Estratto i lineamenti essenziali del vuoto

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Estratto i lineamenti essenziali del vuoto
ISBN: 978-88-99500-03-0
© 2015 Les Flaneurs Edizioni
di Alessio Rega - Bari
www.lesflaneursedizioni.it
[email protected]
Copertina di Michele Fanelli
Finito di stampare ad agosto 2015
presso PressUp Srl - Roma
per conto di Les Flaneurs Edizioni
Vito Ricchiuto
I LINEAMENTI
ESSENZIALI
DEL VUOTO
MATTINO
Les Flaneurs Edizioni
Premessa
Ogni adulto porta con sé l’ombra dell’adolescente che è stato. Inutile negarlo o fingere che il tempo abbia cancellato ogni
traccia: ciò che siamo stati resta con noi, si fa humus dal quale
sorgerà l’Io che diventeremo. Così questo libro, con i suoi banchi di scuola in copertina, ci riporta alla memoria l’odore della
polvere di gesso, l’ansia delle interrogazioni, tutti quei manuali
dal titolo “Lineamenti essenziali di…”. Da qui il titolo di questo
prosimetro, abile ed esperta commistione di prosa e versi. L’autore intende tracciare linee secche, precise, minimali, che diano al
lettore la possibilità di ricostruire la propria giovinezza, il ricordo
di ciò che è stato.
Si parte da una giornata di scuola qualunque: le interrogazioni,
il passaggio in moto, il vento, la band, le sigarette, il bel fisico
di una compagna di classe neanche troppo simpatica. La penna
arguta di Vito Ricchiuto è un pennino per graffiti: distrugge la patina colorata della quotidianità adolescenziale per scavare a fondo
e portare alla luce il disegno sepolto dal colore o, come spesso
accade, il vuoto al di sotto della maschera.
Questo libro è innanzitutto una prospettiva, uno sguardo: quello di un giovane studente che non si accontenta di vedere, ma
guarda in profondità ponendosi quesiti, interrogandosi, ricercando. Qui vengono in aiuto la filosofia, la scienza, la storia, tutto ciò
che fa parte del bagaglio culturale della voce narrante e che di5
venta strumento di ricerca approfondita nei meandri della realtà.
Talvolta il narratore potrebbe sembrare inaffidabile o si potrebbe
credere che le sue scelte linguistiche siano discutibili ma, in realtà, il tutto appartiene al quadro generale, alla prospettiva stessa
della voce narrante.
Attraverso prosa, poesia, versi di canzoni e costrutti che richiamano l’ardito stile ciceroniano, l’autore espone i suoi “lineamenti
essenziali” con occhio critico e calviniana leggerezza, raccontando un semplice “mattino”, e il tutto e il niente che si scontrano
dentro una parola così piccola.
BIANCA RITA CATALDI
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Okay, perfetto, ora ci siamo. Allora… devo comunicare! Semplicemente, ne sento l’esigenza; il bisogno fisiologico, diciamo.
Maledizione: lo insegnano a scuola, come si comunica! È una
delle basi dello studio, è il principio delle società! E allora perché
non trovo una cazzo di persona disposta ad ascoltarmi, a dedicarmi pochi minuti della sua miserevole vita? Mondo egoista!
Devo riconoscerlo: non credevo che tale bisogno, di comunicare intendo, si potesse effettivamente percepire a livelli tanto
alti; un tempo, l’avrei segregato, per utilità, alla comunissima e
fastidiosa richiesta di farsi passare il sale mentre si sta a tavola…
quella maledetta saliera è sempre troppo distante per le braccia
di chiunque! Okay, ammetto l’errore, tutti errano, errare humanum est, no? Ma ora devo soddisfare pur con qualcuno questa
esigenza, questa carnale necessità primaria! Lo devo fare ai fini di
questioni psicologiche importantissime, direi fondamentali, per il
corretto sostentamento nonché sopravvivenza della mia mente.
Dunque, l’importante è mantenersi lucidi! Per essere chiari, mi
ritrovo chiuso in uno sporco bagno al terzo piano della mia scuola. Il cesso emana un acre odore di piscio, e le mie inspirazioni
forzate fanno eco rimbalzando di piastrella in piastrella. È l’ora
di geografia, il momento ideale per prendersi una pausa e respira9
re… non troppo però, data l’indicibile puzza della location. Sono
passate due ore scolastiche, ma a pelle le comparerei a cinque
cicli lunari… fino a ora sono stato costretto a subire alcuni dei
più infimi e eclatanti degli shock! Da centottanta, interminabili,
minuti, sto tentando, invano, di creare quel così intenso legame
che sia studiosi sia trogloditi chiamano “comunicare” (forse i trogloditi lo definirebbero “dire”). Ma armarsi di tanta (tanta e tanta)
buona volontà non basta, perché gli altri non ne hanno altrettanta
di ascoltare! Alla fin fine, evidentemente, di tutti i discorsi che si
sentono pronunciare ogni giorno, quanti si percepiscono davvero?
Che riflessioni! Sarà frutto del capogiro dovuto al pessimo odore. Comunque, non divaghiamo… finora ho fallito in quest’impresa apparentemente poco ardua. Diamine, con i professori che
interrompono sempre, non c’è da sorprendersi! E quindi, eccomi
qui, in un bagno; il mio scopo: usare questo minuscolo block notes
dalla travagliata storia (poi racconterò) e questa penna very black,
colore della notte, per scrivere quella che è la mia esperienza. In
questo modo, comunicherò lo stesso con chiunque sarà davvero
interessato, anche se dubito leggermente che ci sarà qualcuno.
Mmm, cappero! Non riesco a decidere che titolo assegnare a
questa mia, definiamola così, opera; non è detto che tutte le opere
dell’universo debbano possedere per forza un titolo, ma se questo
è presente, tanto meglio. Ogni elemento incastonato casualmente
nello spazio e nel tempo ha, a ben vedere, diritto a una parola, a
un’espressione, una frase, per essere riconosciuto e identificato
subito. Ma non posso spendere tutto il limitato tempo a mia disposizione per scegliere il nome di questi fogli ancora bianchi.
Mmm… se qualcuno vorrà abbinare il mio testo a un significante, preferibilmente migliore e più comodo di “opera senza nome
di un perfetto sconosciuto”, lo chiamerà semplicemente “sfogo”,
o magari “impressioni di un ragazzo più o meno ganzo su uno
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schifo di società corrotta e violenta che lo attanaglia e lo cattura
nelle sue intricate ragnatele rendendogli la vita se non impossibile
almeno alquanto difficile”.
…
Meglio “sfogo”.
Che idiota! Ecco il nome più idoneo: “sfogo” mi piace. Ora,
penso proprio che sia necessario ricominciare daccapo…
“SFOGO”
Ho creduto fosse saggio e intelligente e brillante inserire delle
virgolette per sottolineare l’amara ironia, il nonsense nascosti dietro questi poveri appunti… nonché quanto non sia biblica la mia
modestia, che osa dare addirittura un titolo a uno scarabocchio
del genere. Ma l’essenziale, il mio obiettivo, come si è già detto,
è comunicare (sto ripetendo troppe volte il lemma comunicare, è
dannoso per l’agilità del testo!). Certamente questo titolo è emblematico della sofferenza, della voglia di evadere, del nero sarcasmo che illumina il mio cervello sedicenne. Però, riflettendoci,
“sfogo” è troppo generico: non ho mai conosciuto alcun uomo,
anche completamente diverso da me per carattere e situazione
e esperienza, che non provasse una quasi irrefrenabile voglia di
sfogarsi. Questo titolo può direzionare, ma contemporaneamente
fuorviare i lettori (lasciamo perdere, mi assecondo da solo) per
l’immenso insieme di argomenti che può includere. Quel che servirebbe è un occhiello, un catenaccio, un sottotitolo insomma. Lo
devo aggiungere assolutamente!
Ricominciamo, nuovamente, daccapo.
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“SFOGO” ovvero
Impressioni di un ragazzo più o meno ganzo su uno schifo di
società corrotta e violenta che lo attanaglia e lo cattura nelle
sue intricate ragnatele rendendogli la vita se non impossibile
almeno alquanto difficile
Ho sentito dire che, molte volte, il titolo viene assegnato dopo
la composizione dell’opera, perché venga suggerito meglio da
frasi o situazioni non vaghe ma già sancite con l’inchiostro. Poco
male, perché i temi su cui andrò a calcare la biro non credo saranno poi così tanti. Più o meno, so già cosa andrò a descrivere. Sono
contento di aver concluso questa prima, importante fase.
Io sono un uomo all’antica, userò gli schemi classici. Allora,
secondo gli schemi classici, arrivati a questo punto si procede
con la descrizione del protagonista, che sarei io. Quindi dovrei
presentarmi e, perché no, non disdegnarmi di mostrare un breve riassunto della mia vita da quando sono stato concepito fino
alla situazione in cui campo adesso. Situazione un po’ di merda,
aggiungerei, anche se non poi così tanto: blaterare nel miglior
modo possibile pagine che probabilmente finiranno annegate nello sciacquone. Ma non lo farò, non ora almeno. Il mio curriculum
vitae è da evitare per due fin troppo sciocche motivazioni. Prima
cosa: la mia vita fino a qui è stata normale, banale, monotona,
forse noiosa anche. Il secondo motivo è richiamato dal primo: la
mia vita è perfetto stereotipo di tutte le comuni vicissitudini che
capitano a un ragazzo italiano nella media; non solo non interessa
a nessuno, ma può anche essere immaginata facilmente con un
rapido flashback della propria prima e seconda infanzia. Trovo
comunque adatta una caratterizzazione fisica e psicologica di me
stesso. Nessun problema: solo, l’affronterò più tardi, dato che
adesso ho altre priorità. Conoscendomi, ci si può aspettare questa
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fantomatica presentazione tra qualche pagina, o forse al centro
del block notes, o forse alla fine…
Vorrei precisare che non ho intenzione alcuna di scrivere un
diario. Ho sempre odiato dover credere che un cumulo di pagine vuote è l’unica cosa o persona abbastanza amica e fidata da
permettere la condivisione dei propri segreti. E aggiungo che secondo me, al contrario di quanto si crede, è falsa l’affermazione
“il diario ti ascolta pazientemente”. Sono sicuro che, se ne avesse
capacità, sputerebbe addosso al proprio scriba, stanco di sorbirsi
tutte le baggianate che passano per la mente di un emerito signor
nessuno. E inoltre desidero precisare che non sa tenere i segreti, pronto com’è a spifferarli al primo che, armato di stupidità,
lo prenda, lo apra e si frantumi di curiosità per leggerlo. Il mio
scopo, poi, non dimentichiamo, è l’esatto contrario: non voglio
custodire segreti, ma anzi enunciarli a quanta più gente possibile.
Pertanto, consiglierei vivamente di non aspettarsi formule fritte e
rifritte come “caro diario” o “oggi lei mi ha guardato” o “la mia
vita fa schifo e me ne voglio andare”, dato che questo è solo e
puramente uno sfogo. E io sono troppo poco scemo per scrivere
cose del genere!
Messi in chiaro questi principi fondamentali, posso cominciare. Di solito si aspetta l’ispirazione per scrivere. Vorrei poter
imitare i grandi scrittori del passato, ma non voglio peccare di
presunzione.
Cazzo… sono arrivato fino a questo punto e scopro come tutti
i pensieri che avevo in mente si siano irrimediabilmente confusi, aggrovigliati in un gomitolo di neuroni pulsanti. Nell’attesa
di ritrovare un buon metodo di narrazione, tento di intrattenere
l’ipotetico lettore con una descrizione dell’ambiente in cui sono
costretto a “capolavorare”. Probabilmente, anche i grandi scrittori
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avrebbero fatto così. Non mancherò di chiedere alla professoressa
di italiano. Okay, ci sono: inebriamoci di tecnica!
Il bagno è anticipato da una via scavata nel muro costituita
da mattonelle candide e lucidissime, tanto da potercisi specchiare senza grossi problemi. Poi spuntano improvvisamente, come
funghi scrostati, tre lavandini sulla sinistra, a uguale distanza,
metro più metro meno, l’uno dall’altro. La loro peculiarità è la
mancanza di manovelle per l’acqua calda. Sulla destra, di fronte
ai lavandini, tre porte, ognuna delle quali dà a un cesso. Le porte sono verdi e bianche, in pura plastica cinese, sorrette, non ho
ancora capito come, da metri e metri di nastro adesivo. La porta
centrale ha subìto un calcio da qualche bulletto e presenta quindi un enorme foro riparato alla men peggio con cumuli di carta
igienica. Il risultato può essere immaginato con questa metafora:
un Kilimangiaro innevato mezzo sprofondato in una Rift Valley
di merda. Alla vista di chi arriva, si presenta una larga finestra
che arriva al soffitto e scende un po’ di qualche metro, con i vetri opachi. Uno splendente effetto texture domina allora le mattonelle, illuminando naturalmente il luogo e mettendo in risalto
macchie di origine sconosciuta, nonché orme di calcare, piccole
città di ruggine e scritte a pennarello nero. Una serie di scarafaggi
dipinti dalle muffe cavalcano i muri fino al soffitto, attirati dai
raggi di luce. Varie chiazze marroni, simil leopardo, abbelliscono
il paesaggio del servizio igienico, traforandolo come una fetta di
groviera. Io siedo nel primo cesso a sinistra, davanti alla seguente
scritta “Lo disse Platone, lo ribadì Catilina, che dopo il pisciatone
ci vuole la scrollatina”. Un modico sorriso flemmatico è l’unico
effetto che questa frase provoca in me, seguito dall’abbassamento
degli occhi e lo scrutare profondo del nulla. Assorbo un po’ di
ossigeno, e me ne pento amaramente.
Ancora nessuna idea.
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Ora che lo noto, ho già consumato sette pagine del mio taccuino, sette pagine buttate in miriadi di caratteri che ancora non comunicano assolutamente nulla. E il disagio che mi porta in questa
situazione non ha ancora trovato valvola di sfogo.
Oggi è giornata di pioggia. Sento lo scrosciare di mille microscopiche cascate… Provo a immedesimarmi nello scivolare spietato delle gocce verso il freddo terreno… Compenso la mancanza
della sfera sensoriale visiva sognando un arcobaleno…
Come ho fatto a scrivere una roba del genere? Figo! Un tempo,
certi concetti non sarebbero mai nati dalla mia testa né tanto meno
dalla mia mano.
Mancano ancora molte pagine alla fine del block notes, ma
pochi schizzi alla fine della penna. Si sta esaurendo…
Che culo! Ho trovato un’altra penna in tasca! Deve essere quella che ho fregato a Gianpaolo l’altro giorno. Va beh, continuiamo!
Ah, che tristezza… ho troppe vicende da raccontare e non
riesco a compiere altra attività produttiva che stare così fermo a
elaborare stupidaggini. Mmm… La verità vera è che per quanto
mi sforzo di fingere, non riesco a illudermi: so benissimo che non
infrangerò questo isolamento psicologico, che questi fogli con
tutte le loro parole sono destinate a morire, come questi umili
fottuti utensili. A pensarci, che situazione imbarazzante: io scrivo
per me stesso, tipo la terapia di Zeno (diretta citazione letteraria,
arricchirà il complesso!), ma nello stesso tempo non otterrei alcun
beneficio se queste pagine restassero a me. E va bene, mi sforzerò,
racconterò di amori, tradimenti, litigi, passioni, stenderò aneddoti
e parabole così interessanti che le persone mi pagheranno per
leggerle, darò un contributo alla storia della letteratura mondiale!
Comunicherò finalmente, sì, e gli altri mi ringrazieranno pure!
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Comunicherò! Comunicherò!
…
È suonata la campanella, devo tornare in classe… che palle!
Un indistinto stridore sta invadendo i gradini, i corridoi e i più
minuscoli anfratti. Immagino già il prof bofonchiare incazzato
per poi urlare con la sua voce rauca e fangosa il mio nome! Okay,
almeno non posso dire di non averci provato. Tuttavia, mi dispiace veramente deludere l’ipotetico lettore, sarà rimasto insoddisfatto, confuso, inorridito da queste mie inette confessioni. E non
avrebbe tutti i torti… Quanto mi odio!
Ripesandoci: chi se ne frega? Di tempo ne ho da dispensare. E
tra un po’ arriverà pure l’ora di religione; sì, penso che finalmente
ho trovato qualcosa di più utile che sentire la prof che propaganda
Dio con le grida e con il tedio.
Rileggo il lavoro compiuto fino adesso, dato che sto per cominciare sul serio. Devo compiacermi, si è creata una certa suspence! Ma mi sono accorto anche di aver commesso un errore:
ho sbagliato ad assegnare il titolo! “Sfogo” non c’entra niente con
questi percorsi sfocati. Necessito di un’ultima modifica. Dopo
aver attentamente controllato e valutato gli argomenti, il nome
ideale è, senza bisogno di superflue spiegazioni:
I LINEAMENTI
ESSENZIALI
DEL VUOTO
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A MISERY LAST BEACH
Con gli impianti eolici che l’uomo reca
tra le valli, la sublime natura
essendo stressata (è sotto ipoteca)
sembra concedersi un’agopuntura;
all’uomo anche spetta una sorte bieca:
ha agitati l’animo e la cultura,
e quest’ansia, lo schifo, tutto il giorno
li esprime ogni cosa che mi sta intorno.
Occorre allora errare sollevato
sul suolo da centimetri di ovatta,
vagabondare, con vista e palato
e naso e udito, per insight esatta,
per poi così ogni empirico dato
studiare, l’emotività intatta,
pur vivendo immerso costantemente
nell’enorme acquosa massa di gente...
di gioia infatti non mi fa saltare
l’impero “paranoia della crisi”,
non cederei il pensiero per comprare
delle onde radio a forma di sorrisi;
ma poiché mi disseto da tal mare
per avere dei punti condivisi,
razionalmente alzo entrambe le braccia:
narrerò affinché il mio ingegno non taccia!
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TRAMONTO
Increspature di cianfrusaglia siderale
giganteggiano violacee in un mare
di gioielli battezzati dai tanti barlumi
di cemento armato e vetri socchiusi.
Un’immensa estate riversa nella foresta
di condomini, farfalle di mesta
malinconia librata dai soffi del sole:
note di fanfare multicolore.
Musica di addii sussurrante,
girasole di sfumature, di ombre, di luci;
assembramento cromatico, selva
aurea, arcana, che quasi incute timore.
LE CHIMERE E LE FARFALLE
Adagiato agli infissi di un manicomio trapunto
da alati ditirambi, simili a fuochi con scie
fiammeggianti di quintessenza, un’immaginifica
radiografia traggo sublunare da tal peyote:
I ask myself why it’s always the same,
torn system by coloured sweetmeat paper,
and I feel a bit confused today
that I have realized too later…
Si propaga l’opalescente incanto, da cui è munto
semiilluso equilibrio di impalcature e follie
sorellastre, mentre l’ex-profeta ratio mistica
il Firmamento encomia come un morente coyote:
choosing my soul or forces of fate
I camouflage in a desert of water,
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my waste drops that I don’t manage to say
thinking and doing such as a sleepy soldier!
Ora nel mio ego c’è un black-out
I attempted to keep control but I fall
oscurato ogni simulacro
when signs inside say I’m only a wrong
non riconosco più le plastiche
that I’m not strong, I’m not the strongest at all
non riconosco più i metalli
I’m a coyote far from his sun and his war
né più gli esseri di carbonio
but I equally howl to misure this land
c’è qualche dio? qualche demonio?
and donate to these dreadful views an end.
Ma non mi ero mai accorto delle stelle…
Ma non mi ero mai accorto delle stelle…
Ma non mi ero mai accorto delle stelle!
Il caso cetra mi ha prescelto;
strimpella coi polpastrelli nodosi
del magro encefalo
i miei tesi neuroni,
scendono le note prodotte
nella pancia, dai molteplici timbri,
sgradevolmente
si dilatano in ritmi
sobbalzando sui bulbi, mentre
fondano radici fino ai polmoni,
si nutrono delle mie secrezioni,
assimilano reagenti e reazioni,
inerti crescono
e germogliano in fiori,
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a dirla tutta malvagi fiori
dentro un rigoglio di vortici e polline
zona lontana,
serra malsana,
maglia di lana
per un recondito ordine,
esistono infatti invisibili
organi, dalla vitale importanza,
delle membra composti flebili
come i respiri
e talmente sono sensibili
che decedono a oltranza;
ma passato un certo periodo
le piante cominciano a divorare
le mie interiora
arrecando gran male,
discendere quindi mi tocca,
(attento a non perire, dissanguato,
ferito a morte
da un petalo affilato)
e estirparle a nude mani
o ancora meglio blindato d’inchiostro,
getti di carta,
con la penna che svelle come un rostro
e inetta sarta
rammenda le viscere reduci
sbrindellate dall’avvenente mostro
(spero riparta
l’intestino sconvolto…);
ma sul palmo ora ho il simbionte
zuppo, lo innalzo, partono grandiosi
dalla corolla
pirotecnici fuochi,
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di verde codice binario
rivi sfolgoranti, audiovisivo
deflagra dall’ermo sudario
un aggregato
di pixel, e stupito
ricerco nel modo più vario
di acchiapparlo col dito
telegrafo impazzito
sulla tastiera, assieme al motivo!
S
O
S
S
O
S
S.
“Sono un bravo ragazzo!”
“Non ho ucciso mai nessuno!”
O.
“Io non volevo, non capisco!”
“Un vero uomo sa chiedere perdono!”
S.
S.
“Sono un bravo ragazzo!”
“Non ho ucciso mai nessuno!”
O.
“Io non volevo, non capisco!”
“Un vero uomo sa chiedere perdono!”
S.
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“Giuro, non sono pazzo!”
S.
“Di aiuti non ne ho negato uno!”
O.
“Riprovo sempre se fallisco!”
S.
“Non bisogna concedersi un abbandono!”
S
O
Simboli... simboli simboli simboli,
per l’arte e la bellezza minimi oboli.
Un’esalazione (ego e mania)
persa in gocce notturne e ottici soffi
zigzaga a screzi di filosofia
incontro a tipi selvatici e goffi;
un annientamento che avviene interno
ben la ricollega all’immensità:
tramite “me” comunica l’eterno,
tramite “me” parla la realtà!
Per la bellezza e l’arte minimi oboli,
simboli, simboli, simboli, simboli…
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