotiche di gamberi.
Lucanus cervus
Boschi maturi di latifoglie, soprattutto di querce, con
presenza di ceppaie e alberi con legno morto; dal
fondovalle fino a 800-1000 m.
Questa specie è ancora piuttosto diffusa nell’Italia
settentrionale; le popolazioni localmente possono
essere limitate dalla mancanza di alberi, soprattutto
querce di grandi dimensioni con legno marcescente,
e dalla rimozione di ceppaie e alberi morenti.
Rilasciare, anche in habitat non forestali, ceppaie e
alberi (soprattutto querce) di grandi dimensioni con
legno marcescente, da destinare all’invecchiamento
indefinito.
Cerambyx cerdo
Soprattutto boschi maturi con querce di grandi
dimensioni, ma anche su grandi querce isolate in
parchi e zone agrarie.
In Italia ha subito una drastica riduzione dell’areale a
causa del taglio dei querceti: nonostante ciò è
ancora comune nel territorio italiano, ma le
Conservare, anche in habitat non forestali, ceppaie e
alberi (soprattutto querce) deperienti, in particolare
quelli di grandi dimensioni, rilasciare alberi (soprattutto
17
“La Gestione Forestale e la Conservazione degli Habitat della Rete Natura 2000” (Masutti, Battisti; 2007).
18
L’elenco riportato prende le mosse dalle direttive di protezione degli Habitat e dell’avifauna europee; possono essere considerati sufficiente
indicativi delle necessità del PIF ALTO PARCO tuttavia vanno intese con le dovute considerazioni:
alcune conoscenze sulla distribuzione di determinate categorie (invertebrati e chirotteri) sono scarse e frammentarie per cui si suggeriscono logiche
cautelative di protezione (impossibilità pratica di fornire indicazioni puntuali);
alcune specie comunque vulnerabili nel nostro paese sono assenti negli elenchi di tutela (Picoides minor, Sylvia hortensis, Salvelinus alpinum,
Cinclus cinclus);
l’intera categoria dei Mustelidi pur non essendo esposta a minacce rappresenta un riferimento imprescindibile di analisi di qualità dell’ambiente;
gli Ungulati pur essendo tendenzialmente versatili rispetto ai cambiamenti territoriali rappresentano un elemento di riferimento importante nella
programmazione forestale;
la gestione forestale spesso non consente di assecondare appieno le troppo ampie necessità di tutela faunistica.
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popolazioni sono limitate dalla mancanza di alberi di
grandi dimensioni, e dalla rimozione di alberi
morenti.
querce) da destinare all’invecchiamento indefinito, non
tagliare alberi dove si riproduce la specie. In ambienti
antropici (anche in prossimità di strade) il cerambice
della quercia può essere pericoloso per la sicurezza
pubblica in quanto accelera il deperimento degli alberi
attaccati, che porta alla morte, e quindi può
provocarne lo schianto.
Rosalia alpina
Faggete mature o boschi misti dove prevale il faggio,
soprattutto termofili; nelle Alpi orientali ad altitudini
comprese fra i 500 ed i 1500 m. Per l’ovideposizione e
lo sviluppo delle larve è ideale il legno in
decomposizione esposto al sole di faggi morti o
deperienti. Sono preferiti i tronchi in piedi di diametro
superiore ai 25 cm.
La specie è sfavorita dal l’eliminazione delle vecchie
piante di faggio, dall’allontanamento dal bosco del
legno morto.
Rilasciare in bosco legno morto di faggio, di diametro di
almeno 25 cm, esposto al sole (ceppaie alte 2 m, faggi
morti, faggi vivi con legno marcescente); rilasciare
piante di faggio da destinare all’invecchiamento
indefinito; esboscare e rimuovere dai piazzali d’esbosco
o porre all’ombra prima dell’estate i tronchi tagliati;
non tagliare alberi dove si riproduce la specie.
Eriogaster catax
Siepi e margini dei boschi termofili, fino a circa 1500 m
di quota.
È una specie localizzata e mai comune, in declino in
buona parte dell’Europa per la progressiva
distruzione delle siepi in ambito agrario,
l’abbandono e la riduzione di prati e pascoli e la
conseguente diminuzione delle aree ecotonali.
Mantenere prati e pascoli con siepi al margine delle
aree boscate confinanti; mantenere e ricostituire le
siepi in aree coltivate; ridurre l’impiego di fitofarmaci.
Lycaena dispar
Zone umide aperte con vegetazione erbacea alta da 40
cm a 1,5 m circa: prati acquitrinosi, zone paludose e
margini dei corsi d’acqua periodicamente inondati,
magnocariceti, margini di fragmiteti; può essere
presente nelle risaie, soprattutto in quelle coltivate con
metodi tradizionali.
Era comune nella Pianura Padana e nei fondivalle
alpini, ma a causa delle bonifiche e dell’impiego dei
fitofarmaci
Tutelare e mantenere le aree umide aperte, gestire i
prati umidi e i bordi dei fossi e dei canali dove è
presente la specie con un sistema di sfalci idoneo.
Euphydryas
aurinia
Biotopi umidi, come prati umidi (molinieti), brughiere,
torbiere.
È in declino in tutta Europa, Italia compresa
(distruzione dei biotopi umidi, cambiamenti nelle
pratiche agricole)
Tutelare e mantenere i prati umidi idonei alla specie.
Coenonympha
oedippus
Ambienti umidi, come praterie acquitrinose a Molinia
caerulea, cariceti a Carex e Schoenus, prati umidi,
soprattutto se circondati da aree boscate; anche boschi
aperti e asciutti con radure; fino a 1000 m.
Distruzione e drenaggio delle zone umide, bonifiche
e conversione dei biotopi in coltivi; le popolazioni di
versante possono essere sfavorite dalla chiusura
delle formazioni forestali termofile.
Tutelare e mantenere le zone umide, nei prati umidi
dove è presente, programmare un sistema di sfalci a
rotazione.
Erebia calcaria
Praterie magre (seslerieti, nardeti) su ripidi pendii con
rocce affioranti, tra 1350 e 2000 m.
La specie non è considerata minacciata a livello
globale, in quanto le popolazioni austriache e
slovene sono molto numerose. In Italia è in declino
alle quote più basse, a causa dell’abbandono di prati
e pascoli e della conseguente naturale evoluzione
della vegetazione verso il bosco.
Per il mantenimento delle popolazioni di bassa quota di
questa specie è indispensabile continuare ad utilizzare
delle aree a prato o pascolo. Il pascolamento eccessivo
potrebbe però essere sfavorevole.
Salmo
(trutta)
marmoratus
Preferisce il tratto medio e medio-superiore dei corsi
d’acqua con acque limpide, fresche e con corrente
sostenuta o moderata. Si spinge anche a quote elevate,
ma nelle acque di montagna solitamente è sostituita
dalla trota fario.
La popolazione italiana è in diminuzione per le
immissioni di esemplari di trota fario, per le
alterazioni dei corsi d’acqua (artificializzazione degli
alvei, prelievi di ghiaia), le eccessive captazioni
idriche, l’inquinamento e la pesca eccessiva.
Tutelare la naturalità dei corsi d’acqua, soprattutto
nelle zone ancora idonee per la riproduzione di questa
specie, e la loro continuità, progettando la costruzione
di passaggi per pesci in corrispondenza di briglie e
sbarramenti; effettuare interventi di rinaturalizzazione
degli alvei; controllare l’inquinamento; garantire il
rispetto del minimo deflusso vitale dei fiumi e dei
torrenti; regolamentare l’immissione e la pesca dei
salmonidi; non effettuare lavori in alveo durante il
periodo riproduttivo (novembre-febbraio) nelle aree di
riproduzione della specie e in quelle a monte.
Cottus gobio
Corsi d’acqua fino a quote elevate (800-1200 m) con
acque limpide e fresche, corrente da intensa a
moderata e fondo di sassi o ciottoli. È presente anche
in laghi di montagna, nei grandi laghi prealpini e nella
zona delle risorgive.
La popolazione italiana ha subito dei decrementi
soprattutto nelle aree di pianura (risorgive). Le
minacce principali sono le alterazioni dei corsi
d’acqua (artificializzazione degli alvei, prelievi di
ghiaia, costruzione di briglie e sbarramenti che
impediscono ai pesci di risalire il corso d’acqua,
provocando una frammentazione dell’habitat ed un
isolamento delle popolazioni più a monte), le
eccessive captazioni idriche e dell’inquinamento.
Tutelare la naturalità dei corsi d’acqua, con attenzione
soprattutto alle zone ancora idonee per la riproduzione
di questa specie, e la loro continuità, prevedendo la
costruzione di passaggi per pesci in corrispondenza di
briglie e sbarramenti; effettuare interventi di
rinaturalizzazione
degli
alvei;
controllare
l’inquinamento; garantire il rispetto del minimo
deflusso vitale dei fiumi e dei torrenti; valutare con
attenzione le conseguenze di eventuali ripopolamenti
di trota fario.
Triturus carnifex
Principalmente boschi, sia di latifoglie che di conifere,
ma anche habitat aperti come prati e pascoli, purché
presentino ambienti acquatici adatti alla riproduzione
(acque ferme con profondità di solito superiore ai 3050 cm); diffuso dalla costa fino al piano montano (fino
a 1.600 m).
Il tritone crestato è una specie ancora diffusa e
localmente comune, ma verosimilmente negli ultimi
decenni ha patito una severa diminuzione,
soprattutto negli ambienti di pianura, a causa
dell’inquinamento, dell’urbanizzazione e della
semplificazione ambientale.
Mantenere e ripristinare le pozze esistenti e creare
nuovi invasi; si ricorda che sono più idonee alla
riproduzione le pozze protette in parte dalla copertura
arborea e non eccessivamente distanti dal bosco,
minimizzare gli impatti delle attività selvicolturali, non
danneggiare le zone umide e i corpi idrici, anche
durante le pratiche di utilizzazione boschiva, non
introdurre specie ittiche nei piccoli corpi idrici.
Aquila chrysaetos
In Italia zone di montagna con pareti rocciose adatte
alla nidificazione e praterie utilizzate per la caccia.
Durante il periodo invernale può spingersi in zone più
basse, anche in pianura.
In Italia negli ultimi decenni le popolazioni alpine
sono in aumento. I principali elementi di minaccia
sono: l’antropizzazione dei territori di alta quota
(costruzione di nuove strutture, aumentato flusso
Mantenere i prati e pascoli montani, tutelare gli habitat
di alta quota, sorvegliare e proteggere i nidi durante il
periodo riproduttivo (se questi sono collocati in zone
regolarmente frequentate da arrampicatori, è
è scomparsa da diverse regioni.
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turistico) e il disturbo antropico (attività ricreative
come free-climbing, alpinismo, escursionismo, ma
anche “caccia fotografica” ai nidi) nei pressi dei siti di
nidificazione; l’abbandono e la conseguente
diminuzione di prati e pascoli utilizzati per la caccia,
che nel lungo periodo potrà portare a cali di
popolazione, le uccisioni illegali.
auspicabile concordare una sospensione temporanea
delle attività).
Lagopus
mutus
helveticus
Frequenta ambienti al di sopra del limite della
vegetazione arborea: distese povere di vegetazione
come macereti e conoidi di deiezione, praterie d’alta
quota (cariceti, firmeti), anche con piccoli arbusti,
brughiere alpine). Le aree di riproduzione più utilizzate
sono comprese tra i 1900 e i 2700 m.
In decremento da alcuni decenni e presenta densità
inferiori a quelle potenziali; sui rilievi prealpini la
pernice bianca è in netta diminuzione e in talune
aree è scomparsa. Tra i fattori limitanti di origine
antropica si ricordano: la costruzione di
infrastrutture turistiche, il degrado degli ambienti di
alta quota e il disturbo dovuto al flusso turistico,
l’incremento, legato anche alla grande quantità dei
rifiuti abbandonati in alta montagna, delle
popolazioni di gracchio alpino e corvo imperiale,
predatori delle uova di questi uccelli, localmente, la
presenza di grandi greggi di ovini e caprini e di cani
vaganti nei siti riproduttivi, la pressione venatoria, le
uccisioni illegali.
Tutelare gli habitat di alta quota, regolamentare i flussi
turistici alle alte quote (per esempio, divieto di uscire
dai sentieri segnalati e/o di percorrere talune zone in
inverno), verificare l’impatto del pascolo di ovini e
caprini e eventualmente introdurre delle misure per
regolamentarlo; gestire correttamente il prelievo
venatorio.
Bonasa bonasia
Boschi di vario tipo, di preferenza boschi misti di
latifoglie e conifere con ricco sottobosco e radure,
dalla zona collinare fino al limite della vegetazione
arborea. Anche cedui maturi, boscaglie di nocciolo,
pinete, lariceti e alnete. Predilige le zone ricche di
latifoglie minori, come le radure e le aree adiacenti a
piste forestali o corsi d’acqua, le zone di ecotono con
prati o pascoli.
Progressiva e marcata rarefazione. Attualmente in
alcune aree le popolazioni sono stazionarie o in
leggera ripresa. Fattori negativi sono: le
trasformazioni ambientali derivanti dall’abbandono
delle attività pastorali e selvicolturali e la
conseguente scarsità di aree ecotonali, le forme di
utilizzazione selvicolturali non favorevoli alla specie,
il disturbo antropico soprattutto nei siti riproduttivi
durante il periodo primaverile, le uccisioni illegali.
Impiegare pratiche selvicolturali (tagli saltuari o su
piccole superfici: a gruppi, a buche) che portino alla
formazione di un habitat adatto alla specie, con radure,
zone ricche di cespugli, zone di ecotono; mantenere
delle superficie a prato e pascolo in contatto con le
aree boscate e quindi le zone ecotonali adatte alla
specie.
Tetrao tetrix
Boschi radi di larice e cembro, peccete con sottobosco
ricche di radure o intervallate ad aree aperte anche in
via di ricolonizzazione e limite superiore delle faggete;
alnete di ontano verde, saliceti e mughete, soprattutto
se frammisti ad aree aperte e boschi radi. Nella fascia
prealpina zone di ecotono fra prati o pascoli
abbandonati e boschi di vario tipo.
In declino in buona parte dei paesi europei dove è
presente, in alcuni si è estinto di recente. Sulle Alpi
la specie è considerata stazionaria o in lieve
decremento. Fattori negativi sono: i cambiamenti
ambientali, in particolare l’abbandono di prati e
pascoli e boschi, che ha provocato la diminuzione
degli habitat ecotonali adatti alla specie, il disturbo
umano associato alle attività ricreative e sportive
soprattutto invernali (in particolare le attività fuori
pista), che può comportare un aumento della
mortalità invernale-primaverile per la difficoltà a
ripararsi ed ad alimentarsi, la modificazione del
comportamento riproduttivo e/o un minor successo
riproduttivo; l’impatto delle attività selvicolturali
nelle zone di riproduzione, in alcune aree l’eccessivo
pascolamento, soprattutto ovino, il prelievo
eccessivo e la poco attenta pianificazione
dell’attività venatoria, le uccisioni illegali, la
mortalità causata da impatto con cavi e funi sospesi.
Effettuare interventi di miglioramento ambientale volti
a conservare o ristabilire una copertura costituita da
alberi radi e zone a cespugli intervallate ad aree aperte
con vegetazione erbacea; eseguire tagli (tagli a buche,
apertura di corridoi) nelle mughete, nelle alnete, nei
rodoreti e al margine superiore dei boschi; individuare
e valutare se escludere al transito, nelle zone
frequentate dal turismo invernale, le aree utilizzate dai
fagiani per ripararsi ed alimentarsi durante il periodo
invernale, disporre i cavi di funivie, skilift e sistemare
dei dispositivi per aumentarne la visibilità in modo da
ridurre le morti per impatto con i cavi stessi, evitare
interventi selvicolturali nelle arene di canto e nelle
zone di riproduzione fino al mese di luglio.
Tetrao urogallus
Boschi da montani a subalpini maturi di conifere e
latifoglie. Predilige formazioni disetanee con radure e
ricco sottobosco; per le aree con arene di canto è
importante la presenza di alberi maturi e stramaturi.
Il gallo cedrone è in forte declino in Europa. Già dalla
metà del secolo scorso è in diminuzione su gran
parte della zona alpina, e questa tendenza è
continuata fino ad oggi. Fattori negativi sono: le
pratiche selvicolturali intensive ma anche
l’abbandono e la conseguente chiusura delle
formazioni forestali; l’aumento dell’antropizzazione
del territorio (apertura di strade, costruzione di
teleferiche e linee elettriche, queste ultime causa di
mortalità per impatto) e il disturbo umano in
generale, soprattutto quello associato alle attività
ricreative e sportive (con particolare impatto da
parte del transito motorizzato su strade forestali),
particolarmente dannoso nelle aree con arene di
canto durante il periodo riproduttivo, le uccisioni
illegali.
Adottare forme modulate di selvicoltura privilegiando il
taglio a scelta e i tagli successivi uniformi; nelle aree di
canto gli interventi devono essere frazionati nel tempo
ed interessare superfici ridotte e discontinue;
conservare gli alberi maturi e stramaturi; non eseguire
interventi selvicolturali nelle arene di canto e nelle
zone di riproduzione prima della metà di luglio.
Alectoris
saxatilis
Aree aperte rocciose e aride, di preferenza su pendio:
praterie xeriche con basso strato erbaceo (brometi,
seslerieti) interrotte da affioramenti rocciosi, pietraie e
arbusteti, margini di boschi termofili, prati e pascoli.
Non sopporta il prolungato innevamento, per cui
d’inverno è localizzata su ripidi pendii esposti a sud.
La specie, in notevole declino in gran parte
dell’areale, a partire dagli anni ’50 ha subito una
forte contrazione, dovuta ad un insieme di cause:
cambiamenti ambientali, pressione venatoria
eccessiva, bracconaggio, epidemie diffuse da
individui liberati a scopo di ripopolamento. I
principali fattori di minaccia per questa specie sono:
le modificazioni ambientali, in particolare
l’abbandono delle attività agro-pastorali in
Mantenere i prati e i pascoli adatti alla specie, con lo
sfalcio o il pascolo estensivo; programmare un’attenta
gestione del prelievo venatorio.
graeca
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montagna, con una diminuzione delle aree aperte a
favore delle aree boscate o cespugliate, non adatte
alla specie; localmente, la meccanizzazione agricola
e il pascolo intensivo; la poco attenta pianificazione
dell’attività venatoria, le uccisioni illegali e
l’eventuale introduzione a scopo venatorio di
esemplari appartenenti a razze diverse o a specie ad
essa affini; il disturbo antropico e la presenza di cani
vaganti.
Bubo bubo
Nidifica in zone montane e collinari, caratterizzate dalla
presenza di versanti rocciosi, forre, calanchi, bordati da
alberi e arbusti, e con aree adatte alla caccia (per lo più
zone aperte, anche coltivate come vigneti, frutteti,
campi, o foreste rade).
Negli ultimi decenni in Europa si è assistito ad un
calo delle popolazioni di questo uccello, dovuto
soprattutto alla persecuzione diretta (caccia ai
nocivi, bracconaggio) e all’inquinamento ambientale
da mercurio. Attualmente le minacce più gravi sono
dovute all’impatto con cavi sospesi (linee elettriche,
impianti di risalita, teleferiche) o la folgorazione su
strutture di sostegno di linee elettriche o con cavi di
linee ferroviarie, agli abbattimenti illegali,
all’eventuale utilizzo di rodenticidi in agricoltura; al
disturbo al nido durante l’attività riproduttiva,
soprattutto durante la cova ed il primo mese di vita
dei nidiacei.
Ridurre il rischio di folgorazione o di impatto con cavi
sospesi, tramite l’installazione di posatoi artificiali sui
tralicci o di strutture che impediscano di posarsi sugli
elementi a rischio, la disposizione di elementi che
rendano maggiormente visibili i cavi, in particolare
nelle vicinanze dei siti riproduttivi, la rimozione di cavi e
tiranti di teleferiche e funivie non più in uso; limitare i
fattori di disturbo in prossimità dei siti riproduttivi
dovuti per esempio ad attività sportive (free-climbing),
almeno durante il periodo riproduttivo; ridurre l’uso di
rodenticidi in campo agricolo. Per questa specie è
favorevole il mantenimento di aree adatte alla caccia,
come ambienti ad agricoltura estensiva (prati, campi
coltivati, frutteti) intervallati a siepi o aree boscose.
Glaucidium
passerinum
Foreste mature, soprattutto di conifere; preferisce
boschi disetanei con radure, folto sottobosco e
presenza di alberi di grosse dimensioni.
Negli ultimi decenni le popolazioni europee di
questa specie sono stabili. Il maggiore fattore
limitante è la scarsità di piante con cavità di picchio
o naturali.
Tagli a gruppi o saltuari, che portano alla costituzione di
boschi disetaneiformi con radure e zone di sottobosco,
adatti alla specie, rilascio di alberi di grosse dimensioni,
in particolare quelli con cavità, non tagliare alberi con
cavità occupate durante il periodo riproduttivo.
Aegolius funereus
Boschi di conifere e latifoglie maturi inframmezzati da
radure, spesso al margine di ampie aree a pascolo.
Caccia lungo i margini dei boschi e nelle radure.
Specie stabile, numericamente fluttuante in
relazione alla disponibilità di prede ed al
conseguente successo riproduttivo. Fattori limitanti
per questa specie sono: il taglio di vaste aree di
boschi maturi e in generale l’abbattimento di vecchi
alberi vivi o morti, che sono causa della mancanza di
alberi con cavità idonee alla nidificazione (la specie
utilizza con facilità i nidi artificiali, ma nel tempo c’è
una tendenza alla riduzione del tasso di
occupazione, anche a causa della predazione da
parte di mustelidi); le uccisioni illegali.
Tagli a gruppi o saltuari, che portano alla costituzione di
un bosco disetaneiforme con radure e zone di
sottobosco, adatto alla specie, rilasciare alberi di grandi
dimensioni, in particolare quelli con cavità, non tagliare
alberi con cavità occupate durante il periodo
riproduttivo.
Dryocopus
martius
Boschi maturi di alto fusto; fondamentale per la
nidificazione è la presenza di alberi con tronco
colonnare libero da rami, di diametro sufficientemente
elevato per scavare il nido. Per l’alimentazione è
importante la presenza di alberi stramaturi, deperienti
e marcescenti.
Specie stabile, in molte zone di media e bassa quota
dell’Europa centrale ha mostrato recenti segni di
espansione favorito dall’abbandono di molte aree
forestali, il che ha consentito ad alcune piante di
raggiungere dimensioni adatte per la nidificazione.
Localmente è penalizzato da: scarsità o mancanza di
piante di grandi dimensioni, allontanamento dal
bosco del legno morto, con la conseguente riduzione
delle comunità di insetti di cui si nutre.
Lasciare alberi di grosse dimensioni e quelli con cavità,
lasciare in bosco alberi morti, non tagliare alberi con
cavità occupate durante il periodo riproduttivo.
Lanius collurio
Frequenta ambienti ecotonali come zone cespugliose,
aree aperte intervallate da siepi e alberi, margini di
boschi, radure.
In declino moderato a livello europeo, dovuto ad
alterazione dell’habitat (trasformazioni degli agroecosistemi) e a variazioni climatiche. I principali
fattori limitanti sono: agricoltura intensiva,
l’eliminazione delle siepi in ambito agrario, la
scomparsa dei prati e pascoli nelle zone montane.
Mantenere le zone ecotonali, quindi conservare le siepi
e le fasce erbose negli ambienti agrari, e le aree
boscate, soprattutto quelle ripariali, nelle aree di
pianura e di fondovalle; mantenere le aree aperte
(prati, pascoli) delle zone collinari e montane; nelle
aree coltivate è importante la riduzione dell’impiego di
antiparassitari.
Rhinolophus
euryale,
Rhinolophus
ferrumequinum,
Rhinolophus
hipposideros,
Barbastella
barbastellus,
Miniopterus
schreibersi
I chirotteri prediligono zone molto “frastagliate” dove
possono ricavare rifugio durante le ore diurne (rupi,
grossi alberi cavi, grotte e anfratti naturali, sottotetti di
ruderi, ecc.).
In generale queste specie stanno progressivamente
soffrendo la diminuzione del livello di naturalità dei
luoghi ma indicazioni puntuali per il Parco
del’Adamello non sono disponibili per la mancanza
di dati dedicati.
Nel complesso evitare il taglio degli alberi dominanti
soprattutto se dotati di cavità interne.
Ursus arctos
Soprattutto ambienti di foresta, anche se si adatta ad
una grande varietà di habitat con elevata copertura
boschiva, caratterizzati da un basso disturbo antropico.
Le tane dove trascorre il letargo sono situate in grotte
o anfratti, in zone di solito lontane da fonti di disturbo
umano.
L’orso bruno è scomparso in buona parte della
catena alpina a seguito della persecuzione e della
riduzione e frammentazione degli habitat forestali.
In Europa la specie è minacciata, e la situazione
italiana è particolarmente critica in quanto le
popolazioni sono tra le più piccole ed isolate. Le
Anche per questa specie non è ipotizzabile una politica
di conservazione ristretta alle sole aree protette. Come
per la precedente, studi ed interventi vanno pianificati
almeno a livello regionale e coordinati con quelli di
regioni e stati confinanti. Misure favorevoli sono:
conservare le aree idonee alla specie, in particolare
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recenti reintroduzioni nel confinante Parco
dell’Adamello Brenta favoriscono la presenza
saltuaria del plantigrado anche nelle foreste del
parco.
Attualmente
le
principali minacce
provengono da: uccisioni illegali, psicosi pubblica,
morti dovute a collisioni con automobili o treni,
antropizzazione del territorio, in particolare la
presenza di fattori antropici di discontinuità
ecologica (insediamenti, vie di comunicazione,
coltivazioni intensive).
mantenere vasti territori liberi da infrastrutture,
promuovere campagne di sensibilizzazione nei
confronti dell’orso presso le popolazioni locali,
prevedere il risarcimento dei danni provocati agli
animali domestici e promuovere l’adozione delle
tecniche adatte a prevenirli.
LA TRASFORMAZIONE DEL BOSCO
Con la D.G.R. 21 settembre 2005 n. 8/675 (pubblicata sul B.U.R.L. 1° Supplemento Straordinario del 4 ottobre 2005) la
Regione Lombardia ha approvato le parziali modifiche ai criteri di trasformazione del bosco ed interventi
compensativi, di cui all’art. 4 del D.lgs. n. 227/2001 e all’art. 43, comma 8 della l.r. 31/2008, definiti nella D.G.R. 27
luglio 2006 n. 3002 (Allegato 2).
Al comma 4 di detta delibera (Interventi compensativi in generale) viene stabilito che il rapporto tra la superficie
trasformata e quella oggetto di compensazione deve essere pari a 1:1 per gli interventi in comuni montani o collinari
e compreso tra 1:2 e 1:5 per gli interventi in comuni di pianura (secondo la classificazione ISTAT); la variazione del
rapporto di compensazione per questi ultimi è determinata dal valore biologico del bosco distrutto.
Al comma 7 (Trasformazioni in presenza di Piani di Indirizzo Forestale) della Delibera regionale, così come nella
recente legge forestale regionale (L.R. n. 31/2008, all’art. 43 comma 5) viene anche riportato che i PIF permettono di
pianificare il territorio forestale in base alle esigenze ed alle peculiarità locali; pertanto il PIF stabilisce i seguenti punti:
1.
2.
3.
proporre le aree boscate da tutelare, o che non dovrebbero essere trasformate;
definisce modalità e limiti, anche quantitativi, per le autorizzazioni alla trasformazione del bosco;
stabilisce tipologie, caratteristiche qualitative e quantitative e localizzazione dei relativi interventi di natura
compensativa, ovvero il rapporto di compensazione, nonché il tipo di intervento compensativo, le aree da
destinare a rimboschimento compensativo, le caratteristiche tecniche ed i criteri di esecuzione degli interventi
compensativi.
Al fine quindi di rispondere compiutamente a quanto previsto dalla legislazione regionale, nel presente capitolo
vengono definiti i criteri con cui eseguire le compensazioni da prevedere nel territorio per cui il presente PIF viene
redatto.
Sulla base di un criterio impostato sul valore biologico delle tipologie forestali, analizzate e descritte nei capitoli
precedenti, sono stati individuati, con riferimento alle tipologie, i “boschi non trasformabili”19.
19
Il concetto di ammissibilità alla trasformazione di una superficie dovrebbe in ogni caso tenere conto della dinamicità delle vegetazione forestale e
pertanto si ritiene quantomeno riduttivo esaurirne l’analisi ad uno strumento che abbia validità quindicennale. Si ricordi a tal proposito che la
normativa vigente classifica come bosco qualsiasi superficie naturale rimboschitasi naturalmente da almeno 5 anni; è quindi non inverosimile
attendersi che nel prossimo quindicennio potranno succedersi modificazioni dinamiche della localizzazione delle superfici oggi non classificate come
bosco e pertanto si ritiene necessario rimandarne al caso specifico le valutazioni in termini di trasformazione d’uso.
109
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TIPO
Betuleti primitivi
Mugheta microterma dei substrati silicatici
Pecceta azonale su alluvioni
Lariceto primitivo
Lariceto tipico
Larici-cembreti
Formazioni particolari
Saliceti a Salix foetida e Salix nigricans
SIC e ZPS
Aree tutelate dall’art. 17 del RD 3267/1923
Aree a funzione prevalente protettiva
SUPERFICIE
CARTOGRAFATA
8,06
44,76
68,25
49,.62
340,06
45.41
752,77
Sono altresì soggetti a non trasformabilità (ancorché non individuati cartograficamente):
-
-
-
ì boschi ricadenti nelle aree dei Varchi di interconnessione ecologia (ricompresi all’interno del perimetro del
Parco Regionale dell’Adamello), previsti dalla DGR n. 8/10962 del 30/12/2009, nei cui ambiti dovranno essere
realizzate prioritariamente le opere forestali e non, atte al mantenimento e potenziamento della permeabilità
ambientale riferendosi a specie target cervo e capriolo e a micromammiferi in genere;
dovrà essere favorito il mantenimento della copertura forestale di Aceri-Frassineto e di Alneta con ontano
bianco, prevedendo la non trasformabilità delle aree forestali in fase climax, ovvero la possibilità di
trasformazione delle aree con presenza di tali associazioni in fase evolutiva, con compensazione;
i boschi ricadenti negli ambiti interessati da fenomeni di dissesto così come individuati dal PAI vigente.
In ogni ambito citato la trasformazione è comunque ammessa nei seguenti casi:
-
opere la cui utilità assuma rilevanza pubblica;
interventi di sistemazione del dissesto idrogeologico attuati prevalentemente secondo gli schemi
dell’ingegneria naturalistica;
interventi previsti dai Piani d’assestamento, dal Piano della Viabilità Agro-Silvo-Pastorale e dai Piani di gestione
dei siti natura 2000;
interventi di gestione ordinaria del territorio effettuati dal Parco dell’Adamello (aree di sosta, posa di
cartellonistica informativa, manutenzione dei sentieri, ecc.);
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di strutture esistenti (fabbricati rurali e relative
pertinenze) da attuarsi nelle direttive del PTC;
interventi ricadenti in formazioni forestali di transizione non ancora stabilizzate del lariceto tipico
(neoformazioni secondarie del larice, e Aceri-frassineti di neoformazione e/o in fase evolutiva iniziale).
Sono da ritenersi altresì ammesse le trasformazioni connesse con quanto previsto dal PTC del Parco all’art. 46 sulle
Aree sciabili, negli ambiti di cui all’art. 22 di Zone di iniziativa comunale e all’art. 23 di Zone attrezzature ed
insediamenti turistici (cfr. con quanto riportato al punto b del presente documento). Per quanto attiene infine
interventi previsti in ambiti di tutela SIC e ZPS sono comunque ammesse le trasformazioni previste dai relativi piani
di gestione.
L’identificazione delle superfici boscate non ammesse alla trasformazione è stata effettuata cartograficamente su
supporto in scala 1: 20.000, e pertanto la loro esatta individuazione dev’essere in ogni caso vincolata alla verifica
20
esatta dei luoghi mediante rilievi di dettaglio delle tipologie forestali e/o dell’effettiva presenza di bosco . Questo
20
Entro la fine quest’anno il parco ha previsto il completamento della “Carta dei boschi del Parco dell’Adamello” mediante l’utilizzo di immagini
telerilevate da satellite (progetto approvato con Deliberazione della Giunta esecutiva n. 104 del 25 maggio 2010). La carta avrà un errore
cartografico ammesso di 5 m e potrà costituire un elemento di più concreto supporto nell’analisi degli ambiti forestali presenti sul territorio.
110
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fatto è particolarmente delicato nel caso delle formazioni ad attitudine pioniera (neoformazioni forestali e
formazioni secondarie) e nei casi di sovrapposizione delle peccete antropogene con le Peccete azonali su alluvioni.
Per tutte le altre superfici boscate non è preclusa la possibilità di trasformazione d’uso, purché giustificata e
concordata in relazione alle disposizioni degli altri strumenti di pianificazione del territorio ed in particolare del PTC
del Parco.
Al fine di differenziare gli oneri di compensazione in funzione della tipologia forestale interessata e della finalità
dell’intervento per cui la trasformazione è richiesta è introdotto un sistema di ponderazione per la determinazione del
coefficiente di compensazione. Questo risulta infatti definito dal prodotto tra il coefficiente dato dalla tipologia
d’intervento e il coefficiente determinato dalla tipologia forestale del bosco interessato.
A tal fine gli interventi vengono distinti come segue:
1. Interventi di recupero e valorizzazione di strutture esistenti abbandonate. Il PIF ALTO PARCO favorisce, nel
limite delle disposizioni previste dal PTC, il recupero della funzione rurale di aree abbandonate (ruderi
abbandonati, malghe, alpeggi, agriturismi e quant’altro) e relative pertinenze (allacciamenti tecnologici e viari),
stabilendo una diminuzione del rapporto di compensazione fino a 0,2.
2. Interventi di valorizzazione e potenziamento delle strutture sciistiche. Il PIF ALTO PARCO ammette la
trasformazione d’uso nei limiti e dettami già previsti dal PTC, ponderando i rapporti di compensazione in
maniera differenziata nei tre casi seguenti:
- 1:2 per le piste e gli impianti destinati allo sci alpino e ogni altra nuova struttura ad elevato impatto;
- 1:1,5 per le piste destinate allo sci di fondo ricavate ex novo;
- 1:0,5 per le piste e gli impianti destinate esclusivamente allo sci di fondo ricavate in corrispondenza di
strutture preesistenti senza modificarne in maniera sostanziale la larghezza (strade e piste forestali
esistenti).
3. Interventi di espansione residenziale di fondovalle. Come nel caso precedente le trasformazioni d’uso sono
ammesse nei limiti e dettami già previsti dal PTC ponderando i rapporti di compensazione in maniera
differenziata nei due casi seguenti:
- 1:1 per edifici singoli ad uso “prima casa” e interventi di utilità pubblica;
- 1:3 per altre tipologie di edificio residenziale;
4. Interventi infrastrutturali per attività produttive (captazioni, linee elettriche, ecc.). Come nel caso precedente
le trasformazioni d’uso sono ammesse nei limiti e dettami già previsti dal PTC ponderando il rapporto di
compensazione nella misura di 1:2.
L’estensione minima per cui è prevista la compensazione è pari a 200 mq elevati a 2.000 mq nel caso di opere di
pubblica utilità e, nei limiti tecnici di realizzazione funzionale delle singole opere, potranno essere previste forme di
tutela puntuale che prevedano il rilascio e valorizzazione di singoli alberi a carattere monumentale e di lembi
circoscritti di soprassuoli ritenuti di particolare pregio.
I rapporti di compensazione sopra individuati vanno ulteriormente ponderati a seconda della categoria boschiva che
sarà interessata dalla trasformazione, così come sono state individuate nel presente piano; il coefficiente è stato
quantificato prendendo in considerazione i seguenti parametri:
−
−
−
rarità;
unicità;
vicinanza al climax stazionale.
La rarità indica la maggiore o minore facilità di reperire la tipologia descritta nell’intorno dell’area in esame, in termini
di superficie; per unicità si vuole intendere il grado di rarità della fitocenosi, non relativamente al comprensorio in
esame, ma riferendosi a peculiarità compositive e strutturali raramente riscontrabili anche nell'intorno. Un grado di
unicità non relativo quindi, ma globale, derivato dall'individuazione di particolari caratteri floristici, fisionomici e
stazionali delle componenti. La vicinanza al climax stazionale si valuta secondo la maggiore o minore distanza dagli
stadi climacici possibili per ciascun raggruppamento individuato.
111
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Categoria
Aceri-frassineto
Aceri-tiglieti
Betuleti
Corileti
Mughete
Peccete
Lariceti
Larici-cembreti
Alnete
Formazioni particolari
Formazioni antropogene
Tipologia forestale
Rarità
Unicità
Climax
Punteggio
Fattore
Aceri-frassineto tipico (Ap-Fr-t)
Aceri-frassineto con Ontano bianco (Ap-Fr-Ai)
Aceri-tiglieto
Betuleti secondari (B-s)
Betuleti primitivi (B-p)
Corileti (Ca)
Mugheta microterma dei substrati silicatici (Pm-mc-s)
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli xerici (P-s-mnt-x)
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-s-mnt-m)
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-s-ams-m)
4
3
5
5
3
1
5
4
3
4
4
4
4
5
2
5
2
5
4
3
4
12
10
15
11
10
6
15
10
7
10
NT; 1:1,2
NT; 1:1,1
NT; 1:1,5
NT; 1:1,2
NT
1:1,1
NT; 1:1,2
1:1,1
1:1,1
1:1,1
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli xerici (P-s-ams-x)
4
3
5
4
2
3
3
2
1
2
2
4
10
1:1,1
Pecceta azonale su alluvioni (P-al)
Pecceta secondaria (P-sc)
Pecceta di sostituzione (P-st)
Lariceto primitivo (L-p)
Lariceto tipico (L-t)
Lariceto in successione con pecceta (L-P)
Larici cembreto primitivo (L-Pc-p)
Larici cembreto tipico (L-Pc-t)
Alneto di ontano bianco (Al-i)
Alneto di ontano verde (Al-v)
Saliceto di ripa (Sx-r)
Saliceto di greto (Sx-g)
Saliceto a Salix cinerea
Saliceto a Salix caprea
Formazioni di pioppo tremulo (Pp-t)
Formazioni di sorbo degli uccellatori (Sb)
Impianti artificiali di conifere (Art)
5
1
1
3
3
3
5
4
2
1
4
4
4
5
4
5
1
5
1
1
5
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5
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4
5
4
5
1
5
2
1
5
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3
5
1
15
4
3
13
11
9
15
14
9
9
11
11
11
13
11
15
3
NT; 1:1,2
1:1
1:1
NT; 1:1,2
NT; 1:1,2
1:1
NT; 1:1,2
NT; 1:1,2
NT; 1:1,1
NT; 1:1,1
NT; 1:1,2
NT; 1:1,2
NT; 1:1,2
NT; 1:1,2
NT; 1:1,2
NT; 1:1,2
1:1
Il fattore di ponderazione individuato per ogni categoria andrà quindi moltiplicato per il rapporto di compensazione
derivante dalla tipologia di trasformazione prevista.
Nel caso di trasformazioni all’interno di SIC, ZPS e ZPRPA, sempre se compatibili con il relativo piano di gestione e, così
come richiesto dalla normativa vigente, previa valutazione di incidenza, si aggiunge un ulteriore fattore di
ponderazione pari a 1:2.
Il coefficiente di compensazione non potrà in ogni caso superare il valore di 1:4
LA RELAZIONE TECNICO FORESTALE SEMPLIFICATA
Come previsto dalla normativa vigente, il rilascio o il diniego dell’autorizzazione alla trasformazione del bosco nei casi
regolamentati da un PIF, è rimandato ai contenuti di specifica “relazione tecnico forestale semplificata” redatta da un
dottore forestale o dottore agronomo; la relazione dev’essere sottoposta a specifico parere a cura del parco e dovrà
evidenziare in particolare quanto segue:
-
la compatibilità della trasformazione richiesta con le previsioni e le prescrizioni del Piano di Indirizzo Forestale;
la possibilità e opportunità di effettuare la trasformazione su altri boschi di minor valore che il PIF classifica come
trasformabili;
la compatibilità degli interventi di compensazione proposti dal richiedente con le previsioni e le prescrizioni del
PIF;
la non difformità della trasformazione con le disposizioni di cui agli strumenti di pianificazione della Rete Ecologica
Regionale, del PAI (Quadro dei dissesti), del PTCP e del PPR;
la congruità economica degli interventi di compensazione proposti dal richiedente.
INTERVENTI AUTOCOMPENSATIVI
Sono intesi come trasformazioni autocompensative (non prevedono oneri di compensazione) i seguenti interventi:
-
Sistemazioni idrauliche e opere di difesa idraulica purché realizzate con tecniche di ingegneria naturalistica.
Realizzazione di viabilità agro-silvo-pastorale prevista dall’apposito piano della viabilità della Comunità Montana
(VASP).
112
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
-
-
-
Difesa attiva e passiva dalle valanghe.
Recupero delle aree ex pascolive e dei maggenghi in fase di rimboschimento (purché ne sia confermata la
destinazione agricola con vincolo ventennale).
Interventi finalizzati all’esercizio dell’attività primaria, ovvero all’esclusivo riutilizzo agricolo legato all’attività
zootecnica e all’agronomia montana; in questo senso vengono anche ricompresi tutti i territori in cui sono
presenti terrazzamenti abbandonati, indipendentemente dal tipo ed età di bosco presente; l’autocompensazione
viene concessa anche se il richiedente è un privato non agricoltore (purché sia confermata la destinazione agricola
con vincolo ventennale).
Opere di difesa contro gli incendi boschivi previste in piani e strumenti di gestione dedicati (piazzole di atterraggio
elicotteri, vasche antincendio, acquedotti antincendio, viali tagliafuoco, ecc.).
Interventi di recupero dei manufatti della Grande Guerra.
Interventi puntuali previsti nella programmazione gestionale del parco e nel PTC quali la realizzazione di aree di
sosta e di strutture puntuali di servizio, la riqualificazione sentieristica e la posa di cartellonistica normata, gli
interventi di recupero e valorizzazione dei manufatti della grande guerra, ecc.
Interventi di interramento di linee tecnologiche aeree esistenti.
LE MISURE COMPENSATIVE
La normativa attuale consente ai richiedenti la possibilità di realizzare in prima persona gli interventi derivanti dalle
necessità di compensazione secondo le specifiche disposizioni di chi rilascia l’autorizzazione; in tale normativa è altresì
previsto che a livello locale sia possibile stabilire i criteri di gestione dei fondi connessi, ed in particolare che vengano
esplicitate all’interno di un piano d’indirizzo forestale i termini e i modi di intervento. Il parco dell’Adamello intende
promuovere la gestione coordinata di tali fondi, programmandone il reinvestimento sul territorio in sede concertata
con Comuni e Consorzi Forestali, per attuare i seguenti interventi (in ordine di importanza strategica):
-
Opere di miglioramento boschivo previste dai piani d’assestamento.
Interventi di riqualificazione forestale individuati in sede concertata con il parco.
Interventi di valorizzazione della viabilità forestale previsti dai PAF e realizzati secondo le disposizioni previste dal
PTC.
La normativa attuale consente ai richiedenti di realizzare in prima persona gli interventi derivanti dalle necessità di
compensazione, secondo le specifiche disposizioni di chi rilascia l’autorizzazione, o, in alternativa, di monetizzare le
compensazioni prevedendo una maggiorazione del 20% del “costo di compensazione”.
In quest’ultimo caso, le somme introitate devono essere accantonate dall’Ente in un apposito capitolo di spesa e
vincolate alla realizzazione di interventi compensativi entro tre anni dall’accertamento dell’entrata finanziaria.
Il presente PIF prevede che la gestione di tali fondi avvenga in forma coordinata e concertata tra Parco dell’Adamello,
Comuni e Consorzi Forestali, sulla base di programmi pluriennali di reinvestimento, che valorizzino il territorio.
DETERMINAZIONE DEI COSTI DI COMPENSAZIONE
Il costo degli interventi compensativi, “costo di trasformazione”, è calcolato basandosi sulla superficie trasformata ed
è pari alla sommatoria delle seguenti voci, che devono essere sempre considerate, anche qualora siano implicite:
•
costo del soprassuolo;
•
costo del suolo.
Il costo per la progettazione, la direzione lavori e il collaudo degli interventi è a carico del richiedente.
113
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
2
Per ogni m di terreno trasformato, il “costo del suolo” e il “costo del soprassuolo” (determinati come da paragrafi
seguenti) sono sommati e moltiplicati per i metri quadrati di bosco trasformato e per il “coefficiente di
compensazione”, come sopra determinato.
IL COSTO DEL SOPRASSUOLO
2
Per ogni m di superficie, è dovuto l’importo di € 2,2990 (pari a € 22.990,00/ettaro), già determinato con Decreto
16117 del 19 dicembre 2007 del Direttore della Direzione Generale Agricoltura della Regione Lombardia e aggiornato
ogni tre anni sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (media
nazionale) verificatasi nei tre anni precedenti.
IL COSTO DEL SUOLO
Il “costo del suolo” è pari al “valore agricolo medio” del bosco trasformato, facendo riferimento al valore indicato per
un bosco di uguale forma di governo (alto fusto, ceduo o misto) di quello trasformato e posto nella medesima regione
agraria.
Per quanto non specificatamente trattato in questo capitolo, valgono i disposti contenuti nella D.G.R. 21 settembre
2005 n. 8/675, D.G.R. 1 agosto 2003 n. 7/13900, nella L.R. n. 31/2008 e nella D.G.R. 27 luglio 2006 n. 3002 (Allegato 2).
114
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AZIONI A SOSTEGNO DEL SETTORE FORESTALE
Al fine del rilancio delle attività economiche legate al bosco, operano alcuni strumenti normativi che prevedono
regimi di sostegno finanziario a sostegno dello sviluppo del settore forestale, con aiuti rivolti sia alle imprese sia ai
proprietari forestali. Le principali fonti di sostegno al settore, attualmente operanti in Regione Lombardia, sono il
Piano di Sviluppo Rurale 2007 – 2013, che raccoglie e organizza gli interventi finanziari della Comunità Europea, e la
L.r. 31/2008.
UNIONE EUROPEA
Nell’ambito della Politica Agricola Comunitaria (PAC), l’Unione Europea ha messo a punto alcune misure per
favorire gli interventi sull’ambiente e lo sviluppo di un’agricoltura ecocompatibile.
La Misura i (2.9) [“Altre misure forestali”] consente di aderire ad interventi selvicolturali di miglioramento delle
superfici forestali nei comuni con piani di assestamento attivati.
Con l’azione a1 permette di ottenere finanziamenti per le cure colturali, con l’azione a2 intende favorire i
miglioramenti forestali e con l’azione a3 incentiva le utilizzazioni a macchiatici negativo.
L’azione e permette di accedere a finanziamenti pubblici per la realizzazione e la manutenzione delle strade e/o
piste forestali previste nei piani di assestamento forestale.
L’azione d propone di accedere a contributi pubblici per le aziende forestali che intendono acquistare macchine
e/o attrezzature forestali, per la realizzazione di strutture per lo stoccaggio, il trattenimento e la stagionatura del
legname e per la produzione di biomassa forestale utile soprattutto ai fini energetici.
L’azione f, infine, propone fondi pubblici per favorire la nascita e lo sviluppo di strutture associazionistiche fra
proprietari di boschi finalizzate alla gestione forestale (Consorzi forestali).
CONTRIBUTI ATTRAVERSO IL PSR LOMBARDIA 2007 - 2013
In Lombardia con il PSR 2007-2013 presentato alla Commissione Europea si prevede il contributo per favorire lo
sviluppo sostenibile delle aree rurali in risposta alla crescente domanda di servizi ambientali da parte della società. Il
Piano intende inoltre perseguire l’attività, avviata dal PSR 2000 - 2006, a favore dello sviluppo di metodi di produzione
compatibili con la salvaguardia dell’ambiente, del paesaggio rurale, delle risorse naturali e della biodiversità.
Per il settore forestale le misure attivate sono:
MISURA 122: MIGLIORE VALORIZZAZIONE ECONOMICA DELLE FORESTE
115
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La misura 122 cerca d’incrementare la redditività ed il valore economico delle foreste sviluppando e
potenziando le funzioni delle foreste dal punto di vista economico, produttivo, ecologico, turistico - ricreativo ed
energetico e promuovere l’innovazione delle attrezzature forestali. Cercando di perseguire i seguenti obiettivi:
a - Obiettivi specifici del PSR:
• promuovere l’innovazione di processo e di prodotto e la riconversione produttiva
b - Obiettivi operativi della misura:
• promozione della gestione sostenibile e multifunzionale delle foreste attraverso investimenti in
operazioni colturali e interventi funzionali
• migliorare e recuperare i castagneti ai fini di aumentarne la produttività e la valenza multifunzionale;
• migliorare la gestione delle superfici forestali garantendo l’incremento della qualità dei prodotti anche
per l’utilizzo, attraverso l’innovazione in termini di qualità ed efficienza della dotazione di macchine ed
attrezzature delle imprese della filiera bosco legno.
BENEFICIARI:
Soggetti proprietari o possessori delle superfici forestali di proprietà di privati o di comuni e loro associazioni.
TERRENI AMMISSIBILI E LOCALIZZAZIONI:
Il campo d’azione della misura è il miglioramento e la valorizzazione economica delle foreste attraverso il
contributo al costo delle operazioni forestali di tipo straordinario in grado di aumentarne il futuro valore economico.
Gli interventi ammissibili sono:
a) Interventi straordinari di miglioramento dei soprassuoli forestali con finalità produttive, solo per superfici
forestali oggetto di pianificazione, ecologiche: diradamenti, rinfoltimenti e conversione dei cedui, e
rispettivi interventi funzionali alle operazioni di taglio come piste provvisorie d’esbosco, piazzali di carico e
sentieri (manutenzione, ripristino e realizzazione di brevi tratti), aree di sosta ecc..
b) Recupero dei castagneti abbandonati: conversione da ceduo ad alto fusto previo innesto dei polloni di
ceppaia, taglio fitosanitario di rimonda - riforma, ecc..
c)
Acquisizione di attrezzature di raccolta anche innovative riguardanti le operazioni di taglio, allestimento,
esbosco, nonché le iniziative destinate a migliorare la qualità dei prodotti ritraibili dal bosco.
AGEVOLAZIONI PREVISTE:
116
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Gli investimenti previsti per gli interventi straordinari di miglioramento dei soprassuoli forestali con finalità produttive
devono ricadere in boschi inclusi in piani di gestione forestale; inoltre il recupero dei castagneti abbandonati devono
ricadere in boschi inclusi in piani di gestione forestale se interessano superfici maggiori di 2 ettari.
Sono previsti investimenti per l’acquisizione di attrezzature di raccolta che devono essere propedeutici alle
operazioni a carico di boschi inclusi in piani di gestione forestale. Le attività relative alla rigenerazione successiva al
taglio a raso sono escluse dal sostegno.
SPESE AMMISSIBILI
L’aiuto può essere erogato secondo le seguenti tipologie:
• contributo in conto capitale;
• contributo in conto interessi sui mutui concessi da Istituti di Credito.
Le due forme di erogazione sono mutuamente esclusive.
Per questa misura è prevista l’erogazione dell’anticipo con le modalità disposte dall’art. 56 del Regolamento
(CE) n. 1974/06
Tipo
Realizzazione
Indicatore
Obiettivo
Numero di aziende forestali che hanno ricevuto un sostegno agli investimenti (n)
Volume totale di investimenti (€)
Risultato
6.032.878
Aumento del valore aggiunto lordo agricolo nelle aziende beneficiarie (%)
10
Numero di aziende che hanno introdotto nuovi prodotti e/o nuove tecniche (n)
30
Aumento del valore aggiunto agricolo netto a parità di potere di acquisto (%)
Impatto
Note
120
Impatto Creazione netta di posti di lavoro ULA (%)
1)
0,03
0,004
Aumento del valore aggiunto lordo per occupato (€/ULA)
3.585
1)
La misura 122, pur essendo prevista alcuna influenza sull'indicatore di impatto dalla fiches
di misura, è stata considerata supponendo un suo contributo al mantenimento delle ULA
aziendali contro un trand baseline di -2%,
MISURA 221: IMBOSCHIMENTO DI TERRENI AGRICOLI
La Misura 221 cerca di perseguire degli obiettivi ben precisi e specifici:
•
realizzare i sistemi verde territoriali per conservare e migliorare l’ambiente ed il paesaggio;
•
potenziare la produzione di biomasse legnose in pianura al fine di contrastare la produzione di gas effetto
serra.
117
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
•
Contribuire alla protezione dell’ambiente e alla preservazione delle avversità ambientali, con particolare
attenzione alla attenuazione del cambiamento climatico.
•
Contribuire al miglioramento del paesaggio e della funzionalità degli ecosistemi attraverso la ricostruzione,
soprattutto in pianura, di reti ecologiche essenziali per la conservazione della biodiversità.
•
Incentivazione delle produzioni legnose ecologicamente sostenibili e coerenti con la tutela e la
conservazione dell’ambiente e riduzione delle colture agrarie a maggiore impatto ambientale, favorendo la
conservazione delle produzioni agricole verso produzioni più sostenibili ecologicamente.
BENEFICIARI:
•
Agricoltori (ossia “imprenditori agricoli professionali” che rientrano nella definizione dell’art. 1 e seguenti
del D.Lgs. 99 del 29 marzo 2004 “Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e
semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ed e),
della legge 7 marzo 2003, n. 38).
•
Persone fisiche o giuridiche di diritto privato non rientranti nella precedente definizione di “Agricoltori”
•
Persone giuridiche di diritto pubblico (Enti gestori di parchi e di riserve regionali, Comuni, Province, Ersaf,
consorzi di bonifica, consorzi forestali pubblici).
TERRENI AMMISSIBILI E LOCALIZZAZIONI:
L’aiuto è concesso per realizzare le seguenti tipologie di impianti:
A - boschi permanenti, a scopo ambientale, paesaggistico o protettivo, con durata dell’impegno uguale o
superiore ad anni 15, ma con vincolo forestale permanente;
B - arboricoltura da legno a ciclo medio - lungo, con latifoglie con durata dell’impegno uguale o superiore ad
anni 15;
C - arboricoltura da legno con ceduazione a turno breve (minimo 5 anni), per la produzione di paleria a fini di
opera (es. bancali) e di biomassa a fini energetici, con durata dell’impegno di almeno 8 anni e rotazione
inferiore ad anni 15;
D - arboricoltura da legno a rapido accrescimento, con durata dell’impegno di almeno 8 anni e rotazione
inferiore ad anni 15.
Tutti gli interventi devono essere coerenti con le condizioni locali (in particolare, prevedendo l’utilizzo di specie
autoctone o di essenze ampiamente adattate all’ambiente).
Gli impianti da realizzare devono rientrare nella definizione data dall'articolo 30 del Regolamento. CE 1974/2006.
Per tutte le tipologie è prevista l’erogazione di:
118
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•
contributo alle spese d’impianto. Per le tipologie A e B, indipendentemente l’una dall’altra e con durata
variabile:
•
indennità annuale per la manutenzione iniziale dei nuovi impianti, per un periodo di massimo 5 anni;
•
indennità annuale per il mancato reddito.
La misura si applica ai comuni classificati “pianura” dall’ISTAT”.
Tuttavia gli impianti di tipologia A (boschi permanenti) e B (arboricoltura da legno a ciclo medio-lungo) sono
ammissibili anche in comuni classificati “collina” dall’ISTAT. In tali comuni gli interventi previsti hanno anche una
valenza protettiva nei confronti dell’erosione.
Saranno considerati prioritari gli interventi:
•
finalizzati specificatamente al miglioramento delle condizioni ambientali e/o alla tutela della biodiversità
(interventi in aree incluse nelle zone Natura 2000, nelle aree protette regionali, nelle zone vulnerabili da
nitrati, negli ambiti perifluviali, per la ricostituzione di reti ecologiche e corridoi verdi, per l’ampliamento di
aree boschive esistenti). Per la loro individuazione si farà riferimento anche alla pianificazione delle aree
protette e delle aree Natura 2000 (art. 17 della l.r. 86/1983) e alla pianificazione forestale (art. 47 della l.r.
31/2008).
•
realizzati da parte di agricoltori, in quanto si ritiene che questi diano maggiori garanzie di buona riuscita
degli impianti.
Nel caso degli impianti a rapido accrescimento, saranno incentivati gli impianti realizzati in conformità coi sistemi di
certificazione forestale sostenibile FSC (Forest Stewardship Council) o PEFC (Programme for Endorsement of Forest
Certification schemes).
Non sono ammessi interventi che possono avere conseguenze negative sui siti della rete Natura 2000 oppure sulla
conservazione della biodiversità. Nelle aree protette l’intervento è subordinato al parere favorevole dell’ente gestore.
Non sono ammessi impianti di alberi di Natale.
INTERVENTI
Spese ammissibili
per l’impianto
Aiuti massimi per ettaro in euro/ettaro
Premio per mancato reddito
Premio per
Agricoltori e loro
Altre persone di
manutenzioni
associazioni
diritto privato
Boschi permanenti, a scopo
ambientale, paesaggistico o
protettivo
6.500,00
500,00
700,00 terreni di pianura
(all’anno, dal 1°
550,00 terreni collina
al 5° anno)
150,00 per tutti i
terreni
Arboricoltura da legno a
ciclo medio-lungo
5.000,00
650,00
550,00 terreni di pianura
(all’anno, dal 1°
325,00 terreni di collina
al 5° anno)
150,00 per tutti i
terreni
Arboricoltura da legno a
3.500,00
119
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
rapido accrescimento
AGEVOLAZIONI PREVISTE:
Il contributo per le spese di impianto può coprire fino all’80% delle spese ammissibili: per gli interventi nelle zone
incluse nella rete Natura 2000.
Negli altri casi il contributo per le spese di impianto è fino al 70%, salvo il caso di boschi permanenti realizzati dalle
persone giuridiche di diritto pubblico, ove il contributo è fino al 90% e della tipologia C, ove il contributo è fino al 40%
(50% per giovani agricoltori). In tutti i casi, la parte restante è a carico del beneficiario.
SPESE AMMISSIBILI:
Le spese ammissibili comprendono:
•
i lavori di preparazione del terreno e di allestimento dell’impianto (arature, fresature, tracciamento filari,
apertura buche, concimazione di fondo, pacciamatura, utilizzo di apparati di difesa per le piante e
chiudende, ecc.);
•
l’acquisto del materiale vegetale arbustivo e arboreo, corredato da certificazione d’origine (vivaistica) e
fitosanitaria;
•
le spese generali (oneri di progettazione, direzione lavori, consulenza, assistenza tecnica ai giovani
impianti), che possono costituire al massimo il 15% delle spese ammissibili.
Non possono accedere alla presente misura gli agricoltori che beneficiano del sostegno al prepensionamento.
In riferimento al Piano di protezione delle foreste per imboschimenti ricadenti in aree a medio o alto rischio di fuoco
ed elementi in grado di assicurare la conformità della misura proposta con il Piano.
In Lombardia, le aree di collina e, soprattutto, quelle di pianura ricadono quasi esclusivamente in aree a basso o
bassissimo rischio di incendio forestale. Solo in alcune porzioni dell’alta pianura (Milano, Como, Varese) e della collina
i nuovi imboschimenti potrebbero portare alla ricostituzione di boschi distrutti dal fuoco. Non si tratta comunque di
un obiettivo prioritario. In ogni caso gli interventi effettuati in zone a medio e alto rischio di incendio saranno conformi
ai piani di protezione delle foreste.
Gli obiettivi quantificativi per gli indicatori comunitari sono:
Tipo
Realizzazione
Risultato
Impatto
Indicatore
Numero di beneficiari di aiuti all'imboschimento (n)
Obiettivo
1.300
Numero di ettari rimboschiti (ha)
11.000
Superficie soggetta a una gestione efficace del territorio* (ha)
11.000
Aumento presenza avifauna in aree agricole (%)
120
4,00
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Note
Mantenimento di aree agricole (%)
4,7
Riduzione del surplus di azoto (kg/ha)
1)
Aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili (ktoe)
1,4
10
1)
Solo la misura 221 contribuisce alla creazione di energia da fonti rinnovabili,
anche se nelle schede di misura è ipotizzato un contributo anche da parte
delle misure 214, 216, 223, 226
MISURA 223: IMBOSCHIMENTO DI SUPERFICI NON AGRICOLE
La Misura 223 cerca di perseguire i seguenti obiettivi:
a) Obiettivi specifici del PSR:
• realizzare i sistemi verdi territoriali per conservare e migliorare l’ambiente ed il paesaggio.
b) Obiettivi operativi della misura:
• contribuire alla protezione dell’ambiente e alla prevenzione delle avversità ambientali, con particolare
attenzione alla attenuazione del cambiamento climatico;
• contribuire al miglioramento del paesaggio e della funzionalità degli ecosistemi attraverso la
ricostituzione, soprattutto in pianura, di reti ecologiche essenziali per la conservazione della biodiversità;
• evitare l’abbandono e il degrado del territorio a seguito dell’abbandono colturale;
• incentivazione diversificazione delle produzioni legnose ecologicamente sostenibili e coerenti con la
tutela e la conservazione dell’ambiente.
BENEFICIARI
• Agricoltori (ossia imprenditori agricoli professionali che rientrano nella definizione dell’art. 1 e seguenti del d.
lgs. 99 del 29 marzo 2004 “Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e
semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ed e),
della legge 7 marzo 2003, n. 38”).
• Persone fisiche o giuridiche di diritto privato non rientranti nella precedente definizione di “agricoltori”.
• Persone giuridiche di diritto pubblico (Enti gestori di parchi e di riserve regionali, Comuni, Province, Ersaf,
consorzi forestali pubblici).
121
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TERRENI AMMISSIBILI E LOCALIZZAZIONI:
La misura si applica nelle zone classificate di pianura dall’ISTAT.
Saranno considerati prioritari gli interventi:
• finalizzati specificatamente al miglioramento delle condizioni ambientali e/o alla tutela della biodiversità
(interventi in aree incluse nelle zone Natura 2000, nelle aree protette regionali, nelle zone vulnerabili da
nitrati, negli ambiti perifluviali, per la ricostituzione di reti ecologiche e corridoi verdi, per l’ampliamento di
aree boschive esistenti). Per la loro individuazione si farà riferimento anche alla pianificazione delle aree
protette e delle aree Natura 2000 (art. 17 della l.r. 86/1983) e alla pianificazione forestale (art. 47 della l.r.
31/2008).
• realizzati da parte di agricoltori in quanto si ritiene che questi diano maggiori garanzie di buona riuscita degli
impianti. Non sono ammessi interventi che possono avere conseguenze negative sui siti della rete Natura
2000 o sulla conservazione della biodiversità. Nelle aree protette l’intervento è subordinato al parere
favorevole dell’ente gestore. Non sono ammessi impianti di alberi di Natale.
AGEVOLAZIONI PREVISTE:
Gli aiuti previsti consistono in:
• un contributo per la copertura parziale dei costi di impianto, calcolato sulle spese ammissibili;
• un premio per le manutenzioni dei primi 5 anni (esclusivamente nel caso di terreni agricoli incolti). Spese
ammissibili per l’impianto: massimo 7.000 euro/ettaro (il maggior costo rispetto alla misura 221 è legato alla
necessità di eliminazione delle vegetazione invadente che normalmente colonizza gli incolti). Eventuale
premio per le manutenzioni: fino a 500 euro/ettaro (all’anno, dal 1° al 5° anno) Per gli interventi di questa
misura il contributo massimo concedibile per i costi di impianto è di euro 200.000. Il contributo per le spese
di impianto può coprire fino all’80% delle spese ammissibili:
• nelle zone montane, per i soli interventi in cui i beneficiari sono gli agricoltori o le loro associazioni;
• per gli interventi nelle zone incluse nella rete Natura 2000. Negli altri casi il contributo per le spese di
impianto è fino al 70%, salvo il caso di interventi realizzati dalle persone giuridiche di diritto pubblico, ove il
contributo è fino al 90%. In tutti i casi, la parte restante è a carico del beneficiario.
SPESE AMMISSIBILI:
• i lavori di preparazione del terreno e di allestimento dell’impianto (eliminazione vegetazione invadente,
arature, fresature, tracciamento filari, apertura buche, concimazione di fondo, pacciamatura, utilizzo di
apparati di difesa per le piante e chiudende, ecc.);
• l’acquisto del materiale vegetale arbustivo e arboreo, corredato da certificazione d’origine (vivaistica) e
fitosanitaria;
122
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INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
• le spese generali (oneri di progettazione, direzione lavori, consulenza, assistenza tecnica ai giovani impianti),
che possono costituire al massimo il 15% delle spese ammissibili. Non possono accedere alla presente misura
gli agricoltori che beneficiano del sostegno al prepensionamento.
In Lombardia, le aree di collina e, soprattutto, quelle di pianura ricadono quasi esclusivamente in aree a basso o
bassissimo rischio di incendio forestale. Solo in alcune porzioni dell’alta pianura (Milano, Como, Varese) e della collina
i nuovi imboschimenti potrebbero portare alla ricostituzione di boschi distrutti dal fuoco. Non si tratta comunque di
un obiettivo prioritario. In ogni caso gli interventi effettuati in zone a medio e alto rischio di incendio saranno conformi
ai piani di protezione delle foreste.
Gli obiettivi quantificativi per gli indicatori comunitari sono:
Tipo
Realizzazione
Risultato
Impatto
Note
Indicatore
Numero di beneficiari di aiuti all'imboschimento (n)
Obiettivo
100
Numero di ettari imboschiti (ha)
700
Superficie soggetta a una gestione efficace del territorio* (ha)
700
Mantenimento di aree agricole (%)
3,00
Solo la misura 221 contribuisce alla creazione di energia da fonti rinnovabili,
anche se nelle schede di misura è ipotizzato un contributo anche da parte
delle misure 214, 216, 223, 226
MISURA 226: RICOSTRUZIONE DEL POTENZIALE FORESTALE E INTERVENTI PREVENTIVI
La Misura 226 cerca di perseguire i seguenti obiettivi:
a) Obiettivi specifici del PSR:
• salvaguardare l’agricoltura nelle aree svantaggiate di montagna
b) Obiettivi operativi della misura:
• Ricostituzione e ripristino di boschi danneggiati da disastri naturali e da incendi.
• Realizzazione e manutenzione di cesse parafuoco.
• Miglioramento dei soprassuoli forestali con finalità preventive e con l’obiettivo di salvaguardare la
biodiversità.
• Stabilizzazione dei versanti potenzialmente instabili e consolidamento del reticolo idrografico minore.
BENEFICIARI:
123
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La misura è rivolta ai soggetti proprietari o possessori delle superfici forestali (Enti pubblici, agricoltori, soggetti
privati, Consorzi forestali).
TERRENI AMMISSIBILI E LOCALIZZAZIONI:
I boschi lombardi danneggiati da disastri naturali e da incendi e superfici forestali classificate ad alto o medio rischio di
incendio.
a) Ripristino e ricostituzione di boschi danneggiati da disastri naturali e da incendi: taglio sgombero del
materiale morto o deperente, rimboschimenti e/o rinfoltimenti con specie autoctone ecc..
b) Realizzazione e manutenzione di cesse parafuoco solo su superfici forestali classificate ad alto o medio
rischio di incendio: taglio e sgombero del materiale forestale, rinverdimenti localizzati, sfalci successivi
(costi ammissibili potranno comprendere, oltre al costo di realizzazione, i successivi costi di manutenzione
dell’area interessata).
c) Miglioramento dei soprassuoli forestali (solo per superfici forestali oggetto di pianificazione) con finalità
preventive e di salvaguardia della biodiversità: diradamenti, rinfoltimento e rimboschimenti, conversione
dei cedui, sostituzione di specie fuori areale, contenimento avanzata del bosco al fine di preservare le
praterie alpine;
d) Sistemazioni idrauliche forestali: interventi di riassetto idrogeologico, regimazione idraulica e
consolidamento di versanti in frana con interventi eventualmente realizzati con tecniche di ingegneria
naturalistica in aree boscate e sul reticolo idrografico minore.
AGEVOLAZIONI PREVISTE:
In attuazione a quanto previsto dalla “legge quadro in materia di incendi boschivi” del 21 novembre 2000 n. 353 , la
Regione Lombardia si è dotata del “Piano regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi
boschivi”.
Per la tipologia C, il sostegno è concesso solo per superfici forestali oggetto di pianificazione.
SPESE AMMISSIBILI:
Il contributo è: 60% agli agricoltori delle zone montane, delle aree svantaggiate, e delle zone incluse nella rete
Natura 2000. Il sostegno ad Enti pubblici può arrivare fino al 100%.
Gli obiettivi quantificativi per gli indicatori comunitari sono:
Tipo
Indicatore
Realizzazione Numero di interventi preventivi/ricostitutivi (n)
Superficie forestale danneggiata sovvenzionata (ha)
Volume totale di investimenti (€)
124
Obiettivo
35
700
8.750.000
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Risultato
Impatto
Note
Superficie soggetta a una gestione efficace del territorio* (ha)
Mantenimento di aree agricole (%)
700
3
Solo la misura 221 contribuisce alla creazione di energia da fonti rinnovabili,
anche se nelle schede di misura è ipotizzato un contributo anche da parte
delle misure 214, 216, 223 e 226
CONTRIBUTI CON LE LEGGI REGIONALI
LEGGE REGIONALE 31/2008
Le aziende agricole, le cooperative, i consorzi e le associazioni costituite tra i proprietari di terreni agricoli, di boschi ed
alpeggi, le amministrazioni separate di beni di uso civico, le Comunità Montane, i Comuni, gli enti morali e senza fine
di lucro, conformemente ai dettami della politica agraria comunitaria, possono beneficiare dei contributi previsti dalla
legge regionale 31/2008.
In particolare l’art. 26 intende favorire la protezione e la valorizzazione delle superfici forestali e per la realizzazione
degli interventi individua le aziende agricole, nonché i consorzi di proprietari, quali i consorzi forestali come
realizzatori prioritari.
Sono ammessi a finanziamento interventi finalizzati:
1.
alla protezione dei terreni boscati da danni di natura biotica ed abiotica, quali: attacchi di parassiti,
danni da interventi climatici eccezionali, danni da incendi. Vengono pertanto finanziate le azioni di
lotta ai parassiti, le sistemazioni idraulico forestali, le azioni di difesa e di risanamento dei danni di
natura climatica eccezionale e da incendi;
2.
alla valorizzazione delle produzioni forestali ed alla difesa dell’occupazione forestale quali:
realizzazione di viabilità di servizio forestale, rimboschimenti e miglioramenti delle superfici esistenti
qualora questi siano previsti dai piani di assestamento, la realizzazione degli PAF generali e particolari,
l’ammodernamento delle dotazioni e delle strutture aziendali delle ditte di utilizzazione boschiva e
delle imprese di prima trasformazione del legname, le iniziative di valorizzazione delle produzioni
forestali minori (ad es. la castagna).
Oltre alla valorizzazione delle superfici forestali la legge, con l’art. 25, sostiene i lavori di pronto intervento in
conseguenza a calamità naturali riguardanti il territorio agro-forestale, nonché le sistemazioni idraulico forestali e la
loro manutenzione con aiuti alla realizzazione di opere e lavosi necessari a fronteggiare:
1.
situazioni di effettivo pericolo a cose o persone causate da eventi calamitosi nel settore idraulico –
agrario – forestale;
2.
interventi in aree montane per il recupero ed il ripristino dei territori compromessi da eventi
eccezionali.
125
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Legge che sostituisce la L.r. 8/1976, la L.r. 80/1989 e la L.r. 27/2004, prevede di tutelare e valorizzare il paesaggio e
l’economia forestale, rafforzando il ruolo del PIF.
La nuova legge apporta delle novità, tra le principali, troviamo la definizione di bosco e inoltre tratta l’argomento della
programmazione attraverso i PIF e i PTC.
In tale legge vengono inserite alcuni articoli riguardanti i finanziamento nei confronti della miglioramento e
valorizzazione delle aree boscate, sia per soggetti pubblici sia per soggetti privati e qualsiasi fonte di associazione
Con l’art.56: la Regione trasferisce fondi per il finanziamento dei servizi ambientali erogati dai consorzi forestali
riconosciuti, nonché, per un periodo massimo di cinque anni e decrescenti, per la copertura delle spese di avviamento
dei consorzi forestali stessi. Il finanziamento delle spese di avviamento è riservato ai consorzi che dimostrano una
soddisfacente e sostenibile condizione amministrativa e finanziaria.
Inoltre con l’art.60: La Regione promuove l’ammodernamento delle dotazioni, degli impianti, delle strutture ed
infrastrutture, dei dispositivi per la sicurezza degli operatori delle imprese di utilizzazione boschiva e di prima
trasformazione del legno, quale contributo allo sviluppo della filiera bosco-legno e di corrette metodologie di lavoro
nella foresta. Con lo scopo di promuovere l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili provenienti dalla foresta e
dall’arboricoltura da legno, incentiva, anche in collaborazione con le province e le comunità montane, la realizzazione
di impianti energetici alimentati a biomassa legnosa, dando priorità a quelli realizzati dagli imprenditori agricoli di cui
all’articolo 2135 del codice civile, dai consorzi forestali e dai proprietari di superfici boscate.
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AZIONI FITOSANITARIE E PIANIFICAZIONE ANTINCENDIO BOSCHIVO
In attuazione delle disposizioni previste dalla L. 353/2000 e del Piano Regionale Antincendi Boschivi (DGR n.
VIII/003949/2006), la Comunità Montana di Valle Camonica ha istituito, in collaborazione con il Corpo Forestale dello
Stato, i Vigili del Fuoco e le Organizzazioni di volontariato di Protezione Civile, il Servizio Antincendi Boschivi che
definisce in maniera dettagliata programmi e iniziative per mantenere elevati i livelli di efficacia degli interventi21. In
questi ultimi anni sono stati ottenuti significativi passi avanti nel contenimento di tali fenomeni registrando un vero e
proprio abbattimento del rischio AIB nelle aree comprese all’interno del parco. Si ritiene pertanto fondamentale
proseguire in questa direzione valutando in maniera puntuale eventuali interventi di potenziamento del sistema.
PROTEZIONE DAGLI INCENDI
DESCRIZIONE E LOTTA CONTRO GLI INCENDI BOSCHIVI
Le indicazioni relative alla descrizione e alla lotta contro gli incendi boschivi derivano dal “Piano Regionale per la
programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi – Anno 2003”,
realizzato nell’ambito della Convenzione di Ricerca “Linee di impostazione del Piano Regionale per la programmazione
delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi” del 14 maggio 2002 tra la Regione
Lombardia (Direzione Generale Agricoltura, Unità Organizzativa Sviluppo e Tutela del Territorio Rurale Montano) e il
Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio (AGROSELVITER) dell’Università degli Studi di Torino.
All’interno del Piano sono individuate, a livello regionale, delle Aree di intervento per la prevenzione degli incendi
boschivi: le Aree di Base e i Comuni in cui si sono verificati incendi significativi nella serie storica esaminata (19902001).
Le Aree di Base sono unità geografiche di riferimento delineate per la zonizzazione e l’organizzazione del servizio
antincendio. Esse risultano essere raggruppamenti di comuni definiti principalmente secondo un criterio
amministrativo e pertanto coincidenti con le Comunità Montane, per quanto riguarda l’area montana, e con le
province, per il restante territorio regionale.
L’area interessata dal PIF è inclusa all’interno dell’Area di Base C.M. della Valcamonica; i Comuni compresi nell’area
d’indagine, Incudine, Vezza d’Oglio, Vione, Temù, Pontedilegno, ricadono infatti all’interno della Comunità Montana.
Per definire il grado di rischio è necessario procedere ad un’analisi strutturata, che consenta di individuare sul
territorio non solo le aree percorse dal fuoco, ma anche le caratteristiche del fenomeno sulla base di specifici indici di
pericolosità.
La zonizzazione del rischio di incendio permette di individuare e descrivere le unità geografiche attraverso una scala
ordinale di priorità.
21
Vedasi al riguardo il Quaderno Tecnico del Parco dell’Adamello Combattere il fuoco nei boschi (Ducoli; 2006).
127
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Attraverso l’analisi della serie storica degli incendi verificatisi dal 2003 al 2006 (4 anni) e considerando il rischio come
la risultante di fattori quali la possibilità di insorgenza, la propagazione del fronte di fiamma e la difficoltà di
contenimento degli incendi, è stato possibile definire per ciascuna unità territoriale in cui è stato suddiviso il territorio
regionale, un profilo pirologico caratteristico.
L’analisi dei diversi parametri per la definizione del rischio di incendio boschivo è stata effettuata a due livelli
territoriali: comunale e di area di base.
I parametri che si sono dimostrati maggiormente efficaci per esprimere la caratterizzazione pirologica di ciascuna
unità territoriale (comuni e aree di base) sono i seguenti:
•
Numero di incendi boschivi verificatesi rapportati alla superficie di 10 Km per ogni anno. Tale
carattere esprime la concentrazione - dispersione del fenomeno nel territorio considerato;
•
Numero di incendi boschivi annui di superficie maggiore a 20 ha, verificatisi nel territorio, che
pongono particolari problemi al servizio di lotta e prevenzione;
•
Percentuale di anni con incendio, espresso sul totale degli anni della serie storica esaminata. Questo
parametro esprime il grado di episodicità o al contrario la continuità del fenomeno nel tempo;
•
Superficie media percorsa dal fuoco da un singolo evento nel territorio considerato;
•
Superficie massima percorsa dal fuoco, cioè l’estensione corrispondente al livello massimo di rischio
nel periodo considerato;
•
Media dei rapporti superficie percorsa/durata degli interventi. Esprime la diffusibilità media degli
eventi verificatesi nel territorio considerato. La durata dell’intervento è intesa come intervallo di tempo
espresso in ore tra il momento dell’innesco e la fine dell’intervento;
•
Superficie percorsa dagli incendi per anno;
•
Superficie boscata percorsa dagli incendi per anno;
•
Classe di rischio che esprime il profilo di pericolosità del territorio considerato.
2
E’ stato possibile, ottenendo il dato della Classe di Rischio per ogni Comune, desumere i profili di rischio delle varie
aree di base. L’Area C.M. della Valcamonica risulta ricadere all’interno della Classe 2 “Incendi di grande estensione, con
frequenza molto ridotta”. Si raggruppano in questa classe di rischio le aree di base in cui il problema degli incendi è di
frequenza ridotta ma di dimensioni elevate. Si sottolinea pertanto l’opportunità di rivolgere l’attenzione
all’organizzazione delle squadre per le operazioni di estinzione, che potrebbero essere convogliate da aree limitrofe
piuttosto che non essere finalizzate al presidio stanziale. La bassa frequenza evidenzia che gli eventi si manifestano
solo in condizioni eccezionali, pertanto in queste aree occorre dare particolare importanza alla previsione del pericolo
ed al pre-allertaggio in corrispondenza di livelli di soglia medio – alti.
Tappa fondamentale della pianificazione antincendi boschivi è la definizione degli interventi e la ripartizione
territoriale delle risorse di protezione regionali.
I criteri seguiti nel presente piano per definire la distribuzione degli interventi e delle risorse di protezione tra le aree
di base, sono i seguenti:
•
ripartizione della superficie regionale percorsa annualmente dal fuoco, boscata e non boscata, nelle
diverse aree di base;
•
incidenza degli incendi nelle aree di base (frazione di superficie territoriale percorsa annualmente);
•
estensione del territorio potenzialmente percorribile delle aree di base;
•
presenza di Parchi, SIC e ZPS.
128
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Sulla base di tali criteri ed in seguito a numerosi test, si sono elaborati quattro coefficienti specifici:
•
Coefficiente di Ripartizione (CR): esprime la proporzione di superficie percorsa da incendi nell’area di base rispetto
al totale di superficie percorsa nella Regione. Tale coefficiente viene utilizzato per mettere a confronto i valori di
superficie percorsa di ogni area di base con quelli dell’intero territorio regionale.
•
Coefficiente di Incidenza del fenomeno incendi boschivi (CI): esprime l’incidenza territoriale degli incendi
attraverso il rapporto tra superficie annualmente percorsa dal fuoco e superficie potenzialmente percorribile di
ciascuna area di base. Si è introdotto il concetto di superficie percorribile per evitare di includere le estese aree
agricole ed urbane che non sono interessate dal fenomeno.
•
Coefficiente di Estensione Relativa (CER): esprime la dimensione della superficie percorribile di ogni area di base
rapportata alla superficie percorribile media di tutte le aree di base. Il coefficiente è stato introdotto per tenere
conto delle evidenti differenze di risorse necessarie all’area di base, a parità di altri fattori, in funzione della
estensione della superficie da proteggere.
•
Coefficiente della superficie a Parco (CP): si è considerata la distribuzione dei Parchi naturali regionali e statali, dei
SIC e delle ZPS. Si è quindi calcolata la percentuale di territorio di ciascuna area di base, escluse le superfici
lacustri, occupata da tali aree.
L’Area di base avendo una superficie a parco maggiore del 50% sul totale risulta avere un CP pari a 1,5.
Per poter definire una distribuzione delle risorse occorre sintetizzare i quattro coefficienti precedentemente delineati
con un unico indicatore.
A questo scopo, per ciascuna area di base è stato messo a punto un Coefficiente di Intervento (CDI).
Tale formula esprime il rapporto percentuale tra il valore del coefficiente di intervento di una certa area e la somma
dei coefficienti di intervento di tutte le aree di base.
Si è inoltre stabilita una soglia minima di ripartizione percentuale pari allo 0,5% (ad eccezione delle aree di base in cui
non si verificano incendi a cui è stato attribuito valore zero).
La ripartizione compensata così ottenuta è stata infine suddivisa in otto classi di intervento secondo la tabella
seguente:
Classe di Ripartizione percentuale
intervento
compensata
0
0,0%
1
0,5%
2
0,5 - 1,5%
3
1,5 - 2,5%
4
2,5 - 4%
5
4 - 6%
6
6 - 9%
7
> 9%
L’Area C.M. della Valcamonica, come precedentemente accennato, risulta ricadere all’interno della Classe di Rischio 2
“Incendi frequenti, alcuni di grande estensione”, e per questo motivo risulta rientrare nella sesta classe di intervento.
129
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Di seguito riportiamo l’elenco dei Comuni che ricadono all’interno dell’area oggetto del PIF e che hanno avuto incendi
nel periodo che va dal 2003 al 2006, desunti dal data base regionale.
Comune
Località
Data
Incudine
Pigola
01/08/2003
Incudine
Mulino
22/01/2004
Incudine
Monegà
23/08/2004
Incudine
Cimitero
06/01/2005
Incudine
Sant
15/02/2004
Incudine
Castello
16/02/2005
Incudine
Prealp
03/04/2005
Incudine
Magrosi
03/04/2006
Incudine
Sant'Anna
05/09/2006
Pontedilegno
Gavia
01/07/2006
Pontedilegno
Santa Apollonia
01/07/2006
Temù
Coleazzo
18/03/2005
Vezza d'Oglio
Davena
22/06/2003
Vezza d'Oglio
Pornina
15/09/2003
LIVELLO DI RISCHIO DI INCENDIO BOSCHIVO DELLA VALCAMONICA
Per rischio di incendio boschivo si intende la causalità delle caratteristiche territoriali fisse (Bovio, 2001) ovvero la
probabilità che si inneschi un focolaio, tenendo conto dei fattori fisici a lungo termine e dei fattori socio-economici
caratterizzanti un contesto territoriale.
Il rischio viene calcolato per un periodo medio - lungo ed ha valore soprattutto a scala locale.
La valutazione del rischio comporta l’individuazione sul territorio di aree omogenee alle quali viene assegnata una
determinata scala di priorità in funzione della differente predisposizione al fuoco.
Quest’ultima viene definita in funzione di diversi fattori tra cui hanno peso preponderante la componente di innesco e
la propagazione del fronte di fiamma (Bovio e Camia, 2004).
Come precedentemente accennato, nell’ambito del piano Regionale antincendi l’area di base C.M. della Valcamonica
risulta ricadere all’interno della Classe 2 “Incendi di grande estensione, con frequenza molto ridotta” per le generali
condizioni di rischio frequente.
130
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Pur tuttavia, nel territorio in esame, è possibile attuare una zonizzazione di maggior dettaglio, definendo una scala
ordinale di priorità risultante dalla considerazione dei principali fattori di rischio di incendio desunti dall’analisi del
territorio.
In modo particolare le principali componenti di rischio sono state dedotte dall’analisi della distribuzione spaziale e
dalla descrizione delle tipologie forestali presenti sul territorio. L’analisi del rischio ha riguardato altresì il territorio
coperto da vegetazione erbacea (prato-pascoli).
Il livello di rischio determinato allo stato attuale del lavoro, fa capo esclusivamente all'analisi della vegetazione
forestale e pascoliva ed è espresso in funzione di innesco e propagazione. Al momento corrente non sono state prese
in esame alcune componenti del rischio quali, ad esempio, la pendenza e l’esposizione del terreno.
Per una maggior accuratezza del prodotto cartografico finale sarebbe opportuno proseguire l’analisi, integrando il
procedimento con lo studio dei dati stazionali in ambiente GIS ed, in particolare appunto, di pendenza ed esposizione
derivanti da un Modello Digitale del Terreno (DTM). Il risultato ottimale potrebbe essere raggiunto approfondendo
l’analisi storica degli incendi e rilevando altresì le superfici percorse dal fuoco nelle aree boscate e non boscate
nell’ultimo decennio.
Per quanto sopra riportato la carta tematica che viene presentata è pertanto da considerarsi come una prima
indicazione di massima del livello di rischio di incendio di cui di seguito viene descritto il procedimento di valutazione
attualmente adottato.
PROCEDIMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI INCENDIO BOSCHIVO
Per ciascuna delle tipologie forestali e per le aree a vegetazione erbacea, è stato ricavato un profilo pirologico
assegnando, ad ogni categoria, rispettivamente una classe di probabilità di innesco ed una di propagazione del fuoco.
Considerando le generali condizioni di rischio limitato, indicate dal piano Regionale, si è ritenuto sufficiente un
numero di classi pari a 3: Alta (A), Media (M) e Bassa (B) per entrambi i parametri.
In funzione di tali classi è stata costruita una matrice di valutazione (Fig.1) per la definizione di un indice sintetico di
rischio (sempre alto, medio e basso).
B
Innesco
M
A
B
B
B
M
M
B
M
A
A
M
A
A
Propagazione
Propagazione
Ad esempio per una tipologia forestale in cui la componente di innesco è media e quella di propagazione alta, l’indice
sintetico di rischio risultante è alto.
B
Innesco
M
A
B
B
B
M
M
B
M
A
A
M
A
A
Fig. 1: Matrice di valutazione della componente di innesco e propagazione del Rischio di incendio Boschivo (a
sinistra) ed esempio del suo utilizzo (a destra).
131
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Nei casi in cui le descrizioni delle tipologie erano mancanti non è stato possibile attribuire un valore di rischio. (Nella
carta finale i poligoni ricadenti in questo caso sono indicati come non classificati - NC).
Ove possibile invece, l’assegnazione delle classi di innesco e propagazione è stata effettuata a partire dalla descrizione
di ciascuna delle tipologie forestali, prendendo in considerazione i seguenti fattori:
- Composizione specifica dello strato erbaceo, arboreo ed arbustivo
- Grado di infiammabilità delle specie presenti
- Presenza di specie indicatrici del passaggio del fuoco
- Distribuzione e struttura verticale della vegetazione combustibile
- Indicazioni sulle esposizioni dei versanti
- Indicazioni edifico - stazionali (es. xericità dei suoli, presenza di rocciosità o alternanza con suolo
nudo, accidentalità del terreno)
- Piano altitudinale
- Forma di governo
- Struttura del bosco
- Densità del bosco
- Estensione, frammentarietà e diffusione rispetto all’intero territorio considerato
- Stato fitosanitario
- Distribuzione nei Comuni in cui si sono verificati incendi (vedi tabella da dati regionali)
Gli indici sintetici di rischio, ricavati dalla matrice ed assegnati alle diverse Tipologie Forestali, sono quindi stati
riportati su un livello informativo in cartografia di formato numerico per la realizzazione della carta del livello di rischio
di incendio.
Per quanto riguarda le aree a vegetazione erbacea, non essendo attualmente disponibili dati di descrizione
dettagliata, ci si è limitati ad assegnare per tutte le superfici classificate come “pascolo” un valore di innesco medio ed
uno di propagazione basso, che ha portato ad individuare un indice di rischio basso per tutte le aree erbacee.
Come già accennato i valori ottenuti sono da considerarsi puramente indicativi e necessitano di un’integrazione
almeno con dati puntuali di esposizione e pendenza.
132
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
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PROBLEMATICHE SULLA SITUAZIONE FITOSANITARIA
Le condizioni dei boschi del comprensorio interessato dal PIF sono generalmente buone, anche se sussistono i
problemi tipici dei soprassuoli monospecifici, o dell’andamento climatico nell’arco dell’anno.
Il monitoraggio dello status fitosanitario dei soprassuoli viene attuato in collaborazione con i Consorzi Forestali. In
questi ultimi anni hanno assunto una rilevanza significativa solo localizzate pullulazioni di Ips typographus (bostrico)
(loc. Plazza – Vezza d’Oglio) ma si tratta di situazioni nel complesso ordinarie.
Il controllo di tali situazioni viene effettuato attraverso la modulazione dell’esercizio dell’uso civico e dei tagli; nelle
situazioni in cui si osservino problematiche maggiori, vengono invece attivati interventi specifici avvalendosi anche
22
della collaborazione di istituti universitari e consulenze specialistiche . In tutti gli altri casi il controllo viene attuato
già in sede di effettuazione dei tagli, anche prevedendo prescrizioni puntuali d’intervento (posizionamento di trappole
a feromoni, scortecciatura e/o trattamento fitosanitario nei casi di impossibilità di esbosco immediato, ecc.).
Si è cercato di descrivere alcune delle malattie e infestazioni che si possono verificare sui territori dell’area in
questione.
SCOLITIDI CORTICOLI DELL’ABETE ROSSO -
Ips typographus L.
Gli attacchi di questi insetti a carico per lo più del floema, raramente dello xilema, dell’Abete rosso sono indice di
deperimento dello stesso. Sono, dunque, dei parassiti secondari che privilegiano le piante indebolite. Inoltre sono
veicolo di infezione di crittogame, generalmente del gen. Ambrosia, che li aiutano a rendere più digeribili i tessuti
vegetali, instaurando così con essi un rapporto di simbiosi.
Lo scolitide dell’Abete rosso Ips typographus è fra i più temuti insetti delle foreste di conifere della regione paleartica.
Anche nelle foreste delle Alpi e Prealpi italiane negli ultimi anni l’insetto ha causato gravi danni.
DESCRIZIONE E CICLO
In primavera, i maschi attaccano alberi di Abete rosso in gravi condizioni di stress fisiologico determinate da vari
fattori di disturbo. I primi insetti giunti su un albero ospite, generalmente detti “pionieri”, scavano una piccola camera
sottocorticale chiamata “vestibolo” o “camera nuziale” entro la quale ciascuno viene raggiunto da una o più femmine,
con le quali costituirà il nucleo riproduttivo. Le femmine e in parte anche altri maschi sono richiamati da una miscela
di sostanze volatili emanate dai pionieri e costituenti il “feromone di aggregazione”. Tale miscela volatile innesca un
attacco massale a carico delle piante ospiti che nel giro di pochi giorni vengono intensamente colonizzate. Dopo
l’accoppiamento ciascuna femmina scava una galleria longitudinale, nota come “galleria materna”. Le uova vengono
deposte su entrambi i lati della galleria materna entro nicchie ovigere dalle quali partono le gallerie larvali che
22
Vedasi al riguardo il Quaderno Tecnico del Parco dell’Adamello Prove di lotta al bostrico in Valle Camonica redatto in collaborazione con l’Istituto di Entomologia dell’Università di Padova (Ducoli e
Panteghini; 2005), e Rinaturalizzare i boschi (Ducoli; 2004).
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seguono una direzione tendenzialmente ortogonale alla galleria materna, e presentano dimensioni crescenti in
relazione all’età delle larve. Infine i giovani adulti comparsi dopo la metamorfosi sfarfalleranno alla ricerca di altri
alberi ospite dove avviare una nuova generazione. In relazione all’andamento climatico lo svernamento può avvenire
sia allo stadio larvale sia come adulto, sotto la corteccia degli alberi attaccati o nella lettiera. Il numero di generazioni
annuali può variare da 1 a 3. Il primo volo primaverile si verifica quando la temperatura media giornaliera raggiunge
circa i 18°C.
PIANTE OSPITI:
Abete rosso, molto raramente altre conifere (pino silvestre e larice).
DANNI E IMPORTANZA:
L’attacco del tipografo è sempre decisivo e non concede alla pianta alcuna possibilità di sopravvivenza. Durante le fasi
di costruzione della galleria materna il floema e il cambio vengono infatti distrutti dall’attività trofica dell’insetto e
contaminati da spore di diversi funghi agenti di azzurramento, trasportati sul corpo degli adulti. Molto spesso,
soprattutto in caso di elevata densità di colonizzazione, una percentuale più o meno alta di femmine abbandona il
primo sistema riproduttivo per colonizzare un’altra pianta ospite dando così il via a una “generazione sorella”, a volte
seguita da una terza. Infine, in caso di forti infestazioni, molti adulti attaccano anche alberi di abete rosso
apparentemente sani e vigorosi.
CONTROLLO:
Gli interventi che possono essere attuati per ridurre la consistenza numerica delle popolazioni di Ips typographus si
basano essenzialmente sull’eliminazione di piante morte o in evidente stato di malessere, nel repentino sgombero o
scortecciamento del materiale abbattuto e nella riduzione dei fattori capaci di compromettere la stabilità e la vigoria
delle piante. Oltre alle pratiche di igiene forestale, è possibile inoltre intervenire monitorando la densità delle
popolazioni, ed eventualmente riducendola, mediante l’utilizzo di vari tipi di trappole a feromoni o tronchi esca
innescati con i feromoni di aggregazione dello scolitide. In sintesi le azioni di lotta che possono essere intraprese
comprendono:
•
prevenzione basata sul mantenimento di buone condizioni del popolamento, intervenendo con
diradamenti che eliminando i soggetti deboli migliorino lo status generale del soprassuolo, aumentando
inoltre la disponibilità pro-capite di risorse edafiche ed idriche (intervento fondamentale);
•
rimozione o distruzione invernale di tutto il materiale infestato nell’estate precedente (intervento
fondamentale). L’operazione deve essere compiuta entro la fine di aprile;
•
rimozione o scortecciamento invernale di tutto il materiale fresco, sia in piedi che a terra, e suscettibile di
attacco nella primavera seguente (intervento fondamentale). L’operazione deve essere compiuta entro la
fine di aprile;
•
predisposizione di trappole a feromoni (intervento ausiliare); le trappole dovranno essere collocate in
bosco ed innescate con feromoni entro la prima settimana di maggio. I dispenser feromonali dovranno
essere sostituiti dopo circa 8 settimane dalla data di esposizione. Le trappole dovranno essere svuotate
settimanalmente o ogni 10 giorni, per evitare che gli odori derivati dalla decomposizione degli insetti
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catturati possano ridurre la capacità attrattiva del feromone. Le trappole da impiegare possono essere di
tipo a finestra (Theysohn) o a imbuti sovrapposti (Lindgren).
•
predisposizione di alberi esca (intervento ausiliare); in primavera alcuni alberi sani dovranno essere
abbattuti, sramati e depezzati in tronchi di circa 2 metri; in seguito i tronchi verranno innescati con gli
stessi erogatori di feromone impiegati con le trappole, e le cortecce dovranno essere trattate in modo
omogeneo con insetticidi di contatto (meglio se piretroidi). I dispenser feromonali dovranno essere
sostituiti e i trattamenti insetticidi ripetuti dopo circa 8 settimane dalla preparazione degli alberi esca.
BLASTOFAGO DISTRUTTORE DEI PINI -
Tomicus piniperda L.
Comunemente denominato blastofago dei pini, questo insetto determina disseccamento o caduta degli apici
vegetativi, la loro mancata differenziazione e la produzione di germogli anticipati.
DESCRIZIONE E CICLO
Adulti: nero lucenti, con antenne e tarsi rossastri ed elitre brune, su cui si differenziano strie ed interstrie e, nella loro
declività, una doccia liscia più marcata nei maschi. La lunghezza varia tra 3,5 e 5,2 mm.
Larve: apode, di colore biancastro e capo bruno, a completo sviluppo sono lunghe 8-9 mm. Dal punto di vista
biologico, si tratta di una specie monogama che compie da uno a due cicli all'anno in relazione alle condizioni
climatiche. In primavera (fine febbraio-marzo) gli adulti svernanti sfarfallano iniziando la ricerca di pini deperienti
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anche per temporanei squilibri fisiologici. Gli adulti giungono sulla corteccia di tronchi o di grosse branche di alberi
indeboliti e vi penetrano praticando un foro d’entrata in corrispondenza del quale viene scavata la camera nuziale o
vestibolo, in cui di norma avviene l’accoppiamento. L’ingresso dell’insetto è rilevato da un foro circolare e
dall’emissione di rosura (fine segatura mista a escrementi) prima fulva e poi biancastra che si accumula intorno al foro
d’entrata a formare un piccolo cono solidificato da un cercine di resina. Dopo l’accoppiamento, la femmina scava nel
floema la galleria materna (diametro circa 2,5 - 3 mm e lunghezza una decina di centimetri), libera da rosura. La
galleria è di tipo longitudinale semplice e procede dal basso verso l’alto, parallela all’asse del tronco, e ai lati della
galleria la femmina depone un centinaio di uova in nicchie separate e ricoperte di rosura. Le larve da esse schiuse si
nutrono dei tessuti corticali per circa otto settimane scavando a loro volta una galleria di lunghezza variabile tra i 10 e i
15 cm, perpendicolare a quella materna. Raggiunta la maturità, le larve scavano una camera pupale nella quale
avviene la metamorfosi. I neo-adulti prima di avviare un nuovo sistema riproduttivo trascorrono un periodo di
alimentazione necessario per la maturazione delle gonadi: in giugno gli adulti immaturi si spostano dalle cortecce nelle
quali si sono formati verso piante vigorose appartenenti alla stessa specie ospite, dove si nutrono a spese del midollo
dei germogli dell’anno. Qui vi restano fino a fine estate per poi spostarsi nella lettiera dove trascorreranno l’inverno.
Parte della popolazione sverna anche nei germogli che disseccano o cadono al suolo per azione del vento.
PIANTE OSPITI
Il blastofago dei pini si diffonde in ambiente montano a carico del pino silvestre e del pino nero e, in maniera
occasionale, su altre conifere.
DANNI E IMPORTANZA
Il periodo di dannosità si concentra tra marzo e gli inizi di ottobre. Durante il ciclo di sviluppo, il blastofago dei pini
quindi causa in questo modo un duplice danno alla pianta ospite: durante la fase riproduttiva a carico dei tronchi di
alberi indeboliti e durante la fase di maturazione a carico di germogli di piante apparentemente vigorose.
I sintomi degli attacchi del blastofago sono: la chioma della pianta colpita in breve tempo diventa rosseggiante a livello
del fusto e l’albero muore entro la fine dell’estate per deterioramento fisiologico irreversibile della zona cambiale e
floematica, che non concede infatti alla pianta alcuna possibilità di sopravvivenza. L’attacco dei germogli indebolisce
invece gli alberi limitando al contempo l’incremento legnoso. In caso di forte attacco decine di nuovi germogli
disseccano e cadono a terra assumendo l’aspetto di forte defogliazione. Le piante così indebolite diverranno
suscettibili a futuri attacchi protratti a carico del tronco nel periodo riproduttivo.
Economicamente le perdite nelle pinete possono essere molto ingenti: i danni alla chioma riducono gli accrescimenti
legnosi, mentre gli attacchi ai tronchi determinano sia la morte precoce degli alberi sia l’alterazione cromatica del
legno (azzurramenti) causata da ascomiceti simbionti dell’insetto, che riducono in modo sensibile la qualità degli
assortimenti legnosi. In ambiente alpino gravi ripercussioni si possono avere sull’assetto idrogeologico.
Aspetti negativi non trascurabili possono infine includere conseguenze di tipo estetico, con un intristimento del
paesaggio dovuto alla presenza di numerose piante morte in piedi.
CONTROLLO
La lotta attuata al fine di mitigare gli effetti di tali infestazioni è tuttavia prettamente di tipo preventivo. Non sono
infatti per ora noti feromoni attivi contro il blastofago, sebbene siano in commercio dispenser di sostanze attrattive di
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origine vegetale (la capacità di cattura di trappole innescate con tali sostanze è tuttavia limitata e non supporta
interventi finalizzati al “mass-trapping” degli insetti in volo).
Le azioni di lotta che possono essere intraprese comprendono:
prevenzione basata sul mantenimento di buone condizioni del popolamento, intervenendo con diradamenti che
eliminando i soggetti deboli migliorino lo status generale del soprassuolo, aumentando inoltre la disponibilità procapite di risorse edafiche ed idriche;
rimozione o distruzione primaverile (entro fine maggio) di tutto il materiale infestato in marzo;
rimozione o scortecciamento invernale di tutto il materiale fresco, sia in piedi che a terra, e suscettibile di attacco
nella primavera seguente. L’operazione deve essere compiuta entro la fine di febbraio;
predisposizione di alberi esca; in autunno alcuni alberi sani dovranno essere abbattuti, sramati e pezzati in tronchi di
circa 2 metri. Dopo la loro colonizzazione primaverile, i tronchi dovranno essere scortecciati entro fine maggio.
MINATRICE DELLE FOGLIE DEL LARICE -
Coleophora larice lla Hubner
Questo lepidottero defogliatore infesta soprattutto il Larix decidua, ma anche altre specie dello stesso genere, dalla
cima ai rami inferiori.
DESCRIZIONE E CICLO
Adulti: dimorfismo sessuale evidenziato dal fatto che il maschio è più grande con apertura alare tra 8 e 10 mm. Il
colore dell’addome è bruno-grigiastro o grigio argento con frange grigio-gialle e il capo è munito di antenne lunghe
quanto il corpo. Apertura alare di circa 9 mm.
Uova - forma emisferica con base piatta aderente all'ago. Diametro di 0,3 mm. Presenza di 11-15 solchi longitudinali
diretti verso la base. Colore giallastro a diventare grigio sporco, arancio, bruno-rossastro per lo sviluppo embrionale.
Larve: di colore bruno rossiccio e capo nero. Vivono protette all'interno di un astuccio costituito da una porzione
distale di ago svuotata; a maturità raggiungono la lunghezza compresa tra 3 e 6 mm.
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Crisalidi - colore bruno-rossatro, lunghe tra 3 e 5 mm.
Astucci - costituiti dalle porzioni apicali svuotate e disseccate di 1 o 2 aghi uniti tramite fili di seta.
L'insetto compie una generazione all'anno. Il ciclo biologico comprende 4 stadi larvali e gli adulti sfarfallano da fine
maggio ai primi di luglio. L'accoppiamento avviene dopo 2-3 giorni dallo farfallamento. Ogni femmina depone da 50 a
60 uova che vengono sistemate sulla pagina inferiore e superiore della porzione apicale della foglia. Lo sviluppo
embrionale dura da 7 a 15 giorni, dopo di che l'individuo neonato penetra nella foglia cominciando la sua attività
minatrice diretta verso l'apice della foglia. La larva vive per circa 2 mesi all'interno di essa divorandone il mesofillo;
dopo di che muta al secondo stadio raggiungendo dimensioni tali da impedirle di continuare la vita endofita. A
settembre-ottobre l'insetto utilizza l'ago da cui è uscito per costruirsi un astuccio protettivo, lungo in media 3 mm.
Esso viene rivestito interamente con fili di seta secreti dalla larva, dopo essere stato reciso in modo da formare una
specie di sacco aperto. Ancorata a questo astuccio la larva va in cerca di altri aghi, assicurandosi ad essi tramite un
cercine sericeo, erodendone, quindi, l'epidermide per raggiungere il parenchima di cui si nutre. Così facendo, la larva
apre una galleria di lunghezza comunque minore di quella del suo corpo, per poi scavarne un'altra sulla stessa foglia
senza abbandonare il proprio rifugio. In inverno le larve si ritirano nel loro astuccio chiudendolo con la seta,
ancorandosi ad un ascella del rametto laterale, all'inserzione di una gemma, alla base di una galla o anche a
fessurazioni corticali.
In primavera, quando germoglia il larice, la larva ricomincia a nutrirsi minando nuove foglie, arrivando a consumarne
una cinquantina in 3-4 settimane. In seguito allo sviluppo delle loro dimensioni, le larve costruiscono un nuovo
astuccio più capiente, unendo al vecchio fodero la parte apicale di un nuovo ago minato. Le larve giungono a maturità
tra fine aprile e giugno e si incrisalidano portandosi alla base di un ago. A seconda del clima lo stato pupale dura da 7
giorni a 3 settimane, dopo di che avviene lo sfarfallamento degli adulti.
DANNI E IMPORTANZA
Il suo attacco si protrae da aprile a novembre, con esclusione del periodo di farfallamento. In annate siccitose nei larici
a media altitudine si hanno i danni maggiori e in taluni casi anche la morte della pianta: la Coleophora provoca perdite
di accrescimento, ramificazioni disordinate per lo sviluppo di gemme avventizie, minore produzione di semi e scarsa
emissione di foglie. Il principale sintomo è costituito dagli aghi prima di aspetto biancastro e traslucido, poi ingialliti
fino a diventare marrone chiaro.
PIANTE OSPITI
Varie specie del genere Larix, tra cui Larix decidua.
CONTROLLO
La lotta contro questo insetto viene effettuata mediante insetticidi di ingestione a basso impatto ecologico da
applicarsi contro le uova ai primi di giugno quando riprendono a nutrirsi le larve (Bacillus thuringensis e
Diflubenzuron).
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TORTRICE DEL LARICE -
Zeir apher a diniana Guenée
La tortrice del larice è un insetto defogliatore caratterizzato da cicli di invasioni periodiche: ogni otto-dieci anni, i
boschi delle Alpi subiscono l'assalto delle larve della tortrice grigia che depone le uova sui rami dei larici. La tortrice
grigia è sempre presente sulle Alpi, ma di norma non rappresenta una minaccia per la vegetazione. Periodicamente,
però, il numero dei bruchi aumenta a dismisura, e i larici rischiano di soccombere sotto i loro morsi. Ove la situazione
per lo sviluppo dell'insetto è migliore (lariceti nella zona subalpina tra 1.800 e 1.900 m) il periodo di defogliazione
intensa dura circa 3 anni a intervalli di 8-10. Nemici naturali e clima sono fattori condizionanti ma non determinanti il
ciclo: importanti sono anche lo spazio, la nutrizione e la resistenza indotta dalla pianta.
DESCRIZIONE E CICLO
Adulti - dimorfismo sessuale non evidente; apertura alare tra i 18-22 mm; testa, torace e addome presentano un
colore grigiastro.
Uova - forma ovoidale appiattita, colore giallastro o arancione.
Larve - inizialmente grigio giallastre con capo, pronoto, zampe e placca anale nere. Raggiunta la maturità assumono un
colore che va dal grigio molto intenso al nero, di questo colore sono il capo, il pronoto, le zampe e la placca anale. A
maturità raggiungono una lunghezza di 10-13 mm.
Crisalidi - il colore può variare tra il marrone chiaro, marrone rossastro e marrone; lunghezza tra 7,5 e 12,5 mm; spine
rivolte all'indietro presenti sui segmenti addominali.
L'insetto compie una sola generazione all'anno e trascorre l’ultima parte dell'estate, autunno e inverno come uovo in
diapausa obbligata. Le uova schiudono in primavera in momenti diversi in funzione dell'altitudine: tra 500 e 1.200 m
s.l.m. le larve compaiono entro il mese di aprile, mentre tra 1.800 e 2.100 m s.l.m. la schiusa delle uova avviene in
maggio.
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Le larve di prima età come quelle di seconda e della prima metà della terza si nutrono della parte giovane degli aghi e
perciò si mantengono nella zona di accrescimento delle singole foglie del fascetto, interessandone da 3 a 4. Raggiunta
la seconda parte della terza età la larva si nutre della parte distale degli aghi organizzati in una sorta di tubulo che la
larva costruisce, una volta all'interno del mazzetto, collegando tutto attorno a lei, una serie ordinata di foglie, senza
distaccarle dal brachiblasto, mediante una sorta di camicia di seta; tale modalità di nutrirsi si mantiene anche per la
quarta e quasi tutta la quinta età, che l’insetto conclude cibandosi solo la parte basale più tenera degli aghi. Durante
l'attività la larva rimane protetta sotto una sorte di tela infarcita dei residui disseccati degli aghi serviti da alimento.
Questa giunta a maturità, dopo 40-60 giorni dallo sgusciamento, si porta sulla lettiera dove, sprofondatasi per 1-3 cm,
costruisce un rifugio di seta e terra entro cui si incrisalida. Dopo 25 a 36 giorni, sfarfallano gli adulti. I voli al di sotto di
1.000 m s.l.m. si prolungano da metà giugno a tutto luglio, mentre alle maggiori altitudini si svolgono dalla metà di
luglio a ottobre. Le femmine una volta inseminate si portano su branche di tre o più anni per ovideporre. Le uova, alle
quote basse, vengono sistemate in anfratti della corteccia o nei coni, mentre ai livelli più alti sono infilate sotto ai talli
del Lichene Parmelia aspidota che vive sulle branche dei larici. Questa manifestazione si verifica nei lariceti sopra i
1300 m s.l.m. dove il clima continentale ha estati secche e calde.
L’effetto dell’infestazione è la perdita nella produzione legnosa (negli anni di culmine della gradazione è in media del
20-30% con punte del 50-100%) e del turismo in seguito all’alterazione dell’aspetto estetico dell’ambiente.
DANNI E IMPORTANZA
Il periodo di dannosità si concentra nel periodo da aprile-maggio agli inizi di luglio.
Il danno principale che tale insetto provoca è una distruzione di buona parte dell'apparato fogliare con conseguenti
perdite di produzione legnosa: si verifica la differenziazione di un piccolo cono di aghi dall'apice mozzato tenuti
assieme da fili sericei; successivamente le piante appaiono più o meno avvolte da un tessuto sericeo che trattiene
residui secchi di foglie mangiate ed escrementi larvali. La pianta ospite appare più o meno brunastra come se fosse
bruciacchiata. Inoltre si ha una distruzione dei semenzali con conseguente alterazione della produzione dei semi.
PIANTE OSPITI
Larice e pino cembro.
CONTROLLO
La serie di provvedimenti che si possono attuare per difendere il lariceto durante i momenti di culmine della
gradazione sono oggi limitati all'applicazione di preparati a base di Bacillus thuringiensis var. kurstaki da distribuire
prima che le larve abbiano superato la terza età. Inoltre potrebbe essere efficace il Diflubenzuron, del quale, per altro,
non si hanno documentazioni di risultati al proposito.
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RUGGINE VESCICOLOSA DELL’ABETE ROSSO -
C hrysomy xa rododendri de Bary e Chrys omyx a abietis Wa ller
È una malattia crittogama, gli agenti patogeni sono dei basidiomiceti che appartengono al genere Chrysomyxa;
caratterizzati da un ciclo molto complesso ed un’elevata specializzazione nei confronti dell’ospite.
La forma eteroica (Chrysomyxa rhododendri), per completare il ciclo, ha bisogno del rododendro, è nota sull’arco
alpino anche la forma omoica (Chrysomyxa abietis).
Quindi, di norma, le basidiospore infettano in primavera i giovani aghi dell’abete rosso sui quali, all’inizio estate
compaiono delle macchie gialle (i picnidi), seguite da vescichette biancastre (gli ecidi): da queste fuoriesce la massa
ecidioconica che infetta in rododendro, dove si formano uredo e teleutoconidi, che germinano nella primavera
successiva.
Gli attacchi sono favoriti, da estati fresche e piovose.
LOTTA
Non esiste alcun sistema di lotta diretta. L’unico modo per contrastarne la diffusione è applicare, fin dagli stadi
giovanili, le corrette pratiche selvicolturali atte ad evitare densità eccessive, sinonimo di ristagni idrici e stress delle
piante, selezione massale degli individui e, qualora ve ne fosse bisogno, tagli fitosanitari con asporto del materiale di
risulta.
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CANCRO DEL LARICE -
Lachnellula willkomm ii
È un’altra malattia crittogamica, il cui agente è l’ascomicete Lachnellula willkommii, che rappresenta una delle insidie
più pericolose del larice.
Questo fungo produce delle lesioni fusiformi sui rami o sulla parte bassa del tronco, che si estendono col progredire
della malattia. Sulla corteccia morta si formano gli apoteci, che quando sono maturi diventano di color arancio.
Il parassita può essere mortale per le giovani piantine, sui soggetti più adulti si manifesta invece con deformazioni
permanenti, mentre i soggetti maturi, di solito, accusano soltanto dei disseccamenti localizzati per lo più nelle parti
basse della chioma. I fusti e i rami colpiti emettono generalmente resina e con il tempo perdono la loro elasticità
rompendosi facilmente.
LOTTA
Dove le condizioni di accessibilità lo consentano, nei lariceti adulti, sarebbe utile al fine del contenimento del
patogeno eseguire dei tagli fitosanitari, o meglio delle periodiche utilizzazioni finalizzate all’eliminazione dei potenziali
focolai d’infestazione.
Invece dove il bosco è più fitto, com’è di norma nelle giovani spessine o perticaie, conviene diradare per evitare che si
creino condizioni microclimatiche di maggior umidità, più idonee allo sviluppo del patogeno.
MARCIUMI RADICALI
Consistono in necrosi di tutti i tessuti, a cominciare da quelli corticali, che colpiscono l’apparato radicale, di solito
accompagnate dallo sviluppo di vegetazioni fungine che si diffondono all’interno o alla superficie degli organi
compromessi. Sovente dipendono da anomalie del terreno, quali l’eccesso di umidità o di compattezza, con
conseguente scarsa aerazione e quindi limitata ossigenazione degli organi sotterranei.
Tra i più noti vi sono i funghi saprofiti del gen. Armillaria, presenti normalmente nei suoli forestali, dove utilizzano di
solito residui legnosi morti (ceppaie, ecc.). Si diffondono attraverso il terreno per mezzo di rizomorfe costituite da fasci
di ife parallele. Oltre a queste, principali elementi diagnostici sono i copri fruttiferi riuniti in cespi (ad esempio, i
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chiodini) che si sviluppano in autunno alla base di piante morte o di ceppaie ed il denso feltro micelico bianco
presente sotto la corteccia alla base delle piante attaccate.
Armillaria può diventare in alcuni casi particolarmente virulento, diffondendosi a macchia d’olio nel bosco.
Solitamente colpisce piante già indebolite a causa di danni dovuti ad altri parassiti, di danni ambientali (rotolamento
massi, morso di ungulati, ecc.), di danni da inquinanti o comunque per condizioni stazionali poco adatte.
Probabilmente più pericoloso è il basidiomicete Heterobasidion annosum, polifago (può attaccare circa 200 specie di
piante superiori), predilige però le conifere. È presente solitamente nelle ceppaie vive appena tagliate, da queste,
preferibilmente tramite le anastomosi radicali, può attaccare le piante circostanti. Partendo dalle radici esso penetra
nella parte interna dei fusti causando la carie del legno, spesso senza che vi siano segni evidenti all’esterno. In breve
tempo sulle radici attaccate sviluppa i corpi fruttiferi.
L’infezione e la relativa perdita di legname si capiscono, solitamente, al momento del taglio, o per lo schianto del
tronco coadiuvato da fattori meteorologici (vento, movimenti del manto nevoso).
Questo parassita sembra colpire soprattutto gli impianti artificiali di abete o pino, a volte, già allo stadio di novellame.
Sembra, inoltre, che nei terreni forestali più evoluti la sua azione sia ostacolata da diversi antagonisti.
Vi sono poi forme di marciume che non si accompagnano alla presenza di micelio macroscopicamente percepibile: in
questi casi sono probabilmente attacchi di Phytophthora, meno frequenti dei precedenti, almeno ad una prima
indagine.
LOTTA
In bosco non è mai conveniente attuare metodi di lotta diretta a questi patogeni, quanto applicare le corrette pratiche
selvicolturali atte ad evitare densità eccessive, sinonimo di ristagni idrici e stress delle piante.
TUMORE BATTERICO DEL FRASSINO -
Pseudom onas syr ingae Smith
Il batterio Pseudomonas syringae sviluppa una proliferazione anormale sul tronco o sui rami del frassino maggiore.
Questa raramente porta a morte la pianta, ma costituisce un danno economico, ovvero l’impossibilità di utilizzare il
tronco colpito come legna da lavoro, oltre che ad un indebolimento statico della pianta.
LOTTA
Non si conoscono, a tutt’oggi, metodi di contrasto della malattia applicabili in bosco. Inoltre, il taglio e l’asporto del
materiale infetto potrebbe ulteriormente diffondere la malattia.
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ANALISI DEI COMPARTI PASCOLIVI
Il Programma Regionale di Sviluppo della Regione Lombardia ha fra gli obiettivi la redazione del Piano Regionale degli
Alpeggi (P.R.A.), strumento di indirizzo e di programmazione per l’alpicoltura regionale, con il quale contribuire a
valorizzare le risorse agricole della montagna lombarda.
Il Piano Regionale degli Alpeggi vuole essere lo strumento con cui conferire maggiore organicità e razionalità all’azione
pubblica per il sostegno dell’alpicoltura; pertanto, con esso vengono elaborati criteri e linee guida necessari ad
accompagnare, nel prossimo futuro, sia l’azione regionale sia quella degli Enti locali competenti in materia. Esso
rappresenta un complemento del Piano Agricolo Regionale, da considerare come documento settoriale di riferimento
anche da parte delle Province nella redazione dei Piani agricoli provinciali
L'alpicoltura ha oggi assunto una molteplicità di funzioni di cui beneficia l'intera collettività. All’attività di tipo
economico si associano anche funzioni di tipo ecologico e sociale:
- funzione paesaggistica: il pascolo rappresenta un ambiente aperto e ordinato dal quale derivano benefici in termini
di fruibilità turistica, in virtù dell'aumento del valore estetico del paesaggio, della durata dell'innevamento utile ai fini
sciistici e delle opportunità per attività escursionistiche e ricreative estive;
- funzione biologica: la presenza dei pascoli amplia il mosaico delle specie e delle comunità che costituiscono il sistema
vegetale alpino, favorendo anche la presenza di specie animali, in particolare dell'avifauna selvatica, garantendo alti
gradi di biodiversità;
- funzione di protezione: il manto erboso pascolato trattiene, meglio di una cotica indisturbata, la coltre nevosa,
riducendo i rischi di slavine, sempre elevati su pendii scoscesi.
Si può quindi affermare che l’alpicoltura, costituita dai sistemi degli alpeggi e delle aziende zootecniche che
stagionalmente vi conferiscono il bestiame, rappresenta un patrimonio economico, sociale, ambientale e storicoculturale dell’intera comunità, da salvaguardare e valorizzare.
Il Piano Territoriale di Coordinamento del Parco (approvato con D.G.R. n. 7/6632 in data 29/10/2001, e successive
varianti approvate con D.G.R. 22/11/2005 n. 8/74 e 11/05/2006 n. 8/2488) riconosce e promuove esplicitamente tale
rilevanza multifunzionale.
L’Art. 41, Attività agro-silvo-pastorale, al comma 1, prevede che “La tutela e lo sviluppo delle attività agro-silvopastorali, esercitate anche a part-time, costituisce primario obiettivo di Piano, subordinatamente alla salvaguardia
ambientale, in funzione di risorsa economica e di lavoro per la popolazione e di presidio umano della montagna. Nel
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quadro delle leggi vigenti e del piano di sviluppo socio-economico, l’Ente gestore coordina, sostiene e incentiva le
iniziative di natura economica e di servizio idonee alla valorizzazione di ogni risorsa attuale e potenziale per l’esercizio
dell’agricoltura e della zootecnia montana.”…
Il Piano di Settore, redatto nell’Ottobre 2002 dal Dott. For. G. Gregoriani, come previsto al comma 2 dello stesso Art.
41 di PTC:
a)
individua e censisce, per comprensori, le malghe, distinguendole in relazione alla loro potenzialità strutturale
e produttiva, senza tenere necessariamente conto dei soli aspetti economici;
b)
promuove il recupero, la continuazione e lo sviluppo delle malghe in base a valutazioni anche naturalistiche,
per la loro funzione di presidio umano sul territorio, compensando le condizioni di minore produttività;
c)
individua le malghe da riconvertire a bosco, favorendo tendenze naturali già in atto, in base a progetti di
rimboschimento in connessione con il piano di indirizzo forestale ed i piani di assestamento forestale;
d)
indica, per ogni comprensorio o singola malga, il carico unitario minimo e massimo idoneo alla migliore
conservazione del cotico erboso e tende alla limitazione dell’uso di mangimi integrativi;
e)
tende alla regolamentazione del pascolo brado ovino e caprino, con limitazione degli ambiti territoriali e
determinazione del carico massimo per ciascuna valle o comprensorio, escludendo da tale forma di pascolo
la zona di riserva naturale integrale;
f)
tende a favorire forme di associazionismo di gestione delle malghe o delle attività di trasformazione e
lavorazione dei prodotti lattiero-caseari.
Dopo aver conseguito le conoscenze di base attraverso l’acquisizione di materiale documentale e bibliografico (in
primo luogo il Piano di Settore Agricoltura citato) e alcune indagini speditive sul territorio si è cercato di operare una
sintesi propositiva per una migliore gestione delle risorse disponibili e per operare scelte future.
ASPETTI STORICI
A partire dagli anni cinquanta è in atto un processo di abbandono della pratica alpicolturale in tutto l'arco alpino. Un
processo che trae origine dai mutamenti di carattere socio-economico e culturale legati all'industrializzazione postbellica e allo sviluppo del settore terziario dei decenni successivi.
http://www.agricoltura.regione.lombardia.it/sito/doc/cdalpeggi/Paesaggi/Abbandono.htm - #Per le alpi italiane, nel
quarantennio che va dalla metà del secolo agli inizi degli anni novanta, si stima una riduzione dell'attività pastorale del
50-60%. Nel territorio delle Alpi Lombarde la recessione è stata più contenuta sfiorando il 30% in termini di alpeggi
caricati e di bestiame monticato. Gli effetti sul paesaggio vegetale sono stati tuttavia ugualmente profondi. Solamente
nell'ultimo trentennio, la superficie pastorale è diminuita del 38%. L'erosione ha riguardato soprattutto le praterie,
con indici di decremento del 46% per i pascoli e del 29% per i prati. Al regresso delle superfici pascolive ha fatto
riscontro una forte espansione del bosco e delle lande arbustive, la cui estensione si è quadruplicata.
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1971
2000
Diff. %
DATI RIASSUNTIVI TERRITORIO ALPEGGI REGIONE LOMBARDIA
Superficie produttiva [ha]
Foreste e arbusti [ha]
Prati
Pascoli
Incolto
Totale
669
107.502
28.651
136.822
15.625
474
58.342
26.008
84.824
61.208
- 29,1
- 45,7
- 9,2
- 38,0
+ 291,7
Tabella 12 - Dati desunti dal sistema informativo degli alpeggi della Regione Lombardia
L'abbandono è da considerarsi un processo da contrastare per alcuni aspetti negativi che comporta: una riduzione
della biodiversità vegetale e animale, una diminuzione del valore estetico del paesaggio, una minore accessibilità e
fruibilità turistica dello spazio e un aumento dei rischi d'incendio e di eventi catastrofici.
Questa variazione complessiva risulta essere strettamente correlata alla diminuzione del patrimonio zootecnico
allevato localmente, e del modificarsi delle condizioni di sviluppo economico che hanno indotto molti alpigiani a
lasciare l’attività agricola per impegnarsi in altri settori produttivi.
Procedendo nell’analisi della variazione dell’uso degli alpeggi essa appare meno influenzata da fattori esterni e più
legata alle caratteristiche proprie dell’alpeggio. Si può osservare infatti come la quasi totalità degli alpeggi che hanno
subito il completo abbandono sia costituita da pascoli di ridotte estensioni, privi di viabilità d’accesso adatta ai mezzi
agricoli e posti alle quote più elevate.
Il fenomeno di maggiore rilievo appare tuttavia non il completo abbandono, bensì il sottoutilizzo degli alpeggi, la cui
-1
conseguenza è la riduzione dei carichi unitari di bestiame (UBA ha ), l’abbandono dei fabbricati ed una profonda
modificazione della tradizionale pratica d’alpeggio.
In particolare, nel secolo scorso si è verificata una trasformazione di molti alpeggi da entità autonome dell’attività
pastorale in stazione appartenenti ad un comprensorio pascolivo più ampio. Questi alpeggi, un tempo erano utilizzati
singolarmente ed autonomamente da agricoltori residenti per l’intero periodo di alpeggio, mentre attualmente
vengono usufruiti, nell’ambito di un raggruppamento, da un unico agricoltore (malgaro) che manda il bestiame al
pascolo su quasi tutti le stazioni, ma che frequentemente utilizza unicamente le strutture di un unico alpeggio. Ne è
così derivato il completo abbandono di molti fabbricati rurali presenti nelle stazioni divenute secondarie e l’assenza di
manutenzione alle infrastrutture (acquedotti, viabilità minore, ecc.) e al cotico erboso, unitamente ad una marcata
sottoutilizzazione della produzione foraggera.
Gli alpeggi si configurano come aziende rurali temporanee, con forme di conduzione diverse legate alla proprietà e
alle consuetudini locali, in cui l’uomo conduce il bestiame al pascolo nel periodo estivo al fine di poterne sfruttare le
risorse foraggere lì disponibili.
Il bestiame soggiorna sui pascoli nei mesi estivi, mentre al piano le aziende possono ricostruire riserve di foraggio per
il resto dell’annata. Il foraggio consumato in alpeggio costituisce spesso l’indispensabile integrazione alla produzione
foraggera del fondovalle.
La durata dell’alpeggio varia in relazione all’altitudine e all’esposizione del pascolo, alla presenza di infrastrutture,
all’andamento stagionale e alla presenza di pascoli o prati-pascolo situati a quote meno elevate su cui mantenere il
bestiame prima di salire su quelli montani.
L’inalpamento inizia nel mese di giugno terminando in genere nel mese di settembre.
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Passando ad esaminare le forme di proprietà e di godimento dei pascoli, occorre rilevare la peculiarità che
contraddistingue l’alpeggio da qualsiasi altra azienda o struttura produttiva montana.
La forma di proprietà e spesso anche il godimento dei pascoli risente oggi degli influssi dei regolamenti feudali o
comunali e addirittura del diritto germanico imposto dalle popolazioni del Nord che al principio del Medioevo invasero
la montagna lombarda. Questo diritto, a differenza di quello romano, distingueva la proprietà del suolo da quella del
soprassuolo, di cui ammetteva frequentemente il diritto d’uso.
Ciò ha provocato il diffondersi nei pascoli alpini di usi che tuttora permangono, quali quelli di pascolo e di legnatico,
oppure la formazione di proprietà collettive che prendono consuetudini e denominazioni proprie.
I pascoli comunali di un certo valore produttivo e gestionale vengono normalmente affittati; l’affitto viene regolato da
un contratto, che ne stabilisce il canone, le norme di utilizzazione del pascolo e la durata dell’alpeggio. La gestione
dell’alpe é affidata ad allevatori singoli (o associati in economia, con la ripartizione delle spese e dei ricavi), i quali
corrispondono al Comune un canone fisso ad es. per U.B.A. monticata (Vezza d’Oglio).
I pascoli di proprietà privata vengono in genere utilizzati dai proprietari o affittati, mentre le proprietà collettive
vengono utilizzate dagli aventi diritto in base alla quota di godimento posseduta, trasmissibile ereditariamente o
mediante contratto, spesso rappresentata dal numero di capi che possono essere condotti al pascolo.
ANALISI DELLO STATO ATTUALE
Il Parco Regionale dell’Adamello ha provveduto, nell’anno 2002, alla predisposizione del Piano di Settore Agricoltura,
redatto dal Dott. For. Gianfranco Gregorini.
In tale Piano veniva analizzato l’intero sistema degli alpeggi all’interno del territorio del Parco, ai fini di una
valorizzazione multifunzionale adeguata alle reali esigenze e potenzialità pastorali e zootecniche e soprattutto alle
potenzialità funzionali legate al turismo estivo e alla commercializzazione in loco dei prodotti lattiero-caseari.
Per ciascun alpeggio o comprensorio di pascolo, inteso come unità gestionale e funzionale spesso composta da più
stazioni o comparti, il Piano ne descrive compiutamente le caratteristiche con particolare riferimento alle forme di
gestione, alle strutture e infrastrutture di servizio presenti, alla tipologia e produttività del cotico, ai pregi paesistici e
naturalistici, e all’interesse turistico; il Piano inoltre analizza le problematiche gestionali e le tendenze evolutive in atto
individuando proposte di conservazione e valorizzazione.
A titolo esemplificativo si riporta di seguito la prima parte di una scheda descrittiva di un alpeggio tratta dal citato
Piano di Settore Agricoltura del Parco regionale dell’Adamello.
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Per la predisposizione della presente indagine pastorale le informazioni tratte dal Piano di Settore Agricoltura del
Parco sono state completate ed integrate con dati desunti dal Piano Regionale degli Alpeggi (P.R.A.) e dai contenuti
dei Piani di Assestamento Forestale, in vigore o in fase di revisione, dei Comuni ricompresi nel territorio studiato.
Nella tabella seguente si riportano i dati di sintesi degli alpeggi che interessano il territorio studiato.
Denominazione Alpeggio o
Comprensorio
Alpeggio Bruina – Pozzuolo Casa Madre
Alpeggio Vescasa
Alpeggio Bezzi – Serodine Campello
Alpeggio Tonalina
Alpeggio Cadì
Stazioni o Malghe
Malga Bruina, Malga
Corno d’Aola, Malga
Pozzuolo, Plas de
l’Orto, Costa di Casa
Madre
Malga Vescasa Bassa,
Malga Vescasa Alta,
Malga Fassi
Malga Bezzi, Malga
Campello,
Malga
Serodine di Fuori,
Malga Serodine di
Dentro
Malga Tonalina
Malga Cadì
Comune
Amministrativo
Proprietà
Superficie
(ha)
Ponte di Legno
Ponte di Legno
1.199,94
Ponte di Legno
Privati
145,98
Ponte di Legno
Privati (Vicinìa
Agraria di ponte
di legno)
488,52
Ponte di Legno
Ponte di Legno
Privati
Comune di Edolo
71,23
103,79
Malga del Calvo di Vione
Malga del Calvo di
Vione
Vione
Comune di Vione
23,67
Alpeggio Salì
Malga Salì, Plana dei
Morèi – Cresta Salì e
Foppa del Salì
Vezza
Comune di Vezza
76,03
Malga del Calvo di Temù
Malga del Calvo di
Temù
Temù
Comune di Temù
20,86
Di seguito si descrivono, per ciascun alpeggio o comprensorio di pascolo, in forma riassuntiva, le caratteristiche dello
stato attuale e le proposte di destinazione futura.
MALGA DEL CALVO DI TEMÙ (COMUNE DI TEMÙ)
Stazioni o Malghe: Malga del Calvo di Temù (1950 m s.l.m.)
Nel territorio del comune di Temù le attività di alpeggio come tradizionalmente intese, correlate cioè alla filiera latteformaggi di montagna, sono del tutto scomparse ormai da tempo, e lo sfruttamento dei pascoli comunali si riduce alla
monticazione saltuaria di tipo brado di bovini e/o equini che pascolano spesso in più alpeggi.
L’alpeggio della Malga del Calvo di Temù, posto nell’alto versante nord-occidentale del Monte Calvo, è contiguo alla
Malga del Calvo di Vione; non viene gestito attivamente (con attività di allevamento e trasformazione del latte) se non
mediante il pascolo brado e spesso solo occasionale di bovini giovani o vacche in asciutta; le aree in cui il pascolo non
è stato ancora invaso da vegetazione arbustiva si riducono a due ridotte porzioni.
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Per questo alpeggio il Piano di Assestamento Forestale (2007-2021) propone la rivalutazione in chiave agrituristica e
ricettiva, per lo svolgimento di attività didattiche di educazione ambientale.
ALPEGGIO SALÌ (COMUNE DI VEZZA D’OGLIO)
Stazioni o Malghe: Malga Salì (1923 m s.l.m.), Plana dei Morèi – Cresta Salì e Foppa del Salì (altitudine media 2150 m
s.l.m.)
Alpeggio utilizzato solo all’inizio e verso la fine del periodo di alpeggio usualmente condotto su altre malghe o su fondi
di proprietà privata; si tratta perciò di un pascolamento di passaggio; l’antico fabbricato d’alpe (Malga Salì) è un
rudere non utilizzabile; le condizioni di abbandono risultano ormai generalizzate e incontrovertibili.
MALGA DEL CALVO DI VIONE (COMUNE DI VIONE)
Stazioni o Malghe: Malga del Calvo di Vione (da 1950 a 2200 m s.l.m.)
Alpeggio gestito con conduzione del pascolo brado e senza controllo, progressivamente invaso da specie arbustive;
l’uso attuale è legato all’utilizzo delle superfici pascolive limitrofe della Malga Calvo di Temù con le quali, dal punto di
vista funzionale, costituisce sostanzialmente un unico comprensorio. L’alpeggio è per buona parte coperta da specie di
discreto valore pastorale, pur essendo la superficie a prateria in costante riduzione per la diffusione del rododendro
(Rhododendro ferrugineum). L’invadenza del rododendro, che colonizza le superfici partendo da sud-ovest, è stato
favorito dal tipo di conduzione del pascolo, brado e senza alcun controllo.
I fabbricati dell’alpeggio sono di recente ristrutturazione (2004). E’ auspicabile una ripresa in questo comprensorio
dell’attività di allevamento e trasformazione del latte prevedendo lo sviluppo di attività turistiche in alpe.
ALPEGGIO BRUINA – POZZUOLO - CASA MADRE (COMUNE DI PONTE DI LEGNO)
Stazioni o Malghe: Malga Bruina (1750 m s.l.m.); Malga Corno d’Aola (2.140 m); Malga Pozzuolo (2000 m); Plas de
l’Orto (1600 m); Costa di Casa Madre (2300 m)
Alpeggio utilizzato quasi esclusivamente con bestiame ovino; non vi è produzione lattiero-casearia, le strutture
presenti sono limitate a ruderi e/o baracche utilizzate occasionalmente come ricovero per il personale, e l’abbeverata
avviene tramite i ruscelli che solcano la zona. Alpeggio di scarso potenziale zootecnico. La previsione di destinazione
del Piano di Settore (Gregorini, 2002) è l’abbandono progressivo, pur indicando la necessità di ristrutturazioni dei
fabbricati d’alpe in Malga Corno d’Aola e Malga Pozzuolo.
ALPEGGIO VESCASA (COMUNE DI PONTE DI LEGNO)
Stazioni o Malghe: Malga Vescasa Bassa (1600 m s.l.m.); Malga Vescasa Alta (1718 m); Malga Fassì (1750 m)
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Alpeggio gestito da privati, con utilizzo delle strutture per il ricovero del bestiame e la lavorazione del latte inadeguato
(il ciclo produttivo in loco non è completo).
Alpeggio di medio potenziale zootecnico. La previsione di destinazione del Piano di Settore (Gregorini, 2002) è la
valorizzazione parziale, prevedendo sui fabbricati adeguamenti igienico-sanitari (Malga Vescasa bassa) e manutenzioni
straordinarie (Malga Vescasa Alta e Malga Fassì); veniva proposta inoltre la valorizzazione a fini turistici di una delle
stazioni principali.
Alpeggio Bezzi – Serodine – Campello (Comune di Ponte di Legno)
Stazioni o Malghe: Malga Bezzi (1800 m s.l.m.); Malga Campello (2020 m); Malga Serodine di Fuori (2340 m); Malga
Serodine di Dentro (2430 m)
Alpeggio utilizzato quasi esclusivamente con bestiame ovino, senza produzione lattiero-casearia, nonostante le
diverse e alte potenzialità.
Alpeggio di buon potenziale zootecnico. La previsione di destinazione del Piano di Settore (Gregorini, 2002) è la
valorizzazione dell’intero alpeggio sia negli aspetti propriamente zootecnici che a fini turistici, prevedendo sui
fabbricati adeguamenti igienico-sanitari (Malga Serodine di Dentro), manutenzioni ordinarie (Malga Bezzi e Malga
Campello) e manutenzioni straordinarie (Malga Serodine di Fuori).
ALPEGGIO TONALINA (COMUNE DI PONTE DI LEGNO)
Stazioni o Malghe: Malga Tonalina (1728 m s.l.m.)
Alpeggio utilizzato anche con carichi piuttosto consistenti con cotico di qualità da discreta a buona.
Alpeggio di medio potenziale zootecnico. La previsione di destinazione del Piano di Settore (Gregorini, 2002) è la
valorizzazione dell’intero alpeggio negli aspetti propriamente zootecnici, prevedendo adeguamenti igienico-sanitari
alla Malga Tonalina. Veniva inoltre proposta la valorizzazione a fini turistici con commercializzazione in loco dei
prodotti.
ALPEGGIO CADÌ (COMUNE DI PONTE DI LEGNO)
Stazioni o Malghe: Malga Cadì (1915 m s.l.m.)
Alpeggio interessato dalla presenza della pista da sci del Tonale, caratterizzato da abbondante produzione erbacea e
sufficiente disponibilità idrica.
Alpeggio di buon potenziale zootecnico. La previsione di destinazione del Piano di Settore (Gregorini, 2002) è la
valorizzazione dell’intero alpeggio sia negli aspetti propriamente zootecnici che in quelli turistici, prevedendo
adeguamenti igienico-sanitari alla Malga Cadì, e la promozione della commercializzazione in loco dei prodotti.
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FABBRICATI, INFRASTRUTTURE
I fabbricati d’alpe sono ascrivibili a due categorie: le strutture di ricovero per il bestiame e le abitazioni/ricovero dei
pastori, in alcuni casi con annessi locali adibiti alla lavorazione del latte e alla conservazione del formaggio.
Si tratta sempre di costruzioni in muratura generalmente con malta di cemento, talvolta a secco. Nelle peggiori
condizioni sono ridotti a ruderi inutilizzabili (es. Alpeggio Salì in Comune di Vezza d’Oglio).
Spesso le abitazioni/ricovero del personale, presentano notevoli carenze conservative e/o funzionali in particolare con
riferimento alle operazioni di lavorazione del latte e conservazione del formaggio. Tali carenze, in contrasto con la
vigente normativa sanitaria, riducono ampiamente la buona pratica d’alpeggio, mortificano le potenzialità legate al
turismo in alpe e alla commercializzazione in loco, rendendo inoltre meno agevoli le condizioni di vita e di lavoro degli
alpigiani.
CONDIZIONI E PRODUTTIVITÀ DEI PASCOLI
Nel territorio della Valle Camonica, similmente alla generalità delle vallate alpine, possono essere individuate tre
principali tipologie pastorali che trovano definizione in ragione del tipo di gestione praticata e della quota in cui sono
ubicate.
a) Prati e prati-pascoli di fondovalle o prossimi ai nuclei rurali.
Sono collocati lungo il fondovalle e/o in prossimità dei nuclei abitati e hanno in genere favorevoli giaciture. In
particolare i cosiddetti prati stabili di fondovalle presentano giaciture pianeggianti e possono essere parzialmente
irrigui. I prati migliori sono in genere sottoposti a due tagli estivi e al pascolamento autunnale; in questo caso, nelle
migliori situazioni, vengono praticate la concimazione naturale, talvolta l’erpicatura e l’irrigazione. I prati-pascolo,
generalmente di minor fertilità e produttività, sono utilizzati meno intensivamente, in genere limitandosi ad un solo
sfalcio estivo e al pascolamento. Eccezion fatta per i prati di fondovalle di giacitura migliore le operazioni di fienagione
sono scarsamente meccanizzate. La produttività in termini qualitativi e quantitativi è generalmente molto diversa in
relazione alle condizioni stazionali e al tipo di cure colturali prestate. Dal punto di vista floristico sono caratterizzati
dalla presenza di Lolium perenne, Dactylis glomerata, Festuca gr. Rubra, Trifolium repens. Dal punto di vista
fitosociologico sono inquadrabili nell’alleanza Arrehenatherion elatioris (classe Molinio-Arrenatheretea).
b) Pascoli di media quota.
Sono presenti nella fascia media dei versanti, a quote generalmente comprese fra gli 800 e i 1600 m s.l.m., e sono
generalmente dotati di fabbricati di abitazione/ricovero per il personale e di ricovero per gli animali. Sono stazioni
intermedie d’alpeggio utilizzate un tempo in tarda primavera-inizio estate durante la salita all’alpe mediante la
stabulazione fissa e l’utilizzo del fieno dell’annata precedente. Un secondo periodo di utilizzo era quello autunnale
quando, durante la discesa dall’alpeggio, veniva praticato il pascolo successivo alle operazioni di sfalcio estivo.
Attualmente solo pochi di questi pascoli montani sono ancora utilizzati quali stazioni intermedie ma comunque quasi
sempre esclusivamente per il pascolamento. Le fitocenosi che costituiscono il cotico erboso di questi pascoli si
configurano come associazioni secondarie, e quindi caratterizzate da notevole instabilità. A seguito della diminuita
utilizzazione dei pascoli si è determinato un progressivo peggioramento della composizione floristica del cotico è
l’invasione dello stesso da parte di specie infestanti erbacee e arbustive. Dal punto di vista fitosociologico queste
formazioni sono inquadrabili nell’alleanza Triseto-Polygonion bistortae (classe Molinio-Arrhenatheretea).
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c) Pascoli d’alta quota.
Sono ubicati nella fascia altimetrica superiore, generalmente oltre il limite superiore della vegetazione arborea e sono
almeno in parte costituiti da praterie primarie di origine naturale e quindi da maggiore stabilità del cotico erboso alle
variazioni di carico e di utilizzazione. Sono, per contro, quelli più facilmente soggetti all’azione erosiva delle acque
meteoriche e all’invasione di pietrame proveniente dai contrafforti rocciosi spesso sovrastanti il pascolo. Sono
utilizzati nel periodo estivo centrale. Alle quote meno elevate sono frequentemente presenti superfici di pascolo
arborato che vanno soggette all’azione invasiva arbustiva in particolare dell’ontano verde (Alnus viridis) e del
rododendro (Rhododendro ferrugineum). Le porzioni di pascolo migliori sono generalmente quelle prossime ai
fabbricati, ma a causa delle non adeguate condizioni di sfruttamento e dell’assenza di cure colturali presentano
modeste condizioni sia sotto l’aspetto delle produzioni quantitative sia sotto quello qualitativo. La specie erbacea
regressiva maggiormente diffusa è il nardo (Nardus stricta) che denota situazioni di sottoutilizzo e irrazionale
pascolamento. Il Nardus stricta è specie rifiutata dal bestiame e la sua presenza deprime il valore pastorale del
foraggio. In prossimità dei fabbricati, in particolare nei luoghi di smaltimento delle deiezioni; è presente la flora
nitrofila tipica (es. generi Rumex e Urtica). Anche l’estirpazione di specie invadenti o la rimozione del pietrame, un
tempo regolarmente praticate, oggi è ampiamente trascurata in considerazione del minor fabbisogno foraggero
dovuto alla forte riduzione del numero di capi portati al pascolo. Nelle zone molto acclivi prevalgono i festuceti a
Festuca varia e i Cariceti a Carex sempervirens e a Carex curvula.
d) Praterie rupicole e cespuglieti.
Si tratta delle porzioni di pascolo periferiche agli alpeggi ancora utilizzati oppure a quelli totalmente dismessi dove la
mancata continuazione del regolare pascolamento e delle cure colturali, hanno favorito una progressiva invasione da
parte delle specie arbustive o di specie erbacee di minor valore pabulare. Generalmente presentano acclività notevoli,
diffuse accidentalità, presenza di pietrame e di affioramenti rocciosi e pertanto basso valore pastorale.
IPOTESI DI DESTINAZIONE E SVILUPPO
L’indagine condotta ha consentito una disamina della situazione pastorale nel territorio di studio e l’individuazione di
obiettivi di destinazione e sviluppo.
Come premessa alle indicazioni di destinazione e sviluppo è opportuno affermare, o confermare, in linea generale,
l’importanza di mantenere, o incrementare localmente ove possibile, le attività agropastorali sia per gli aspetti
socioeconomici, legati alla permanenza di attività tipiche dell’ambiente rurale alpino, sia per la conservazione di
elementi di diversificazione e valorizzazione paesaggistica e biologica, quali sono le praterie, la cui importanza è di
estremo rilievo anche considerata la vocazione turistica del territorio.
In riferimento alle ipotesi di destinazione e sviluppo sono necessarie due valutazioni preliminari di carattere generale:
-
il pascolo estivo in alpeggio costituisce un’importante occasione sia di contenimento del deficit di produzione
foraggera aziendale sia per il miglioramento delle condizioni di alimentazione e di allevamento del bestiame;
-
la pratica del pascolo rappresenta un sistema a basso o nullo impatto per la conservazione di agro-ecosistemi
sodivi anche di origine secondaria;
-
in generale i pascoli sono sottoutilizzati per la progressiva riduzione del numero di capi inalpati.
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A partire da queste considerazioni di carattere generale si sono realizzate le opportune sintesi per definire
destinazioni e percorsi di sviluppo, e conseguentemente gli interventi necessari.
Stante il perdurare del dimensionamento ridotto delle attività zootecniche rispetto ai decenni passati, e non essendo
prevedibili mutamenti inversivi della tendenza per il futuro, ci si deve necessariamente indirizzare verso la definizione
di priorità in merito agli alpeggi per cui è opportuna la prosecuzione della zootecnia su cui concentrare risorse ed
investimenti per la valorizzazione ed il rilancio. La scala delle priorità è determinata da diversi fattori sostanzialmente
riconducibili al valore foraggero dei pascoli (quantità e qualità) e alle condizioni di lavoro degli addetti: valore
pastorale del pascolo, accessibilità e infrastrutture di servizio, dotazioni strutturali di base (fabbricati, captazioni
idriche, abbeveratoi), connessioni funzionali tra più stazioni di pascolo, potenzialità agro-eco-turistiche.
In estrema sintesi per alcuni alpeggi va promossa la piena valorizzazione degli aspetti zootecnici, comunque legato a
forme di turismo culturale e alla commercializzazione in loco dei prodotti, mentre per altri andrà previsto l’abbandono
progressivo delle attività zootecniche e l’eventuale valorizzazione delle strutture per attività ricreative di stampo
escursionistico, naturalistico e didattico (bivacchi, ricoveri).
SISTEMI FORAGGERI
Per la valorizzazione delle attività zootecniche si ritiene necessaria un’impostazione maggiormente professionalizzata
e moderna dell’alpicoltura, in riferimento in particolare al dimensionamento dei carichi per unità di superficie, al
pascolamento razionale (rotazioni e recinzioni mobili), e alle tecniche igienico-sanitarie di lavorazione e
trasformazione del prodotto. Ciò può avvenire attraverso un’adeguata preparazione e formazione professionale degli
addetti.
Per il mantenimento del patrimonio zootecnico del bestiame attualmente allevato nei comuni dell’alta Valle Camonica
è importante garantire il reperimento di adeguate risorse foraggere per l’alimentazione durante il periodo di
stabulazione fissa; a tal fine le azioni coordinate devono riguardare la salvaguardia e il miglioramento gestionale delle
superfici a prato e a prato-pascolo di fondo valle.
La ricerca di una ottimizzazione del carico consente oltre ad un migliore sfruttamento della produzione anche un
apporto organico naturale in tutte le aree sottoposte al pascolamento.
Il carico ridotto rispetto al potenziale dell’alpeggio, oltre a indurre il bestiame ad utilizzare solo il pascolo più comodo,
con il relativo abbandono di superfici marginali che vengono invase in breve tempo da infestanti, cespugli e
successivamente dal bosco, consente agli animali di scegliere il foraggio più appetitoso, permettendo la maturazione e
la diffusione delle specie meno appetite.
FABBRICATI E STRUTTURE
Le linee di intervento dovranno sostanzialmente essere indirizzate a consolidare e qualificare le realtà attualmente
attive, e suscettibili di prosecuzione e/o sviluppo; per queste realtà andranno previsti interventi di miglioramento dei
fabbricati adibiti ad abitazione dei pastori, alla lavorazione del latte, allo stoccaggio, alla conservazione dei prodotti e
156
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
al ricovero del bestiame. In questo senso di particolare priorità risulta essere l’intervento di adeguamento dei
fabbricati ad uso abitativo per consentire la trasformazione del prodotto in alpeggio garantendo i requisiti minimi
igienico-sanitari richiesti dalle normative vigenti; la lavorazione e conservazione in loco consente forme di
commercializzazione in loco in particolare per gli alpeggi più facilmente accessibili al turista.
Vanno inoltre previsti miglioramenti alle strutture di approvvigionamento idrico (manutenzioni e/o realizzazioni di
captazioni e abbeveratoi) e provvedere alle opportune forme di approvvigionamento energetico (pannelli solari,
gruppi elettrogeni o collegamenti a linee elettriche).
PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE
Una migliore caratterizzazione dei processi produttivi può in generale consentire di ottenere prodotti di migliore
qualità e maggiormente differenziati (non omologati).
Il conseguito di una maggiore razionalizzazione dei processi di trasformazione, che potrebbe in futuro attraverso un
adeguato progetto avvenire in forma coordinata sull’intero territorio del Parco dell’Adamello, consentirebbe una
promozione e migliore commercializzazione dei prodotti zootecnici così da ottenere, anche attraverso una vendita
diretta, una maggiore remunerazione dell’attività agricola.
VALORIZZAZIONE AMBIENTALE E PAESAGGISTICA
La conservazione degli ecosistemi a prateria consente quella diversità biologica e paesaggistica, determinata dalla
variegata alternanza tra ecosistemi a prateria fisionomicamente aperti ed ecosistemi forestali fisionomicamente chiusi
creatasi in passato con l’esercizio diffuso dell’attività zootecnica-pastorale. Tale diversificazione paesistica è inoltre
valorizzata dalla presenza di elementi storici, architettonici e culturali legati all’edilizia rurale (edifici, mulattiere, ecc.).
Per gli alpeggi per cui vengono esclusi sviluppi in senso zootecnico si possono ipotizzare interventi conservativi e di
valorizzazione del patrimonio architettonico-rurale per finalità turistico-ricreative e culturali.
QUADRO RIASSUNTIVO DELLE IPOTESI DI DESTINAZIONE E SVILUPPO
Per la definizione delle ipotesi di destinazione e sviluppo è stata operata una sintesi a partire dalle indicazioni presenti
nel Piano di Settore Agricolo del Parco Regionale dell’Adamello e nei Piani di Assestamento Forestale dei Comuni in
vigore e/o in fase di revisione, validandone e confermandone i contenuti in concertazione con il Parco, i Comuni e il
Consorzio Forestale Due Parchi.
Le destinazioni che prevedono la valorizzazione zootecnica comprendono, oltre agli interventi direttamente indicati
nella tabella sottostante, gli interventi e le forme di valorizzazione poco sopra sommariamente descritte in riferimento
a: Sistemi foraggeri, Fabbricati e strutture, Produzione e commercializzazione, Valorizzazione ambientale e
paesaggistica.
157
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Denominazione Alpeggio
o Comprensorio
Stazioni o Malghe
Destinazione e
sviluppo
Alpeggio Bruina –
Pozzuolo - Casa Madre
Malga Bruina, Malga
Corno d’Aola, Malga
Pozzuolo, Plas de l’Orto,
Costa di Casa Madre
Abbandono
progressivo attività
zootecnica
Alpeggio Vescasa
Malga Vescasa Bassa,
Malga Vescasa Alta,
Malga Fassi
Valorizzazione
zootecnica e turistica
Alpeggio Bezzi – Serodine
- Campello
Malga Bezzi, Malga
Campello, Malga Serodine
di Fuori, Malga Serodine
di Dentro
Valorizzazione
zootecnica e turistica
Alpeggio Tonalina
Malga Tonalina
Alpeggio Cadì
Malga Cadì
Malga del Calvo di Vione
Malga del Calvo di
Vione
Alpeggio Salì
Malga Salì, Plana dei
Morèi – Cresta Salì e
Foppa del Salì
Valorizzazione
zootecnica e turistica
Valorizzazione
zootecnica e turistica
Valorizzazione
zootecnica e turistica
Abbandono
progressivo attività
zootecnica
Malga del Calvo di Temù
Malga del Calvo di
Temù
Valorizzazione
turistica
158
Interventi di valorizzazione
Piano Settore indicava
ristrutturazioni fabbricati
d’alpe in Malga Corno d’Aola
e Malga Pozzuolo
Adeguamenti igienico-sanitari
(Malga Vescasa bassa);
manutenzioni straordinarie
(Malga Vescasa Alta e Malga
Fassì); valorizzazione turistica
di una delle stazioni principali
Adeguamenti igienico-sanitari
(Malga Serodine di Dentro),
manutenzioni ordinarie
(Malga Bezzi e Malga
Campello); manutenzioni
straordinarie (Malga Serodine
di Fuori).
Adeguamenti igienico-sanitari;
valorizzazione turistica
Adeguamenti igienico-sanitari;
valorizzazione turistica
Promozione uso zootecnico;
valorizzazione turistica
Ristrutturazione fabbricati
ricezione turistica (bivacco e
sosta)
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI DI
INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
VIABILITÀ FORESTALE
ANALISI DELLA VIABILITA’ SILVO-PASTORALE.
CENSIMENTO DELLA VIABILITÀ ESISTENTE
METODOLOGIA UTILIZZATA PER LA REALIZZAZIONE DELLA CARTA DELLA VIABILITÀ
Il censimento della viabilità silvo-pastorale esistente è stato condotto attraverso il rilievo cartografico della rete
stradale. Operando una classificazione dei tratti viari con criteri parametrici le strade sono state inquadrate in quattro
classi di transitabilità: strade camionabili, strade percorribili da trattori con rimorchio, piste percorribili da trattori di
piccole dimensioni, mulattiere e piste percorribili con piccoli automezzi (tabella 1).
I parametri distintivi considerati per la classificazione sono stati da un lato la tipologia dei mezzi utilizzabili (autocarri,
trattori con rimorchio, trattori di piccole dimansioni e piccoli automezzi) e il carico ammissibile, dall’altro il tipo di
fondo (stabilizzato o naturale/migliorato), la larghezza minima (metri), la pendenza prevalente e massima (%), il raggio
minimo di curvatura (metri).
159
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Tabella 13 – Classificazione della viabilità secondo i parametri costruttivi e di tracciato
Rete viabile
Fattore di transitabilità
Classe di
23
transitabilità
І
Mezzi
Carico ammissibile
24
(q)
Autocarri
250
3,5
3
200
Trattori con
rimorchio
Trattori piccole
dimensioni 90 CV
ІІ
ІІІ
ІV
Pendenza (%)
Largh. Minima
(m)
Piccoli automezzi
Raggio tornanti
(m)
Massima
Prevalente
F. naturale
F. stabilizzato
<10
12
16
9
2,5
<12
14
20
8
100
2,0
<14
16
25
6
40
1,8
>14
>16
>25
<6
Piste forestali
Mezzi forestali
Tracciati minori
Mulattiere
Sentieri
Itinerari alpini
Tracciati a prevalente uso pedonale con larghezza minima di 1,2 m, pendenza non superiore al 25% con fondo lastricato
nei tratti a maggior pendenza. Presenza di piccole opere di regimazione delle acque superficiali (canalette e cunettoni) e
di muri di contenimento della scarpata a monte e a valle.
Tracciati ad esclusivo uso pedonale con larghezza con larghezza non superiore a 1,2 m e pendenze che,in presenza di
gradini, possono raggiungere il 100%. Presenza di elementari opere d’arte per il mantenimento del fondo e della scarpata.
Insieme dei tracciati in zona di media e alta montagna ad esclusivo uso pedonale, con sezione ridotta, fondo spessi
irregolare e non consolidato emancanza di opere d’arte. In zone impervie possono essre dotati di particolari attrezzature
fisse per garantire il passaggio in sicurezza (ferrate).
23
La classe di transitabilità è determinata dal parametro più sfavorevole che ne costituisce il limite di transitabilità
Sono consentite delle deroghe indicate nel Regolamento comunale al transito art.13
3
Comprensivo di banchina 0.5 m
24
160
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
SVILUPPO E DISTRIBUZIONE DELLA RETE VIABILE
Lo sviluppo lineare della rete viabile rilevata si estende per circa 127 km, distribuendosi in maniera piuttosto
uniforme sul territorio dei cinque comuni ricadenti nell’area di indagine, con un minimo di 14,3 km per il comune di
Vione e un massimo di 35.7 km di strade ricadenti entro i confini comunali di Ponte di Legno (tabella 2).
Pur non essendo presenti all’interno dell’area percorsi autostradali o ferroviari, si rilevano ugualmente, tra le strade
classificate come camionabili, tratti stradali che rivestono una certa importanza in termini di collegamento e che
fanno parte delle strade statali e provinciali. In particolare, la zona è fiancheggiata a nord, per un lungo tratto, dalla
Strada Statale n°42 “via Nazionale” che collega Incudine a Ponte di Legno, passando da Vezza d’Oglio, Vione e Temù.
La stessa attraversa la parte settentrionale dal comune di Ponte di legno. Inoltre, in corrispondenza di quest’ultimo,
dal percorso della SS42 si diparte la Strada Statale n°300 che conduce al paese di Bormio.
Da un punto di vista strutturale la tipologia più diffusa è quella delle strade della II classe di transitabilità che
caratterizzano tratti complessivamente di circa 77 km, rappresentanti circa il 62% dell’intera opera infrastrutturale
(tabella 2 e figura 1). Le altre tipologie più importanti sono, in ordine, le strade percorribili con trattori di piccole
dimensioni (III classe di transitabilità) e le camionabili (I classe di transitabilità), rispettivamente rilevate sul 22% e sul
10% della rete, mentre molto meno frequenti le mulattiere e le piste percorribili con piccoli automezzi (IV classe di
transitabilità), che complessivamente, in tutta l’area esaminata, non raggiungono gli 8 km di sviluppo.
Tabella 14 - Sviluppo in Km della viabilità ripartito per comune.
COMUNE
I° CLASSE DI
II° CLASSE DI
III° CLASSE DI
IV° CLASSE DI
TRANSITABILITA' TRANSITABILITA' TRANSITABILITA' TRANSITABILITA'
Totale
Incudine
0,0
4,1
17,2
0,6
21,9
Vezza d'Oglio
2,8
18,3
0,9
0
22,0
Vione
Temù
0,0
2,9
14,1
25,0
0,2
0,3
0
4,5
14,3
32,7
Ponte di Legno
7,3
16,0
9,9
2,5
35,7
Totale
13,0
77,6
28,5
7,6
126,6
Figura 1 - Distribuzione percentuale della viabilità per tipologia di strada.
161
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
La maggior parte della rete viaria si distribuisce esclusivamente nella fascia altimetrica medio-bassa dell’area, a
quote quasi sempre inferiori ai 1500 metri, soprattutto le strade camionabili (I classe di transitabilità) che si
ritrovano prevalentemente incorrispondenza delle valli che attraversano da nord a sud l’area di indagine (tabella 3 e
figura 2).
Tabella 15 - Distribuzione percentuale della viabilità per comune e per tipologia di strada.
COMUNE
I° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
II° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
III° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
IV° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
Totale
Incudine
Vezza d'Oglio
0
13
19
83
79
4
3
0
100
100
Vione
0
99
1
0
100
Temù
Ponte di Legno
9
20
76
45
1
28
14
7
100
100
Incudine
0
5
60
8
Vezza d'Oglio
22
24
3
0
Vione
Temù
0
22
18
32
1
1
0
59
Ponte di Legno
56
21
35
33
Totale
100
100
100
100
La parte più consistente della viabilità è rappresentata dalle strade della II classe di transitabilità, abbastanza
uniformemente distribuite su tutto il territorio, ad eccezione del comune di Incudine, in cui questa classe di strade è
scarsamente rappresentata (solo 4 km). Questa tipologia di strade, dal confine settentrionale dell’area, si dirama
verso sud, spingendosi anche oltre i 2100 m s.l.m., soprattutto nei territori dei comuni di Vezza d’Oglio, Vione e
Temù.
Figura 2 - Distribuzione percentuale della viabilità per comune e per tipologia di strada.
162
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Le mulattiere e le piste percorribili con piccoli automezzi sono presenti quasi esclusivamente nei comuni di Ponte di
Legno e Temù (figura 3).
Le strade percorribili con trattori di piccole dimensioni (III classe di transitablità) sono presenti in prevalenza nei
territori dei comuni di Incudine e di Ponte di legno e, in corrispondenza di quest’ultimo, questa tipologia di strade si
snoda ad altitudini comprese tra i 1900 m e 1 2600 m s.l.m.
Figura 3 – Classificazione della viabilità
Viabilità
I Classe di transitabilità
II Classe di transitabilità
III Classe di transitabilità
IV Classe di transitabilità
Viabilità principale
Area di indagine
Confini comunali
INCUDINE
PONTE DI LEGNO
TEMU'
VEZZA D'OGLIO
VIONE
DENSITÀ VIABILE E CONDIZIONI DI ACCESSIBILITÀ DELL’AREA
Il calcolo della densità viabile caratteristica dei territori comunali (tabella 4) mostra, per le aree di Incudine e Vezza
d’Oglio, i valori più alti con circa 24 m/ha per il primo e per il secondo di circa 20 m/ha. Il valore più basso si ha
invece per il comune di Ponte di Legno con soli 8.2 m/ha. Il dato è ancora più significativo se si considera come il
comune di Ponte di Legno risulti il più coinvolto in termini superficiali. Per gli altri comuni si riscontrano condizioni
intermedie alle precedenti (intorno ai 15 m/ha).
Tabella 4 - Densità viabile per comune (m/ha)
COMUNE
SUPERFICIE (ha)
VIABILITA' (km)
DENSITA' VIABILE
Incudine
Vezza d'Oglio
Vione
Temù
Ponte di Legno
924,1
1078,8
986,2
2053,1
4359,9
21,9
22
14,3
32,7
35,7
23,7
20,4
14,5
15,9
8,2
Totale complessivo
9402,1
126,6
13,5
163
(m/ha)
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Lo stesso indice è stato calcolato anche considerando esclusivamente la viabilità che attraversa le superfici boscate,
permettendo quindi valutazioni di ordine prettamente di interesse forestale (tabella 5).
Tabella 5 - Valori dell’indice di densità viabile calcolato per le superfici forestali.
COMUNE
SUPERFICIE
FORESTALE (ha)
INDICE DI
BOSCOSITA'
VIABILITA' DI INTERSSE
FORESTALE (km)
DENSITA' VIABILE DI
SERVIZIO AI BOSCHI
(m/ha)
Incudine
793,9
85,9
18,2
22,9
Vezza d'Oglio
1011,9
93,8
20,0
19,8
Vione
777,1
78,8
10,2
13,2
Temù
1625
79,1
28,2
17,3
Ponte di Legno
2239,2
51,4
18,0
8,0
Totale
6447,1
68,6
94,6
14,7
La media della densità viabile di servizio ai boschi, per l’intera area è di 14.7 m/ha, con il comune di Incudine che
presenta l’indice migliore (22,9 m/ha).
Da un punto di vista della consistenza della superficie forestale Incudine presenta un valore prossimo a quello di
Vione, ma con un indice di boscosità piuttosto elevato del primo (oltre 85%) rispetto al secondo (79%). Il territorio di
Vione inoltre, con con il valore più basso in termini di viabilità di interesse forestale, presenta un indice di densità
viabile sotto la media. Il comune di Ponte di Legno è invece quello che ha in termini assoluti la maggiore superficie
boscata (oltre 2.200ha), ma con solo circa 18 km di strade che l’attraversano, determinanti una densità viabile di 8
m/ha, è risultato il valore in assoluto più basso. Il comune di Vezza d’Oglio, con una superficie forestale di circa 1000
ha, è quello che presenta l’indice di boscosità più elevato ed un valore di densità viabile di servizio ai boschi secondo
dopo Incudine (19.8 m/ha). Il territorio comunale di Temù invece presenta la maggiore estensione in termini di
viabilità forestale (28.2 km), ma l’indice di boscosità non troppo elevato determina una densità viabile forestale di
poco sopra la media.
La valutazione dell’accessibilità delle aree forestali è stata effettuata classificando il territorio entro tre classi di
accessibilità, secondo il protocollo metodologico elaborato da Hippoliti (1977).
La metodologia proposta si distingue per semplicità e facilità applicativa basandosi sul principio secondo il quale un
bosco si definisce “ben servito” quando un operaio impiega complessivamente 30 minuti al giorno per percorrere in
entrambi i sensi il tragitto che deve essere fatto per raggiungere il cantiere una volta lasciata l’autovettura. Il bosco
viene invece considerato “scarsamente servito” se l’operaio impiega tra mezzora ed un ora e “non servito” se il
tempo di trasferimento è maggiore di una ora. Il calcolo è calibrato in considerazione di un tempo medio di
percorrenza di 15 minuti ogni 100 m di dislivello oppure ogni 1.000 m svolti in condizioni di piano.
L’elaborato cartografico relativo alla valutazione dell’accessibilità è stato realizzato classificando il territorio forestale
entro le suddette categorie, applicando attorno a tutti i tratti viabili, superfici buffer di ampiezza variabile in funzione
della pendenza del terreno.
164
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
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Figura 4 – Classificazione dell’accessibilità
Zona di indagine
Viabilità
Zonizzazione
Zone accessibili
Zone non accessibili
Zone scarsamente accessibili
L’indagine ha quindi evidenziato (figura 4) come risulti in buona parte accessibile la parte settentrionale ed
occidentale dell’area di studio, nel disegno indicata con il colore giallo. La zona sud-orientale invece comprende un
territorio di circa 2600 ha classificato come “non accessibili” (individuata dal colore rosso) e identifica la parte di
territorio altimetricamente più elevato di tutti e cinque i comuni. La stessa classificazione è stata data a due zone
situate nella parte sud-occidentale dell’area (per un totale di circa 460 ha) ed una zona situata invece nella parte
nord occidentale di estensione di circa 60 ha. Confrontando la carta dell’accessibilità con quella dell’uso del suolo,
infine, si osserva una forte corrispondenza delle suddette aree con le classi “rocce affioranti e rupi” e “ghiacciai e
nevai” e in minima parte con praterie e pascoli d’alta quota o zone con vegetazione arbustiva o cespuglieti.
Tra le zone definite dalle categorie “accessibili” e “non accessibili”, esiste una fascia di territorio indicata in figura con
il colore arancione, classificato come “scarsamente accessibile” (circa 1800 ha), così come rientrano in tale categoria
una serie di aree dislocate lungo il confine settentrionale dell’area di indagine.
LA VIABILITÀ IN RELAZIONE ALLA CARTA DEGLI DEL USI DEL SUOLO E ALLE DESTINAZIONI
Una corretta valutazione del grado di accessibilità dei boschi non può prescindere da un’analisi della distribuzione
della viabilità tra le varie destinazioni funzionali prevalenti associate alle categorie tipologiche forestali.
165
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
La funzione della viabilità diviene infatti essenziale in quei soprassuoli per i quali è stata individuata una funzione
produttiva, mentre non lo è in caso di formazioni destinate all’evoluzione libera oppure alla funzione naturalistica.
La destinazione produttiva prevalente, individuata sul 42% delle peccete montane dei substrati silicatici su suoli
mesici, che che hanno un’estensione di circa 1190 ha, pari al 22% del totale, implica necessariamente un buon grado
di densità viabile, in quanto tali condizioni incidono direttamente sui costi di esbosco e trasporto del legname. Allo
stesso tempo la presenza di un fitta e capillare rete viabile rappresenta un punto cardine in termini di prevenzione e
lotta agli incendi (tabelle 6, 7, 8 e 9).
Tabella 6 - Superfici in Ha ripartite per tipo forestale e classe di accessibilità
TIPI FORESTALI
1
CLASSI DI ACCESIBILITA'
2
3
Totale
Aceri-frassineto
63,3
0,0
0,0
63,3
Aceri-frassineto con ontano bianco
42,3
0,0
0,0
42,3
Alneta di ontano bianco
45,7
2,3
0,0
48
Alneta di ontano verde
292,5
640,6
470
1402,6
Betuleto
8
0,0
0,0
8
Corileto
48,6
0,0
0,0
48,6
Lariceto in successione con pecceta
17,9
15,9
14
47,9
Lariceto primitivo
0,4
29,8
19
49,5
Larici-cembreto primitivo e consorzi rupicoli
13,5
20,8
11
45,4
Lariceto tipico
186
146,3
7
339,6
Lariceto tipico montano
2,1
0,0
0,0
2,1
Mugheta microterma su substrati silicatici
10,2
20,7
14
44,7
Pecceta secondaria montana
402,6
7,4
0,0
410
Pecceta azonale su alluvioni
68,3
0,0
0,0
68,3
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici
suoli mesici
832,6
687,5
26
1545,6
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici
suoli xerici
93,8
67,3
0,0
161,1
Pecceta montana dei substrati silicatici suoli mesici
844,2
351,5
0,0
1195,7
166
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DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
I 23.3 km di strade che attraversano questi boschi sono prevalentemente costituiti da strade della II classe di
transitabilità (15 km). Seguono le strade percorribili da trattori di piccole dimensioni e strade camionabili, III e I
classe (rispettivamente con 4.5km e 2.5 km), che complessivamente incidono significativamente determinando un
indice di densità viabile piuttosto alto (16.4 m/ha), superiore all’indice viabile forestale medio dell’area (14.7 m/ha).
Le strade percorribili da piccoli automezzi (IV classe), sono scarsamente rappresentate con solo 1,2 km.
La formazione forestale più estesa è la Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici su suoli mesici, con una
superficie di 1545 ha, pari al 28% del totale. Questa è attraversata da circa 21 km di strade, in prevalenza
appartenenti alla II classe di transitabilità (16,3 km) che, da sole, determinano una densità viabile di poco sotto la
media della zona (circa 11 m/ha). È comunque da ricordare che la destinazione prevalente di questa tipologia di
boschi è quella paesaggistica.
Lo sviluppo delle strade che attraversano l’altra formazione forestale di rilievo, gli alneti a ontano verde (1.402 ha,
oltre il 25% del totale), corrisponde complessivamente a 5.5 Km distribuita abbastanza uniformemente nelle quattro
classi di transitabilità. La densità viabile registra quindi un valore (4 m/ha) di gran lunga inferiore alla media
complessiva, ma è significativo evidenziare, una prevalente destinazione funzionale di tipo naturalistico e protettivo.
In termini assoluti è opportuno rilevare che tra i boschi più serviti ci sono le peccete secondarie montane, interessati
da oltre 22 km di strade, distribuiti entro un territorio di soli 410 ha.
Tabella 7 – Classi di accessibilità in relazione alle attività prevalenti.
ATTIVITA'
Accessibile
CLASSE
Scarsamente accessibile
FRUITIVA
638,7
50,0
13,4
702,0
NATURALISTICA
346,5
625,0
340,4
1311,8
PAESAGGISTICA
930,6
710,9
99,1
1740,6
PRODUTTIVA
610,4
207,4
0,0
817,8
PROTETTIVA
219,9
378,9
107,8
706,5
TAMPONE
226,4
18,0
0,0
244,4
Totale complessivo
2972,3
1990,2
560,6
5523,1
167
Non accessibile
Totale
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Ha
%
I° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
II° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
III° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
IV° CLASSE DI
TRANSITABILITA'
TOTALE
Tabella 8 - Viabilità presente per le principali tipologie forestali dell'Area.
Aceri-frassineto
63,1
1,1
0,50
2,38
0,48
0,01
3,36
Aceri-frassineto con ontano
bianco
42,1
0,8
0,23
2,04
1,45
0,00
3,72
Alneta di ontano bianco
48,1
0,9
0,32
1,14
0,44
0,00
1,90
1402,5 25,4
0,34
2,86
0,35
2,00
5,55
TIPO FORESTALE
Alneta di ontano verde
Betuleto
8,1
0,1
0,00
0,15
0,00
0,00
0,15
Corileto
48,6
0,9
0,00
0,89
2,47
0,14
3,51
48,1
0,9
0,00
0,33
0,30
0,00
0,63
45,4
0,8
0,00
0,05
0,00
0,00
0,05
Lariceto tipico
340,1
6,2
0,00
3,76
0,83
0,33
4,92
Pecceta secondaria
montana
410,0
7,4
3,43
14,93
2,14
1,78
22,28
Pecceta azonale su alluvioni
68,2
1,2
1,27
0,75
0,00
0,00
2,01
1545,7 28,0
0,04
16,31
3,29
1,16
20,80
161,1
2,9
0,00
1,87
0,00
0,00
1,87
1195,7 21,6
2,50
15,14
4,49
1,16
23,29
5426,8 98,3
8,62
62,61
16,22
6,58
94,04
Lariceto in successione con
pecceta
Larici-cembreto primitivo e
consorzi rupicoli
Pecceta altimontana e
subalpina dei substrati
silicatici suoli mesici
Pecceta altimontana e
subalpina dei substrati
silicatici suoli xerici
Pecceta montana dei
substrati silicatici suoli
mesici
Totale complessivo
168
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Tabella 9 - Classi di accessibilità in relazione alle funzioni delle tipologie forestali.
FUNZIONE
TIPOLOGIA
Aceri-frassineto
Aceri-frassineto
con ontano bianco
Alneta di ontano
bianco
Alneta di ontano
verde
Betuleto
Corileto
Lariceto in
successione con
pecceta
Lariceto
primitivo
Larici-cembreto
primitivo e
consorzi rupicoli
Lariceto
tipico
Lariceto
tipico montano
Mugheta
microterma su
substrati silicatici
Pecceta
secondaria
montana
CLASSE
Accessibile
Non accessibile Scarsamente accessibile Totale
Fruitiva
Paesaggistica
Tampone
18,7
37,2
7,2
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
18,7
37,2
7,2
Paesaggistica
41,9
0,0
0,0
41,9
Tampone
Fruitiva
Paesaggistica
Tampone
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Protettiva
Tampone
Fruitiva
Paesaggistica
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Protettiva
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Tampone
Naturalistica
Paesaggistica
0,3
11,8
32,7
1,3
38,9
126,0
29,5
61,6
36,7
1,6
6,5
17,1
19,1
8,7
3,8
8,5
0,0
3,4
6,1
0,0
0,5
0,0
0,0
0,0
0,0
12,5
323,1
26,2
107,8
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,2
0,0
13,9
0,0
0,0
19,3
0,0
0,0
2,3
0,0
23,6
325,8
42,8
243,3
4,8
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
1,3
13,9
0,8
0,0
29,9
0,3
11,8
35,0
1,3
74,9
775,0
98,5
412,6
41,5
1,6
6,5
17,1
19,1
8,7
3,8
8,8
1,3
31,2
6,9
0,0
49,6
Naturalistica
0,0
0,5
6,0
6,5
Paesaggistica
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Tampone
Fruitiva
Paesaggistica
Tampone
13,5
42,4
13,2
116,4
14,3
1,0
0,2
1,0
10,6
0,0
0,0
7,3
0,0
0,0
0,0
0,0
14,7
10,3
47,5
87,4
1,3
0,0
0,0
0,0
38,9
52,8
60,6
211,1
15,6
1,0
0,2
1,0
Naturalistica
4,2
5,5
12,2
21,8
Paesaggistica
Fruitiva
Paesaggistica
Produttiva
Protettiva
6,0
136,1
64,1
166,4
15,7
8,3
0,0
0,0
0,0
0,0
8,6
0,0
0,4
6,3
0,7
22,9
136,1
64,6
172,7
16,4
169
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Pecceta
Azonale su
alluvioni
Pecceta
altimontana
e subalpina dei
substrati silicatici
suoli mesici
Pecceta
altimontana
e subalpina dei
substrati silicatici
suoli xerici
Pecceta montana
dei substrati
silicatici suoli
mesici
Totale complessivo
Tampone
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Protettiva
Tampone
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Protettiva
Tampone
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Protettiva
Tampone
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Produttiva
Protettiva
Tampone
20,3
39,5
7,9
7,4
6,8
6,6
149,0
145,5
441,1
32,9
64,3
17,8
30,2
25,6
1,0
19,1
156,3
0,5
96,1
444,0
98,1
49,2
2972,3
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,7
11,3
13,4
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
560,6
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
6,5
189,8
418,5
68,8
3,9
4,1
42,4
18,8
1,6
0,4
5,4
0,0
73,6
201,2
64,5
6,8
1990,2
20,3
39,5
7,9
7,4
6,8
6,6
156,2
346,6
873,0
101,7
68,2
21,8
72,6
44,5
2,6
19,5
161,8
0,5
169,7
645,1
162,6
56,0
5523,1
Proposte operative per il miglioramento della rete stradale forestale
Lo studio dei tracciati è stato realizzato in un’ottica sovraccomunale, tenendo in considerazione le esigenze di
raccordo tra i settori forestali.
Le nuove proposte di viabilità sono direttamente collegate agli interventi di utilizzazione e di miglioramento
forestale, al miglioramento dell’accesso ai comprensori sciistici, nonché ad una razionalizzazione della viabilità
esistente.
In particolare (figura 5), tra la viabilità in progettazione, ci sono 3,5 km di strade della II classe d transitabilità,
rientranti nel territorio comunale di Temù, finalizzate al miglioramento del servizio agli impianti di risalita.
Ci sono inoltre in fase di progettazione 12,6 km di strade appartenenti alla III classe di transitabilità; di questi, 8.8 km
sono dislocati nel territorio del comune di Vezza d’Oglio e i restanti circa 4 km sono suddivisi tra i territori comunali
di Vione e Ponte di Legno.
La maggior parte di tali strade (quasi 9 km) sono di supporto a zone produttive, mentre i restanti 3.8 km interessano
invece zone boscate con prevalenti attività paesaggistica e naturalistica.
Sulla base della situazione attuale della viabilità e delle esigenze di servizio rilevate emerge da un lato l’esigenza di
adeguare l’attuale rete viabile riqualificando per il transito camionabile gli attuali percorsi, sia di strade che piste,
trattorabili. Ad eventuale complemento dell’opera di adeguamento potranno essere realizzate, soprattutto con
170
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
criteri di collegamento e razionalizzazione dell'attuale rete viabile, altre strade e piste, nelle zona non servite, per il
miglioramento delle attività selvicolturali, soprattutto nel territorio del comune di Ponte di Legno.
Figura 5 – Viabilità esistente e in progettazione in relazione alle funzioni prevalenti
Confini comunali
Strade in progettazione della III classe
Strade in progettazione della II classe
Viabilità esistente
I classe di transitabilità
II classe di transitabilità
III classe di transitabilità
IV classe di transitabilità
Funzioni prevalenti
Fruitiva
Naturalistica
Paesaggistica
Produttiva
Protettiva
Tampone
171
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
172
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
MODELLI GESTIONALI DELLE TIPOLOGIE FORESTALI (SCHEDE)
I Modelli di funzionamento. Nel PIF ALTO PARCO viene proposto il sistema di classificazione gestionale riportato in “I boschi delle Regioni
Alpine Italiane” (Roberto del Favero, 2004; CLEUP) che individua cinque modelli di funzionamento:
Modello A. Sistemi poco perturbati e caratterizzati da una specie leader.
Modello B. Sistemi poco perturbati caratterizzati dalla compartecipazione di due specie leader.
Modello C. Situazioni A+B caratterizzate da elementi di stress (condizioni morfologiche particolari, ambienti xerofili, condizionamenti esterni da
vento, neve, incendi e avverse condizioni fitosanitarie).
Modello D. Situazioni perturbate caratterizzate dall’affermarsi di una specie leader pioniera il cui ciclo precede un sistema di tipo A+B+C.
Modello E. Sistemi molto perturbati.
Gli indirizzi di gestione forestale. La gestione delle singole tipologie forestali deve essere effettuata nel rispetto delle disposizioni di indirizzo
riportate nel MODELLO DI GESTIONE FORESTALE proposto con il PIF (Vedi Parte 3). L’applicazione di tali disposizioni deve essere effettuata a
livello puntuale per ogni intervento avendo cura di modularne gli effetti in relazione alle specifiche tipologie rilavate:
Categoria
Querceti e
Carpineti
Tiologia forestale
Carpineto con ostria
Querceto primitivo di rovere su falda detritica
Querceto di roverella dei substrati carbonatici
Querceto di rovere dei substrati carbonatici dei suoli mesici
Cerreta
Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli xerici
Orno-Ostrieti
Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli mesici
Orno-Ostrieto primitivo di forra
Orno-Ostrieto primitivo di rupe
Orno-Ostrieto primitivo di falda detritica
Cerro – Faggio - Pino silvestre - Carpino bianco Tiglio
Orno-Ostrieto tipico
Castagneti
Boschi delle
latifoglie nobili
Corileti
Betuleti
Pinete
Faggete
Piceao-faggeti
Abieteti
Peccete
Varianti
Cerro
Castagno
Cerro – Castagno - Carpino bianco - Faggio
Castagno
Roverella - Alpina
Primitiva – Ostria – Betulla - Pino silvestre –
Castagno - Faggio
Tiglio - Faggio
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli xerici
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesoxerici
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici
Castagneto dei substrati silicatici dei suoli xerici
Castagneto dei substrati silicatici dei suoli mesoxerici
Castagneto dei substrati silicatici dei suoli mesici
Castagneto di falda detritica
Castagneto da frutto
Aceri-Frassineto tipico
Aceri-Frassiento con Ostria
Aceri-Frassineto con Faggio
Aceri-Frassineto con Ontano bianco
Aceri-Tiglieto
Corileti
Betuleto secondario
Betuleto primitivo
Pineta di pino silvestre primitiva di rupe
Pineta di pino silvestre primitiva di falda detritica
Pineta di pino silvestre dei substrati carbonatici
Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici submontana
Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici montana
Faggeta primitiva
Faggeta submontana dei substrati silicatici
Faggeta montana dei substrati carbonatici dei suoli xerici
Faggeta montana dei substrati carbonatici tipica
Faggeta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici
Faggeta altimontana dei substrati carbonatici
Faggeta altimontana dei substrati silicatici
Piceo-Faggeto dei substrati silicatici
Abieteto dei suoli mesici
Abieteto dei substrati silicatici tipico
Abieteto dei substrati carbonatici
Pecceta altimontana dei substrati carbonatici
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli xerici
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici
Pecceta secondaria
Pecceta di sostituzione
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli
xerici
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli
173
Tigli – Rovere - Larice
Mesoidrica – Tiglio - Larice
Rovere – Tiglio – Ontano nero – Carpino bianco
Tiglio
Abete rosso – Faggio - Altimontana
Castagno
Abete rosso
Abete rosso
Abete rosso – Larice - Subalpina
Suoli xerici - Abete bianco - Larice
Subalpina
Pino silvestre
Altimontana
Suoli acidi - Ostria
Codice
C-O
Q-fd
Qp-c
Q-c-m
Qc
Q-s-x
Q-s-m
O-O-f
O-O-r
O-O-fd
O-O-t
C-c-x
C-c-mx
C-c-m
C-s-x
C-s-mx
C-s-m
C-fd
C-frt
BLN
BLN
BLN
BLN
BLN
Ca
B-s
B-p
Ps-r
Ps-fd
Ps-c
Ps-s-sbm
Ps-s-mnt
F-p
F-s-sbm
F-c-mnt-x
F-c-mnt-t
F-s-mnt-m
F-c-atm
F-s-atm
P-F
Ab-s-m
Ab-s-t
Ab-c
P-c-amt
P-s-mnt-x
P-s-mnt-m
P-sc
P-st
P-s-ams-x
Pino cembro - Sfagni
P-s-ams-m
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Lariceti
Larici-cembreti
Alnete
Mughete
Robinieti
Formazioni
particolari
mesici
Pecceta azonale su alluvioni
Lariceto in successione con pecceta
Lariceto primitivo
Lariceto tipico
Lariceto in successione con abete bianco
Larici-Cembreto primitivo
Larici-Cembreto tipico
Larici-Cembreto con Abete rosso
Cembreta
Alneto di ontano verde
Alneto di ontano nero d’impluvio
Alneto di ontano bianco
Mugheta mesoterma
Mugheta microterma dei substrati carbonatici
Mugheta microterma dei substrati silicatici
Robinieto puro
Robinieto misto
Saliceto di ripa
Saliceto di greto (Sx-g)
Saliceto a Salix cinerea
Saliceto a Salix caprea
Formazioni di pioppo tremulo (Pp-t)
Formazioni di sorbo degli uccellatori (Sb)
Formazioni di maggiociondolo alpino (Mc)
Megaforbie – Sfagni - Montana
Ontano verde – Abete rosso - Mesalpica
Altimontana
Suoli decalcificati
Sfagni
P-al
L-P
L-p
L-t
L-Aa
L-Pc-p
L-Pc-t
L-Pc-P
Pc
Al-v
Al-g-i
Al-i
Pm-ms
Pm-mc-c
Pm-mc-s
R-p
R-m
Formazioni ripariali
Vedi “Formazioni caotiche”
Rispetto alla classificazione regionale si è deciso di adottare una forzatura tassonomica funzionale a classificare le situazioni “caotiche” che si osservano nei frequenti
25
casi di sovrapposizione tra diverse tipologie forestali :
la variabile gestionale rende infatti la classificazione tipologica molto complicata nelle situazioni di evidente disordine di trattamento e governo del bosco;
la ridotta dimensione di alcune tipologie richiede un dettaglio di scala troppo elevato rispetto alle necessità d’indagine (è stata adottata una segmentazione dei
poligoni in grado di monitorare situazioni omogenee di almeno 2.500 mq);
alcune microformazioni sono riconducibili a situazioni di soprassuoli pionieri difficilmente stabili nel lungo periodo (formazioni particolari di salicone, pioppo
tremolo, sorbo degli uccellatori e maggiociondolo).
Un ultimo cenno merita infine l’esclusione delle Categorie considerate di “impianti artificiali di conifere” che nel Parco si possono osservare numerosi e pressoché
ovunque. Questo tipo di soprassuoli potrebbe infatti avere un proprio inquadramento tipologico (Lariceti artificiali, Peccete artificiali, ecc.), ma trattandosi di superfici
poco estese e spesso in sovrapposizione con analoghe tipologie di origine “secondaria” (vedasi ad esempio peccete secondarie e peccete di sostituzione), si è deciso di
inserirle comunque nella categoria corrispondente più verosimile26.
QUERCETI E CARPINETI
Carpineto con ostria (C-O)
Querceto primitivo di rovere su falda detritica (Q-fd)
Querceto di roverella dei substrati carbonatici (Qp-c)
Querceti
Querceto di rovere dei substrati carbonatici dei suoli mesici (Q-c-m)
e
Cerreta (Qc)
Carpineti
Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli xerici (Q-s-x)
Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli mesici (Q-s-m)
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Cerro
Castagno
Cerro – Castagno - Carpino bianco - Faggio
Castagno
Roverella - Alpina
Primitiva – Ostria – Betulla - Pino silvestre –
Castagno - Faggio
Tiglio - Faggio
E
Carpineto con ostria
Querceti
Sono segnalate complessivamente 7 tipologie forestali suddivise tra 6 Querceti ed un Carpineto. Si tratta di superfici frammentarie la cui presenza quantitativa, benché
certamente maggiore rispetto a quella descritta in cartografia, è fortemente condizionata dalla sovrapposizione con altre categorie.
Indicazioni gestionali
Inquadramento
tipologico
Carpineti:
Dove le condizioni generali di versante favoriscono la presenza di Orno-ostrieti e Querceti si possono osservare boschi in cui si ha la contemporanea
partecipazione dei due carpini (Carpinus betulus e Ostrya carpinifolia), abitualmente accompagnati da altre latifoglie mesofile (ciliegio, acero di monte,
sorbo, rovere, cerro, ecc.). Nel parco i Carpineti rappresentano una vera e propria “formazione relitta” localizzata in microstazioni di grande pregio
forestale in Val delle Valli a Prestine. Si tratta di piccoli lembi di Carpineto con ostria (C-O) sia nella sua forma tipica che nella variante con Cerro.
Valorizzazione tipologica (contenimento dei soprassuoli di sovrapposizione) ed ecologico-paesaggistica (salvaguardia e tutela degli alberi migliori e di
quelli a portamento monumentale; deconiferamento e conversione in altofusto). La gestione ordinaria del soprassuolo è attuabile con forme di selvicoltura
non intensive (valorizzazione dei portaseme e riordino fisionomico-strutturale), accompagnata da diradamenti e cure colturali. Il carpino bianco è specie
obiettivo.
(…) Per quanto riguarda la gestione dei carpineti con ostria, si può segnalare che si tratta di formazioni caratterizzate da una buona stabilità poiché i due
carpini riescono a convivere senza che uno prenda decisamente il sopravvento sull'altro. La ceduazione cui sono stati, e lo sono talvolta ancora, sottoposti
determina al momento del taglio e nei successivi 3-4 anni condizioni di maggiore aridità edafica che alla lunga possono ridurre l'aliquota di presenza del
carpino bianco e delle entità più mesofile. (…)
25
Testo citato in corsivo: Roberto del Favero, 2002
Un’unica eccezione in tal senso potrebbe essere effettuata per un’esteso rimboschimento di Pino strobo in località La Croce in comune di Sonico. Il soprassuolo in questione si estende infatti
per oltre un ettaro in una situazione di difficile inquadramento tipologico che è stata inserita nelle tipologie di Formazione caotica montana e submontana.
26
174
Località
indice
Indicazioni
puntuali
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Carpineto con ostria (C-O). Interventi di riqualificazione coordinati e rientranti in programmi specifici di miglioramento a favore del carpino bianco.
Favorire la conversione per invecchiamento salvaguardando i soggetti migliori e avendo cura di mantenere buoni livelli di mescolanza (il deconiferamento
non deve riguardare i soggetti sani di larice e di abete con portamento maestoso; rilascio anche a cespi). Valorizzazione della variante.
(…) Le conversioni alla fustaia possono essere realizzate con il semplice invecchiamento o con una matricinatura particolarmente intensa (al momento del
taglio d'avviamento all'altofusto rilasciare almeno 1200-1400 soggetti per ettaro). (…)
Nel Parco sono rilevabili esclusivamente in Val delle Valli in comune di Prestine (lungo la strada che da Prestine raggiunge località Belvedere).
Composizione
Carpinus betulus 5, Prunus avium 2, Ostrya
carpinifolia 2, Quercus cerris 1 (var.)
Carpineto con ostria
Alterazioni antropiche e dinamica
Le due specie principali (carpino nero e carpino bianco)
raramente competono collocandosi in microambienti
diversi (dossi o impluvi);
carpino nero che è invece sfavorito se si adottano turni
lunghi; tagli intensivi favoriscono la sovrapposizione con
il castagneto
Gestione ed emergenze
Valorizzazione tipologica e deconiferamento e
conversione in altofusto delle aree più danneggiate del
ceduo di castagno (favorita anche dall'abbandono della
gestione ordinaria o dall'applicazione di turni più
lunghi);divieto di utilizzazione del carpino bianco
Inquadramento tipologico
Querceti:
I Querceti sono soprassuoli caratteristici di “esposizioni calde” di medio bassa quota. Nel parco sono certamente diffusi ma sempre in maniera puntiforme
(mosaici vegetazionali).
(…) Accanto a querceti di rovere veri e propri si hanno altre formazioni solo potenzialmente ad essi riconducibili e dove, talvolta, la stessa rovere può anche
mancare.
La categoria dei querceti è sempre molto articolata. In essa, infatti, si sono considerati sia i veri e propri querceti, vale a dire le formazioni in cui le querce
sono dominanti, e sia quelle formazioni in cui le querce dovrebbero potenzialmente essere le specie principali, ma non lo sono ancora a causa o
dell'eccessivo sfruttamento avvenuto in passato, che ha favorito le altre specie più rustiche, o per la "lentezza" con cui esse ricolonizzano le aree
abbandonate dall'agricoltura. (…)
Certamente la tipologia più rappresentata è il Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli xerici (Q-s-x), sia nella sua forma tipica che nelle sue
varianti Primitiva, con Ostria, con Betulla, con Pino silvestre, con Castagno e con Faggio. A questa tipologia si affiancano in maniera del tutto circoscritta e
localizzata altre tipologie tra cui soprattutto il Querceto primitivo di rovere su falda detritica (Q-fd)27, il Querceto di roverella dei substrati carbonatici
(Qp-c; nella sua forma tipica e nelle varianti con Cerro, Castagno, Carpino bianco e Faggio), il Querceto di rovere dei substrati carbonatici dei suoli mesici
(Q-c-m; nella sua forma tipica e nella variante con Castagno) e il Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli mesici (Q-s-m; nella sua forma tipica e
nelle varianti con Tigli e Faggio). Sono altresì segnalate le Cerrete (Qc; nella forma tipica con variante a Roverella e Alpina).
Indicazioni
puntuali
(…) Per quanto attiene le formazioni di roverella, la conversione alla fustaia, per soli motivi estetici e di maggiore fruibilità, è possibile a condizione che siano
presenti alcuni presupposti (ossatura), mentre l'abbandono all'evoluzione naturale non comporta pericoli di regressioni o gravi problemi di stabilità ecologica
o meccanica dei soprassuoli. La conversione all'altofusto può avvenire attraverso una matricinatura intensiva, eseguendo un diradamento basso e rilasciando
al momento del primo intervento da 800 a 1000 allievi per ettaro, al fine di limitare il riscoppio delle ceppaie. Il taglio di avviamento all'altofusto non dovrà
comunque essere eseguito in assenza di un'ossatura della futura fustaia, vale a dire là dove gli allievi da rilasciare non abbiano mediamente raggiunto 10-12
cm di diametro e 12-15 m di altezza.
Per quanto attiene ai querceti di rovere, siano essi su substrati carbonatici o su substrati silicatici, è da ricordare che si tratta o di formazioni primitive da
lasciare alla libera evoluzione o di neoformazioni non ancora stabilizzate, o ancora, di frammentari cespi non ordinariamente gestiti. La costante presenza
della rinnovazione delle varie specie che partecipano caso per caso ai consorzi e, in particolare, di quella affermata di rovere, fanno ben sperare sulla
possibilità di un futuro miglioramento dello stato di questi soprassuoli, per lo meno a livello strutturale, a condizione che la ormai abbandonata ceduazione
non sia ripresa. Quest'ultima pratica, infatti, potrebbe ridurre drasticamente l'aliquota di presenza della rovere per carenze nella "rimonta" da seme
soprattutto in presenza della robinia o del castagno.
Le attuali cerrete lombarde non sono comunque solitamente ordinariamente gestite. Affianco ad alcuni soprassuoli governati a ceduo, ve ne sono altri
abbandonati ed invecchiati o anche fustaie che non seguono un'ordinata programmazione degli interventi. Entrambe le forme di governo sono comunque
possibili. Il cerro ha, infatti, una buona facoltà pollonifera che però va diminuendo con l'avanzare dell'età dei polloni (quando hanno superato i 40 anni o i 15
cm di diametro), condizione che sconsiglia il ripristino della ceduazione nei soprassuoli da troppo tempo abbandonati.
La conversione alla fustaia non presenta particolari difficoltà, se condotta attraverso una matricinatura intensiva, in cui il taglio d'avviamento sia fatto
quando siano trascorsi un numero di anni almeno pari a 1,25-1,5 (anche 2) volte il turno del ceduo, eliminando il piano dominato e rilasciando 1-2 polloni per
ogni ceppaia. (…)
Libera evoluziona naturale se non interessata da interventi di valorizzazione tipologica dei tipi e delle varianti. Tutela delle specie accessorie (Sorbus aria,
Prunus avium, Acer campestre e Crataegus monogyna).
Località
indice
Indicazioni gestionali
Le difficoltà di rinnovazione del genere Quercus, unitamente alla regressione dei Querceti a favore di altre categorie forestali (Castagneti, Orno-Ostrieti e
Robinieti), impongono forme di gestione che ne favoriscano il recupero e la valorizzazione tipologica (Quercus cerris-petrae-pubescens, sono specie specie
obiettivo). Le linee di indirizzo gestionali dei querceti valgono anche nei casi di “querceto potenziale” (percentuali di querce molto basse se non ridotte ai
minimi termini).
I querceti più interessanti del Parco sono osservabili in località Sarét a Ceto, in località Val delle Valli a Prestine e sulle rupi di Forno d’Allione a Berzo Demo.
27
Tipologia potenziale in sovrapposizione con i Castagneti di Falda detritica (località Pedemonte a Sonico e località Deria a Paspardo).
175
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Querceto primitivo di rovere su falda detritica
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile, limitata nell'evoluzione da condizionamenti
edafici. Variamente sovrapposta ai castagneti
Composizione
Quercus petraea 4
Composizione
Quercus pubescens 3, Quercus petraea 2,
Ostrya carpinifolia 2, Fraxinus ornus 2,
Carpinus betulus + (var.), Castanea sativa 2
(var.), Erica arborea 1 (var.), Fagus
sylvatica 2 (var.), Quercus cerris 1 (var.)
Composizione
Quercus petraea 4, Quercus pubescens 3,
Carpinus betulus 2, Fraxinus ornus 2,
Quercus cerris 2, Castanea sativa 1 (var.)
Composizione
Quercus petraea 3, Quercus pubescens 3,
Fraxinus ornus 2, Robinia pseudacacia 2,
Betula pendula 1 (var.), Castanea sativa 2
(var.), Celtis australis 5 (var.), Erica arborea
1 (var.), Fagus sylvatica 2 (var.), Ostrya
carpinifolia 2 (var.), Pinus sylvestris 2 (var.),
Populus tremula 2 (var.)
Composizione
Quercus petraea 3, Castanea sativa 3,
Corylus avellana 3, Betula pendula 2,
Fraxinus excelsior 2, Acer pseudoplatanus
2, Fagus sylvatica 2 (var.), Tilia cordata 3
(var.), Tilia platyphyllos 3 (var.)
Querceto di roverella dei substrati carbonatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; nel lungo periodo è possibile una maggiore
presenza della roverella; spesso molto disordinati a
causa di incendi e rimboschimenti di pino
Gestione ed emergenze
Cs
Querceto di rovere dei substrati carbonatici dei suoli mesici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Ridotta in piccoli lembi o sostituita dalle colture agrarie
Formazione potenzialmente dotata di pregio
e del castagno; frequenti contaminazioni di robinia
tipologico-vegetazionale che può essere recuperata o
valorizzata con specifici interventi di cura
Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli xerici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Utilizzazione intensiva in passato e sovrapposizione con
Pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è
i terrazzamenti agrari
favorita dal mantenimento di un'ordinaria gestione
selvicolturale non intensiva; interventi i contenimento
della sovrapposizione con il castagneto (attuabile
previa conversione in altofusto del ceduo invecchiato)
Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli mesici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Profondamente alterata per ceduazione intensiva;
Cs
variamente sovrapposta con il castagneti
ORNO-OSTRIETI
Orno-ostrieti
Gestione ed emergenze
Formazione con elevato valore pirologico; sono
consigliati interventi colturali di prevenzione dagli
incendi boschivi; da lasciare alla libera evoluzione
naturale; tagli di contenimento della sovrapposizione
con il castagneto (attuabile previa conversione in
altofusto del ceduo invecchiato)
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Orno-Ostrieto primitivo di forra (O-O-f)
Orno-Ostrieto primitivo di rupe (O-O-r)
Orno-Ostrieto primitivo di falda detritica (O-O-fd)
Orno-Ostrieto tipico (O-O–t)
A-B-C-D-E
Orno-Ostrieti primitivi
Cerro – Faggio - Pino silvestre - Carpino
bianco - Tiglio
Orno-Ostrieto tipico
Sono segnalati tutti i 5 tipi di Orno-Ostrieto rilevabili in Lombardia, suddivisi nei sottotipi “primitivi” e “tipico” con caratteri distintivi esclusivamente orografici.
Indicazioni gestionali
Inquadramento tipologico
Nel territorio del parco si possono rilevare diffusamente l’Orno-ostrieto primitivo di forra (O-O-f) e l’Orno-ostrieto primitivo di rupe (O-O-r); raro e
frammentario è invece l’Orno-ostrieto primitivo di falda detritica (O-O-fd).
(…) In Lombardia, sotto il profilo floristico-ecologico si distinguono due principali gruppi di orno-ostrieti: uno rappresenta una fase di degradazione dei
boschi mesofili inquadrabili nei Fagetalia, l'altro mostra uno spiccato carattere termo-xerofilo ed è legato allo sfruttamento dei querceti del Quercion
pubescentis.
Formazioni tipiche dei medio-basso versanti, a quote variabili dai 300 ai 1000 m, o di ambienti di forra, rupe o falda detritica. Sono proprio queste ultime
forme che caratterizzano gli orno-ostrieti primitivi che, appunto, in relazione alla loro posizione assumono questa specifica denominazione. Si ha così l’Ornoostrieto primitivo di forra, che si incontra nella parte orientale della Regione, lungo le forre di alcuni fiumi. In questi ambienti il carpino nero si può
mantenere grazie all’elevata umidità atmosferica e all’alternanza di zone sottoposte a continuo stillicidio con altre più aride dove prevalgono entità di
pinete. (…)
Molto diffusi sono inoltre i soprassuoli dell’Orno-ostrieto tipico (O-O–t) sia nella sua forma tipica che nelle sue varianti con Cerro, con Faggio, con Pino
silvestre, con Tigli e con Carpino bianco. Si tratta di soprassuoli frugali tradizionalmente a gestione più o meno intensiva per la produzione di legna da
ardere (boschi cedui).
Nelle forme primitive è da prevedersi la salvaguardia e tutela (laddove non siano già lasciati alla libera evoluzione naturale per condizionamento
orografico). Nel caso invece della forma tipica la gestione può rientrare nelle classiche forme di utilizzazione e gestione del ceduo (valorizzazione delle
varianti e valorizzazione delle specie accessorie).
(…) L'orno-ostrieto nella sua espressione più tipica, ma anche nella maggior parte delle sue varianti ad eccezione di quelle rupestri o delle neoformazioni, è
da sempre stato governato a ceduo per la produzione di legna da ardere. Sottoposto a tale forma di governo, esso non presenta problemi di conservazione
o di regressione, data l'elevata facoltà pollonifera di cui sono dotate le specie che lo compongono. Certamente la ceduazione può determinare una
semplificazione della composizione perché, dopo ogni intervento, risulteranno favorite le specie dotate di maggiore rusticità (castagno, orniello e carpino
nero), mentre la sospensione delle utilizzazioni favorirà l'ingresso nel consorzio di altre specie.
Sono abbastanza frequenti le situazioni d'abbandono colturale, soprattutto in ambienti in passato pesantemente utilizzati con turni del ceduo molto brevi
(7-8 anni). Si tratta di situazioni in cui l'abbandono deve essere visto positivamente, come momento di "recupero" da un eccessivo sfruttamento, peraltro in
ambienti già di per sé difficili per la vita delle piante. In tal senso è anche consigliabile lasciare alla libera evoluzione le situazioni più primitive. (…)
176
Località
indice
Indicazioni puntuali
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Orno-ostrieto primitivo di forra (O-O–f), Orno-ostrieto primitivo di rupe (O-O–r) e Orno-ostrieto primitivo di falda detritica (O-O–fd). Libera evoluzione
naturale.
Orno-ostrieto tipico (O-O–t). Ceduazione (non intensiva) e valorizzazione compositiva (rilascio dei soggetti migliori di carpino nero; l’orniello mal sopporta
l’isolamento successivo al taglio e pertanto andrebbe rilasciato a gruppi o in una logica di continuità di copertura). Qualora non sussistano situazioni evidenti
di abbandono e degrado, può essere comunque gestito per fini prevalentemente produttivi, purché siano considerati con attenzione fattori tecnici quali la
salvaguardia delle specie accessorie (Quercus sp., Sorbus aria, Prunus avium, Acer campestre e Laburnum anagyroides) e il controllo della pirosuscettività.
Forra delle torrente Re a Cimbergo e Paspardo; località Solivi a Ceto.
Orno-ostrieto primitivo di forra
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; stadio durevole per condizionamento edafico
Composizione
Ostrya carpinifolia 3
Composizione
Ostrya carpinifolia 3, Fraxinus ornus 2,
Quercus pubescens 2
Composizione
Ostrya carpinifolia 3, Fraxinus ornus 2,
Quercus pubescens 2
Composizione
Ostrya carpinifolia 4, Corylus avellana 3,
Fraxinus excelsior 2, Fraxinus ornus 2,
Quercus pubescens 2, Carpinus betulus 1
(var.), Fagus sylvatica 2 (var.), Pinus
sylvestris 2 (var.), Quercus cerris 2 (var.),
Tilia cordata 2 (var.), Tilia platyphyllos 2
(var.)
Orno-ostrieto primitivo di rupe
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; stadio durevole per condizionamento edafico
Gestione ed emergenze
Lasciata all’evoluzione naturale per limiti stazionali;
formazione con elevato valore pirologico
Orno-ostrieto primitivo di falda detritica
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; stadio durevole per condizionamento edafico
Gestione ed emergenze
Non ordinariamente gestita; formazione con elevato
valore pirologico
Orno-ostrieto tipico
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; stadio durevole per condizionamenti edafici
anche se la sospensione della ceduazione facilita
l’arricchimento con altre specie
CASTAGNETI
Castagneti
Gestione ed emergenze
Lasciata all’evoluzione naturale per limiti stazionali;
nessuna emergenza significativa; di un certo pregio la
presenza di esemplari di tasso
Gestione ed emergenze
Ordinariamente governata a ceduo; formazione con
elevato valore pirologico; sono consigliati interventi
colturali di prevenzione dagli incendi boschivi; var. con
cerro, tiglio e carpino bianco: pregio tipologicovegetazionale; la conservazione è favorita dal
mantenimento di un'ordinaria gestione selvicolturale
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli xerici (C-c-x)
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesoxerici (C-c-mx)
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici (C-c-m)
Castagneto dei substrati silicatici dei suoli xerici (C-s-x)
Castagneto dei substrati silicatici dei suoli mesoxerici (C-s-mx)
Castagneto dei substrati silicatici dei suoli mesici (C-s-m)
Castagneto di falda detritica (C-fd)
Castagneto da frutto (C-frt)
A-B-C-D-E
Castagneti dei suoli carbonatici
Tiglio – Rovere - Larice
Mesoidrica – Tiglio Larice
Castagneti dei suoli silicatici
Castagneto di falda detritica
Castagneto da frutto
L’inquadramento tipologico del castagno presenta non poche difficoltà:
(…) Se è innegabile che l'attuale ampia diffusione del castagno sia soprattutto legata all'azione dell'uomo, vi è d'altra parte ancora da chiarire il suo indigenato in
Lombardia. In Valtellina è certamente una coltura molto vecchia, occupando l'area d'altre latifoglie e soprattutto dei querceti (HOFMANN, 1965; CREDARO e PIROLA, 1975).
In altre zone i castagneti sono stati introdotti e favoriti in aree potenziali dei querco-carpineti, degli aceri-frassineti, dei querceti e talora addirittura degli orno-ostrieti.
Si tratta quindi di formazioni di "sovrapposizione" che, dal punto di vista dell'inquadramento tipologico, dovrebbero essere descritte come castagneti su altre unità. Dal
momento però che costituiscono da secoli elemento caratteristico del paesaggio forestale, non solo della Lombardia, si è ritenuto opportuno inquadrarli
tipologicamente al pari delle formazioni naturali. (…)
Quanto appena citato è rappresentativo anche della situazione generale del Parco dell’Adamello dove i castagneti sono senz’ombra di dubbio la categoria di latifoglie
dominante. La loro analisi cartografica ha rivelato appieno le problematiche di cui si è appena accennato trovando non poche ed ulteriori difficoltà in quelle situazioni
diffuse di evidente disordine gestionale. In questi casi infatti si sono spesso generate situazioni “caotiche” che hanno reso estremamente difficoltosa la classificazione
tipologica dei soprassuoli sia nei tipi di Castagneto che in qualsiasi altra categoria. Per tali motivi si è deciso di classificare come Castagneti solo i soprassuoli le cui
caratteristiche fisionomico-strutturali siano tipiche di tale categoria. In tutti gli altri casi si è invece deciso di adottare una classificazione tipologia, non codificata in
quella regionale, racchiusa nell’acronimo Formazioni caotiche (cfr. con le pagine seguenti).
177
Inquadramento tipologico
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
I Castagneti sono ampiamente diffusi su tutti i versanti montani e submontani del parco dove, sia per le caratteristiche fisiologiche proprie del castagno
(grande capacità di rinnovazione e spiccata mesofilia), sia per l’azione dell’uomo che ne ha favorito la diffusione per l’ottenimento del frutto e del legname,
si sovrappongono in maniera sostanziale ad altri soprassuoli.
(…) un albero fondamentale per la vita di molte popolazioni rurali che ne ricavavano paleria per l’azienda agricola, lettiera per il bestiame, legname da
lavoro e strutturale e soprattutto, la castagna, alimento che non mancava mai nella dieta popolare, almeno fino agli anni trenta del ventesimo secolo e
durante l’ultima guerra mondiale (…)
La tipologia dominante è senza dubbio il Castagneto dei substrati silicatici dei suoli mesici (C-s-m), sia nella sua forma tipica che nelle sue varianti
Mesoidrica, con Tigli e con Larice; nelle situazioni più calde questa tipologia si compenetra con le equivalenti Castagneto dei substrati silicatici dei suoli
xerici (C-s-x) e Castagneto dei substrati silicatici dei suoli mesoxerici (C-s-xm; sia nella sua forma tipica che nelle varianti con Tigli, Rovere e Larice). Altre
tipologie certamente rilevabili sono le equivalenti dei substrati carbonatici Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici (C-c-m), Castagneto dei
substrati carbonatici dei suoli xerici (C-c-x) e Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesoxerici (C-c-xm). È inoltre rilevabile anche la tipologia del
Castagneto di falda detritica (C-fd) che colonizza i margini di depositi morenici di medio basso versante in fase di più o meno avanzata stabilizzazione
(mosaici vegetazionali anche molto frastagliati e disordinati).
In tutto il territorio del parco si osservano infine numerosi Castagneti da frutto sia di proprietà privata, sia di proprietà pubblica (Jus plantandi)28.
28
Nella stragrande maggioranza dei casi, i Castagneti da frutto di proprietà pubblica, sono gravati da diritto di uso civico di Jus plantandi. Recentemente il Parco dell’Adamello ha attivato un
consistente programma di recupero e valorizzazione di questi soprassuoli che presentano caratteristiche uniche nel paesaggio forestale alpino.
178
Indicazioni gestionali
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Vengono distinti quattro casi principali:
1. Gestione di castagneti abbandonati. La stragrande maggioranza dei castagneti del Parco è caratterizzata da evidenti segnali di abbandono e regressione
fisionomico-strutturale (cedui invecchiati). In questi casi il castagno è comunque la specie dominante ma la compartecipazione di altre specie assume
rilevanti significati. Per questo tipo di soprassuoli non vale l’applicazione “tout court” dei metodi di cui al punto successivo, ma sono richieste
valutazioni puntuali che possiamo semplicemente standardizzare nelle seguenti linee di indirizzo:
- evitare per quanto possibile il taglio delle latifoglie diverse dal castagno;
- qualora le diverse ipotesi gestionali suggeriscano la non sostenibilità del governo a ceduo, favorire l’avviamento verso le forme dell’altofusto
procedendo non tanto nell’ottica del rilascio intensivo (comunque concentrato sui soggetti nati da seme), ma secondo gli schemi dei diradamenti
misti (i rilasci devono fornire buone garanzie di stabilità e pertanto è consigliabile agire mantendo buone densità e adottando il criterio del rilascio
per gruppi);
- evitare di isolare eccessivamente rilasci adulti che potrebbero reagire con il massivo riscoppio di rami epicormici e il progressivo indebolimento nei
confronti del vento e del gelo;
- alle quote inferiori favorire il deconiferamento dei pini esotici e dell’abete rosso; il taglio del larice è ugualmente consigliato ma non assume gli stessi
valori d’urgenza delle altre conifere (il larice è una buona riserva di legname, ha grosse capacità idrogeologiche e può costituire un prezioso volano di
stabilità per il soprassuolo di latifoglie);
- evitare di effettuare la ceduazione degli alberi di castagno nati da seme e favorire l’invecchiamento delle singole ceppaie (rilascio di 3-4 polloni scelti
29
tra quelli più grossi e stabili) .
2. Gestione ordinaria di castagneti in attualità di produzione. Da attuarsi secondo le regole classiche della selvicoltura, evitando in ogni caso di intervenire
in maniera occasionale e sbrigativa.
(…) Il castagno è una specie dotata di una fortissima capacità pollonifera caulinare, mentre è assente quella radicale. I forti accrescimenti giovanili e la
facilità della rinnovazione agamica hanno portato nei secoli a privilegiare il governo a ceduo.
Il governo a ceduo del castagneto è fra i più semplici. Nella tradizione, infatti, il trattamento consiste in un taglio a raso con o senza rilascio di matricine.
I polloni che raggiungono la maturità sono generalmente coetanei, mentre le ceppaie sono disetanee; la loro continua morte, infatti, crea spazi liberi
che, al momento del taglio del ceduo, sono occupati da nuove ceppaie. La mortalità delle ceppaie non sarebbe però dovuta tanto all'invecchiamento,
quanto alla competizione. Con il taglio del ceduo, infatti, anche l'apparato radicale si rinnova, ricostruendosi in 4-5 anni (AYMARD e FREDON, 1986).
Per avere buoni risultati produttivi sarebbe opportuno che il numero delle ceppaie per ettaro fosse compreso tra 400 e 600-800. Con valori inferiori a 400
si hanno molti spazi liberi dopo il taglio che vengono occupati dalla rinnovazione da seme del castagno e di altre specie. Valori superiori a 800
comportano, invece, una forte competizione e, di conseguenza, un'altrettanta forte mortalità. Queste considerazioni sono da tener presenti quando si
stabilisce il turno del ceduo: infatti, quanto più è lungo, tanto più forte è la competizione tra ceppaie vicine.
In tutti i casi, nel ceduo di castagno si applica solitamente un turno tecnico da fissare in relazione al tipo d'assortimento desiderato.
Le matricine, se di specie diverse dal castagno, possono comunque essere utili per conservare le minoranze specifiche entro il monotono castagneto
(aumento della biodiversità inter specifica) e assieme con quelle di castagno, se lasciate crescere in numero opportuno, possono favorire la vita di alcune
importanti specie ornitiche (DEL FAVERO, 2001).
In ogni caso, il rilascio delle matricine deve essere contenuto (non più di 100 per ettaro), per non deprimere eccessivamente la già povera produzione del
ceduo. Nel caso s'adottino turni superiori ai 20 anni, sarebbe opportuno intervenire con sfolli e diradamenti per mantenere massimo e costante
l'incremento, al fine di ridurre al minimo il turno e con esso il rischio di cipollatura. Ad esempio, data l'elevata mortalità iniziale dei polloni, si può
eseguire un primo sfollo a circa 5-6 anni dal taglio, rilasciando i soggetti migliori e portando il numero di polloni ad un valore circa doppio (20003000/ha) di quello definitivo (1500-2000/ha) che sarà raggiunto dopo un successivo diradamento, da fare verso i 14-16 anni. Un caso assai frequente è
costituito, invece, dalla volontà o dalla necessità d'intervenire con diradamenti in soprassuoli con più di 20 anni d'età. In queste circostanze l'intervento è
decisamente sconsigliabile perché i polloni, soprattutto se cresciuti senza cure, non reagiscono al taglio (OTT e altri, 2000), aumenta il rischio di
cipollatura e vi è spesso una forte emissione di rami epicormici, il che costituisce un danno tecnologico. Conviene piuttosto procedere con la ceduazione e
avviare una gestione produttiva con la nuova generazione di polloni.
Nel caso si voglia produrre assortimenti di grandi dimensioni (diametro maggiore di 40 cm) con turni più lunghi (40-50 anni), BOURGEOIS (1992)
consiglia di operare una serie di due-tre diradamenti con criteri selettivi, da concentrarsi nei primi 25 anni. Il modulo colturale consiste nel considerare il
ceduo alla stregua di una fustaia, scegliendo 100-150 candidati all'ettaro, concentrando su di essi gli interventi liberandoli gradatamente dalla
competizione degli altri polloni e lasciando il resto del popolamento alla libera evoluzione.
Per quanto concerne le conversioni, data la capacità pollonifera praticamente illimitata delle ceppaie di castagno, è molto difficile se non impossibile
realizzare il cambiamento della forma di governo senza modificare anche la composizione del bosco. Un taglio d'avviamento all'alto fusto con
matricinatura intensiva, la tecnica di conversione oggi più frequente, porterà comunque, al momento del taglio finale di sementazione, ad una nuova
generazione a prevalenza di soggetti d'origine agamica, soprattutto se la densità delle ceppaie è superiore a 500-600 ad ettaro, essendo pochissimo lo
spazio a disposizione per l'eventuale rinnovazione da seme. (…)
3. Gestione di castagneti da frutto gravati da Jus plantandi. Favorire le cure colturali non intensive e la valorizzazione paesaggistica delle situazioni più
degradate. Non isolare eccessivamente gli alberi più vecchi ed evitare di proporre interventi di recupero della produzione non valutati con la dovuta
attenzione (si tratta di castagneti plurisecolari, ormai esausti, il cui valore paesaggistico assume rilevanza dominante rispetto ad ogni altra ipotesi
gestionale).
4. Gestione ordinaria di castagneti da frutto privati in attualità di coltura. Favorire la presenza dei castagni da frutto eliminando il soprassuolo accessorio
che possa costituire ostacolo alla libera attività fisiologica dei singoli alberi da frutto (eliminare le spcie concorrenti). In alcuni casi si consiglia di lasciare
comunque specie come la betulla e il ciliegio, o specie arbustive come il sambuco e il ginepro che, oltre a non porsi mai in fase antagonista del castagno,
accrescono il valore paesaggistico del castagneto.
29
Una situazione molto diffusa ma assolutamente sconsigliata, riguarda il rilascio di un solo pollone su singole ceppaie; tale situazione, che in genere ha come unica funzione quella di raggiungere
il numero minimo di rilasci previsti a norma di regolamento, allontana il soprassuolo dalle migliori condizioni produttive (regressione fisiologica) ed altresì non produce alcun beneficio di sorta.
179
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
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Castagneto di falda detritica (C-fd). Da lasciare alla libera evoluzione naturale. Nel caso di sovrapposizione con aree di Querceto o Orno-Ostrieto favorire le
specie accessorie. Interventi di tutela e valorizzazione. Evitare la ceduazione. Deconiferamento. Valore ecologico.
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici (C-c-m). Deconifermento.
Indicazioni puntuali
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli xerici (C-c-x). Tendenzialmente da lasciare alla libera evoluzione naturale. Deconiferamento. Intereventi di
riequilibrio a favore delle specie antagoniste (carpino nero, querce, ecc.).
Castagneti dei substrati silicatici (C-s-m; C-s-xm; C-s-x). I castagneti dei substrati silicatici sono gestiti per fini pressoché esclusivamente produttivi; il castagno
infatti ben si presta alla produzione di paleria e di legna da ardere. La sua capacità pollonifera praticamente perenne, ne favorisce il governo a ceduo rispetto
alla fustaia; tale peculiarità tuttavia, che dovrebbe costituire un elemento gestionale di riferimento certo, viene spesso trascurata a favore di forme
occasionali ed intensive di utilizzo che si traducono quasi sempre nel degrado generalizzato dei soprassuoli. Nel medio periodo occorre prevedere una
gestione capillare di queste situazioni programmando le necessarie cure colturali; sono in ogni caso sconsigliate forme gestionali di utilizzazione intensiva30.
(…) Nel caso si adottino turni superiori ai 20 anni, sarebbe opportuno intervenire con sfolli e diradamenti per mantenere massimo e costante l’incremento.
Data l’elevata mortalità iniziale dei polloni, si può eseguire un primo sfollo a circa 5-6 anni dal taglio, rilasciando i soggetti migliori e portando il numero dei
polloni ad un valore circa doppio (2000-3000/ha) di quello definitivo (1500-2000/ha) che sarà raggiunto dopo un successivo diradamento, dopo circa 14-16
anni. Zagas ha ottenuto i migliori risultati in termini di risposta incrementale e di conservazione della vitalità adottando un intervento di selezione positiva di
forte intensità (30%) da compiersi verso il tredicesimo anno dopo il taglio. (…)
Località
indice
Castagneti da frutto (C-frt). Grande valore paesaggistico e storico-culturale; evitare il taglio delle latifoglie non antagoniste del castagno (querce, betulla,
31
ciliegio, pioppo tremolo, ecc.); favorire il deconiferamento .
ns
Composizione
Castanea sativa 3, Quercus petraea 3,
Corylus avellana 2, Pinus sylvestris 2
Composizione
Castanea sativa 5, Quercus petraea 2,
Carpinus betulus 2, Corylus avellana 2,
Robinia
pseudacacia
2,
Acer
pseudoplatanus 2, Fagus sylvatica 2,
Fraxinus excelsior 2, Ostrya carpinifolia 2,
Ilex aquifolium 1 (var.)
Composizione
ns
Composizione
ns
Composizione
Castanea sativa 5, Acer pseudoplatanus 2,
Corylus avellana 2, Fagus sylvatica 2,
Fraxinus excelsior 2, Prunus avium 2,
Quercus cerris 2, Robinia pseudacacia 2,
Alnus glutinosa 2 (var.), Carpinus betulus 2
(var.), Tilia cordata 2 (var.), Tilia
platyphyllos 2 (var.), Larix decidua 1 (var.)
Castagneto di falda detritica
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Stabile; lenta evoluzione verso varianti primitive del
Formazione con elevato valore pirologico; evitare la
querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli xerici;
ceduazione
non ordinariamente gestita
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli mesici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Introduzione di robinia e di altre specie esotiche; tagli
Ordinariamente governata a ceduo; conversione in
irrazionali; soprattutto a causa delle fitopatie che
altofusto
riducono progressivamente la copertura, si ha una
rapida evoluzione verso formazioni ricche in acero e
frassino o, più raramente, rovere
Castagneto dei substrati carbonatici dei suoli xerici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
ns
Evitare la ceduazione
Castagneti dei substrati silicatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
ns
Evitare la ceduazione
Castagneti dei substrati silicatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Tagli intensivi favoriscono una lunga fase di rovo
Ordinariamente governata a ceduo; conversione dei
cedui invecchiati oltre i 40 anni e di quelli in visibile
disordine fisionomico-strutturale; evitare il taglio delle
specie diverse dal castagno; deconiferamento
ACERI-FRASSINETI E ACERI-TIGLIETI (BLN)
Aceri-Frassineto tipico (Ap-Fe-t)
Aceri-Frassiento con Ostria (Ap-Fe-O)
Aceri-frassineto
Aceri-Frassineto con Faggio (Ap-Fe-F)
Aceri-Frassineto con Ontano bianco (Ap-Fe-Ai)
Aceri-tiglieti
Aceri-Tiglieto (Ap-Tc)
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Rovere – Tiglio – Ontano nero – Carpino bianco
Tiglio
B-C-D-E
Boschi delle latifoglie nobili (BLN)
Sono segnalati pressoché tutti i tipi di Aceri-Frassineti e Aceri-Tiglieti presenti in Lombardia ma per semplificarne la “lettura” cartografica, si è deciso di raggrupparli in
un’unica categori, identificabile nell’acronimo d’uso tradizionale Boschi delle latifoglie nobili (BLN).
(…) In linea generale, la distribuzione del frassino maggiore, dell'acero di monte e dei tigli (Tilia cordata e Tilia platyphyllos), considerate dalla letteratura forestale
come "latifoglie nobili", è determinata dalla presenza d'abbondanti precipitazioni (sopra i 1500 mm medi annui) e da una buona e continua disponibilità idrica al suolo.
Gli aceri-frassineti e gli aceri-tiglieti, consorzi diffusi in molte parti dell'Europa Centrale, solo recentemente stanno assumendo una notevole rilevanza territoriale anche
30
La pianificazione forestale attuale ancora non si esprime in maniera concreta sul tema della migliore possibilità di gestire il castagneto, tuttavia appare opportuna una significativa rivalutazione
di certi aspetti che li riguardano, soprattutto per quanto attiene la possibilità di individuare forme nuove di governo più vicine all’altofusto che al ceduo.
31
Alla luce delle esperienze maturate in questi ultimi anni, sembrerebbe auspicabile un significativo riordino degli usi consuetudinari quali lo Jus plantandi, anche finalizzato all’alienazione degli
stessi nelle aree in cui siano caduti in disuso o si renda necessaria una politica di maggiore tutela dei soprassuoli.
180
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
nel versante meridionale delle Alpi. Si tratta, infatti, di formazioni che si stanno diffondendo nei terreni agricoli abbandonati, grazie alla loro elevata capacità
colonizzatrice e alla presenza negli ex coltivi, magari terrazzati, di condizioni favorevoli alla loro vita (GHIDOTTI e PIUSSI, 2000). I luoghi preferenziali in cui si localizzano
gli aceri-frassineti e gli aceri-tiglieti sono:
i ripidi pendii o le forre, in esposizioni fresche, su terreni poveri in terra fine, ma ricchi in humus, derivati da sfaldamenti di rupi o da accumuli di detriti calcarei;
i depositi alluvionali, allo sbocco di valli laterali, in corrispondenza di profonde incisioni vallive, su suoli poveri in calcio, ma generalmente fertili;
la base di ripidi pendii, su suoli colluviali caratterizzati da un consistente accumulo di nutrienti e dove, specie all'inizio della ripresa vegetativa, vi è un'elevata
umidità atmosferica e un forte apporto di precipitazioni;
i margine dei ruscelli, su versanti poco acclivi, non inondati, ma dilavati e spesso ringiovaniti da deboli smottamenti.
(…)
Inquadramento tipologico
Formazioni di grande pregio forestale rilevabili in ambienti con buona disponibilità idrica. La loro diffusione risente in maniera sostanziale delle utilizzazioni
intensive che favoriscono specie più competitive quali il castagno e l’abete rosso. Tipicamente si possono osservare allo stadio di neoformazioni derivanti
da processi di ricolonizzazione di ambiti agricoli abbandonati (prati terrazzati).
(…) Si tratta in ogni modo di formazioni ancora "giovani", poco conosciute anche dal punto di vista selvicolturale, non essendo ancora maturata una
tradizione nella loro gestione. Certamente un limite alla diffusione del frassino si ha alle quote più elevate dove vi è un aumento della frequenza delle gelate
tardive, cui è particolarmente sensibile a livello della gemma apicale. In vicinanza di questo limite superiore si osservano, infatti, molti soggetti biforcati a
partire anche da pochi metri da terra. L'acero di monte può considerarsi invece più plastico rispetto al frassino maggiore dato che sopporta meglio sia gli
stress idrici che le gelate (BERNETTI, 1995). (…)
In tutto il territorio del parco sono ben rappresentati i tipi Aceri-frassineto tipico (Ap-Fe-t), Aceri-Frassineto con Ostria (Ap-Fe-O), Aceri-Frassineto con
faggio (Ap-Fe-F), Aceri-frassineto con Ontano bianco (Ap-Fe-Ai; fondovalle di Incudine, Vezza d’Oglio, Temù e Pontedilegno); in alcune zone sono inoltre
rilevabili lembi circoscritti di Aceri-tiglieto (Ap-Tc; variante con tigli dell’Ap-Fe-t) ma si tratta perlopiù di formazioni giovani i cui caratteri strutturali
principali risultano ancora condizionati dalla presenza del castagno (Gnecco, Sonico; Boà, Cimbergo; Val delle Valli, Prestine).
Indicazioni
gestionali
Valorizzazione tipologica (contenimento dei soprassuoli di sovrapposizione) ed ecologico-paesaggistica; acero e tiglio sono specie obiettivo; la gestione è
attuabile con forme di selvicoltura non intensiva (valorizzazione dei portaseme e riordino fisionomico-strutturale da attuarsi mediante diradamenti misti,
deconiferamento e conversione in altofusto delle porzioni a ceduo). Nella loro forma più evoluta possono essere gestiti anche a fini commerciali ma non
sembra tuttavia un’ipotesi verosimile nel contesto esaminato. In questi ultimi anni si è rilevato un sensibile deperimento del frassino che occorre
monitorare con le dovute attenzioni nel medio decennio.
Indicazioni puntuali
Aceri-frassineto tipico (Ap-Fe-t). Valorizzazione paesaggistica mediante “taglio a scelta” e “taglio di curazione”; rilascio dei migliori portaseme e delle
specie accessorie (rilascio degli più forti e non necessariamente dei più belli); deconiferamento con rilascio delle sole conifere più sane a carattere
monumentale e/o di buon portamento. Nel caso di finalità commerciali potranno invece essere adottati, con le dovute riserve tecniche, i dettami propri
della Selvicoltura d’educazione.
(…) Gli aceri-frassineti e, in parte, anche gli aceri-tiglieti, come si è più volte segnalato, sono spesso delle neoformazioni derivanti da processi di
ricolonizzazione di coltivi o prati abbandonati gradualmente nell'ultimo cinquantennio. I soprassuoli che si sono così formati non hanno ancora destato
particolari interessi selvicolturali, data anche la loro giovane età (ECCHER e PICCINI, 1985). In un prossimo futuro si porrà, quindi, il problema di una loro
gestione, considerando anche il fatto che si tratta di specie il cui legno è assai apprezzato dal mercato. Questa interessante possibilità è però fortemente
condizionata dalla presenza di soggetti di ottima qualità che si possono ottenere solo da alcuni degli aceri-frassineti lombardi e a condizione che, fin da ora,
si attuino in questi popolamenti interventi di cura e di selezione. DUFLOT (1995) ricorda, infatti, come vedremo meglio in seguito, che il mancato rendez-vous
fra il selvicoltore e il frassino o l'acero determina in queste specie un rapido declino che può concludersi in una sorta di suicidio. Dal punto di vista
selvicolturale gli aceri-frassineti pongono delle interessanti problematiche specifiche di queste formazioni. Infatti, vi è da un lato la possibilità e la
convenienza economica di attuare una coltura che consenta di allevare soggetti con buone caratteristiche tecnologiche e che risultino adatti ai vari impieghi
cui si presta il legno di questa specie (segagione, tranciatura, ecc.) e, dall'altro, vi è la necessità nella coltura di interventi intercalari frequenti, richiesti sia da
esigenze di selezione e sia dalla rapida crescita dei soggetti.Per la produzione di individui di buona qualità è oramai ovunque applicato il governo a fustaia. Il
ceduo composto, attuato in passato soprattutto in Francia, si è dimostrato poco adatto a questo scopo, poiché consente di allevare solo soggetti molto
ramosi, poco sviluppati in altezza e con anelli di spessore irregolare. Nel governo a fustaia è applicata la cosiddetta selvicoltura d'educazione (detta anche dei
tagli d'educazione o selvicoltura puntuale, secondo DUFLOT, 1995), d'impostazione svizzera, ma che, in linea generale, è seguita anche negli altri Paesi
centro-europei. (…)
Aceri-frassineto con Ontano bianco (Ap-Fe-Ai). Il grande valore ecotonale ne suggerisce la salvaguardia e valorizzazione tipologica, da attuarsi con forme di
utilizzazione non intensiva (prelievi per la messa in sicurezza di piante instabili e degli ontani deperenti; tagli di valorizzazione di alberi a miglior
portamento).
Aceri-tiglieto (variante con tiglio dell’Ap-Fe-t). Valorizzazione tipologia (taglio del castagno avendo cura di evitare di aprire troppo il soprassuolo perché si
favorirebbe il coniferamento o l’affermazione a bosco ceduo del castagno).
Località
indice
Prima di entrare nel dettaglio delle singole tipologie, occorre effettuare una doverosa precisazione: i Boschi delle latifoglie nobili presenti nel Parco sono pressoché
interamente dominati dalla presenza di frassino maggiore, mentre il tiglio e l’acero sono pressoché assenti se non relegati al ruolo di specie accessorie. Per tale motivo,
nei programmi di indirizzo forestale, sia il tiglio che l’acero sono stati inseriti tra le specie obiettivo per le quali sono previsti specifici accorgimenti di tutela e
valorizzazione. Si ritiene infatti verosimile, anche alla luce dell’incoraggiante aumento delle superfici di Aceri-Tiglieto rilevate in questi ultimi anni (località Gnecco in
comune di Sonico e località Redola in comune di Cimbergo), una loro concreta riaffermazione a scapito dei soprassuoli secondari dell’abete rosso e del castagno.
Versante basso della Valle di Campolaro in Comune di Prestine. Località Boà e Racola in comune di Cimbergo. Versanti bassi della Val Malga in comune di
Sonico.
Composizione
Acer pseudoplatanus 3, Fraxinus excelsior
3, Tilia cordata 2 (var.), Ulmus glabra 2, Ilex
aquifolium 1 (var.); Alnus glutinosa 1 (var.),
Carpinus betulus 1 (var.), Quercus petraea
1 (var.)
Aceri-frassineto tipico
Alterazioni antropiche e dinamica
I tagli intensivi provocano la regressione
fisionomica della tipologia a favore dell’abete
rosso e del castagno. La valorizzazione
tipologica, attuabile mediante programmi
attenti di riordino, consente di ottenere
soprassuoli maturi che garantiscono maggiori
prospettive di filiera e grandi benefici
paesaggistici.
181
Gestione ed emergenze
Valorizzazione tipologica (deconiferamento e conversione in
altofusto delle aree più danneggiate). Selezione dei soggetti
migliori per la loro valorizzazione monumentale. Ipotesi di
lungo periodo per la valorizzazione commerciale del frassino. Il
deconiferamento deve essere attuato privilegiando il taglio
dell’abete rosso in evidente regressione fisiologica; nei casi in
cui l’aliquota di abete rosso (rilasciando solo eventuali soggetti
a carattere monumentale) sia elevata occorre procedere
gradualmente per contenere il massivo ingresso del nocciolo; il
larice non rappresenta un’urgenza nell’ordinaria gestione e
pertanto può essere tagliato per ultimo.
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Composizione
Acer pseudoplatanus 4, Fraxinus excelsior
3, Alnus incana 2
Composizione
ns
Composizione
ns
Aceri-frassineto con Ontano bianco
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
SI tratta perlopiù di aree di frizione con il
Valorizzazione tipologica (deconifermento, conversione in
paesaggio agrario (prati di fondovalle) che
altofusto delle aree più danneggiate). Salvaguardia dei lembi di
possono in alcuni casi evolvere verso forme ApAp-Fr-Ai localizzati ai margini dei torrenti (corridoi ecologici).
Ff-t.
Selezione dei soggetti migliori di frassino per la loro
valorizzazione monumentale. Interventi di stabilizzazione nei
casi di minore stabilità meccanica (taglio degli ontani non
differenziati ed in fase di regressione fisiologica).
Aceri-frassineto tipico
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
ns
Valorizzazione tipologica; salvaguardia delle specie obiettivo
Aceri-Tiglieto
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
ns
Valorizzazione tipologica; salvaguardia delle specie obiettivo
BETULETI
CORILETI
Betuleti
Corileti
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Betuleto secondario (B-s)
Betuleto primitivo (B-p)
Corileti (Ca)
A-B-C-D-E
D-E
Betuleti
Corileti
(…) La categoria dei betuleti e dei corileti comprende quelle formazioni in cui rispettivamente la betulla o il nocciolo dominano, anche se spesso solo per un breve
periodo. Si tratta, infatti, nella maggior parte dei casi, di consorzi che compaiono durante alcuni processi di ricolonizzazione forestale di aree abbandonate dalle colture
agrarie. Fa eccezione il solo betuleto primitivo che costituisce una formazione durevole su macereti derivati solitamente da substrati silicatici. Per quanto riguarda i
betuleti, si può segnalare, che si tratta di formazioni "preforestali" che solo localmente hanno l'aspetto e la rilevanza dei veri e propri betuleti, che s'incontrano, seppur
in modo non diffuso, nel vicino Piemonte. I betuleti lombardi assumono comunque una notevole rilevanza nella ricostituzione dei suoli degradati e contribuiscono ad
aumentare la variabilità del paesaggio forestale della Regione. Per essi si può solo consigliare di lasciar spazio all'evoluzione naturale, data anche la loro limitata
estensione. (…)
Inquadramento tipologico
I Betuleti (B) sono formazioni forestali tipicamente pioniere che possono derivare da processi di ricolonizzazione secondaria di prati e pascoli abbandonati
o di versanti detritici “poveri”. Un primo caso riguarda i cosiddetti Betuleti secondari (B-s) ovvero quelle formazioni transitorie a netta prevalenza di
betulla che precedono l’affermazione, proporzionale al livello di maturazione del suolo, di soprassuoli di altro tipo quali ad esempio le Peccete. Un secondo
caso invece riguarda i Betuleti primitivi (B-p), ovvero formazioni durevoli che si formano su falde detritiche e versanti rupicoli. Alla betulla si affiancano
nella composizione del soprassuolo altre specie pioniere determinando l’affermarsi di consorzi forestali di assoluto valore ecologico-paesaggistico.
Nel caso specifico del territorio in esame i B-p sono molto diffusi ancorché rilevabili in aree marginali e frastagliate (spesso in lembi molto circoscritti in
corrispondenza di microaperture dei soprassuoli). In alcuni casi sono invece osservabili B-s di una certa estensione (Bosco delle Ampirie a Berzo Demo,
località Pià de Deghen a Cedegolo).
Indicazioni gestionali
Questi boschi in generale assumono una notevole rilevanza nella ricostituzione dei suoli degradati e contribuiscono in maniera significativa ad aumentare
la variabilità del paesaggio forestale montano. Operazioni di taglio, non valutate con la dovuta attenzione, possono accelerarne il processo di “sostituzione“
con formazioni più mature, ovvero favorirne la regressione verso arbusteti e garighe. La grande importanza ecologico-paesaggistica dei B suggerisce
l’adozione di forme gestionali attente e calibrate, anche finalizzate al contenimento della naturale evoluzione verso altri soprassuoli (deconiferamento); in
nessun caso appare indicato effettuare tagli di ceduazione della betulla (ha una bassissima capacità pollonifera pressoché già esaurita al secondo taglio);
auspicabile invece la convivenza con il pascolo nelle situazioni altimontane più mature.
Indicazioni
puntuali
Betuleto primitivo (B-p). Da lasciare alla libera evoluzione naturale.
Betuleto secondario (B-s). I B-s rappresentano quasi sempre una fase preclimax di soprassuoli più evoluti: Querceti, Aceri-Frassineti; Castagneti, Faggete e
Peccete; possono essere programmati interventi di deconiferamento per ritardare la fase secondaria, con finalità paesaggistiche e/o didattico-ricreative
(rilascio dei soggetti monumentali di abete rosso e larice). In nessun caso si dovranno prevedere forme di taglio orientate verso il governo a ceduo.
Localià
indice
Betuleti:
Il Bosco delle Ampirie in comune di Berzo Demo e località Pià de Deghen e Mezzoclevo in comune di Cedegolo.
Composizione
Betula pendula 3, Acer pseudoplatanus 2,
Alnus viridis 2, Corylus avellana 2, Fraxinus
excelsior 2, Pinus sylvestris 2, Populus
tremula 2
Composizione
Betula pendula 5, Corylus avellana 3,
Castanea sativa 2, Larix decidua 2, Picea
excelsa 2, Populus tremula 2, Salix caprea
2, Sorbus aucuparia 2
Betuleto primitivo
Alterazioni antropiche e dinamica
Le condizioni stazionali avverse rendono
pressoché stabili questi boschi.
Betuleto secondario
Alterazioni antropiche e dinamica
I tagli intensivi favoriscono i processi di
secondarizzazione del soprassuolo. La
ceduazione si esaurisce gia al secondo turno
per la ridotta capacità pollonifera della
betulla.
182
Gestione ed emergenze
Da lasciare alla libera evoluzione naturale per limiti stazionali.
Gestione ed emergenze
Valorizzazione tipologica e paesaggistica. Rallentamento dei
processi evolutivi verso altre categorie nelle situazioni che si
prestano alla valorizzazione a scopo turistico-ricreativo
(deconifermanto e valorizzazione di alberi monumentali).
Salvaguardia delle querce e del biancospino. Formazione con
elevato valore pirologico.
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Indicazioni
puntuali
Nei naturali processi di evoluzione forestale dei versanti si formano spesso soprassuoli transitori puri di nocciolo: Corileti (Ca). Tipicamente il nocciolo
partecipa ai processi di ricolonizzazione dei pascoli e dei prati abbandonati in situazioni di significativa ricchezza edafica (in condizioni meno favorevoli la
ricolonizzazione avviene invece ad opera di altre specie più rustiche quali la betulla, il larice, il pioppo tremolo, ecc.).
In altri casi, quando si afferma sottocopertura in situazioni chiuse quali ad esempio le Peccete secondarie e i castagneti puri, il nocciolo è invece specie
preziosa per il contenimento dei livelli di acidificazione del suolo.
(…) Si può così osservare, in accordo con COLAONE e PIUSSI (1975), le cui considerazioni possono essere estese anche alle seppur rare situazioni simili presenti in
Lombardia, che la zona di contatto tra boscaglia mista e faggeta è quella in cui la vegetazione del piano inferiore trova un limite alla sua diffusione, di natura
termica, e quella del piano superiore trova un limite inferiore probabilmente di natura idrica. L'azione antropica ha qui distrutto più facilmente la copertura
vegetale e, attualmente, la rinnovazione nei prati è praticamente mancante. La via è aperta solo a specie che ricaccino facilmente da polloni dopo il
passaggio del fuoco - cosa che il faggio non fa' - e fruttifichino precocemente. Il nocciolo ed il farinaccio sembrano essere le sole che, in queste condizioni,
possono affermarsi. Per tali motivi i corileti si sarebbero diffusi e si conserverebbero per lungo tempo tanto da poterli considerare dei “piroclimax”.
Il nocciolo, come anche il rovo, costituisce poi una sorta di "medicina" che la Natura "somministra" a seguito di alterazioni (patologie) a livello edafico,
soprattutto in relazione al turn over della sostanza organica. Così sono da interpretare gli estesi corileti che si sono formati a seguito di ampie tagliate o
anche solo di diradamenti condotti in formazioni non sintoniche con l'ambiente (in particolare, quelle di conifere in ambienti propri delle latifoglie). Si tratta
di un'ottima "terapia", in cui il "principio attivo" sta nella lettiera del nocciolo, facilmente aggredibile da varie componenti della pedofauna, terapia di cui è
necessario attendere lo spontaneo esaurimento consentendo la piena "guarigione" del sistema. (…)
Interventi colturali sono del tutto sconsigliati se non per giustificare l’eventuale approvvigionamento di legna da ardere. In particolare, dove non c’è
urgenza d’intervento, sarebbe auspicabile evitare il “taglio a raso sulla ceppaia” che rallenta i processi dinamici del soprassuolo, rendendo i corileti
formazioni durevoli.
I programmi gestionali di medio periodo dovranno prevedere il controllo dei tagli di questa specie, sia in ragione delle citate peculiarità dinamiche, sia per il
valore ecologico-paesaggistico che li contraddistingue (corridoi ecologici del paesaggio agrario e valore faunistico). In questi ultimi anni nel Parco è stato
proposto un “modello colturale” di tutela delle siepi a nocciolo e di alcuni corileti stabili (località Morti di Boà a Cimbergo). Questo modello, che ha il
principale scopo di contentere la ceduazione a priori del nocciolo (rilascio dei noccioli più sani e cura delle ceppaie con maggior vigore vegetativo), è
tutt’ora in fase di taratura e necessita comunque di adeguata verifica nel medio periodo.
ns
Località
indice
Indicazioni gestionali
Inquadramento tipologico
Corileti:
Sinistra orografica del torrente Poglia in comune di Cedegolo; prati di Cimbergo; prati di Paspardo; località Morti di Boà in comune di Cimbergo.
Composizione
Corylus avellana 5, Betula pendula 2,
Fraxinus excelsior 2, Tilia cordata 2,
Fraxinus ornus 2 (var.), Quercus pubescens
2 (var.)
Corileto
Alterazioni antropiche e dinamica
I tagli intensivi non valorizzano le peculiarità dinamiche
e curative del nocciolo. Il superamento della sere a
nocciolo avviene in tempi brevi a condizione che non si
eseguano interventi diretti (impianti, taglio ripetuto,
trattamenti chimici di devitalizzazione, imbrigliamento
della chioma con legacci in filo di ferro).
PINETE
Pinete
Gestione ed emergenze
Gestione attenta con possibilità di taglio selettivo.
Salvaguardia del nocciolo in fase accessoria. Rilascio dei
tre polloni migliori per ogni ceppaia in ipotesi di
valorizzazione stazionale. Valore faunistico.
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
A-B-C-D-E
Pineta di pino silvestre primitiva di rupe (Ps-r)
Pineta di pino silvestre primitiva di falda detritica (Ps-fd)
Pineta di pino silvestre dei substrati carbonatici (Ps-c)
Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici submontana (Ps-s-sbm)
Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici montana (Ps-s-mnt)
Abete rosso – Faggio Altimontana
(…) Nella categoria delle pinete di pino silvestre sono inquadrate quelle formazioni in cui il pino silvestre è prevalente, anche se difficilmente raggiunge la purezza. La
competitività di questa specie si manifesta soprattutto negli ambienti caratterizzati da una limitata disponibilità idrica, dovuta o alla "primitività del suolo" o, su suoli
più maturi, al forte drenaggio, magari accompagnato da un'altrettanto elevata acidificazione. I processi dinamici con le peccete sono comunque sempre assai frequenti
creando una sorta di mosaico dove s'alternano tratti a pineta negli espluvi e a pecceta negli impluvi (CREDARO e PIROLA, 1975). Il pino silvestre, in questi ambienti,
costituisce poi spesso il primo ricolonizzatore dei pascoli (CREDARO e PIROLA, 1975) o anche delle aree percorse dal fuoco innescando un processo evolutivo che
conduce, seppur molto lentamente, alla pecceta. I ricorrenti schianti che colpiscono queste formazioni potranno determinare "fratte", più o meno ampie, che saranno
più facilmente ricolonizzate se vi è la presenza di qualche albero portaseme di pino silvestre. (…) Roberto del Favero, 2002
Nel Parco sono state segnalate 5 tipologie di Pineta diffuse negli stessi ambienti di Querceti e Orno-Ostrieti (Capitello dei due pini a Paspardo, Stablo a Sonico e Bulì a
Edolo). Si tratta perlopiù di formazioni frastagliate che colonizzano ambienti “magri” dove il pino silvestre riesce ad esercitare una maggior concorrenza con il castagno
e l’abete rosso
183
Località
indice
Indicazioni puntuali
Indicazioni gestionali
Inquadramento tipologico
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
La presenza di suoli superficiali, con abbondante scheletro, caratterizzati da una sensibile disponibilità idrica ma sempre accompagnata da prolungati
periodi siccitosi, determina le condizioni ideali per l’affermarsi di soprassuoli rustici come le Pinete32.
Nel territorio del parco sono presenti in maniera diffusa la Pineta di pino silvestre primitiva di rupe (Ps-r), cui si affianca in aree molto circoscritte e spesso
in compenetrazione con i Querceti la Pineta di pino silvestre primitiva di falda detritica (Ps-fd). Si tratta di boschi frugali in cui il pino convive con latifoglie
rustiche quali la betulla, il sorbo degli uccellatori, l’orniello, il sorbo montano, il salicone, il pioppo tremulo, il ciliegio, la rovere e la roverella.
Nel Parco sono altrettanto diffuse la Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici submontanta (Ps-s-sbm) e la sua equivalente montana (Ps-s-mnt), sia
nella sua forma tipica che con la variante con Abete rosso, con Faggio e Altimontana; si tratta di formazioni multiplane più o meno stabili che spesso
assumono valenze transitorie in successione dinamica verso i soprassuoli montani dell’abete rosso o in quelli submontani del castagno. Più rara e
frammentaria è infine la Pineta di pino silvestre dei substrati carbonatici (Ps-c).
(…) In passato a queste formazioni era applicato sia il taglio a raso sia quello a scelta, prevedendo, in quest'ultimo caso, periodi di curazione anche molto
brevi (5 anni). Lo stato dei boschi era comunque sempre precario anche per i consistenti attacchi di vari parassiti e per il ricorrere degli incendi (FEDERICO,
1939; SULLI, 1985). Constatato che questi eventi di "disturbo" continuano a persistere nel tempo e ricordando le circostanze che consentono una buona e
facile rinnovazione naturale del pino silvestre, si può ritenere che vi sia un'elevata probabilità che si creino, con una certa facilità, le condizioni per la
conservazione spontanea di questa pineta, salvo i casi in cui vi sia già un'abbondante presenza della robinia. Se tali circostanze non si dovessero verificare e
comunque si volesse conservare la pineta, la via da seguire non potrebbe essere che quella di provocare "artificialmente" le condizioni di disturbo. Questo
potrebbe avvenire con minimo impatto attuando, nei soprassuoli maturi, un taglio a strisce anche di limitata ampiezza (ma almeno 20-30 m di larghezza). La
leggera lavorazione del suolo conseguente all'esbosco è, in genere, sufficiente per innescare i processi di rinnovazione naturale del pino. Se invece, come
d'altra parte è consigliabile, si optasse per lasciare che i processi evolutivi portino verso altre formazioni, il più delle volte non è necessario fare alcun specifico
intervento. Infatti, la leggerezza della chioma del pino non pregiudica quasi mai l'affermazione e la crescita delle querce. Il taglio del pino, se il soprassuolo
non è troppo fitto, non è quindi necessario per favorire la rinnovazione (DOTTA e MOTTA, 2000); quest'ultima, infatti, nel giro di poco tempo riuscirà a
raggiungere il piano dominante. Il mancato intervento sul pino può, invece, avere alcuni effetti positivi: aumento della biodiversità soprattutto nei confronti
di popolazioni d'insetti e di varie specie ornitiche, conservazione di un elemento caratteristico del paesaggio, ecc. Ma, soprattutto, la presenza dei residui
soggetti di pino può essere una garanzia che, qualora di verificassero nuovi eventi di disturbo, il processo di rinnovazione s'innescherebbe rapidamente,
grazie alla presenza di soggetti portaseme. (…)
Per quanto attiene il caso specifico del Parco si è ritenuto comunque fondamentale, in ragione della marcata parcellizzazione delle pinete, adottare sistemi
gestionali di valorizzazione fisionomico-strutturale delle stesse (tagli di minima entità). Tali interventi dovranno essere programmati prioritariamente nei
confronti degli alberi sottomessi e deperenti, ma altresì anche nei confronti di quelli instabili e più suscettibili ai danni da vento (ancorchè di discrete
dimensioni), e nelle situazioni in cui sia necessario attuare il controllo fitosanitario (contenimento delle pullulazioni di scolitidi dei generi Tomicus piniperda
e Ips acuminatus).
Un ulteriore aspetto di grande rilevanza gestionale riguarda infine il notevole valore pirologico di queste formazioni. Il fuoco contribuisce infatti a rendere
meno stabili le piante sopravvissute (bruciatura delle branche radicali) e a rallentare notevolmente gli eventuali processi evolutivi. In genere il pino
silvestre giova del passaggio del fuoco perché riesce a rinnovarsi con maggiore prontezza delle altre specie, tuttavia l’impoverimento della stazione
forestale può innescare processi involutivi verso arbusteti e garighe che si ritiene opportuno evitare a priori.
Pineta di pino silvestre primitive (Ps-r; Ps-fd). Da lasciare alla libera evoluzione naturale. Si tratta infatti di boschi il cui l’autoperpetuamento è comunque
garantito dalla possibilità di vegetare in condizioni “difficili” (condizionamento morfologico) Accorgimenti particolari possono essere adottati per garantire
la presenza di portaseme stabili (interventi localizzati di diradamento basso per favorire l’ampliamento delle chiome dei portaseme). Interventi puntuali
sono inoltre ben indicati qualora sia necessario interveniere a scopo fitosanitario (bonifica successiva a incendi e danni da neve e/o vento, interventi di
contenimento delle pullulazioni di scolitidi) e di riqualificazione attuati in situazioni di regressione fisionomica o “aggressione” da parte del castagno o
dell’abete rosso.
Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici (Ps-s-mnt; Ps-s-sbm). Interventi coordinati di riequilibrio per contenere la “chiusura” del ceduo di castagno e
il coniferamento ad opera dell’abete rosso, da attuarsi anche favorendo l’esecuzione di cure colturali e diradamenti a favore del pino. Potranno essere
previsti interventi, anche intensi, qualora sia necessario procedere al controllo fitosanitario del pino silvestre sempre minacciato da scolitidi (Ips sp.,
Thomicus sp.).
Capitello dei Due Pini e recinto faunistico in comune di Paspardo. Bulì in comune di Edolo. Stablo in comune di Sonico. In località Disì tra Breno e Niardo è
presente un’esteesa pineta artificiale di pino silvestre con caratteristiche monumentali.
Composizione
Pinus sylvestris 4, Betula pendula 2. Pinus
sylvestris 3
Composizione
Pinus sylvestris 4, Corylus avellana 3,
Quercus petraea 2
Composizione
Pinus sylvestris 5, Larix decidua 3, Fagus
sylvatica 3 (var.), Picea excelsa 2 (var.),
Abies alba 1 (var.)
Pineta di pino silvestre primitive
Alterazioni antropiche e dinamica
Stadio durevole per condizionamento edafico
Gestione ed emergenze
Lasciata all’evoluzione naturale per limiti stazionali;
formazione con elevato valore pirologico
Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici submontana
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
D'origine dubbia dato che in passato
Interventi su superfici limitate accelerano i processi
frequentemente si piantava il pino in ambienti
evolutivi; tuttavia, è opportuno conservare una certa
submontani per migliorare le caratteristiche
aliquota di pino; in presenza di invasioni di rovi o di nocciolo
qualitative e quantitative delle formazioni naturali;
è consigliabile non intervenire per contenerlo; formazione
lenta evoluzione verso uno dei Q-s
con elevato valore pirologico; sono consigliati interventi
colturali di prevenzione dagli incendi boschivi; formazione
con ridotta stabilità meccanica potenziale; sono consigliati
interventi di stabilizzazione
Pineta di pino silvestre dei substrati silicatici montana
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Lenta evoluzione o verso una faggeta o verso una
Ordinariamente governata a fustaia; interventi su superfici
pecceta
limitate accelerano i processi evolutivi; tuttavia, è opportuno
conservare una certa aliquota di pino; formazione con
elevato valore pirologico; sono consigliati interventi colturali
32
(…) si tratta di situazioni veramente povere, bloccate nei processi evolutivi dal continuo ripetersi di fenomeni franosi o comunque dall’impossibile evoluzione del suolo per l’eccessiva pendenza.
In queste situazioni il pino silvestre è nettamente dominante, anche se è spesso accompagnato da altre specie fra cui soprattutto la betulla, l’orniello (…).
184
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Composizione
Pinus sylvestris 5, Quercus pubescens 3,
Fraxinus ornus 2
di prevenzione dagli incendi boschivi; formazione con ridotta
stabilità meccanica potenziale; sono consigliati interventi di
stabilizzazione
Pineta di pino silvestre dei substrati carbonatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Possibile presenza in passato di pascolo
Ordinariamente governata a fustaia. Interventi tesi a portare
soprattutto ovi-caprino
un cambiamento della composizione a favore delle latifoglie
hanno spesso scarsi risultati per la loro ridotta capacità di
reazione; in tutti i casi, là dove la quantità di latifoglie è
elevata è opportuno conservare i soggetti di pino presenti.
Formazione con elevato valore pirologico; sono consigliati
interventi colturali di prevenzione dagli incendi boschivi;
formazione con ridotta stabilità meccanica potenziale; sono
consigliati interventi di stabilizzazione
FAGGETE E PICEO FAGGETI
Faggeta primitiva (F-p)
Faggeta submontana dei substrati silicatici (F-s-sbm)
Faggeta montana dei substrati carbonatici dei suoli xerici (F--c-mnt-x)
Faggeta montana dei substrati carbonatici tipica (F-c-mnt-t)
Faggete
Faggeta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici (F-s-mnt-m)
Faggeta altimontana dei substrati carbonatici (F-c-atm)
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
A-B-C-D-E
Castagno
Abete rosso
Abete rosso
Abete rosso – Larice Subalpina
Faggete
Faggeta altimontana dei substrati silicatici (F-s-atm)
Piceao-faggeti
Suoli xerici - Abete bianco Larice
Piceo-Faggeto dei substrati silicatici (P-F)
Piceo-Faggeti
(…) I piceo-faggeti sono delle formazioni miste d'abete rosso e faggio, con poca o nulla partecipazione di abete bianco. In realtà, la loro composizione può essere quanto
mai varia passando dalla pecceta quasi pura con residui di faggio alla faggeta molto ricca in peccio. Ciò che caratterizza i piceo-faggeti è comunque la collocazione,
prevalentemente nella regione mesalpica, ma anche nelle aree più interne di quella esalpica, quasi a configurare una subregione di transizione (esomesalpica) fra quella
propria delle latifoglie (esalpica) e quella delle conifere e latifoglie (mesalpica). I piceo-faggeti sono stati considerati spesso il risultato dell'attività antropica che ha
favorito la diffusione dell'abete rosso, specie sicuramente interessante dal punto di vista economico e di facile propagazione negli impianti. Tuttavia, la lacunosità della
distribuzione dell'abete bianco, non solo dovuta all'azione dell'uomo, e la presenza, soprattutto su substrati carbonatici, di condizioni favorevoli sia al faggio e sia
all'abete rosso consentono una convivenza, seppure "in continua tensione", fra due specie al limite delle rispettive zone ottimali, all'interno delle quali risultano
nettamente dominanti. (…)
Inquadramento tipologico
Il faggio è tra le specie più “sacrificate” nei territori del Parco dell’Adamello33; il suo diffuso utilizzo per l’approvvigionamento di legna da ardere e per la produzione
del carbone non sembra essere stato infatti accompagnato da una adeguata “selvicoltura di faggeta”, determinandone di fatto una lenta e progressiva regressione a
favore di specie più competitive quali il castagno e l’abete rosso. Oggi le formazioni del faggio sono relate in piccolissimi lembi di esigua rilevanza cartografica,
tuttavia in questa sede si è voluto comunque attribuire l’importanza dovuta a questa categoria, segnalando comunque le tipologie potenzialmente presenti nel Parco.
Si ricorda a tal proposito che in comune di Sonico si trovano i due monumenti naturali inseriti negli elenchi nazionali Faggio di Malga Boiana e Faggio di Malga
Montoffo.
Nel parco sono segnalabili la Faggeta primitiva (F-p), la Faggeta submontana dei substrati silicatici (F-s-sbm), sia nella sua forma tipica che nella variante
con Castagno; la Faggeta montana dei substrati carbonatici dei suoli xerici (F--c-mnt-x), Faggeta montana dei substrati carbonatici tipica (F-c-mnt-t),
nella sua forma tipica e nella sua variante con Abete rosso; la Faggeta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici (F-s-mnt-m), nella sua forma tipica e
34
nella variante con Abete rosso; la Faggeta altimontana dei substrati carbonatici (F-c-atm) , nella sua forma tipica e nella variante con Abete rosso,
variante con Larice e variante Subalpina, Faggeta altimontana dei substrati silicatici (F-s-atm). Con buona probabilità potrebbero essere rilevabili
microaree con altri tipi di faggeta, tra cui possiamo citare la Faggeta montana dei substrati silicatici dei suoli acidi (F- s mtn--ac; var. con Pino silvestre).
Per quanto riguarda invece i PICEO-FAGGETI si tratta di formazioni forestali non molto diffuse nel parco dove si possono tuttavia osservare la tipologia di
Piceo-faggeto dei substrati silicatici (P-F), nella sua forma tipica e con le sue variante dei Suoli xerici, variante con Abete bianco e variante con Larice.
Questa categoria, si caratterizza per la compartecipazione di abete rosso e faggio, cui si associano in misura pressoché accessoria diverse altre specie
forestali (la presenza del larice in genere è sporadica e principalmente correlata ad eventi calamitosi e/o gestioni irrazionali). Benché a causa della reiterata
ceduazione del faggio la conifera eserciti una diffusa dominanza, la convivenza tra le due specie è generalmente buona (formazioni in continua tensione il
cui auotoperpetuarsi avviene secondo il meccanismo della ”rinnovazione per piede d’albero”).
33
(…) Certamente il faggio costituì per molto tempo una delle risorse fondamentali per l'economia della montagna lombarda. Secondo Hofmann (1991), le faggete lombarde sono quelle che hanno
subito più vicissitudini. Credaro e Pirola (1975) evidenziano come in Valtellina le faggete appaiano un po' immiserite e diradate forse più per l'opera dell'uomo. Anche risalendo indietro nel tempo,
rispettivamente Hofmann (1938) per la Valtellina e Federico (1938, 1941) per il Comasco, il Lario e il Varesotto segnalano che il faggio doveva essere maggiormente diffuso, ma il ceduo e il pascolo
lo hanno ridotto ad una sottile striscia. Le formazioni governate a fustaia sono, infatti, esigue, mentre frequenti sono i cedui matricinati. (…)
34
Di grande valore forestale per questa tipologia è l’intero comprensorio delle Biurche e del Pian del Zuff nei comuni di Breno e Prestine. Questa faggeta, benché non nella sua più esatta
“espressione carbonatica”, è infatti ben rappresentata e si rilevano i tratti di ben tre varianti: con Abete rosso, con Larice e Subalpina.
185
Indicazioni
puntuali
I boschi di faggio possiedono una spiccata tendenza a formare soprassuoli a distribuzione verticale monoplana con coperture regolari colme e ben si
prestano ai metodi classici della selvicoltura da produzione. Per le ragioni già accennate in precedenza tuttavia, si ritiene non adeguato sottoporre gli ultimi
lembi di faggeta presenti nel Parco a programmi gestionali intensivi, sia perchè la sua ormai esigua presenza vanifica a priori gli schemi propri della
selvicoltura citata, sia perché si ritiene opportuno favorire una sua maggiore diffusione nelle aree ormai occupate da altre categorie; specie obiettivo:
sarebbe ben auspicabile evitare l’utilizzo del faggio fino a una sua maggiore partecipazione nella composizione media di versante. Per quanto attiene
invece più nel dettaglio i PICEO-FAGGETI, dal punto di vista gestionale si suggerisce di rallentare la “fase dell’abete rosso” evitando l’utilizzazione del faggio
almeno fino all’affermazione di sufficienti portaseme35.
ns
Località
indice
Indicazioni gestionali
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Boschi delle Ciodere a Breno, Val Malga a Sonico.
Composizione
Fagus sylvatica 4, Betula pendula 2, Larix
decidua 2, Sorbus aria 2
Composizione
Fagus sylvatica 5, Betula pendula 2,
Castanea sativa 2 (var.)
Composizione
Fagus sylvatica 5
Composizione
Fagus sylvatica 5, Acer pseudoplatanus 2,
Fraxinus excelsior 2, Picea excelsa 2 (var.)
Composizione
Fagus sylvatica 5, Abies alba 2, Betula
pendula 2, Picea excelsa 2 (var.)
Composizione
Fagus sylvatica 5, Populus tremula 2, Larix
decidua 2 (var.), Picea excelsa 2 (var.)
Composizione
Fagus sylvatica 4, Larix decidua 3, Betula
pendula 2
Composizione
Fagus sylvatica 3, Picea excelsa 3, Pinus
sylvestris 2 (var.), Alnus viridis 2, Abies alba
1 (var.), Larix decidua 1 (var.)
Faggeta primitiva
Alterazioni antropiche e dinamica
Stadio durevole per condizionamento edafico
Faggeta submontana dei substrati silicatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; possibile una maggior copertura da parte del faggio a
scapito soprattutto del castagno ma anche delle altre specie
Faggeta montana dei substrati carbonatici dei suoli xerici
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; scarse possibilità evolutive per condizionamenti edafici
Faggeta montana dei substrati carbonatici tipica
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile in condizioni di optimum
Faggeta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile in condizioni di optimum
Faggeta altimontana dei substrati carbonatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Nessuna; nella variante subalpina consistente modificazione della
struttura a causa del pascolo; stabile; nella regione esalpica la
ricolonizzazione dei terreni abbandonati dall'agricoltura avviene
dapprima per opera del larice; solo in un momento successivo
compare il faggio che alla lunga prende il sopravvento
Faggeta altimontana dei substrati silcatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile
Piceo-faggeto dei substrati silicatici
Alterazioni antropiche e dinamica
La massiccia presenza del larice (variante) indica passate
utilizzazioni pascolive e tagli su ampie superfici; frequente
alternanza fra le due specie principali (ad una fase a prevalenza
del faggio segue una in cui prevale l’abete rosso e così via)
ABIETETI
Abieteti
Gestione ed emergenze
Libera evoluzione naturale
Gestione ed emergenze
Valorizzazione fisionomico.strutturale
Gestione ed emergenze
Valorizzazione fisionomico.strutturale
Gestione ed emergenze
Valorizzazione fisionomico.strutturale
Gestione ed emergenze
Valorizzazione fisionomico.strutturale
Gestione ed emergenze
Libera evoluzione naturale
Gestione ed emergenze
Libera evoluzione naturale
Gestione ed emergenze
Valorizzazione fisionomico-strutturale; tutela
del faggio
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Abieteto dei substrati carbonatici(Ab-c)
Abieteto dei suoli mesici (Ab-m)
Abieteto dei substrati silicatici tipico (Ab-t)
A-B-C-D-E
Abieteti
(…) Nella categoria degli abieteti rientrano quelle formazioni in cui vi è una buona partecipazione dell'abete bianco, raramente puro e non sempre dominante, cui si
affiancano l'abete rosso e, talvolta, anche il faggio. L'inquadramento tipologico degli abieteti ha da sempre creato notevoli difficoltà. Infatti, l'articolazione tassonomica
di queste formazioni può assumere connotazioni notevolmente diverse in relazione al diverso significato attribuito all'abete bianco, rispetto alle altre due specie con le
quali più frequentemente si consocia, il faggio e l'abete rosso. Così, come spesso avviene soprattutto nel mondo forestale, molti autori sono propensi a far rientrare
negli abieteti un numero considerevole di situazioni, fra le quali anche quelle in cui l'abete bianco addirittura manca, attribuendo tale assenza all'azione dell'uomo che
notoriamente ha avversato questa specie. Dal lato opposto, vi è chi, soprattutto tra i fitosociologi, osservando la mancanza negli abieteti di uno specifico corredo
floristico, non ritiene di attribuire a queste formazioni specifiche unità d'ordine superiore. Di conseguenza, molti degli studi condotti sugli abieteti o sono limitati ai casi
35
(…) dove i tagli mancano da lungo da tempo, vi è una maggior presenza del faggio mentre dove in passato sono stati eseguiti tagli su ampie superfici è netta la prevalenza dell'abete rosso che
tende a perdurare per lungo tempo (…) Viceversa, se nella pecceta la copertura tende progressivamente a diminuire, in modo spontaneo o a seguito di diradamenti, compare la rinnovazione del
faggio, mentre quella dell'abete rosso intristisce mal sopportando la copertura. Dove i tagli sono stati eseguiti in modo regolare e su piccola superficie (tagli a gruppi o tagli a buche) la
composizione è più varia e in brevi spazi s'alternano tratti di faggeta e di pecceta (…) La rinnovazione di faggio si insedia diffusamente sottocopertura nelle annate di pasciona, purché vi sia un
numero sufficiente di alberi portaseme (…) Sempre consigliabile procedere con cure colturali che, rilasciando uno o due fra gli individui migliori per ogni ceppaia, consentano di avere a disposizione
delle matricine da riproduzione (…).
186
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
in cui la specie appare in purezza, e perciò sono incompleti o, dal lato opposto, considerano una casistica troppo ampia, comprendendo anche quelle situazioni in cui la
specie è presente magari anche solo allo stadio di plantula. L'abete bianco ha il suo optimum ecologico negli ambienti montano e altimontano della regione mesalpica,
su suoli mesici derivanti da substrati silicatici (terrigeno-scistosi, conglomeratico-arenacei) e in versanti esposti prevalentemente a nord. (…)
Inquadramento
tipologico
Indicazioni
puntuali
(…) Negli abieteti la struttura è quanto mai varia, essendo legata soprattutto al tipo d'interventi attuati e alla presenza di una buona viabilità. Se
quest'ultima è sufficiente e il periodo di curazione previsto (di 8-10 anni) è generalmente rispettato, la distribuzione verticale appare multiplana con
copertura regolare da scarsa a colma e tessitura da grossolana a fine. Viceversa, se manca la viabilità, si tende ad allungare il periodo di curazione e ad
intervenire con maggiore intensità, cosicché la distribuzione verticale tende a divenire monoplana e la copertura regolare colma. Infatti, la conservazione
della distribuzione verticale multiplana, soprattutto se a tessitura fine che, come vedremo in seguito, manifesta meno problemi gestionali rispetto a quella
monoplana, può avvenire solo mantenendo il livello provvigionale non troppo elevato (300-350 mc/ha) ed intervenendo con il taglio di curazione ad intervalli
di tempo abbastanza ravvicinati (8-10 anni). Se ciò non accade, ad esempio perché sono applicati periodi di curazione troppo lunghi, in genere a causa di
carenze nella viabilità, si può notare, data la notevole capacità di crescita di questi popolamenti, una tendenza alla monostratificazione "dall'alto", con
aumento delle masse unitarie e temporanea riduzione della rinnovazione. Viceversa l'applicazione del taglio a buche (od anche a gruppi) su superfici
relativamente ampie, in alternativa al classico taglio di curazione, può in molti casi determinare, grazie all'abbondanza della rinnovazione, una
monostratificazione "dal basso". Quindi, per la conservazione di un'equilibrata distribuzione verticale multiplana di questi soprassuoli sono richiesti interventi
frequenti e di limitata intensità, applicando il taglio di curazione e badando che vi sia un giusto equilibrio fra le diverse classi diametriche, interventi che,
come si è più volte detto, sono economicamente sostenibili solo negli ambienti in cui la viabilità è ottimale. Nei casi in cui questa manchi, sarà opportuno
badare che la tendenza alla monostratificazione avvenga per piccole superfici piuttosto che su ampi comparti. Così, se la monostratificazione non è troppo
marcata, si potrà cercare d'intervenire soprattutto sulle classi diametriche maggiori, dando spazio ai soggetti delle classi intermedie che potranno, ricevendo
con il taglio dei concorrenti una “frustata” incrementale, movimentare la distribuzione verticale, che però ben presto tenderà a divenire nuovamente
monoplana. Viceversa, se la monostratificazione è molto spinta, con prevalenza di soggetti poco diversificati nelle classi diametriche e con presenza, magari,
di molte piante dominate, è necessario valutare se queste ultime riusciranno, una volta liberate, a riprendersi e ad andare a costituire il nuovo contingente
degli individui di grosso diametro. Se esse saranno capaci di questo, si potrà ridurre la copertura del piano dominante e selezionare le migliori fra quelle
dominate. Al contrario, se si ritiene che gli individui del piano dominato non riescano a riprendersi, è meglio orientarsi verso i tagli successi a gruppi (magari
dopo aver fatto un taglio di preparazione) o, localmente, verso il taglio a buche e cercare di allevare correttamente la nuova generazione. Quanto esposto
costituisce solo un esempio delle problematiche che si possono porre al selvicoltore nella gestione degli abieteti. In generale, è in ogni caso opportuno
ricordare che queste formazioni richiedono una gestione oculata e di dettaglio e una duttilità nella scelta del tipo d'intervento e della sua intensità, elementi
che vanno valutati caso per caso, non trascurando anche gli aspetti economici. (…)
L’abete bianco è “specie obiettivo” ma consente alcuni margini di intervento, soprattutto nei casi in cui il riordino dei soprassuoli richieda l’effettuazione di
diradamenti.
ns
Località
indice
Formazioni caratterizzate dalla presenza di aliquote rilevanti di abete bianco cui si associa in massima parte l’abete rosso (spesso favorito da gestioni
irrazionali e/o intensive) e il faggio (con aliquote molto contenute). Nel parco si osserva soprattutto l’Abieteto dei substrati silicatici tipico (Ab-t) ma non
mancano espressioni puntuali dell’Abieteto dei suoli mesici (Ab-m)36 e brevi lembi dell’Abieteto dei substrati carbonatici (Ab-c).
(…) L'abete bianco è particolarmente competitivo sui suoli profondi e dotati di buona disponibilità idrica, condizioni che, pur essendo la specie indifferente
alla natura del substrato (LINGG, 1986), s'incontrano con maggior frequenza nei suoli derivati da substrati silicatici, piuttosto che in quelli formatisi da
substrati carbonatici. Su quest'ultimi, infatti, l'abete bianco è presente in modo massiccio solo nelle situazioni più favorevoli e a clima subcontinentale. (…)
Indicazioni gestionali
Gli Abieteti sono molto diffusi nelle aree più a sud della Valle Camonica, e nel Parco si possono osservare in superfici non trascurabili nei comuni di Prestine e Niardo.
Benché siano presenti anche brevi tratti della forma mesica e di quella del tipo dei substrati carbonatici, gli Abieteti del Parco sono pressoché esclusivamente inclusi
nella categoria dell’Abieteto dei substrati silicatici tipico. Per tale motivo si è deciso di semplificarne la lettura riportando in cartografia solo la Categoria.
A Prestine, in località Fontaneto, e a Niardo nelle località Bisone e Madonnina si trovano le uniche espressioni di Abieteto presenti nel parco.
Composizione
Abies alba 3, Picea excelsa 3, Fagus
sylvatica 1
Composizione
Abies alba 3, Picea excelsa 3
Composizione
Abieteto dei substrati carbonatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Talora riduzione della copertura a causa di interventi
drastici risalenti alla prima guerra mondiale. La gestione
del passato ha favorito soprattutto l’abete rosso
agevolato anche dai tagli su ampie superfici; opportuni
gli interventi che tendono a portare nel piano
dominante il faggio.
Abieteto dei suoli mesici
Alterazioni antropiche e dinamica
Possibile una maggior partecipazione del faggio; la
gestione del passato ha favorito soprattutto l’abete
rosso agevolato anche dai tagli su ampie superfici;
opportuni gli interventi che tendono a portare nel piano
dominante il faggio; tagli a buche o a gruppi su piccole
superfici
Abieteto dei substrati silicatici tipico
Alterazioni antropiche e dinamica
36
Gestione ed emergenze
Tagli a buche o a gruppi su piccole superfici; facilitare
l’ingresso del faggio nel piano dominante.
Gestione ed emergenze
Gestione puntuale e valorizzazione compositiva;
interventi di valorizzazione compositiva nei casi di
regressione dell’abete bianco causata da tagli intensivi
Gestione ed emergenze
(…) Su substrati caratterizzati da un elevato valore pedogenetico (arenaceo-marnosi e terrigeno-scistosi), siano essi carbonatici o silicatici, in stazioni poco pendenti, dove si hanno suoli con
buona disponibilità idrica, si formano degli abieteti a netta prevalenza dei due abeti (piceo-abieteti), mentre il faggio, anche se potenzialmente dovrebbe essere presente è solo sporadico
(abieteto dei suoli mesici). (…)
187
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Abies alba 3, Picea excelsa 3
Stabile; frequente alternanza fra i due abeti
Gestione puntuale e valorizzazione compositiva; in
presenza di strutture monoplane ridotta stabilità
meccanica potenziale; sono consigliati interventi di
stabilizzazione
PECCETE
Pecceta altimontana dei substrati carbonatici (P-c-amt)
Peccete
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
A-B-C-D-E
Pecceta
altimontana
dei
substrati cartonatici
Pino silvestre
Peccete montane dei substrati
silicatici
Altimontana
Suoli acidi - Ostria
Peccete
altimontane
e
subalpine dei substrati silicatici
Pino cembro - Sfagni
Pecceta azonale su alluvioni
Subalpina
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli xerici (P-s-mnt-x)
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-s-mnt-m)
Pecceta secondaria (P-sc)
Pecceta di sostituzione (P-st)
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli xerici (P-s-ams-x)
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-s-ams-m)
Pecceta azonale su alluvioni (P-al)
(…) L'abete rosso costituisce la specie più importante della regione mesalpica, avendo l'optimum negli orizzonti altimontano e subalpino. Lo s'incontra perciò
soprattutto nel Valtellinese e nei distretti Sud-Orobico e Camuno-Caffarense, mentre è solo marginale nell'endalpico Bormiese-Livignasco o nell'alto Chiavennasco, dove
prevalgono i lariceti o le praterie. Esso scende anche nell'orizzonte montano costituendo sia delle peccete, ma anche mescolandosi al faggio (piceo-faggeti) e/o
all'abete bianco (abieteti), rimanendo invece solo marginale alle formazioni con pino silvestre, dove entra solo nelle situazioni più mature quando l'aridità edifica si fa
sentire meno.
Altro elemento che facilita l'ampia diffusione dell'abete rosso è la sua adattabilità a diversi tipi di suoli indipendentemente dalla natura del substrato, cosicché lo
s'incontra sia su substrati carbonatici e sia su quelli silicatici. Tuttavia, è su quest'ultimi che vi è una maggiore probabilità che si creino condizioni ad esso favorevoli
anche nell'orizzonte montano. Risulta, invece, scarsamente competitivo su suoli con carenze idriche troppo spinte, avendo un apparato radicale superficiale e non
essendo efficiente quanto il faggio nello sfruttamento dell'umidità atmosferica.
Il comportamento dell'abete rosso e la fisionomia delle peccete cambiano poi notevolmente al variare della quota, cosicché è fondamentale disporre di un criterio che
consenta di attribuirle ai diversi orizzonti altitudinali. (…)
L’abete rosso è di gran lunga la specie forestale più diffusa nel Parco, sia in termini di superficie (occupa quasi la metà dell’intera superficie forestale), sia in termini
volumetrici (sono stimati oltre 1.000.000 di mc corrispondenti a quasi la metà della risorsa forestale del Parco). Nel Parco sono rilevabili, con netta prevalenza delle
forme legate ai substrati silicatici, tutte le tipologie classificate in Lombaridia: si tratta di 8 tipi diversi di bosco, i quali, spesso si sovrappongono gli uni algli altri
rendendo difficoltosa la loro stessa classificazione. La discriminazione dei tipi dell’abete rosso si complica ulteriormente in relazione alla notevole diffusione dell’abete
rosso “guidata” dall’uomo che, in maniera diretta con rimboschimenti su larga scala, ed in maniera indiretta con politiche forestali che hanno favorito l’abete rosso
rispetto ad ogni altra specie, dal 1.800 ad oggi ne ha favorito la dominanza rispetto ad ogni altra specie.
Le citate difficoltà di classficazione delle peccete hanno suggerito di semplificarne la rappresentazione cartografica in termini di Categoria, evidenziando in maniera
puntuale solo le Peccete azonali su alluvioni in ragione delle loro peculiarità naturalistico-paesaggistiche. Per quanto attiene le singole tipologie, qualora sia richiesto
un maggior dettaglio, si ritiene consigliabile standardizzarne l’individuazione facendo riferimento semplicemente a parametri topografici per distinguere ad esempio le
peccete montane da quelle altimontane (in base alla quota di 1.850 m), oppure in secondo parametri geo-morfologici che distinguano i sottotipi dei “substrati
silicatici” da quelli dei “subtrati carbonatici”. Tale semplificazione trova tuttavia notevoli difficoltà nella facile sovrapposizione con il tipo di Pecceta secondaria. In molti
casi infatti, le peccete secondarie si sono inserite in maniera così radicata nella composizione forestale di versante da assumere caratteri naturaliformi propri di altri
tipi. Più facile appare invece l’individuazione delle Peccete di sostituzione che si collocano alle quote più basse al di fuori dell’areale locale dell’abete rosso (sotto i 600700 m).
(…) Il comportamento dell'abete rosso e la fisionomia delle peccete cambiano poi notevolmente al variare della quota, cosicché è fondamentale disporre di un criterio
che consenta di attribuirle ai diversi orizzonti altitudinali.
Al variare di queste ultime, infatti, l'abete rosso, mostra comportamenti alquanto diversi e tali da indurre scelte gestionali altrettanto diversificate. La difficoltà
d'inquadrare le peccete nei diversi orizzonti sta nel fatto che il criterio altitudinale non è sempre adeguato. Infatti, la quota limite fra la pecceta montana e quella
subalpina può collocarsi, in relazione alle caratteristiche climatiche e morfologiche, all'interno di un ampio range compreso fra 1300 e 1600-1800 m. (…)
Carattere
Habitus
Crescita
Rinnovazione
Mortalità
Struttura
Strato arbustivo
Strato erbaceo
Degradazione
lettiera
Pecceta subalpina
caratteri individuali propri di alberi isolati; chiome lunghe fino a
1/2-3/4 del fusto, strette ed appuntite; sistema dei rami denso,
proteso verso il basso; rami spesso ricoperti da licheni
crescita lenta, specialmente in gioventù; culminazione tardiva
dell'incremento in altezza (50-100 anni); termine della crescita ad
età avanzate (150-250/300 anni)
distribuzione irregolare a nuclei e a gruppi in corrispondenza di
lacune del soprassuolo
differenziazione lenta nelle classi sociali con mortalità rallentata
del piano dominato; spesso presenza di uno stadio transitorio a
struttura multiplana
soprassuoli poco densi, in parte multiplani; frequente copertura
per collettivi o cespi
quasi assente o in ogni caso con crescita molto stentata
ridotta varietà floristica, alcune specie sono però dotate di forte di
competizione come: Calamagrostis villosa, Adenostyles alliariae,
mirtillo nero, rododendri, felci
molto lenta
Pecceta montana
caratteri individuali propri di alberi cresciuti in collettivi a copertura
chiusa; chiome corte (1/3), spesso larghe; rami bassi dotati di maggior
curvatura ed in vecchiaia mancanti nel toppo basale
crescita veloce con precoce culminazione dell'incremento in altezza
(prima di 50 anni) e conclusione della crescita verso i 100-150 anni
distribuzione più regolare; insediamento anche sotto copertura in
soprassuoli diradati
veloce differenziazione in classi sociali con elevata mortalità nel piano
dominato
soprassuoli densi, uniformi, tendenzialmente monoplani
presente sotto copertura diviene esuberante dopo il taglio (in
particolare abbonda il nocciolo)
notevole varietà floristica con presenza di un consistente contingente di
specie delle faggete
rapida, salvo accumuli per eccessiva copertura
Caratteri differenzianti le peccete subalpine da quelle montane, secondo MAYER e OTT (1991) e OTT (1994).
188
Inquadramento tipologico
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
L’abete rosso è la conifera più diffusa negli ambienti montani e subalpini delle regioni mesalpiche della Lombardia. La sua presenza in ambiente
submontano è invece meno evidente se non nelle situazioni in cui l’uomo ne abbia favorito la diffusione a scapito di altre specie. Nel parco i boschi
dell’abete rosso rappresentano la stragrande maggioranza del patrimonio forestale e sono rappresentati dalle seguenti tipologie forestali: la Pecceta
montana dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-s-mnt-m) e la sua equivalente altimontana Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei
suoli mesici (P-s-ams-m), nella sua forma tipica e nella variante a Sfagni, e la Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-sams-x). Si tratta nel complesso di boschi nettamente dominati dall’abete rosso cui si affiancano soprattutto il larice, l’abete bianco (nelle aree più umide), il
pino silvestre (nelle situazioni più calde) e il castagno (nelle situazioni di passaggio tra piano submontano a montano). Altre specie possono partecipare al
consorzio vegetazionale ma in maniera del tutto accessoria e spesso relegate ai margini del bosco o nelle chiarie più interne. Accanto a queste formazioni
“naturali” si osservano, in maniera anche molto diffusa, le formazioni dell’abete rosso di derivazione antropogena: alle quote più basse la Pecceta di
sostituzione (P-st), sia nella forma tipica che nelle variante dei Ostria e variante dei Suoli acidi, mentre più in alto è molto diffusa la Pecceta secondaria (Psc), sia nella sua forma tipica che nella variante Altimontana. Si tratta di forme differenti di affermazione dell’abete rosso accomunate dalla forte
connotazione “antropica” (rimboschimenti artificiali di abete rosso e affermazione massiva di abete rosso per tagli intensivi).
(…) Quando gli impianti (o comunque la diffusione spontanea da impianti) sono invece stati fatti in ambienti potenzialmente adatti all'abete rosso, si
ricorre, per l'inquadramento tipologico, ad una specifica unità, la pecceta secondaria che è per lo più montana (pecceta secondaria montana) e solo
raramente altimontana (variante altimontana). Altre volte, indipendentemente, o solo parzialmente in relazione all'azione dell'uomo, l'abete rosso, grazie
anche a favorevoli condizioni climatiche, si spinge fino all'orizzonte submontano costituendo delle “bizzarre” consociazioni, dotate di un certo equilibrio,
esempio di una perfetta “integrazione interspecifica” (pecceta di sostituzione), anche se, alcune volte si formano dei consorzi “caotici” di problematica
interpretazione dinamica. Il più delle volte, in queste ultime situazioni, così come avviene nella regione esalpica, l'abete rosso manifesta stati di deperimento
dovuti al precoce esaurimento dello sviluppo, alla senescenza anticipata e, soprattutto, alla suscettibilità ai parassiti (bernetti, 1995). (…)
Di grande valore forestale è infine la presenza in diverse località del parco (Valbione, Gaver, Valsozzine, , Val d’Avio, Val Paghera di Vezza d’Oglio e Val
Vallaro) della Peccete azonali su alluvioni (P-al). Questa formazione rappresenta certamente un elemento di grande pregio “forestale” sia per la rarità con
cui la si può rilevare in Lombardia, sia per le intrinseche peculiarità ecologico-paesaggistiche che la caratterizzano.
(…) Fra le peccete piuttosto rare in Lombardia si può citare anche quella azonale su alluvioni, sporadicamente presente nei distretti Valtellinese, Alto
Camuno, Chiavennasco, Sud-Orobico e Prealpino orientale. Si tratta di formazioni che s'incontrano lungo alcuni alvei fluviali o torrentizi larghi, posti in
fondovalle interessati da fenomeni d'inversione termica e da una generale freschezza anche edafica. Affianco al dominante abete rosso è presente, con
consistenti coperture, il frassino maggiore ad indicare una probabile potenzialità verso gli aceri-frassineti. (…)
189
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Indicazioni gestionali
Peccete montane (A-B-C). La pecceta montana rappresenta l’ossatura della filiera bosco-legno della Valle Camonica; tra le sue tipologie infatti sono
concentrate le maggiori superfici forestali ad indirizzo produttivo. La notevole plasticità dell’abete rosso rende di fatto applicabili pressoché in maniera
diffusa tutte le tipologie di intervento proprie della fustaia (tagli a buche, a strisce, marginali, ad orlo, successivi uniformi, a scelta, ecc.).
(…) Qualora non si sia potuto intervenire per tempo con i diradamenti e gli alberi mostrino chiome estese per meno di metà della lunghezza del fusto è
opportuno puntare, piuttosto che sulla stabilità individuale, su quella di collettivo, inteso come insieme di alberi la cui estensione dovrebbe essere pari a
un'area avente per diametro l'altezza degli alberi a maturità. E' bene ricordare che la continuità nell'esecuzione dei diradamenti consente di evitare
eccessivi squilibri a livello edafico, riducendo la durata della spesso indesiderata “fase della flora nitrofila o d'invasione” (in cui entrano soprattutto il
nocciolo, l'epilobio ed i rovi) che compare sempre, in seguito ai tagli finali, nelle peccete montane dotate d'eccessiva copertura. Circa il tipo di trattamento
da applicare alle peccete montane, sono adatti i tagli marginali, quelli a buche od a gruppi. In particolare, i tagli marginali risultano consigliabili nelle
peccete dei suoli xerici, in quanto garantiscono, più degli altri due, quella protezione laterale alle giovani piantine necessaria per ridurre gli effetti
d'eventuali stress idrici prolungati. D'altra parte, una volta insediatasi la rinnovazione, è necessario ricordare che, in queste formazioni, essa sopporta solo
per breve tempo la copertura. Di conseguenza, se è presente lungo il margine del bosco e s'avvale della protezione laterale per svilupparsi regolarmente e
per contrastare la competizione delle graminacee e degli arbusti, si procederà con tagli ad orlo, se invece è diffusa sotto copertura si potrà procedere con
tagli successivi ad orlo anche di una certa intensità.
Nelle peccete è poi importante che i tagli di rinnovazione avvengano nel giusto momento e che soprattutto non siano anticipati. Infatti, se il bosco non è
"maturo", non tanto in termini economici ma ecologici, i processi di rinnovazione o sono molto rallentati o addirittura non avvengono. Questo può
dipendere da vari aspetti (luce, competizione specie erbacee che cambiano quando il bosco è maturo, ecc.) fra cui il tipo di humus (…)
Peccete altimontane e subalpine (A-B-C-E). La plasticità dell’abete rosso diminuisce con l’aumentare della quota rendendo questo tipo soprassuoli meno
adatti dei precedenti ad essere indirizzati verso forme intensive di utilizzazione forestale. I modelli di selvicoltura proposti pur essendo gli stessi già osservati
per le peccete montane dovranno essere applicati in maniera non intensiva. In ogni caso si ritiene inopportuno intervenire in situazioni subalpine e/o
comunque in soprassuoli la cui configurazione fisionomico-strutturale non consenta l’applicazione “tout court” dei metodi della selvicoltura (forme
altimontane).
Peccete di derivazione antropica (F). La diffusione massiva dell’abete rosso, benché riconducibile per ampi tratti alla sua naturale tendenza a formare
soprassuoli estesi e monospecifici, è certamente stata agevolata dall’azione dell’uomo (rimboschimenti e tagli intensivi)37; i caratteri “secondari” dell’abete
rosso suggeriscono di indirizzare questi soprassuoli verso ottiche di “riordino forestale” da attuarsi anche con interventi intensivi (tagli a raso).
(…) Un discorso a parte deve essere fatto per le peccete secondarie. Si tratta di formazioni transitorie, notevolmente alterate dagli interventi selvicolturali, in
atto o pregressi, o dal pascolo. Sarà quindi sempre necessario, per delineare una corretta strategia gestionale, cercare di ricostruire la loro storia e
riconoscere il "tipo potenziale" al fine di comprenderne le tendenze evolutive. Tali peccete, infatti, si collocano spesso in ambienti potenzialmente occupati
dalla faggeta montana od anche dai piceo-faggeti o, più raramente, dagli abieteti. I processi evolutivi verso queste cenosi avvengono però in modo lento o
possono anche essere impediti, poiché l'abbondante rinnovazione dell'abete rosso esercita un'elevata competizione nei confronti delle altre specie. (…)
Peccete azonali (E). Da sottoporre a tutela.
Indicazioni gestionali d’indirizzo38:
- nei casi più evidenti di regressione fisiologica (soprassuoli stramaturi delle Peccete di sostituzione e Peccete secondarie), valutare la possibilità sgombero
(tagli a buche di dimensione anche maggiore rispetto alla norma, purchè siano attentamente calcolati i rischi di regressione ulteriore della stazione
forestale: l’ampiezza delle buche dipende da quota-esposizione-acidificazione del suolo, e dev’essere sempre riferita all’obiettivo di rinnovazione
naturale del soprassuolo (anche ad opera di altre specie rispetto all’abete rosso).
- in misura tanto maggiore quanto minore è il livello di secondarizzazione del soprassuolo, intervenire con forme di taglio che consentano il graduale
riequilibrio della stazione forestale aumentando i livelli di complessità strutturale del bosco (tagli di preparazione e diradamenti misti);
- la valorizzazione paesaggistica, da adottarsi nei soprassuoli con maggiore grado di naturalità, deve necessariamente essere attuata evitando tagli intesivi
e soprattutto a carico delle specie diverse dall’abete rosso (tagli a scelta, diradamenti bassi, cure colturali, ecc); nelle situazioni migliori, valutare la
possibilità di invecchiamento indefinito a scopo monumentale (selvicoltura per “Piede d’albero” ed eventuali cure);
- i tagli devono sempre essere effettuati considerando la fragilità dell’abete rosso nei confronti del vento e della neve (valutazione attenta della densità) e
spratutto la marcata suscettibilità dell’abete nei confronti di attacchi patogeni;
37
- devono
in maniera
sistematica
e continuativa
i diradamenti,
anche
avvalendosi
dellainpratica
di uso
civico,con
al fine
di allontanare
Nelle analisi
effettuateessere
spessoprogrammati
si adotta una forzatura
tassonomica
identificando
queste peccete
in “falsi boschi”,
ovvero
in soprassuoli
cui è difficile
definirne
certezza
il reale grado idi
soprassuoli
dalper
rischio
di decadimento
e nel
per di
favorirne
la valorizzazione fisionomico-strutturale;
naturalità nonostante
abbiano
tratti più
o meno estesi lefisiologico
caratteristiche
delcontempo
bosco naturale
abete rosso.
- una condizione necessaria per la gestione delle peccete riguarda infine il mantenimento di margini arborati stabili, ovvero quelli in cui gli alberi hanno
38
chiome distribuite lungo tutto il fusto; il taglio di questi margini determina infatti l’apertura di varchi di luce che spesso non vengono sopportati dagli
Stadio
Pecceta subalpina
Pecceta montana
alberi(tipo
più interni con conseguente indebolimento
progressivo e aumento della suscettibilità ai danni biotici e abiotici.
strutturale)
Novelleto-spessina
Perticaia
rinnovazione che s'insedia lentamente e in limitata quantità, ma sufficiente per
l'autoperpetuazione; essa si localizza solo in alcuni ambienti favorevoli (dossi, sopra od ai
margini di massi, entro cespugli di ginepro, ecc.); limiti d'insediamento sono dovuti soprattutto a mancanza di calore (almeno 2 ore di sole in giugno-luglio) e alla competizione
della vegetazione spontanea (flora di tagliata, megaforbie) e al pascolo pregresso;
sopporta per lungo tempo la copertura
limitati problemi di stabilità meccanica grazie alla distribuzione multiplana o alla marcata
selezione naturale con formazione di collettivi
condizioni favorevoli per l'insediamento futuro della rinnovazione si avranno evitando
accumuli di sostanza indecomposta (eccessi anche se solo localizzati di copertura) e
creando condizioni di margine
rinnovazione abbondante a gruppi nelle chiarie, ai margini o
anche sotto copertura; difficoltà d'insediamento per
competizione del nocciolo (soprattutto verso il limite inferiore
in situazioni di maggior apporto termico); non sopporta a lungo
la copertura
gravi problemi di stabilità meccanica a causa della distribuzione verticale monoplana con copertura regolare-colma
Fustaia matura
condizioni favorevoli per l'insediamento futuro della rinnovazione si avranno evitando accumuli di sostanza indecomposta (estesi eccessi nella copertura) e creando condizioni di
margine
Tabella. Problematiche colturali che insorgono nelle peccete subalpine e in quelle montane durante i diversi stadi della crescita
Fase di sviluppo-intervento
Rinnovazione - tagli di
accompagnamento
alla
crescita della rinnovazione
Pecceta subalpina
conservare protezione laterale alla rinnovazione per lungo tempo
(possibili brevi periodi di aridità estiva poco tollerati dalla rinnovazione);
evitare pascolo e brucamento di selvatici
Perticaia - diradamenti
in genere non sono richiesti diradamenti; in caso di localizzati eccessi di
copertura comportarsi come nella pecceta montana favorendo piuttosto
che i soggetti più belli quelli più forti; se necessario, in presenza di
movimenti gravitazionali del manto nevoso, lasciare canali di sfogo
Fustaia matura - taglio finale di
rinnovazione
Pecceta montana
necessità di protezione laterale (maggiormente richiesta nei tipi dei suoli
xerici); una volta che la rinnovazione si è affermata va prontamente
liberata; evitare inutili interventi di contenimento del nocciolo o del
rovo
necessità di diradamenti per conferire stabilità meccanica; se chiome
estese da 2/3 a 1/2 h cercare la stabilità individuale con diradamenti
selettivi; se chiome comprese fra 1/2 e 1/3 h puntare sulla stabilità per
collettivi (estesi su una superficie avente diametro pari a h e separati da
corridoi ampi oltre 2 volte la lunghezza dei rami a maturità); se chioma
limitata a 1/3 h evitare di eseguire diradamenti
tagli marginali o ad orlo o successivi a gruppi; taglio a buche od a gruppi
d'estensione variabile, tenendo in considerazione anche le esigenze
economiche, mai comunque oltre 2000 m2; in ambiente basso-montano,
se il soprassuolo è ben preparato con i diradamenti si ha una limitata
comparsa di nocciolo o di rovi
in presenza di distribuzione verticale multiplana eseguire il taglio
saltuario; se piccoli collettivi (6-10 alberi), o cespi, asportare l'intero
aggregato; se collettivi ampi: taglio marginale iniziando con un taglio di
sementazione e proseguendo con tagli secondari durante l'intero
periodo di rinnovazione (durata 40-60 anni); oppure taglio ad orlo;
oppure taglio a strisce inclinate in direzione del sole, oblique rispetto
alla linea di massima pendenza, larghe 1/2 h e lunghe fino a 2 h
Tabella. Modalità di esecuzione degli interventi in corrispondenza delle diverse fasi di sviluppo dei popolamenti rispettivamente nelle peccete subalpine e in quelle montane. Roberto del
Favero, 2002.
190
Località Indicazioni
indice
puntuali
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
ns
ns
Composizione
Picea excelsa 5
Composizione
Picea excelsa 5
Composizione
Picea excelsa 5, Pinus cembra 2 (var.)
Composizione
Picea excelsa 4, Fraxinus excelsior 2
Composizione
Picea excelsa 5
Composizione
Picea excelsa 5, Castanea sativa 3, Corylus
avellana 2, Fraxinus excelsior 2, Ostrya
carpinifolia 2 (var.), Quercus petraea 1
(var.), Tilia cordata 1 (var.), Tilia
platyphyllos 1 (var.)
(P-s-mnt-m)
Alterazioni antropiche e dinamica
Nessuna. Stabile mantenendo un’ordinaria
gestione.
(P-s-ams-x)
Alterazioni antropiche e dinamica
Nessuna; talvolta pascolo bovino pregresso in
genere localizzato. Stabile; possibile una
maggiore partecipazione del larice.
(P-s-ams-m);
P-s-ams-m var. a Sfagni
P-s-ams-m var. Pino cembro
Alterazioni antropiche e dinamica
Nessuna; talvolta pascolo bovino pregresso in
genere localizzato. Stabile; possibile una
maggiore partecipazione del larice in caso di
accidenti.
(P--al)
Alterazioni antropiche e dinamica
Di origine non sempre certa potrebbe essere
frutto d'impianti. Possibile evoluzione verso un
aceri-frassineto in mancanza di disturbi dovuti
ad alluvioni.
(P-sc) 39
P-sc var. Altimontana
Alterazioni antropiche e dinamica
Derivante da interventi di rimboschimento
anche
se
successivamente
diffusasi
spontaneamente. In linea teorica possibili
evoluzioni verso faggete o abieteti (tipo
potenziale), in concreto tende a essere bloccata
per la facilità con cui si rinnova l’abete rosso
rispetto alle altre specie.
(P-st)
P-sc var. con Ostria
P-sc var. dei Suoli acidi
Alterazioni antropiche e dinamica
L’uomo ha favorito le conifere, in parte
spontaneamente presenti, attraverso cure
colturali tese ad allontanare le latifoglie. Stabile
per presenza di rinnovazione anche dell’abete
rosso; possibili contatti o evoluzioni lente verso
altre unità sintoniche con le caratteristiche delle
stazioni.
39
Gestione ed emergenze
Ordinaria gestione; non intensiva nelle aree caratterizzate da
maggiore pressione antropica e nelle aree ad elevato valore
faunistico. Tagli a scelta e leggeri tagli di sementazione per
aumentare i livelli di complessità, regolare il tasso di densità e
identificare soggetti da lasciare a invecchiamento indefinito;
taglio marginale, ad orlo, a strisce e tagli successivi uniformi.
Formazione con ridotta stabilità meccanica potenziale; sono
consigliati interventi di stabilizzazione nei casi di
“secondarizzazione” evidente.
Gestione ed emergenze
Ordinaria gestione ma non intensiva; valorizzazione
paesaggistica; pregio faunistico; taglio marginale, ad orlo, a
strisce e tagli successivi uniformi; l’attenta gestione dei livelli di
densità allontana il soprassuolo dai rischi di shock idrici e rischi
fitosanitari. Pregio faunistico.
Gestione ed emergenze
Ordinaria gestione ma non intensiva; valorizzazione
paesaggistica; pregio faunistico; ordinariamente governata a
fustaia; taglio marginale, ad orlo, a strisce e tagli successivi
uniformi. Pregio faunistico e floristico. Di assoluto valore
ecologico le varianti.
Gestione ed emergenze
Tutela. Valorizzazione paesaggistica; data la limitata superficie
dei singoli soprassuoli gli interventi a carico dell'abete rosso
non possono che essere su piccola superficie e quindi non
influire sul dinamismo naturale. Formazione con ridotta
stabilità meccanica potenziale; sono consigliati interventi di
stabilizzazione. Di grande pregio ecologico.
Gestione ed emergenze
Riqualificazione forestale; ordinariamente governata a fustaia;
la riduzione eccessiva della copertura determina l’ingresso di
una fase a rovi e nocciolo; scarsi risultati hanno gli interventi
d’introduzione artificiale del faggio e soprattutto dell’abete
bianco (danni da ungulati) così come quelli di contenimento del
nocciolo. Formazione con ridotta stabilità meccanica
potenziale; sono consigliati interventi di stabilizzazione;
riqualificazione forestale.
Gestione ed emergenze
Gestione intensiva finalizzata alla riqualificazione forestale; i
tagli d'eliminazione dell'abete rosso se condotti su superfici
relativamente ampie facilitano la rinnovazione della conifera,
mentre tagli che eliminano lentamente e solo in parte l'abete
rosso rischiano di compromettere la crescita delle latifoglie;
sconsigliati gli interventi di contenimento del rovo e del
nocciolo. Formazione con ridotta stabilità meccanica
La gestione di questi soprassuoli in molti casi può risultare molto complessa. Spesso si presentano infatti situazioni con strutture semplificate e densità fuori dalla norma, accompagnate da
una marcata acidificazione del substrati. Recenti interventi attuati a Pontedilegno e Temù sono stati indirizzati nella direzione del diradamento basso modulato a seconda delle diverse situazioni
in diradamento misto, taglio di sementazione e/o taglio di preparazione. Sono stati tagliati tutti i soggetti “indifferenziati” (alberi che pur avendo la stessa età stadiale del soprassuolo
dominante mostrano chiari segni di senescenza precoce), favorendo invece gli alberi migliori e i più stabili. In taluni casi, soprattutto dove è chiaramente necessario intervenire a favore della
“stabilità del collettivo”, gli interventi hanno assunto il vero e proprio valore della selvicoltura di qualità adottata negli aceri-frassineti: sono stati infatti scelti dei veri e propri “candidati” da
rilasciare all’invecchiamento indefinito (alberi dominanti) cercando di ottenere nel contempo una densità di copertura regolare per favorire il graduale riequilibrio dei substrati verso forme
meno acidificate. A tutti gli effetti si tratta di una sorta di leggero taglio di sementazione-preparazione in cui la densità finale dopo il taglio configura un numero di alberi compreso tra 250350/ha. Si ritiene che questo metodo abbia sia benefici economici, perché consente il prelievo di notevoli quantità di legname e non preclude l’eventualità di un taglio finale a fini commerciali,
sia benefici ecologico-paesaggistici perché consente la valorizzazione degli alberi a miglior portamento e il mantenimento di un comunque elevato livello di copertura.
191
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
potenziale; sono consigliati interventi di stabilizzazione.
LARICETI E LARICI CEMBRETI
Lariceto primitivo (L-p)
Lariceto tipico (L-t)
Lariceti
Lariceto in successione con abete bianco (L-Aa)
Lariceto in successione con pecceta (L-P)
Larici-Cembreto primitivo (L-Pc-p)
Larici-Cembreto tipico (L-Pc-t)
Larici-cembreti
Larici-Cembreto con Abete rosso (L-Pc-P)
Cembreta (Pc)
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Megaforbie – Sfagni - Montana
A-B-C-D-E
Lariceti
L-P
Ontano verde – Abete rosso - Mesalpica
Larici-Cembreti
Altimontana
(…) I lariceti si presentano con fisionomie differenti: lo strato arboreo è sempre presente ed è sempre dominato dal larice, mentre nel sottobosco si possono avere
situazioni molto diverse, quali praterie, formazioni a megaforbie, arbusteti a rododendro e mirtillo ecc.
I consorzi forestali che vedono la compartecipazione di larice e cembro sono propri dei distretti ad elevata continentalità (regione endalpica) e a quote comprese tra i
1800 e i 2200 metri (pignatti, 1998). Vegetazioni particolari, spesso relittuali, legate a condizioni bioclimatiche non ottimali, si riscontrano in Valtellina e in
Valcamonica. Qui il cembro, spesso confinato in aree impervie difficilmente accessibili, è accompagnato da specie caratteristiche dei loiseleurieti, degli juniperoarctostaphyleti e dei varieti. Cembrete atipiche, con Nardus stricta, sono invece interpretabili come ricolonizzazione in corso di aree pascolate o di recente abbandono.
(…)
Il larice ha trovato una notevole diffusione rispetto ai suoi ritmi naturali, contestualmente alle cospicue operazioni di rimboschimento ed imboschimento effettuate
dall’uomo dal primo dopoguerra fino agli ultimi anni 80 (specie vicariante nei dell’abete rosso). La sua successiva ulteriore diffusione si è inoltre fortemente accentuata
grazie alle capacità pioniere del larice che, soprattutto nel caso dei boschi cedui a gestione intensiva, si è rinnovato con ritmi sostenuti. Per tali motivi non di rado si
oservano situazioni in cui il larice si presenta con aliquote dominante in ambiti dove in condizioni naturali nemmeno si sarebbe rinnovato. Questo fatto ha causato non
pochi problemi nell’attribuzione del tipo di numerosi ambiti soprattutto in ambito submontano (cedui coniferati), ma anche a quote più elevate (Lariceto in
successione con pecceta). Nel Parco sono segnalati pressoché tutti i tipi segnalati in regione Lombarda ma per quanto attiene i tipi del Larici-Cembreto si tratta spesso
di soprassuoli relitti la cui fisionomia non sempre rispecchia quella tipica di tali boschi. Dal punto di vista cartografico si è fatto riferimento alla Categoria, mantenendo
comunque distinto il tipo Lariceto in successione con pecceta per le sue puntuali caratteristiche.
Inquadramento tipologico
Quest’ampia categoria forestale comprende boschi prevalentemente altimontani e subalpini molto diffusi in ambiente esalpico-endalpico. Il larice, e in
misura più contenuta il cembro, rappresentano infatti i naturali vicarianti dell’abete rosso alle quote più elevate. Nel territorio del parco la formazione più
rappresentata è il Lariceto tipico (L-t) sia nella sua forma tipica, sia nelle sue variante a Megaforbie, a Sfagni, e Montana. Spesso si tratta di soprassuoli
naturali e naturaliformi derivanti da ricolonizzazione arborea di pascoli abbandonati o aree tradizionalmente destinate alla produzione di carbone vegetale;
non mancano però espressioni climax di ambiente altimontano. Altrettanto diffusi, alle quote più elevate ed in corrispondenza delle superfici ad orografia
mossa, sono i Lariceti primitivi (L-p); si tratta di soprassuoli del tutto analoghi ai precedenti ma caratterizzati da strutture marcatamente irregolari e ritmi
di crescita estremamente più lenti (condizionamento topografico-climatico). A quote minori (sotto i 1.800 m) il larice è stato ampiamente diffuso ad opera
dell’uomo che, da sempre, ne apprezza le qualità (chioma leggera che non impedisce il pascolo, straordinaria lavorabilità, qualità tecnologiche, ecc.) In
questi casi, soprattutto laddove il versante ha subito un sensibile abbandono, si è diffusa la tipologia di Lariceto in successione con Pecceta (L-P), ovvero
un’espressione pregressa di ambiente di pecceta. La struttura di questa formazione è decisamente biplana, ma in un tempo relativamente breve tende a
divenire "transitoriamente" multiplana a causa della diversa crescita dei soggetti di abete, per poi tornare più marcatamente monoplana, quando l'abete
rosso prende decisamente il sopravvento. Quando questi meccanismi avvengono a favore dell’abete bianco, la tipologia descritta è il Lariceto in
successione con Abete bianco (L-Aa), assai meno diffusa ma di grande rilevanza forestale. Sotto i 1300 m di quota, fino alla fascia propria di Castagneto
(700-900 m), è osservabile la variante montana del lariceto tipico in cui possono essere presenti anche alcune latifoglie, fra cui soprattutto il frassino
maggiore e il tiglio. Si tratta di formazioni transitorie, formatesi in condizioni particolari quali: estese frane, aree percorse dal fuoco e da ampi tagli eseguiti
in passato. Il confine tassonomico tra i diversi tipi di lariceto è spesso di difficile individuazione perché sono frequenti numerose “formule intermedie”, e
soprattutto perché il larice tende a subire l’aggressione da parte di quasi tutte le altre specie forestali (latifoglie e conifere). Quest’ultimo aspetto è
particolarmente evidente nei casi in cui il larice sia riconducibile agli impianti artificiali di conifere che interessano ampie porzioni di basso versante o alla
consistente diffusione che se ne osserva in molti cedui invecchiati. In questi casi, contrariamente a quanto già osservato per le peccete, dove sono ben
indicate espressioni antropogene di soprassuolo, per quanto riguarda i lariceti artificiali non sono state definite tipologie specifiche (vengono classificati
come L-t var. Montana).
Le formazioni forestali che vedono la partecipazione del cembro nel parco sono meno diffuse rispetto ai lariceti (sono osservabili in maniera pressoché
“puntiforme” nella conca dell’Aviolo in comune di Edolo); questo fatto, in ragione dell’elevato valore ecologico-paesaggistico legato al pino cembro, rende
il Larici-cembreto primitivo (L-Pc-p), il Larici-Cembreto tipico (L-Pc-t) nella sua forma tipica e nelle sue variante con Ontano verde e Mesalpica, il LariciCembreto con Abete rosso (L-Pc-P) e la Cembreta (Pc), formazioni di assoluto valore naturalistico.
Indicazioni gestionali
(…) Una volta abbandanato il pascolo si può osservare un abbastanza rapido ingresso di altre specie, diverse soprattutto in relazione alla regione forestale. Così, in
quella mesalpica, sotto il larice si insedia e s’afferma facilmente la rinnovazione di abete rosso non essendo limitata, almeno per quanto attiene alla luce, dal piano
dominante costituito dal larice (Lariceto in successione con pecceta). La struttura di questa formazione è decisamente biplana, ma in un tempo relativamente breve
tende a divenire “transitoriamente” multiplana a causa della diversa crescita dei soggettivi abete, per poi tornare più marcatamente monoplana, quando l’abete rosso
prende decisamente il sopravvento. Quando questa successione avviene, invece che con l'abete rosso, con l'abete bianco sia ha la variante in successione con abete
bianco del lariceto tipico. (…)
In linea del tutto generale possiamo osservare che, trattandosi perlopiù di soprassuoli altimontani e subalpini ad elevato valore paesaggistico-ecologicoidrogeologico, la loro gestione deve rispondere a schemi prevalentemente conservativi e/o comunque a forme di selvicoltura che non ne alterino i delicati
processi dinamici40. Nel caso specifico delle L-P, la gestione forestale è certamente condizionata da ritmi evolutivi che prevedono una più o meno repentina
progressione verso la categoria della Peccete. Si può tuttavia osservare che, in riferimento ai pregi ecologico-ambientali derivanti dalla mescolanza tra
larice e abete rosso (soprattutto in termini idrogeologici per le note peculiarità consolidanti del larice, ma anche in termini ecologico-paesaggistici), non
sono da suggerire interventi intensivi. Nel caso infine dei L-C, occorre prevedere regimi di tutela puntuale, ricordando a tal proposito che il cembro è
“specie obiettivo”.
40
Molti lariceti del Parco dell’Adamello rappresentano una sorta di lunga fase di ricolonizzazione arborea di aree degradate (ambiti franosi, pascoli, ecc). Pertanto la loro apparente stabilità è
riconducibile ai lunghi cicli del larice stesso ma non è identificabile in una sostanziale fase climax. Nei programmi di gestione dei lariceti quindi occorre avere la giusta cautela per evitare che i
delicati meccanismi di evoluzione vengano alterati sia in senso regressivo (ritorno a condizioni degradate), sia in senso progressivo (taglio intensivo del larice a favore di altre specie: abete rosso,
pino silvestre, ecc).
192
Località indice
Indicazioni puntuali
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Lariceto tipico (L-t). Gestione ordinaria non intensiva, valorizzazione paesaggistica, tutela delle varianti.
Lariceto primitivo (L-p). Libera evoluzione naturale.
Lariceto in successione con Pecceta (L-P). Favorire interventi di rallentamento della progressione verso la pecceta.
(…) Nelle situazioni in cui vi è una maggiore partecipazione dell'abete rosso sembrano, invece, sconsigliabili gli interventi tesi ad accelerare i processi
evolutivi, attraverso tagli di sgombero del larice per creare spazio alla rinnovazione di abete rosso (CROSIGNANI e MAZZUCCHI, 1996).La conservazione del
larice sembra, infatti, opportuna per motivi di ordine economico (il legname di larice è spesso preferito a quello di abete rosso), per esigenze paesaggistiche
e, infine, secondo ott (in verbis), per conservare una certa libertà decisionale. Infatti, favorendo la pecceta difficilmente si potrà ritornare ad un lariceto,
mentre conservando quest'ultimo sarà sempre possibile decidere di optare a favore della pecceta che, fra l'altro, presenta maggiori problemi di stabilità
meccanica. Lo stesso Ott, come unico intervento di cura, consiglia di eliminare gli individui di abete rosso troppo sviluppati che tendono a far innalzare la
chioma dei sovrastanti larici. Infatti, affinché quest'ultimi abbiano una buona stabilità ed elevate produzioni, sia di legno e sia di seme, devono conservare la
chioma da metà ad almeno un terzo della lunghezza del fusto (…)
Larici-Cembreti. Libera evoluzione naturale.
L’intera cornice arborea altimontana che dall’Adamello percorre il perimetro del Parco fino alla Valle del Gaver a Breno, è caratterizzata dalla presenza di
larici secolari di aspetto monumentale.
Lariceto monumentale di località Conca Zumella-Volano a Paspardo e Cimbergo. Lariceto monumentale di località Foppe a Braone. In località Madonnina a
Niardo, nella parte più alta del versante, è osservabile un soprassuolo che presenta le caratteristiche proprie di Lariceto in successione con abete bianco.
Di grande interesse storico-culturale sono inoltre i numerosi lariceti di origine artificiale risalenti agli anni 30 in piena epoca fascista e spesso contraddistinti
dall’acronimo “Bosco dell’Impero” (località Pezzo a Pontedilegno e località Bazena a Breno). I lariceti artificiali sono stati molto diffusi anche nel secondo
dopoguerra, e soprattutto a quote inferiori sia a scopo protettivo (lariceto del Dosso Croce a Berzo Demo), sia a scopo produttivo (arboricoltura da legno
lariceto delle Campanine a Cimbergo). Nella Conca dell’Aviolo in comune di Edolo, sono osservabili le uniche espressioni di Larici-Cembreto del Parco.
Composizione
Larix decidua 3, Betula pendula 2, Picea
excelsa 2
Composizione
Larix decidua 5, Corylus avellana 4, Betula
pendula 2, Populus tremula 2, Abies alba 3
(var.), Castanea sativa 1 (var.), Fraxinus
excelsior 1 (var.), Quercus petraea 1 (var.)
Composizione
Larix decidua 4, Picea excelsa 2
Composizione
Larix decidua 3, Pinus cembra 3
Composizione
Larix decidua 4, Pinus cembra 3, Alnus
viridis 2 (var.)
Composizione
Pinus cembra 4, Larix decidua 3, Picea
excelsa 3
Composizione
Pinus cembra 4
Lariceto primitivo (L-p)
Alterazioni antropiche e dinamica
Nessuna. Stadio durevole per condizionamenti edafici.
Lariceto tipico (L-t)
L-t var. Montana
L-t var. a Megaforbie
L-t var. a Sfagni
Alterazioni antropiche e dinamica
In passato spesso conservata artificiosamente in
purezza per consentire un uso multiplo (pascolo e
produzione di legno). Stabile, nel breve periodo,
raramente evolve verso la pecceta.
Lariceto in successione con Pecceta (L-P)
Alterazioni antropiche e dinamica
Spesso attività pregresse di pascolo o di sfalcio
dell’erba. Rapida evoluzione verso uno dei tipi di
pecceta.
Larici-cembreto primitivo (L- Pc -p)
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile
Larici-Cembreto tipico (L- Pc -t)41
L-t var. con Ontano verde
L-t var. a Mesalpica
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; possibile futura espansione per ricolonizzazione
dei pascoli
Larici-Cembreto con Abete rosso (L- Pc -P)
Alterazioni antropiche e dinamica
Progressiva evoluzione verso una pecceta
Cembreta (Pc)
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile; possibile ingresso lento del larice
Gestione ed emergenze
Libera evoluzione naturale..
Gestione ed emergenze
La gestione forestale, prevalentemente nei lariceti di
medio versante può essere attuata secondo gli schemi
classici della selvicoltura purché attuati in forme non
intensive (valorizzazione paesaggistica). Formazione di
pregio paesistico; la conservazione è favorita
dall'abbandono della gestione ordinaria e dall'adozione
di particolari accorgimenti di cura volti a migliorare le
caratteristiche dei larici (allontanamento degli abeti
vicini ai larici migliori e cure nelle situazioni troppo
dense). Gestione attenta dei lariceti artificiali evitando
di accelerare i processi evolutivi del soprassuolo; pregio
floristico delle varianti
Gestione ed emergenze
Gestione produttiva secondo gli schemi classici della
selvicoltura; sconsigliabili gli interventi di eliminazione
del larice (conservazione di elementi stabilizzanti,
possibilità di rimandare ad un successivo momento la
scelta di accelerare l’evoluzione); nessuna emergenza
significativa.
Gestione ed emergenze
Libera evoluzione naturale (pregio tipologico)
Gestione ed emergenze
Libera evoluzione naturale (pregio tipologico; pregio
faunistico per la var. con Ontano verde)
Gestione ed emergenze
Lasciare alla libera evoluzione
tipologico)
naturale (pregio
Gestione ed emergenze
Lasciare alla libera evoluzione
tipologico)
naturale (pregio
MODELLO DI
FUNZIONAMENTO
ALNETI
41
A-B-C-D-E
Questa tipologia è rilevabile solo in aree puntiformi a ridosso dei Laghi d’Avio, soprattutto nella sua Variante con Ontano verde, i parametri biometrici e gestionali riportati assumono pertanto
significato unicamente informativo.
193
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Alneto di ontano verde (Al-v)
Alneto di ontano nero d’impluvio (Al-g-i)
Alneto di ontano bianco (Al-i)
Alnete
Alneto di ontano verde
Alneto di ontano nero d’impluvio
Alneto di ontano bianco
Inquadramento tipologico
Indicazioni gestionali
La gestione di questi soprassuoli risponde pressoché esclusivamente a necessità di tutela e valorizzazione.
(…) Nel complesso gli alneti costituiscono delle formazioni forestali di elevato valore naturalistico e di particolare interesse storico-paessagistico, in quanto
lembi residuali di ben più vaste superfici forestali ridotte nell'ultimo secolo dall'espansione delle colture agrarie intensive. Diviene, quindi, prioritario nella
loro gestione conservarne la presenza che d'altra parte non è difficile grazie alla generale facilità con cui avviene la rinnovazione sia agamica sia gamica.
Da sconsigliare sono gli eventuali interventi, peraltro spesso fallimentari, tesi ad eliminare gli ontani per recuperare, anche solo a fini paesaggistici, i pascoli
di bassa quota (MENGUZZATO, 1976). Da ben valutare sono anche gli eventuali interventi d'eliminazione degli alneti in aree ad alto rischio idraulico, mentre
in queste zone sono sempre opportuni i tagli per allontanare i soggetti di abete rosso che talvolta entrano in queste formazioni
Anche gli alneti di ontano verde pongono alcuni particolari problemi gestionali. In primo luogo si può segnalare che, in generale, nessun affidamento in
termini evolutivi può essere riposto sui soggetti sparsi di larice, talvolta presenti. Viceversa, alle quote inferiori e nelle situazioni più favorevoli, dove l'alneto
è presente da lungo tempo e i soggetti risultano “spogliati” nella parte basale a causa dell'eccessiva copertura, si può notare un limitato ingresso del larice e
dell'abete rosso che fa supporre una certa propensione evolutiva della formazione, almeno là dove cessino o non sussistano i fenomeni valanghivi, anche su
piccola superficie. Considerando la spontanea capacità ricolonizzatrice dell'ontano verde, non sono consigliabili i tentativi di allargare artificialmente la sua
area di diffusione. Poco opportuni appaiono anche gli interventi tesi ad introdurre artificialmente nell'alneto le conifere, operazioni spesso destinate al
fallimento, sia per la scarsa attitudine dei siti al rimboschimento e sia per l'elevata capacità competitiva dell'ontano. Inoltre, è opportuno ricordare che
quest'alneto contribuisce a movimentare il paesaggio e ad ospitare interessanti entità floristiche e faunistiche (COLPI e MASUTTI, 1984; BOTTAZZO e DE
FRANCESCHI, 1996), per cui il suo "coniferamento" non risulta auspicabile (…)
ns
Località
indice
Le formazioni caratterizzate dalla significativa presenza di specie del gen. Alnus sono molto diffuse nel Parco e la tipologia certamente più rappresentata è
l’Alneto di ontano verde (Al-v), i cui arbusteti rappresentano la formazione forestale dominante in ambiente subalpino; ben rappresentate ma sempre
relegati in piccoli lembi boscati a margine di aste fluviali e di prati umidi di fondovalle, sono inoltre le formazioni dell’Alneto di ontano nero d’impluvio (Alg-i), dell’Alneto di ontano nero tipico (Al-g-t) e dell’Alneto di ontano bianco (Al-i).
(…) Esse, in buona parte, derivano da processi di ricolonizzazione di prati e pascoli di bassa quota in cui l'attività alpicolturale avveniva solitamente prima e
dopo la monticazione. Si tratta per lo più di ambienti non interessati da ristagni idrici, ma dove l'acqua corrente è molta, sia in superficie e sia nei primi
strati del suolo.
Nello strato arboreo, oltre all'ontano bianco, sono presenti occasionalmente il frassino maggiore, l'acero di monte, il faggio e, soprattutto nella regione
endalpica, l'abete rosso. Quest'ultimo tende a diffondersi sotto la copertura dell'ontano e alla lunga potrebbe prendere il sopravvento, creando, qualora
l'invasione avvenisse in vicinanza di alvei, non pochi problemi all'efficienza idraulica di queste zone. In generale, l'alneto di ontano bianco può ritenersi, a
meno del ripetersi di frequenti ringiovanimenti del suolo, una fase transitoria verso l'aceri-frassineto o verso la pecceta azonale su alluvioni (…)
Tipologie
Gli ontani sono molto diffusi sull’intero territorio del Parco e, oltre alle diffuse ed estese Alnete di verde, sono rilevabili anche più o meno circoscritti tipi di Alneta di
ontano bianco e Alneta di ontano nero.
Alnete di ontano nero di Loa a Berzo Demo.
Composizione
Alnus viridis 5
Composizione
Alnus incana 5, Acer pseudoplatanus 2,
Fraxinus excelsior 2
Composizione
Alnus glutinosa 5, Corylus avellana 2
Composizione
Alnus glutinosa 5, Corylus avellana 2
Alneto di ontano verde
Alterazioni antropiche e dinamica
Pregressa attività pascoliva. Evoluzione verso
cenosi boschive più mature (lariceti, peccete,
cembrete) impedita dai ricorrenti fenomeni
valanghivi.
Alneto di ontano bianco
Alterazioni antropiche e dinamica
Spesso sostituito da aree destinate al pascolo
nelle stagioni intermedie. Quelli esalpici e
mesalpici tendono lentamente ad evolvere
verso gli aceri-frassineti; quelli endalpici sono
lentamente invasi da singoli soggetti di abete
rosso.
Alneto di ontano nero d’impluvio
Alterazioni antropiche e dinamica
Spesso sostituito da prati e pascoli di bassa
quota; relativamente stabile con possibili lente
evoluzioni a seconda della quantità di specie
minoritarie presenti.
Alneto di ontano nero tipico
Alterazioni antropiche e dinamica
Stabile.
MUGHETE
Gestione ed emergenze
Da lasciare alla libera evoluzione naturale (da sconsigliare
interventi di taglio dell’ontano per il recupero di aree pascolive
e radure a favore della fauna). Pregio faunistico; lasciata
all’evoluzione naturale per limiti stazionali. Pregio tipologicovegetazionale; la conservazione è favorita dall'abbandono
Gestione ed emergenze
Interventi di valorizzazione tipologica; non ordinariamente
gestita. Pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è
favorita dall'abbandono. Valorizzazione paesaggistica
Gestione ed emergenze
Pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è favorita dal
mantenimento di un'ordinaria gestione selvicolturale
Gestione ed emergenze
Pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è favorita dal
mantenimento di un'ordinaria gestione selvicolturale;
formazione con ridotta stabilità meccanica potenziale; sono
consigliati interventi di stabilizzazione; in aree di pregio
faunistico (garzaie) può essere adottata una matricinatura del
ceduo intensa, fino a 200 soggetti per ettaro e/o impiegato un
approccio planimetrico-spartitivo con alcune varianti
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
194
ns
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Mughete
Mugheta mesoterma (Pm-ms)
Mugheta microterma dei substrati carbonatici (Pm-mc-c)
Mugheta microterma dei substrati silicatici (Pm-mc-s)
Suoli decalcificati
Sfagni
Mughete
(…) Le mughete in Lombardia sono relativamente diffuse andando ad occupare ambienti anche notevolmente diversi dal punto di vista climatico, ma non edafico. Si tratta,
infatti, in tutti i casi di formazioni tipiche di suoli superficiali formatisi su alluvioni e/o detriti di falda lungo versanti più o meno acclivi (regosol e leptosol). (…)
Nel Parco le mughete si localizzano a quote molto elevate (ai limiti della vegetazione arborea), in situazioni marcatamente detritiche e/o comunque caratterizzate da
una sostanziale variabilità geolitologica (conoidi e porzioni basali delle rupi). Per tale motivo si è deciso di adottare anche in questo caso una rappresentazione
cartografica riferita alla Categoria. Si possono osservare Mugheta microterma dei substrati carbonatici (Pm-mc-c), sia nella sua forma tipica che nella variante dei
Suoli decalcificati, e la Mugheta microterma dei substrati silicatici (Pm-mc-s) che nella sua forma tipica che nella preziosa variante a Sfagni. A quote comprese tra i
1.300-1.700 m è presente e sporadica la Mugheta mesoterma (Pm-ms). Per ovvi motivi la gestione di questi soprassuoli deve rispondere alle logiche della libera
evoluzione naturale, rafforzata da indirizzi di gestione volti all’assoluta protezione e tutela per motivi naturalistici.
Composizione
Pinus mugo 5, Larix decidua 2
Composizione
Pinus mugo 5
Composizione
Pinus mugo 5, Larix decidua 2
Mugheta mesoterma
Alterazioni antropiche e dinamica
Stadio durevole per condizionamento edafico
Mugheta microterma dei substrat silicatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Pregressa attività pascoliva. Evoluzione verso cenosi
boschive più mature (lariceti, peccete, cembrete)
impedita dai ricorrenti fenomeni valanghivi.
Mugheta microterma dei substrati carbonatici
Alterazioni antropiche e dinamica
Stadio durevole per condizionamento edafico
FORMAZIONI PARTICOLARI
Saliceto di ripa
Saliceto di greto
Saliceto a Salix cinerea
Formazioni
Saliceto a Salix caprea
particolari
Formazioni di pioppo tremulo
Formazioni di sorbo degli uccellatori
Formazioni di maggiociondolo alpino
Gestione ed emergenze
Lasciata all’evoluzione naturale per limiti stazionali;
formazione con elevato valore pirologico
Gestione ed emergenze
Lasciata all’evoluzione naturale per limiti stazionali.
Formazione con elevato valore pirologico; var. a sfagni:
pregio tipologico-vegetazionale.
Gestione ed emergenze
Lasciata all’evoluzione naturale per limiti stazionali;
formazione con elevato valore pirologico
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
ns
Formazioni ripariali
Vedi “Formazioni caotiche”
In questa categoria sono inclusi piccoli lembi boscati stabili perlopiù costituiti da specie del genere Salix. Nel territorio in esame si tratta di formazioni più o meno
frastagliate la cui importanza assume connotati preziosi per il mantenimento dei cosiddetti “corridoi ecologici” (formazioni di margine). Questi soprassuoli raramente
superano estensioni di 1000-2000 mq e pertanto la loro gestione cartografica è risultata estremamente difficoltosa, tanto da suggerire di includere queste formazioni
nella categoria delle Formazioni caotiche. Tale semplificazione non dev’essere tuttavia interpretata nell’ottica di una sorta di declassamento di tali soprassuoli,
ricordanto a tal propostico che si tratta di ambiti per i quali le linee di indirizzo gestionale del Parco prevedono regimi di tutela e salvaguardia pressoché assoluti.
Saliceto di ripa (Sx-r)
Saliceto di greto (Sx-g)
Saliceto a Salix cinerea
Saliceto a Salix caprea
Formazioni di pioppo tremulo (Pp-t)
Formazioni di sorbo degli uccellatori
(Sb)
Descrizione. Si tratta di consorzi vegetazionali più o meno stabili in cui l’elemento arboreo di maggior rilievo e certamente
identificabile nella presenza di Salix alba e Populus nigra. La loro importanza forestale si può riassumere in tre punti
principali:
- Valore ecologico. Formazioni riparie di grande valore floristico (stazioni di Equisetum e Arundeti) e faunistico (anfibi,
fauna ittica, avifauna acquatica e migratoria, ecc.).
- Valore idrogeologico. Trattandosi di formazioni durevoli inserite nel sistema dinamico dell’asta fluviale costituiscono un
elemento certo di stabilizzazione dell’alveo.
- Valore paesaggistico. Si tratta di “boschi di fondovalle” cresciuti a ridosso delle aree artigianali e degli insediamenti
abitativi per cui assumono un importante significato di “tamponi verdi”.
Modello di funzionamento (B+C+D). Libera evoluzione naturale (pregio paesaggistico, idrogeologico e faunistico; tutela e
valorizzazione). Interventi di riqualificazione a scopo paesaggistico (creazione di “percorsi verdi”) e di riqualificazione
fisionomico-strutturale per il contenimento dell’eventuale sovrapposizione con i robinieti e l’allontanamento di piante
esotiche invasive (Ailantus altissima, Buddleja Davidii).
Descrizione. Formazioni arbustive riparie molo diffuse lungo gli argini fluviali e caratterizzate dalla pressoché dominante
presenza di Salix eleagnos e Salix purpurea. Sono inclusi anche in questa tipologia anche i preziosi microlembi di saliceto a
Salix foetida delle torbiere del Tonale.
Modello di funzionamento (B+C+D). Libera evoluzione naturale (pregio idrogeologico, tamponi verdi); di enorme rilevanza
ambientale sono i lembi residui di saliceti (salix fetida, Salix nigricans e Salix appendiculata nelle Torbiere del Tonale).
ns
Descrizione. Il salicone è una specie tipica nei processi di ricolonizzazione delle superfici forestali “nude” ma può anche
costituire formazioni a maggior durata (impluvi con falde freatiche superficiali ma non affioranti). Il saliceto rappresenta in
ogni caso una fase determinante nell’evoluzione dell’ecosistema forestale per cui dev’essere oggetto di particolare tutela.
Nell’area in esame questa formazione è variamente presente su tutto il territorio ma si segnala anche in forma estesa a
ridosso delle malghe Campadelli e Ferone.
Modello di funzionamento (B+C+D). Libera evoluzione naturale (pregio idrogeologico, ecologico, faunistico, forestale, ecc).
Descrizione. Il pioppo tremulo, così come il salicone e la betulla, assume un’importanza primaria nei processi di
ricolonizzazione delle superfici forestali “nude” per le notevoli qualità della lettiera che produce (ricca di azoto e
facilmente degradabile). Si tratta di formazioni tipicamente poco durevoli e mai estese per le quali occorre prevedere
assoluta salvaguardia.
Modello di funzionamento (D). Libera evoluzione naturale (elevata resistenza al fuoco, pregio paesaggistico e floristico;
salvaguardia del pioppo nelle situazioni in cui partecipa come specie accessoria nelle altre formazioni). Molto fragile al
vento.
Descrizione. Il sorbo degli uccellatori, spesso accompagnato dal suo equivalente montano (Sorbus aria) e da altre specie
ad attitudine prevalentemente pioniera (Betula pendula, Larix decidua, Rosa canina, Populus tremula, ecc.), si può trovare
195
PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
Formazioni di maggiociondolo alpino
(Mc)
anche in “microformazioni forestali” stabili (in alcuni casi anche estese). Si tratta di soprassuoli molto rari per i quali
occorre prevedere rigidi regimi di salvaguardia e tutela (enorme valore paesaggistico ed ecologico).
Modello di funzionamento (A+D). Libera evoluzione naturale (pregio paesaggistico e faunistico; salvaguardia del sorbo
nelle situazioni in cui partecipa come specie accessoria nelle altre formazioni).
Descrizione. Sporadica nelle aree più a sud del parco.
Modello di funzionamento. ns.
FORMAZIONI ANTROPOGENE E IMPIANTI ARTIFICIALI DI CONIFERE
A questa categoria appartengono tutti quei tipi di bosco la cui origine è strettamente legata all’azione dell’uomo che ha favorito, soprattutto attraverso operazioni di
rimboschimento localizzate e/o irrazionali operazioni di taglio, l’affermarsi di specie esotiche e/o specie forestali al di fuori del proprio areale vegetativo. Nel territorio
in esame sono rilevabili numerosi tipi di derivazione antropogena tra cui il Robinieto misto (R-m) e il Robinieto puro (R-p), oltre agli Impianti artificiali di conifere
(Art).
ROBINIETI
Formazioni
antropogene
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
Robinieto puro (R-p)
Robinieto misto (R-m)
Robinieto
Laddove nelle situazioni di versante si sono osservate forme di gestione intensiva del bosco ceduo, si assiste a non infrequenti
ingressi di robinia che, sfruttando la propria capacità di diffusione agamica tende progressivamente ad imporre la propria
dominanza.
Qualora non si preveda il recupero dei vecchi terrazzi dell’agricoltura tradizionale per finalità paesaggistiche, queste formazioni
dovranno essere gestite prevedendo il progressivo invecchiamento della robinia che solo dopo i 30 anni esaurisce la propria facoltà
di riproduzione agamica (polloni radicali) lasciando spazio alle latifoglie autoctone. Particolare attenzione inoltre dovrà essere
comunque adottata per la gestione forestale delle tipologie contigue a queste superfici in quanto la robinia spesso giova in maniera
determinante di tagli intensivi anche per piccole superfici (oltre al carattere fortemente pioniero, la robinia è spiccatamente eliofila).
I tagli dei castagneti, dei querceti e delle atre formazioni a contatto con il robinieto dovranno quindi essere sempre effettuati
prevedendo di mantenere un buon tasso di copertura.
La robinia – Robinia pseudoacacia rappresenta una tra le specie esotiche attualmente più diffuse nelle aree agricole abbandonate di
fondovalle. Questo fatto è ben osservabile anche nel territorio del parco dove, sta “invadendo” sempre maggiori lembi di superfici
soprattutto marginali agli ambiti agrari (terrazzamenti).
(…) Per quanto concerne la gestione dei robinieti, la capacità di questa specie di formare boschi puri è legata ad un regime di tagli
frequenti e a raso, condizione che è verificata appunto nel governo a ceduo. Se il taglio non è effettuato troppo oltre il turno
consuetudinario (non più di 20-25 anni), viene mantenuta la vitalità e la sua aggressività nei confronti delle altre specie arboree
nonché la sua capacità d'espandersi. Nel caso il robinieto abbia un'età superiore si assiste ad una forte competizione intraspecifica
che porta ad una riduzione del numero di individui a 300-800 soggetti a ettaro e alla formazione, nelle situazioni migliori, di una sorta
di fustaia da polloni oppure, in quelle peggiori, al collasso del popolamento. In questa fase, se vi è la disponibilità del seme, si verifica
l'ingresso con possibilità di sviluppo delle specie autoctone. BERNETTI (1995), MONDINO e SCOTTA (1987) e MONDINO e altri (1997)
segnalano, in popolamenti anche non troppo invecchiati della Collina di Torino (oltre 20 anni, se vi sono più di 2000 soggetti per
ettaro con diametro medio superiore a 15 cm), la comparsa sotto copertura dell'acero montano, di quello riccio e dell'olmo
montano. (…)
Robinieto misto (R-m)
Robinieto puro (R-p)
Composizione
Robinia pseudacacia 5,
Sambucus nigra 2
Composizione
Robinia pseudacacia
Quercus pubescens
Corylus avellana
Celtis
australis
Fraxinus excelsior
Carpinus betulus
Quercus petraea
Castanea sativa 2
A-B-C-D-E
4,
3,
3,
2,
2,
2,
2,
Alterazioni antropiche
formazione di origine
antropica anche se
successivamente
diffusasi
spontaneamente
Alterazioni antropiche
formazione di origine
antropica anche se
successivamente
diffusasi
spontaneamente
Robinieti
Dinamica
stabile, almeno nel medio
periodo
Dinamica
lenta evoluzione verso l’ornoostrieto
IMPIANTI ARTIFICIALI DI CONIFERE
Gestione
la
ceduazione
favorisce
l’attuale
composizione
tendendo ad espandere
spazialmente la formazione;
Emergenze
ns
Gestione
la ceduazione ristabilisce la
netta
prevalenza
della
robinia pregiudicando la sua
sostituzione; inutili sono
anche gli interventi di
cercinatura
Emergenze
ns
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
ns
Per quanto attiene infine gli Impianti Artificiali di Conifere, vale invece quanto già citato in precedenza in merito alla decisione di attribuirli comunque alla categoria
corrispondente più verosimile (vedasi il tipo Peccete di sostituzione). Occorre inoltre sottolinerare che nel Parco sono assai rari e circoscritti gli impianti effettuati con
conifere esotiche (ad eccezione della Pineta di pino strobo della Croce di Sonico).
FORMAZIONI CAOTICHE
Formazioni caotiche
MODELLO DI FUNZIONAMENTO
E
Formazioni caotiche montane e submontane
Formazioni caotiche altimontane e subalpine
Formazioni caotiche montane e submontane
Formazioni caotiche altimontane e subalpine
Come abbiamo già più volte osservato in precedenza, nel Parco sono molto diffusi soprassuoli caratterizzati da marcato disordine fisionomico-strutturale di difficile
classificazione tipologica. Al fine di evitare attribuzioni forzose, basate più su valutazioni di merito della tipologia “potenziale” che non sul dato reale, si è preferito
inserire questi soprassuoli in un’unica grande categoria denominata Formazioni caotiche.
Dal punto di vista cartografico sono state distinte due grandi tipologie in relazione alla fascia altitudinale in cui si collocano: Formazioni caotiche montane e
submontane (a quote inferiori a 1.350 m) e Formazioni caotiche altimontane e subalpine (a quote superiori a 1.350 m). In questo modo si è ritenuto di rendere più
agevole la lettura gestionale dei due tipi di bosco distinguendo in maniera sostanziale due situazioni tra loro estremamente diversificate: nel primo caso si tratta infatti
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
di soprassuoli il cui “disordine” tipologico è prevalentemente attribuibile a cause di tipo gestionale (tagli irrazionali del medio basso versante), mentre nel secondo
caso il disordine può essere invece più verosimilmente ricondotto a condizionamenti di tipo naturale (difficoltà climatiche ed orografiche).
Vediamo alcune situazioni tipiche di entrambe le tipologie:
-
Cedui a gestione occasionale. Abbiamo già più volte osservato come, nei casi di gestione occasionale e/o intesiva dei boschi cedui del Castagneto o dell’OrnoOstrieto, molte formazioni montane e submontane di latifoglie siano spesso caratterizzate da marcato disordine fisionomico-strutturale, spesso accentuato da
fenomeni consistenti di coniferamento. Possiamo generalizzare alcuni esempi:
-
-
-
Soprassuoli giovani con porzione del ceduo in fase attiva. È possibile ipotizzare una valorizzazione del bosco ceduo ma subordinata a:
- deconifermento a scapito dell’abete rosso e dei pini esotici (lo sgombero del larice, non essendo questi una specie antagonista e costituendo altresì un
prezioso volano di stabilità, assume caratteri meno urgenti);
- rilascio delle latifoglie diverse dal castagno;
- valorizzazione delle specie accessorie (ginepro, pino silvestre, arbusti bacciferi, ecc.);
- interventi di taglio e cura del castagno in regressione (taglio sul nuovo).
Soprassuoli invecchiati con porzione del ceduo in regressione. Il mantenimento di buoni livelli di copertura è una condizione necessaria per invertire la
fase di regressione e scongiurare lo stabilizzarsi dei rovi (evitare di aprire troppo il soprassuolo con la scusa di asportare le conifere). Nei casi di buona
densità di latifoglie a discreto portamento (cedui invecchiati), rilascio delle sole conifere a portamento migliore possibilmente a piccoli cespi.
Garighe e aree invase dal rovo. Le situazioni più degradate, soprattutto dove si sono ripetuti successivi incendi, si consolidano in garighe e/o superfici
nettamente dominate dai rovi. In questi casi è molto difficile proporre una standardizzazione di indirizzo gestionale almeno fino a quando non siano
osservabili i primi segnali di reingresso naturale di specie arboree.
-
Ricolonizzazione arborea di ambiti agricoli abbandonati. Sono stati inclusi in questa categoria anche i soprassuoli caotici formatisi a seguito di ricolonizzazione
arborea dei numerosi ambiti agrari abbandonati (prati terrazzati, segaboli, ecc.). Si tratta di una situazione molto diffusa soprattutto nel medio basso versante
del Parco nettamente distinta dalle situazioni meglio definite di ricolonizzazione arborea in Corileti, Robinieti e Aceri-Frasssineti. In molti casi infatti la
ricolonizzazione di queste aree è casuale e confusa e non riesce ad indirizzarsi in nessuna forma riconoscibile di soprassuolo 42. La gestione forestale di queste
situazioni deve tener conto ovviamente delle eventuali necessità di recupero della produzione agricola e/o dei terrazzamenti in genere e, pertanto, può anche
prevedere operazioni di taglio a raso e decespugliamento, rilasciando eventualmente solo gli alberi con elevata funzione paesaggistica quali il ciliegio, l’acero
campestre, l’olmo e le specie fruttifere a portamento arbustivo. Negli altri casi sarebbe invece opportuno prevedere la libera evoluzione naturale almeno fino a
quando non sia riconoscibile l’ossatura di un eventuale tipologia meglio codificata. Tale necessità è particolarmente indicata soprattutto dove sussiste il rischio
di ingresso massivo di ailanto o il consolidamento in robinieto.
-
Formazioni altimontane. Alle quote più elevate a causa dei naturali condizionamenti orografici ed edafici, ed in corrispondenza di numerose aree pascolive
abbandonate, i soprassuoli assumono forme estremamente variabili e non di rado si osservano sovrapposizioni marcate tra le formazioni proprie delle conifere e
quelle delle latifoglie. La gestione forestale di queste situazioni ovviamente dev’essere orientata perlopiù in ottiche di tipo conservativo (libera evoluzione
naturale), fatta eccezione per quegli interventi pianificati di recupero e valorizzazione delle aree a pascolo attivo.
-
In questa categoria, sono state inserite anche le Formazioni particolari del pioppo tremolo, del salicone, del maggiociondolo e del sorbo degli uccellatori che
sono presenti sul territorio del Parco con formazioni diffuse ma estremamente circoscritte (raramente superiori ai 1.000 mq). Anche in questo caso la gestione
forestale è orientata in ottiche di pressoché esclusiva valorizzazione (libera evoluzione naturale).
42
Una situazione molto interessante ma ancora poco conosciuta in bibliografia, riguarda l’attitudine dell’olmo montano a ricolonizzare i prati terrazzati abbandonati fino a formare
microsoprassuoli anche di una certa estensione. Nel parco tale situazione è facilmente osservabile nei comuni di Paspardo, Ceto e Cimbergo.
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PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE PER LE FORESTE DEI COMUNI
DI INCUDINE-VEZZA D’OGLIO-VIONE-TEMÙ-PONTEDILEGNO COMPRESE NEL PARCO DELL’ADAMELLO
CARTOGRAFIA
1. Carta degli elementi Antropici e degli Alpeggi (scala 1:20.000)
2. Carta dell’Uso del Suolo (scala 1:20.000)
3. Carta delle tipologie Forestali (scala 1:20.000)
4. Carta delle Attitudini e Funzioni Prevalenti (scala 1:20.000)
5. Carta delle Trasformazioni e delle aree trasformabili(scala 1:20.000)
6. Carta del Rischio d’Incendio (scala 1:20.000)
7. Carta della rete ecologica locale (scala 1:20.00)
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