BSE Eziologia e patogenesi

Transcript

BSE Eziologia e patogenesi
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Capitolo 2 - EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI DELLA BSE
Le malattie cosiddette “da prioni” o encefalopatie spongiformi trasmissibili sono una
categoria di processi morbosi neurodegenerativi che colpiscono sia l’uomo sia gli animali. Si
parla di forme trasmissibili perché possono essere trasmesse ai mammiferi attraverso
l’inoculazione di tessuti infetti o, in determinati casi, attraverso la via alimentare. Queste
malattie sono tutte associate all’accumulo negli encefali colpiti di una glicoproteina abnorme
isoforma codificata dall’ospite, la proteina prionica (PrP), che sembra essere la componente
principale, forse essenziale (probabilmente la sola), dell’agente trasmissibile o prione. La
PrPsc(1) isoforma, correlata alla malattia, può essere differenziata da quella cellulare normale
isoforma PrPc(2) per la sua insolubilità e per la parziale resistenza alle proteasi. La PrPsc
deriverebbe dalla PrPc per un meccanismo post traslazionale che sembra implicare una
modificazione di conformazione piuttosto che covalente.
Le ricerche di genetica molecolare umana a livello transgenico e gli studi di
conversione in vitro propongono un modello di propagazione dei prioni che comprende
un’interazione diretta proteina-proteina tra la PrPc dell’ospite e la PrPsc inoculata; la PrPsc
agisce in modo tale da promuovere un’ulteriore conversione della PrPc in PrPsc tramite un
processo autocatalitico che procede a cascata in modo più efficiente quando le proteine
interagenti presentano la stessa struttura primaria.
Oltre alla biologia unica e peculiare di queste malattie, che ha sempre fortemente
richiamato l’attenzione di moltissimi ricercatori, la comparsa e lo sviluppo in forma
epidemica della BSE in Gran Bretagna e successivamente anche in altri Paesi Europei, ha
incrementato ancor più l’interesse degli studiosi e dell’opinione pubblica per l’eventualità che
le TSE rappresentino una seria minaccia per la salute pubblica, soprattutto a seguito
dell’ingestione di carni infette di bovini colpiti dalla BSE. Tra l’altro la BSE è anche
responsabile di TSE in un certo numero di altre specie animali come i gatti domestici (FSE),
ungulati esotici in cattività (Nyala e Kudu), presumibilmente a seguito dell’ingestione di carni
contaminate dall’agente dell’encefalopatia bovina.
Nell’uomo esistono diversi tipi di encefalopatie spongiformi che sostanzialmente
possono essere distinte in ereditarie, acquisite e sporadiche. All’incirca il 15% di queste forme
è costituito da malattie ereditarie associate a mutazioni della codificazione nel gene della
proteina prionica (PRNP). Le malattie acquisite comprendono il Kuru e la CJD iatrogena. Vie
iatrogene di trasmissione ben note sono i trattamenti con ormone della crescita o
gonadotropina ricavati dall’ipofisi di cadaveri, i trapianti di dura madre o di cornea, e l’uso di
strumenti neurochirurgici non adeguatamente sterilizzati. Comunque la maggior parte delle
encefalopatie spongiformi umane si manifesta come CJD sporadica, nella quale o per la quale
mancano i riferimenti relativi a mutazioni patogene della PRNP o una storia di esposizione
iatrogena.
La comparsa di una nuova forma di encefalopatia registrata soprattutto in Gran
Bretagna, che colpisce inaspettatamente giovani persone e presenta aspetti clinico-patologici
del tutto caratteristici, fa ritenere che ci si trova di fronte ad una nuova entità nosologica con
ogni probabilità diversa dalla CJD sporadica, e per questo denominata ”nuova variante CJD”,
che potrebbe essere attribuita all’esposizione a carni (o meglio frattaglie) di bovini infettati
dall’agente della BSE.
Tutti i pazienti affetti dalla vCJD e sottoposti ad esame neuropatologico e di
laboratorio (immunoistochimica, immunoblot, ecc.) sono omozigoti per la metionina al
residuo polimorfo 129 della PrP e non offrono a considerare alcuna mutazione della
42 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
codificazione. Inoltre nessuno di questi ha una storia di esposizione iatrogena a prioni umani.
Studi condotti con la tecnica del western blotting hanno accertato che il tracciato
della PrP resistente alla proteasi, determinato dalla minore o maggiore glicosilazione della
proteina è identico per i casi di vCJD mentre è diverso per la forma classica sporadica e per la
forma iatrogena della malattia.
Poiché le caratteristiche dei tracciati (spessore ed intensità delle bande) di PrP
proteasi resistenti della vCJD differiscono sensibilmente da quelle della CJD sporadica e
iatrogena, si è verificato se il modello distintivo di glicosilazione si potesse rilevare anche
nella BSE, trasmessa naturalmente o sperimentalmente. La forma glicosilata della vCJD è
stata così rilevata nella stessa BSE, nella BSE sperimentalmente trasmessa al topo e nella
BSE trasmessa sperimentalmente al gatto domestico e sempre sperimentalmente al macaco,
avvalorando l’ipotesi che la vCJD origini dalla trasmissione della BSE all’uomo. Secondo
Ironside (1998) tuttavia questo particolare tipo di PrP altamente glicosilata è stato identificato
anche in un ceppo di scrapie e di insonnia fatale familiare e non è pertanto specifico per BSE
e vCJD.
L’eziologia della CJD sporadica o classica (forma cosiddetta spontanea) resta non
definita: al suo determinismo potrebbero concorrere o contribuire mutazioni somatiche della
PRNP o una conversione spontanea della PrPc in PrPsc come raro evento stocastico. La
nuova variante CJD offre d’altro canto a considerare caratteristiche di ceppo nettamente
distinte rispetto agli altri tipi di CJD, e simili a quelle della BSE, lasciando aperta l’ipotesi di
trasmissione bovino-uomo.
(1) sc = scrapie
(2) c = cellulare
_______________________________________________________________________________________ 43
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Le encefalopatie spongiformi
Le encefalopatie spongiformi sono classificate fra le malattie da agenti non
convenzionali. Sono malattie neurodegenerative con esito sempre fatale, colpiscono sia
l'uomo sia gli animali e possono manifestarsi come malattie sporadiche, genetiche od
infettive.
Se ne fornisce un quadro riassuntivo distinguendo quelle che colpiscono i ruminanti,
animali diversi dai ruminanti e l’uomo.
RUMINANTI
•
(Malattie scrapie simili) (modif. da Prusiner, 1997)
Scrapie
La scrapie è una malattia endemica degli ovini e dei caprini chiamata così perché causa
inizialmente prurito (to scrape: grattare); ciò porta gli animali colpiti a grattarsi ed a
mordersi sino all'autolesionismo. È una patologia infettiva che può essere trasmessa per
via orale con l'ingestione di materiale organico infetto, per via orizzontale
(principalmente nel periodo dei parti) e, probabilmente, per via materno-fetale.
L'insorgenza della malattia è influenzata dal ceppo infettante coinvolto e dalla
sensibilità dell'individuo. Tale sensibilità deriva da profili genetici differenti presenti nei
singoli ovini.
•
Encefalopatia spongiforme del bovino (BSE)
L'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) è una malattia infettiva fatale del bovino,
comparsa nel 1986 in Gran Bretagna. La prima diagnosi ufficiale fu effettuata
nell'ottobre dello stesso anno. I principali sintomi caratteristici osservati sono
ipersensibilità agli stimoli esterni e incoordinazione degli arti posteriori, con spiccate
reazioni di timore. È probabile che sia un'infezione alimentare, trasmessa tramite farine
animali trattate in maniera insufficiente ad eliminare l'agente eziologico.
•
Encefalopatia degli ungulati esotici
È una patologia infettiva assimilabile alla scrapie che è stata osservata principalmente in
ungulati selvatici (orice, antilope, nyala, kudu ecc.) allevati in cattività ed alimentati con
mangimi contaminati.
•
Sindrome del dimagrimento cronico
Chronic wasting disease (CWD) è una patologia cronica di origine oscura, simile alla
scrapie, che è stata evidenziata nell'alce delle Montagne Rocciose e nel cervo-mulo
tenuto in cattività o allo stato libero.
44 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
NON RUMINANTI
•
Encefalopatia trasmissibile del visone (TME)
La TME è una malattia che colpisce tipicamente i visoni allevati; è probabile che la
causa sia da attribuire all’alimentazione, inizialmente per il consumo di farine di carne
di animali infetti da scrapie, e successivamente a partire dalle carcasse degli stessi
visoni infetti.
L’agente causale possiede le stesse caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche della
scrapie, non è correlato alla BSE e non è trasmissibile, per via naturale, a specie diverse
dal visone.
Il visone si infetta alimentandosi con mangimi contaminati dall’agente causale della
scrapie o direttamente attraverso soluzioni di continuo della cute o delle mucose.
L’incubazione è di 8-9 mesi. La malattia si manifesta con incoordinazione dei
movimenti, cambiamenti nelle abitudini alimentari e minor cura nella toelettatura;
inoltre sono frequenti sintomi di eccitazione. La morte sopraggiunge in 3-8 settimane.
•
Encefalopatia spongiforme dei felini (FSE)
La FSE è una malattia osservata nei gatti ed in alcuni altri membri della famiglia dei
felini come gli ocelot, i ghepardi ed i puma ecc. Si è ipotizzato che l'insorgenza di tale
encefalopatia spongiforme sia dovuta all'alimentazione dei felini (serragli, zoo ecc.) in
cattività con materiale infetto da BSE.
La FSE ha un certo riscontro nel Regno Unito, dove è stata diagnosticata la prima volta
nel 1990 ed ha fatto registrare 85 casi dal 1990 al mese di giugno 1999.
Nel nostro paese è conosciuta una forma di encefalopatia spongiforme felina, ma
mancano dati statistici precisi e comprovati da diagnosi di laboratorio che la attribuisca
a FSE.
Il primo sintomo dell’encefalopatia spongiforme felina è rappresentato da mutamenti
nel comportamento, quali aggressività ingiustificata o tendenza a nascondersi. L’atassia
locomotoria è costante; al contrario appaiono solo talvolta i seguenti sintomi: iperestesia
a stimoli uditivi o tattili, polifagia, grooming esagerato o ridotto, ipersalivazione,
polidpsia, midriasi, tremori.
_______________________________________________________________________________________ 45
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
UOMO
•
Kuru
Malattia scoperta da Gajdusek nella tribù Fore della Nuova Guinea (1967),
caratterizzata da lungo periodo di incubazione, ipereccitabilità, tremori, atassia, riso
incontrollato, detta anche "morte che ride" per la discinesia facciale. È di origine
alimentare legata al cannibalismo rituale: la tribù onorava i defunti mangiandone il
cervello. Tale pratica cessò nel '58 e, conseguentemente, scomparve negli anni la
manifestazione della malattia.
•
Sindrome di Gerstmann-Straussler-Scheinker (GSS)
Rara forma umana di TSE di tipo ereditario (autosomico dominante) ma trasmissibile
per inoculazione intracerebrale a cavie di laboratorio. È causata da una mutazione del
gene codificante la PrP ed è stata trovata in 50 gruppi famigliari. È caratterizzata da
demenza, atassia, disfagia, amiotrofia aggravantesi sino all'exitus, che sopraggiunge
dopo 2-6 anni dalla comparsa dei primi sintomi.
•
Insonnia Familiare Fatale (FFI)
La FFI è una rara malattia ereditaria di tipo autosomico dominante come la sindrome
precedente ma caratterizzata da insonnia, disturbi del sistema nervoso autonomo,
disturbi motori e cognitivi e morte entro un anno dall’esordio.
•
Malattia di Creutzfeldt-Jackob (CJD)
Può essere di tipo sporadico per via ignota (un caso su un milione), di tipo ereditario per
mutazione del gene codificante la proteina prionica o, in rari casi, di tipo iatrogeno: tali
casi compaiono in seguito ad infezione accidentale dovuta a procedure mediche
coinvolgenti materiale derivato da SNC infetto o ferri chirurgici non correttamente
decontaminati.
Inequivocabili caratteristiche cliniche sono la demenza rapidamente progressiva ed
almeno due dei seguenti segni clinici: mioclono, disturbi visivi o segni cerebellari,
piramidali o extrapiramidali, mutismo acinetico ed un tracciato elettroencefalografico
tipico. L'identificazione della proteina 14-3-3 nel liquido cefalorachidiano è di supporto
alla diagnosi.
•
Variante della CJD (vCJD)
Questa forma si differenzia dalla forma classica di CJD per la comparsa anche in
soggetti particolarmente giovani, per una più lunga durata clinica della malattia
(superiore ad un anno) e per caratteristici sintomi d’esordio rappresentati da disturbi
comportamentali, modificazioni della personalità e depressione. La maggior parte dei
pazienti sviluppa precocemente un'atassia cerebellare, mentre, con il progredire della
malattia, può comparire mioclono preceduto da movimenti coreici; la demenza infine
evolve in un mutismo acinetico. Il quadro EEGrafico non presenta le caratteristiche
tipiche riscontrate nel CJD. All'esame neuropatologico si osservano numerosi depositi
di placche amiloidi circondate da spongiosi (placche floride). Ad oggi in Italia non è
stato segnalato alcun caso di vCJD.
46 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Illustrazione schematica delle più frequenti localizzazioni delle lesioni da malattie prioniche. Nella BSE è colpito il midollo allungato, nella FFI la
regione talamica, nel CJD la corteccia cerebrale, mentre nel KURU e nella GSS viene maggiormente interessato il cervelletto.
ASPETTI ISTOPATOLOGICI COMUNI
1. Vacuolizzazione neuronale a livello dei processi dendritici, assonali e corpi cellulari
2. Ipertrofia e proliferazione astrogliale
3. Alterazione spongiforme della sostanza grigia
DIFFERENZIAZIONE DALLE PATOLOGIE INFETTIVE CONVENZIONALI
1. Assenza di reazione infiammatoria con assenza di manicotti perivascolari e
perineuronali, assenza di pleiocitosi o di un marcato incremento di proteine nel
liquido cerebrospinale durante il corso della malattia
2. Assenza di reazione immunitaria nei confronti dell'agente eziologico
3. Assenza al microscopio elettronico di particelle simil-virali nelle sezioni di encefali
colpiti
_______________________________________________________________________________________ 47
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Le ipotesi eziologiche
Sulla scorta di un recente lavoro di Bastian (Sito CJD Disease Foundation, 1999),
forniamo una rassegna delle ipotesi finora formulate, comprese quelle che hanno ormai perso
consistenza interpretativa (studi iniziali).
Anche se la teoria maggiormente accreditata è attualmente quella proposta da
Prusiner (1998) a cui si dà più ampio spazio, proponiamo anche una sintesi di altre teorie
recenti, che contengono comunque elementi di analisi interessanti.
Studi iniziali
• Teoria dei Virus Lenti (Sigurdsson, 1954; Gajdusek,1977)
Il termine virus lento fu proposto per denominare l'agente della scrapie basandosi sul
suo lungo periodo di incubazione: usare tale denominazione fu conveniente per la
caratteristica fisica che ai tempi poteva essere facilmente misurata, la dimensione, che in
seguito a prove di filtrazione fu determinata intorno ai 40nm. Contestualmente fu coniato il
termine di agenti non convenzionali per tener conto delle proprietà inconsuete degli agenti
delle TSE . Questa teoria fu abbandonata poichè nessuna particella che potesse essere
ricondotta all'aspetto di un virus convenzionale, è mai stata osservata al microscopio
elettronico; inoltre studi recenti non hanno mai evidenziato la presenza di acidi nucleici.
• Ipotesi del Viroide (Alper, 1967)
Il concetto di viroide scaturì dalla scoperta di proprietà attribuite all'agente infettante
che suggerivano una struttura più semplificata e più piccola dei virus convenzionali. A seguito
di studi di inattivazione con radiazioni, pareva che l’agente fosse una molecola di RNA di
200-400 nucleotidi priva di proteine (viroide). La teoria cadde quando si comprese che la
infettività era strettamente correlata alla presenza di proteine.
Teorie piu' recenti
• Teoria del Virino (Dickinson,1988)
L'ipotesi del virino è basata sul concetto che il patogeno sia una particella infettante
che possiede un genoma indipendente dal suo ospite; tuttavia, si ipotizzò che nel ciclo
replicativo della scrapie ci fosse uno stadio in cui il genoma fosse legato alle proteine
dell'ospite e necessitasse di un enzima (codificato da un gene dell'ospite) modulante i tempi di
replicazione. Questa teoria sebbene innovativa è essenzialmente speculativa, con poche o
nulle prove sperimentali a suo favore.
• Ipotesi del Virus Filamentoso (Merz, 1984)
Il ritrovamento di fibrille amiloidi associate a scrapie (SAF) nei tessuti colpiti da
CJD portò all'idea che queste fossero l'agente infettivo stesso, sulla base di una comparazione
tra le SAF presenti negli omogenati cerebrali e i batteriofagi filamentosi. Il primo problema
legato a questa ipotesi fu l'evidenza che il diametro delle fibrille (4-5 nm) risulta troppo
ridotto per contenere acidi nucleici: infatti la misura richiesta per la presenza di un genoma è
di almeno 20 nm. Inoltre in natura non vi sono altri esempi di strutture virali così peculiari.
Studi recenti hanno dimostrato che l'infettività non è assolutamente legata alle SAF.
48 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
•
Ipotesi del Retrovirus (Haseltine, 1986)
In prove di purificazione dell'agente eziologico della CJD, si evidenziò la presenza di
un RNA a basso peso molecolare simile a quello presente nei retrovirus. D'altra parte, la
provata assenza nei tessuti infetti da TSE di strutture virali evidenziabili al microscopio
elettronico, la resistenza ai trattamenti fisico-chimici che normalmente inattivano i retrovirus
e il diverso tipo di lesioni indotte nei tessuti da tali virus, permettono di scartare quest’ipotesi.
• Teoria della Amiloidosi-Virus-Indotta (Braig, 1985)
Poiché non esiste prova morfologica che un virus sia presente nei tessuti colpiti da
CJD, fu ipotizzato che siano visibili gli effetti di un virus piuttosto che il patogeno stesso. Le
SAF rappresenterebbero una struttura proteica amiloide connessa ad un'infezione virale,
ipotizzando che la replicazione del virus cominci e finisca prima dell'instaurarsi dei sintomi
clinici. Ciò giustificherebbe l'inefficacia del trattamento delle TSE con farmaci antivirali.
Questa teoria è stata indebolita dall'osservazione che le placche amiloidi sono state
scarsamente osservate nella scrapie indotta sperimentalmente, se non combinando l'agente
infettante di alcuni tipi di scrapie con certe linee di topi da laboratorio.
TEORIA MAGGIORMENTE ACCREDITATA
• Teoria del Prione (Prusiner, 1998)
Nel 1982 S.B. Prusiner pubblicò su Science uno studio sull'agente causale della
scrapie, affermando che fosse "una nuova particella proteica infettiva" e proponendo il nuovo
termine prione che teneva conto della sua natura sia proteica sia infettiva. L'idea di una
proteina come agente infettivo era stata già proposta da Griffiths nel 1967, ma fu Prusiner che
arrivò ad una vera e propria dimostrazione, tentando di capire perché, su 18.000 pecore
vaccinate contro il virus della louping-ill, circa 1.500 svilupparono dopo 2 anni la scrapie,
nonostante il vaccino fosse stato trattato con formalina per prevenire le infezioni virali. I suoi
esperimenti portarono all'evidenza che l'agente della scrapie conteneva una proteina
indispensabile all'infettività e le prove dimostrarono che l’agente perde la capacità infettante:
1. con la digestione mediante proteinasi K e tripsina;
2. per inattivazione chimica con dietil pirocarbonato;
3. per inattivazione con sodio dodecil solfato (SDS);
4. per inattivazione con sali come il guanidin tiocianato;
5. per inattivazione con fenolo;
6. per inattivazione con urea.
Inoltre l'agente si dimostrò resistente alle procedure d’attacco agli acidi nucleici
come il pH acido, l’azione di ribonucleasi, desossiribonucleasi, UV a 254 nm, l’idrolisi con
cationi bivalenti e l’attacco chimico con idrossilammina.
Si pensò che il peso molecolare dell'agente infettivo fosse tra 64.000 e 150.000
dalton, fatto incompatibile con la presenza di acidi nucleici o un sistema efficiente per la loro
riparazione; inoltre, recenti esperimenti di filtrazione ed elettroforesi portano a ritenere che
l'agente della scrapie abbia aspetto globulare ed abbia un peso molecolare addirittura inferiore
ai 50.000 dalton.
Le tipiche caratteristiche dell'agente della scrapie furono allora così riassunte:
1. stabile a 90° C per 30 minuti;
_______________________________________________________________________________________ 49
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
2. basso peso molecolare (inferiore ai 50.000 dalton);
3. contenente proteine idrofobe indispensabili all'infettività;
4. resistente alla ribonucleasi e desossiribonucleasi;
5. resistente alla radiazione UV a 254 nm;
6. resistente alla formazione di psoralene fotoindotta;
7. resistente all'idrolisi catalizzata da Zn bivalente;
8. resistente all'attacco chimico con NH2OH.
Fu così evidenziato che l'agente della scrapie differiva profondamente dai virus, i
viroidi e i plasmidi e, di conseguenza, fu proposto che avesse natura proteica e mancasse di
acido nucleico.
Contestualmente si cercò di provare che la proteina prionica, non solo fosse presente
in concomitanza con i sintomi della malattia, ma che ne fosse effettivamente la causa; già
dall'inizio degli studi sulla scrapie e sul kuru si era evidenziata la loro evidente trasmissibilità,
confermata dalla possibilità di infettare gli scimpanzè con inoculazione intracerebrale di
materiale infetto da CJD. La prova inoppugnabile fu data da Prusiner che dimostrò, tramite
prove di ultrafiltrazione, che il prione era l'unica macromolecola che potesse veicolare
l'infettività.
Dagli studi ipotizzanti la natura dei prioni è emerso quindi che l'agente infettivo era
composto da un singolo tipo di molecola proteica che fu chiamato PrPsc (scrapie) e,
successivamente, che tale proteina è la forma alterata di una normale glicoproteina di
membrana detta PrPc (cellulare).
Tabella comparativa tra Virus classici e Prioni
Agenti infettivi filtrabili
Presenza di acidi nucleici
Morfologia definibile con il
microscopio elettronico
Presenza di proteine
Inattivazione con:
Formaldeide
Proteasi
Calore (80°C)
Ionizzazione e raggi UV
SINTOMI
Effetto citopatologico
Periodo di incubazione
Risposta immunologica
Produzione di interferone
Risposta infiammatoria
Virus
Si
Si
Si
Prioni
Si
??
No
Si
Si
Si
Alcuni
Quasi tutti
Si
No
No
No
No
Si
Dipende dal virus
Si
Si
Si
No
Lunga
No
No
No
50 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Caratteristiche della PrP
(Harris, 1999)
PrPc
CARATTERISTICHE E FUNZIONE (Quaglio, 2001)
La PrPc è una normale glicoproteina cellulare presente nei neuroni, nella glia del
SNC centrale, come pure in parecchi tessuti periferici, nei leucociti e nelle cellule spermatiche
mature (Shaked, 1999). La PrP e il suo RNAm sono ampiamente distribuiti nel sistema
nervoso centrale ed in particolare nei neuroni della corteccia, dell'ippocampo, nelle cellule
cerebellari del Purkinje e nei motoneuroni spinali. La normale funzione della PrPc rimane
sconosciuta, sebbene la sua localizzazione sulla superficie cellulare faccia pensare ad un suo
ruolo nell’adesione e nel riconoscimento cellulare, nei recettori di membrana e nella chimica
dei neurotrasmettitori. La comprensione del ruolo fisiologico della PrPc potrebbe essere
importante per capire la patogenesi della malattia, poiché la proteina può cessare di svolgere
la propria funzione quando si converte nell'isomero PrPsc. I topi knockout (animali in cui è
stato distrutto il gene codificante la PrPc) non dimostrano rilevanti difetti di sviluppo o di
comportamento: studi hanno evidenziato tuttavia, in alcuni fenotipi e con manifestazioni di
modesta gravità, sintomi che ricordano quelli delle malattie prioniche, come perdita del ritmo
circadiano, anomalie del sonno e cambiamenti dell’apprendimento. Recentemente è stato
proposto che la PrPc abbia un ruolo nel metabolismo del Cu poiché lega da uno a tre atomi
covalenti di rame a livello del N-terminale della regione ottapeptidica e mostra, infatti,
un’attività antiossidante: studi in vitro hanno dimostrato che la PrPc protegge le cellule dallo
stress ossidativo quanto più risulta legata ad atomi di rame (Brown e coll., 2001). Inoltre, in
omogenati cerebrali, tale proteina è stata rilevata in alta concentrazione nella giunzione
sinaptica postulando per questo una sua azione o come tampone del rame o come recettore
endocellulare per la reintroduzione del rame dall'ambiente extracellulare (Kretzschmar e coll.,
2000).
STRUTTURA E BIOSINTESI (Rymer e Good, 2000)
La PrPc è una proteina di circa 250 aminoacidi; presenta un’estremità
carbossiterminale che permette l'ancoraggio alla membrana legandosi al glicosilfosfatidilinositolo (GPI). Tra gli aminoacidi 178 e 213 la PrPc possiede due siti di
glicosilazione in prossimità di due residui di asparagina (N). Agli estremi di questo segmento
vi sono due residui di cisteina che formano un ponte disolfuro, legando tra di loro due tratti
della proteina che si dispongono nello spazio secondo una struttura elicoidale (alfa-elica).
Muovendosi verso l'estremità aminoterminale la proteina presenta un nucleo idrofobico
contenente un sito di scissione (clivaggio B) dove la proteina viene idrolizzata durante il
normale metabolismo cellulare. Sono di seguito presenti sequenze aminoacidiche ottameriche
ripetute, che possono legare fino a 4 atomi di rame; infine, vi è un’estremità N-terminale
chiamata "peptide segnale".
La struttura terziaria della proteina mostra una lunga (aa dal 23 al 121) e flessibile
coda N-terminale, tre alfa eliche (denominate elica 1, elica 2 ed elica 3) e due piccoli tratti
conformati a beta foglietto affiancati alla prima alfa elica.
Come molte proteine di membrana, la PrPc è sintetizzata nel reticolo endoplasmatico
ruvido (RER) e transita nell'apparato del Golgi per raggiungere la superficie cellulare.
_______________________________________________________________________________________ 51
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Fig. 2 : struttura della PrPc (sovrapposizione che mette a confronto quella del criceto e quella del topo)
Fig. 3 : Struttura della PrPc in soluzione ottenuta da Wüthrich, Glockshuber, and coll. al Swiss Federal Institute
of Technology . Si notano le tre alfa eliche, i foglietti beta presso il carbossiterminale della proteina,e il
segmento in "disordine flessibile" all'N-terminale.
52 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Durante la sua biosintesi, la PrPc è soggetta a molte modificazioni come la scissione
del peptide segnale, l’unione di due siti N a catene oligosaccaridiche, la formazione di un
unico legame S-S e l’attacco al sito di ancoraggio del GPI.
Molti lavori condotti sul metabolismo della PrPc hanno dimostrato che essa viene
normalmente sottoposta a due scissioni o clivaggi. Uno avviene a livello dell'ancoraggio al
GPI, con conseguente rilascio della catena polipeptidica nell'ambiente extracellulare,
probabilmente tramite l'intervento di una fosfolipasi di membrana; il secondo è di tipo
proteolitico e si è osservato in una porzione di 16 aminoacidi della sezione idrofobica (sito di
clivaggio B). Entrambi i clivaggi hanno luogo tardivamente rispetto all'emivita della proteina
e sono state ritrovate proteine a diversi stadi di trasformazione oltre alla forma integra.
Nonostante gli studi compiuti, il significato fisiologico di queste scissioni è ancora
sconosciuto, forse, se la PrP serve da recettore di membrana, il clivaggio può rappresentare un
meccanismo di modulazione del recettore.
__ S – S __
I
I
C
B
II
II
II
II
II
A
Peptide segnale
Segnale per il GPI
Ripetizioni ottameriche
Ancoraggio al GPI
Zona idrofobica
Oligosaccaridi legati a N
S–S
Legame disulfidico
Fig, 4 - Struttura e processi post-translazionali della PrP: in alto la struttura primitiva della PrP dei mammiferi,
sotto forma matura della proteina. L'ancoraggio al GPI unisce il polipeptide alla membrana; le frecce A e B
indicano i siti di scissione nella PrPc e la freccia C indica il sito di scissione nella PrPsc. Il sito A risiede
all'interno dell'ancoraggio al GPI.
_______________________________________________________________________________________ 53
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
LOCALIZZAZIONE SUBCELLULARE
La PrPc è una proteina di superficie cellulare e, poiché è ancorata al GPI, può essere
rilasciata trattando la cellula con una fosfolipasi specifica (PI-PLC) a livello della porzione
diacilglicerolica.
La dimostrazione biochimica che la PrPc nei neuroni è trasportata assonalmente sino
alla porzione terminale dei nervi, è la presenza della proteina stessa sulle superfici delle
sinapsi (come osservato mediante prove di immunofluorescenza al microscopio elettronico).
Con l'immunoistochimica si è potuto evidenziare che la PrPc è principalmente concentrata
nelle sinapsi del bulbo olfattorio, limbo e sostanza nigro-striata, confermando la sua possibile
funzione all'interno della sinapsi. Diversi studi hanno dimostrato che, comunque, la PrPc non
permane sulla superficie cellulare ma piuttosto compie un ciclo tra la membrana cellulare ed il
citoplasma; si è osservato, in cellule neuronali in vitro, che il ciclo delle molecole di PrP si
compie in circa 60 min. e durante ogni passaggio dall'1 al 5% di tali molecole sono scisse al
sito B. Il sistema di riciclaggio della PrPc sembrerebbe interessante per due motivi. Da un
lato, potrebbe essere il momento in cui avviene la trasformazione della proteina normale in
PrPsc, dall’altro suggerirebbe che una delle funzioni fisiologiche della PrPc sarebbe quella di
recettore per l'introduzione di uno ione extracellulare, che recenti studi identificano con il
rame. Si è ipotizzato che la PrPc leghi il rame sulla superficie cellulare, lo trasporti in un
organo endocitico ove gli ioni, una volta dissociati da essa, vengono trasportati nel citosol da
altre proteine carrier del rame; la PrPc quindi ritornerebbe sulla superficie cellulare per
ricominciare il ciclo. Ciò sarebbe confermato dal fatto che una alta concentrazione di ioni
rame stimola rapidamente e reversibilmente l'endocitosi della PrP dalla superficie della cellula
(Pauly e Harris, 1998).
PrPsc
CARATTERISTICHE E LOCALIZZAZIONE SUBCELLULARE
La conversione della PrPc nella forma PrPsc è essenzialmente di tipo
conformazionale, avendo le due isoforme identica sequenza aminoacidica. Il cambio di
conformazione comporta un sostanziale incremento della quantità di foglietti beta e una
leggera diminuzione delle alfa eliche: mediante prove spettroscopiche si è dimostrato che la
PrPc contiene il 42% di alfa eliche e una bassissima presenza di beta foglietti (3%); questi
ultimi divengono per la PrPsc il 43%, mentre il contenuto di alfa eliche è inferiore (30%)
(Pan, 1993). Sebbene la struttura terziaria della PrPsc sia stata solo ipotizzata, la teoria più
attuale sulla produzione di questo isomero comporterebbe in primo luogo la modifica dell'N
terminale posto a metà della proteina, ma anche la trasformazione di parte della coda Nterminale in foglietto beta, essenzialmente tra i residui 90-121 e forse, in parte, dell'alfa-elica
1.
La localizzazione subcellulare della PrPsc non è stata attualmente ben determinata a
causa della sua scarsa immunoreattività; l’inconveniente potrebbe essere ovviato con il
trattamento mediante agenti denaturanti che però agiscono sulla morfologia cellulare,
alterandola. Pare che la PrPsc sia presente sia nel Golgi sia ancorata al GPI della membrana
cellulare, analogamente alla PrPc, tramite un C-terminale. Tale legame però non è sensibile
all'azione della fosfolipasi specifica PI-PLC, suggerendo che l'ancoraggio sia di tipo diverso
rispetto alla PrPc. E' stato ipotizzato che lo stesso cambiamento strutturale che rende la PrP
alterata parzialmente inattaccabile alla proteasi K, possa renderla resistente alla PI-PLC.
54 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Mediante prove sperimentali su cellule geneticamente modificate (CHO) che
producono una PrP mutante, è stato possibile stabilire che il processo di conversione che porta
alla PrPsc avviene in tre stadi successivi: il primo e quasi immediato cambiamento
biochimico porta all'acquisizione della resistenza alla PI-PLC, il secondo, osservabile dopo
almeno 1 ora dall'inizio del processo, comporta l'insolubilità ai detergenti dovuta
presumibilmente all'aggregazione delle molecole. Il terzo stadio, evidenziabile sino a 7 ore
dopo, rende la molecola resistente alle proteasi, per ulteriori processi di aggregazione e
polimerizzazione.
Da esperimenti compiuti su colture cellulari si è riscontrato che, una volta
sintetizzata, la PrPsc risulta metabolicamente stabile per periodi variabili da 24 a 48 ore e
tende ad un lento accumulo, in contrasto con la PrPc il cui ciclo ha un'emivita tra le 4 e le 6
ore. Comunque, solo una minima quantità di molecole di PrPc viene trasformata in PrPsc. Le
rimanenti subiscono un metabolismo esattamente sovrapponibile a quello delle cellule non
infette: anche se le vie metaboliche della PrPc non sono ancora state del tutto chiarite, pare
che vi siano coinvolti gli endosomi ed i lisosomi.
Fig. 5: sulla sinistra modello della PrP normale (cellulare), sulla destra ipotetica conformazione della PrPsc
anomala (rogue)
Tabella di confronto tra PrPsc e PrPc
Struttura
resistenza alle proteasi
Presenza nelle fibrille scrapie
associate
Turnover
PrPsc
Globulare
Si
Si
PrPc
Estesa
No
No
giorni
Ore
_______________________________________________________________________________________ 55
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
MODIFICHE STRUTTURALI E INTERAZIONI FISICHE
Si pensa che durante l'infezione prionica avvenga una interazione fisica altamente
specifica tra la PrPc e la PrPsc responsabile della produzione di nuove molecole anomale.
Questa conclusione si basa su parecchie prove. In particolare, i topi knockout sono
completamente resistenti all'infezione prionica, mentre topi transgenici, esprimenti PrP
normale di criceto, sono suscettibili all'infezione derivata dal criceto, cosa che non avviene
nei topi non modificati geneticamente. Altri studi hanno provato che alcuni segmenti della
PrPc sono indispensabili per la trasformazione in PrPsc. Infatti, il grado di omologia
aminoacidica della regione centrale della proteina influenza profondamente l'efficienza del
processo di trasformazione; staccando un singolo residuo aminoacidico da questa regione si
può prevenire la formazione di PrP alterata. Tale squisita specificità fa pensare che esista una
forte barriera contro la trasmissione interspecifica delle malattie da prione.
È stata dimostrata in vitro la trasformazione della PrPc in PrPsc ma la quantità
iniziale di PrPsc necessaria per innescare la reazione era eccessiva rispetto a ciò che accade in
vivo. Inoltre, la PrPsc così ottenuta non aveva potere infettante (Kocisko e coll., 1995).
Questo fa pensare che nella cellula sia presente un fattore assente nei sistemi sperimentali
purificati e che ciò sia la causa della scarsa efficienza stechiometrica della reazione in vitro.
IPOTESI SULLA FORMAZIONE DELLA PrPsc
Vi sono attualmente due teorie sulla trasformazione di PrPc in PrPsc.
La prima detta "nucleated polymerization" ipotizza che la polimerizzazione della
molecola inizi da un nucleo di PrPsc preesistente a cui si legano monomeri di PrPc: cioè la
PrP anomala potrebbe "catalizzare" la formazione di un polimero alterato. Questo processo
pare simile a quelli che avvengono in natura per altri tipi di proteine quali: la
polimerizzazione della tubulina, la crescita dei cristalli, la formazione di Hb falciforme,
l'assemblaggio del capside virale e soprattutto la polimerizzazione dei flagelli dei batteri.
Fig. 6 - Schema della teoria del "template assistance"
56 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
La seconda teoria detta a stampo o "template assistance" postula che un numero
relativamente piccolo di molecole di PrPc e di PrPsc formino un oligomero tramite un
ipotetico chaperon molecolare. I componenti della PrPsc funzionano come uno stampo che
imprime la sua conformazione alla PrPc o ad un suo intermedio, parzialmente modificato
chiamato PrP*. In questo caso la barriera cinetica tra i due isomeri è superata dall’azione
catalitica dell'ipotetico composto PrPsc più chaperon.
Anche per quest’ipotesi esistono osservazioni fatte su altre proteine esistenti in
natura quali: l'emoagglutinina del virus influenzale, inibitori delle proteasi (serpine), ed un
certo numero di proteasi, quali la subtilisina e le proteasi alfa-litiche.
Questi due modelli comunque, non si escludono a vicenda perché potrebbe esserci un
meccanismo ibrido nel quale la superficie di un aggregato, inizialmente formatosi per un
processo di nucleazione, funge da stampo su monomeri di PrPc. Tali teorie, inoltre, sono
applicabili sia alle forme genetiche come pure a quelle infettive, poiché la presenza di una
mutazione patologica presumibilmente favorirebbe la formazione spontanea o di nuclei di
PrPsc o di PrP*.
RUOLO DEGLI CHAPERON MOLECOLARI
Gli chaperon (letteralmente: chi introduce qualcuno in un ambiente nuovo) sono proteine
che facilitano il ripiegamento dei polipeptidi durante la loro biosintesi ed il loro
trasporto negli organuli intracellulari, aiutando a prevenire l'aggregazione delle
proteine durante condizioni di stress cellulare come lo shock da calore. Si pensa che essi
agiscano legandosi ai loro substrati, con un’azione talvolta ATP dipendente, prevenendo
la formazione di forme intermedie inattive. Nella cellula gli chaperon sono stati ritrovati
in quasi tutti i settori cellulari; la PrP, durante il suo ciclo di formazione, passa solo nel
RER dove, per altro, sono state sicuramente individuate molecole-chaperon. Poiché la
formazione di PrPsc comporta una modifica del ripiegamento delle proteine e la
formazione di aggregati, processi nei quali intervengono gli chaperon, è stata formulata
l'ipotesi che essi vi svolgano un ruolo. Sono stati compiuti un certo numero di
esperimenti per supportare il ruolo degli chaperon nella biologia dei prioni. Si è notato
che topi geneticamente modificati in modo da esprimere la PrP del criceto sviluppavano
la malattia prionica dei criceti cosa che non avviene nei topi con il gene della PrP
umana (Hu PrP) che si dimostravano insensibili ai prioni umani. Tuttavia, topi chimerici
geneticamente esprimenti una proteina prionica mista topo/uomo (Hu/Mo PrP) erano
sensibili ai prioni umani come pure gli incroci tra topi HuPrP e topi knockout. Questi
risultati sono stati interpretati ipotizzando l'esistenza di chaperon cellulari chiamati
genericamente proteina X, che interagirebbero in modo specie-specifico con il segmento
C-terminale della PrPc. Questa potrebbe anche essere la spiegazione della propagazione
elettiva dei prioni in particolari popolazioni neuronali e in alcuni tipi di cellule
periferiche come quelle del sistema linforeticolare. Ci sono prove che chaperon
intervengano nella biogenesi dei prioni in colture in vitro di cellule di neuroblastoma
infettate da scrapie. D’altro canto parecchi chaperon "chimici", come il glicerolo e il
dimetilsulfossido, che stabilizzano la conformazione delle proteine, inibiscono la
produzione di PrPsc in cellule infettate, le quali mostrano anche una diminuita resistenza
allo shock da calore. La prova più diretta che gli chaperon possono accelerare la
produzione di PrP anomala, è stata fornita da esperimenti nei quali due di queste
molecole (una derivata da lieviti Hsp104 e l'altra di origine batterica GroEL) hanno
aumentato la produzione di PrPsc in un substrato in cui non erano presenti elementi
cellulari (DeBurman, 1997).
_______________________________________________________________________________________ 57
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Meccanismi patogenetici delle TSE
Mancano pressoché totalmente dati patogenetici riguardanti la BSE. Le uniche
informazioni disponibili sono relative alla distribuzione dell’infettività nei tessuti, esito dei
lavori di infezione sperimentale condotti da autori inglesi non soltanto sui topi, ma anche su
animali della specie bovina.
Per il resto la maggior parte delle conoscenze è desunta dalle ricerche condotte sui
roditori, e precisamente sui topini infettati sperimentalmente con l’agente della scrapie, o da
studi svolti su pazienti affetti da vCJD.
Tutte le ricerche hanno comunque dimostrato che, a seguito di un’infezione
attraverso vie indirette (via orale in particolare), si verifica un lungo periodo di eclissi, durante
il quale non è rilevabile infettività in alcun tessuto. Ciò lascia presumere l’esistenza di
meccanismi e sedi di replicazione non ancora ben individuati. I tessuti linforeticolari quali
tonsille, milza, linfonodi e, in caso di contagio per via orale, il tessuto linfoide annesso
all’intestino (placche di Peyer) sembrano essere la prima sede di replicazione. Un altro
possibile serbatoio potrebbe essere rappresentato da alcuni distretti del SNP e precisamente da
alcuni gangli sensitivi e autonomi (gangli enterici e gangli delle radici dorsali) (Mc Bride e
coll., 1999; Groschup e coll., 1999; Glatzel e Aguzzi, 2000). Per quanto concerne la BSE va
sottolineato che sembra di scarso rilievo la presenza dell’agente infettante a livello splenico,
come sede di sviluppo e replicazione (Aguzzi, 2001). A tal riguardo risulterebbero più
importanti i tessuti linfo-reticolari come le amigdale e le placche di Peyer annesse
all’intestino.
La neuroinvasione è una fase critica che è stata oggetto di numerosi studi da parte di
diversi gruppi di ricercatori. Kimberlin e coll. (1983) hanno studiato in particolare l’infettività
dei diversi tessuti in topini sperimentalmente infettati da scrapie. Diringer e coll. (cit. in Czub
e coll, 1986), focalizzando la loro attenzione sul ruolo del sistema nervoso periferico nella
neuroinvasione, hanno valutato l’infettività negli hamster. Più recentemente alcuni ricercatori
del gruppo di Aguzzi hanno concentrato la loro attenzione sulla patogenesi periferica
attraverso lo studio delle modalità di neuroinvasione dei prioni nei topini.
Tutti i ricercatori hanno stabilito il ruolo preponderante dei tessuti linforeticolari ed
in particolare delle cellule dendritiche follicolari (FDC) presenti nella milza, come nei
linfonodi e nelle placche di Peyer dell’intestino. Come dimostrato da numerose ricerche la
replicazione o almeno l’accumulo dei prioni in tali cellule dipende comunque particolarmente
dalla loro espressione della PrP cellulare (Bruce, 2001).
CELLULE FOLLICOLARI DENDRITICHE (FDC)
Sono presenti nella parte scura periferica del centro germinativo dei noduli linfatici ed
in altre sedi timo-dipendenti degli organi linfatici, come ad es. la zona marginale della
polpa bianca della milza ed i cordoni midollari dei linfonodi. Sono cellule grandi,
irregolarmente stellate, con lunghi prolungamenti ramificati connessi con quelli delle
cellule dendritiche vicine e con molti linfociti B.
Le FDC hanno la funzione di presentare gli antigeni ai linfociti: una volta incontrato
l’antigene, le FDC lo rielaborano, lo concentrano e lo espongono sulla superficie,
presentandolo ai linfociti. Svolgono quindi un importante ruolo immunostimolante, in
quanto favoriscono il contatto dei linfociti B del centro germinativo dei noduli linfatici
con gli antigeni stessi.
58 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Anche i linfociti B sembrano avere un ruolo cruciale, ma per ora non del tutto chiaro.
Sembra che loro importanza sia essenzialmente legata al fatto che permettono la maturazione
e pertanto il raggiungimento della completa funzionalità delle FDC elaborando fattori di
maturazione quali le linfotossine alfa/beta di membrana (Montrasio e coll., 2000). Infatti,
studi svolti su topini hanno dimostrato che trattamenti con recettori solubili delle linfotossine
beta portano alla scomparsa delle FDC mature dalla milza. Tale trattamento impedisce anche
l’accumulo dei prioni nella milza, ritardando pertanto la neuroinvasione dopo inoculo
intraperitoneale di materiale scrapie-infetto (Montrasio e coll., 2000; Weissmann, 2001). Le
FDC sembrano pertanto il candidato più probabile per la replicazione dei prioni, perlomeno
nella milza. In tale distretto, infatti, dopo infezione sperimentale, forme abnormi di PrP si
accumulano tra i prolungamenti delle FDC, esattamente nei siti di ritenzione protratta degli
immunocomplessi. Da tali distretti presumibilmente la PrPsc è trasferita ai linfociti splenici
posti in intimo contatto con le FDC stesse. Relativamente al ruolo dei linfociti nel trasporto
dell’infettività, merita ancora di essere sottolineato il fatto che, se tali cellule (B e T) sono
infettanti a livello di milza, non sono invece stati sinora riscontrati linfociti infetti nel sangue
circolante (Raeber e coll., 1999; Montrasio e coll., 2000).
Nell’intestino pare poi che il superamento dell’epitelio da parte della PrP infettante
sia favorito da cellule epiteliali specializzate (M cells) il cui ruolo sembra sia il trasporto di
macromolecole e/o antigeni dal lume intestinale alla sottomucosa ovvero ai linfociti (Aguzzi,
2001).
CELLULE “M” O CELLULE EPITELIALI ASSOCIATE AI FOLLICOLI
Sono presenti qua e là nell’epitelio che ricopre le placche di Peyer (follicoli linfatici
aggregati nella sottomucosa dell’ileo.) Hanno pochi, irregolari, tozzi e lunghi microvilli
assai più grandi di quelli dell’orletto striato degli enterociti vicini. La membrana
plasmatica della faccia apicale presenta numerose e piccole introflessioni. Le facce
laterali e quella basale sono profondamente introflesse e contengono linfociti
intraepiteliali che hanno attraversato la membrana basale. Per tale ragione le cellule
“M” assumono l’aspetto di lamine sottili che circondano un piccolo gruppo di linfociti,
separandoli dal lume intestinale.
Si ritiene che le cellule “M” trasportino le macromolecole e/o gli antigeni
dal lume intestinale ai linfociti intraepiteliali o a quelli del tessuto linfatico sottostante,
in prevalenza di tipo B. Dopo aver ricevuto l’informazione antigenica i linfociti
intraepiteliali raggiungono i noduli linfatici e passano in circolo; ritornano quindi nei
noduli linfatici ed invadono la lamina propria della mucosa ileale: qui i linfociti B si
trasformano in plasmacellule che elaborano immunoglobuline A; queste attraversano le
cellule epiteliali rivestendosi di uno strato glicoproteico che ne evita la lisi da parte
degli enzimi proteolitici. Le immunoglobuline vengono quindi emesse alla superficie
dell’epitelio ileale proteggendolo dagli attacchi batterici.
Relativamente alle modalità di neuroinvasione sembra che diverse vie siano possibili.
La più probabile è una migrazione tramite i nervi periferici, soprattutto se la loro
mielinizzazione è ridotta o assente (Kimberlin e coll., 1983). Considerando che la zona
mantellare dei follicoli linfoidi è innervata da fibre non mielinizzate, questa modalità di
migrazione sembra ben adattarsi al modello. L’esatta modalità di trasporto non è nota:
sembrano possibili sia il trasporto assonale sia quello extra-assonale (Glatzel e Aguzzi, 2000).
_______________________________________________________________________________________ 59
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Circa i nervi coinvolti nella neuroinvasione le ipotesi sono diverse. Nel topo l’agente
infettante raggiunge il midollo spinale attraverso il sistema nervoso autonomo (nervo
splancnico). Dalla regione medio-toracica del midollo l’infezione diffonde poi caudalmente e
rostralmente (Kimberlin e coll., 1980; Cole e Kimberlin, 1985). Un’altra via possibile è il
nervo vago che sembra essere l’unica importante nell’hamster infettato oralmente (Beekes e
coll., 1996; Beekes e coll., 1998). Pertanto dagli studi sinora condotti pare possano essere
coinvolte sia fibre del simpatico sia fibre parasimpatiche (nervo vago).
Un ruolo importante nel trasporto dell’infettività, ma ancora da definire, riguarda
l’espressione della PrP cellulare (cfr. paragrafo 3).
E’ certo che l’agente infettante, dopo un lungo periodo di incubazione, raggiunge il
sistema nervoso centrale ove provoca le caratteristiche e ben note lesioni spongiformi
degenerative, la perdita di cellule neuronali e la gliosi.
Sui meccanismi mediante i quali l’agente infettante provoca le lesioni nervose sono
state formulate diverse ipotesi tra cui tre sono le principali:
a) Tossicosi da accumulo di PrP patologica (Hope, 2000; Hedge e coll., 1999);
b) Deplezione della PrP cellulare;
c) Attivazione della microglia.
a) Gli effetti neurotossici della PrPsc sembrano associati in vitro a particolari peptidi ben
definiti corrispondenti agli aminoacidi 105-132 e 106-126 rispettivamente della sequenza
murina e umana della PrP. La tossicità è stata dimostrata in colture di cellule neuronali e
in colture nervose miste, ove provocherebbe morte dei neuroni per apoptosi (Forloni e
coll., 1993), ipertrofia dell’astroglia e sua proliferazione (Forloni e coll., 1994; Hope e
coll, 1995). Alcuni lavori indicherebbero che il peptide non agisce direttamente sugli
astrociti, ma induce proliferazione della microglia, che a sua volta stimolerebbe la
proliferazione astrocitaria (Kretzschmar, 1995; Brown e coll., 1995).
Relativamente all’apoptosi sono stati condotti numerosi studi in vitro e in vivo con la
microscopia elettronica e l’ibridizzazione in situ, in particolare su topi sperimentalmente
infettati con scrapie (Kretzschmar, 1995; Giese e coll., 1995). Sembra particolarmente
accentuata a livello di cellule retiniche, strato dei granuli cerebellari, gangli basali, bulbo
olfattorio e corteccia cerebrale. Il fenomeno dell’apoptosi, che giustificherebbe peraltro la
sola reazione gliale e l’assenza di reazione infiammatoria, è comunque possibile solo se le
cellule esprimono la PrP cellulare (Brown e coll., 1995). Inoltre è strettamente associato
alla presenza di microglia in coltura: distruggendo la microglia la tossicità del peptide si
riduce notevolmente. Il peptide agirebbe pertanto sulla microglia, alterandone il
metabolismo e inducendo morte neuronale, probabilmente tramite attivazione di specifici
canali di trasporto del calcio (Brown e coll., 1995).
I fenomeni apoptotici neuronali sono stati più recentemente valutati anche nei bovini
affetti da BSE ove però non sono risultati molto evidenti; occasionalmente sono stati visti
invece nelle cellule gliali. L’apoptosi pertanto, perlomeno nella BSE, sembra non essere
uno dei meccanismi primari di perdita neuronale (Theil e coll., 1999).
b) Il ruolo della PrP cellulare sembra quindi in primo luogo indispensabile per consentire la
realizzazione dell’effetto tossico del peptide 106-126. Peraltro prove sperimentali
condotte sui topini deleti del gene codificante la PrP hanno dimostrato che la mancanza
della PrPc nei tessuti ostacola l’insorgenza di lesioni patologiche, a seguito di infezione
60 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
sperimentale (Brandner e coll., 1996).
In condizioni normali la PrPc agisce come co-recettore sulla membrana citoplasmatica,
generando un segnale estremamente importante per la sopravvivenza cellulare. L’assenza
o l’alterazione di tale proteina genererebbe pertanto un segnale opposto tale da indurre la
morte della cellula. Kuwahara e coll. (1999) hanno infatti evidenziato, con studi su colture
cellulari neuronali di topo, che cellule delete del gene PrP se sottoposte a stress, (ad es. la
rimozione del siero), vanno incontro ad apoptosi.
Recentemente inoltre è stata evidenziata una forma transmembranaria della PrP cellulare
(CtmPrP) il cui ruolo è da definire; sembra comunque che la predilezione della PrP
cellulare a trasformarsi nella forma CtmPrP faciliti l’accumulo della proteina patologica
(Hedge e coll., 1999).
c) Circa il ruolo preciso della microglia nel determinismo delle lesioni neuronali non si
dispone di dati precisi. È certa comunque la necessità dell’espressione della PrPc e della
presenza di microglia per permettere la neurotossicità della PrPsc in vitro. In vivo
l’attivazione della microglia è molto precoce durante il periodo di incubazione e precede
la morte dei neuroni per apoptosi (Giese e coll., 1998). In particolare, attraverso studi
condotti utilizzando il peptide PrP 106-126, che necessita della microglia come attivatore,
si è visto che tale peptide esplica il suo effetto tossico attraverso la produzione di radicali
liberi di ossigeno da parte della microglia e interagisce direttamente con la sintesi della
PrPc del neurone, deputata proprio ad ostacolare l’induzione di stress ossidativi (Brown e
coll., 1996; Brown e coll., 1997).
Studi recenti (Theil e coll., 1999), realizzati per valutare le cellule reattive eventualmente
coinvolte nelle TSE, hanno evidenziato la presenza di linfociti T nel parenchima nervoso
degli animali con BSE, in quantitativi superiori alla norma; nonostante la gliosi sia
pronunciata, è risultata scarsa l’espressione dei marker immunoistochimici per i macrofagi
o la microglia attivata. Tali risultati sono perfettamente in accordo con i reperti
neuropatologici costantemente osservabili in tutte le TSE. Infatti, in nessuna TSE si rileva
istologicamente un’attivazione della microglia e/o una sua proliferazione, mentre è sempre
presente l’astrocitosi, più marcata nella scrapie e meno nella BSE. Sperimentalmente
inoltre, in studi condotti su hamster infettati da scrapie, la PrP patologica è risultata
espressa in molti astrociti reattivi (90%) i quali risultano essere le cellule più comuni
intorno alle placche amiloidi (Schlote e coll., 1995; Ye e coll., 1998). Tali studi
permettono quindi di ipotizzare che forse gli stessi astrociti potrebbero giocare un ruolo
importante nella formazione delle placche e che, viceversa, la stessa amiloidosi potrebbe
stimolare ulteriore astrocitosi (Ye e coll., 1998).
_______________________________________________________________________________________ 61
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Infezione sperimentale nel bovino
La grande quantità di dati sull’infezione sperimentale nel bovino, che ha poi
condizionato in modo determinante le misure legislative comunitarie di prevenzione, trae
origine da uno studio a lungo termine iniziato nel 1991 ad opera del gruppo di studiosi inglesi
del Central Veterinary Laboratory, coordinati da G.A.H. Wells.
Il protocollo dello studio caso controllo era in breve il seguente:
•
•
•
•
•
40 vitelli di razza Friesian/Holstein, nati nel 1991 furono raccolti da 12 aziende inglesi,
nelle quali non si era mai manifestata la BSE;
all’età di 4 mesi, 30 di essi furono infettati per via orale, mentre 10 vennero utilizzati
come controllo;
l’inoculum era costituito da 100 g. di omogenato cerebrale (tronco encefalico caudale),
ottenuto da 75 bovini con BSE confermata, somministrato mediante siringhe sterili in
due dosi successive da 50 ml sulla base della lingua ad inizio faringe;
l’osservazione degli animali in esperimento prevedeva un controllo giornaliero durante
le operazioni di governo, un accurato controllo veterinario settimanale con l’esecuzione
periodica di approfondimenti di laboratorio ed infine un dettagliato esame neurologico
nei sette giorni precedenti la loro macellazione;
a partire da due mesi dopo l’infezione ed a intervalli successivi di quattro mesi fino al
22° mese post-infezione, si è proceduto all’abbattimento diagnostico di 4 bovini (tre
infettati ed uno di controllo); dopo il 22° mese gli animali sono stati abbattuti ad
intervalli discrezionali fino al 40° mese dall’inizio dell’esperimento.
Gli accertamenti eseguiti sui bovini abbattuti sono così riassumibili:
•
•
•
campioni di encefalo e midollo spinale venivano sottoposti ad esame per la ricerca delle
fibrille associate alla BSE;
un ampio numero di tessuti è stato campionato per esami istopatologici, mentre
campioni selezionati (sezioni di midollo allungato e di midollo spinale a livello delle
vertebre C6, T6, L5-L6), sono stati esaminati con test immunoistochimici per la ricerca
della PrP patologica, specifica della malattia;
per valutare l’infettività dei tessuti dei bovini in esame, sono stati eseguiti test biologici
su topi da esperimento, a partire da ben 44 tessuti, che rappresentano principalmente il
sistema nervoso centrale, il sistema nervoso periferico, il sistema linforeticolare,
l’apparato digerente, i muscoli striati e gli organi più importanti (vedi tabella I).
Risultati dell’infezione sperimentale nel bovino
•
•
i primi sintomi clinici di malattia compaiono a 35 mesi dall’infezione in un capo ed a
37 mesi in un altro, collocandosi nella parte più bassa del range di valori del periodo di
incubazione della BSE nel bovino, rilevati nel corso dell’epidemia inglese: la dose
infettante, sicuramente molto alta, può avere determinato un periodo di incubazione
minore rispetto all’infezione naturale;
i sintomi più precoci, come nell’infezione naturale, sono rappresentati da profonde
modificazioni comportamentali, anomalie del sensorio e disordini motori, in
combinazione variabile da animale ad animale;
62 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
TESSUTI ESAMINATI PER L’INFETTIVITÀ SU TOPINO
Tessuto nervoso
Tessuto
muscolare
Encefalo:
corteccia Muscolo
frontale e midollo semitendinoso
allungato
Ipofisi
Diaframma
Liquido
cerebro-spinale
Dura madre
Tricipite
brachiale
Massetere
Apparato
digerente
Tessuti
linforeticolari
Altri
Lingua
Milza
Rene
Ghiandole salivari Timo cervicale
sottolinguali
Parotide
Tonsille
Urina
Surrenali
Tratto
craniale Linfonodi
Polmone
dell’esofago
sottomandibolari
Rumine
Linfonodi retrofaringei Mucosa nasale
(turbinato medio)
Omaso
Linfonodi polmonari
Pericardio
Midollo spinale: C2- Muscolo
C3, T10-T11, L3-L4
sternocefalico
Gangli nodosi
Muscolo
lunghissimo del
dorso
Gangli delle radici
Abomaso (porzione Linfonodi epatici
dorsali: C3-C6, T5-T8
pilorica)
Duodeno
Gangli del trigemino
Ileo distale (con le Linfonodi mesenterici
placche del Peyer)
Ganglio stellato
Colon spirale
Linfonodi prescapolari
Aorta
Nervo sciatico
Feci
Nervo facciale
Pancreas
Sangue (siero)
Nervo frenico
Fegato
Sangue (coagulo)
Nervo radiale
Linfonodi poplitei
Cuore
(ventricolo
sinistro)
Valvola mitrale
Sangue (intero)
Midollo osseo
(sterno)
Collagene
(tendine
d’Achille)
Cute
Osso
(diafisi femorale)
•
•
le prime alterazioni patologiche del SNC compaiono in uno dei vitelli abbattuti 32 mesi
dopo l’infezione, sotto forma di lesioni vacuolari limitate al nucleo vestibolare del
midollo allungato, sebbene l’animale non manifestasse sintomi di malattia; spongiosi
cerebrale di media gravità compare invece per la prima volta in modo inequivocabile in
uno dei bovini sacrificati a 36 mesi dall’infezione;
il test immunoistochimico per la ricerca della PrP patologica ed il test per evidenziare
le fibrille associate alla BSE, danno risultati positivi a partire da 32 mesi post infezione
e si evidenzia che queste alterazioni precedono la comparsa delle lesioni
istopatologiche patognomoniche a livello cerebrale ed i sintomi clinici; la Prp
patologica viene riscontrata in modo più esteso a livello del midollo spinale lombare.
Test di infettività dei tessuti sui topini
•
gli inoculi per i topi da esperimento venivano allestiti a partire dal pool dei tessuti dei
tre vitelli sottoposti all’infezione sperimentale macellati lo stesso giorno e dal tessuto
corrispondente del bovino di controllo;
_______________________________________________________________________________________ 63
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
•
2 gr. di tessuto, addizionato di antibiotici se derivato dall’apparato digerente, veniva
diluito al 10% in soluzione fisiologica ed inoculato alla dose di 0,02 ml per via
intracerebrale e di 0,1 ml per via intraperitoneale in topi 20RIII ed a partire da 18 mesi
dopo l’inizio dell’esperimento in topi C57BI-J6 (il ceppo di topi fu cambiato nel corso
dell’esperimento, perché una malattia intercorrente nella colonia avrebbe potuto
inficiare gravemente l’esito del test di infettività);
i topini, dopo un periodo variabile da 250 a 700 giorni dall’infezione, venivano
soppressi ed il loro encefalo veniva prelevato per il controllo qualitativo dell’infettività.
•
Risultati
•
viene rilevata infettività a livello dell’ileo distale dei bovini macellati dopo 2, 6, 10, 14
e 18 mesi dall’infezione sperimentale ed è ancora confermata durante la fase clinica
della malattia (38-40 mesi post-inoculazione);
l’infettività è stata dimostrata nel sistema nervoso centrale e nel sistema nervoso
periferico (gangli del trigemino e gangli delle radici dorsali dei nervi spinali), prima
della comparsa dei sintomi clinici, ma a differenza dell’infezione sperimentale da
scrapie, non è stata rilevata infettività negli organi linforeticolari, con l’eccezione del
presunto coinvolgimento delle placche del Peyer, che fanno parte del campione di ileo
distale.
•
RIASSUNTO DEI TEST DI INFETTIVITÀ SUI TOPINI A PARTIRE DAI TESSUTI DI
BOVINI MACELLATI DA 32 A 40 MESI POST INFEZIONE SPERIMENTALE.
Tessuto
Corteccia frontale
Midollo allungato
Midollo spinale C2-C3
Midollo spinale T10-T11
Midollo spinale L3-L4
Gangli radici dorsali C3-C6
Gangli radici dorsali T5-T8
Gangli del trigemino
Ileo distale
Numero di topi positivi/numero di topi sopravvissuti quando il primo
topo è stato confermato positivo
32 mesi
36 mesi
38 mesi
40 mesi
1/18
7/16
8/19
11/19
7/20
4/20
6/14
6/18
3/16
5/19
11/18
1/13
7/19
8/19
10/19
10/20
4/17
1/10
3/16
1/9
7/14
1/18
2/18
2/16
1/12
2/19
Infettività dei tessuti bovini nei test sui topi
60
%
Midollo allungato
50
Midollo cervicale
40
Midollo toracico
30
Midollo lombare
Gangli cervicali
20
Gangli toracici
10
Gangli trigemino
Ileo distale
0
64 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Il “caso” del midollo osseo
Nell’evoluzione successiva dello studio, l’unico dato di rilievo è stato la positività
del pool di midollo osseo sternale prelevato dai bovini abbattuti dopo 38 mesi dall’infezione
sperimentale: infatti, due dei sedici topini inoculati con questo campione, hanno sviluppato
sintomi clinici dell’encefalopatia spongiforme e sono risultati positivi anche alle ricerche
istopatologiche; inoltre altri quattro topini sono risultati positivi alla ricerca della PrP
patologica.
Anche se sono stati fatti pochi studi per valutare l’infettività del midollo osseo nelle
TSE, va rilevato che nella scrapie naturale in pecore di razza Suffolk era già stata evidenziata
debole infettività del midollo osseo, così come nell’infezione sperimentale del topo con il
ceppo Chandler della scrapie.
Tuttavia gli autori, vista la sporadicità del reperto, non concludono sulla sicura
infettività del midollo osseo.
Tre possono essere le spiegazioni del risultato dell’esperimento:
•
•
•
diffusione dell’infezione dal sistema nervoso centrale al sistema nervoso periferico,
durante la fase clinica della BSE tramite la ricca innervazione della muscolatura dei
vasi sanguigni (via nervosa);
diffusione attraverso il circolo sanguigno (via ematogena), che almeno nella scrapie è
dimostrata nelle fasi precoci dell’infezione oltre che in corrispondenza della fase
clinica; risulta però poco spiegabile il mancato coinvolgimento di milza e linfonodi, che
non sono mai risultati infettanti né in caso di infezione naturale né sperimentale; è
inoltre interessante notare che in un ulteriore studio ancora in corso, che prevedeva
l’infezione sperimentale di vitelli per via intracerebrale con milza e linfonodi di bovini
colpiti da BSE in fase terminale, si è già evidenziata la sopravvivenza a 72 mesi degli
animali infettati;
la terza possibilità, che non può essere del tutto esclusa, è quella che l’inoculum sia
stato contaminato con altri tessuti infetti in esame.
Infezione sperimentale nelle altre specie
I primi tentativi di trasmettere la BSE a specie diverse dal bovino miravano a
identificare test di laboratorio adeguati per la diagnosi sperimentale della malattia nei bovini e
in secondo luogo a chiarire il ruolo delle diverse specie nell’evoluzione dell’epidemia.
La gran parte delle specie testate sono state sottoposte ad infezione per via orale e per
via parenterale (inoculazione intracerebrale a volte accompagnata da inoculazione intravenosa
e/o intraperitoneale).
Le specie risultate sensibili sia all’infezione per via parenterale che a quella per via
orale sono, oltre al bovino, la pecora, la capra, il topo ed il visone.
Pecora
Gran parte degli studi sull’infezione della pecora e della capra sono stati condotti
dagli scienziati dell’Institute for Animal Health di Edimburgo.
L’ovino è sensibile all’infezione sperimentale da BSE sia per via orale sia per via
parenterale; in particolare risultano sensibili alla BSE anche pecore Cheviot appartenenti a
linee genetiche resistenti alla scrapie (Forster e coll., 1993).
_______________________________________________________________________________________ 65
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Risultati delle prove di infettività dei tessuti di bovini infettati da BSE
(Wells e coll., 1996-1998)
* Corteccia
frontale
100 gr di cervello (OS)
2 mesi p.i 6 mesi p.i.
10 mesi p.i.
14 mesi p.i.
18 mesi p.i.
* * Tronco
encefalico caudale
* POCHI
* POCHI
Gangli radici dorsali Gangli radici dorsali
regione cervicale
regione toracica
Ganglio di
Gasser
* * Midollo spinale
* * Ileo distale
40 bovini di 4 mesi
Midollo osseo sternale
22 mesi p.i. 26 mesi p.i. 32 mesi p.i.
36 mesi p.i. + tronco caudale, midollo spinale e gangli
38 mesi p.i. nuova positività ileo, scompare dai gangli cervicali
40 mesi p.i. scompare positività da midollo osseo e dai gangli
Determinazione infettività: inoculazione IC e IP in topini (esame istologico
dell’encefalo, ICH)
SINTOMI CLINICI BOVINI: 35-36 mesi (p.i)
LESIONI ISTOLOGICHE: 32 mesi: vacuoli neuroni del nucleo vestibolare
36 mesi: lesioni spongiformi diffuse
Da: : Wells et al.: Preliminary observations on the pathogenesis of the experimental BSE. In The BSE Dilemma Serono
Symposia USA 1996; Wells et al.: Preliminary observations on the pathogenesis of experimental BSE: an update. Vet Rec
142: 103-106 (1998); Wells et al. : Bone marrow infectivity Vet Rec, 144: 292-294, 1999.
66 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Le pecore infettate con l’agente della BSE bovina muoiono a causa della malattia:
l’infettività nei tessuti viene riscontrata, analogamente alla scrapie, sia a livello di sistema
nervoso centrale sia nei tessuti periferici, con il coinvolgimento anche della milza, a
differenza di quanto riscontrato fino ad oggi nel bovino (Foster e coll., 1996).
Nella pecora è stata inoltre dimostrata la possibilità di trasmettere la BSE
sperimentale mediante trasfusioni di sangue intero prelevato ad un ovino infetto prima della
comparsa dei sintomi clinici della malattia (Houston e coll., 2000).
Studi molecolari hanno evidenziato che il fattore più importante che influenza
l’incidenza della malattia conseguente all’infezione sperimentale con agenti delle TSE
nell’ovino, è la sequenza aminoacidica della proteina prionica codificata dai codoni 136, 154
e 171 del gene corrispondente alla PrP (Hunter e coll., 2000).
In un recente studio volto a confrontare nell’ovino la BSE sperimentale con la
scrapie naturale, si è accertato che, anche se la sintomatologia clinica è sovrapponibile, si
rilevano differenze nella distribuzione dell’infettività e nel genotipo delle pecore che muoiono
per la malattia: in particolare il periodo di incubazione nella BSE sperimentale risulta
influenzato dal genotipo del codone 171 che codifica la Prp della pecora, mentre nella scrapie
naturale questo legame non si evidenzia, nonostante solo alcune razze di pecore siano
sensibili alla malattia (Foster e coll., 2001).
Capra
Anche le capre risultano sensibili all’infezione sperimentale da BSE, sia per via orale
sia per via parenterale (Foster e coll., 1993).
Nella capra il poliformismo del gene che codifica la PrP influenza il periodo di
incubazione della BSE sperimentale, mentre lo stesso fenomeno non è stato dimostrato nel
bovino (Hunter e coll., 2000).
Suini e pollame
Nel Regno Unito i polli ed i suini in allevamento intensivo sono stati esposti per
lungo tempo a diete a forte rischio, contenenti in alta percentuale farine di carne e di ossa, più
di quanto sia accaduto per i ruminanti; tuttavia un’eventuale infezione potrebbe non essersi
manifestata clinicamente, data la più breve vita commerciale di questi animali.
La prima segnalazione della sensibilità sperimentale del suino alla BSE risale al 1990
(Dawson e coll., 1990); l’infezione sperimentale di giovani suini di 1-2 settimane, con ripetute
inoculazioni per via parenterale di omogenato di cervelli bovini affetti da BSE conclamata,
determina la comparsa della malattia clinica e delle lesioni caratteristiche con grave
vacuolizzazione, che coinvolge diverse aree dell’encefalo ed in particolare la corteccia
cerebrale (Ryder e coll., 2000).
I suini non sono invece sensibili per via orale; alcuni tessuti prelevati da suini esposti
alla BSE per via orale sono stati utilizzati per test biologici sui topini senza rilevare infettività.
I volatili domestici, pur essendo sensibili all’infezione sperimentale per via
parenterale (Dawson e coll., 1990), non sviluppano la malattia quando sono esposti all’agente
della BSE per via orale; i polli che evidenziavano sintomi nervosi sospetti sono stati utilizzati
per provare l’eventuale infettività in altri polli e nel topino, senza che sia mai stata riscontrata
positività ai diversi esami di laboratorio.
_______________________________________________________________________________________ 67
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Visone
Il visone è sensibile all’infezione sperimentale da BSE sia per via intracerebrale sia
per via alimentare e sviluppa una chiara sintomatologia clinica dopo 12-15 mesi
dall’infezione. Le lesioni indotte dalla BSE a livello dell’encefalo si distinguono da quelle
indotte dalla forma naturale dell’encefalopatia trasmissibile del visone (TME) per il meno
esteso coinvolgimento della corteccia cerebrale a fronte di più grave vacuolizzazione a livello
del tronco encefalico caudale e ad un limitato interessamento dell’ippocampo (Robinson e
coll. 1994).
Topo
Il topo è sensibile alla BSE sia per via parenterale sia per via orale e rappresenta
l’animale da laboratorio più importante per gli studi sulla malattia: infatti, la gran parte dei
test biologici delle TSE vengono eseguiti su diverse linee genetiche di topi ibridi. Si tratta di
ben standardizzati gruppi di animali che possiedono caratteristiche genetiche similari e che
quindi manifestano una risposta alla malattia simile e comparabile. I test sui topini, che già
erano utilizzati per gli studi sulla scrapie, hanno consentito di acquisire in poco tempo una
grande quantità di informazioni sulla BSE, riducendo nel contempo la necessità di ricorrere
agli esperimenti sui grandi mammiferi che sono più lunghi, costosi e meno accettati
dall’opinione pubblica.
Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nella creazione di ceppi di topi
che veicolano Prp appartenenti ad altre specie animali, in sostituzione od in aggiunta al gene
proprio della specie murina; queste tecniche, sviluppate dapprima da studiosi americani e
svizzeri, hanno consentito di rendere i topini sensibili a certi agenti di TSE a cui prima
risultavano resistenti e, tramite interventi di ingegneria genetica come la delezione o la
sostituzione di geni, di comprendere meglio il ruolo del gene normale che codifica la PrP
nella genesi della malattia.
La sensibilità del topo all’agente della BSE è nota da tempo (Bradley e coll., 1994;
Fraser e coll., 1992), con diverso periodo di incubazione a seconda della linea di topini
impiegata, ma con quadro clinico e distribuzione delle lesioni molto simile.
L’infezione sperimentale per via parenterale a partire da omogenati di cervelli bovini
morti per BSE, almeno nel 55% dei topini infettati non permette il rilievo della PrP
patologica, anche se compaiono in tutti gli animali i sintomi neurologici e le lesioni
istopatologiche di morte neuronale.
La PrP patologica risulta evidenziabile solo nei passaggi seriali successivi su altri
topini dopo una sorta di adattamento dell’agente patogeno al nuovo ospite (Lasmezas e coll.,
1997).
I ceppi di agente della BSE ottenuti dal bovino producono nel topo un caratteristico
modello di malattia, che si mantiene costante anche dopo ulteriori passaggi sperimentali su
diverse specie animali; questa “firma “ della BSE è stata identificata, oltre che nell’infezione
naturale del bovino, anche nei ceppi provenienti dai casi di FSE dei gatti, dai ruminanti
selvatici degli zoo inglesi colpiti da BSE naturale e dai casi umani di vCJD (Bruce e coll.,
1997).
Analogamente al bovino, sono stati condotti nel topo studi patogenetici per chiarire
le modalità di diffusione dell’agente patogeno della BSE dopo infezione per via orale: il
marker Prp patologica viene riscontrato 45 giorni dopo l’infezione orale con il ceppo BSE
6PB1, a livello delle placche del Peyer e dei linfonodi mesenterici e dopo un periodo variabile
68 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
da 1 a 3 mesi più tardi diviene rilevabile in altri tessuti del sistema linforeticolare, come la
milza ed i linfonodi non collegati all’apparato digerente; nello stesso studio un ceppo
dell’agente della scrapie naturale ha determinato una diffusione più estesa della PrP
patologica nei linfonodi di tutto il tratto digerente, dallo stomaco al colon (Maignien e coll.,
1999).
Come nella specie umana ed in altre specie animali, si è rilevato nel topo che il
polimorfismo del gene che codifica la PrP influenza la durata del periodo di incubazione e la
sensibilità alla malattia; tuttavia gli studi su linee diverse di topi ibridi hanno evidenziato
notevoli differenze nella durata del periodo di incubazione anche in presenza della stessa
sequenza delle basi a livello del gene che codifica la proteina prionica, lasciando supporre
l’intervento di altri geni che influenzano il periodo di incubazione, che sono stati localizzati,
nel corso di un vasto studio sperimentale su oltre 1000 topini, sui cromosomi 2, 11 e 12, a
loro volta collegati ad altri loci localizzati sui cromosomi 6 e 7 (Lloyd e coll., 2000).
Hamster
L’hamster, che rappresenta l’animale da laboratorio di elezione per gli studi
sull’agente della scrapie, risulta invece resistente all’infezione sperimentale con l’agente della
BSE, diventando sensibile solo dopo che il patogeno ha subito un passaggio sul topo.
Primati non umani
Fin dal 1993 fu dimostrata la possibilità di trasmettere la BSE per inoculazione
intracerebrale ed intraperitoneale alla specie di primati Callitrix jacchus (marmoset comune),
con un periodo di incubazione di 46-47 mesi e la comparsa di lesioni spongiformi localizzate
in particolare a livello dei nuclei basali e del diencefalo (Baker e coll., 1993); peraltro negli
animali della stessa specie, come negli altri primati che vivevano negli zoo inglesi ed erano
alimentati, tra il 1980 ed il 1990, con un supplemento di farina di carne ed ossa
potenzialmente contaminata, non è mai stata segnalata la comparsa della malattia clinica, né
risulta possibile la trasmissione sperimentale dell’infezione al marmoset utilizzando la via
orale (Ridley e coll., 1996).
L’infezione naturale da BSE nei primati, è stata segnalata per la prima volta in
Francia nel 1996 in una giovane scimmia Rhesus (Bons e coll., 1996) e poi dagli stessi autori
in due lemuri nel 1997.
Un successivo studio, molto esteso, sull’infezione naturale e sperimentale nei primati
(Bons e coll., 1999), è stato concluso in Francia nel 1999 dagli studiosi dell’Università di
Montpellier; sono stati sottoposti ad infezione sperimentale per via orale alcuni lemuri
appartenenti alla specie Microcebus murinus, e le successive indagini hanno consentito di
acquisire importanti conoscenze patogenetiche sulla diffusione dell’infettività.
In particolare la PrP patologica in fasi precoci del periodo di incubazione si localizza
nei seguenti organi:
•
•
•
tonsille, ove è localizzata a livello di cellule epiteliali periferiche, nei follicoli linfoidi ed
in cellule sparse dello stroma;
esofago, a livello delle cellule stratificate della mucosa e nei linfociti sparsi nel tessuto
connettivo della lamina propria, che infiltrano anche la muscolaris mucosae e la
sottomucosa;
stomaco, ove si evidenzia una diversa distribuzione della PrP che non si rileva a livello
dell’epitelio, ma a livello di tessuto ghiandolare e di tessuto linforeticolare della lamina
_______________________________________________________________________________________ 69
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
•
•
•
propria;
piccolo intestino, duodeno compreso, ove interessa il citoplasma delle cellule epiteliali,
(ad eccezione delle cellule caliciformi mucipare), delle cellule ghiandolari localizzate
alla base dei villi e nelle cellule specializzate M associate con i linfociti che infiltrano
l’epitelio; la lamina propria e la sottomucosa contengono linfociti con accumulo di PrP
patologica come le pareti dei vasi linfatici e sanguigni; sono inoltre coinvolti gli
elementi cellulari delle placche del Peyer ed i linfonodi intestinali;
colon, ove la PrP patologica è limitata alle cellule colonnari disposte vicino al lume e
non coinvolge le cellule delle cripte né la tunica muscolare;
milza, che evidenzia un cospicuo accumulo di PrP nelle cellule della polpa rossa ed in
misura minore alla periferia della polpa bianca.
Nelle fasi successive viene coinvolto il sistema nervoso centrale, con accumulo di
PrP patologica a livello di radici dorsali e ventrali del midollo spinale della regione cervicale,
ed accumuli sparsi lungo le fibre vacuolizzate del midollo spinale; la PrP si riscontra anche
nella zona IV della corteccia cerebrale vicino alle fibre nervose che originano dal corpo
calloso.
E’ interessante notare che lo stesso quadro neuropatologico e la stessa distribuzione
della PrP patologica è stata evidenziata in altri lemuri di zoo francesi morti per BSE naturale
per essere stati alimentati con una dieta integrata contenente farina di carne di possibile
origine inglese ed inaspettatamente anche in altri lemuri asintomatici provenienti da altri zoo
francesi, a testimonianza del fatto che la diffusione dell’agente della BSE negli animali dei
giardini zoologici era molto più estesa di quanto si pensasse.
Insorgenza della encefalopatia nel bovino e trasmissione
intraspecifica
Si ritiene ormai certo che la BSE sia stata trasmessa al bovino attraverso le farine di
carne contaminate, derivanti soprattutto da visceri ed organi di animali infetti (in particolare
SNC, organi linfo-reticolari, intestino) prima che l’utilizzazione di questi mangimi fosse
bandita con le disposizioni del governo inglese (bando del 1988). L’evidenza che le farine di
carne ed ossa utilizzate come supplementi proteici nei mangimi in commercio fossero i
veicoli della infezione deriva dai risultati delle indagini epidemiologiche, in particolare dagli
studi caso-controllo sulle pratiche di alimentazione dei bovini e dall’analisi degli effetti del
divieto imposto all’impiego nei mangimi di questi ingredienti, elementi che hanno fornito
una convincente prova indiretta che le farine erano responsabili della trasmissione dell’agente
patogeno. L’inizio dell’effettiva esposizione della popolazione bovina inglese all’agente della
encefalopatia è coinciso con le modifiche nelle pratiche di trasformazione (rendering) delle
carcasse di animali morti, di rifiuti animali e scarti di macellazione in farine di carne che
hanno interessato quasi interamente la nazione verso la metà degli anni ‘70 (Wilesmith e coll.,
1988) con la sola eccezione della Scozia. Questi cambiamenti consistevano in una drastica
riduzione o addirittura nell’abbandono dell’impiego dei solventi organici idrocarbonati per
massimizzare l’estrazione del grasso dalle farine di carni ed ossa ottenute, e nella
contemporanea adozione di sistemi di trasformazione “in continuo“ che prevedevano
l’applicazione di temperature più basse delle precedenti o un’esposizione più breve al calore.
La malattia si è manifestata principalmente e con una significativa coincidenza con le
pratiche di alimentazione zootecnica in tutta la Gran Bretagna e in alcune isole minori come le
70 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Guernsey (vd. cap. “Epidemiologia descrittiva – Regno Unito”). Circa l’origine
dell’encefalopatia, l’ipotesi più convincente rimane ancora attualmente quella della scrapie
ovina e trova il suo fondamento nella stima di un rischio iniziale connesso al fatto che la
BSE originariamente è comparsa in Gran Bretagna, e che nessuna altra popolazione bovina è
risultata infettata da una sorgente indigena. Questo raffronto geografico ha evidenziato quanto
segue:
1. un rapporto così elevato tra popolazione ovina e popolazione bovina (45 milioni di
pecore/12 milioni di bovini), quale quello inglese, non si è registrato in altri Paesi dove
pure la scrapie ovina era endemica;
2. la scrapie ovina era endemica nella popolazione di pecore inglesi con una prevalenza in
apparenza maggiore che negli altri Stati;
3. le farine ovine di carne ed ossa erano comunemente utilizzate nei mangimi somministrati
ai bovini;
4. le procedure del “rendering“ in Gran Bretagna che, almeno inizialmente erano tali da
prevenire un effettivo rischio per la popolazione bovina, a seguito dei cambiamenti
introdotti potevano aver prodotto una vasta esposizione (Wilesmith, 2001).
Ipotesi diverse da quelle di un’origine a partire dalla scrapie sono state considerate
nella prima fase della epizoozia ed hanno contemplato anche un’origine dal bovino,
considerando principalmente l’evenienza di una forma sporadica di BSE nella popolazione
bovina che, non diagnosticata, sarebbe entrata attraverso il “rendering” nella catena
alimentare. Questa tesi è fondamentalmente smentita dal fatto che la BSE in forma epidemica
si è originariamente manifestata in Gran Bretagna e in nessun altro Paese. Il problema è anche
che gli altri Paesi avrebbero avuto un potenziale di amplificazione molto più grande di un
agente BSE che derivasse da una sorgente bovina, piuttosto che ovina, se si fa una
comparazione con il rischio in Gran Bretagna. Ad esempio, negli USA, dove la densità di
popolazione bovina è maggiore, la comparsa della BSE dovuta ad un evento sporadico o a
fattori mutageni, sarebbe stata con ogni probabilità più facilmente amplificata, quantomeno se
si ipotizza un’uniforme recettività della popolazione esposta.
Sempre a tale proposito va ancora citata una recentissima ipotesi formulata da
Prusiner (2001) secondo il quale va considerata con attenzione la possibilità che la BSE sia
originata dalla selezione durante i processi del “rendering“ di un particolare ceppo di prione
della BSE che si rinviene naturalmente nella pecora e che è in grado di trasmettersi al bovino.
Anche se i dati epidemiologici e sperimentali indicavano che la malattia veniva
trasmessa per via alimentare, tramite farine di carne ed ossa contaminate dall’agente della
BSE, il riscontro fin dal 1991 di nuovi casi di malattia in bovini cosiddetti “BABs”, cioè nati
dopo il primo bando inglese sull’impiego delle proteine derivate dai ruminanti per
l’alimentazione dei bovini (18/07/1988), diede un notevole impulso alle ricerche sulla
diffusione della malattia attraverso vie di trasmissione alternative.
_______________________________________________________________________________________ 71
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Trasmissione verticale
La possibilità della trasmissione per via verticale(1) è stata studiata attraverso i
seguenti campi di indagine:
! Analisi del pedigree ed altri studi genetici
In analogia a quanto verificato per la CJD ereditaria dell’uomo, legata ad un gene
autosomico dominante, venne studiata la possibilità che la BSE potesse essere considerata
come una malattia genetica; l’analisi dei dati parentali di 501 casi di BSE evidenziò il
coinvolgimento di ben 239 tori; i dati escludevano anche la possibilità che la malattia fosse
legata ad un gene autosomico recessivo (Wilesmith e coll., 1988).
Nessuno studio nel bovino ha evidenziato un chiaro legame causale in grado di
spiegare l’insorgenza della malattia solo in alcuni animali della stessa mandria come il
risultato di un’evidente predisposizione genetica.
! Analisi della trasmissione materna mediante uno studio di coorte
La ricerca più importante attuata sulla trasmissione materna della BSE, fu lo studio
di coorte finanziato nel 1989 dal MAFF: la coorte dei vitelli fu scelta nelle fattorie inglesi
dove era presente la malattia, e venne eseguito il confronto tra 301 vitelli nati da madri
infette con altrettanti vitelli di controllo, nati nella stessa mandria e nello stesso periodo da
vacche di almeno sei anni senza sintomi clinici di BSE; i due gruppi di animali, nati tra agosto
’87 e luglio ‘89 vennero acquistati ad un’età compresa tra due e ventiquattro mesi ed allevati
in fattorie sperimentali fino alla comparsa dei sintomi clinici o fino alla macellazione, che
venne praticata a sette anni di vita con il successivo esame del cervello.
Wilesmith e coll. pubblicarono nel 1997 i risultati dello studio evidenziando che 42
dei 301 vitelli nati dalle madri malate (13,9 %) avevano sviluppato la BSE, mentre nel gruppo
di controllo i bovini infetti risultarono solo 13 (4,3%): la differenza di rischio tra i due gruppi
risulta essere del 9,6% ed è statisticamente significativa, anche se va rilevato che nello studio
non si teneva conto degli eventuali fattori di predisposizione genetica che possono avere
rilievo nella trasmissione della malattia.
I risultati dello studio di coorte sulla trasmissione materna vennero analizzati da
diversi gruppi di epidemiologi che giunsero alle seguenti conclusioni:
•
lo studio sull’incidenza della BSE in vitelli nati da vacche che sviluppano la malattia,
evidenzia un significativo aumento del rischio nei vitelli nati meno di due anni prima della
malattia della madre; in particolare, il rischio è massimo per gli animali nati dopo la
comparsa della malattia nella madre, intermedio in quelli nati nell’anno precedente e più
basso, ma ancora significativo, per gli animali nati tra 12 e 24 mesi prima (Donnelly e
coll., 1997);
___________
(1)
Si precisa che si intende per trasmissione:
verticale: quella che avviene tra genitore e figlio per via germinale (sperma o uovo), durante la
fecondazione, o in utero, durante lo sviluppo embrionale o fetale;
materna: avviene tra madre e neonato per via verticale (uovo, placenta, per embryotransfer) od
orizzontale, nel periodo immediatamente post-partum (tramite latte, saliva...);
laterale od orizzontale: la trasmissione che avviene per contatto diretto o indiretto.
72 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
•
in base ai dati dello studio di coorte sembra che la trasmissione materna, almeno in quel
particolare periodo epidemico, potesse essere responsabile di circa il 10% dei casi di
malattia; alla luce di questo dato sperimentale, il SEAC (Spongiform Encephalopathy
Advisory Committee) ha raccomandato al Governo inglese di far abbattere i vitelli nati da
madri malate;
•
fu presto chiaro che i risultati dello studio di coorte potevano essere stati falsati dalla
probabile esposizione di alcuni degli animali dell’esperimento ad alimenti contaminati,
visto che, nonostante la maggior parte degli animali fosse nata dopo il primo bando delle
farine di carne del luglio 1988, l’utilizzo di questi mangimi è continuato ancora per un
lungo periodo.
Ulteriori studi sull’argomento sono stati effettuati da Ferguson e coll. (1997) per
valutare l’entità del rischio BSE, analizzando i dati disponibili su tutti i casi di malattia insorti
dopo il primo bando delle farine di carne: il rischio risulta maggiore per i vitelli nati dopo la
comparsa della sintomatologia clinica nella fattrice ed è più basso per gli animali nati prima
che la malattia si manifesti nella madre; è presumibile che anche la predisposizione genetica
ricopra un ruolo importante nella trasmissione verticale, visto che esiste una grande variabilità
nella sensibilità e nella resistenza dell’ospite alla malattia.
Nell’ambito di un importante studio epidemiologico caso-controllo progettato dal
Central Veterinary Laboratory, con lo scopo di chiarire l’importanza della trasmissione
verticale ed orizzontale nell’epidemiologia della BSE con particolare riferimento ai casi
insorti dopo il bando delle farine di carne, Hoinville e coll. (1995) evidenziarono che non vi è
un’associazione statisticamente significativa tra la comparsa della malattia nella progenie e lo
stato di malattia della madre, mentre si rilevava un coefficiente di rischio statisticamente
significativo di contrarre la malattia per i vitelli dello stesso allevamento nati da uno a tre
giorni dopo il parto di una bovina con sintomatologia clinica di BSE, senza che peraltro si
evidenzi un chiaro nesso causa-effetto tra gli eventi.
! Analisi della trasmissione paterna
Gli studi epidemiologici che hanno confrontato l’incidenza della BSE nei discendenti
di tori sani e di tori che successivamente hanno sviluppato la malattia clinica, non hanno
consentito di verificare differenze di incidenza attribuibili al toro; altri studi hanno
evidenziato l’assenza di rischio legata all’utilizzo di materiale seminale di tori infetti.
Anche i tentativi di trasmissione per via sperimentale della malattia utilizzando seme,
ghiandole seminali o prostata di tori infetti sono risultati negativi (Wells e coll., 1998)
! Studi sull’embryo transfer
Gli studi sull’embryo tranfer come eventuale via di diffusione della BSE sono iniziati
fin dal 1990 presso il Central Veterinary Laboratory, con lo scopo di accertare se l’agente
della BSE fosse veicolato dall’embrione, nonché per provare l’eventuale trasmissione
verticale dell’infezione; un ulteriore motivo di interesse, di tipo commerciale, era quello di
verificare se il patrimonio genetico di bovine di pregio malate di BSE, potesse essere
preservato senza rischi di natura sanitaria con questa metodica.
Venne indotta superovulazione in duecento bovine sospette di BSE, che furono poi
inseminate con fecondazione artificiale; per integrare l’esperimento con nuove acquisizioni
sulla trasmissione per via paterna, 100 bovine furono inseminate con seme di tori positivi alla
BSE e 100 con seme di tori negativi; dopo sette giorni dall’inseminazione, gli embrioni
venivano prelevati con il lavaggio uterino, sottoposti alle normali procedure ed impiantate
sulle riceventi, che erano bovine sicuramente indenni da BSE, trattandosi di manze importate
_______________________________________________________________________________________ 73
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
dalla Nuova Zelanda.
I risultati preliminari dello studio sono rassicuranti: infatti, nessuno dei 255 vitelli
nati dagli embrioni prodotti dal gruppo delle vacche infette, ha ancora sviluppato la malattia
ed i tessuti embrionali ed uterini sono risultati negativi nelle prove biologiche sui topini
(Wrathall e coll., 1997); i risultati definitivi dello studio sono attesi per quest’anno.
Trasmissione materna
Gli studi per accertare l’eventuale trasmissione orizzontale della malattia dalla madre
al neonato dopo il parto, hanno valutato l’infettività della placenta, dei tessuti embrionali e dei
lochi puerperali ed hanno avuto esito negativo nelle prove biologiche sui topini; anche
l’infezione sperimentale di dodici vitelli inoculati per via nasale ed orale con un omogenato di
membrane fetali proveniente da bovine affette da BSE all’ultimo mese di gravidanza, non ha
dato esito positivo (Wells, 1994).
Il latte proveniente da vacche affette da BSE, inoculato nei topini per via
intracerebrale ed intraperitoneale o somministrato per via orale, non ha determinato la
comparsa della malattia, né delle lesioni, né il rilievo di infettività (Taylor e coll., 1995); pur
non essendo stata effettuata la prova di infezione sperimentale nel vitello a partire dal latte, i
risultati dello studio caso controllo sulla trasmissione materna della BSE consentono di
escludere l’eventualità della trasmissione attraverso il latte.
Trasmissione orizzontale
La bassa incidenza della malattia all’interno di una mandria infetta depone per una
scarsa importanza della trasmissione orizzontale legata al contagio diretto tra bovini
conviventi od indiretto, tramite mezzi animati o inanimati.
L’infettività della placenta è molto importante nell’epidemiologia della scrapie,
perché la contaminazione dei pascoli con le membrane fetali consente la trasmissione per via
orale della malattia agli ovicaprini conviventi (Pattison e coll., 1972); secondo altri autori tra
le fonti di infezione della scrapie vanno considerate anche feci, urine e secreti oro-nasali
(Hourrigan e coll., 1979), e le forme larvali di parassiti, nel caso specifico le forme immature
di una mosca carnaria, la Sacrophaga carnaria, che possono fungere da veicoli passivi della
malattia, quando si siano alimentate con tessuto nervoso infetto dell’ospite (Post e coll.,
1999).
Per quanto riguarda la BSE, il fatto che le prove di infettività sui topini eseguite a
partire dalla placenta siano risultate negative, lascia supporre che la trasmissione orizzontale
per questa via non abbia alcuna importanza.
In conclusione, anche se sono state condotte numerose analisi epidemiologiche e
molti studi sperimentali per accertare le vie di trasmissione della malattia da bovino a bovino,
sino ad oggi nessuno è riuscito a evidenziarle con certezza, pur essendo chiaro che, oltre alla
fonte alimentare, esiste una certa percentuale di casi che riconoscono cause che possono
essere sia genetiche sia materne, ma che per una dimostrazione certa richiedono ancora studi
approfonditi.
74 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Trasmissione per via iatrogena
In appendice alla trattazione sulle vie di trasmissione della BSE, meritano di essere
citate alcune ipotesi sulla diffusione della malattia che possono essere intervenute, almeno nei
primi anni dell’epidemia, facilitandone l’espansione.
In analogia a quando si verificò nell’uomo in Francia, ove un’epidemia di malattia di
Creuzfeldt Jakob fu causata dalla somministrazione parenterale di un farmaco a base di
ormone della crescita contaminato di origine umana, è possibile che siano stati utilizzati
organi e tessuti di bovini infetti per allestire preparazioni farmaceutiche, ormoni e vaccini in
particolare.
E’ noto, infatti, che l’ormone somatotropo bovino di derivazione naturale, allestito
dall’ipofisi dei bovini macellati, era utilizzato per incrementare la produzione di latte in
alcune fattorie inglesi e che queste sperimentazioni furono condotte negli anni ’70 ed ’80
(Hart e coll., 1984).
In Medicina Veterinaria, in analogia a quanto si teme possa verificarsi nella specie
umana e a quanto si è dimostrato nelle infezioni sperimentali nelle diverse specie, non si può
inoltre escludere che possano essersi verificati episodi di trasmissione della malattia attraverso
le comuni pratiche chirurgiche.
Fattori che influenzano la trasmissione della BSE
Fattori genetici
Uno dei dati più significativi dell’epidemia di BSE inglese è la bassa incidenza della
malattia nelle mandrie colpite: nella maggior parte dei focolai diagnosticati, era presente un
solo bovino malato; la spiegazione è stata ricercata, oltre che nella dose del materiale
infettante ingerita per via alimentare, anche in particolari caratteristiche genetiche che
potessero influenzare la sensibilità o la resistenza alla malattia.
In altre TSE, come ad esempio la scrapie, il polimorfismo del gene che codifica la
PrP condiziona la sensibilità degli animali alla malattia.
Nel bovino, gli studi sulla caratterizzazione del gene che codifica la proteina
prionica, hanno consentito di individuare due forme del gene, la più diffusa nella popolazione
bovina inglese - individuata da sei copie ripetute di un octapeptide codificato dal gene - e
l’altra forma, meno comune, caratterizzata da cinque copie della medesima sequenza
(Goldmann e coll., 1991). Circa il 90 % dei bovini esaminati sono omozigoti per il gene che
codifica sei copie dell’octapeptide (6:6); circa il 10% sono eterozigoti (6:5) e meno dell’1%
omozigoti per il gene che codifica cinque copie (5:5); va rilevato che in quest’ultima categoria
di bovini, non sono stati rilevati casi di BSE, forse a suggerire una loro resistenza alla
malattia.
Gli studi genetici eseguiti in Scozia su 370 bovini non hanno evidenziato differenze
significative nella distribuzione dei due genotipi tra i bovini infetti da BSE e controlli sani,
lasciando intendere che il polimorfismo non influenzi la sensibilità alla malattia; non si
rilevano inoltre differenze di razza né risulta diversa l’età in cui la malattia compare negli
animali di diverso genotipo (Hunter e coll., 1994).
_______________________________________________________________________________________ 75
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Allo stato attuale delle conoscenze, manca un chiaro legame tra il patrimonio
genetico dell’animale e la sua sensibilità alla malattia e devono essere quindi chiamati in
causa altri fattori, connessi alle modalità di trasmissione del patogeno od all’ambiente.
Fattori ambientali
In altre TSE, pare che alcuni fattori individuali di natura non genetica, siano
importanti nella trasmissione della malattia:
•
•
nella Encefalopatia trasmissibile del visone (TME), ad esempio, si evidenziano livelli di
incidenza molto elevati, risultando spesso colpiti il 100% degli animali dell’allevamento,
e questo fenomeno è stato posto in relazione alla diffusione della malattia attraverso le
ferite alla mucosa orale, che i visoni si producono alimentandosi;
nella variante umana della malattia di Creuzfeldt-Jakob, si è ipotizzato che la diversa
sensibilità alla malattia possa essere influenzata da lesioni boccali ed infezioni delle
tonsille o dell’apparato gastroenterico (Collinge, 1999).
Sono interessanti, a questo proposito, anche gli studi condotti sulla trasmissione della
scrapie:
1. le infestazioni da nematodi gastrointestinali predispongono alla malattia, determinandone
un aumento dell’incidenza ed abbreviandone il periodo di incubazione (Clouscard e coll,
1995);
2. le scarificazioni cutanee sono una possibile via di trasmissione della malattia, di efficienza
analoga alla via intraperitoneale ed endovenosa (Taylor e coll, 1996);
3. la scrapie è stata trasmessa sperimentalmente all’hamster attraverso la polpa dentale,
lasciando ipotizzare nell’uomo il rischio di diffondere le malattie da prioni attraverso le
procedure odontoiatriche (Ingrosso e coll., 1999).
In studi eseguiti in vitro su cellule umane si è accertato che alcune patologie cutanee,
come la psoriasi e le dermatiti da contatto, sembrano favorire l’insorgenza delle TSE, poiché
determinano sovraespressione della PrP nelle cellule epiteliali (Pammer e coll., 1998).
Ulteriori ricerche (Pammer e coll., 2000), hanno evidenziato che la PrPc è
particolarmente abbondante a livello della mucosa gastrica di pazienti portatori di gastrite
causata da Helicobacter pylori.
Nell’ambito delle teorie sull’origine della BSE alternative a quella basata sulla
contaminazione con un agente patogeno non convenzionale delle farine proteiche destinate
all’alimentazione zootecnica, va considerata l’ipotesi, elaborata da Mark Purdey, un
agricoltore inglese esperto in agricoltura biologica, che attribuiva l’origine della malattia ai
pesticidi organofosforici ed in particolare del Phosmet, largamente utilizzato negli allevamenti
inglesi per la lotta contro le mosche parassite del bestiame.
Anche se è difficile giustificare scientificamente l’ipotesi degli organofosfati come
unica causa dell'insorgenza della BSE in Inghilterra, preconizzata da Purdey, si deve
ammettere che questi insetticidi possano condizionare la sensibilità individuale alla malattia,
essendone stata provata l’influenza negativa sul metabolismo del rame e del manganese e
l’importanza di questi oligoelementi nelle funzioni della PrPc; esistono al proposito alcune
evidenze scientifiche:
1. il phosmet induce in vitro un incremento di dieci volte del livello di PrP sulla superficie
delle cellule di neuroblastoma umano (Gordon e coll., 1998);
76 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
2. inoltre Jackson e coll. (1999) hanno dimostrato che il pH acido è in grado di condizionare
la trasformazione della PrP cellulare, la cui struttura si presenta ricca di alfa-eliche,
nell’isoforma ricca di foglietti-beta, che può essere considerata come un precursore della
PrP patologica;
3. lo studio precedente ha inoltre dimostrato che quando il manganese è legato alla PrP,
questa diviene più resistente alle proteasi a testimoniare l’influenza potenziale degli agenti
chimici sulla sensibilità alla trasformazione della PrP cellulare nella sua isoforma
patologica.
Gli studi citati dimostrano che un gran numero di fattori possono essere chiamati in
causa per spiegare la diversa sensibilità individuale alla BSE e che sono necessarie ulteriori
ricerche per chiarire in modo esauriente il problema.
Dose infettante
Fin dai primi studi epidemiologici sulla BSE, si era potuto intuire che la quantità di
materiale infettante necessaria per determinare la comparsa della malattia clinica nel bovino
fosse limitata, pur mancando un preciso riferimento quantitativo. Gli studi sulla scrapie
avevano poi dimostrato che, oltre al parametro dose, ed a fattori di tipo genetico, la via di
somministrazione dell’agente patogeno gioca un ruolo determinante.
Nel topo infettato sperimentalmente con l’agente della scrapie la via orale si dimostra
da 50.000 a 100.000 volte meno efficace della via intracerebrale nel determinare la comparsa
della malattia (Kimberlin e coll., 1989); nella scrapie sperimentale del topo si evidenzia
inoltre che, indipendentemente dalla via di infezione, il periodo di incubazione della malattia
si riduce con l’aumento della dose somministrata (Kimberlin e coll., 1978); il titolo infettante
del materiale somministrato appare un altro fattore che influenza la comparsa della malattia
(SEAC, 1994).
L’assunto, estrapolato dall’esperienza sulla scrapie sperimentale del topino e
generalmente accettato dal mondo scientifico anche per la BSE, che la dose necessaria per
produrre la malattia per via orale fosse molto più elevata di quella per via intracerebrale,
venne posto in discussione quando Foster e coll., nel 1993, dimostrarono che 0,5 grammi di
materiale cerebrale di bovino affetto da BSE in stadio terminale erano sufficienti per
riprodurre la malattia nella pecora e nella capra, nonostante la barriera di specie.
Nel 1992 Wells e Hawkins presso il Central Veterinary Laboratory avevano iniziato,
in parallelo con lo studio sperimentale sulla patogenesi della malattia nel bovino (cfr.
Infezione sperimentale nel bovino), un altro progetto di ricerca, con lo scopo di accertare
l’effetto della dose sulla percentuale di infezione (“attack rate”) e sul periodo di incubazione,
anche in riferimento alle somministrazioni ripetute di materiale infettante. L’esperimento,
citato da altre fonti scientifiche e da “The BSE Inquiry” del Governo inglese edito nel 2000,
non è mai stato pubblicato su riviste scientifiche ed è attualmente in corso di ripetizione con
protocollo modificato, ma merita di essere descritto per le sue risultanze intermedie, da
considerarsi con le cautele richieste per un lavoro non definitivo.
Il protocollo del progetto del 1992 prevedeva l’infezione per via orale con
un’inoculum infettante, costituito da omogenato ottenuto da cervelli di bovine con BSE in
stadio terminale, di 40 vitelli di 4 mesi di età, suddivisi in quattro gruppi di 10, con dosi di
_______________________________________________________________________________________ 77
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
1g., 10g., 100g. e 100g. ripetuti per 3 volte in giorni diversi, e la successiva osservazione
clinica quotidiana fino alla comparsa dei sintomi della malattia.
Fin dal settembre del 1994 fu evidenziata la comparsa di casi di BSE in tutti i gruppi
di animali, compreso il gruppo infettato con la dose di 1g. ed il risultato fu il presupposto per
un rafforzamento delle misure legislative contro la malattia, con l’emanazione dello Specified
Bovine Offal Order dell’agosto del 1995 che considerava l’intero cranio come SBO e vietava
la rimozione del cervello dalla scatola cranica; la bassa dose infettante richiesta orientava
anche a ricercare la causa dei numerosi casi di BSE in bovini BABs che si andavano
manifestando, nelle contaminazioni crociate dei mangimi per bovini a partire da mangimi per
polli e suini.
Nel febbraio dell’anno successivo Hawkins, in un rapporto sull’andamento dello
studio, confermava la diagnosi istopatologica di BSE in uno dei bovini infettati con dose di
1g.: anche se questo risultato viene citato in diverse pubblicazioni, come ad esempio nel
rapporto annuale del 1996 del Chief Veterinary Officer sulla sanità animale, non viene
pubblicato su alcuna rivista scientifica dai suoi autori.
Nell’ottobre 1999 a esperimento concluso, i risultati dello studio erano così
riassumibili:
•
tutti gli animali appartenenti ai gruppi infettati con 100g., in unica od in
triplice dose, erano morti di BSE, mentre nei due gruppi infettati con 10g. e
con 1g. la percentuale di mortalità per BSE confermata era del 70%;
•
il periodo di incubazione per gli animali infettati con dose da 1g. risultava
più lungo (45-71 mesi) rispetto a quello rilevato nel gruppo infettato con tre
dosi da 100g. (34-42 mesi).
Gli Autori tuttavia non hanno considerato conclusivi i risultati dell’esperimento
sopradescritto e, fin dal febbraio 1998, hanno iniziato un nuovo studio, di cui non sono ancora
disponibili dati, utilizzando quattro gruppi di 10 vitelli, che sono stati infettati per via orale
con dosi scalari di 1g., 0.1g., 0,01g. e 0,001g. dello stesso omogenato di materiale cerebrale
infetto utilizzato nel 1992, al fine di accertare con più precisione la dose minima infettante nel
bovino.
Va comunque tenuto presente, nella valutazione degli studi di infezione sperimentale
nel bovino e nelle altre specie, che il materiale cerebrale che costituisce l’inoculum iniziale,
nella gran parte dei casi, non è stato titolato sul topo per accertarne il potenziale infettante,
rendendo in tal modo molto difficile il confronto tra i diversi esperimenti.
In riferimento al tema della dose infettante va rilevato che gli studi di infezione
sperimentale hanno dimostrato che dosi elevate di patogeno comportano la malattia in tutti gli
animali infettati, indipendentemente dai fattori genetici o dagli altri fattori considerati
predisponenti; a dosaggi più bassi non tutti gli animali vengono colpiti, presumibilmente per
l’intervento dei fattori sopraindicati.
Nelle condizioni di campo, restano non del tutto chiariti i motivi per cui solo pochi
animali esposti agli stessi fattori di rischio sviluppino la malattia; va citata tra le diverse tesi,
la cosiddetta “Packet theory” elaborata da Wilesmith nel 1991 e fondata sul presupposto che
negli impianti di rendering potessero essere prodotte partite di farine di carne ed ossa ad alto
titolo infettante, perché ottenute ad esempio da cervelli bovini e che queste farine potessero
costituire dei “pacchetti infettanti” distribuiti in modo non omogeneo nell’alimento, con
l’effetto di infettare solo gli animali che casualmente li trovavano nella loro razione. Questa
teoria è tuttavia sempre stata confutata dai titolari delle industrie mangimistiche sulla base
78 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
delle tecnologie applicate, che hanno sempre garantito una fine triturazione delle materie
prime in particelle non superiori a 3 mm. di diametro e l’adeguata omogeneizzazione del
prodotto finale.
ASPETTI CLINICI DELLA BSE
L’Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) è una malattia degenerativa del
Sistema Nervoso Centrale (SNC), a decorso protratto ed infausto, che colpisce il bovino
adulto.
Si riscontra con maggiore frequenza in bovine da latte di 4 – 5 anni di età (range 20
mesi – 18 anni). La malattia generalmente esordisce in modo subdolo, infatti nella fase
iniziale sono, di solito, presenti esclusivamente segni clinici aspecifici, quali ad esempio la
riduzione della produzione lattea ed il dimagramento con o senza diminuzione dell’appetito;
di solito, soltanto in una seconda fase, compaiono i sintomi neurologici. Il decorso clinico
della BSE varia in media da due alle otto settimane.
Esame neurologico nel bovino adulto
Prima di procedere all’esame neurologico di un bovino sospetto di BSE, assume
un’importanza rilevante il riscontro dei dati segnaletici e la raccolta minuziosa dei dati
anamnestici. Si può condurre l’indagine, assumendo informazioni dettagliate, da coloro i
quali accudiscono gli animali, in particolare si devono rilevare le modificazioni/alterazioni
comportamentali, anche meno evidenti, riscontrate sul soggetto preso in esame.
Osservazione
L’esame neurologico deve iniziare con l’osservazione del bovino adulto in
lontananza, valutando lo stato mentale, il comportamento e la postura (testa , collo ed arti)
dell’animale da esaminare. Si passa, quindi, all’osservazione dell’animale da vicino, in un
primo tempo mantenendolo nel proprio ambiente/gruppo e successivamente, ponendolo in
isolamento, possibilmente in un altro recinto, per riprodurre le condizioni di stress. La
valutazione della sensibilità del bovino può essere effettuata, con l’animale in isolamento,
ricorrendo alla stimolazione acustica ed a quella visiva.
L’esame dell’andatura completa va eseguita in questa prima parte dell’esame
neurologico. A tal fine è opportuno osservare l’animale mentre procede: in linea retta, al
passo , al trotto, quando si muove in salita/discesa o ancora mentre viene impegnato in
repentine svolte. E’ importante non trascurare la valutazione del comportamento del bovino
nei confronti di ostacoli disposti sul terreno e nei confronti di aperture/soglie da superare.
Esame nel travaglio
Quando possibile, occorre porre l’animale in un travaglio o in alternativa contenere
l’animale, mediante l’impiego di una cavezza: è molto importante osservare l’atteggiamento
che assume l’animale nei confronti del travaglio o eventualmente della cavezza. Sull’animale
così contenuto si procede alla valutazione della sensibilità delle estremità distali degli arti
posteriori (prova del bastone) ed a quella della testa e del collo.
_______________________________________________________________________________________ 79
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Esame dei nervi cranici
Infine si passa alla valutazione dei nervi cranici per mettere in evidenza alterazioni,
simmetriche e non, a carico di uno o più paia di questi .
Negli animali in decubito obbligato (vacca a terra), la valutazione dello stato del
sensorio, dei nervi cranici e dei riflessi spinali sono di fondamentale importanza per
confermare/escludere un problema di tipo neurologico e sono, inoltre, indispensabili per
rilevare le lesioni a livello cerebrale o del midollo spinale.
Una descrizione più esaustiva ed esplicativa dell’esame neurologico nel bovino è
disponibile sulla videocassetta: “Visita clinica del bovino adulto: riconoscimento di un
sospetto di BSE” realizzato dal Centro di Referenza Nazionale sulle Encefalopatie
Spongiformi Trasmissibili degli Animali (Cea), in collaborazione con il Dipartimento di
Patologia Animale di Torino – Sezione di Clinica Medica Veterinaria.
Sintomatologia
La sintomatologia neurologica nella BSE può essere ricondotta, da un punto di
vista didattico, ad alterazioni del comportamento, alterazioni della sensibilità ed alterazioni
del movimento. E’ importante sottolineare come, nella maggior parte dei casi, sia il
personale di stalla ad accorgersi della comparsa dei primi sintomi.
Alterazioni del comportamento
Sono le prime a manifestarsi, consistono in:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
apprensione e timore;
digrignamento dei denti;
impennamenti della testa;
aggressività (ad esempio scalciare o caricare);
nervosismo di fronte a porte o passaggi;
aumento delle vocalizzazioni;
sbadigli;
alterazioni del comportamento sociale.
Alterazione della sensibilità :
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
scuotimento della testa;
movimenti anomali delle orecchie;
leccamento frequente del musello;
movimenti frequenti con la lingua;
iper reattività a stimoli sonori, tattili e visivi;
sfregamento della testa contro oggetti fissi;
starnuti e risucchi con il naso;
aumento della salivazione.
I sintomi sopra elencati possono manifestarsi in forma intermittente e non sempre in
relazione a stimolazioni esterne. Spesso si evidenziano in condizioni di stress.
Alterazioni del movimento :
a) postura anomala;
b) atassia;
c) ipermetria degli arti posteriori;
80 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
d)
e)
f)
g)
h)
ipermetria degli arti anteriori;
cadute;
decubito obbligato;
tremori;
fascicolazioni muscolari.
Con il progredire della malattia l’animale presenta una difficoltà ad alzarsi fino a
rimanere in decubito obbligato. Spesso in questa fase è presente un ottundimento del
sensorio. Talvolta, l’animale assume una postura anomala con uno od entrambi gli arti
posteriori rivolti all’indietro.
In animali in decubito obbligato con ottundimento del sensorio ed assenza di
un’anamnesi minuziosa, riconducibile ad una malattia ben precisa, la BSE dovrebbe sempre
essere considerata nella diagnosi differenziale.
Una descrizione più dettagliata della sintomatologia della BSE è disponibile sul
video: “Come riconoscere e diagnosticare la BSE” realizzato dal Centro di Referenza
Nazionale sulle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili degli Animali (Cea), in
collaborazione con il Dipartimento di Patologia Animale di Torino – Sezione di Clinica
Medica Veterinaria.
SCHEDA CLINICA BOVINO SOSPETTO BSE
DATA:
Detentore:
Proprietario:
Veterinario:
Codice aziendale:
Marca auricolare:
ASR n°:
Razza:
Età:
Sesso:
Provenienza:
ESAME OBIETTIVO GENERALE
Stato di nutrizione:
Temperatura:
Linfonodi:
Frequenza cardiaca:
Cute:
Attività ruminale:
Mucose apparenti:
Altro:
_______________________________________________________________________________________ 81
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE DEL SNC
Animale libero, non disturbato
Sensorio/stato mentale
Comportamento
Postura (testa, collo, arti,
colonna)
Tremori
Comportamento in isolamento
Stimolo acustico
Stimolo luminoso
Andatura
Scivolamenti/cadute
Comportamento di fronte
ad aperture/soglie
Comportamento di fronte ad
ostacoli
INDAGINI COLLATERALI
Si/No
Risultati
Sangue prelevato
Urina prelevata
Liquido cefalorachidiano
Video effettuato
Fotografie effettuate
Altro:
82 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Animale nel travaglio/Contenimento con la cavezza
Comportamento nell’entrare nel
travaglio
Comportamento all’interno del
travaglio
Comportamento durante
contenimento con la cavezza
Prova del bastone
Sensibilità della testa e del collo
Nervi Cranici
Sinistra
Destra
(I NC)
Riflesso pupillare, dimensioni
pupille e simmetria (II – III NC,
Sistema simpatico)
Esame del fondo dell’occhio (II
NC)
Reazione di minaccia (II – VII
NC, cervelletto)
Strabismo (III –IV – VI – VIII
vestibolare NC)
Nistagmo (III –IV – VI – VIII
vestibolare NC)
Sensibilità della testa (V NC)
Masticazione (V NC)
Offrire del cibo all’animale
Mimica facciale (VII NC)
Riflesso palpebrale (V – VII NC)
Deglutizione e tonalità delle
vocalizzazioni (IX – X NC)
Mobilità e tono della lingua (XII
NC)
DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLA BSE
A tutt’oggi, non è possibile effettuare una diagnosi di BSE sull’animale in vita
in modo certo e inconfutabile. Pertanto, clinicamente è possibile solo avanzare un sospetto.
L’età, il decorso clinico protratto e infausto, l’assenza di una risposta infiammatoria e/o
immunitaria ed il quadro clinico neurologico sono elementi sufficienti per emettere un
sospetto.
La sintomatologia, in corso di BSE, può essere confusa con altre patologie,
soprattutto a carico del SNC, a carattere infettivo, metabolico e degenerativo.
Alcune delle principali malattie da prendere in considerazione nella diagnosi
differenziale sono:
_______________________________________________________________________________________ 83
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Malattie infettive
A) VIRALI
RABBIA
MORBO DI AUJESZKY
IBR
Quadro clinico
Eccitazione,
aggressività,
ipersessualità, iperestesia, movimenti
compulsivi (anteropulsione), deficit
propriocettivi, salivazione, tenesmo,
decubito e depressione.
Eccitazione,
aggressività,
ipersessualità,
paura,
iperestesia,parestesia,
movimenti
compulsivi (anteropulsione), deficit
propriocettivi, atassia,
salivazione,
depressione, decubito, convulsioni e
coma.
Inizialmente
depressione,
febbre,congiuntivite,
tracheite,
muggiti,
ipereccitabilità,
deficit
propriocettivi, convulsioni, decubito e
coma.
Diagnosi
Istopatologia
Immunoflorescenza
Elisa
Isolamento del virus (cervello, midollo
spinale, mucosa nasale)
Isolamento
del
secrezioni nasali)
virus
(cervello,
B) BATTERICHE
LISTERIOSI
MENINGITI
ASCESSI CEREBRALI
MENINGO ENCEFALITE
TROMBO EMBOLICA
( Malattia del sonno )
PARATUBERCOLOSI
Febbre, ipereccitabilità, nervosismo,
muggiti frequenti, paralisi del nervo
facciale,
strabismo,
nistagmo,
scialorrea, disfagia, testa ruotata,
movimento in circolo, atassia,
emiparesi,
depressione,
decubito
obbligato.
Iperestesia, opistotono, cecità, deficit
propriocettivo,
anteropulsione,
dolorabiltà-rigidità cervicale, atassia,
decubito obbligato, depressione,
coma.
Iperestesia, opistotono, cecità, deficit
propriocettivo,
anteropulsione,
dolorabiltà-rigidità cervicale, atassia,
decubito
obbligato,
depressione,
coma.
Sintomatologia variabile in funzione
della localizzazione.
Esame del liquido cefalo-rachidiano
( pleiocitosi, aumento delle proteine )
Istopatologia
Isolamento batteriologico dal tronco
cerebrale.
Febbre, grave depressione, deficit dei
nervi cranici ( paralisi della lingua,
testa ruotata, strabismo, nistagmo )
cecità, andatura rigida, opistotono,
atassia,
decubito
obbligato,
convulsioni.
Dimagramento progressivo, enterite
cronica.
Esame del liquido cefalo-rachidiano
Istopatologia
Esame batteriologico
Esame del liquido cefalo-rachidiano
Istopatologia
Isolamento batteriologico.
Istopalogia
Isolamento batteriologico
Esame microscopico ( colorazione di
Ziehl-Neelsen )
Coprocultura
Elisa
Immunodiffusione
FdC
84 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Malattie parassitarie
COCCIDIOSI
CENUROSI
THEILERIOSI
Febbre, diarrea, tremori muscolari,
iperestesia,
opistotono,
atassia,
aumento
delle
vocalizzazioni,
decubito, convulsioni.
Depressione, separazione dal gruppo,
dimagramento, digrignamento dei
denti,
cecità,
nistagmo,
anteropulsione, movimenti in circolo,
testa ruotata, paresi progressiva,
atassia, decubito obbligato ( segni
clinici in funzione alla localizzazione
della cisti ).
Febbre,
letargia,
anoressia,
linfoadenopatia, scolo nasale/oculare,
diarrea muco-emorragica, rigidità del
collo, movimenti in circolo, atassia,
anteropulsione, tremori muscolari,
decubito obbligato.
Esame delle feci ( oocisti ) : non
sempre evidenziabili
Istopatologia
Ecografia
Esame autoptico del cervello
Emocromo
Citologia da linfonodi, cervello e altri
tessuti ( Giemsa )
Diagnosi sierologia
(
immunoistochimica
immunofluorescenza )
Malattie metaboliche e carenziali
IPOCALCEMIA
IPOMAGNESIEMIA
CHETOSI
POLIENCEFALOMALACIA
DA
CARENZA
DI
VITAMINA B1
Inappetenza, debolezza, meteorismo, Calcemia
estremità fredde, polso debole,
atassia, decubito, disuria.
Diminuzione della produzione lattea,
anoressia, nervosismo, iperestesia,
tremori, andatura rigida, atassia,
digrignamento del denti, scialorrea,
crisi convulsive.
Magnesiemia
Determinazione del magnesio nel
liquido cefalo-rachidiano, nell’umor
acqueo e nelle urine
Perdita di peso, inappetenza,
diminuzione della produzione lattea,
iperestesia, nervosismo, scialorrea,
cecità,
aggressività
(calciare,
caricare
)
aumento
delle
vocalizzazioni, tremori, atassia,
anteropulsione,
movimento
in
circolo, tetania.
Diarrea
temporanea,
cecità,
strabismo dorso-mediale, scialorrea,
nistagmo, vagare senza meta,
apprensione, iperestesia, deficit
propiocettivi, movimenti in circolo,
atassia, difficoltà ad alzarsi, decubito
e convulsioni.
Corpi chetonici nel siero, nelle urine e
nel latte.
Risposta alla somministrazione di
vitamina B1 ( tiamina)
Valutazione della tiamina nel sangue
Istopatologia
_______________________________________________________________________________________ 85
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Intossicazioni
AVVELENAMENTO
CRONICO DA PIOMBO
AVVELENAMENTO
DA
ORGANO FOSFORICI /
CARBAMATI
Perdita di peso, cecità, vagare senza
meta, iperestesia, aumento delle
vocalizzazioni,
atassia,
paresi,
convulsioni.
Apprensione,
scialorrea,
miosi,
ipereccitabilità,
aggressività,
fascicolazioni e tremori muscolari,
movimenti di masticazione, spasticità,
convulsioni, difficoltà respiratoria,
coma.
Valutazione del tasso ematico del
piombo
Opistotono, cecità, movimenti in
circolo, deficit di uno o più paia di
nervi cranici (in genere monolaterale )
anteropulsione, atassia e decubito
obbligato.
La sintomatologia varia in base alla
localizzazione.
Escoriazioni, soluzioni di continuo,
presenza
di
scroscio,
paraparesi/plegia, tetraparesi/plegia.
Istopatologia
Valutazione
dell’attività
della
colinesterasi nel siero
Evidenziazione nel materiale ruminale
di composti chimici
Risposta all’atropina
Altre patologie
NEOPLASIE CEREBRALI
TRAUMI
SPINALI
CRANICI
LESIONI PODALI
ALTERAZIONI
COMPORTAMENTALI
E
Anamnesi
Esame radiografico
Esame autoptico
Zoppicature, decubito, dolorabilità, Esame ortopedico
tumefazioni.
Esame radiografico
Esame autoptico
Aumento dell’aggressività, vocaliz- Anamnesi
zazioni, nervosismo, alterazioni del Età
Sesso
comportamento sociale.
La trasmissione dal bovino all’uomo
Una delle conseguenze più drammatiche dell’epizoozia inglese della cosiddetta
“malattia della vacca pazza“ – l’ipotesi che l’uomo possa contrarre l’infezione attraverso il
consumo di carne contaminata – sembrerebbe essere confermata sia dagli esiti delle analisi
delle proteine prioniche patologiche (PrPsc resistenti alle proteasi), delle cui caratteristiche
molecolari e chimico-fisiche si è trattato in precedenza, sia dai risultati delle ricerche
pubblicate su Nature nel ‘96-‘97. Questi studi epidemiologici e clinico-patologici, connessi
con l’analisi della proteina prionica patologica e dei suoi effetti, sostengono fortemente
l’ipotesi che l’encefalopatia umana denominata nuova variante CJD sia correlata causalmente
alla BSE, anche se restano da risolvere importanti controversie.
Uno stretto legame tra la nuova variante della CJD e la “malattia della vacca pazza“ è
stato da tempo sospettato perché entrambe le encefalopatie sono caratterizzate da fenomeni
86 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
iniziali di demenza o da alterazioni marcate del comportamento, da tremori, mioclonie, e
sembrano causate da un agente assimilabile ad una proteina infettante catalogata tra i prioni.
Tuttavia non è ancora stato sicuramente dimostrato che la carne contaminata dall’agente della
BSE possa causare la vCJD.
I primi studi sperimentali sulla trasmissione della BSE agli uomini furono intrapresi
nel 1988. Due scimmie marmoset furono inoculate endocerebralmente e morirono della
malattia nel 1999. Era comunque noto che la scrapie si trasmette a questa specie, anche se con
tempi di incubazione minori. Così gli studi non offrirono nuove informazioni per l’uomo.
Una volta riconosciuta la vCJD, è stata avviata una serie di studi di diverso tipo.
A tal proposito vanno attentamente considerati i risultati di due ricerche eseguite da
M. Bruce e coll. presso l’Istituto di Sanità animale di Edimburgo (1997) e da J.Collinge e coll.
(1996 e 1997) dell’Imperial College School of Medicine di Londra. Nel loro lavoro
sperimentale i ricercatori scozzesi hanno inoculato nel topo preparati di cervelli infetti
prelevati da vacche con BSE, da persone con vCJD, e da altre persone affette dalla forma
classica della CJD o CJD sporadica. Il gruppo di Edimburgo aveva già in precedenza
dimostrato che i diversi ceppi causali delle encefalopatie spongiformi trasmissibili
determinavano tempi di incubazione e lesioni neurologiche riproducibili quando venivano
inoculati in certi incroci di topo. Dopo aver controllato le caratteristiche e la sede delle lesioni
encefaliche nei topi inoculati, in correlazione con i sintomi ed il decorso della malattia,
M.Bruce e coll. hanno concluso che la vCJD e la BSE nei topi inoculati determinano la stessa
malattia, distinguendosi nettamente dalla CJD sporadica. I principali aspetti comuni che
caratterizzano la patologia della vCJD e della BSE sono i grossi aggregati della cosiddetta
proteina prionica che si depositano a placche nel cervello e l’interessamento peculiare del
cervelletto. Già Lasmezas e coll. (1996) avevano notato la formazione delle cosiddette
placche floride sia in pazienti affetti da vCJD, sia in macachi sperimentalmente infettati con
BSE.
Inoltre, sostiene ancora M.Bruce, la sorveglianza epidemiologica continua ad
indicare che la vCJD è una nuova entità nosologica che si manifesta per la sua massima parte
in Gran Bretagna, Paese nel quale la BSE è insorta e si è diffusa con catteristiche nettamente
epidemiche. Questi studi sembrano dunque confermare una connessione tra BSE e vCJD.
Il gruppo di ricercatori diretto da Bruce ha così aggiunto un altro elemento di prova o
tassello al puzzle, alla luce di quanto riportato in un altro articolo su Nature (1996) a firma di
Collinge e coll. Utilizzando sia ceppi di topo normale che ceppi di topo transgenico, che
esprimeva soltanto la PrP umana (Hu PrP +/+) e nel quale pertanto era stata eliminata la
barriera di specie, gli AA. sopracitati avevano già indicato che i prioni coinvolti nella BSE e
nella vCJD sembravano identici nel loro comportamento sui topi inoculati, distinguendosi
nettamente dall’agente della forma sporadica della CJD. Infatti, in base agli aspetti clinici, ai
reperti neuropatologici e alle caratteristiche molecolari, la vCJD nelle prove di trasmissione
presenta notevole somiglianza con la BSE ed è del tutto differente dalle altre forme di CJD
sporadica ed acquisita.
Più recentemente anche Scott e coll. (1999) hanno ulteriormente verificato che topi
transgenici che esprimono la PrP bovina inoculati con l’agente della BSE si ammalano in 250
giorni. Se inoculati con l’agente della vCJD si ammalano in 250-270 giorni con uguali segni
clinici e lesioni neuropatologiche sovrapponibili. Con l’infezione da scrapie la malattia ha
invece caratteristiche completamente diverse.
Gli studi realizzati con la tecnica del western blot del gruppo di Collinge (1999)
hanno fornito altre conferme. I risultati mostravano che in campioni di cervello digeriti con
_______________________________________________________________________________________ 87
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
enzimi proteolitici e sottoposti ad elettroforesi, venivano visualizzate tre bande di proteine
prioniche resistenti alla proteasi. La grandezza delle bande dipendeva dal numero di molecole
glucidiche legate alla proteina tramite una reazione cellulare definita glicosilazione. La
proteina PRPSc può avere 1, 2 o nessuna molecola glucidica legata alla terminazione proteica
e queste variazioni portano alla formazione di tre bande diverse nel western blot: la frazione
con 2 molecole glucidiche migra più lentamente delle altre durante l’elettroforesi. Il tracciato
elettroforetico è caratteristico del ceppo di PRPSc e del polimorfismo del DNA al codone 129.
Esistono 4 tracciati principali, in base alla proporzione relativa di ogni frazione e alla
conformazione delle molecole di PRPSc. Nella CJD sporadica il tracciato è di tipo 1 e 2, a
seconda della variante al codone 129. La maggior parte delle forme iatrogene di CJD ha un
tracciato di tipo 3, mentre la BSE e la nvCJD hanno un tracciato di tipo 4, così le TSE dei
gatti e degli animali degli zoo. Ciò è coerente con la teoria dell’origine comune dal ceppo
prionico PRPSc della BSE.
Questi risultati sono assai significativi e fanno presumere che BSE e vCJD siano
causate dallo stesso ceppo di prione. Considerati insieme all’associazione temporale e
spaziale della vCJD con la BSE, ma non con la scrapie o altre encefalopatie animali attribuite
a prioni, e alla luce delle prove di trasmissione della BSE ai macachi, al topo e al gatto
domestico, tutti questi elementi supportano fortemente la tesi che la vCJD sia causata
dall’esposizione alla BSE. La possibilità teorica che le due malattie derivino dall’esposizione
ad una sorgente comune non identificata appare piuttosto remota. La “conclusione
ineluttabile“, secondo Collinge, è che la nuova vCJD è l’equivalente umana della BSE.Anche
secondo Prusiner (2001) vi è ormai una convincente evidenza, alla luce degli studi
epidemiologici e transgenetici, che la vCJD sia stata contratta attraverso l’esposizione ai
prioni della BSE. Pertanto, la nuova variante umana rappresenta il primo esempio di
trasmissione di una malattia animale da prioni alla popolazione umana e i provvedimenti
adottati per minimizzare l’esposizione umana all’agente della BSE sono priorità importanti
per la salute pubblica.
A tutt’oggi (marzo 2001) sono stati 95 i casi, accertati o probabili, di vCJD nel
Regno Unito, 3 in Francia, e 1 nella Repubblica d’Irlanda. Gli aspetti clinico-patologici
caratteristici di questi casi sono stati relativamente uniformi, consentendo la formulazione di
criteri diagnostici per la classificazione dei reperti che ora sono stati validati. Un elevato
segnale nella regione del pulvinar del talamo all’esame dell’encefalo in RMC, reperto
strettamente correlato alla grave gliosi e alla perdita neuronale che si osserva istologicamente
in questa regione, in associazione con un certo numero e tipo di sintomi neurologici, consente
di formulare un sospetto di vCJD in vita con un elevato grado di confidenza, ma una diagnosi
certa richiede la validazione neuropatologica a seguito di accertamento post mortem.
I casi di vCJD sono stati diagnosticati un po’ in tutta la Gran Bretagna, ma può avere
una certa importanza il fatto che il maggior numero di riscontri si registra nel nord del Regno
Unito, forse in relazione con differenze nelle abitudini alimentari regionali. Infatti, in un
articolo comparso su Science (2000), Balter riferisce che i membri dell’Unità Nazionale di
Sorveglianza di Edimburgo, guidati da R.Will, hanno rilevato che l’incidenza della vCJD
nelle regioni settentrionali del Regno Unito è circa doppia rispetto al sud: il fatto è posto in
relazione con il maggior consumo, al nord, di hot-dog e di insaccati che contengono
percentuali più elevate di tessuto nervoso rispetto alle bistecche o tagli analoghi.
88 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Infettività degli organi e tessuti di bovini affetti da BSE
L’opinione corrente è che la BSE sia trasmessa all’uomo attraverso gli alimenti
contaminati da elevate quantità di tessuto nervoso encefalico o spinale, e in questa fase non
esiste alcuna ipotesi alternativa ragionevole. Allo stato attuale, infatti, gli studi, effettuati sui
topi, per determinare l’infettività dei tessuti bovini, sembrano suggerire che molti tessuti nonnervosi (prelevati da animali affetti da BSE) non siano da considerare infettanti (a differenza
di quanto avviene nello scrapie).
In particolare, ricercatori diversi a partire dal 1991 (Bostock e coll., 1991; Middleton
e Barlow, 1993; Fraser e Foster, 1994; Taylor e coll., 1995; Taylor, 1996; Wells e coll., 1998;
Bradley, 1999), hanno dimostrato l’assenza di infettività (per via orale o intraperitoneale o
intracerebrale) in oltre 50 tessuti tra i quali muscolo, latte, linfonodi sopramammari, placenta,
membrane fetali, seme, leucociti e piastrine.
Anche il sangue bovino in toto non è considerato, al momento, causa di infezione e
pertanto nei macelli non è ritenuto contaminante per gli altri tessuti e per gli addetti alle
lavorazioni (Tirrel e coll., 1991; Brown e coll., 1999).
Stesse considerazioni varrebbero per il liquido cerebro-spinale ed il tessuto nervoso
periferico, eccezion fatta per il ganglio del trigemino ed i gangli sulle radici dorsali a livello
del segmento spinale cervicale e toracico (cfr. schema pag. 63).
Per quanto concerne il sistema linforeticolare occorre invece sottolineare l’infettività
delle placche del Peyer.
La trasmissione della malattia tramite midollo osseo (prelevato dallo sterno di un
bovino infetto) iniettato per via intracerebrale nei topi, così come descritto da Wells e colleghi
(1999), sembra in realtà un evento raro, non legato al modello patogenetico della BSE, e non è
possibile escludere che in realtà si sia trattato di una contaminazione avvenuta in laboratorio.
Gli studi attuali pertanto confermano l’infettività solo per l’ileo distale, i gangli sulle
radici dorsali del tratto spinale cervicale e toracico ed il ganglio del trigemino oltre,
naturalmente, per il sistema nervoso centrale (Wells e coll., 1998).
E’ utile precisare che gli studi riguardanti la ID50 (dose in grado di determinare
un’infezione con patologia nel 50% degli animali attraverso una diagnosi clinica, anatomopatologica o con esami di laboratorio) dimostrano che la misura di infettività della BSE nei
topi è 1000 volte meno efficiente rispetto a quella del bovino (Bradley, 1999).
I risultati sopra descritti non devono però essere considerati definitivi in quanto al
momento non possiamo escludere la eventualità che esistano picchi e cadute del tasso di
infettività nei tessuti bovini, ancora sconosciuti; inoltre il modello topo potrebbe non essere
completamente affidabile e sono allo studio test più sensibili di quelli utilizzati sino ad oggi.
Potenziale contaminazione delle carcasse bovine alla macellazione
Le ricerche sperimentali condotte attraverso la utilizzazione del ceppo della vCJD
hanno dimostrato che l’agente trasmissibile responsabile della malattia è identico a quello
della BSE, fornendo ulteriore evidenza a sostegno dell’ipotesi che l’esposizione all’agente
della BSE, presumibilmente con la dieta, è la causa della vCJD. Diviene pertanto opportuno,
_______________________________________________________________________________________ 89
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
nell’ambito di una possibile propagazione dell’infezione attraverso il consumo di carni
bovine, indagare sulle modalità di contaminazione di questi alimenti ed in particolare sulle
possibili contaminazioni secondarie di visceri e di parti muscolari in sede di macellazione,
considerando a tal proposito lo stordimento degli animali e le procedure di macellazione che
sono attualmente utilizzati nei Paesi europei (Anil e coll., 1999). Va dunque verificato se
queste operazioni possano, nel caso della macellazione di un bovino con BSE, contaminare le
parti edibili della carcassa con tessuto nervoso encefalico ad elevato grado di contagiosità,
esponendo il consumatore al rischio di contrarre la vCJD. La dimostrazione della relazione
causale tra l’agente della BSE e la vCJD (Ironside, 1998) ed il riscontro di emboli cerebrali
nei polmoni di bovino macellato con pistola a proiettile captivo penetrante, sollevano il
problema che la sola rimozione del materiale specifico a rischio nei bovini macellati può non
essere sufficiente ad eliminare il pericolo di una trasmissione dell’agente della BSE all’uomo
attraverso il consumo di carne. I risultati delle ricerche di Garland e coll. (1996) e di Anil e
coll. (1999) fanno presumere che vi può essere un certo rischio di disseminazione embolica di
materiale nervoso cerebrale con l’uso soprattutto di pistola pneumatica ad iniezione di aria e
dimostrano inoltre che il neuroembolismo può anche verificarsi attraverso l’impiego di pistola
a proiettile captivo penetrante, convenzionale, seguito dal taglio del midollo spinale. Gli
emboli sarebbero evidenziabili nel sangue venoso giugulare entro 30 secondi dallo
stordimento e potrebbero già aver raggiunto o addirittura attraversato il filtro polmonare
(piccolo circolo) prima che il dissanguamento sia terminato (in circa 90 secondi). Questi
riscontri sono in sintonia con le osservazioni della presenza di tessuto nervoso cerebrale
embolizzato nei polmoni di persone vittime di traumi cranici e di valori elevati di enzimi
specifici nel siero (enolasi neurono-specifica, BB creatin chinasi). Sebbene la eventualità del
raggiungimento o non della circolazione arteriosa (grande circolo) da parte degli emboli di
tessuto nervoso e della loro deposizione nei tessuti edibili richieda ulteriori approfondite
ricerche, è comunque non irrilevante il fatto che il tessuto nervoso embolizzato può
comprendere frammenti di dimensioni molto piccole, microscopiche, tali da non escludere il
superamento del letto capillare polmonare.
In conclusione le ricerche evidenziano il problema di un rischio legato ad una
potenziale disseminazione ematogena di tessuto nervoso cerebrale a seguito della
utilizzazione nella fase di abbattimento della pistola pneumatica e fanno anche ritenere che il
neuroembolismo possa verificarsi quando lo stordimento con pistola a proiettile captivo è
seguito immediatamente dal taglio del midollo spinale (situazione che si verifica raramente
perché la prima operazione dopo lo stordimento è il dissanguamento, seguito a distanza di
qualche minuto dalla decapitazione.
Ma il rischio legato alle operazioni di macellazione non può non tenere conto di
alcune altre situazioni o fattori come:
•
la tipologia dei bovini abbattuti;
•
il numero di capi macellati per giorno;
•
la struttura di macellazione: macello CEE o a capacità limitata.
Alla valutazione complessiva deve essere aggiunta quella derivante dalle manualità e
dalle tecniche di macellazione con la relativa ricaduta sul consumatore, sul personale addetto
alle macellazioni e sul veterinario ispettore. Le osservazioni effettuate sul campo e l’attuale
modalità di abbattimento, utilizzando esclusivamente la pistola a proiettile captivo ci
consentono di confutare decisamente le osservazioni degli Autori succitati, perlomeno dal
punto di vista macroscopico. Assumendo però come dato probabile o possibile la presenza di
una certa infettività nel liquor cefalo-rachidiano (per ora dimostrata solo nell’uomo) e che
90 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
l’inalazione o il contatto attraverso la cute o le mucose apparenti (congiuntivali, nasali, etc.) o
l’ingestione accidentale, et., rappresentino dei rischi potenziali per il personale del macello (si
parla di inalazione, contatto e ingestione accidentale!) possiamo individuare alcune operazioni
di macellazione per le quali sono opportune cautele sanitarie:
•
abbattimento del capo;
•
asportazione della testa;
•
asportazione della colonna vertebrale;
•
divisione in mezzene;
•
asportazione del midollo spinale;
•
rasatura della testa;
•
disosso della testa;
•
apertura dell’intestino e relativo svuotamento.
Oltre ai rischi potenziali per il personale di macellazione, occorre considerare
l’eventualità della contaminazione delle carni (soprattutto parti muscolari) attraverso la lama
del coltello, la sega elettrica, o la scorretta utilizzazione dell’ascia per la suddivisione in
mezzene della carcassa, o della permanenza di porzioni o frustoli di midollo spinale non
completamente asportato che potrebbero compromettere la sicurezza delle carni destinate al
consumo.
Tutto questo determina la necessità di una verifica accurata delle modalità di
macellazione dei bovini (in particolare dello stordimento e del successivo dissanguamento,
nonché della suddivisione in mezzene), che, a fronte di un possibile rischio di inquinamento
delle carni attraverso la disseminazione di frustoli di tessuto nervoso nevrassiale, devono
essere via via adattate alle nuove esigenze di tutela della salute pubblica.
In linea generale, le attuali tecniche di macellazione, il buon livello tecnologico e
funzionale dei macelli (recentemente adeguati agli standard europei) assicurano la possibilità
di mettere in atto sia misure di protezione individuale dei lavoratori (alleg. 4 al DM
29/9/2000), sia accorgimenti rivolti a minimizzare o eliminare i rischi di contaminazione delle
carni assegnate al consumo.
Metodi diagnostici in uso per la BSE
La certezza diagnostica per le TSE, umane ed animali, si ottiene soltanto con l’esame
istologico del sistema nervoso centrale (SNC) e con l’identificazione della PrPsc, proteina
marker che si accumula nel cervello degli individui colpiti, tramite indagini
immunoistochimiche o mediante Western blot, o ancora tramite ricerca delle SAF (Scrapie
associated fibrils), fibrille di sostanza amiloide. L’esame macroscopico dell’encefalo degli
animali colpiti non presenta alterazioni significative.
In base al Regolamento N.1248/2001/CE, recante modifica al Regolamento
999/2001/CE, gli animali con sintomi compatibili con BSE ed i bovini risultati positivi o non
conclusivi ad uno dei test rapidi validati devono essere sottoposti ad esame istologico secondo
le prescrizioni dell’ultima edizione del “Manuale sulle norme per le prove diagnostiche e i
_______________________________________________________________________________________ 91
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
vaccini” dell’Organizzazione internazionale delle epizoozie (OIE).
Se l’esame istologico dà un risultato negativo, dubbio o in caso in cui il materiale
abbia subito autolisi o non si presti ad essere esaminato per via istopatologica, i tessuti devono
essere analizzati mediante uno degli altri metodi del manuale dell’OIE: (Immunoistochimica,
immunobiochimica e rilevazione delle caratteristiche fibrille mediante microscopia
elettronica).
Metodi di screening per la BSE
I test rapidi per BSE si basano, al pari delle metodiche di tipo tradizionale, sul
rilevamento della proteina patologica resistente alle proteasi, detta appunto PrPres o PrPsc (da
scrapie) - la quale è ritenuta il marker dell'infezione, indipendentemente dal fatto che possa
costituire o meno, a seconda delle teorie, l'agente della malattia. Questa proteina è specifica
della malattia e rappresenta la forma patologica di una sialoglicoproteina di superficie
dell'ospite: mentre la forma normale, cellulare, viene completamente lisata, quella patologica
è parzialmente resistente alla digestione con proteasi. Essa si accumula nel sistema nervoso
centrale lungo il prolungato periodo di incubazione della BSE finché viene rilevata dai metodi
diagnostici a disposizione, di tipo tradizionale o rapido.
La differenza tra le metodiche classiche e quelle rapide è che la standardizzazione di
queste ultime permette di eseguire un grande numero di campioni rispetto a quanto possibile
con i metodi tradizionali, e in tempi decisamente abbreviati, entro le 48 ore, tanto da averne
suggerito l'applicazione su animali destinati alla regolare macellazione. In ogni caso si tratta
sempre di metodi da applicarsi post mortem. Il prelievo è facilitato, dopo la macellazione,
dall’uso di un apposito cucchiaio che, inserito e spinto in profondità tra dura madre e midollo
spinale, permette di asportare la porzione di tronco encefalico necessaria all'esecuzione
dell'esame.
I test rapidi validati dall'Unione Europea sono tre, mentre altri cinque sono
attualmente in esame. E’ bene sottolineare che si tratta sempre di metodiche da eseguirsi dopo
la morte dell’animale. Si intende che essi hanno superato le prove di validazione, nel senso
che tutti e tre sono stati in grado di identificare senza errori i 1000 soggetti sani e i 300
soggetti ammalati oggetto della prova. I campioni non infetti oggetto della prova provenivano
da animali della Nuova Zelanda, clinicamente sani e negativi all'esame microscopico. Gli
animali ammalati, provenienti dal Regno Unito, presentavano sintomatologia conclamata e
risultavano positivi per la BSE agli esami tradizionali. Essi recavano pertanto quantità di
PrPsc sufficienti a determinare la sintomatologia: sono stati quindi validati su animali che
presentavano sintomi di malattia. Per determinare la capacità dei test nel rilevare quantità
inferiori di PrPsc si è mimato sperimentalmente quanto si presume possa accadere in
condizioni naturali, diluendo progressivamente il tessuto encefalico positivo in un tessuto
uguale sicuramente non infetto.
Il Programma di sorveglianza attiva per BSE stabilito dalla Decisione 764/2000/CE
prevede pertanto l’utilizzo dei seguenti test rapidi:
Prionics-Check test (Prionics): test basato su una procedura Western-blot per il
rilievo della PrPsc. Il campione viene omogeneizzato, digerito con proteinasi K e sottoposto
ad elettroforesi in gel di poliacrilamide. Le proteine vengono quindi trasferite su una
membrana e la PrPsc viene rilevata utilizzando un anticorpo monoclonale (6H4) ed una
reazione di chemiluminescenza. La lettura dei risultati è basata su 2 criteri: presenza di 3
bande e loro posizione.
92 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Platelia-BSE (Bio-rad): test ELISA sandwich per il rilievo della PrPsc. Il campione
viene omogeneizzato, digerito con proteinasi K e sottoposto a centrifugazione per concentrare
la PrPsc. Viene quindi trasferito in piastre ELISA adsorbita con anticorpi monoclonali antiPrPsc e rivelato con un secondo anticorpo policlonale coniugato con perossidasi. La lettura
dei risultati è effettuata con uno spettrofotometro, su base colorimetrica. Il cut-off viene
calcolato aggiungendo 0.21 alla densità ottica media dei controlli negativi.
Enfer test (Abbot): test ELISA per il rilievo della PrPsc. Il campione viene
omogenato con lo stomacher e trasferito in piastre ELISA, dove la PrPsc viene rilevata con un
anticorpo policlonale, un anticorpo secondario coniugato con perossidasi ed una reazione di
chemiluminescenza. La lettura dei risultati viene effettuata con un chemiluminometro,
considerando un cut-off di 5.5 Unità Luminescenti.
I test rapidi sono in grado di identificare la presenza della malattia in un fase
precedente alla comparsa della sintomatologia: si possono pertanto definire test preclinici.
Essi non sono tuttavia metodi precoci, non consentono cioè di individuare l'infettività in
stadio iniziale dell'infezione.
A partire dal 1° gennaio 2001, data di avvio della sorveglianza attiva, viene utilizzato
in Italia il test Prionics-check, scelto in seguito all’esperienza acquisita dal Centro di
Referenza con uno studio pilota condotto in collaborazione con la Regione Piemonte.
Metodi per la conferma di BSE
1. Esame istopatologico
L’esame istologico viene effettuato su sezioni di encefalo fissate in formalina e
incluse in paraffina, sottoposte a colorazione di ematossilina eosina.
I reperti istopatologici sono limitati al SNC e sono di natura degenerativa. Le lesioni
che si osservano sono state complessivamente definite come una triade di alterazioni
neuroistologiche: la spongiosi del neuropilo; la degenerazione neuronale; l’astrocitosi. La
lesione più caratteristica, quella che di fatto ha determinato l’attributo di “spongiforme, ” è la
spongiosi del neuropilo. Essa è rappresentata da vacuoli di piccole dimensioni originati dalla
dilatazione dei processi neuronali o dalla vacuolizzazione del corpo del neurone. I vacuoli
appaiono come spazi otticamente vuoti, delimitati spesso da una sottile rima di citoplasma e
talora multipli e confluenti (fig.1).
Figura 1 – SNC bovino – Sostanza reticolare:
vacuolizzazione neuronale (E & E 20X)
Figura 2 – SNC bovino – Nucleo del tratto spinale del V:
spongiosi del neuropilo. (E & E 20X)
_______________________________________________________________________________________ 93
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Nella BSE la regione encefalica più colpita è il midollo allungato (nucleo del tratto
solitario, nucleo del tratto spinale del V°, nuclei olivari, nuclei vestibolari e formazione
reticolare), seguito dal mesencefalo (sostanza grigia centrale), dall’area periventricolare nel
talamo (Wells e coll., 1991).
Il nucleo del tratto solitario ed il nucleo del tratto spinale del V° (fig.2), considerati
insieme, sono colpiti nel 99,6% dei casi, perciò l’esame di una singola sezione a livello
dell’obex, dove tali nuclei sono localizzati, può rivelarsi sufficiente alla diagnosi (ibidem). E’
noto che il riscontro di un singolo reperto di vacuolizzazione all’interno del soma neuronale è
un evento comune, anche in assenza di infettività da BSE, in quanto è stato osservato anche in
animali sani.
Le lesioni di tipo spongioso possono essere accompagnate da una più o meno
marcata ipertrofia ed iperplasia degli elementi astrocitari. Possono essere inoltre presenti, in
grado variabile, segni di sofferenza neuronale.
2. Esame immunoistochimico
Viene eseguito su sezioni di tessuto cerebrale incluse in paraffina. Viene messa in
evidenza la presenza di PrPsc mediante pretrattamenti atti a denaturare la PrPc e a
smascherare i siti antigenici e con l’uso di anticorpi monoclonali o policlonali anti-PrP. Con
l’ausilio di un sistema di rivelazione avidina/biotina/perossidasi, si evidenzia la distribuzione
della PrPsc nel tessuto cerebrale per mezzo di un cromogeno.
I quadri immunoistochimici osservati nei casi italiani ed europei di BSE sono
caratterizzati da una immunoreattività diffusa, puntiforme, ed altri in cui si apprezzano
marcati tratti lineari e a corona di rosario (fig.3). In alcuni casi la deposizione di PrPsc
comincia ad organizzarsi in strutture a placca di piccole dimensioni (Caramelli e coll., 2001).
Figura 3 – SNC bovino – Midollo allungato: accumuli di PrPsc a piccole placche
(immunoistochimica, anticorpo P7/7 20X)
94 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
3. Western blot
Si esegue su materiale fresco o congelato. Consiste nel sottoporre la PrPsc presente
nel campione a corsa elettroforetica, si trasferisce su membrana e la si sottopone a rivelazione
immunologica, analogamente a quanto descritto per il test rapido Prionics-check. Rispetto a
quest’ultimo viene però utilizzata una diversa tecnica di estrazione della PrPsc, che prevede
non solo omogeneizzazione e digestione con proteinasi K, ma anche una serie di
ultracentrifugazioni che permettono di purificare e concentrare la PrPsc, aumentando la
sensibilità della metodica. Anche in questo caso vengono messe in evidenza le tre bande
corrispondenti alle frazioni diversamente glicosilate della PrPsc (Fig 4).
Frazione diglicosilata
Frazione monoglicosilata
Frazione non glicosilata
Fig.4: analisi con Western blot di PrPsc di bovini affetti da BSE
4. Microscopia elettronica
Mette in evidenza le fibrille associate alla BSE, l’equivalente bovino delle SAF
(Scrapie Associated Fibrils). Le fibrille sono composte di PrPsc e vengono estratte dal tessuto
nervoso fresco o fissato in formalina (la porzione ottimale per il prelievo è costituita
dall’obex) con l’utilizzo di un trattamento di omogenizzazione, centrifugazioni differenziali e
di digestione con proteinasi K e colorate con acido fosfotungstico. L’osservazione al
microscopio elettronico permette di evidenziare fibrille con struttura ad elica semplice o
doppia di 100-500 nm di lunghezza (Bozzetta e coll., 2000).
_______________________________________________________________________________________ 95
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI
Metodiche utilizzate per la caratterizzazione dei ceppi
Un altro metodo diagnostico è rappresentato dalla trasmissione al topo, intracerebrale
e intraperitoneale, che è caratterizzata da elevata sensibilità ma richiede tempi lunghi,
incompatibili con una diagnosi di routine. Tale metodica viene utilizzata per determinare il
grado di infettività dei tessuti e per lo studio dei ceppi.
I differenti ceppi di agente delle TSE differiscono tra loro per una serie di
caratteristiche peculiari riconducibili al decorso clinico, al periodo di incubazione, ai reperti
neuropatologici, all’immunolocalizzazione della PrPsc, nonché al profilo immunobiochimico
(“glycotyping”).
Su questi principi si è dimostrato che il ceppo della BSE è lo stesso di quello
responsabile della nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (vCJB).
96 _______________________________________________________________________________________
MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001