BSE Eziologia e patogenesi
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BSE Eziologia e patogenesi
CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Capitolo 2 - EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI DELLA BSE Le malattie cosiddette “da prioni” o encefalopatie spongiformi trasmissibili sono una categoria di processi morbosi neurodegenerativi che colpiscono sia l’uomo sia gli animali. Si parla di forme trasmissibili perché possono essere trasmesse ai mammiferi attraverso l’inoculazione di tessuti infetti o, in determinati casi, attraverso la via alimentare. Queste malattie sono tutte associate all’accumulo negli encefali colpiti di una glicoproteina abnorme isoforma codificata dall’ospite, la proteina prionica (PrP), che sembra essere la componente principale, forse essenziale (probabilmente la sola), dell’agente trasmissibile o prione. La PrPsc(1) isoforma, correlata alla malattia, può essere differenziata da quella cellulare normale isoforma PrPc(2) per la sua insolubilità e per la parziale resistenza alle proteasi. La PrPsc deriverebbe dalla PrPc per un meccanismo post traslazionale che sembra implicare una modificazione di conformazione piuttosto che covalente. Le ricerche di genetica molecolare umana a livello transgenico e gli studi di conversione in vitro propongono un modello di propagazione dei prioni che comprende un’interazione diretta proteina-proteina tra la PrPc dell’ospite e la PrPsc inoculata; la PrPsc agisce in modo tale da promuovere un’ulteriore conversione della PrPc in PrPsc tramite un processo autocatalitico che procede a cascata in modo più efficiente quando le proteine interagenti presentano la stessa struttura primaria. Oltre alla biologia unica e peculiare di queste malattie, che ha sempre fortemente richiamato l’attenzione di moltissimi ricercatori, la comparsa e lo sviluppo in forma epidemica della BSE in Gran Bretagna e successivamente anche in altri Paesi Europei, ha incrementato ancor più l’interesse degli studiosi e dell’opinione pubblica per l’eventualità che le TSE rappresentino una seria minaccia per la salute pubblica, soprattutto a seguito dell’ingestione di carni infette di bovini colpiti dalla BSE. Tra l’altro la BSE è anche responsabile di TSE in un certo numero di altre specie animali come i gatti domestici (FSE), ungulati esotici in cattività (Nyala e Kudu), presumibilmente a seguito dell’ingestione di carni contaminate dall’agente dell’encefalopatia bovina. Nell’uomo esistono diversi tipi di encefalopatie spongiformi che sostanzialmente possono essere distinte in ereditarie, acquisite e sporadiche. All’incirca il 15% di queste forme è costituito da malattie ereditarie associate a mutazioni della codificazione nel gene della proteina prionica (PRNP). Le malattie acquisite comprendono il Kuru e la CJD iatrogena. Vie iatrogene di trasmissione ben note sono i trattamenti con ormone della crescita o gonadotropina ricavati dall’ipofisi di cadaveri, i trapianti di dura madre o di cornea, e l’uso di strumenti neurochirurgici non adeguatamente sterilizzati. Comunque la maggior parte delle encefalopatie spongiformi umane si manifesta come CJD sporadica, nella quale o per la quale mancano i riferimenti relativi a mutazioni patogene della PRNP o una storia di esposizione iatrogena. La comparsa di una nuova forma di encefalopatia registrata soprattutto in Gran Bretagna, che colpisce inaspettatamente giovani persone e presenta aspetti clinico-patologici del tutto caratteristici, fa ritenere che ci si trova di fronte ad una nuova entità nosologica con ogni probabilità diversa dalla CJD sporadica, e per questo denominata ”nuova variante CJD”, che potrebbe essere attribuita all’esposizione a carni (o meglio frattaglie) di bovini infettati dall’agente della BSE. Tutti i pazienti affetti dalla vCJD e sottoposti ad esame neuropatologico e di laboratorio (immunoistochimica, immunoblot, ecc.) sono omozigoti per la metionina al residuo polimorfo 129 della PrP e non offrono a considerare alcuna mutazione della 42 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI codificazione. Inoltre nessuno di questi ha una storia di esposizione iatrogena a prioni umani. Studi condotti con la tecnica del western blotting hanno accertato che il tracciato della PrP resistente alla proteasi, determinato dalla minore o maggiore glicosilazione della proteina è identico per i casi di vCJD mentre è diverso per la forma classica sporadica e per la forma iatrogena della malattia. Poiché le caratteristiche dei tracciati (spessore ed intensità delle bande) di PrP proteasi resistenti della vCJD differiscono sensibilmente da quelle della CJD sporadica e iatrogena, si è verificato se il modello distintivo di glicosilazione si potesse rilevare anche nella BSE, trasmessa naturalmente o sperimentalmente. La forma glicosilata della vCJD è stata così rilevata nella stessa BSE, nella BSE sperimentalmente trasmessa al topo e nella BSE trasmessa sperimentalmente al gatto domestico e sempre sperimentalmente al macaco, avvalorando l’ipotesi che la vCJD origini dalla trasmissione della BSE all’uomo. Secondo Ironside (1998) tuttavia questo particolare tipo di PrP altamente glicosilata è stato identificato anche in un ceppo di scrapie e di insonnia fatale familiare e non è pertanto specifico per BSE e vCJD. L’eziologia della CJD sporadica o classica (forma cosiddetta spontanea) resta non definita: al suo determinismo potrebbero concorrere o contribuire mutazioni somatiche della PRNP o una conversione spontanea della PrPc in PrPsc come raro evento stocastico. La nuova variante CJD offre d’altro canto a considerare caratteristiche di ceppo nettamente distinte rispetto agli altri tipi di CJD, e simili a quelle della BSE, lasciando aperta l’ipotesi di trasmissione bovino-uomo. (1) sc = scrapie (2) c = cellulare _______________________________________________________________________________________ 43 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Le encefalopatie spongiformi Le encefalopatie spongiformi sono classificate fra le malattie da agenti non convenzionali. Sono malattie neurodegenerative con esito sempre fatale, colpiscono sia l'uomo sia gli animali e possono manifestarsi come malattie sporadiche, genetiche od infettive. Se ne fornisce un quadro riassuntivo distinguendo quelle che colpiscono i ruminanti, animali diversi dai ruminanti e l’uomo. RUMINANTI • (Malattie scrapie simili) (modif. da Prusiner, 1997) Scrapie La scrapie è una malattia endemica degli ovini e dei caprini chiamata così perché causa inizialmente prurito (to scrape: grattare); ciò porta gli animali colpiti a grattarsi ed a mordersi sino all'autolesionismo. È una patologia infettiva che può essere trasmessa per via orale con l'ingestione di materiale organico infetto, per via orizzontale (principalmente nel periodo dei parti) e, probabilmente, per via materno-fetale. L'insorgenza della malattia è influenzata dal ceppo infettante coinvolto e dalla sensibilità dell'individuo. Tale sensibilità deriva da profili genetici differenti presenti nei singoli ovini. • Encefalopatia spongiforme del bovino (BSE) L'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) è una malattia infettiva fatale del bovino, comparsa nel 1986 in Gran Bretagna. La prima diagnosi ufficiale fu effettuata nell'ottobre dello stesso anno. I principali sintomi caratteristici osservati sono ipersensibilità agli stimoli esterni e incoordinazione degli arti posteriori, con spiccate reazioni di timore. È probabile che sia un'infezione alimentare, trasmessa tramite farine animali trattate in maniera insufficiente ad eliminare l'agente eziologico. • Encefalopatia degli ungulati esotici È una patologia infettiva assimilabile alla scrapie che è stata osservata principalmente in ungulati selvatici (orice, antilope, nyala, kudu ecc.) allevati in cattività ed alimentati con mangimi contaminati. • Sindrome del dimagrimento cronico Chronic wasting disease (CWD) è una patologia cronica di origine oscura, simile alla scrapie, che è stata evidenziata nell'alce delle Montagne Rocciose e nel cervo-mulo tenuto in cattività o allo stato libero. 44 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI NON RUMINANTI • Encefalopatia trasmissibile del visone (TME) La TME è una malattia che colpisce tipicamente i visoni allevati; è probabile che la causa sia da attribuire all’alimentazione, inizialmente per il consumo di farine di carne di animali infetti da scrapie, e successivamente a partire dalle carcasse degli stessi visoni infetti. L’agente causale possiede le stesse caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche della scrapie, non è correlato alla BSE e non è trasmissibile, per via naturale, a specie diverse dal visone. Il visone si infetta alimentandosi con mangimi contaminati dall’agente causale della scrapie o direttamente attraverso soluzioni di continuo della cute o delle mucose. L’incubazione è di 8-9 mesi. La malattia si manifesta con incoordinazione dei movimenti, cambiamenti nelle abitudini alimentari e minor cura nella toelettatura; inoltre sono frequenti sintomi di eccitazione. La morte sopraggiunge in 3-8 settimane. • Encefalopatia spongiforme dei felini (FSE) La FSE è una malattia osservata nei gatti ed in alcuni altri membri della famiglia dei felini come gli ocelot, i ghepardi ed i puma ecc. Si è ipotizzato che l'insorgenza di tale encefalopatia spongiforme sia dovuta all'alimentazione dei felini (serragli, zoo ecc.) in cattività con materiale infetto da BSE. La FSE ha un certo riscontro nel Regno Unito, dove è stata diagnosticata la prima volta nel 1990 ed ha fatto registrare 85 casi dal 1990 al mese di giugno 1999. Nel nostro paese è conosciuta una forma di encefalopatia spongiforme felina, ma mancano dati statistici precisi e comprovati da diagnosi di laboratorio che la attribuisca a FSE. Il primo sintomo dell’encefalopatia spongiforme felina è rappresentato da mutamenti nel comportamento, quali aggressività ingiustificata o tendenza a nascondersi. L’atassia locomotoria è costante; al contrario appaiono solo talvolta i seguenti sintomi: iperestesia a stimoli uditivi o tattili, polifagia, grooming esagerato o ridotto, ipersalivazione, polidpsia, midriasi, tremori. _______________________________________________________________________________________ 45 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI UOMO • Kuru Malattia scoperta da Gajdusek nella tribù Fore della Nuova Guinea (1967), caratterizzata da lungo periodo di incubazione, ipereccitabilità, tremori, atassia, riso incontrollato, detta anche "morte che ride" per la discinesia facciale. È di origine alimentare legata al cannibalismo rituale: la tribù onorava i defunti mangiandone il cervello. Tale pratica cessò nel '58 e, conseguentemente, scomparve negli anni la manifestazione della malattia. • Sindrome di Gerstmann-Straussler-Scheinker (GSS) Rara forma umana di TSE di tipo ereditario (autosomico dominante) ma trasmissibile per inoculazione intracerebrale a cavie di laboratorio. È causata da una mutazione del gene codificante la PrP ed è stata trovata in 50 gruppi famigliari. È caratterizzata da demenza, atassia, disfagia, amiotrofia aggravantesi sino all'exitus, che sopraggiunge dopo 2-6 anni dalla comparsa dei primi sintomi. • Insonnia Familiare Fatale (FFI) La FFI è una rara malattia ereditaria di tipo autosomico dominante come la sindrome precedente ma caratterizzata da insonnia, disturbi del sistema nervoso autonomo, disturbi motori e cognitivi e morte entro un anno dall’esordio. • Malattia di Creutzfeldt-Jackob (CJD) Può essere di tipo sporadico per via ignota (un caso su un milione), di tipo ereditario per mutazione del gene codificante la proteina prionica o, in rari casi, di tipo iatrogeno: tali casi compaiono in seguito ad infezione accidentale dovuta a procedure mediche coinvolgenti materiale derivato da SNC infetto o ferri chirurgici non correttamente decontaminati. Inequivocabili caratteristiche cliniche sono la demenza rapidamente progressiva ed almeno due dei seguenti segni clinici: mioclono, disturbi visivi o segni cerebellari, piramidali o extrapiramidali, mutismo acinetico ed un tracciato elettroencefalografico tipico. L'identificazione della proteina 14-3-3 nel liquido cefalorachidiano è di supporto alla diagnosi. • Variante della CJD (vCJD) Questa forma si differenzia dalla forma classica di CJD per la comparsa anche in soggetti particolarmente giovani, per una più lunga durata clinica della malattia (superiore ad un anno) e per caratteristici sintomi d’esordio rappresentati da disturbi comportamentali, modificazioni della personalità e depressione. La maggior parte dei pazienti sviluppa precocemente un'atassia cerebellare, mentre, con il progredire della malattia, può comparire mioclono preceduto da movimenti coreici; la demenza infine evolve in un mutismo acinetico. Il quadro EEGrafico non presenta le caratteristiche tipiche riscontrate nel CJD. All'esame neuropatologico si osservano numerosi depositi di placche amiloidi circondate da spongiosi (placche floride). Ad oggi in Italia non è stato segnalato alcun caso di vCJD. 46 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Illustrazione schematica delle più frequenti localizzazioni delle lesioni da malattie prioniche. Nella BSE è colpito il midollo allungato, nella FFI la regione talamica, nel CJD la corteccia cerebrale, mentre nel KURU e nella GSS viene maggiormente interessato il cervelletto. ASPETTI ISTOPATOLOGICI COMUNI 1. Vacuolizzazione neuronale a livello dei processi dendritici, assonali e corpi cellulari 2. Ipertrofia e proliferazione astrogliale 3. Alterazione spongiforme della sostanza grigia DIFFERENZIAZIONE DALLE PATOLOGIE INFETTIVE CONVENZIONALI 1. Assenza di reazione infiammatoria con assenza di manicotti perivascolari e perineuronali, assenza di pleiocitosi o di un marcato incremento di proteine nel liquido cerebrospinale durante il corso della malattia 2. Assenza di reazione immunitaria nei confronti dell'agente eziologico 3. Assenza al microscopio elettronico di particelle simil-virali nelle sezioni di encefali colpiti _______________________________________________________________________________________ 47 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Le ipotesi eziologiche Sulla scorta di un recente lavoro di Bastian (Sito CJD Disease Foundation, 1999), forniamo una rassegna delle ipotesi finora formulate, comprese quelle che hanno ormai perso consistenza interpretativa (studi iniziali). Anche se la teoria maggiormente accreditata è attualmente quella proposta da Prusiner (1998) a cui si dà più ampio spazio, proponiamo anche una sintesi di altre teorie recenti, che contengono comunque elementi di analisi interessanti. Studi iniziali • Teoria dei Virus Lenti (Sigurdsson, 1954; Gajdusek,1977) Il termine virus lento fu proposto per denominare l'agente della scrapie basandosi sul suo lungo periodo di incubazione: usare tale denominazione fu conveniente per la caratteristica fisica che ai tempi poteva essere facilmente misurata, la dimensione, che in seguito a prove di filtrazione fu determinata intorno ai 40nm. Contestualmente fu coniato il termine di agenti non convenzionali per tener conto delle proprietà inconsuete degli agenti delle TSE . Questa teoria fu abbandonata poichè nessuna particella che potesse essere ricondotta all'aspetto di un virus convenzionale, è mai stata osservata al microscopio elettronico; inoltre studi recenti non hanno mai evidenziato la presenza di acidi nucleici. • Ipotesi del Viroide (Alper, 1967) Il concetto di viroide scaturì dalla scoperta di proprietà attribuite all'agente infettante che suggerivano una struttura più semplificata e più piccola dei virus convenzionali. A seguito di studi di inattivazione con radiazioni, pareva che l’agente fosse una molecola di RNA di 200-400 nucleotidi priva di proteine (viroide). La teoria cadde quando si comprese che la infettività era strettamente correlata alla presenza di proteine. Teorie piu' recenti • Teoria del Virino (Dickinson,1988) L'ipotesi del virino è basata sul concetto che il patogeno sia una particella infettante che possiede un genoma indipendente dal suo ospite; tuttavia, si ipotizzò che nel ciclo replicativo della scrapie ci fosse uno stadio in cui il genoma fosse legato alle proteine dell'ospite e necessitasse di un enzima (codificato da un gene dell'ospite) modulante i tempi di replicazione. Questa teoria sebbene innovativa è essenzialmente speculativa, con poche o nulle prove sperimentali a suo favore. • Ipotesi del Virus Filamentoso (Merz, 1984) Il ritrovamento di fibrille amiloidi associate a scrapie (SAF) nei tessuti colpiti da CJD portò all'idea che queste fossero l'agente infettivo stesso, sulla base di una comparazione tra le SAF presenti negli omogenati cerebrali e i batteriofagi filamentosi. Il primo problema legato a questa ipotesi fu l'evidenza che il diametro delle fibrille (4-5 nm) risulta troppo ridotto per contenere acidi nucleici: infatti la misura richiesta per la presenza di un genoma è di almeno 20 nm. Inoltre in natura non vi sono altri esempi di strutture virali così peculiari. Studi recenti hanno dimostrato che l'infettività non è assolutamente legata alle SAF. 48 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI • Ipotesi del Retrovirus (Haseltine, 1986) In prove di purificazione dell'agente eziologico della CJD, si evidenziò la presenza di un RNA a basso peso molecolare simile a quello presente nei retrovirus. D'altra parte, la provata assenza nei tessuti infetti da TSE di strutture virali evidenziabili al microscopio elettronico, la resistenza ai trattamenti fisico-chimici che normalmente inattivano i retrovirus e il diverso tipo di lesioni indotte nei tessuti da tali virus, permettono di scartare quest’ipotesi. • Teoria della Amiloidosi-Virus-Indotta (Braig, 1985) Poiché non esiste prova morfologica che un virus sia presente nei tessuti colpiti da CJD, fu ipotizzato che siano visibili gli effetti di un virus piuttosto che il patogeno stesso. Le SAF rappresenterebbero una struttura proteica amiloide connessa ad un'infezione virale, ipotizzando che la replicazione del virus cominci e finisca prima dell'instaurarsi dei sintomi clinici. Ciò giustificherebbe l'inefficacia del trattamento delle TSE con farmaci antivirali. Questa teoria è stata indebolita dall'osservazione che le placche amiloidi sono state scarsamente osservate nella scrapie indotta sperimentalmente, se non combinando l'agente infettante di alcuni tipi di scrapie con certe linee di topi da laboratorio. TEORIA MAGGIORMENTE ACCREDITATA • Teoria del Prione (Prusiner, 1998) Nel 1982 S.B. Prusiner pubblicò su Science uno studio sull'agente causale della scrapie, affermando che fosse "una nuova particella proteica infettiva" e proponendo il nuovo termine prione che teneva conto della sua natura sia proteica sia infettiva. L'idea di una proteina come agente infettivo era stata già proposta da Griffiths nel 1967, ma fu Prusiner che arrivò ad una vera e propria dimostrazione, tentando di capire perché, su 18.000 pecore vaccinate contro il virus della louping-ill, circa 1.500 svilupparono dopo 2 anni la scrapie, nonostante il vaccino fosse stato trattato con formalina per prevenire le infezioni virali. I suoi esperimenti portarono all'evidenza che l'agente della scrapie conteneva una proteina indispensabile all'infettività e le prove dimostrarono che l’agente perde la capacità infettante: 1. con la digestione mediante proteinasi K e tripsina; 2. per inattivazione chimica con dietil pirocarbonato; 3. per inattivazione con sodio dodecil solfato (SDS); 4. per inattivazione con sali come il guanidin tiocianato; 5. per inattivazione con fenolo; 6. per inattivazione con urea. Inoltre l'agente si dimostrò resistente alle procedure d’attacco agli acidi nucleici come il pH acido, l’azione di ribonucleasi, desossiribonucleasi, UV a 254 nm, l’idrolisi con cationi bivalenti e l’attacco chimico con idrossilammina. Si pensò che il peso molecolare dell'agente infettivo fosse tra 64.000 e 150.000 dalton, fatto incompatibile con la presenza di acidi nucleici o un sistema efficiente per la loro riparazione; inoltre, recenti esperimenti di filtrazione ed elettroforesi portano a ritenere che l'agente della scrapie abbia aspetto globulare ed abbia un peso molecolare addirittura inferiore ai 50.000 dalton. Le tipiche caratteristiche dell'agente della scrapie furono allora così riassunte: 1. stabile a 90° C per 30 minuti; _______________________________________________________________________________________ 49 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI 2. basso peso molecolare (inferiore ai 50.000 dalton); 3. contenente proteine idrofobe indispensabili all'infettività; 4. resistente alla ribonucleasi e desossiribonucleasi; 5. resistente alla radiazione UV a 254 nm; 6. resistente alla formazione di psoralene fotoindotta; 7. resistente all'idrolisi catalizzata da Zn bivalente; 8. resistente all'attacco chimico con NH2OH. Fu così evidenziato che l'agente della scrapie differiva profondamente dai virus, i viroidi e i plasmidi e, di conseguenza, fu proposto che avesse natura proteica e mancasse di acido nucleico. Contestualmente si cercò di provare che la proteina prionica, non solo fosse presente in concomitanza con i sintomi della malattia, ma che ne fosse effettivamente la causa; già dall'inizio degli studi sulla scrapie e sul kuru si era evidenziata la loro evidente trasmissibilità, confermata dalla possibilità di infettare gli scimpanzè con inoculazione intracerebrale di materiale infetto da CJD. La prova inoppugnabile fu data da Prusiner che dimostrò, tramite prove di ultrafiltrazione, che il prione era l'unica macromolecola che potesse veicolare l'infettività. Dagli studi ipotizzanti la natura dei prioni è emerso quindi che l'agente infettivo era composto da un singolo tipo di molecola proteica che fu chiamato PrPsc (scrapie) e, successivamente, che tale proteina è la forma alterata di una normale glicoproteina di membrana detta PrPc (cellulare). Tabella comparativa tra Virus classici e Prioni Agenti infettivi filtrabili Presenza di acidi nucleici Morfologia definibile con il microscopio elettronico Presenza di proteine Inattivazione con: Formaldeide Proteasi Calore (80°C) Ionizzazione e raggi UV SINTOMI Effetto citopatologico Periodo di incubazione Risposta immunologica Produzione di interferone Risposta infiammatoria Virus Si Si Si Prioni Si ?? No Si Si Si Alcuni Quasi tutti Si No No No No Si Dipende dal virus Si Si Si No Lunga No No No 50 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Caratteristiche della PrP (Harris, 1999) PrPc CARATTERISTICHE E FUNZIONE (Quaglio, 2001) La PrPc è una normale glicoproteina cellulare presente nei neuroni, nella glia del SNC centrale, come pure in parecchi tessuti periferici, nei leucociti e nelle cellule spermatiche mature (Shaked, 1999). La PrP e il suo RNAm sono ampiamente distribuiti nel sistema nervoso centrale ed in particolare nei neuroni della corteccia, dell'ippocampo, nelle cellule cerebellari del Purkinje e nei motoneuroni spinali. La normale funzione della PrPc rimane sconosciuta, sebbene la sua localizzazione sulla superficie cellulare faccia pensare ad un suo ruolo nell’adesione e nel riconoscimento cellulare, nei recettori di membrana e nella chimica dei neurotrasmettitori. La comprensione del ruolo fisiologico della PrPc potrebbe essere importante per capire la patogenesi della malattia, poiché la proteina può cessare di svolgere la propria funzione quando si converte nell'isomero PrPsc. I topi knockout (animali in cui è stato distrutto il gene codificante la PrPc) non dimostrano rilevanti difetti di sviluppo o di comportamento: studi hanno evidenziato tuttavia, in alcuni fenotipi e con manifestazioni di modesta gravità, sintomi che ricordano quelli delle malattie prioniche, come perdita del ritmo circadiano, anomalie del sonno e cambiamenti dell’apprendimento. Recentemente è stato proposto che la PrPc abbia un ruolo nel metabolismo del Cu poiché lega da uno a tre atomi covalenti di rame a livello del N-terminale della regione ottapeptidica e mostra, infatti, un’attività antiossidante: studi in vitro hanno dimostrato che la PrPc protegge le cellule dallo stress ossidativo quanto più risulta legata ad atomi di rame (Brown e coll., 2001). Inoltre, in omogenati cerebrali, tale proteina è stata rilevata in alta concentrazione nella giunzione sinaptica postulando per questo una sua azione o come tampone del rame o come recettore endocellulare per la reintroduzione del rame dall'ambiente extracellulare (Kretzschmar e coll., 2000). STRUTTURA E BIOSINTESI (Rymer e Good, 2000) La PrPc è una proteina di circa 250 aminoacidi; presenta un’estremità carbossiterminale che permette l'ancoraggio alla membrana legandosi al glicosilfosfatidilinositolo (GPI). Tra gli aminoacidi 178 e 213 la PrPc possiede due siti di glicosilazione in prossimità di due residui di asparagina (N). Agli estremi di questo segmento vi sono due residui di cisteina che formano un ponte disolfuro, legando tra di loro due tratti della proteina che si dispongono nello spazio secondo una struttura elicoidale (alfa-elica). Muovendosi verso l'estremità aminoterminale la proteina presenta un nucleo idrofobico contenente un sito di scissione (clivaggio B) dove la proteina viene idrolizzata durante il normale metabolismo cellulare. Sono di seguito presenti sequenze aminoacidiche ottameriche ripetute, che possono legare fino a 4 atomi di rame; infine, vi è un’estremità N-terminale chiamata "peptide segnale". La struttura terziaria della proteina mostra una lunga (aa dal 23 al 121) e flessibile coda N-terminale, tre alfa eliche (denominate elica 1, elica 2 ed elica 3) e due piccoli tratti conformati a beta foglietto affiancati alla prima alfa elica. Come molte proteine di membrana, la PrPc è sintetizzata nel reticolo endoplasmatico ruvido (RER) e transita nell'apparato del Golgi per raggiungere la superficie cellulare. _______________________________________________________________________________________ 51 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Fig. 2 : struttura della PrPc (sovrapposizione che mette a confronto quella del criceto e quella del topo) Fig. 3 : Struttura della PrPc in soluzione ottenuta da Wüthrich, Glockshuber, and coll. al Swiss Federal Institute of Technology . Si notano le tre alfa eliche, i foglietti beta presso il carbossiterminale della proteina,e il segmento in "disordine flessibile" all'N-terminale. 52 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Durante la sua biosintesi, la PrPc è soggetta a molte modificazioni come la scissione del peptide segnale, l’unione di due siti N a catene oligosaccaridiche, la formazione di un unico legame S-S e l’attacco al sito di ancoraggio del GPI. Molti lavori condotti sul metabolismo della PrPc hanno dimostrato che essa viene normalmente sottoposta a due scissioni o clivaggi. Uno avviene a livello dell'ancoraggio al GPI, con conseguente rilascio della catena polipeptidica nell'ambiente extracellulare, probabilmente tramite l'intervento di una fosfolipasi di membrana; il secondo è di tipo proteolitico e si è osservato in una porzione di 16 aminoacidi della sezione idrofobica (sito di clivaggio B). Entrambi i clivaggi hanno luogo tardivamente rispetto all'emivita della proteina e sono state ritrovate proteine a diversi stadi di trasformazione oltre alla forma integra. Nonostante gli studi compiuti, il significato fisiologico di queste scissioni è ancora sconosciuto, forse, se la PrP serve da recettore di membrana, il clivaggio può rappresentare un meccanismo di modulazione del recettore. __ S – S __ I I C B II II II II II A Peptide segnale Segnale per il GPI Ripetizioni ottameriche Ancoraggio al GPI Zona idrofobica Oligosaccaridi legati a N S–S Legame disulfidico Fig, 4 - Struttura e processi post-translazionali della PrP: in alto la struttura primitiva della PrP dei mammiferi, sotto forma matura della proteina. L'ancoraggio al GPI unisce il polipeptide alla membrana; le frecce A e B indicano i siti di scissione nella PrPc e la freccia C indica il sito di scissione nella PrPsc. Il sito A risiede all'interno dell'ancoraggio al GPI. _______________________________________________________________________________________ 53 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI LOCALIZZAZIONE SUBCELLULARE La PrPc è una proteina di superficie cellulare e, poiché è ancorata al GPI, può essere rilasciata trattando la cellula con una fosfolipasi specifica (PI-PLC) a livello della porzione diacilglicerolica. La dimostrazione biochimica che la PrPc nei neuroni è trasportata assonalmente sino alla porzione terminale dei nervi, è la presenza della proteina stessa sulle superfici delle sinapsi (come osservato mediante prove di immunofluorescenza al microscopio elettronico). Con l'immunoistochimica si è potuto evidenziare che la PrPc è principalmente concentrata nelle sinapsi del bulbo olfattorio, limbo e sostanza nigro-striata, confermando la sua possibile funzione all'interno della sinapsi. Diversi studi hanno dimostrato che, comunque, la PrPc non permane sulla superficie cellulare ma piuttosto compie un ciclo tra la membrana cellulare ed il citoplasma; si è osservato, in cellule neuronali in vitro, che il ciclo delle molecole di PrP si compie in circa 60 min. e durante ogni passaggio dall'1 al 5% di tali molecole sono scisse al sito B. Il sistema di riciclaggio della PrPc sembrerebbe interessante per due motivi. Da un lato, potrebbe essere il momento in cui avviene la trasformazione della proteina normale in PrPsc, dall’altro suggerirebbe che una delle funzioni fisiologiche della PrPc sarebbe quella di recettore per l'introduzione di uno ione extracellulare, che recenti studi identificano con il rame. Si è ipotizzato che la PrPc leghi il rame sulla superficie cellulare, lo trasporti in un organo endocitico ove gli ioni, una volta dissociati da essa, vengono trasportati nel citosol da altre proteine carrier del rame; la PrPc quindi ritornerebbe sulla superficie cellulare per ricominciare il ciclo. Ciò sarebbe confermato dal fatto che una alta concentrazione di ioni rame stimola rapidamente e reversibilmente l'endocitosi della PrP dalla superficie della cellula (Pauly e Harris, 1998). PrPsc CARATTERISTICHE E LOCALIZZAZIONE SUBCELLULARE La conversione della PrPc nella forma PrPsc è essenzialmente di tipo conformazionale, avendo le due isoforme identica sequenza aminoacidica. Il cambio di conformazione comporta un sostanziale incremento della quantità di foglietti beta e una leggera diminuzione delle alfa eliche: mediante prove spettroscopiche si è dimostrato che la PrPc contiene il 42% di alfa eliche e una bassissima presenza di beta foglietti (3%); questi ultimi divengono per la PrPsc il 43%, mentre il contenuto di alfa eliche è inferiore (30%) (Pan, 1993). Sebbene la struttura terziaria della PrPsc sia stata solo ipotizzata, la teoria più attuale sulla produzione di questo isomero comporterebbe in primo luogo la modifica dell'N terminale posto a metà della proteina, ma anche la trasformazione di parte della coda Nterminale in foglietto beta, essenzialmente tra i residui 90-121 e forse, in parte, dell'alfa-elica 1. La localizzazione subcellulare della PrPsc non è stata attualmente ben determinata a causa della sua scarsa immunoreattività; l’inconveniente potrebbe essere ovviato con il trattamento mediante agenti denaturanti che però agiscono sulla morfologia cellulare, alterandola. Pare che la PrPsc sia presente sia nel Golgi sia ancorata al GPI della membrana cellulare, analogamente alla PrPc, tramite un C-terminale. Tale legame però non è sensibile all'azione della fosfolipasi specifica PI-PLC, suggerendo che l'ancoraggio sia di tipo diverso rispetto alla PrPc. E' stato ipotizzato che lo stesso cambiamento strutturale che rende la PrP alterata parzialmente inattaccabile alla proteasi K, possa renderla resistente alla PI-PLC. 54 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Mediante prove sperimentali su cellule geneticamente modificate (CHO) che producono una PrP mutante, è stato possibile stabilire che il processo di conversione che porta alla PrPsc avviene in tre stadi successivi: il primo e quasi immediato cambiamento biochimico porta all'acquisizione della resistenza alla PI-PLC, il secondo, osservabile dopo almeno 1 ora dall'inizio del processo, comporta l'insolubilità ai detergenti dovuta presumibilmente all'aggregazione delle molecole. Il terzo stadio, evidenziabile sino a 7 ore dopo, rende la molecola resistente alle proteasi, per ulteriori processi di aggregazione e polimerizzazione. Da esperimenti compiuti su colture cellulari si è riscontrato che, una volta sintetizzata, la PrPsc risulta metabolicamente stabile per periodi variabili da 24 a 48 ore e tende ad un lento accumulo, in contrasto con la PrPc il cui ciclo ha un'emivita tra le 4 e le 6 ore. Comunque, solo una minima quantità di molecole di PrPc viene trasformata in PrPsc. Le rimanenti subiscono un metabolismo esattamente sovrapponibile a quello delle cellule non infette: anche se le vie metaboliche della PrPc non sono ancora state del tutto chiarite, pare che vi siano coinvolti gli endosomi ed i lisosomi. Fig. 5: sulla sinistra modello della PrP normale (cellulare), sulla destra ipotetica conformazione della PrPsc anomala (rogue) Tabella di confronto tra PrPsc e PrPc Struttura resistenza alle proteasi Presenza nelle fibrille scrapie associate Turnover PrPsc Globulare Si Si PrPc Estesa No No giorni Ore _______________________________________________________________________________________ 55 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI MODIFICHE STRUTTURALI E INTERAZIONI FISICHE Si pensa che durante l'infezione prionica avvenga una interazione fisica altamente specifica tra la PrPc e la PrPsc responsabile della produzione di nuove molecole anomale. Questa conclusione si basa su parecchie prove. In particolare, i topi knockout sono completamente resistenti all'infezione prionica, mentre topi transgenici, esprimenti PrP normale di criceto, sono suscettibili all'infezione derivata dal criceto, cosa che non avviene nei topi non modificati geneticamente. Altri studi hanno provato che alcuni segmenti della PrPc sono indispensabili per la trasformazione in PrPsc. Infatti, il grado di omologia aminoacidica della regione centrale della proteina influenza profondamente l'efficienza del processo di trasformazione; staccando un singolo residuo aminoacidico da questa regione si può prevenire la formazione di PrP alterata. Tale squisita specificità fa pensare che esista una forte barriera contro la trasmissione interspecifica delle malattie da prione. È stata dimostrata in vitro la trasformazione della PrPc in PrPsc ma la quantità iniziale di PrPsc necessaria per innescare la reazione era eccessiva rispetto a ciò che accade in vivo. Inoltre, la PrPsc così ottenuta non aveva potere infettante (Kocisko e coll., 1995). Questo fa pensare che nella cellula sia presente un fattore assente nei sistemi sperimentali purificati e che ciò sia la causa della scarsa efficienza stechiometrica della reazione in vitro. IPOTESI SULLA FORMAZIONE DELLA PrPsc Vi sono attualmente due teorie sulla trasformazione di PrPc in PrPsc. La prima detta "nucleated polymerization" ipotizza che la polimerizzazione della molecola inizi da un nucleo di PrPsc preesistente a cui si legano monomeri di PrPc: cioè la PrP anomala potrebbe "catalizzare" la formazione di un polimero alterato. Questo processo pare simile a quelli che avvengono in natura per altri tipi di proteine quali: la polimerizzazione della tubulina, la crescita dei cristalli, la formazione di Hb falciforme, l'assemblaggio del capside virale e soprattutto la polimerizzazione dei flagelli dei batteri. Fig. 6 - Schema della teoria del "template assistance" 56 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI La seconda teoria detta a stampo o "template assistance" postula che un numero relativamente piccolo di molecole di PrPc e di PrPsc formino un oligomero tramite un ipotetico chaperon molecolare. I componenti della PrPsc funzionano come uno stampo che imprime la sua conformazione alla PrPc o ad un suo intermedio, parzialmente modificato chiamato PrP*. In questo caso la barriera cinetica tra i due isomeri è superata dall’azione catalitica dell'ipotetico composto PrPsc più chaperon. Anche per quest’ipotesi esistono osservazioni fatte su altre proteine esistenti in natura quali: l'emoagglutinina del virus influenzale, inibitori delle proteasi (serpine), ed un certo numero di proteasi, quali la subtilisina e le proteasi alfa-litiche. Questi due modelli comunque, non si escludono a vicenda perché potrebbe esserci un meccanismo ibrido nel quale la superficie di un aggregato, inizialmente formatosi per un processo di nucleazione, funge da stampo su monomeri di PrPc. Tali teorie, inoltre, sono applicabili sia alle forme genetiche come pure a quelle infettive, poiché la presenza di una mutazione patologica presumibilmente favorirebbe la formazione spontanea o di nuclei di PrPsc o di PrP*. RUOLO DEGLI CHAPERON MOLECOLARI Gli chaperon (letteralmente: chi introduce qualcuno in un ambiente nuovo) sono proteine che facilitano il ripiegamento dei polipeptidi durante la loro biosintesi ed il loro trasporto negli organuli intracellulari, aiutando a prevenire l'aggregazione delle proteine durante condizioni di stress cellulare come lo shock da calore. Si pensa che essi agiscano legandosi ai loro substrati, con un’azione talvolta ATP dipendente, prevenendo la formazione di forme intermedie inattive. Nella cellula gli chaperon sono stati ritrovati in quasi tutti i settori cellulari; la PrP, durante il suo ciclo di formazione, passa solo nel RER dove, per altro, sono state sicuramente individuate molecole-chaperon. Poiché la formazione di PrPsc comporta una modifica del ripiegamento delle proteine e la formazione di aggregati, processi nei quali intervengono gli chaperon, è stata formulata l'ipotesi che essi vi svolgano un ruolo. Sono stati compiuti un certo numero di esperimenti per supportare il ruolo degli chaperon nella biologia dei prioni. Si è notato che topi geneticamente modificati in modo da esprimere la PrP del criceto sviluppavano la malattia prionica dei criceti cosa che non avviene nei topi con il gene della PrP umana (Hu PrP) che si dimostravano insensibili ai prioni umani. Tuttavia, topi chimerici geneticamente esprimenti una proteina prionica mista topo/uomo (Hu/Mo PrP) erano sensibili ai prioni umani come pure gli incroci tra topi HuPrP e topi knockout. Questi risultati sono stati interpretati ipotizzando l'esistenza di chaperon cellulari chiamati genericamente proteina X, che interagirebbero in modo specie-specifico con il segmento C-terminale della PrPc. Questa potrebbe anche essere la spiegazione della propagazione elettiva dei prioni in particolari popolazioni neuronali e in alcuni tipi di cellule periferiche come quelle del sistema linforeticolare. Ci sono prove che chaperon intervengano nella biogenesi dei prioni in colture in vitro di cellule di neuroblastoma infettate da scrapie. D’altro canto parecchi chaperon "chimici", come il glicerolo e il dimetilsulfossido, che stabilizzano la conformazione delle proteine, inibiscono la produzione di PrPsc in cellule infettate, le quali mostrano anche una diminuita resistenza allo shock da calore. La prova più diretta che gli chaperon possono accelerare la produzione di PrP anomala, è stata fornita da esperimenti nei quali due di queste molecole (una derivata da lieviti Hsp104 e l'altra di origine batterica GroEL) hanno aumentato la produzione di PrPsc in un substrato in cui non erano presenti elementi cellulari (DeBurman, 1997). _______________________________________________________________________________________ 57 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Meccanismi patogenetici delle TSE Mancano pressoché totalmente dati patogenetici riguardanti la BSE. Le uniche informazioni disponibili sono relative alla distribuzione dell’infettività nei tessuti, esito dei lavori di infezione sperimentale condotti da autori inglesi non soltanto sui topi, ma anche su animali della specie bovina. Per il resto la maggior parte delle conoscenze è desunta dalle ricerche condotte sui roditori, e precisamente sui topini infettati sperimentalmente con l’agente della scrapie, o da studi svolti su pazienti affetti da vCJD. Tutte le ricerche hanno comunque dimostrato che, a seguito di un’infezione attraverso vie indirette (via orale in particolare), si verifica un lungo periodo di eclissi, durante il quale non è rilevabile infettività in alcun tessuto. Ciò lascia presumere l’esistenza di meccanismi e sedi di replicazione non ancora ben individuati. I tessuti linforeticolari quali tonsille, milza, linfonodi e, in caso di contagio per via orale, il tessuto linfoide annesso all’intestino (placche di Peyer) sembrano essere la prima sede di replicazione. Un altro possibile serbatoio potrebbe essere rappresentato da alcuni distretti del SNP e precisamente da alcuni gangli sensitivi e autonomi (gangli enterici e gangli delle radici dorsali) (Mc Bride e coll., 1999; Groschup e coll., 1999; Glatzel e Aguzzi, 2000). Per quanto concerne la BSE va sottolineato che sembra di scarso rilievo la presenza dell’agente infettante a livello splenico, come sede di sviluppo e replicazione (Aguzzi, 2001). A tal riguardo risulterebbero più importanti i tessuti linfo-reticolari come le amigdale e le placche di Peyer annesse all’intestino. La neuroinvasione è una fase critica che è stata oggetto di numerosi studi da parte di diversi gruppi di ricercatori. Kimberlin e coll. (1983) hanno studiato in particolare l’infettività dei diversi tessuti in topini sperimentalmente infettati da scrapie. Diringer e coll. (cit. in Czub e coll, 1986), focalizzando la loro attenzione sul ruolo del sistema nervoso periferico nella neuroinvasione, hanno valutato l’infettività negli hamster. Più recentemente alcuni ricercatori del gruppo di Aguzzi hanno concentrato la loro attenzione sulla patogenesi periferica attraverso lo studio delle modalità di neuroinvasione dei prioni nei topini. Tutti i ricercatori hanno stabilito il ruolo preponderante dei tessuti linforeticolari ed in particolare delle cellule dendritiche follicolari (FDC) presenti nella milza, come nei linfonodi e nelle placche di Peyer dell’intestino. Come dimostrato da numerose ricerche la replicazione o almeno l’accumulo dei prioni in tali cellule dipende comunque particolarmente dalla loro espressione della PrP cellulare (Bruce, 2001). CELLULE FOLLICOLARI DENDRITICHE (FDC) Sono presenti nella parte scura periferica del centro germinativo dei noduli linfatici ed in altre sedi timo-dipendenti degli organi linfatici, come ad es. la zona marginale della polpa bianca della milza ed i cordoni midollari dei linfonodi. Sono cellule grandi, irregolarmente stellate, con lunghi prolungamenti ramificati connessi con quelli delle cellule dendritiche vicine e con molti linfociti B. Le FDC hanno la funzione di presentare gli antigeni ai linfociti: una volta incontrato l’antigene, le FDC lo rielaborano, lo concentrano e lo espongono sulla superficie, presentandolo ai linfociti. Svolgono quindi un importante ruolo immunostimolante, in quanto favoriscono il contatto dei linfociti B del centro germinativo dei noduli linfatici con gli antigeni stessi. 58 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Anche i linfociti B sembrano avere un ruolo cruciale, ma per ora non del tutto chiaro. Sembra che loro importanza sia essenzialmente legata al fatto che permettono la maturazione e pertanto il raggiungimento della completa funzionalità delle FDC elaborando fattori di maturazione quali le linfotossine alfa/beta di membrana (Montrasio e coll., 2000). Infatti, studi svolti su topini hanno dimostrato che trattamenti con recettori solubili delle linfotossine beta portano alla scomparsa delle FDC mature dalla milza. Tale trattamento impedisce anche l’accumulo dei prioni nella milza, ritardando pertanto la neuroinvasione dopo inoculo intraperitoneale di materiale scrapie-infetto (Montrasio e coll., 2000; Weissmann, 2001). Le FDC sembrano pertanto il candidato più probabile per la replicazione dei prioni, perlomeno nella milza. In tale distretto, infatti, dopo infezione sperimentale, forme abnormi di PrP si accumulano tra i prolungamenti delle FDC, esattamente nei siti di ritenzione protratta degli immunocomplessi. Da tali distretti presumibilmente la PrPsc è trasferita ai linfociti splenici posti in intimo contatto con le FDC stesse. Relativamente al ruolo dei linfociti nel trasporto dell’infettività, merita ancora di essere sottolineato il fatto che, se tali cellule (B e T) sono infettanti a livello di milza, non sono invece stati sinora riscontrati linfociti infetti nel sangue circolante (Raeber e coll., 1999; Montrasio e coll., 2000). Nell’intestino pare poi che il superamento dell’epitelio da parte della PrP infettante sia favorito da cellule epiteliali specializzate (M cells) il cui ruolo sembra sia il trasporto di macromolecole e/o antigeni dal lume intestinale alla sottomucosa ovvero ai linfociti (Aguzzi, 2001). CELLULE “M” O CELLULE EPITELIALI ASSOCIATE AI FOLLICOLI Sono presenti qua e là nell’epitelio che ricopre le placche di Peyer (follicoli linfatici aggregati nella sottomucosa dell’ileo.) Hanno pochi, irregolari, tozzi e lunghi microvilli assai più grandi di quelli dell’orletto striato degli enterociti vicini. La membrana plasmatica della faccia apicale presenta numerose e piccole introflessioni. Le facce laterali e quella basale sono profondamente introflesse e contengono linfociti intraepiteliali che hanno attraversato la membrana basale. Per tale ragione le cellule “M” assumono l’aspetto di lamine sottili che circondano un piccolo gruppo di linfociti, separandoli dal lume intestinale. Si ritiene che le cellule “M” trasportino le macromolecole e/o gli antigeni dal lume intestinale ai linfociti intraepiteliali o a quelli del tessuto linfatico sottostante, in prevalenza di tipo B. Dopo aver ricevuto l’informazione antigenica i linfociti intraepiteliali raggiungono i noduli linfatici e passano in circolo; ritornano quindi nei noduli linfatici ed invadono la lamina propria della mucosa ileale: qui i linfociti B si trasformano in plasmacellule che elaborano immunoglobuline A; queste attraversano le cellule epiteliali rivestendosi di uno strato glicoproteico che ne evita la lisi da parte degli enzimi proteolitici. Le immunoglobuline vengono quindi emesse alla superficie dell’epitelio ileale proteggendolo dagli attacchi batterici. Relativamente alle modalità di neuroinvasione sembra che diverse vie siano possibili. La più probabile è una migrazione tramite i nervi periferici, soprattutto se la loro mielinizzazione è ridotta o assente (Kimberlin e coll., 1983). Considerando che la zona mantellare dei follicoli linfoidi è innervata da fibre non mielinizzate, questa modalità di migrazione sembra ben adattarsi al modello. L’esatta modalità di trasporto non è nota: sembrano possibili sia il trasporto assonale sia quello extra-assonale (Glatzel e Aguzzi, 2000). _______________________________________________________________________________________ 59 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Circa i nervi coinvolti nella neuroinvasione le ipotesi sono diverse. Nel topo l’agente infettante raggiunge il midollo spinale attraverso il sistema nervoso autonomo (nervo splancnico). Dalla regione medio-toracica del midollo l’infezione diffonde poi caudalmente e rostralmente (Kimberlin e coll., 1980; Cole e Kimberlin, 1985). Un’altra via possibile è il nervo vago che sembra essere l’unica importante nell’hamster infettato oralmente (Beekes e coll., 1996; Beekes e coll., 1998). Pertanto dagli studi sinora condotti pare possano essere coinvolte sia fibre del simpatico sia fibre parasimpatiche (nervo vago). Un ruolo importante nel trasporto dell’infettività, ma ancora da definire, riguarda l’espressione della PrP cellulare (cfr. paragrafo 3). E’ certo che l’agente infettante, dopo un lungo periodo di incubazione, raggiunge il sistema nervoso centrale ove provoca le caratteristiche e ben note lesioni spongiformi degenerative, la perdita di cellule neuronali e la gliosi. Sui meccanismi mediante i quali l’agente infettante provoca le lesioni nervose sono state formulate diverse ipotesi tra cui tre sono le principali: a) Tossicosi da accumulo di PrP patologica (Hope, 2000; Hedge e coll., 1999); b) Deplezione della PrP cellulare; c) Attivazione della microglia. a) Gli effetti neurotossici della PrPsc sembrano associati in vitro a particolari peptidi ben definiti corrispondenti agli aminoacidi 105-132 e 106-126 rispettivamente della sequenza murina e umana della PrP. La tossicità è stata dimostrata in colture di cellule neuronali e in colture nervose miste, ove provocherebbe morte dei neuroni per apoptosi (Forloni e coll., 1993), ipertrofia dell’astroglia e sua proliferazione (Forloni e coll., 1994; Hope e coll, 1995). Alcuni lavori indicherebbero che il peptide non agisce direttamente sugli astrociti, ma induce proliferazione della microglia, che a sua volta stimolerebbe la proliferazione astrocitaria (Kretzschmar, 1995; Brown e coll., 1995). Relativamente all’apoptosi sono stati condotti numerosi studi in vitro e in vivo con la microscopia elettronica e l’ibridizzazione in situ, in particolare su topi sperimentalmente infettati con scrapie (Kretzschmar, 1995; Giese e coll., 1995). Sembra particolarmente accentuata a livello di cellule retiniche, strato dei granuli cerebellari, gangli basali, bulbo olfattorio e corteccia cerebrale. Il fenomeno dell’apoptosi, che giustificherebbe peraltro la sola reazione gliale e l’assenza di reazione infiammatoria, è comunque possibile solo se le cellule esprimono la PrP cellulare (Brown e coll., 1995). Inoltre è strettamente associato alla presenza di microglia in coltura: distruggendo la microglia la tossicità del peptide si riduce notevolmente. Il peptide agirebbe pertanto sulla microglia, alterandone il metabolismo e inducendo morte neuronale, probabilmente tramite attivazione di specifici canali di trasporto del calcio (Brown e coll., 1995). I fenomeni apoptotici neuronali sono stati più recentemente valutati anche nei bovini affetti da BSE ove però non sono risultati molto evidenti; occasionalmente sono stati visti invece nelle cellule gliali. L’apoptosi pertanto, perlomeno nella BSE, sembra non essere uno dei meccanismi primari di perdita neuronale (Theil e coll., 1999). b) Il ruolo della PrP cellulare sembra quindi in primo luogo indispensabile per consentire la realizzazione dell’effetto tossico del peptide 106-126. Peraltro prove sperimentali condotte sui topini deleti del gene codificante la PrP hanno dimostrato che la mancanza della PrPc nei tessuti ostacola l’insorgenza di lesioni patologiche, a seguito di infezione 60 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI sperimentale (Brandner e coll., 1996). In condizioni normali la PrPc agisce come co-recettore sulla membrana citoplasmatica, generando un segnale estremamente importante per la sopravvivenza cellulare. L’assenza o l’alterazione di tale proteina genererebbe pertanto un segnale opposto tale da indurre la morte della cellula. Kuwahara e coll. (1999) hanno infatti evidenziato, con studi su colture cellulari neuronali di topo, che cellule delete del gene PrP se sottoposte a stress, (ad es. la rimozione del siero), vanno incontro ad apoptosi. Recentemente inoltre è stata evidenziata una forma transmembranaria della PrP cellulare (CtmPrP) il cui ruolo è da definire; sembra comunque che la predilezione della PrP cellulare a trasformarsi nella forma CtmPrP faciliti l’accumulo della proteina patologica (Hedge e coll., 1999). c) Circa il ruolo preciso della microglia nel determinismo delle lesioni neuronali non si dispone di dati precisi. È certa comunque la necessità dell’espressione della PrPc e della presenza di microglia per permettere la neurotossicità della PrPsc in vitro. In vivo l’attivazione della microglia è molto precoce durante il periodo di incubazione e precede la morte dei neuroni per apoptosi (Giese e coll., 1998). In particolare, attraverso studi condotti utilizzando il peptide PrP 106-126, che necessita della microglia come attivatore, si è visto che tale peptide esplica il suo effetto tossico attraverso la produzione di radicali liberi di ossigeno da parte della microglia e interagisce direttamente con la sintesi della PrPc del neurone, deputata proprio ad ostacolare l’induzione di stress ossidativi (Brown e coll., 1996; Brown e coll., 1997). Studi recenti (Theil e coll., 1999), realizzati per valutare le cellule reattive eventualmente coinvolte nelle TSE, hanno evidenziato la presenza di linfociti T nel parenchima nervoso degli animali con BSE, in quantitativi superiori alla norma; nonostante la gliosi sia pronunciata, è risultata scarsa l’espressione dei marker immunoistochimici per i macrofagi o la microglia attivata. Tali risultati sono perfettamente in accordo con i reperti neuropatologici costantemente osservabili in tutte le TSE. Infatti, in nessuna TSE si rileva istologicamente un’attivazione della microglia e/o una sua proliferazione, mentre è sempre presente l’astrocitosi, più marcata nella scrapie e meno nella BSE. Sperimentalmente inoltre, in studi condotti su hamster infettati da scrapie, la PrP patologica è risultata espressa in molti astrociti reattivi (90%) i quali risultano essere le cellule più comuni intorno alle placche amiloidi (Schlote e coll., 1995; Ye e coll., 1998). Tali studi permettono quindi di ipotizzare che forse gli stessi astrociti potrebbero giocare un ruolo importante nella formazione delle placche e che, viceversa, la stessa amiloidosi potrebbe stimolare ulteriore astrocitosi (Ye e coll., 1998). _______________________________________________________________________________________ 61 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Infezione sperimentale nel bovino La grande quantità di dati sull’infezione sperimentale nel bovino, che ha poi condizionato in modo determinante le misure legislative comunitarie di prevenzione, trae origine da uno studio a lungo termine iniziato nel 1991 ad opera del gruppo di studiosi inglesi del Central Veterinary Laboratory, coordinati da G.A.H. Wells. Il protocollo dello studio caso controllo era in breve il seguente: • • • • • 40 vitelli di razza Friesian/Holstein, nati nel 1991 furono raccolti da 12 aziende inglesi, nelle quali non si era mai manifestata la BSE; all’età di 4 mesi, 30 di essi furono infettati per via orale, mentre 10 vennero utilizzati come controllo; l’inoculum era costituito da 100 g. di omogenato cerebrale (tronco encefalico caudale), ottenuto da 75 bovini con BSE confermata, somministrato mediante siringhe sterili in due dosi successive da 50 ml sulla base della lingua ad inizio faringe; l’osservazione degli animali in esperimento prevedeva un controllo giornaliero durante le operazioni di governo, un accurato controllo veterinario settimanale con l’esecuzione periodica di approfondimenti di laboratorio ed infine un dettagliato esame neurologico nei sette giorni precedenti la loro macellazione; a partire da due mesi dopo l’infezione ed a intervalli successivi di quattro mesi fino al 22° mese post-infezione, si è proceduto all’abbattimento diagnostico di 4 bovini (tre infettati ed uno di controllo); dopo il 22° mese gli animali sono stati abbattuti ad intervalli discrezionali fino al 40° mese dall’inizio dell’esperimento. Gli accertamenti eseguiti sui bovini abbattuti sono così riassumibili: • • • campioni di encefalo e midollo spinale venivano sottoposti ad esame per la ricerca delle fibrille associate alla BSE; un ampio numero di tessuti è stato campionato per esami istopatologici, mentre campioni selezionati (sezioni di midollo allungato e di midollo spinale a livello delle vertebre C6, T6, L5-L6), sono stati esaminati con test immunoistochimici per la ricerca della PrP patologica, specifica della malattia; per valutare l’infettività dei tessuti dei bovini in esame, sono stati eseguiti test biologici su topi da esperimento, a partire da ben 44 tessuti, che rappresentano principalmente il sistema nervoso centrale, il sistema nervoso periferico, il sistema linforeticolare, l’apparato digerente, i muscoli striati e gli organi più importanti (vedi tabella I). Risultati dell’infezione sperimentale nel bovino • • i primi sintomi clinici di malattia compaiono a 35 mesi dall’infezione in un capo ed a 37 mesi in un altro, collocandosi nella parte più bassa del range di valori del periodo di incubazione della BSE nel bovino, rilevati nel corso dell’epidemia inglese: la dose infettante, sicuramente molto alta, può avere determinato un periodo di incubazione minore rispetto all’infezione naturale; i sintomi più precoci, come nell’infezione naturale, sono rappresentati da profonde modificazioni comportamentali, anomalie del sensorio e disordini motori, in combinazione variabile da animale ad animale; 62 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI TESSUTI ESAMINATI PER L’INFETTIVITÀ SU TOPINO Tessuto nervoso Tessuto muscolare Encefalo: corteccia Muscolo frontale e midollo semitendinoso allungato Ipofisi Diaframma Liquido cerebro-spinale Dura madre Tricipite brachiale Massetere Apparato digerente Tessuti linforeticolari Altri Lingua Milza Rene Ghiandole salivari Timo cervicale sottolinguali Parotide Tonsille Urina Surrenali Tratto craniale Linfonodi Polmone dell’esofago sottomandibolari Rumine Linfonodi retrofaringei Mucosa nasale (turbinato medio) Omaso Linfonodi polmonari Pericardio Midollo spinale: C2- Muscolo C3, T10-T11, L3-L4 sternocefalico Gangli nodosi Muscolo lunghissimo del dorso Gangli delle radici Abomaso (porzione Linfonodi epatici dorsali: C3-C6, T5-T8 pilorica) Duodeno Gangli del trigemino Ileo distale (con le Linfonodi mesenterici placche del Peyer) Ganglio stellato Colon spirale Linfonodi prescapolari Aorta Nervo sciatico Feci Nervo facciale Pancreas Sangue (siero) Nervo frenico Fegato Sangue (coagulo) Nervo radiale Linfonodi poplitei Cuore (ventricolo sinistro) Valvola mitrale Sangue (intero) Midollo osseo (sterno) Collagene (tendine d’Achille) Cute Osso (diafisi femorale) • • le prime alterazioni patologiche del SNC compaiono in uno dei vitelli abbattuti 32 mesi dopo l’infezione, sotto forma di lesioni vacuolari limitate al nucleo vestibolare del midollo allungato, sebbene l’animale non manifestasse sintomi di malattia; spongiosi cerebrale di media gravità compare invece per la prima volta in modo inequivocabile in uno dei bovini sacrificati a 36 mesi dall’infezione; il test immunoistochimico per la ricerca della PrP patologica ed il test per evidenziare le fibrille associate alla BSE, danno risultati positivi a partire da 32 mesi post infezione e si evidenzia che queste alterazioni precedono la comparsa delle lesioni istopatologiche patognomoniche a livello cerebrale ed i sintomi clinici; la Prp patologica viene riscontrata in modo più esteso a livello del midollo spinale lombare. Test di infettività dei tessuti sui topini • gli inoculi per i topi da esperimento venivano allestiti a partire dal pool dei tessuti dei tre vitelli sottoposti all’infezione sperimentale macellati lo stesso giorno e dal tessuto corrispondente del bovino di controllo; _______________________________________________________________________________________ 63 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI • 2 gr. di tessuto, addizionato di antibiotici se derivato dall’apparato digerente, veniva diluito al 10% in soluzione fisiologica ed inoculato alla dose di 0,02 ml per via intracerebrale e di 0,1 ml per via intraperitoneale in topi 20RIII ed a partire da 18 mesi dopo l’inizio dell’esperimento in topi C57BI-J6 (il ceppo di topi fu cambiato nel corso dell’esperimento, perché una malattia intercorrente nella colonia avrebbe potuto inficiare gravemente l’esito del test di infettività); i topini, dopo un periodo variabile da 250 a 700 giorni dall’infezione, venivano soppressi ed il loro encefalo veniva prelevato per il controllo qualitativo dell’infettività. • Risultati • viene rilevata infettività a livello dell’ileo distale dei bovini macellati dopo 2, 6, 10, 14 e 18 mesi dall’infezione sperimentale ed è ancora confermata durante la fase clinica della malattia (38-40 mesi post-inoculazione); l’infettività è stata dimostrata nel sistema nervoso centrale e nel sistema nervoso periferico (gangli del trigemino e gangli delle radici dorsali dei nervi spinali), prima della comparsa dei sintomi clinici, ma a differenza dell’infezione sperimentale da scrapie, non è stata rilevata infettività negli organi linforeticolari, con l’eccezione del presunto coinvolgimento delle placche del Peyer, che fanno parte del campione di ileo distale. • RIASSUNTO DEI TEST DI INFETTIVITÀ SUI TOPINI A PARTIRE DAI TESSUTI DI BOVINI MACELLATI DA 32 A 40 MESI POST INFEZIONE SPERIMENTALE. Tessuto Corteccia frontale Midollo allungato Midollo spinale C2-C3 Midollo spinale T10-T11 Midollo spinale L3-L4 Gangli radici dorsali C3-C6 Gangli radici dorsali T5-T8 Gangli del trigemino Ileo distale Numero di topi positivi/numero di topi sopravvissuti quando il primo topo è stato confermato positivo 32 mesi 36 mesi 38 mesi 40 mesi 1/18 7/16 8/19 11/19 7/20 4/20 6/14 6/18 3/16 5/19 11/18 1/13 7/19 8/19 10/19 10/20 4/17 1/10 3/16 1/9 7/14 1/18 2/18 2/16 1/12 2/19 Infettività dei tessuti bovini nei test sui topi 60 % Midollo allungato 50 Midollo cervicale 40 Midollo toracico 30 Midollo lombare Gangli cervicali 20 Gangli toracici 10 Gangli trigemino Ileo distale 0 64 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Il “caso” del midollo osseo Nell’evoluzione successiva dello studio, l’unico dato di rilievo è stato la positività del pool di midollo osseo sternale prelevato dai bovini abbattuti dopo 38 mesi dall’infezione sperimentale: infatti, due dei sedici topini inoculati con questo campione, hanno sviluppato sintomi clinici dell’encefalopatia spongiforme e sono risultati positivi anche alle ricerche istopatologiche; inoltre altri quattro topini sono risultati positivi alla ricerca della PrP patologica. Anche se sono stati fatti pochi studi per valutare l’infettività del midollo osseo nelle TSE, va rilevato che nella scrapie naturale in pecore di razza Suffolk era già stata evidenziata debole infettività del midollo osseo, così come nell’infezione sperimentale del topo con il ceppo Chandler della scrapie. Tuttavia gli autori, vista la sporadicità del reperto, non concludono sulla sicura infettività del midollo osseo. Tre possono essere le spiegazioni del risultato dell’esperimento: • • • diffusione dell’infezione dal sistema nervoso centrale al sistema nervoso periferico, durante la fase clinica della BSE tramite la ricca innervazione della muscolatura dei vasi sanguigni (via nervosa); diffusione attraverso il circolo sanguigno (via ematogena), che almeno nella scrapie è dimostrata nelle fasi precoci dell’infezione oltre che in corrispondenza della fase clinica; risulta però poco spiegabile il mancato coinvolgimento di milza e linfonodi, che non sono mai risultati infettanti né in caso di infezione naturale né sperimentale; è inoltre interessante notare che in un ulteriore studio ancora in corso, che prevedeva l’infezione sperimentale di vitelli per via intracerebrale con milza e linfonodi di bovini colpiti da BSE in fase terminale, si è già evidenziata la sopravvivenza a 72 mesi degli animali infettati; la terza possibilità, che non può essere del tutto esclusa, è quella che l’inoculum sia stato contaminato con altri tessuti infetti in esame. Infezione sperimentale nelle altre specie I primi tentativi di trasmettere la BSE a specie diverse dal bovino miravano a identificare test di laboratorio adeguati per la diagnosi sperimentale della malattia nei bovini e in secondo luogo a chiarire il ruolo delle diverse specie nell’evoluzione dell’epidemia. La gran parte delle specie testate sono state sottoposte ad infezione per via orale e per via parenterale (inoculazione intracerebrale a volte accompagnata da inoculazione intravenosa e/o intraperitoneale). Le specie risultate sensibili sia all’infezione per via parenterale che a quella per via orale sono, oltre al bovino, la pecora, la capra, il topo ed il visone. Pecora Gran parte degli studi sull’infezione della pecora e della capra sono stati condotti dagli scienziati dell’Institute for Animal Health di Edimburgo. L’ovino è sensibile all’infezione sperimentale da BSE sia per via orale sia per via parenterale; in particolare risultano sensibili alla BSE anche pecore Cheviot appartenenti a linee genetiche resistenti alla scrapie (Forster e coll., 1993). _______________________________________________________________________________________ 65 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Risultati delle prove di infettività dei tessuti di bovini infettati da BSE (Wells e coll., 1996-1998) * Corteccia frontale 100 gr di cervello (OS) 2 mesi p.i 6 mesi p.i. 10 mesi p.i. 14 mesi p.i. 18 mesi p.i. * * Tronco encefalico caudale * POCHI * POCHI Gangli radici dorsali Gangli radici dorsali regione cervicale regione toracica Ganglio di Gasser * * Midollo spinale * * Ileo distale 40 bovini di 4 mesi Midollo osseo sternale 22 mesi p.i. 26 mesi p.i. 32 mesi p.i. 36 mesi p.i. + tronco caudale, midollo spinale e gangli 38 mesi p.i. nuova positività ileo, scompare dai gangli cervicali 40 mesi p.i. scompare positività da midollo osseo e dai gangli Determinazione infettività: inoculazione IC e IP in topini (esame istologico dell’encefalo, ICH) SINTOMI CLINICI BOVINI: 35-36 mesi (p.i) LESIONI ISTOLOGICHE: 32 mesi: vacuoli neuroni del nucleo vestibolare 36 mesi: lesioni spongiformi diffuse Da: : Wells et al.: Preliminary observations on the pathogenesis of the experimental BSE. In The BSE Dilemma Serono Symposia USA 1996; Wells et al.: Preliminary observations on the pathogenesis of experimental BSE: an update. Vet Rec 142: 103-106 (1998); Wells et al. : Bone marrow infectivity Vet Rec, 144: 292-294, 1999. 66 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Le pecore infettate con l’agente della BSE bovina muoiono a causa della malattia: l’infettività nei tessuti viene riscontrata, analogamente alla scrapie, sia a livello di sistema nervoso centrale sia nei tessuti periferici, con il coinvolgimento anche della milza, a differenza di quanto riscontrato fino ad oggi nel bovino (Foster e coll., 1996). Nella pecora è stata inoltre dimostrata la possibilità di trasmettere la BSE sperimentale mediante trasfusioni di sangue intero prelevato ad un ovino infetto prima della comparsa dei sintomi clinici della malattia (Houston e coll., 2000). Studi molecolari hanno evidenziato che il fattore più importante che influenza l’incidenza della malattia conseguente all’infezione sperimentale con agenti delle TSE nell’ovino, è la sequenza aminoacidica della proteina prionica codificata dai codoni 136, 154 e 171 del gene corrispondente alla PrP (Hunter e coll., 2000). In un recente studio volto a confrontare nell’ovino la BSE sperimentale con la scrapie naturale, si è accertato che, anche se la sintomatologia clinica è sovrapponibile, si rilevano differenze nella distribuzione dell’infettività e nel genotipo delle pecore che muoiono per la malattia: in particolare il periodo di incubazione nella BSE sperimentale risulta influenzato dal genotipo del codone 171 che codifica la Prp della pecora, mentre nella scrapie naturale questo legame non si evidenzia, nonostante solo alcune razze di pecore siano sensibili alla malattia (Foster e coll., 2001). Capra Anche le capre risultano sensibili all’infezione sperimentale da BSE, sia per via orale sia per via parenterale (Foster e coll., 1993). Nella capra il poliformismo del gene che codifica la PrP influenza il periodo di incubazione della BSE sperimentale, mentre lo stesso fenomeno non è stato dimostrato nel bovino (Hunter e coll., 2000). Suini e pollame Nel Regno Unito i polli ed i suini in allevamento intensivo sono stati esposti per lungo tempo a diete a forte rischio, contenenti in alta percentuale farine di carne e di ossa, più di quanto sia accaduto per i ruminanti; tuttavia un’eventuale infezione potrebbe non essersi manifestata clinicamente, data la più breve vita commerciale di questi animali. La prima segnalazione della sensibilità sperimentale del suino alla BSE risale al 1990 (Dawson e coll., 1990); l’infezione sperimentale di giovani suini di 1-2 settimane, con ripetute inoculazioni per via parenterale di omogenato di cervelli bovini affetti da BSE conclamata, determina la comparsa della malattia clinica e delle lesioni caratteristiche con grave vacuolizzazione, che coinvolge diverse aree dell’encefalo ed in particolare la corteccia cerebrale (Ryder e coll., 2000). I suini non sono invece sensibili per via orale; alcuni tessuti prelevati da suini esposti alla BSE per via orale sono stati utilizzati per test biologici sui topini senza rilevare infettività. I volatili domestici, pur essendo sensibili all’infezione sperimentale per via parenterale (Dawson e coll., 1990), non sviluppano la malattia quando sono esposti all’agente della BSE per via orale; i polli che evidenziavano sintomi nervosi sospetti sono stati utilizzati per provare l’eventuale infettività in altri polli e nel topino, senza che sia mai stata riscontrata positività ai diversi esami di laboratorio. _______________________________________________________________________________________ 67 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Visone Il visone è sensibile all’infezione sperimentale da BSE sia per via intracerebrale sia per via alimentare e sviluppa una chiara sintomatologia clinica dopo 12-15 mesi dall’infezione. Le lesioni indotte dalla BSE a livello dell’encefalo si distinguono da quelle indotte dalla forma naturale dell’encefalopatia trasmissibile del visone (TME) per il meno esteso coinvolgimento della corteccia cerebrale a fronte di più grave vacuolizzazione a livello del tronco encefalico caudale e ad un limitato interessamento dell’ippocampo (Robinson e coll. 1994). Topo Il topo è sensibile alla BSE sia per via parenterale sia per via orale e rappresenta l’animale da laboratorio più importante per gli studi sulla malattia: infatti, la gran parte dei test biologici delle TSE vengono eseguiti su diverse linee genetiche di topi ibridi. Si tratta di ben standardizzati gruppi di animali che possiedono caratteristiche genetiche similari e che quindi manifestano una risposta alla malattia simile e comparabile. I test sui topini, che già erano utilizzati per gli studi sulla scrapie, hanno consentito di acquisire in poco tempo una grande quantità di informazioni sulla BSE, riducendo nel contempo la necessità di ricorrere agli esperimenti sui grandi mammiferi che sono più lunghi, costosi e meno accettati dall’opinione pubblica. Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nella creazione di ceppi di topi che veicolano Prp appartenenti ad altre specie animali, in sostituzione od in aggiunta al gene proprio della specie murina; queste tecniche, sviluppate dapprima da studiosi americani e svizzeri, hanno consentito di rendere i topini sensibili a certi agenti di TSE a cui prima risultavano resistenti e, tramite interventi di ingegneria genetica come la delezione o la sostituzione di geni, di comprendere meglio il ruolo del gene normale che codifica la PrP nella genesi della malattia. La sensibilità del topo all’agente della BSE è nota da tempo (Bradley e coll., 1994; Fraser e coll., 1992), con diverso periodo di incubazione a seconda della linea di topini impiegata, ma con quadro clinico e distribuzione delle lesioni molto simile. L’infezione sperimentale per via parenterale a partire da omogenati di cervelli bovini morti per BSE, almeno nel 55% dei topini infettati non permette il rilievo della PrP patologica, anche se compaiono in tutti gli animali i sintomi neurologici e le lesioni istopatologiche di morte neuronale. La PrP patologica risulta evidenziabile solo nei passaggi seriali successivi su altri topini dopo una sorta di adattamento dell’agente patogeno al nuovo ospite (Lasmezas e coll., 1997). I ceppi di agente della BSE ottenuti dal bovino producono nel topo un caratteristico modello di malattia, che si mantiene costante anche dopo ulteriori passaggi sperimentali su diverse specie animali; questa “firma “ della BSE è stata identificata, oltre che nell’infezione naturale del bovino, anche nei ceppi provenienti dai casi di FSE dei gatti, dai ruminanti selvatici degli zoo inglesi colpiti da BSE naturale e dai casi umani di vCJD (Bruce e coll., 1997). Analogamente al bovino, sono stati condotti nel topo studi patogenetici per chiarire le modalità di diffusione dell’agente patogeno della BSE dopo infezione per via orale: il marker Prp patologica viene riscontrato 45 giorni dopo l’infezione orale con il ceppo BSE 6PB1, a livello delle placche del Peyer e dei linfonodi mesenterici e dopo un periodo variabile 68 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI da 1 a 3 mesi più tardi diviene rilevabile in altri tessuti del sistema linforeticolare, come la milza ed i linfonodi non collegati all’apparato digerente; nello stesso studio un ceppo dell’agente della scrapie naturale ha determinato una diffusione più estesa della PrP patologica nei linfonodi di tutto il tratto digerente, dallo stomaco al colon (Maignien e coll., 1999). Come nella specie umana ed in altre specie animali, si è rilevato nel topo che il polimorfismo del gene che codifica la PrP influenza la durata del periodo di incubazione e la sensibilità alla malattia; tuttavia gli studi su linee diverse di topi ibridi hanno evidenziato notevoli differenze nella durata del periodo di incubazione anche in presenza della stessa sequenza delle basi a livello del gene che codifica la proteina prionica, lasciando supporre l’intervento di altri geni che influenzano il periodo di incubazione, che sono stati localizzati, nel corso di un vasto studio sperimentale su oltre 1000 topini, sui cromosomi 2, 11 e 12, a loro volta collegati ad altri loci localizzati sui cromosomi 6 e 7 (Lloyd e coll., 2000). Hamster L’hamster, che rappresenta l’animale da laboratorio di elezione per gli studi sull’agente della scrapie, risulta invece resistente all’infezione sperimentale con l’agente della BSE, diventando sensibile solo dopo che il patogeno ha subito un passaggio sul topo. Primati non umani Fin dal 1993 fu dimostrata la possibilità di trasmettere la BSE per inoculazione intracerebrale ed intraperitoneale alla specie di primati Callitrix jacchus (marmoset comune), con un periodo di incubazione di 46-47 mesi e la comparsa di lesioni spongiformi localizzate in particolare a livello dei nuclei basali e del diencefalo (Baker e coll., 1993); peraltro negli animali della stessa specie, come negli altri primati che vivevano negli zoo inglesi ed erano alimentati, tra il 1980 ed il 1990, con un supplemento di farina di carne ed ossa potenzialmente contaminata, non è mai stata segnalata la comparsa della malattia clinica, né risulta possibile la trasmissione sperimentale dell’infezione al marmoset utilizzando la via orale (Ridley e coll., 1996). L’infezione naturale da BSE nei primati, è stata segnalata per la prima volta in Francia nel 1996 in una giovane scimmia Rhesus (Bons e coll., 1996) e poi dagli stessi autori in due lemuri nel 1997. Un successivo studio, molto esteso, sull’infezione naturale e sperimentale nei primati (Bons e coll., 1999), è stato concluso in Francia nel 1999 dagli studiosi dell’Università di Montpellier; sono stati sottoposti ad infezione sperimentale per via orale alcuni lemuri appartenenti alla specie Microcebus murinus, e le successive indagini hanno consentito di acquisire importanti conoscenze patogenetiche sulla diffusione dell’infettività. In particolare la PrP patologica in fasi precoci del periodo di incubazione si localizza nei seguenti organi: • • • tonsille, ove è localizzata a livello di cellule epiteliali periferiche, nei follicoli linfoidi ed in cellule sparse dello stroma; esofago, a livello delle cellule stratificate della mucosa e nei linfociti sparsi nel tessuto connettivo della lamina propria, che infiltrano anche la muscolaris mucosae e la sottomucosa; stomaco, ove si evidenzia una diversa distribuzione della PrP che non si rileva a livello dell’epitelio, ma a livello di tessuto ghiandolare e di tessuto linforeticolare della lamina _______________________________________________________________________________________ 69 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI • • • propria; piccolo intestino, duodeno compreso, ove interessa il citoplasma delle cellule epiteliali, (ad eccezione delle cellule caliciformi mucipare), delle cellule ghiandolari localizzate alla base dei villi e nelle cellule specializzate M associate con i linfociti che infiltrano l’epitelio; la lamina propria e la sottomucosa contengono linfociti con accumulo di PrP patologica come le pareti dei vasi linfatici e sanguigni; sono inoltre coinvolti gli elementi cellulari delle placche del Peyer ed i linfonodi intestinali; colon, ove la PrP patologica è limitata alle cellule colonnari disposte vicino al lume e non coinvolge le cellule delle cripte né la tunica muscolare; milza, che evidenzia un cospicuo accumulo di PrP nelle cellule della polpa rossa ed in misura minore alla periferia della polpa bianca. Nelle fasi successive viene coinvolto il sistema nervoso centrale, con accumulo di PrP patologica a livello di radici dorsali e ventrali del midollo spinale della regione cervicale, ed accumuli sparsi lungo le fibre vacuolizzate del midollo spinale; la PrP si riscontra anche nella zona IV della corteccia cerebrale vicino alle fibre nervose che originano dal corpo calloso. E’ interessante notare che lo stesso quadro neuropatologico e la stessa distribuzione della PrP patologica è stata evidenziata in altri lemuri di zoo francesi morti per BSE naturale per essere stati alimentati con una dieta integrata contenente farina di carne di possibile origine inglese ed inaspettatamente anche in altri lemuri asintomatici provenienti da altri zoo francesi, a testimonianza del fatto che la diffusione dell’agente della BSE negli animali dei giardini zoologici era molto più estesa di quanto si pensasse. Insorgenza della encefalopatia nel bovino e trasmissione intraspecifica Si ritiene ormai certo che la BSE sia stata trasmessa al bovino attraverso le farine di carne contaminate, derivanti soprattutto da visceri ed organi di animali infetti (in particolare SNC, organi linfo-reticolari, intestino) prima che l’utilizzazione di questi mangimi fosse bandita con le disposizioni del governo inglese (bando del 1988). L’evidenza che le farine di carne ed ossa utilizzate come supplementi proteici nei mangimi in commercio fossero i veicoli della infezione deriva dai risultati delle indagini epidemiologiche, in particolare dagli studi caso-controllo sulle pratiche di alimentazione dei bovini e dall’analisi degli effetti del divieto imposto all’impiego nei mangimi di questi ingredienti, elementi che hanno fornito una convincente prova indiretta che le farine erano responsabili della trasmissione dell’agente patogeno. L’inizio dell’effettiva esposizione della popolazione bovina inglese all’agente della encefalopatia è coinciso con le modifiche nelle pratiche di trasformazione (rendering) delle carcasse di animali morti, di rifiuti animali e scarti di macellazione in farine di carne che hanno interessato quasi interamente la nazione verso la metà degli anni ‘70 (Wilesmith e coll., 1988) con la sola eccezione della Scozia. Questi cambiamenti consistevano in una drastica riduzione o addirittura nell’abbandono dell’impiego dei solventi organici idrocarbonati per massimizzare l’estrazione del grasso dalle farine di carni ed ossa ottenute, e nella contemporanea adozione di sistemi di trasformazione “in continuo“ che prevedevano l’applicazione di temperature più basse delle precedenti o un’esposizione più breve al calore. La malattia si è manifestata principalmente e con una significativa coincidenza con le pratiche di alimentazione zootecnica in tutta la Gran Bretagna e in alcune isole minori come le 70 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Guernsey (vd. cap. “Epidemiologia descrittiva – Regno Unito”). Circa l’origine dell’encefalopatia, l’ipotesi più convincente rimane ancora attualmente quella della scrapie ovina e trova il suo fondamento nella stima di un rischio iniziale connesso al fatto che la BSE originariamente è comparsa in Gran Bretagna, e che nessuna altra popolazione bovina è risultata infettata da una sorgente indigena. Questo raffronto geografico ha evidenziato quanto segue: 1. un rapporto così elevato tra popolazione ovina e popolazione bovina (45 milioni di pecore/12 milioni di bovini), quale quello inglese, non si è registrato in altri Paesi dove pure la scrapie ovina era endemica; 2. la scrapie ovina era endemica nella popolazione di pecore inglesi con una prevalenza in apparenza maggiore che negli altri Stati; 3. le farine ovine di carne ed ossa erano comunemente utilizzate nei mangimi somministrati ai bovini; 4. le procedure del “rendering“ in Gran Bretagna che, almeno inizialmente erano tali da prevenire un effettivo rischio per la popolazione bovina, a seguito dei cambiamenti introdotti potevano aver prodotto una vasta esposizione (Wilesmith, 2001). Ipotesi diverse da quelle di un’origine a partire dalla scrapie sono state considerate nella prima fase della epizoozia ed hanno contemplato anche un’origine dal bovino, considerando principalmente l’evenienza di una forma sporadica di BSE nella popolazione bovina che, non diagnosticata, sarebbe entrata attraverso il “rendering” nella catena alimentare. Questa tesi è fondamentalmente smentita dal fatto che la BSE in forma epidemica si è originariamente manifestata in Gran Bretagna e in nessun altro Paese. Il problema è anche che gli altri Paesi avrebbero avuto un potenziale di amplificazione molto più grande di un agente BSE che derivasse da una sorgente bovina, piuttosto che ovina, se si fa una comparazione con il rischio in Gran Bretagna. Ad esempio, negli USA, dove la densità di popolazione bovina è maggiore, la comparsa della BSE dovuta ad un evento sporadico o a fattori mutageni, sarebbe stata con ogni probabilità più facilmente amplificata, quantomeno se si ipotizza un’uniforme recettività della popolazione esposta. Sempre a tale proposito va ancora citata una recentissima ipotesi formulata da Prusiner (2001) secondo il quale va considerata con attenzione la possibilità che la BSE sia originata dalla selezione durante i processi del “rendering“ di un particolare ceppo di prione della BSE che si rinviene naturalmente nella pecora e che è in grado di trasmettersi al bovino. Anche se i dati epidemiologici e sperimentali indicavano che la malattia veniva trasmessa per via alimentare, tramite farine di carne ed ossa contaminate dall’agente della BSE, il riscontro fin dal 1991 di nuovi casi di malattia in bovini cosiddetti “BABs”, cioè nati dopo il primo bando inglese sull’impiego delle proteine derivate dai ruminanti per l’alimentazione dei bovini (18/07/1988), diede un notevole impulso alle ricerche sulla diffusione della malattia attraverso vie di trasmissione alternative. _______________________________________________________________________________________ 71 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Trasmissione verticale La possibilità della trasmissione per via verticale(1) è stata studiata attraverso i seguenti campi di indagine: ! Analisi del pedigree ed altri studi genetici In analogia a quanto verificato per la CJD ereditaria dell’uomo, legata ad un gene autosomico dominante, venne studiata la possibilità che la BSE potesse essere considerata come una malattia genetica; l’analisi dei dati parentali di 501 casi di BSE evidenziò il coinvolgimento di ben 239 tori; i dati escludevano anche la possibilità che la malattia fosse legata ad un gene autosomico recessivo (Wilesmith e coll., 1988). Nessuno studio nel bovino ha evidenziato un chiaro legame causale in grado di spiegare l’insorgenza della malattia solo in alcuni animali della stessa mandria come il risultato di un’evidente predisposizione genetica. ! Analisi della trasmissione materna mediante uno studio di coorte La ricerca più importante attuata sulla trasmissione materna della BSE, fu lo studio di coorte finanziato nel 1989 dal MAFF: la coorte dei vitelli fu scelta nelle fattorie inglesi dove era presente la malattia, e venne eseguito il confronto tra 301 vitelli nati da madri infette con altrettanti vitelli di controllo, nati nella stessa mandria e nello stesso periodo da vacche di almeno sei anni senza sintomi clinici di BSE; i due gruppi di animali, nati tra agosto ’87 e luglio ‘89 vennero acquistati ad un’età compresa tra due e ventiquattro mesi ed allevati in fattorie sperimentali fino alla comparsa dei sintomi clinici o fino alla macellazione, che venne praticata a sette anni di vita con il successivo esame del cervello. Wilesmith e coll. pubblicarono nel 1997 i risultati dello studio evidenziando che 42 dei 301 vitelli nati dalle madri malate (13,9 %) avevano sviluppato la BSE, mentre nel gruppo di controllo i bovini infetti risultarono solo 13 (4,3%): la differenza di rischio tra i due gruppi risulta essere del 9,6% ed è statisticamente significativa, anche se va rilevato che nello studio non si teneva conto degli eventuali fattori di predisposizione genetica che possono avere rilievo nella trasmissione della malattia. I risultati dello studio di coorte sulla trasmissione materna vennero analizzati da diversi gruppi di epidemiologi che giunsero alle seguenti conclusioni: • lo studio sull’incidenza della BSE in vitelli nati da vacche che sviluppano la malattia, evidenzia un significativo aumento del rischio nei vitelli nati meno di due anni prima della malattia della madre; in particolare, il rischio è massimo per gli animali nati dopo la comparsa della malattia nella madre, intermedio in quelli nati nell’anno precedente e più basso, ma ancora significativo, per gli animali nati tra 12 e 24 mesi prima (Donnelly e coll., 1997); ___________ (1) Si precisa che si intende per trasmissione: verticale: quella che avviene tra genitore e figlio per via germinale (sperma o uovo), durante la fecondazione, o in utero, durante lo sviluppo embrionale o fetale; materna: avviene tra madre e neonato per via verticale (uovo, placenta, per embryotransfer) od orizzontale, nel periodo immediatamente post-partum (tramite latte, saliva...); laterale od orizzontale: la trasmissione che avviene per contatto diretto o indiretto. 72 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI • in base ai dati dello studio di coorte sembra che la trasmissione materna, almeno in quel particolare periodo epidemico, potesse essere responsabile di circa il 10% dei casi di malattia; alla luce di questo dato sperimentale, il SEAC (Spongiform Encephalopathy Advisory Committee) ha raccomandato al Governo inglese di far abbattere i vitelli nati da madri malate; • fu presto chiaro che i risultati dello studio di coorte potevano essere stati falsati dalla probabile esposizione di alcuni degli animali dell’esperimento ad alimenti contaminati, visto che, nonostante la maggior parte degli animali fosse nata dopo il primo bando delle farine di carne del luglio 1988, l’utilizzo di questi mangimi è continuato ancora per un lungo periodo. Ulteriori studi sull’argomento sono stati effettuati da Ferguson e coll. (1997) per valutare l’entità del rischio BSE, analizzando i dati disponibili su tutti i casi di malattia insorti dopo il primo bando delle farine di carne: il rischio risulta maggiore per i vitelli nati dopo la comparsa della sintomatologia clinica nella fattrice ed è più basso per gli animali nati prima che la malattia si manifesti nella madre; è presumibile che anche la predisposizione genetica ricopra un ruolo importante nella trasmissione verticale, visto che esiste una grande variabilità nella sensibilità e nella resistenza dell’ospite alla malattia. Nell’ambito di un importante studio epidemiologico caso-controllo progettato dal Central Veterinary Laboratory, con lo scopo di chiarire l’importanza della trasmissione verticale ed orizzontale nell’epidemiologia della BSE con particolare riferimento ai casi insorti dopo il bando delle farine di carne, Hoinville e coll. (1995) evidenziarono che non vi è un’associazione statisticamente significativa tra la comparsa della malattia nella progenie e lo stato di malattia della madre, mentre si rilevava un coefficiente di rischio statisticamente significativo di contrarre la malattia per i vitelli dello stesso allevamento nati da uno a tre giorni dopo il parto di una bovina con sintomatologia clinica di BSE, senza che peraltro si evidenzi un chiaro nesso causa-effetto tra gli eventi. ! Analisi della trasmissione paterna Gli studi epidemiologici che hanno confrontato l’incidenza della BSE nei discendenti di tori sani e di tori che successivamente hanno sviluppato la malattia clinica, non hanno consentito di verificare differenze di incidenza attribuibili al toro; altri studi hanno evidenziato l’assenza di rischio legata all’utilizzo di materiale seminale di tori infetti. Anche i tentativi di trasmissione per via sperimentale della malattia utilizzando seme, ghiandole seminali o prostata di tori infetti sono risultati negativi (Wells e coll., 1998) ! Studi sull’embryo transfer Gli studi sull’embryo tranfer come eventuale via di diffusione della BSE sono iniziati fin dal 1990 presso il Central Veterinary Laboratory, con lo scopo di accertare se l’agente della BSE fosse veicolato dall’embrione, nonché per provare l’eventuale trasmissione verticale dell’infezione; un ulteriore motivo di interesse, di tipo commerciale, era quello di verificare se il patrimonio genetico di bovine di pregio malate di BSE, potesse essere preservato senza rischi di natura sanitaria con questa metodica. Venne indotta superovulazione in duecento bovine sospette di BSE, che furono poi inseminate con fecondazione artificiale; per integrare l’esperimento con nuove acquisizioni sulla trasmissione per via paterna, 100 bovine furono inseminate con seme di tori positivi alla BSE e 100 con seme di tori negativi; dopo sette giorni dall’inseminazione, gli embrioni venivano prelevati con il lavaggio uterino, sottoposti alle normali procedure ed impiantate sulle riceventi, che erano bovine sicuramente indenni da BSE, trattandosi di manze importate _______________________________________________________________________________________ 73 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI dalla Nuova Zelanda. I risultati preliminari dello studio sono rassicuranti: infatti, nessuno dei 255 vitelli nati dagli embrioni prodotti dal gruppo delle vacche infette, ha ancora sviluppato la malattia ed i tessuti embrionali ed uterini sono risultati negativi nelle prove biologiche sui topini (Wrathall e coll., 1997); i risultati definitivi dello studio sono attesi per quest’anno. Trasmissione materna Gli studi per accertare l’eventuale trasmissione orizzontale della malattia dalla madre al neonato dopo il parto, hanno valutato l’infettività della placenta, dei tessuti embrionali e dei lochi puerperali ed hanno avuto esito negativo nelle prove biologiche sui topini; anche l’infezione sperimentale di dodici vitelli inoculati per via nasale ed orale con un omogenato di membrane fetali proveniente da bovine affette da BSE all’ultimo mese di gravidanza, non ha dato esito positivo (Wells, 1994). Il latte proveniente da vacche affette da BSE, inoculato nei topini per via intracerebrale ed intraperitoneale o somministrato per via orale, non ha determinato la comparsa della malattia, né delle lesioni, né il rilievo di infettività (Taylor e coll., 1995); pur non essendo stata effettuata la prova di infezione sperimentale nel vitello a partire dal latte, i risultati dello studio caso controllo sulla trasmissione materna della BSE consentono di escludere l’eventualità della trasmissione attraverso il latte. Trasmissione orizzontale La bassa incidenza della malattia all’interno di una mandria infetta depone per una scarsa importanza della trasmissione orizzontale legata al contagio diretto tra bovini conviventi od indiretto, tramite mezzi animati o inanimati. L’infettività della placenta è molto importante nell’epidemiologia della scrapie, perché la contaminazione dei pascoli con le membrane fetali consente la trasmissione per via orale della malattia agli ovicaprini conviventi (Pattison e coll., 1972); secondo altri autori tra le fonti di infezione della scrapie vanno considerate anche feci, urine e secreti oro-nasali (Hourrigan e coll., 1979), e le forme larvali di parassiti, nel caso specifico le forme immature di una mosca carnaria, la Sacrophaga carnaria, che possono fungere da veicoli passivi della malattia, quando si siano alimentate con tessuto nervoso infetto dell’ospite (Post e coll., 1999). Per quanto riguarda la BSE, il fatto che le prove di infettività sui topini eseguite a partire dalla placenta siano risultate negative, lascia supporre che la trasmissione orizzontale per questa via non abbia alcuna importanza. In conclusione, anche se sono state condotte numerose analisi epidemiologiche e molti studi sperimentali per accertare le vie di trasmissione della malattia da bovino a bovino, sino ad oggi nessuno è riuscito a evidenziarle con certezza, pur essendo chiaro che, oltre alla fonte alimentare, esiste una certa percentuale di casi che riconoscono cause che possono essere sia genetiche sia materne, ma che per una dimostrazione certa richiedono ancora studi approfonditi. 74 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Trasmissione per via iatrogena In appendice alla trattazione sulle vie di trasmissione della BSE, meritano di essere citate alcune ipotesi sulla diffusione della malattia che possono essere intervenute, almeno nei primi anni dell’epidemia, facilitandone l’espansione. In analogia a quando si verificò nell’uomo in Francia, ove un’epidemia di malattia di Creuzfeldt Jakob fu causata dalla somministrazione parenterale di un farmaco a base di ormone della crescita contaminato di origine umana, è possibile che siano stati utilizzati organi e tessuti di bovini infetti per allestire preparazioni farmaceutiche, ormoni e vaccini in particolare. E’ noto, infatti, che l’ormone somatotropo bovino di derivazione naturale, allestito dall’ipofisi dei bovini macellati, era utilizzato per incrementare la produzione di latte in alcune fattorie inglesi e che queste sperimentazioni furono condotte negli anni ’70 ed ’80 (Hart e coll., 1984). In Medicina Veterinaria, in analogia a quanto si teme possa verificarsi nella specie umana e a quanto si è dimostrato nelle infezioni sperimentali nelle diverse specie, non si può inoltre escludere che possano essersi verificati episodi di trasmissione della malattia attraverso le comuni pratiche chirurgiche. Fattori che influenzano la trasmissione della BSE Fattori genetici Uno dei dati più significativi dell’epidemia di BSE inglese è la bassa incidenza della malattia nelle mandrie colpite: nella maggior parte dei focolai diagnosticati, era presente un solo bovino malato; la spiegazione è stata ricercata, oltre che nella dose del materiale infettante ingerita per via alimentare, anche in particolari caratteristiche genetiche che potessero influenzare la sensibilità o la resistenza alla malattia. In altre TSE, come ad esempio la scrapie, il polimorfismo del gene che codifica la PrP condiziona la sensibilità degli animali alla malattia. Nel bovino, gli studi sulla caratterizzazione del gene che codifica la proteina prionica, hanno consentito di individuare due forme del gene, la più diffusa nella popolazione bovina inglese - individuata da sei copie ripetute di un octapeptide codificato dal gene - e l’altra forma, meno comune, caratterizzata da cinque copie della medesima sequenza (Goldmann e coll., 1991). Circa il 90 % dei bovini esaminati sono omozigoti per il gene che codifica sei copie dell’octapeptide (6:6); circa il 10% sono eterozigoti (6:5) e meno dell’1% omozigoti per il gene che codifica cinque copie (5:5); va rilevato che in quest’ultima categoria di bovini, non sono stati rilevati casi di BSE, forse a suggerire una loro resistenza alla malattia. Gli studi genetici eseguiti in Scozia su 370 bovini non hanno evidenziato differenze significative nella distribuzione dei due genotipi tra i bovini infetti da BSE e controlli sani, lasciando intendere che il polimorfismo non influenzi la sensibilità alla malattia; non si rilevano inoltre differenze di razza né risulta diversa l’età in cui la malattia compare negli animali di diverso genotipo (Hunter e coll., 1994). _______________________________________________________________________________________ 75 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Allo stato attuale delle conoscenze, manca un chiaro legame tra il patrimonio genetico dell’animale e la sua sensibilità alla malattia e devono essere quindi chiamati in causa altri fattori, connessi alle modalità di trasmissione del patogeno od all’ambiente. Fattori ambientali In altre TSE, pare che alcuni fattori individuali di natura non genetica, siano importanti nella trasmissione della malattia: • • nella Encefalopatia trasmissibile del visone (TME), ad esempio, si evidenziano livelli di incidenza molto elevati, risultando spesso colpiti il 100% degli animali dell’allevamento, e questo fenomeno è stato posto in relazione alla diffusione della malattia attraverso le ferite alla mucosa orale, che i visoni si producono alimentandosi; nella variante umana della malattia di Creuzfeldt-Jakob, si è ipotizzato che la diversa sensibilità alla malattia possa essere influenzata da lesioni boccali ed infezioni delle tonsille o dell’apparato gastroenterico (Collinge, 1999). Sono interessanti, a questo proposito, anche gli studi condotti sulla trasmissione della scrapie: 1. le infestazioni da nematodi gastrointestinali predispongono alla malattia, determinandone un aumento dell’incidenza ed abbreviandone il periodo di incubazione (Clouscard e coll, 1995); 2. le scarificazioni cutanee sono una possibile via di trasmissione della malattia, di efficienza analoga alla via intraperitoneale ed endovenosa (Taylor e coll, 1996); 3. la scrapie è stata trasmessa sperimentalmente all’hamster attraverso la polpa dentale, lasciando ipotizzare nell’uomo il rischio di diffondere le malattie da prioni attraverso le procedure odontoiatriche (Ingrosso e coll., 1999). In studi eseguiti in vitro su cellule umane si è accertato che alcune patologie cutanee, come la psoriasi e le dermatiti da contatto, sembrano favorire l’insorgenza delle TSE, poiché determinano sovraespressione della PrP nelle cellule epiteliali (Pammer e coll., 1998). Ulteriori ricerche (Pammer e coll., 2000), hanno evidenziato che la PrPc è particolarmente abbondante a livello della mucosa gastrica di pazienti portatori di gastrite causata da Helicobacter pylori. Nell’ambito delle teorie sull’origine della BSE alternative a quella basata sulla contaminazione con un agente patogeno non convenzionale delle farine proteiche destinate all’alimentazione zootecnica, va considerata l’ipotesi, elaborata da Mark Purdey, un agricoltore inglese esperto in agricoltura biologica, che attribuiva l’origine della malattia ai pesticidi organofosforici ed in particolare del Phosmet, largamente utilizzato negli allevamenti inglesi per la lotta contro le mosche parassite del bestiame. Anche se è difficile giustificare scientificamente l’ipotesi degli organofosfati come unica causa dell'insorgenza della BSE in Inghilterra, preconizzata da Purdey, si deve ammettere che questi insetticidi possano condizionare la sensibilità individuale alla malattia, essendone stata provata l’influenza negativa sul metabolismo del rame e del manganese e l’importanza di questi oligoelementi nelle funzioni della PrPc; esistono al proposito alcune evidenze scientifiche: 1. il phosmet induce in vitro un incremento di dieci volte del livello di PrP sulla superficie delle cellule di neuroblastoma umano (Gordon e coll., 1998); 76 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI 2. inoltre Jackson e coll. (1999) hanno dimostrato che il pH acido è in grado di condizionare la trasformazione della PrP cellulare, la cui struttura si presenta ricca di alfa-eliche, nell’isoforma ricca di foglietti-beta, che può essere considerata come un precursore della PrP patologica; 3. lo studio precedente ha inoltre dimostrato che quando il manganese è legato alla PrP, questa diviene più resistente alle proteasi a testimoniare l’influenza potenziale degli agenti chimici sulla sensibilità alla trasformazione della PrP cellulare nella sua isoforma patologica. Gli studi citati dimostrano che un gran numero di fattori possono essere chiamati in causa per spiegare la diversa sensibilità individuale alla BSE e che sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire in modo esauriente il problema. Dose infettante Fin dai primi studi epidemiologici sulla BSE, si era potuto intuire che la quantità di materiale infettante necessaria per determinare la comparsa della malattia clinica nel bovino fosse limitata, pur mancando un preciso riferimento quantitativo. Gli studi sulla scrapie avevano poi dimostrato che, oltre al parametro dose, ed a fattori di tipo genetico, la via di somministrazione dell’agente patogeno gioca un ruolo determinante. Nel topo infettato sperimentalmente con l’agente della scrapie la via orale si dimostra da 50.000 a 100.000 volte meno efficace della via intracerebrale nel determinare la comparsa della malattia (Kimberlin e coll., 1989); nella scrapie sperimentale del topo si evidenzia inoltre che, indipendentemente dalla via di infezione, il periodo di incubazione della malattia si riduce con l’aumento della dose somministrata (Kimberlin e coll., 1978); il titolo infettante del materiale somministrato appare un altro fattore che influenza la comparsa della malattia (SEAC, 1994). L’assunto, estrapolato dall’esperienza sulla scrapie sperimentale del topino e generalmente accettato dal mondo scientifico anche per la BSE, che la dose necessaria per produrre la malattia per via orale fosse molto più elevata di quella per via intracerebrale, venne posto in discussione quando Foster e coll., nel 1993, dimostrarono che 0,5 grammi di materiale cerebrale di bovino affetto da BSE in stadio terminale erano sufficienti per riprodurre la malattia nella pecora e nella capra, nonostante la barriera di specie. Nel 1992 Wells e Hawkins presso il Central Veterinary Laboratory avevano iniziato, in parallelo con lo studio sperimentale sulla patogenesi della malattia nel bovino (cfr. Infezione sperimentale nel bovino), un altro progetto di ricerca, con lo scopo di accertare l’effetto della dose sulla percentuale di infezione (“attack rate”) e sul periodo di incubazione, anche in riferimento alle somministrazioni ripetute di materiale infettante. L’esperimento, citato da altre fonti scientifiche e da “The BSE Inquiry” del Governo inglese edito nel 2000, non è mai stato pubblicato su riviste scientifiche ed è attualmente in corso di ripetizione con protocollo modificato, ma merita di essere descritto per le sue risultanze intermedie, da considerarsi con le cautele richieste per un lavoro non definitivo. Il protocollo del progetto del 1992 prevedeva l’infezione per via orale con un’inoculum infettante, costituito da omogenato ottenuto da cervelli di bovine con BSE in stadio terminale, di 40 vitelli di 4 mesi di età, suddivisi in quattro gruppi di 10, con dosi di _______________________________________________________________________________________ 77 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI 1g., 10g., 100g. e 100g. ripetuti per 3 volte in giorni diversi, e la successiva osservazione clinica quotidiana fino alla comparsa dei sintomi della malattia. Fin dal settembre del 1994 fu evidenziata la comparsa di casi di BSE in tutti i gruppi di animali, compreso il gruppo infettato con la dose di 1g. ed il risultato fu il presupposto per un rafforzamento delle misure legislative contro la malattia, con l’emanazione dello Specified Bovine Offal Order dell’agosto del 1995 che considerava l’intero cranio come SBO e vietava la rimozione del cervello dalla scatola cranica; la bassa dose infettante richiesta orientava anche a ricercare la causa dei numerosi casi di BSE in bovini BABs che si andavano manifestando, nelle contaminazioni crociate dei mangimi per bovini a partire da mangimi per polli e suini. Nel febbraio dell’anno successivo Hawkins, in un rapporto sull’andamento dello studio, confermava la diagnosi istopatologica di BSE in uno dei bovini infettati con dose di 1g.: anche se questo risultato viene citato in diverse pubblicazioni, come ad esempio nel rapporto annuale del 1996 del Chief Veterinary Officer sulla sanità animale, non viene pubblicato su alcuna rivista scientifica dai suoi autori. Nell’ottobre 1999 a esperimento concluso, i risultati dello studio erano così riassumibili: • tutti gli animali appartenenti ai gruppi infettati con 100g., in unica od in triplice dose, erano morti di BSE, mentre nei due gruppi infettati con 10g. e con 1g. la percentuale di mortalità per BSE confermata era del 70%; • il periodo di incubazione per gli animali infettati con dose da 1g. risultava più lungo (45-71 mesi) rispetto a quello rilevato nel gruppo infettato con tre dosi da 100g. (34-42 mesi). Gli Autori tuttavia non hanno considerato conclusivi i risultati dell’esperimento sopradescritto e, fin dal febbraio 1998, hanno iniziato un nuovo studio, di cui non sono ancora disponibili dati, utilizzando quattro gruppi di 10 vitelli, che sono stati infettati per via orale con dosi scalari di 1g., 0.1g., 0,01g. e 0,001g. dello stesso omogenato di materiale cerebrale infetto utilizzato nel 1992, al fine di accertare con più precisione la dose minima infettante nel bovino. Va comunque tenuto presente, nella valutazione degli studi di infezione sperimentale nel bovino e nelle altre specie, che il materiale cerebrale che costituisce l’inoculum iniziale, nella gran parte dei casi, non è stato titolato sul topo per accertarne il potenziale infettante, rendendo in tal modo molto difficile il confronto tra i diversi esperimenti. In riferimento al tema della dose infettante va rilevato che gli studi di infezione sperimentale hanno dimostrato che dosi elevate di patogeno comportano la malattia in tutti gli animali infettati, indipendentemente dai fattori genetici o dagli altri fattori considerati predisponenti; a dosaggi più bassi non tutti gli animali vengono colpiti, presumibilmente per l’intervento dei fattori sopraindicati. Nelle condizioni di campo, restano non del tutto chiariti i motivi per cui solo pochi animali esposti agli stessi fattori di rischio sviluppino la malattia; va citata tra le diverse tesi, la cosiddetta “Packet theory” elaborata da Wilesmith nel 1991 e fondata sul presupposto che negli impianti di rendering potessero essere prodotte partite di farine di carne ed ossa ad alto titolo infettante, perché ottenute ad esempio da cervelli bovini e che queste farine potessero costituire dei “pacchetti infettanti” distribuiti in modo non omogeneo nell’alimento, con l’effetto di infettare solo gli animali che casualmente li trovavano nella loro razione. Questa teoria è tuttavia sempre stata confutata dai titolari delle industrie mangimistiche sulla base 78 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI delle tecnologie applicate, che hanno sempre garantito una fine triturazione delle materie prime in particelle non superiori a 3 mm. di diametro e l’adeguata omogeneizzazione del prodotto finale. ASPETTI CLINICI DELLA BSE L’Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) è una malattia degenerativa del Sistema Nervoso Centrale (SNC), a decorso protratto ed infausto, che colpisce il bovino adulto. Si riscontra con maggiore frequenza in bovine da latte di 4 – 5 anni di età (range 20 mesi – 18 anni). La malattia generalmente esordisce in modo subdolo, infatti nella fase iniziale sono, di solito, presenti esclusivamente segni clinici aspecifici, quali ad esempio la riduzione della produzione lattea ed il dimagramento con o senza diminuzione dell’appetito; di solito, soltanto in una seconda fase, compaiono i sintomi neurologici. Il decorso clinico della BSE varia in media da due alle otto settimane. Esame neurologico nel bovino adulto Prima di procedere all’esame neurologico di un bovino sospetto di BSE, assume un’importanza rilevante il riscontro dei dati segnaletici e la raccolta minuziosa dei dati anamnestici. Si può condurre l’indagine, assumendo informazioni dettagliate, da coloro i quali accudiscono gli animali, in particolare si devono rilevare le modificazioni/alterazioni comportamentali, anche meno evidenti, riscontrate sul soggetto preso in esame. Osservazione L’esame neurologico deve iniziare con l’osservazione del bovino adulto in lontananza, valutando lo stato mentale, il comportamento e la postura (testa , collo ed arti) dell’animale da esaminare. Si passa, quindi, all’osservazione dell’animale da vicino, in un primo tempo mantenendolo nel proprio ambiente/gruppo e successivamente, ponendolo in isolamento, possibilmente in un altro recinto, per riprodurre le condizioni di stress. La valutazione della sensibilità del bovino può essere effettuata, con l’animale in isolamento, ricorrendo alla stimolazione acustica ed a quella visiva. L’esame dell’andatura completa va eseguita in questa prima parte dell’esame neurologico. A tal fine è opportuno osservare l’animale mentre procede: in linea retta, al passo , al trotto, quando si muove in salita/discesa o ancora mentre viene impegnato in repentine svolte. E’ importante non trascurare la valutazione del comportamento del bovino nei confronti di ostacoli disposti sul terreno e nei confronti di aperture/soglie da superare. Esame nel travaglio Quando possibile, occorre porre l’animale in un travaglio o in alternativa contenere l’animale, mediante l’impiego di una cavezza: è molto importante osservare l’atteggiamento che assume l’animale nei confronti del travaglio o eventualmente della cavezza. Sull’animale così contenuto si procede alla valutazione della sensibilità delle estremità distali degli arti posteriori (prova del bastone) ed a quella della testa e del collo. _______________________________________________________________________________________ 79 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Esame dei nervi cranici Infine si passa alla valutazione dei nervi cranici per mettere in evidenza alterazioni, simmetriche e non, a carico di uno o più paia di questi . Negli animali in decubito obbligato (vacca a terra), la valutazione dello stato del sensorio, dei nervi cranici e dei riflessi spinali sono di fondamentale importanza per confermare/escludere un problema di tipo neurologico e sono, inoltre, indispensabili per rilevare le lesioni a livello cerebrale o del midollo spinale. Una descrizione più esaustiva ed esplicativa dell’esame neurologico nel bovino è disponibile sulla videocassetta: “Visita clinica del bovino adulto: riconoscimento di un sospetto di BSE” realizzato dal Centro di Referenza Nazionale sulle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili degli Animali (Cea), in collaborazione con il Dipartimento di Patologia Animale di Torino – Sezione di Clinica Medica Veterinaria. Sintomatologia La sintomatologia neurologica nella BSE può essere ricondotta, da un punto di vista didattico, ad alterazioni del comportamento, alterazioni della sensibilità ed alterazioni del movimento. E’ importante sottolineare come, nella maggior parte dei casi, sia il personale di stalla ad accorgersi della comparsa dei primi sintomi. Alterazioni del comportamento Sono le prime a manifestarsi, consistono in: a) b) c) d) e) f) g) h) apprensione e timore; digrignamento dei denti; impennamenti della testa; aggressività (ad esempio scalciare o caricare); nervosismo di fronte a porte o passaggi; aumento delle vocalizzazioni; sbadigli; alterazioni del comportamento sociale. Alterazione della sensibilità : a) b) c) d) e) f) g) h) scuotimento della testa; movimenti anomali delle orecchie; leccamento frequente del musello; movimenti frequenti con la lingua; iper reattività a stimoli sonori, tattili e visivi; sfregamento della testa contro oggetti fissi; starnuti e risucchi con il naso; aumento della salivazione. I sintomi sopra elencati possono manifestarsi in forma intermittente e non sempre in relazione a stimolazioni esterne. Spesso si evidenziano in condizioni di stress. Alterazioni del movimento : a) postura anomala; b) atassia; c) ipermetria degli arti posteriori; 80 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI d) e) f) g) h) ipermetria degli arti anteriori; cadute; decubito obbligato; tremori; fascicolazioni muscolari. Con il progredire della malattia l’animale presenta una difficoltà ad alzarsi fino a rimanere in decubito obbligato. Spesso in questa fase è presente un ottundimento del sensorio. Talvolta, l’animale assume una postura anomala con uno od entrambi gli arti posteriori rivolti all’indietro. In animali in decubito obbligato con ottundimento del sensorio ed assenza di un’anamnesi minuziosa, riconducibile ad una malattia ben precisa, la BSE dovrebbe sempre essere considerata nella diagnosi differenziale. Una descrizione più dettagliata della sintomatologia della BSE è disponibile sul video: “Come riconoscere e diagnosticare la BSE” realizzato dal Centro di Referenza Nazionale sulle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili degli Animali (Cea), in collaborazione con il Dipartimento di Patologia Animale di Torino – Sezione di Clinica Medica Veterinaria. SCHEDA CLINICA BOVINO SOSPETTO BSE DATA: Detentore: Proprietario: Veterinario: Codice aziendale: Marca auricolare: ASR n°: Razza: Età: Sesso: Provenienza: ESAME OBIETTIVO GENERALE Stato di nutrizione: Temperatura: Linfonodi: Frequenza cardiaca: Cute: Attività ruminale: Mucose apparenti: Altro: _______________________________________________________________________________________ 81 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE DEL SNC Animale libero, non disturbato Sensorio/stato mentale Comportamento Postura (testa, collo, arti, colonna) Tremori Comportamento in isolamento Stimolo acustico Stimolo luminoso Andatura Scivolamenti/cadute Comportamento di fronte ad aperture/soglie Comportamento di fronte ad ostacoli INDAGINI COLLATERALI Si/No Risultati Sangue prelevato Urina prelevata Liquido cefalorachidiano Video effettuato Fotografie effettuate Altro: 82 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Animale nel travaglio/Contenimento con la cavezza Comportamento nell’entrare nel travaglio Comportamento all’interno del travaglio Comportamento durante contenimento con la cavezza Prova del bastone Sensibilità della testa e del collo Nervi Cranici Sinistra Destra (I NC) Riflesso pupillare, dimensioni pupille e simmetria (II – III NC, Sistema simpatico) Esame del fondo dell’occhio (II NC) Reazione di minaccia (II – VII NC, cervelletto) Strabismo (III –IV – VI – VIII vestibolare NC) Nistagmo (III –IV – VI – VIII vestibolare NC) Sensibilità della testa (V NC) Masticazione (V NC) Offrire del cibo all’animale Mimica facciale (VII NC) Riflesso palpebrale (V – VII NC) Deglutizione e tonalità delle vocalizzazioni (IX – X NC) Mobilità e tono della lingua (XII NC) DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLA BSE A tutt’oggi, non è possibile effettuare una diagnosi di BSE sull’animale in vita in modo certo e inconfutabile. Pertanto, clinicamente è possibile solo avanzare un sospetto. L’età, il decorso clinico protratto e infausto, l’assenza di una risposta infiammatoria e/o immunitaria ed il quadro clinico neurologico sono elementi sufficienti per emettere un sospetto. La sintomatologia, in corso di BSE, può essere confusa con altre patologie, soprattutto a carico del SNC, a carattere infettivo, metabolico e degenerativo. Alcune delle principali malattie da prendere in considerazione nella diagnosi differenziale sono: _______________________________________________________________________________________ 83 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Malattie infettive A) VIRALI RABBIA MORBO DI AUJESZKY IBR Quadro clinico Eccitazione, aggressività, ipersessualità, iperestesia, movimenti compulsivi (anteropulsione), deficit propriocettivi, salivazione, tenesmo, decubito e depressione. Eccitazione, aggressività, ipersessualità, paura, iperestesia,parestesia, movimenti compulsivi (anteropulsione), deficit propriocettivi, atassia, salivazione, depressione, decubito, convulsioni e coma. Inizialmente depressione, febbre,congiuntivite, tracheite, muggiti, ipereccitabilità, deficit propriocettivi, convulsioni, decubito e coma. Diagnosi Istopatologia Immunoflorescenza Elisa Isolamento del virus (cervello, midollo spinale, mucosa nasale) Isolamento del secrezioni nasali) virus (cervello, B) BATTERICHE LISTERIOSI MENINGITI ASCESSI CEREBRALI MENINGO ENCEFALITE TROMBO EMBOLICA ( Malattia del sonno ) PARATUBERCOLOSI Febbre, ipereccitabilità, nervosismo, muggiti frequenti, paralisi del nervo facciale, strabismo, nistagmo, scialorrea, disfagia, testa ruotata, movimento in circolo, atassia, emiparesi, depressione, decubito obbligato. Iperestesia, opistotono, cecità, deficit propriocettivo, anteropulsione, dolorabiltà-rigidità cervicale, atassia, decubito obbligato, depressione, coma. Iperestesia, opistotono, cecità, deficit propriocettivo, anteropulsione, dolorabiltà-rigidità cervicale, atassia, decubito obbligato, depressione, coma. Sintomatologia variabile in funzione della localizzazione. Esame del liquido cefalo-rachidiano ( pleiocitosi, aumento delle proteine ) Istopatologia Isolamento batteriologico dal tronco cerebrale. Febbre, grave depressione, deficit dei nervi cranici ( paralisi della lingua, testa ruotata, strabismo, nistagmo ) cecità, andatura rigida, opistotono, atassia, decubito obbligato, convulsioni. Dimagramento progressivo, enterite cronica. Esame del liquido cefalo-rachidiano Istopatologia Esame batteriologico Esame del liquido cefalo-rachidiano Istopatologia Isolamento batteriologico. Istopalogia Isolamento batteriologico Esame microscopico ( colorazione di Ziehl-Neelsen ) Coprocultura Elisa Immunodiffusione FdC 84 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Malattie parassitarie COCCIDIOSI CENUROSI THEILERIOSI Febbre, diarrea, tremori muscolari, iperestesia, opistotono, atassia, aumento delle vocalizzazioni, decubito, convulsioni. Depressione, separazione dal gruppo, dimagramento, digrignamento dei denti, cecità, nistagmo, anteropulsione, movimenti in circolo, testa ruotata, paresi progressiva, atassia, decubito obbligato ( segni clinici in funzione alla localizzazione della cisti ). Febbre, letargia, anoressia, linfoadenopatia, scolo nasale/oculare, diarrea muco-emorragica, rigidità del collo, movimenti in circolo, atassia, anteropulsione, tremori muscolari, decubito obbligato. Esame delle feci ( oocisti ) : non sempre evidenziabili Istopatologia Ecografia Esame autoptico del cervello Emocromo Citologia da linfonodi, cervello e altri tessuti ( Giemsa ) Diagnosi sierologia ( immunoistochimica immunofluorescenza ) Malattie metaboliche e carenziali IPOCALCEMIA IPOMAGNESIEMIA CHETOSI POLIENCEFALOMALACIA DA CARENZA DI VITAMINA B1 Inappetenza, debolezza, meteorismo, Calcemia estremità fredde, polso debole, atassia, decubito, disuria. Diminuzione della produzione lattea, anoressia, nervosismo, iperestesia, tremori, andatura rigida, atassia, digrignamento del denti, scialorrea, crisi convulsive. Magnesiemia Determinazione del magnesio nel liquido cefalo-rachidiano, nell’umor acqueo e nelle urine Perdita di peso, inappetenza, diminuzione della produzione lattea, iperestesia, nervosismo, scialorrea, cecità, aggressività (calciare, caricare ) aumento delle vocalizzazioni, tremori, atassia, anteropulsione, movimento in circolo, tetania. Diarrea temporanea, cecità, strabismo dorso-mediale, scialorrea, nistagmo, vagare senza meta, apprensione, iperestesia, deficit propiocettivi, movimenti in circolo, atassia, difficoltà ad alzarsi, decubito e convulsioni. Corpi chetonici nel siero, nelle urine e nel latte. Risposta alla somministrazione di vitamina B1 ( tiamina) Valutazione della tiamina nel sangue Istopatologia _______________________________________________________________________________________ 85 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Intossicazioni AVVELENAMENTO CRONICO DA PIOMBO AVVELENAMENTO DA ORGANO FOSFORICI / CARBAMATI Perdita di peso, cecità, vagare senza meta, iperestesia, aumento delle vocalizzazioni, atassia, paresi, convulsioni. Apprensione, scialorrea, miosi, ipereccitabilità, aggressività, fascicolazioni e tremori muscolari, movimenti di masticazione, spasticità, convulsioni, difficoltà respiratoria, coma. Valutazione del tasso ematico del piombo Opistotono, cecità, movimenti in circolo, deficit di uno o più paia di nervi cranici (in genere monolaterale ) anteropulsione, atassia e decubito obbligato. La sintomatologia varia in base alla localizzazione. Escoriazioni, soluzioni di continuo, presenza di scroscio, paraparesi/plegia, tetraparesi/plegia. Istopatologia Valutazione dell’attività della colinesterasi nel siero Evidenziazione nel materiale ruminale di composti chimici Risposta all’atropina Altre patologie NEOPLASIE CEREBRALI TRAUMI SPINALI CRANICI LESIONI PODALI ALTERAZIONI COMPORTAMENTALI E Anamnesi Esame radiografico Esame autoptico Zoppicature, decubito, dolorabilità, Esame ortopedico tumefazioni. Esame radiografico Esame autoptico Aumento dell’aggressività, vocaliz- Anamnesi zazioni, nervosismo, alterazioni del Età Sesso comportamento sociale. La trasmissione dal bovino all’uomo Una delle conseguenze più drammatiche dell’epizoozia inglese della cosiddetta “malattia della vacca pazza“ – l’ipotesi che l’uomo possa contrarre l’infezione attraverso il consumo di carne contaminata – sembrerebbe essere confermata sia dagli esiti delle analisi delle proteine prioniche patologiche (PrPsc resistenti alle proteasi), delle cui caratteristiche molecolari e chimico-fisiche si è trattato in precedenza, sia dai risultati delle ricerche pubblicate su Nature nel ‘96-‘97. Questi studi epidemiologici e clinico-patologici, connessi con l’analisi della proteina prionica patologica e dei suoi effetti, sostengono fortemente l’ipotesi che l’encefalopatia umana denominata nuova variante CJD sia correlata causalmente alla BSE, anche se restano da risolvere importanti controversie. Uno stretto legame tra la nuova variante della CJD e la “malattia della vacca pazza“ è stato da tempo sospettato perché entrambe le encefalopatie sono caratterizzate da fenomeni 86 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI iniziali di demenza o da alterazioni marcate del comportamento, da tremori, mioclonie, e sembrano causate da un agente assimilabile ad una proteina infettante catalogata tra i prioni. Tuttavia non è ancora stato sicuramente dimostrato che la carne contaminata dall’agente della BSE possa causare la vCJD. I primi studi sperimentali sulla trasmissione della BSE agli uomini furono intrapresi nel 1988. Due scimmie marmoset furono inoculate endocerebralmente e morirono della malattia nel 1999. Era comunque noto che la scrapie si trasmette a questa specie, anche se con tempi di incubazione minori. Così gli studi non offrirono nuove informazioni per l’uomo. Una volta riconosciuta la vCJD, è stata avviata una serie di studi di diverso tipo. A tal proposito vanno attentamente considerati i risultati di due ricerche eseguite da M. Bruce e coll. presso l’Istituto di Sanità animale di Edimburgo (1997) e da J.Collinge e coll. (1996 e 1997) dell’Imperial College School of Medicine di Londra. Nel loro lavoro sperimentale i ricercatori scozzesi hanno inoculato nel topo preparati di cervelli infetti prelevati da vacche con BSE, da persone con vCJD, e da altre persone affette dalla forma classica della CJD o CJD sporadica. Il gruppo di Edimburgo aveva già in precedenza dimostrato che i diversi ceppi causali delle encefalopatie spongiformi trasmissibili determinavano tempi di incubazione e lesioni neurologiche riproducibili quando venivano inoculati in certi incroci di topo. Dopo aver controllato le caratteristiche e la sede delle lesioni encefaliche nei topi inoculati, in correlazione con i sintomi ed il decorso della malattia, M.Bruce e coll. hanno concluso che la vCJD e la BSE nei topi inoculati determinano la stessa malattia, distinguendosi nettamente dalla CJD sporadica. I principali aspetti comuni che caratterizzano la patologia della vCJD e della BSE sono i grossi aggregati della cosiddetta proteina prionica che si depositano a placche nel cervello e l’interessamento peculiare del cervelletto. Già Lasmezas e coll. (1996) avevano notato la formazione delle cosiddette placche floride sia in pazienti affetti da vCJD, sia in macachi sperimentalmente infettati con BSE. Inoltre, sostiene ancora M.Bruce, la sorveglianza epidemiologica continua ad indicare che la vCJD è una nuova entità nosologica che si manifesta per la sua massima parte in Gran Bretagna, Paese nel quale la BSE è insorta e si è diffusa con catteristiche nettamente epidemiche. Questi studi sembrano dunque confermare una connessione tra BSE e vCJD. Il gruppo di ricercatori diretto da Bruce ha così aggiunto un altro elemento di prova o tassello al puzzle, alla luce di quanto riportato in un altro articolo su Nature (1996) a firma di Collinge e coll. Utilizzando sia ceppi di topo normale che ceppi di topo transgenico, che esprimeva soltanto la PrP umana (Hu PrP +/+) e nel quale pertanto era stata eliminata la barriera di specie, gli AA. sopracitati avevano già indicato che i prioni coinvolti nella BSE e nella vCJD sembravano identici nel loro comportamento sui topi inoculati, distinguendosi nettamente dall’agente della forma sporadica della CJD. Infatti, in base agli aspetti clinici, ai reperti neuropatologici e alle caratteristiche molecolari, la vCJD nelle prove di trasmissione presenta notevole somiglianza con la BSE ed è del tutto differente dalle altre forme di CJD sporadica ed acquisita. Più recentemente anche Scott e coll. (1999) hanno ulteriormente verificato che topi transgenici che esprimono la PrP bovina inoculati con l’agente della BSE si ammalano in 250 giorni. Se inoculati con l’agente della vCJD si ammalano in 250-270 giorni con uguali segni clinici e lesioni neuropatologiche sovrapponibili. Con l’infezione da scrapie la malattia ha invece caratteristiche completamente diverse. Gli studi realizzati con la tecnica del western blot del gruppo di Collinge (1999) hanno fornito altre conferme. I risultati mostravano che in campioni di cervello digeriti con _______________________________________________________________________________________ 87 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI enzimi proteolitici e sottoposti ad elettroforesi, venivano visualizzate tre bande di proteine prioniche resistenti alla proteasi. La grandezza delle bande dipendeva dal numero di molecole glucidiche legate alla proteina tramite una reazione cellulare definita glicosilazione. La proteina PRPSc può avere 1, 2 o nessuna molecola glucidica legata alla terminazione proteica e queste variazioni portano alla formazione di tre bande diverse nel western blot: la frazione con 2 molecole glucidiche migra più lentamente delle altre durante l’elettroforesi. Il tracciato elettroforetico è caratteristico del ceppo di PRPSc e del polimorfismo del DNA al codone 129. Esistono 4 tracciati principali, in base alla proporzione relativa di ogni frazione e alla conformazione delle molecole di PRPSc. Nella CJD sporadica il tracciato è di tipo 1 e 2, a seconda della variante al codone 129. La maggior parte delle forme iatrogene di CJD ha un tracciato di tipo 3, mentre la BSE e la nvCJD hanno un tracciato di tipo 4, così le TSE dei gatti e degli animali degli zoo. Ciò è coerente con la teoria dell’origine comune dal ceppo prionico PRPSc della BSE. Questi risultati sono assai significativi e fanno presumere che BSE e vCJD siano causate dallo stesso ceppo di prione. Considerati insieme all’associazione temporale e spaziale della vCJD con la BSE, ma non con la scrapie o altre encefalopatie animali attribuite a prioni, e alla luce delle prove di trasmissione della BSE ai macachi, al topo e al gatto domestico, tutti questi elementi supportano fortemente la tesi che la vCJD sia causata dall’esposizione alla BSE. La possibilità teorica che le due malattie derivino dall’esposizione ad una sorgente comune non identificata appare piuttosto remota. La “conclusione ineluttabile“, secondo Collinge, è che la nuova vCJD è l’equivalente umana della BSE.Anche secondo Prusiner (2001) vi è ormai una convincente evidenza, alla luce degli studi epidemiologici e transgenetici, che la vCJD sia stata contratta attraverso l’esposizione ai prioni della BSE. Pertanto, la nuova variante umana rappresenta il primo esempio di trasmissione di una malattia animale da prioni alla popolazione umana e i provvedimenti adottati per minimizzare l’esposizione umana all’agente della BSE sono priorità importanti per la salute pubblica. A tutt’oggi (marzo 2001) sono stati 95 i casi, accertati o probabili, di vCJD nel Regno Unito, 3 in Francia, e 1 nella Repubblica d’Irlanda. Gli aspetti clinico-patologici caratteristici di questi casi sono stati relativamente uniformi, consentendo la formulazione di criteri diagnostici per la classificazione dei reperti che ora sono stati validati. Un elevato segnale nella regione del pulvinar del talamo all’esame dell’encefalo in RMC, reperto strettamente correlato alla grave gliosi e alla perdita neuronale che si osserva istologicamente in questa regione, in associazione con un certo numero e tipo di sintomi neurologici, consente di formulare un sospetto di vCJD in vita con un elevato grado di confidenza, ma una diagnosi certa richiede la validazione neuropatologica a seguito di accertamento post mortem. I casi di vCJD sono stati diagnosticati un po’ in tutta la Gran Bretagna, ma può avere una certa importanza il fatto che il maggior numero di riscontri si registra nel nord del Regno Unito, forse in relazione con differenze nelle abitudini alimentari regionali. Infatti, in un articolo comparso su Science (2000), Balter riferisce che i membri dell’Unità Nazionale di Sorveglianza di Edimburgo, guidati da R.Will, hanno rilevato che l’incidenza della vCJD nelle regioni settentrionali del Regno Unito è circa doppia rispetto al sud: il fatto è posto in relazione con il maggior consumo, al nord, di hot-dog e di insaccati che contengono percentuali più elevate di tessuto nervoso rispetto alle bistecche o tagli analoghi. 88 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Infettività degli organi e tessuti di bovini affetti da BSE L’opinione corrente è che la BSE sia trasmessa all’uomo attraverso gli alimenti contaminati da elevate quantità di tessuto nervoso encefalico o spinale, e in questa fase non esiste alcuna ipotesi alternativa ragionevole. Allo stato attuale, infatti, gli studi, effettuati sui topi, per determinare l’infettività dei tessuti bovini, sembrano suggerire che molti tessuti nonnervosi (prelevati da animali affetti da BSE) non siano da considerare infettanti (a differenza di quanto avviene nello scrapie). In particolare, ricercatori diversi a partire dal 1991 (Bostock e coll., 1991; Middleton e Barlow, 1993; Fraser e Foster, 1994; Taylor e coll., 1995; Taylor, 1996; Wells e coll., 1998; Bradley, 1999), hanno dimostrato l’assenza di infettività (per via orale o intraperitoneale o intracerebrale) in oltre 50 tessuti tra i quali muscolo, latte, linfonodi sopramammari, placenta, membrane fetali, seme, leucociti e piastrine. Anche il sangue bovino in toto non è considerato, al momento, causa di infezione e pertanto nei macelli non è ritenuto contaminante per gli altri tessuti e per gli addetti alle lavorazioni (Tirrel e coll., 1991; Brown e coll., 1999). Stesse considerazioni varrebbero per il liquido cerebro-spinale ed il tessuto nervoso periferico, eccezion fatta per il ganglio del trigemino ed i gangli sulle radici dorsali a livello del segmento spinale cervicale e toracico (cfr. schema pag. 63). Per quanto concerne il sistema linforeticolare occorre invece sottolineare l’infettività delle placche del Peyer. La trasmissione della malattia tramite midollo osseo (prelevato dallo sterno di un bovino infetto) iniettato per via intracerebrale nei topi, così come descritto da Wells e colleghi (1999), sembra in realtà un evento raro, non legato al modello patogenetico della BSE, e non è possibile escludere che in realtà si sia trattato di una contaminazione avvenuta in laboratorio. Gli studi attuali pertanto confermano l’infettività solo per l’ileo distale, i gangli sulle radici dorsali del tratto spinale cervicale e toracico ed il ganglio del trigemino oltre, naturalmente, per il sistema nervoso centrale (Wells e coll., 1998). E’ utile precisare che gli studi riguardanti la ID50 (dose in grado di determinare un’infezione con patologia nel 50% degli animali attraverso una diagnosi clinica, anatomopatologica o con esami di laboratorio) dimostrano che la misura di infettività della BSE nei topi è 1000 volte meno efficiente rispetto a quella del bovino (Bradley, 1999). I risultati sopra descritti non devono però essere considerati definitivi in quanto al momento non possiamo escludere la eventualità che esistano picchi e cadute del tasso di infettività nei tessuti bovini, ancora sconosciuti; inoltre il modello topo potrebbe non essere completamente affidabile e sono allo studio test più sensibili di quelli utilizzati sino ad oggi. Potenziale contaminazione delle carcasse bovine alla macellazione Le ricerche sperimentali condotte attraverso la utilizzazione del ceppo della vCJD hanno dimostrato che l’agente trasmissibile responsabile della malattia è identico a quello della BSE, fornendo ulteriore evidenza a sostegno dell’ipotesi che l’esposizione all’agente della BSE, presumibilmente con la dieta, è la causa della vCJD. Diviene pertanto opportuno, _______________________________________________________________________________________ 89 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI nell’ambito di una possibile propagazione dell’infezione attraverso il consumo di carni bovine, indagare sulle modalità di contaminazione di questi alimenti ed in particolare sulle possibili contaminazioni secondarie di visceri e di parti muscolari in sede di macellazione, considerando a tal proposito lo stordimento degli animali e le procedure di macellazione che sono attualmente utilizzati nei Paesi europei (Anil e coll., 1999). Va dunque verificato se queste operazioni possano, nel caso della macellazione di un bovino con BSE, contaminare le parti edibili della carcassa con tessuto nervoso encefalico ad elevato grado di contagiosità, esponendo il consumatore al rischio di contrarre la vCJD. La dimostrazione della relazione causale tra l’agente della BSE e la vCJD (Ironside, 1998) ed il riscontro di emboli cerebrali nei polmoni di bovino macellato con pistola a proiettile captivo penetrante, sollevano il problema che la sola rimozione del materiale specifico a rischio nei bovini macellati può non essere sufficiente ad eliminare il pericolo di una trasmissione dell’agente della BSE all’uomo attraverso il consumo di carne. I risultati delle ricerche di Garland e coll. (1996) e di Anil e coll. (1999) fanno presumere che vi può essere un certo rischio di disseminazione embolica di materiale nervoso cerebrale con l’uso soprattutto di pistola pneumatica ad iniezione di aria e dimostrano inoltre che il neuroembolismo può anche verificarsi attraverso l’impiego di pistola a proiettile captivo penetrante, convenzionale, seguito dal taglio del midollo spinale. Gli emboli sarebbero evidenziabili nel sangue venoso giugulare entro 30 secondi dallo stordimento e potrebbero già aver raggiunto o addirittura attraversato il filtro polmonare (piccolo circolo) prima che il dissanguamento sia terminato (in circa 90 secondi). Questi riscontri sono in sintonia con le osservazioni della presenza di tessuto nervoso cerebrale embolizzato nei polmoni di persone vittime di traumi cranici e di valori elevati di enzimi specifici nel siero (enolasi neurono-specifica, BB creatin chinasi). Sebbene la eventualità del raggiungimento o non della circolazione arteriosa (grande circolo) da parte degli emboli di tessuto nervoso e della loro deposizione nei tessuti edibili richieda ulteriori approfondite ricerche, è comunque non irrilevante il fatto che il tessuto nervoso embolizzato può comprendere frammenti di dimensioni molto piccole, microscopiche, tali da non escludere il superamento del letto capillare polmonare. In conclusione le ricerche evidenziano il problema di un rischio legato ad una potenziale disseminazione ematogena di tessuto nervoso cerebrale a seguito della utilizzazione nella fase di abbattimento della pistola pneumatica e fanno anche ritenere che il neuroembolismo possa verificarsi quando lo stordimento con pistola a proiettile captivo è seguito immediatamente dal taglio del midollo spinale (situazione che si verifica raramente perché la prima operazione dopo lo stordimento è il dissanguamento, seguito a distanza di qualche minuto dalla decapitazione. Ma il rischio legato alle operazioni di macellazione non può non tenere conto di alcune altre situazioni o fattori come: • la tipologia dei bovini abbattuti; • il numero di capi macellati per giorno; • la struttura di macellazione: macello CEE o a capacità limitata. Alla valutazione complessiva deve essere aggiunta quella derivante dalle manualità e dalle tecniche di macellazione con la relativa ricaduta sul consumatore, sul personale addetto alle macellazioni e sul veterinario ispettore. Le osservazioni effettuate sul campo e l’attuale modalità di abbattimento, utilizzando esclusivamente la pistola a proiettile captivo ci consentono di confutare decisamente le osservazioni degli Autori succitati, perlomeno dal punto di vista macroscopico. Assumendo però come dato probabile o possibile la presenza di una certa infettività nel liquor cefalo-rachidiano (per ora dimostrata solo nell’uomo) e che 90 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI l’inalazione o il contatto attraverso la cute o le mucose apparenti (congiuntivali, nasali, etc.) o l’ingestione accidentale, et., rappresentino dei rischi potenziali per il personale del macello (si parla di inalazione, contatto e ingestione accidentale!) possiamo individuare alcune operazioni di macellazione per le quali sono opportune cautele sanitarie: • abbattimento del capo; • asportazione della testa; • asportazione della colonna vertebrale; • divisione in mezzene; • asportazione del midollo spinale; • rasatura della testa; • disosso della testa; • apertura dell’intestino e relativo svuotamento. Oltre ai rischi potenziali per il personale di macellazione, occorre considerare l’eventualità della contaminazione delle carni (soprattutto parti muscolari) attraverso la lama del coltello, la sega elettrica, o la scorretta utilizzazione dell’ascia per la suddivisione in mezzene della carcassa, o della permanenza di porzioni o frustoli di midollo spinale non completamente asportato che potrebbero compromettere la sicurezza delle carni destinate al consumo. Tutto questo determina la necessità di una verifica accurata delle modalità di macellazione dei bovini (in particolare dello stordimento e del successivo dissanguamento, nonché della suddivisione in mezzene), che, a fronte di un possibile rischio di inquinamento delle carni attraverso la disseminazione di frustoli di tessuto nervoso nevrassiale, devono essere via via adattate alle nuove esigenze di tutela della salute pubblica. In linea generale, le attuali tecniche di macellazione, il buon livello tecnologico e funzionale dei macelli (recentemente adeguati agli standard europei) assicurano la possibilità di mettere in atto sia misure di protezione individuale dei lavoratori (alleg. 4 al DM 29/9/2000), sia accorgimenti rivolti a minimizzare o eliminare i rischi di contaminazione delle carni assegnate al consumo. Metodi diagnostici in uso per la BSE La certezza diagnostica per le TSE, umane ed animali, si ottiene soltanto con l’esame istologico del sistema nervoso centrale (SNC) e con l’identificazione della PrPsc, proteina marker che si accumula nel cervello degli individui colpiti, tramite indagini immunoistochimiche o mediante Western blot, o ancora tramite ricerca delle SAF (Scrapie associated fibrils), fibrille di sostanza amiloide. L’esame macroscopico dell’encefalo degli animali colpiti non presenta alterazioni significative. In base al Regolamento N.1248/2001/CE, recante modifica al Regolamento 999/2001/CE, gli animali con sintomi compatibili con BSE ed i bovini risultati positivi o non conclusivi ad uno dei test rapidi validati devono essere sottoposti ad esame istologico secondo le prescrizioni dell’ultima edizione del “Manuale sulle norme per le prove diagnostiche e i _______________________________________________________________________________________ 91 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI vaccini” dell’Organizzazione internazionale delle epizoozie (OIE). Se l’esame istologico dà un risultato negativo, dubbio o in caso in cui il materiale abbia subito autolisi o non si presti ad essere esaminato per via istopatologica, i tessuti devono essere analizzati mediante uno degli altri metodi del manuale dell’OIE: (Immunoistochimica, immunobiochimica e rilevazione delle caratteristiche fibrille mediante microscopia elettronica). Metodi di screening per la BSE I test rapidi per BSE si basano, al pari delle metodiche di tipo tradizionale, sul rilevamento della proteina patologica resistente alle proteasi, detta appunto PrPres o PrPsc (da scrapie) - la quale è ritenuta il marker dell'infezione, indipendentemente dal fatto che possa costituire o meno, a seconda delle teorie, l'agente della malattia. Questa proteina è specifica della malattia e rappresenta la forma patologica di una sialoglicoproteina di superficie dell'ospite: mentre la forma normale, cellulare, viene completamente lisata, quella patologica è parzialmente resistente alla digestione con proteasi. Essa si accumula nel sistema nervoso centrale lungo il prolungato periodo di incubazione della BSE finché viene rilevata dai metodi diagnostici a disposizione, di tipo tradizionale o rapido. La differenza tra le metodiche classiche e quelle rapide è che la standardizzazione di queste ultime permette di eseguire un grande numero di campioni rispetto a quanto possibile con i metodi tradizionali, e in tempi decisamente abbreviati, entro le 48 ore, tanto da averne suggerito l'applicazione su animali destinati alla regolare macellazione. In ogni caso si tratta sempre di metodi da applicarsi post mortem. Il prelievo è facilitato, dopo la macellazione, dall’uso di un apposito cucchiaio che, inserito e spinto in profondità tra dura madre e midollo spinale, permette di asportare la porzione di tronco encefalico necessaria all'esecuzione dell'esame. I test rapidi validati dall'Unione Europea sono tre, mentre altri cinque sono attualmente in esame. E’ bene sottolineare che si tratta sempre di metodiche da eseguirsi dopo la morte dell’animale. Si intende che essi hanno superato le prove di validazione, nel senso che tutti e tre sono stati in grado di identificare senza errori i 1000 soggetti sani e i 300 soggetti ammalati oggetto della prova. I campioni non infetti oggetto della prova provenivano da animali della Nuova Zelanda, clinicamente sani e negativi all'esame microscopico. Gli animali ammalati, provenienti dal Regno Unito, presentavano sintomatologia conclamata e risultavano positivi per la BSE agli esami tradizionali. Essi recavano pertanto quantità di PrPsc sufficienti a determinare la sintomatologia: sono stati quindi validati su animali che presentavano sintomi di malattia. Per determinare la capacità dei test nel rilevare quantità inferiori di PrPsc si è mimato sperimentalmente quanto si presume possa accadere in condizioni naturali, diluendo progressivamente il tessuto encefalico positivo in un tessuto uguale sicuramente non infetto. Il Programma di sorveglianza attiva per BSE stabilito dalla Decisione 764/2000/CE prevede pertanto l’utilizzo dei seguenti test rapidi: Prionics-Check test (Prionics): test basato su una procedura Western-blot per il rilievo della PrPsc. Il campione viene omogeneizzato, digerito con proteinasi K e sottoposto ad elettroforesi in gel di poliacrilamide. Le proteine vengono quindi trasferite su una membrana e la PrPsc viene rilevata utilizzando un anticorpo monoclonale (6H4) ed una reazione di chemiluminescenza. La lettura dei risultati è basata su 2 criteri: presenza di 3 bande e loro posizione. 92 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Platelia-BSE (Bio-rad): test ELISA sandwich per il rilievo della PrPsc. Il campione viene omogeneizzato, digerito con proteinasi K e sottoposto a centrifugazione per concentrare la PrPsc. Viene quindi trasferito in piastre ELISA adsorbita con anticorpi monoclonali antiPrPsc e rivelato con un secondo anticorpo policlonale coniugato con perossidasi. La lettura dei risultati è effettuata con uno spettrofotometro, su base colorimetrica. Il cut-off viene calcolato aggiungendo 0.21 alla densità ottica media dei controlli negativi. Enfer test (Abbot): test ELISA per il rilievo della PrPsc. Il campione viene omogenato con lo stomacher e trasferito in piastre ELISA, dove la PrPsc viene rilevata con un anticorpo policlonale, un anticorpo secondario coniugato con perossidasi ed una reazione di chemiluminescenza. La lettura dei risultati viene effettuata con un chemiluminometro, considerando un cut-off di 5.5 Unità Luminescenti. I test rapidi sono in grado di identificare la presenza della malattia in un fase precedente alla comparsa della sintomatologia: si possono pertanto definire test preclinici. Essi non sono tuttavia metodi precoci, non consentono cioè di individuare l'infettività in stadio iniziale dell'infezione. A partire dal 1° gennaio 2001, data di avvio della sorveglianza attiva, viene utilizzato in Italia il test Prionics-check, scelto in seguito all’esperienza acquisita dal Centro di Referenza con uno studio pilota condotto in collaborazione con la Regione Piemonte. Metodi per la conferma di BSE 1. Esame istopatologico L’esame istologico viene effettuato su sezioni di encefalo fissate in formalina e incluse in paraffina, sottoposte a colorazione di ematossilina eosina. I reperti istopatologici sono limitati al SNC e sono di natura degenerativa. Le lesioni che si osservano sono state complessivamente definite come una triade di alterazioni neuroistologiche: la spongiosi del neuropilo; la degenerazione neuronale; l’astrocitosi. La lesione più caratteristica, quella che di fatto ha determinato l’attributo di “spongiforme, ” è la spongiosi del neuropilo. Essa è rappresentata da vacuoli di piccole dimensioni originati dalla dilatazione dei processi neuronali o dalla vacuolizzazione del corpo del neurone. I vacuoli appaiono come spazi otticamente vuoti, delimitati spesso da una sottile rima di citoplasma e talora multipli e confluenti (fig.1). Figura 1 – SNC bovino – Sostanza reticolare: vacuolizzazione neuronale (E & E 20X) Figura 2 – SNC bovino – Nucleo del tratto spinale del V: spongiosi del neuropilo. (E & E 20X) _______________________________________________________________________________________ 93 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Nella BSE la regione encefalica più colpita è il midollo allungato (nucleo del tratto solitario, nucleo del tratto spinale del V°, nuclei olivari, nuclei vestibolari e formazione reticolare), seguito dal mesencefalo (sostanza grigia centrale), dall’area periventricolare nel talamo (Wells e coll., 1991). Il nucleo del tratto solitario ed il nucleo del tratto spinale del V° (fig.2), considerati insieme, sono colpiti nel 99,6% dei casi, perciò l’esame di una singola sezione a livello dell’obex, dove tali nuclei sono localizzati, può rivelarsi sufficiente alla diagnosi (ibidem). E’ noto che il riscontro di un singolo reperto di vacuolizzazione all’interno del soma neuronale è un evento comune, anche in assenza di infettività da BSE, in quanto è stato osservato anche in animali sani. Le lesioni di tipo spongioso possono essere accompagnate da una più o meno marcata ipertrofia ed iperplasia degli elementi astrocitari. Possono essere inoltre presenti, in grado variabile, segni di sofferenza neuronale. 2. Esame immunoistochimico Viene eseguito su sezioni di tessuto cerebrale incluse in paraffina. Viene messa in evidenza la presenza di PrPsc mediante pretrattamenti atti a denaturare la PrPc e a smascherare i siti antigenici e con l’uso di anticorpi monoclonali o policlonali anti-PrP. Con l’ausilio di un sistema di rivelazione avidina/biotina/perossidasi, si evidenzia la distribuzione della PrPsc nel tessuto cerebrale per mezzo di un cromogeno. I quadri immunoistochimici osservati nei casi italiani ed europei di BSE sono caratterizzati da una immunoreattività diffusa, puntiforme, ed altri in cui si apprezzano marcati tratti lineari e a corona di rosario (fig.3). In alcuni casi la deposizione di PrPsc comincia ad organizzarsi in strutture a placca di piccole dimensioni (Caramelli e coll., 2001). Figura 3 – SNC bovino – Midollo allungato: accumuli di PrPsc a piccole placche (immunoistochimica, anticorpo P7/7 20X) 94 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI 3. Western blot Si esegue su materiale fresco o congelato. Consiste nel sottoporre la PrPsc presente nel campione a corsa elettroforetica, si trasferisce su membrana e la si sottopone a rivelazione immunologica, analogamente a quanto descritto per il test rapido Prionics-check. Rispetto a quest’ultimo viene però utilizzata una diversa tecnica di estrazione della PrPsc, che prevede non solo omogeneizzazione e digestione con proteinasi K, ma anche una serie di ultracentrifugazioni che permettono di purificare e concentrare la PrPsc, aumentando la sensibilità della metodica. Anche in questo caso vengono messe in evidenza le tre bande corrispondenti alle frazioni diversamente glicosilate della PrPsc (Fig 4). Frazione diglicosilata Frazione monoglicosilata Frazione non glicosilata Fig.4: analisi con Western blot di PrPsc di bovini affetti da BSE 4. Microscopia elettronica Mette in evidenza le fibrille associate alla BSE, l’equivalente bovino delle SAF (Scrapie Associated Fibrils). Le fibrille sono composte di PrPsc e vengono estratte dal tessuto nervoso fresco o fissato in formalina (la porzione ottimale per il prelievo è costituita dall’obex) con l’utilizzo di un trattamento di omogenizzazione, centrifugazioni differenziali e di digestione con proteinasi K e colorate con acido fosfotungstico. L’osservazione al microscopio elettronico permette di evidenziare fibrille con struttura ad elica semplice o doppia di 100-500 nm di lunghezza (Bozzetta e coll., 2000). _______________________________________________________________________________________ 95 MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001 CAPITOLO 2 ___________________________________________ EZIOLOGIA, PATOGENESI E DIAGNOSI Metodiche utilizzate per la caratterizzazione dei ceppi Un altro metodo diagnostico è rappresentato dalla trasmissione al topo, intracerebrale e intraperitoneale, che è caratterizzata da elevata sensibilità ma richiede tempi lunghi, incompatibili con una diagnosi di routine. Tale metodica viene utilizzata per determinare il grado di infettività dei tessuti e per lo studio dei ceppi. I differenti ceppi di agente delle TSE differiscono tra loro per una serie di caratteristiche peculiari riconducibili al decorso clinico, al periodo di incubazione, ai reperti neuropatologici, all’immunolocalizzazione della PrPsc, nonché al profilo immunobiochimico (“glycotyping”). Su questi principi si è dimostrato che il ceppo della BSE è lo stesso di quello responsabile della nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (vCJB). 96 _______________________________________________________________________________________ MEDICINA VETERINARIA PREVENTIVA – Speciale 2001