La mia Tesi su ” La fidelizzazione del cliente risparmiatore

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La mia Tesi su ” La fidelizzazione del cliente risparmiatore
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
DI MODENA E REGGIO EMILIA
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E
DELL’ECONOMIA
Corso di Laurea in Comunicazione e Marketing
LA FIDELIZZAZIONE DEL CLIENTE RISPARMIATORE
EVOLUZIONE DELLA CONSULENZA FINANZIARIA PROFESSIONALE
Relatore
Prof. Giovanna Galli
Laureando
Dario Cambi
Anno Accademico 2005-2006
INDICE
Introduzione………………………………………………………………..
4
Capitolo 1.
Da promotore a private banker. Un ruolo in evoluzione……………….
10
1.1 Il mercato e la nascita dei promotori finanziari……………………………. 10
1.2 Il marketing nella fase pionieristica della vendita dei prodotti finanziari….
13
1.3 La professione del promotore finanziario partner della banca……………..
L’ampliamento dell’offerta e la sua qualificazione.
17
1.4 Il caso Banca Fideuram: una leadership nel settore……………………….. 23
Capitolo 2
L’ era della complessità………………………………………………………..
31
2.1 Il “boom”dei mercati e la crisi storica d’inizio 2000.
Conseguenze nel rapporto di fiducia tra clienti e sistema bancario………..
31
2.2 Il cliente “al centro”. Segmentazione del portafoglio basata
sulla tipologia dei benefici ricercati e sulla qualità della relazione………..
36
2.3 Un modello di marketing individuale. L’analisi dei bisogni attraverso il
ciclo di vita del risparmio………………………………………………….
46
2.4 Il marketing del promotore finanziario. Diagnosi e pianificazione
del portafoglio clienti con l’obiettivo della redditività di lungo periodo…..
51
2.5 Dal private banking al wealth management, verso la “consulenza oggettiva” 60
2
Capitolo 3.
Un marketing innovativo della consulenza finanziaria ……………………
74
3.1 Customer satisfaction e customer loyalty:
verso la fidelizzazione del cliente risparmiatore………………………….. 74
3.2 Il marketing relazionale e la partnership fra consulente e cliente………...
83
3.3 Un nuovo paradigma. Il marketing dell’etica……………………………..
89
3.4 Oltre la fidelizzazione……………………………………………………..
98
Conclusioni…………………………………………………………………… 107
Bibliografia…………………………………………………………………… 109
3
INTRODUZIONE
La storia del mercato finanziario in Italia ha incontrato, nel corso degli
ultimi venti anni, profonde trasformazioni, frutto di fenomeni interni ed
esterni di portata rivoluzionaria .
Il passaggio delle risorse del
risparmio dai tradizionali libretti e depositi di c/c bancario e postale
verso i titoli di stato prima e, progressivamente, dalla metà degli anni
’80, verso forme innovative di risparmio gestito e previdenziale (fondi
comuni d’investimento, polizze vita di rendita e capitalizzazione,
gestioni patrimoniali), ha introdotto nuove figure professionali ed ha
cambiato
radicalmente
il
rapporto
fra
cliente-risparmiatore
e
intermediario finanziario, fino ad allora basato sul ruolo consolidato e
di “aspetto” degli Istituti Bancari tradizionali.
In particolare le macro tendenze economico-finanziarie possono essere
di seguito così sintetizzate:
- la disintermediazione del risparmio allocato dai depositi verso i titoli
di stato, in coincidenza con il periodo più buio del deficit pubblico dello
Stato ( inizi anni ’80), per la loro capacità di fornire tassi di rendimento
molto alti a fronte peraltro di un altissimo tasso d’inflazione. Si
assisteva, pertanto, al triste fenomeno (tutto italiano) della nuova
ricchezza finanziaria proveniente dalle rendite degli interessi, che in
realtà nascondeva tassi reali bassissimi, se non negativi, e provocava
parallelamente una corsa ai consumi drogata, contrassegnando nello
stesso tempo un periodo di alti deficit dei bilanci pubblici di cui ancora
oggi paghiamo le conseguenze.
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- il successivo e salutare forte calo dei rendimenti dei titoli di stato
(dopo la drammatica crisi finanziaria del 1992), che ha eliminato la
possibilità per il risparmiatore di fruire di facili rendite “garantite”. In
un primo momento questo fenomeno ha indotto i risparmiatori ad
avvicinarsi rapidamente a strumenti finanziari a più alto contenuto di
rischio (azioni, fondi comuni d’investimento ecc.) rimanendo, però, in
seguito, per lo più delusi per i tracolli finanziari che hanno
caratterizzato il mercato obbligazionario nel 1999 e quello azionario
negli anni 2000-2002;
- l’aumento dell’instabilità dei mercati finanziari ed il downgrading
delle attese sui rendimenti medi degli investimenti;
- la revisione dello stato assistenziale e dei sistemi pensionistici (in
Italia ed altrove) che sta costringendo i risparmiatori a pensare di
destinare una parte del risparmio verso forme di previdenza
complementare ( polizze vita, fondi pensione);
- una progressiva crescita dell’informazione a tutti i livelli che ha
permesso al cliente-risparmiatore di formarsi un quadro di cultura
finanziaria sempre crescente e, attraverso lo sviluppo d’Internet, la
creazione di un nuovo e diffuso canale di distribuzione dei servizi
finanziari on line, fenomeno questo che contribuirà a cambiare in modo
profondo l’intero sistema finanziario.
In questo contesto la nascita della figura del Promotore Finanziario,
istituzionalizzata con la Legge 1/91, ha introdotto un elemento di novità
nel panorama italiano (mentre nei Paesi anglosassoni questo era già
realtà da diversi anni) venendo incontro soprattutto ad un accresciuto
bisogno del risparmiatore di meglio orientare le proprie scelte di
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investimento, di fruire di un servizio di consulenza volto a far luce sulla
complessità dei mercati dopo i rapidi e frequenti sconvolgimenti in atto.
Naturalmente la figura del P.F. non nasceva dal niente, ma prendeva
spunto dalle esperienze, già in atto nel nostro paese, di un certo tipo di
collocamento dei servizi finanziari fuori dal ristretto ambito bancario.
N’erano un esempio pionieristico il collocamento dei primi fondi
comuni d’investimento di diritto lussemburghese ( FonditaliaInterfund) e dei successivi primi fondi di diritto italiano (ImicapitalImirend) fatto dall’allora società leader del Gruppo I.M.I nel settore
(Fideuram) e da altri strumenti analoghi collocati dai gruppi Monte dei
Paschi di Siena e RAS, così come da altre numerose esperienze
successive.
Nell’ottica di estendere il collocamento dei prodotti finanziari
attraverso l’uso di tecniche di vendita molto incisive, di emanazione
anglosassone, si sono distinte poi le Banche e tutte le S.I.M. (società di
intermediazione mobiliare) di emanazione bancaria createsi negli anni
’90, il cui sviluppo ha coinciso peraltro con la forte crescita del
risparmio gestito in Italia e con significative performance reddituali
degli Istituti Bancari.
I fenomeni macro economici suddetti hanno poi, nel corso degli ultimi
anni, provocato una crescita della “complessità” nella gestione delle
risorse finanziarie, ma anche e soprattutto nella domanda di servizi di
consulenza da parte dei clienti risparmiatori, spesso vittime della scarsa
attenzione delle banche e di alcuni P.F. verso una giusta asset
allocation dei risparmi loro affidati nonchè di un’inadeguata analisi
della propensione al rischio dei clienti stessi, ma bensì verso una logica
commerciale non più legata alla vendita dei prodotti finanziari, ma
piuttosto volta a capire le vere esigenze derivanti dal ciclo di vita del
risparmio delle famiglie.
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Fenomeni definiti di “risparmio tradito”, coincidenti con crack
finanziari nazionali ed internazionali ( Enron, Argentina, Cirio,
Parmalat ecc. ) hanno poi completato l’opera di sfiducia già alimentata
dalla stampa e dall’informazione verso il sistema bancario, dando luogo
a fenomeni di disaffezione nel sistema tout court e di chiusura di una
buona parte delle famiglie verso gli operatori tradizionali, fino a
favorire fenomeni d’ulteriore allargamento dell’offerta di natura
transattiva (Banco-Posta) .
Da queste considerazioni e dall’analisi della professione del Promotore
Finanziario, questo lavoro tenta di descrivere l’impresa alle prese con il
marketing interno, con il rapporto che generalmente la lega ad una
Banca, con la quale ha un tipo di partnership particolare, attraverso il
passaggio dalla “vendita di prodotto” degli anni 80-90 verso un
progressiva relationship con il cliente. Quest’ultimo si pone sempre più
al centro dell’interesse e del “marketing di contatto”che il P.F. deve
mettere in atto, resosi necessario da un’accresciuta concorrenzialità nel
settore. Si tenterà quindi di analizzare quali sono gli strumenti per
sviluppare una vera fidelizzazione del cliente risparmiatore, che ha
magari già scelto uno o più servizi finanziari, ma che è sempre più
attratto dalle “sirene” del mercato.
La “Relazione” quindi, come soluzione verso la fiducia e verso la
“retention”, passando per una prospettiva di qualità totale del servizio
in tutte le sue componenti, tale da ottenere la customer satisfaction..
Spazio quindi per un nuovo modo di comunicare il servizio al cliente,
per renderlo partecipe attivo delle scelte di investimento, della miglior
composizione personalizzata dello stesso servizio, per offrire quella
relazione che spesso tuttora è carente nel rapporto fra Banca/Promotore
e cliente risparmiatore. Questo attraverso un impiego strategico del
S.I.M (sistema informativo di marketing), un ruolo attivo e sempre più
decisivo della Banca partner nel fornire strumenti tecnici, logistica,
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supporto formativo e gestionale adeguati, un importante ruolo del
personale di contatto adeguatamente formato e reso pienamente
partecipe del progetto di fidelizzazione.
Nel frattempo il P.F. si sta avviando verso l’ulteriore fase di sviluppo
della sua professione, la “consulenza oggettiva”; dovrà definire scelte
di marketing adeguate al contesto di riferimento specifico di ogni
impresa ( non tutte le aree presentano medesime risorse e medesimo
livello di cultura finanziaria, ogni cliente presenta proprie attitudini
verso un servizio, verso l’innovazione, ogni segmento di clientela di un
portafoglio ha necessità di specifiche strategie ); comporta anche di
percepire nuovi paradigmi con i quali affrontare la domanda ed i
bisogni emergenti. Un “marketing dell’etica”, per esempio, può
rappresentare uno dei principali volani con cui si dovrà misurare il
professionista della consulenza finanziaria nel prossimo futuro,
consapevole di incontrare una domanda sempre più esplicita di pulizia e
di trasparenza nel mondo degli affari economico-finanziari.
Un capitolo a parte il lavoro lo dedica ad uno specifico studio sulla
fidelizzazione del portafoglio clienti di un consulente/promotore
finanziario. Un modello teorico, ripreso da studiosi del settore, che si
accosta molto allo specifico marketing di chi oggi, se vuole mantenere
vivo il proprio ruolo nel mercato e assicurarsi un futuro di successo,
non può non considerare. Esso si basa innanzitutto sul concetto di
“disaggregazione bidirezionale della performance, intendendo per tale
un’approfondita analisi sia della performance sul cliente che della
performance del cliente. Questo con l’obiettivo di andare appunto
“oltre la fidelizzazione”, per ottenere una maggior consapevolezza del
proprio potere discrezionale nei suoi confronti e nei confronti della
concorrenza. Capire in sostanza da una parte i veri motivi per i quali il
cliente ci ha scelto come partner consulenziale (fattori chiave
d’acquisto), distinguendoli fra fattori tecnici (il prodotto finanziario), di
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servizio (la consulenza ed il contesto) e personali (il cliente ha scelto
noi come persona per la relazione che abbiamo saputo creare); dall’altra
esaminare il vero valore del cliente attraverso una matrice di
fidelizzazione
che,
aldilà
della
RFA
(ricchezza
finanziaria
amministrata) o del fatturato procurato, focalizzi meglio fattori
prospettici del potenziale di ogni cliente. Tutto quanto al fine di operare
in un Marketing personalizzato e di settore capace di attivare le
strategie di contatto necessarie a valorizzare una relazione duratura nel
tempo e performance reddituali proiettate verso il futuro, al di là di
ogni evento di mercato.
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Capitolo 1
Da promotore a consulente finanziario. Un ruolo che
cambia.
1.1 Il mercato e la nascita dei Promotori Finanziari.
Sono certamente le situazioni interne ed internazionali accennate
nell’introduzione ad aver favorito, agli inizi degli anni ’90, la nascita di
soggetti imprenditoriali come appunto lo sono i Promotori Finanziari. Il
bisogno crescente, da parte dei risparmiatori, di trovare interlocutori
professionali competenti e motivati al punto di informare e contribuire
ad accrescere la cultura finanziaria, di capire le sempre più raffinate
esigenze d’allocazione del risparmio da parte delle famiglie, di
suggerire soluzioni adeguate alle esigenze stesse e soprattutto di
assistere personalmente e con la dovuta discrezionalità i clienti sempre
meno inclini ad accontentarsi dei prodotti bancari generalisti, hanno
progressivamente creato le condizioni per un riconoscimento giuridico
di una nuova categoria di professionisti-imprenditori.
La figura del Promotore Finanziario (P.F.) è stata introdotta nel
sistema finanziario italiano dalla Legge 1/1991, che lo definisce come
l’unico soggetto di cui l’intermediario bancario può avvalersi per
l’offerta dei propri servizi fuori delle proprie sedi. L’esercizio di tale
attività presuppone l’iscrizione ad un Albo Nazionale, previa il
superamento di un esame a cura d’apposite commissioni regionali
tenute presso le Camere di Commercio, di nomina Consob.
Attualmente l’attività del P.F. è disciplinata dal Testo Unico della
Finanza e da una serie di Regolamenti Consob molto precisi, che ne
attuano di fatto un controllo molto severo nel rapporto con la clientela e
negli obblighi di esercizio della stessa attività, pena sospensioni e/o
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radiazione dall’Albo. Ciò ha determinato, nei fatti, un primo grande
cambiamento nelle modalità di collocamento dei prodotti finanziari ,
creando una discontinuità con la precedente attività “porta a porta” di
alcuni venditori specializzati che agivano per conto di società
fiduciarie, in attività dalla metà degli anni ’70. Il legislatore voleva in
sostanza venire incontro alle mutate esigenze del mercato del risparmio,
dettate in primis dalla necessità di evitare esperienze precedenti poco
edificanti come i crack di alcune società finanziarie (Europrogramme,
OTC ecc.), avvenute in Italia a danno di molti risparmiatori per la
mancanza di norme chiare nella sollecitazione del risparmio pubblico e,
in secondo luogo, per seguire l’esperienza positiva del mercato
finanziario statunitense, laddove figure professionali simili ai promotori
finanziari stavano ormai da anni realizzando importanti risultati nella
pianificazione finanziaria delle famiglie.
Dall’introduzione della legge 1/91, buona parte dei gruppi bancari ed
assicurativi italiani hanno creato reti di vendita formate da promotori
finanziari con contratti d’agenzia, attraverso due modalità: costituendo
una S.I.M., quindi un soggetto giuridico a sé, che distribuisce i suoi
servizi esclusivamente attraverso i promotori, oppure creando una rete
interna alla banca (soluzione meno praticata per i problemi di
coordinamento e di concorrenza interna alla banca fra gli sportelli ed i
promotori).
Le finalità perseguite con la scelta di avvalersi anche di questo specifico
canale sono varie e si possono così riassumere:
a) la necessità di sviluppo orizzontale del portafoglio clienti, attraverso
l’acquisizione di nuova clientela, tanto nelle zone tradizionalmente
presidiate quanto in quelle di nuova espansione, nelle quali l’azione di
sviluppo del promotore poteva
efficacemente affiancare e anche
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anticipare, se non addirittura sostituire, la presenza di sportelli della
banca;
b) l’assistenza e la consulenza ai clienti, per consolidarne la fiducia con
un rapporto continuo e realmente personalizzato;
c) lo sviluppo di clientela marginale, ma di alta potenzialità o di
clientela attiva su di una gamma ristretta, ma mirata, con servizi ad alta
redditività;
d) lo sviluppo commerciale di particolari tipologie di prodotto o
particolari segmenti di nicchia del mercato;
e) una strategia di marketing che, sviluppando clientela di target
elevato in un’ottica di personalizzazione del servizio, aumentava le
masse con prodotti prevalentemente di risparmio gestito, in alternativa
ai tradizionali strumenti di deposito e di raccolta in vigore nel decennio
precedente (titoli di stato, certificati di deposito bancari), tipici del
rapporto con gli uffici titoli delle filiali.
Molte delle SIM costituitesi agli inizi degli anni ’90 si sono poi
trasformate in Banche (vedi la fusione di Fideuram SIM con Banca
Manusardi per dar luogo all’attuale Banca Fideuram), grazie all’utilizzo
delle nuove tecnologie, che hanno permesso l’utilizzo dei servizi
bancari anche in assenza di agenzie diffuse su tutto il territorio. Ciò ha
consentito altresì lo sviluppo di sportelli “leggeri” per supportare la rete
dei promotori nella gestione dei conti correnti, dei servizi accessori e
nelle operazioni in titoli. In quest’ottica il mercato si è così ampliato, si
è concentrato intorno alle Reti più importanti, ed oggi più della metà dei
promotori attivi opera per conto delle prime cinque-sei società (Banca
Fideuram, Xelion Banca, Banca Generali, Banca Mediolanum, Azimut,
RasBank).
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1.2
Il marketing nella fase pionieristica della vendita dei
prodotti finanziari.
Prima della nascita della figura del P.F., il mercato finanziario
conosceva, come si è detto, figure di venditori (si definivano allora
impropriamente consulenti finanziari) reclutati per lo più dalle Società
fiduciarie di Istituti Bancari ( Fideuram era la società fiduciaria del
Gruppo IMI già dal 1970 ), allo scopo di collocare esclusivamente
alcuni tipi di prodotti finanziari innovativi che in Italia stavano
entrando,
dopo
alcune
esperienze
di
collocamento
attraverso
multinazionali americane (IOS). I primi fondi comuni erano di diritto
lussemburghese (Fonditalia, Interfund, ISF, Italfortune ecc.), strumenti
collettivi di gestione del risparmio già attivi in Europa e, sull’onda del
successo già avuto da analoghi strumenti negli USA, divenuti attraenti
per i risultati che riuscirono a realizzare in quegli anni.
La logica dei venditori reclutati da queste società pionieristiche
(Fideuram, Dival), era soprattutto quella di collocare quel tipo di
prodotti nella cerchia dei clienti potenziali più evoluti ed informati
(professionisti, lavoratori autonomi ecc.) e soprattutto nelle famiglie
che affidavano loro i risparmi sulla base del prestigio e del carisma del
consulente (spesso uscito dalle Banche per intraprendere quel tipo di
attività in proprio) e quindi in possesso di un bagaglio di fiducia già
acquisito in precedenti rapporti.
Si trattava della vendita di un prodotto finanziario innovativo, quindi,
presentato con brochure e grafici sulle caratteristiche e sui rendimenti
fino ad allora realizzati, ma soprattutto frutto di un impatto nuovo con
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un risparmiatore disinformato, tradizionale, timoroso e nello stesso
tempo sognatore, sospettoso di ogni novità che potesse in qualche modo
mettere a rischio il risparmio faticosamente accumulato, ma attratto da
rendimenti molto interessanti. Di fronte a questo difficile mercato, il
venditore di prodotti finanziari dei primi anni ’80 veniva reclutato e
successivamente addestrato, più che per conoscere il mercato
finanziario e l’offerta esistente dei prodotti bancari e postali, per
attrezzarlo con tecniche di vendita persuasiva particolarmente
aggressive (ad imbuto) che, in ogni caso, presupponevano un duro e
paziente lavoro di contatto con il mercato per ottenere un risultato. Una
palestra importante di vita e di relazioni, una dura selezione fatta dal
mercato, nella quale i più assertivi e professionali (oltrechè onesti)
hanno saputo forgiarsi ed hanno gettato le basi per una dimensione
professionale futura di grande utilità sociale ed economica. Pochi
“consulenti” a quel tempo possedevano uffici propri, le riunioni di
formazione venivano effettuate dai Manager negli alberghi ed il training
consisteva in ripetuti “role playing” per testare il livello di autonomia
del neo-reclutato ad affrontare il potenziale cliente da solo, senza il
supporto del supervisore di gruppo. Si analizzavano in sostanza le
tecniche per la telefonata (con l’unico scopo di avere un appuntamento),
per l’approccio iniziale (tendente a rompere il ghiaccio), per la vendita
dell’intervista (allo scopo di rilevare le principali esigenze del cliente e
la sua posizione finanziaria), per la successiva presentazione del
prodotto (in realtà erano inizialmente uno o due fondi comuni in forma
unica o attraverso Piani d’accumulo mensili) e soprattutto per il
superamento delle obiezioni necessarie per poi concludere la trattativa
con la firma della proposta di investimento. Importantissima in quel
contesto era poi, dopo la conclusione del contratto e l’inizio del
rapporto con il nuovo cliente, la richiesta di altri nominativi (conoscenti
e/o parenti) per alimentare delle referenze attive in grado di agevolare il
compito del consulente nel pianificare il suo lavoro di nuove telefonate
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ed incontri. Una programmazione del lavoro meticolosa, parcellizzata
sugli obiettivi di vendita, verificata attraverso incontri con il
supervisore ed il manager per la trasmissione degli obiettivi ( per lo più
quantitativi) e per la gestione delle motivazioni, sempre essenziali in
quel duro impegno commerciale. I guadagni dei “consulenti” migliori,
in compenso, erano molto buoni ed alimentati da incentivazioni e
contest molto ambiti, frutto di una politica retributiva che, partendo
dalle elevate commissioni di collocamento e d’acquisizione dei clienti,
nei primi anni d’attività non consentivano soste o rallentamenti nel
lavoro, ma bensì un costante sforzo verso il raggiungimento dei sempre
crescenti obiettivi assegnati della società mandante. Solo nel tempo si è
raggiunto un equilibrio fra le provvigioni di acquisizione e quelle di
mantenimento, quando le società presenti sul mercato hanno
incrementato l’offerta e la concorrenza per attirare a sé i migliori
consulenti, dando vita ad un progressivo miglioramento dei margini per
il mantenimento del portafoglio, che così rappresentava il miglior
incentivo verso una vera pratica di assistenza al cliente e di difesa dello
stesso dalla concorrenza del mercato.
Si iniziò a quel punto a parlare di offerta diversificata del consulente,
attraverso l’aggiunta di altri tipi di prodotti (polizze, certificati di
deposito, gestioni patrimoniali personalizzate, prodotto finanziari
atipici), frutto dell’innovazione delle case prodotto e talvolta degli
stessi “consulenti” che sapevano cogliere, attraverso il metodo costante
delle riunioni e laboratori di gruppo, i vantaggi espressi dalla creatività
dai singoli e dal desiderio di emulazione nei confronti dei migliori. Con
questo metodico lavoro individuale e di gruppo all’interno delle Reti di
vendita, si sono andate innovando sempre di più le tecniche di gestione
del cliente e del superamento degli ostacoli posti dai cattivi andamenti
dei mercati azionari e obbligazionari che concorrevano, in certe fasi,
alle cattive performance dei prodotti venduti.
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Una logica di marketing quindi, che passava dall’orientamento al
prodotto all’orientamento alle vendite in uno scenario caratterizzato
inizialmente da una domanda sostenuta con il concorso di una limitata
competizione tra aziende, con prodotti poco numerosi e con lunghi
cicli di vita, sulla selezione dei migliori venditori e sulla psicologia
della vendita (nel quale contesto aziende come Fideuram si sono
conquistate la leadership di importanti nicchie di mercato, fino a
raggiungere risultati di rilievo europeo nella gestione delle masse
finanziarie e nel numero di clienti). Un
mercato che era ancora
sostanzialmente dominato dalla presenza di una pressoché assoluta
inerzia innovativa da parte degli Istituti Bancari tradizionali, i quali,
forti della loro presenza sul territorio, non operavano nessun tipo di
marketing, ma sfruttavano passivamente gli importanti spread che
ancora esistevano fra raccolta ed impieghi finanziari al fine di
presentare bilanci molto ricchi.
L’ambiente in cui, successivamente alla fase dell’orientamento al
prodotto, si sviluppa l’orientamento alle vendite, è contrassegnato da
una sopravvenuta (e via via sempre più intensa) competizione tra
aziende concorrenti. I prodotti ed i servizi messi a disposizione di una
clientela sempre più ampia, hanno cicli di vita più brevi, ma aumentano
nel numero e nel tasso di innovazione. La relazione tra domanda ed
offerta è in tendenziale equilibrio, ragion per cui si diffonde la
convinzione che non basti più semplicemente produrre per vendere e
che, di conseguenza, è necessario stimolare la clientela all’acquisto. Si
passa quindi dalla fase pionieristica della vendita dei prodotti finanziari,
ad una stagione dove le Banche escono dal loro letargo ed entrano in
competizione, spinte anche dai sempre più ridotti margini di
intermediazione e dal calo progressivo dei tassi di interesse per cui, con
i “vituperati” prodotti e servizi di innovazione finanziaria, fino ad allora
territorio esclusivo di poche Reti di consulenti, si avvia la rivoluzione
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del mondo del credito, verso l’offerta di “Risparmio gestito”in
alternativa ai tranquilli ma meno remunerativi Titoli di Stato.
Nascono così, con la Legge n° 1/91, nuove figure di operatori; si parla
da allora di Promotori Finanziari, di S.I.M. e la concorrenza nell’offerta
dei prodotti di risparmio diventa globale ed investe tutte le aziende di
credito,oltre alle più forti Reti di distribuzione sopravvissute alla
selezione del mercato.
1.3
La professione del Promotore finanziario partner della
Banca. L’ampliamento dell’offerta e la sua qualificazione.
Gli anni dopo la crisi del 1992
rappresentano un primo grande
cambiamento nel mondo del risparmio in Italia ed i Promotori finanziari
si avviano a diventare una figura di primo piano nel rapporto con le
sempre maggiori esigenze delle famiglie per la pianificazione del
risparmio. Ai fattori di natura demografica (progressivo invecchiamento
della
popolazione)
si
aggiungono
via
via
fattori
micro
e
macroeconomici (globalizzazione, politiche di rientro dai deficit
pubblici, abbassamento e successiva stabilizzazione dei tassi di
interesse, nascita dell’Euro) e fattori tecnologici (esplosione di internet,
innovazione nei software, infrastrutture tecnologiche); da essi prendono
spunto importanti fattori di cambiamento finanziari (evoluzione del
corporate, volatilità e correlazione dei mercati finanziari, sviluppo
mercati telematici, ingegneria finanziaria, finanza on-line).
Le SIM principali, come detto prima, si trasformarono in Banche-Reti;
alcune delle quali puntarono ad una presenza territoriale di “sportelli
leggeri” che affiancava la Rete dei Promotori fornendo i servizi tipici
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della filiale bancaria, altre puntarono su “banche virtuali”, ed il ruolo
dei P.F. si legò, attraverso mandati d’agenzia con l’azienda bancaria, ad
un tipo particolare di partnership nella quale il Promotore si impegnava
a sviluppare, assistere e presidiare la clientela dei risparmiatori con i
servizi, prodotti e strumenti tecnologici e logistici che l’Azienda
bancaria metteva a sua disposizione. Nascevano così reti d’Agenzie
territoriali ed Uffici di Promotori Finanziari in tutto il paese, ognuno dei
quali era attrezzato con ambienti, dipendenti, tecnologie adatte a
ricevere con la massima discrezionalità i clienti risparmiatori. Le reti di
distribuzione, attraverso le strutture manageriali, avviarono un
aggressivo programma di reclutamento (per lo più orientato a target
medio-alti di operatori degli uffici titoli e dirigenti di filiali del mondo
bancario territoriale) e nel contempo si iniziarono corsi di formazione
sempre più qualificanti (orientati alla professione del P.F, in
preparazione dell’esame Consob per l’iscrizione all’albo, sui prodotti
finanziari e sulle nuove tecniche di pianificazione finanziaria) .
La caratteristica principale di questo tipo nuovo di Partnership, che si
instaurava tra la Banca ed un sempre crescente numero di imprenditoriprofessionisti (in quanto iscritti ad un Albo), era proprio la comunione
di interessi relativa alla gestione della risorsa principale comune, il
cliente risparmiatore. Addirittura il cliente poteva, in un certo qual
modo, far valere il proprio interesse in un’ottica di reciprocità con chi
ne curava i risparmi, in quanto la soddisfazione del cliente stesso
diveniva causa-effetto della redditività del promotore e della stessa
banca, in un ciclo virtuoso che tutelava il risparmiatore, oggetto di
un’attenzione che fino ad allora le tradizionali relazioni con le banche
non avevano potuto produrre. Solo in un’ottica di soddisfazione del
cliente, infatti, si poteva aspirare ad un passaparola favorevole (vero
strumento di marketing per il P.F.) e si poteva di conseguenza ampliare
senza grossi costi di ricerca, il proprio portafoglio clienti. Così in quegli
18
anni si realizzò un’imponente crescita delle masse di risparmio da parte
delle
Banche-Reti
e
la qualità
della
raccolta fu
potenziata
dall’accresciuta offerta di prodotti di risparmio gestito ( fondi comunigestioni patrimoniali- polizze previdenziali- polizze finanziarie) grazie
ad
un’efficace politica di up-selling e di cross-selling operata dai
promotori sui portafogli dei risparmiatori.
Naturalmente vi erano, ed in parte vi sono tuttora, elementi che hanno
riportato invece a conflitti d’interesse fra Banche-Promotori e fra
Banche-Promotori-Clienti.
Mi
riferisco
alle
commissioni
di
Management-fee ( mantenimento del portafoglio) derivanti dalla
retrocessione dalla Banca al P.F., di una percentuale delle commissioni
di gestione che il cliente paga sui prodotti di risparmio gestito, diventate
frutto di controversie e motivo spesso anche di reclutamento
“concorrenziale” di alcune reti nei confronti di altre. Così come motivi
di conflitto d’interesse talvolta sono state le politiche di budget di
alcune Banche-Reti nei confronti dei P.F., ai quali talvolta si è chiesto
di collocare determinati prodotti e la comunicazione si è soffermata su
elementi commerciali poco in linea con i veri interessi dei clienti, e
magari poco lungimiranti anche per gli stessi P.F.
Naturalmente gli elementi di discontinuità e di differenziazione, in
questo contesto, derivano, come in tutti i campi, dai differenti livelli di
professionalità, dall’etica che sovrasta i rapporti fra i tre soggetti
interlocutori e dalla cultura finanziaria con cui i soggetti stessi devono
fare sempre i conti in ogni specifico ambiente territoriale.
La partnership che lo legava alla Banca
non impediva, anzi
valorizzava, la crescita in termini imprenditoriali del Promotore
Finanziario. Attraverso la propria creatività, la propria capacità
organizzativa e di programmazione, questi in generale è riuscito a
sviluppare in quegli anni una crescente redditività media, una maggiore
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stabilità professionale, un prestigio sociale sempre più elevato e
soprattutto oggi si può accreditare come una fra le professioni più
ricercate dai giovani per il futuro.
Quello che caratterizza il cuore della professione, oltre alle necessarie
doti personali di tenacia, assertività, organizzazione e capacità di
relazionarsi, sono le attitudini alla pianificazione. Ciò si ritrova nel
modo stesso di concepire la giornata tipica di lavoro del Promotore,
trascorsa a partire dall’informazione mattutina (rassegne stampa, notizie
specializzate, lettura di giornali finanziari, circolari aziendali), alla
periodica formazione sui prodotti e sulle novità del mercato, alle
telefonate per organizzare gli incontri con i potenziali clienti e con i
clienti in assistenza, alla preparazione meticolosa delle visite attraverso
piani di investimento personalizzati studiati al computer, alle visite a
domicilio o in ufficio a seconda del tipo di cliente, il tutto intervallato
da riunioni periodiche con il manager di rete o di gruppo per analizzare
dati di vendita e novità aziendali da presentare ai clienti.
Pianificazione che si ritrova poi nella logica sostanziale della
professione: quella del MbO ( direzione per obiettivi) che permea tutti i
gradini dell’attività bancaria e del P.F. Una logica che ha dato il senso
alla Struttura di Rete, creata dall’azienda bancaria per coordinare
l’attività di budget ed attuabile solo se la stessa filosofia è fatta propria
dall’ impresa di ogni singolo Promotore Finanziario. In quest’ottica gli
obiettivi, le ambizioni, le motivazioni principali, i successi del P.F.
concorrono al successo di una strategia unica dell’Azienda in tutte le
sue articolazioni di rete. Fondamentali nel fare la differenza quindi, in
positivo o in negativo, saranno tutti gli strumenti gestionali adottati
dalla struttura di rete verso le risorse umane (clienti interni = promotori
e clienti esterni = risparmiatori ) nel realizzare quel clima di comunanza
di obiettivi e di sinergie tipico delle organizzazioni di successo.
20
Pianificazione che, in fondo, rappresenta un po’ il salto di qualità anche
nel rapporto con il cliente di quegli anni ’90, nel momento in cui il
mercato finanziario italiano subiva quei cambiamenti che lo portava ad
avere caratteristiche simili a quelle dei mercati finanziari più evoluti:
bassa inflazione e bassi rendimenti dei titoli di stato. Per l’investitore
italiano era sempre più difficile orientarsi nel panorama globale, senza
seguire un “ metodo” e delle “ regole” che lo potessero guidare
efficacemente nella pianificazione degli investimenti . Le Aziende più
evolute di quegli anni svilupparono per i propri clienti strumenti di
gestione globale e personalizzata (Personal Financial Planning).
Attraverso le linee guida della Teoria del Ciclo di Vita di Modigliani, il
Promotore Finanziario cercava di attuare una Pianificazione Finanziaria
e Previdenziale del nucleo familiare del cliente attraverso le specifiche
esigenze di questi nel tempo, allo scopo di affrontare serenamente gli
eventi con la gestione dei risparmi accumulati o in via di formazione. A
tale fine era importante non solo individuare gli obiettivi che si
desideravano raggiungere nel tempo (educazione scolastica dei figli,
acquisto di una casa, rendita finanziaria, pensione integrativa ecc.), ma
anche definirne il loro ordine d’importanza. Tali obiettivi potevano
essere raggiunti diversificando opportunamente gli investimenti,
partendo dall’assunto che, nel lungo periodo e nei mercati finanziari
evoluti, l’investimento azionario genera crescite reali significative del
capitale, mentre l’investimento obbligazionario ed i titoli di stato
generano prevalentemente interessi che compensano l’erosione del
potere di acquisto. Per poter fare questo il Promotore, una volta
individuati gli obiettivi personalizzati del cliente, doveva valutare se i
capitali ed i flussi di risparmio posseduti avrebbero consentito di
raggiungere gli obiettivi prefissati e proporre eventuali adeguamenti;
oltre a ciò doveva definire globalmente la migliore combinazione di
strumenti da adottare per soddisfare tali esigenze (titoli, gestioni di
fondi, polizze ecc) e definire così la più “efficiente” ripartizione di
21
portafoglio che consentisse, con la maggior probabilità, di raggiungere
gli obiettivi individuati nel tempo dal cliente. Tutto questo,
naturalmente,
tenendo
conto
delle
attitudini
al
rapporto
rischio/rendimento percepito dal cliente. Il metodo poi era completato
con una seria attività di monitoraggio periodico e d’assistenza, al fine di
verificare gli scostamenti e le variazioni soggettive ed oggettive
derivanti da cambiamenti d’esigenze o dall’andamento dei mercati,
cercando di salvaguardare da eventuali congiunture sfavorevoli.
Il Promotore Finanziario, per utilizzare questo metodo, aveva in
dotazione
una work-station integrata (PC, modem, stampante) che
consentiva il collegamento con il data-base della Banca/SIM per
l’aggiornamento automatico dei dati anagrafici, contabili e commerciali
della propria clientela, oltre ai valori dei principali indicatori di
mercato, grazie ad una serie di software sviluppati appositamente
(Sistema Informativo di Marketing). Questo permetteva al P.F. di
pianificare e gestire il portafoglio di ogni cliente e la propria attività
professionale in un’ottica di marketing sulla clientela potenziale ed
acquisita. In particolare il P.F. utilizzava il SIM per:
-
programmare e controllare la propria attività commerciale in
relazione ai propri obiettivi;
-
individuare
opportunità
di
incremento
della
penetrazione
commerciale (cross-selling e up-selling);
-
segmentare la propria clientela;
-
verificare e pianificare il portafoglio del cliente per l’attività di
assistenza;
-
pianificare i contatti e le visite con la clientela
-
produrre grafici e tabelle di supporto all’attività commerciale e di
assistenza.
22
Nella borsa del P.F. non potevano mancare inoltre, come strumenti di
lavoro ordinari, una serie di brochure contenenti:
-
una presentazione sintetica dell’Azienda mandante e della sua
mission;
-
un’illustrazione del metodo adottato per pianificare (P.F.P.);
-
depliants, sotto forma di Kit, riguardanti le caratteristiche dei
principali servizi e prodotti dell’Azienda con relativi supporti di
vendita;
-
analisi dei mercati, delle varie performance della banca e della
concorrenza ed articoli interessanti di riviste specializzate come
supporto alle argomentazioni di vendita;
-
vademecum fiscale recante spiegazioni di natura fiscale sui servizi
finanziari;
-
gli “indirizzi di investimento” forniti dagli Uffici Studi della Banca
per orientarsi sulle scelte di asset class e di asset allocation dei
portafogli dei clienti;
-
un osservatorio sui tassi di interesse con tabelle e grafici sulla
struttura dei tassi a livello mondiale.
1.4
Il caso Banca Fideuram : una leadership nel settore.
Fideuram è stata ed è tuttora la leader del mercato nella promozione e
gestione dei servizi di investimento alla clientela privata. Si può dire
che leader lo è sempre stata, fin da quando, Fiduciaria dell’IMI, per
prima nel 1970 attraverso l’attività di “porta a porta” collocava in Italia
i primi fondi comuni esteri Fonditalia e Interfund; lo era quando nel
1983, dietro anche la sua spinta e collaborazione, nacque la Legge che
in Italia istituì i Fondi Comuni di Investimento; dette il nome all’indice
finanziario di riferimento per i fondi comuni nel Paese; fu artefice del
23
primo “boom” degli investimenti finanziari nelle famiglie (di cui i
Fondi rappresentarono la vera locomotiva) nei successivi anni fino alla
prima crisi finanziaria di Wall Street del 1987; lo è stata poi quando,
nel 1992, interpretando i fondamentali cambiamenti nel contesto
finanziario, decise di trasformarsi nella prima Banca specializzata nel
risparmio delle famiglie, attraverso la fusione con la Banca Manusardi e
quotarsi alla Borsa di Milano. Nel 1996 entrava a far parte del Mib30,
l’elenco delle principali 30 società italiane quotate in borsa per
capitalizzazione; nel 1997 introduceva,
anticipando la concorrenza
bancaria con un buon anticipo, un servizio personalizzato di
pianificazione finanziaria e previdenziale ad elevatissimo contenuto
tecnologico come il “personal financial planning ”, poi divenuto un
elemento di svolta con varie applicazioni nelle società di consulenza
finanziaria.
L’essere costantemente proiettata verso il futuro per anticiparne le
tendenze con una politica di innovazione non solo di prodotto, ma di
metodo e di relazione con il cliente, ha fatto di questa Azienda un punto
di riferimento da sempre per il mercato ed anche per la concorrenza la
quale, a più riprese, ha attinto dai suoi quadri manageriali e dai suoi
quadri di vendita, l’esperienza necessaria per favorire Start Up di nuove
società o per sviluppare progetti di crescita basati sul know-out della
leader.
Banca Fideuram costituisce tuttora un elemento di spinta e di
innovazione per il settore, proiettato sempre verso nuove sfide e
cambiamenti. Oggi la Banca è una Holding di cui fanno parte diverse
società in Italia e all’estero con presenze in Svizzera, Lussemburgo,
Irlanda e Francia relative a settori di Private Banking, Asset
Management e Distribuzione di Servizi retail. All’interno di
quest’ultimo si avvale di due Reti di distribuzione dopo la recente
acquisizione di San Paolo Invest che è andata ad affiancare la già
24
esistente Rete di Banca Fideuram. Dal 2006, dopo la fusione fra le
Società del risparmio gestito e previdenziale nell’ambito della
controllante San Paolo Imi, Banca Fideuram è controllata direttamente
dal Gruppo Eurizon e si appresta a partecipare all’interno dello stesso al
futuro progetto di fusione che costituirà il primo grande gruppo
bancario italiano ed il terzo a livello europeo, fra Banca San Paolo Imi e
Banca Intesa..
La caratteristica peculiare di Banca Fideuram è rimasta fino ad oggi
legata alla sua specializzazione nella produzione e nella gestione di
prodotti finanziari, che vengono distribuiti in esclusiva dai propri P.F.
(definiti Private Banker). Al 31/12/2005 la Società amministrava oltre
64 miliardi di € di attività, comprendenti i prodotti di risparmio gestito
della casa (fondi comuni, GPF, Polizze unit linked, fondi pensione),
certificati di investimento, titoli intermediati sui c/c della banca per
conto dei clienti, oltre ai Premi delle polizze assicurative e previdenziali
emessi dalle società prodotto.
Dal luglio 2004 Banca Fideuram ha ampliato ulteriormente la gamma
dei prodotti offerti ai clienti, mettendo a loro disposizione e
selezionando, con sofisticati software di ricerca, fondi comuni di
investimento delle più importanti case internazionali. La scelta di aprire
al Multibrand come stile di approccio gestionale all’interno dei
portafogli-clienti, ha rappresentato l’ulteriore evoluzione dell’offerta
che, partita appunto dalla vendita di prodotti finanziari generici, si è
sviluppata nel tempo verso gli asset class, la diversificazione per aree
geografiche di investimento, gli strumenti per investimento settoriali, i
fondi di fondi ed i fondi di terzi, guardando così sempre più alla
consulenza globale verso il cliente e meno agli interessi commerciali
stretti delle società prodotto integrate; ciò ha permesso di ulteriormente
diversificare e specializzare la gamma degli strumenti a disposizione
25
del P.F. nella pianificazione finanziaria del cliente e di avviarlo verso
una nuova fase di consulenza.
I clienti della Banca sono oggi circa 700.000, assistiti in esclusiva e con
un rapporto di esclusiva privacy dai 4150 Private Banker, 3111 dei
quali appartenenti alla Rete Fideuram e 1039 alla Rete S.Paolo Invest.
Questo modello di business garantisce flessibilità, rapidità decisionale e
grande capacità di adattamento alle condizioni di mercato che mutano,
anche in maniera radicale, sempre più frequentemente. Tale modello si
struttura su una piattaforma integrata con un governo unitario di
Gruppo, sulle due Reti autonome e distinte di P.B, che ha il compito di
formulare le strategie, allocare le risorse umane e finanziarie per il
perseguimento degli obiettivi ed esercitare i controlli. Dopo che
nell’ultimo biennio la strategia della Banca era stata principalmente
focalizzata, parzialmente a scapito della crescita dimensionale, sul
miglioramento del mix di prodotti e sulla generazione di valore, il 2005
si è presentato nuovamente come un anno di svolta. Con un nuovo
piano di crescita, il rinnovo della squadra manageriale e la collocazione
di Banca Fideuram all’interno del Polo Risparmio e Previdenza
(Eurizon Financial Group) creato dall’azionista di controllo, si è
iniziato a sfruttare appieno il posizionamento della Banca nell’industria
del risparmio gestito, ponendo le basi per una crescita qualitativa
sostenibile nel tempo, affiancata al mantenimento di una redditività
d’eccellenza (l’ultimo bilancio
presenta un ROE semestrale al
36,8% ed un utile netto del primo semestre 2006 di € 123,6 milioni,
con un incremento del +27% sullo scorso anno).
Certi risultati sono frutto anche di importanti sinergie tra il servizio
capillare e personalizzato offerto ai clienti dai suoi P.F,. la presenza sul
territorio di 91 filiali bancarie “leggere”denominate P.E (punti di
erogazione) e di 257 Uffici dei Promotori Finanziari, a supporto
dell’attività degli stessi. La rete dei Private Banker è organizzata in aree
26
(attualmente otto) con l’obiettivo di potenziare il presidio del territorio
e lo sviluppo commerciale.Tale rete è articolata su 5 livelli piramidali:
-il Promotore Finanziario è il responsabile della relazione con la
propria clientela;
-il Supervisore ricopre il ruolo di trainer nei confronti dei neo-pf, che
rimangono sotto la sua supervisione per i primi 24 mesi di attività;
-il Regional Manager coordina l’attività commerciale e monitora la
realizzazione del budget delle risorse affidate. Coadiuva inoltre le
attività del Divisional Manager con un impegno mirato al reclutamento
di nuovi P.F;
-il Divisional Manager coadiuva l’Area Manager con particolare
attenzione allo sviluppo delle risorse affidate. Si dedica in particolare
alla formazione dei P.F;
-L’Area Manager sovrintende e coordina l’attività dei P.F. nella
propria area territoriale (di solito una o più regioni) e partecipa con
l’Azienda alla definizione delle azioni commerciali.
Essendo l’azienda una struttura dinamica ed in continua crescita, il
Promotore Finanziario che diviene in possesso di adeguate competenze
professionali e manageriali, ha la possibilità di accedere, nella struttura
di rete, a ruoli con più elevata responsabilità ed intraprendere la carriera
di gestore di risorse umane. Banca Fideuram, infatti, dispone di un
sistema interno di valutazione che garantisce il continuo monitoraggio
delle capacità necessarie a gestire il ruolo di manager. Tutti i ruoli
manageriali sono puntualmente supportati da uno specifico Training
Program.
27
Il Promotore di Banca Fideuram viene supportato, durante la sua
attività, dalla Struttura di Rete mediante un Piano specifico di incontri
articolato:
-
Riunione Plenaria di Gruppo ( tenuta dal Regional Manager o dal
Divisional Manager ogni 1/2 mesi) per l’analisi dei mercati e dei
potenziali di sviluppo, per gli indirizzi di investimento trasmessi
dall’Azienda ed i relativi commenti, per l’analisi dei risultati della
produzione e le azioni consigliate da intraprendere.
-
Incontri Individuali Supervisore/Promotore (ogni 7/15 gg.) che
sono una costante dell’attività nei primi 24 mesi perché rappresentano
un momento costruttivo di sostegno, confronto ed indirizzo oltre che di
analisi e verifica dei risultati e di accordo sulle azioni da intraprendere.
-
Affiancamento del Supervisore al P.F. in modo da trasmettere
informazioni,
conoscenze,
tecniche
relative
alla
Pianificazione
Finanziaria ed alla gestione della relazione con il cliente.
-
Sales Meeting (tenuti dal Supervisore ogni settimana) consistenti
in incontri operativi di confronto e di raccolta di esperienze della
settimana e di simulazioni di situazioni tipiche cliente/pf.
-
Incontri con i colleghi P.F. per scambi di informazioni e di
esperienze su clienti/tipologia di operazioni/formulazione di proposte di
investimento.
-
Incontri Individuali Regional Manager/P.F. (ogni 1/2 mesi) in
cui si verificano insieme la situazione e le prospettive di sviluppo
dell’attività e della professione.
Il Training Program rappresenta una vera e propria “scuola di
formazione” in continua evoluzione per il Promotore Finanziario di
Banca Fideuram. Segue e affianca infatti le varie fasi che portano il
neo-promotore dall’inserimento in azienda alla crescita ed allo sviluppo
professionale. L’entità dell’impegno formativo e la qualità dei Corsi,
nei quali l’Azienda si fa spesso affiancare da partner primari come la
28
SDA Bocconi, consentono a ciascun P.F. di acquisire, sviluppare e
consolidare le competenze necessarie
per gestire con efficacia la
propria clientela. Per ogni innovazione che viene introdotta, si
predispongono Piani formativi on line con un’apposita piattaforma Elearning . Sempre con questo metodo i private banker possono
realizzare un percorso formativo in piena autonomia on-line
frequentando: corsi sulle novità legislative (Formazione ABI su D.Lgs
231/2001-Antiriciclaggio-Misure
di
Sicurezza-Privacy),
corsi
nell’ambito dell’Iniziativa Patti Chiari a cui l’Azienda ha aderito (c/c a
confronto e obbligazioni a basso rischio), corsi sui prodotti finanziari e
assicurativi , corsi finalizzati al superamento dell’Esame Consob per
l’iscrizione all’Albo Professionale.
Solo nel 2005, ad esempio, sono state erogate complessivamente circa
56.000 ore di formazione fra interventi in aula e a distanza. Di notevole
importanza per la crescita professionale di ogni P.F sono poi i Corsi
gestiti a livello universitario per l’acquisizione di Master riconosciuti
con la Qualifica EFPA (European Financial Planner Adviser) in
modalità blended, ai quali l’Azienda contribuisce finanziariamente
nell’intento di accrescere lo spessore della rete dei P.F. e di prepararsi
ad un futuro selettivo per ogni attore del mercato.
Gli anni ’90 hanno rappresentato indubbiamente un momento di grande
crescita per il ruolo del Promotore Finanziario e per lo sviluppo delle
masse di risparmio gestito e amministrato delle Banche, anche e
soprattutto per le tecnologie messe a punto e per gli strumenti di
gestione delle relazioni con i clienti ( piattaforme on line per la
Pianificazione finanziaria dei portafogli-clienti). Ma sono stati anche
anni di contraddizioni fra offerta massiccia di nuovi servizi e
consapevolezza dei livelli di rischio da parte della clientela, di
confusione emotiva dovuta alla variabilità dei mercati ed alle ripetute
crisi finanziarie, culminate con i primi anni del nuovo secolo con un
29
crack dei mercati internazionali di portata storica. Soprattutto si sono
manifestati i primi segnali di disaffezione dei clienti verso il sistema
bancario in generale che, preso dagli obiettivi di crescita e di
posizionamento frenetico sul mercato, ha trascurato talvolta di prestare
la giusta attenzione alla sua risorsa principale, il cliente, ed alle sue reali
esigenze ed aspettative di servizio.
In questo nuovo contesto di sfida Banca Fideuram sta operando un
cambiamento profondo di tipo strategico. In una fase, caratterizzata
sempre più da una riduzione dei margini di interesse delle banche, dei
margini unitari di prodotto, da una maggior attenzione da parte dei
clienti al rischio, c’era la necessità di creare elementi distintivi aziendali
che andassero sempre più nell’ottica della “Consulting” sul modello
della Merrill Lynch americana: una Rete di moderni Advisors nella
selezione dei prodotti, nella pianificazione finanziaria e previdenziale,
nell’asset allocation, nella consulenza fiscale. Da qui la scelta di
potenziare il ruolo dei P.F. della Banca Fideuram verso la clientela
Affluent e Private, nella gestione integrata della ricchezza familiare con
soluzioni
personalizzate
e
supportando
i
clienti
in
modo
“indipendente”a 360°. Dunque una vera e propria Rifocalizzazione
sull’Advisory, nella quale il focus non sia più sulle performances
storiche dei principali assets o prodotti (utilizzo della frontiera
dell’efficienza dei portafogli usata negli anni ’95-’05 ), quanto piuttosto
sul controllo della volatilità (misurazione del rischio), sull’intensità
delle loro variazioni e sulla complessità dei fattori che ne spiegano in
termini semplici il trend.
La forza della relazione del P.F. con il cliente non potrà che iniziare con
l’ascoltarne attentamente i bisogni e valutarne l’emotività. La volatilità
dei mercati aumenta inevitabilmente gli aspetti emotivi del cliente e, di
conseguenza, oltre a quella sulle scelte di investimento, anche quella
sulla scelta del partner finanziario.
30
Se oggi la Rete dei P.F. di Banca Fideuram eccelle nelle capacità
tecniche e professionali legate alla gestione del risparmio dei clienti ed
in quelle relazionali, dovrà necessariamente migliorare nell’attitudine a
“servire il cliente” e a fornirgli assistenza su più fronti, nel far precedere
tutto ciò da un adeguato Percorso Formativo e da un Approccio
Metodologico, ma soprattutto nel rendere coerenti i sistemi di
guadagno/incentivazione con l’obiettivo di Wealth Management che
vuole realizzare, attraverso nuovi investimenti, riorganizzazioni e
indipendenza da conflitti di interesse.
31
Capitolo 2
L’era della complessità
2.1
Il “boom” dei mercati e la crisi storica di inizio 2000.
Conseguenze nel rapporto di fiducia fra clienti e sistema
bancario.
Se gli anni ’90 hanno rappresentato il massiccio e rapido passaggio di
ingenti asset di risparmio, prima allocato in “comodi e sicuri” Titoli di
Stato, verso forme più complesse di Risparmio Gestito ( le banche
tradizionali per la verità hanno concentrato questo passaggio in
pochissimo tempo a differenza di quelle “specializzate” che avevano
iniziato questo percorso già da tempo), i primi anni del nuovo millennio
hanno subito fatto percepire quanto tale “passaggio storico” fosse stato
sottovalutato nelle possibili conseguenze. In effetti questa storica
operazione di trasferimento di asset, gestita attraverso un forte
orientamento alle vendite degli operatori bancari, più che da una
risposta alle poco percepite esigenze dei clienti, si è realizzata nella
maggioranza dei casi in presenza di un’insufficiente cultura finanziaria
della grande massa dei risparmiatori (pensionati e famiglie) sui rischi
legati alla volatilità dei mercati, sull’assenza di una vision di lungo
periodo legata al concetto di risparmio gestito e in una fase di
vertiginosa crescita dei prezzi azionari . Ciò ha provocato, come sempre
accade, una rincorsa all’emulazione della performance da parte di una
massa di investitori che, allettati da guadagni crescenti sui mercati
azionari e sui fondi comuni, non hanno impiegato molto tempo a
trasferirvi i loro risparmi, come le Banche suggerivano. Addirittura in
molti casi vi è stata la richiesta diretta agli sportelli bancari di semplici
ed inesperti risparmiatori, insoddisfatti dei rendimenti in calo dei Bot,
che però hanno finito inesorabilmente per acquistare strumenti ad alto
32
contenuto azionario a prezzi altissimi e nel momento in cui il boom
stava per lasciare spazio alla più lunga, difficile ed intensa crisi
finanziaria avvenuta sui mercati di tutto il mondo dai tempi del 1929.
Tutto questo ha lasciato nel settore e, in generale, nel mondo dei
risparmiatori, dei segni che, a tutt’oggi, per molti clienti rappresentano
ferite da rimarginare, e non solo per le perdite ancora non riassorbite,
ma soprattutto per il senso di sfiducia generalizzata e per la disaffezione
verso il mondo bancario che si è diffusa indistintamente. Possiamo dire
che nella propensione all’investimento finanziario delle famiglie è stato
compiuto un passo indietro di dieci anni. Naturalmente questo
fenomeno ha prodotto, come tutti i cambiamenti, dinamiche nuove (non
sempre innovative) nell’offerta dei servizi finanziari. Innanzitutto un
ritorno di ingenti asset verso la liquidità e
verso gli investimenti
immobiliari; sul fronte dell’offerta finanziaria però si sono presentati
anche strumenti di forte richiamo come il prodotto Banco Posta, il
nuovo conto corrente postale a cui faranno seguito strumenti di
risparmio e di previdenza che, attraverso Poste Italiane, alimenteranno
una maggior concorrenzialità nel settore dei servizi bancari . Così come
nasce il nuovo super- reclamizzato Conto Arancio di Ing., servizio di
liquidità che rispolvera, in chiave rinnovata di marketing, il contodeposito semplice e sicuro. Nello stesso tempo si fa strada con forza
l’offerta di conti e di trading on-line da piattaforme che sfruttano
l’innovazione tecnologica come elemento di fidelizzazione dei clienti
fai da te.
Un vero e proprio sconvolgimento ambientale, insomma, nel quale un
po’ tutti gli operatori si sono trovati a fare i conti con un cliente di tipo
nuovo.
Anche il Promotore Finanziario, in quanto imprenditore, ha dovuto
ripensare il suo modo di essere, di porsi sul mercato, di progettare il suo
33
ruolo di partner con l’Azienda in un’ottica diversa, in questo aiutato
dalla svolta che le principali Banche –Reti hanno dovuto intraprendere
nell’attenzione verso il cliente, verso il suo mantenimento e quindi
verso un Marketing meno improntato alla redditività di breve periodo e
più alla Retention di lungo periodo.
Un cliente di tipo nuovo che peraltro, dopo il boom ed il successivo
sboom di inizio anni 2000, ha dovuto vivere sulla propria pelle,
direttamente o indirettamente, anche gli scandali delle varie Cirio,
Parmalat e dei colossi mondiali come Argentina ed Enron, i cui crack
si sono ripercossi sul mancato rimborso ai risparmiatori dei bond andati
in default . Un cliente che, dopo la fuga verso la qualità, si è comunque
trovato davanti al sempre più emblematico ed irrisolto problema: come
affrontare le incertezze e la complessità dei mercati finanziari, sempre
più disorientanti, per difendere i propri risparmi faticosamente
accumulati?
E’ necessario fare un passo indietro per capire intanto, al di là
dell’imponderabile o dell’irrazionale che molto ha influito in quegli
avvenimenti e degli errori e/o negligenze di natura tecnica ed etica
commessi da molteplici soggetti (analisti, operatori bancari, organismi
di controllo, organi di governance societari ), quelli che per esempio
sono stati i principali limiti che hanno in parte condizionato il rapporto
di fiducia fra clienti e operatori del mondo creditizio, con riferimento
specifico al ruolo del P.F.
Si è già detto delle importanti innovazioni di prodotto, di servizio e di
processo introdotte negli ultimi anni dello scorso secolo dalle aziende
bancarie specializzate per aggredire la propria clientela retail e private
(Sistema Informativo di Marketing, Personal Financial Planning,
segmentazione della clientela e nuovi prodotti specifici per ogni
segmento), ed attuare così il trasferimento verso il Risparmio Gestito
34
dai Bot amministrati. Ciò non avrebbe rappresentato di per sé
un’operazione impropria né inadeguata se non si fosse scontrata, nella
stragrande maggioranza dei casi, con una cultura finanziaria propria di
un Paese arretrato, vissuta sul debito pubblico, fondata sul concetto del
risultato “certo”, misurabile nel breve periodo, con cedole di interessi
elevati da far concorrenza a qualsiasi altra forma di investimento di
reddito variabile. Soprattutto una cultura finanziaria che non aveva mai
dovuto misurarsi con la volatilità dei mercati, con l’informazione
specializzata fino ad allora dormiente e di nicchia, con l’assoluta
mancanza di network a parlare di risparmio se non per addetti ai lavori
o per clienti pionieri dell’innovazione. E poi il rapporto con la Banca,
fino ad allora un tabù nell’ambito della sicurezza e della solidità (ne
sanno qualcosa i vecchi promotori che si contendevano minuscoli
segmenti di risparmio nei primi anni ‘80 con i colossi bancari). Si è
pensato insomma che le innovazioni potessero passare nella testa di
quel tipo di
risparmiatori per il solo fatto che a proporle ed a
“venderle” erano gli stessi soggetti che da anni vivacchiavano
tranquillamente sulla massa dei clienti tranquilli sui titoli di stato a
lucrare rendite free risk, oppure nuovi soggetti talmente preparati e
credibili da far vedere a breve il “sogno”che ogni cliente si aspetta
sempre di realizzare.
Il “Nuovo Marketing”, negli intenti strategici orientato al cliente, ma
con ancora troppa operatività di orientamento alle vendite ed al
prodotto, alle prime difficoltà era già entrato in crisi.
Un vecchio slogan del Promotore Finanziario di Banca Fideuram citava
“guadagnamo solo se guadagnate voi”, ed era rivolto ai clienti per
presentare l’innovativa scelta di una Banca che, nel 1992, fu la prima a
specializzarsi nella gestione integrata del risparmio. Operare per
rendere attuale anche oggi quello slogan significa mettersi di nuovo in
discussione partendo dai limiti e dagli errori che anche degli specialisti
35
possono commettere: questo è oggi il compito prioritario di una Rete di
professionisti che voglia mantenere la leadership!
Partire per esempio dalle contraddizioni che si possono creare quando si
interpreta il rapporto triangolare di partnership fra cliente-P.F.-banca
in un’ottica di “rigidità” sul raggiungimento di obiettivi, che in teoria
dovrebbero essere comuni per realizzare un vero rapporto di fiducia e di
fedeltà, ma che a volte possono divergere invece sul piano della logica
temporale. Nello specifico di quel periodo, si trattava per esempio di
gestire con maggiore flessibilità e con un’ottica diversa la dicotomia
fra la cultura verso l’investimento (di per sé legato al medio-lungo
periodo) e la Pianificazione Finanziaria, affatto presente in un cliente
generalmente abituato alla logica della rendita di breve periodo, rispetto
agli obiettivi di budget dell’intermediario finanziario che producevano
soluzioni di investimento (fondi comuni, GPF, Polizze Unit Linked ) i
cui benefici erano legati ad una necessaria vision di lungo periodo, ma
che rappresentano redditività immediata ed anche differita sia per il
promotore che per la banca (commissioni di acquisizione e di gestione).
In questo purtroppo hanno giocato anche delle rilevazioni di esigenze
del cliente non realmente percepite dallo stesso o rese poco palesi, a cui
si è talvolta risposto con soluzioni non adeguate per il reale profilo di
rischio del cliente. E’ evidente come i fenomeni avvenuti abbiano in
certi casi prodotto pesanti elementi di insoddisfazione e di mobilità di
vaste fasce di clientela da una banca all’altra.
Una soluzione ai limiti ed alle contraddizioni di questo tipo deve essere
messa al centro, proprio a partire da un’ottica di recupero del rapporto
con il cliente, da parte del promotore finanziario che voglia adottare un
diverso approccio al Marketing sul proprio portafoglio . Tale risposta
può essere anzitutto basata su un tipo di segmentazione del portafoglio
ed una diversificazione di approccio ai clienti che sia per tipologia dei
36
benefici ricercati e nella focalizzazione sul ciclo di vita del portafoglio
clienti.
2.2.
Il Cliente “al centro”. Segmentazione dei portafogli
basata sulla tipologia dei benefici ricercati e sulla qualità
della relazione.
L’elemento forse più importante nelle strategie di marketing di un
Promotore finanziario è l’analisi del proprio Portafoglio clienti
attraverso vari criteri di lettura.
Questo aspetto richiama la complessità e la specificità di ogni singolo
cliente, ogni singola area geografica ed ogni ambiente socio-culturale in
cui egli vive e dovrebbe servire a ricordare che i segmenti, in realtà, non
esistono in natura: esistono gli individui, ognuno con i propri bisogni
(ai vari livelli della scala gerarchica masloviana), con le proprie
esigenze(spesso latenti), atteggiamenti, preferenze, comportamenti
d’acquisto. E’ vero che l’ambiente in cui si vive spesso condiziona e
influenza tali peculiarità, ma è pur vero che la segmentazione adottata,
il voler in qualche modo raggruppare questi individui, è un modo con
cui le aziende tendono a ridurre la complessità del mercato di
riferimento per avere un orientamento quanto più stabile possibile al
fine di organizzare la propria attività per raggiungere i propri obiettivi.
Tanto più la segmentazione dei clienti sarà efficace nel realizzare gli
obiettivi gestionali, tanto più sarà riconosciuta valida.
Ma se in questa fase storica, sopratutto per un impresa di consulenza
finanziaria, diventa prioritario il ricreare un legame di fiducia con il
cliente, mantenendo il giusto focus sulla redditività dalla quale non
possiamo prescindere nel medio e lungo termine, si deve allora porre la
37
massima attenzione a quale tipo di classificazione (cluster) approdare e
da quale metro di valutazione partire per attuare le necessarie strategie e
scelte operative. Ecco che, nel rapporto fra Banca mandante e
Promotore finanziario, l’orientarsi sic et simpliciter su parametri di
segmentazione che genericamente suddividono i clienti in funzione
organizzativa, sulla base della RFA (ricchezza finanziaria amministrata)
o in funzione geo-demografica o ancora sulla base dei comportamenti
di
utilizzo
dei
servizi
bancari,
potrebbe
rappresentare
una
sottovalutazione delle specificità dei clienti, quando ognuno di essi, in
realtà, sente il bisogno di un rapporto di contatto “ unico” con il suo
gestore di risparmio.
Il P.F. ha bisogno di utilizzare la segmentazione del portafoglio per poi
offrire il miglior servizio al cliente, guardando al suo ambito socioeconomico specifico, alla cultura finanziaria che lo distingue ed al
conseguente livello di comunicazione a cui far ricorso, all’esperienza in
materia di investimenti dello stesso, all’orizzonte temporale a cui tende
per ogni sua esigenza specifica, creando barriere competitive tali da
costituire condizioni di monopolio inattaccabili
Poi,infine, puntare all’obiettivo del wealth management.
In questa prospettiva la segmentazione è davvero il presupposto della
differenziazione dell’offerta e sta alla base dell’innovazione di prodotto
e di processo. Se questo è vero, è evidente che un criterio di
clusterizzazione è tanto più efficace quanto più è originale e quanto
meno può essere replicato nel breve periodo dalla concorrenza, ma
poiché lo stesso, quando ha successo, viene inevitabilmente imitato, il
suo vantaggio competitivo è purtroppo limitato nel tempo e si può dire
che l’utilità che genera ad ogni azienda ha uno specifico ciclo di vita.
Ecco perché, poi lo vedremo, il ciclo di vita del criterio di
38
segmentazione di successo, ha una sua propria correlazione con il ciclo
di vita del Portafoglio Clienti dell’impresa.
Abbiamo prima accennato a quanto influiscono le peculiarità dei clienti
sulla percezione delle loro scelte di investimento. E’ ormai ampiamente
dimostrato come gli individui non agiscono seguendo i principi
economici razionali, ma sono influenzati dalle loro esperienze passate,
dalle loro credenze, dal contesto, dal formato di presentazione delle
informazioni e dall’incompletezza informativa frequente nei contesti
reali (Kahneman e Tversky, 2000). Una possibile spiegazione fa
riferimento al fatto che gli individui avrebbero delle risorse cognitive
limitate che in molte occasioni li costringono a semplificare lo spazio
del problema, che sarebbe altrimenti ingestibile perché eccessivamente
complesso (Simon,1982). Un’altra spiegazione fa invece riferimento al
fatto che le scelte delle persone sembrano essere governate da
atteggiamenti e valutazioni affettive piuttosto che da preferenze
economiche basate sul calcolo dell’utilità attesa (Kahneman, Ritov e
Schkade, 1999). Quello dei mercati finanziari, per esempio, è uno dei
settori economici in cui maggiormente si evidenzia la mancanza di
razionalità, tanto è vero che il loro andamento è spesso descritto
utilizzando termini come euforia, depressione, disillusione o addirittura
irrazionalità (Shiller, 2000). Da un’analisi sempre più comprovata di
questi aspetti che concernono la Psicologia dei mercati finanziari, si è
fatta strada, negli addetti ai lavori, la necessità di spiegare
scientificamente il modo in cui gli individui appunto utilizzano le
sempre maggiori informazioni dei media per prendere le loro decisioni
di investimento.
La Teoria del Prospetto di Kahneman e Tversky (1979-2000),ad
esempio, si è dimostrata particolarmente efficace nell’analizzare il reale
comportamento di acquisto dei risparmiatori di fronte ad un diverso
modo di presentare un servizio. Poggiando sulla constatazione che gli
39
individui valutano ogni possibile esito di una decisione sulla base di un
punto di riferimento (status quo) quale può essere per esempio la loro
situazione attuale al momento della decisione di cambiamento (es. il
cliente che aveva fino ad allora solo effettuato acquisti di Titoli di
Stato), la Teoria spiegherebbe che gli individui si comportano in modo
differente quando sono messi di fronte a possibili guadagni o a possibili
perdite; nel primo caso sono più avversi al rischio di nuovi tipi di
investimento, mentre nel caso di possibili perdite essi sono propensi ad
assumersi dei rischi aggiuntivi. Non solo, ma diversi altri studi hanno
anche dimostrato che le persone pongono maggior enfasi su risultati
codificati come perdite piuttosto che su risultati codificati come
guadagni (Slovic, 1987). Olsen (1997) infine ha dimostrato che gli
investitori definiscono il rischio degli investimenti come il pericolo di
ottenere dei risultati inferiori ad un obiettivo prefissato che è stato
utilizzato ( come sostiene la Teoria del Prospetto) come punto di
riferimento per valutare la resa degli investimenti fatti in precedenza.
Altri studi correlati, poi, hanno dimostrato che gli investitori
preferiscono tendenzialmente attività finanziarie con bassa volatilità e
quindi con ritorni più contenuti, ma sicuri, quando sono posti di fronte
ad uno scenario di possibile guadagno e che i consulenti finanziari
hanno la tendenza a scegliere investimenti con diverso grado di rischio
a seconda dell’orizzonte temporale con cui i clienti desiderano ottenere
il rendimento prefissato; vengono scelti titoli o fondi con bassa
volatilità quando l’orizzonte temporale è breve e titoli con volatilità più
elevata quando l’orizzonte è a lungo termine. Di per sé non si tratta di
una strategia scorretta, tuttavia i clienti hanno spesso una bassa
tolleranza alla variabilità dell’andamento dei titoli e dei mercati. Perciò
essi non sono particolarmente disposti ad investire su servizi più volatili
e quindi più rischiosi solo perché il loro orizzonte temporale è a lungo
termine.
40
Il problema è che talvolta questo aspetto non viene focalizzato a
sufficienza nel contatto fra cliente e Promotore/Banca..
E’ anche guardando a queste considerazioni che diventa essenziale
assumere, nel rapporto con il proprio portafoglio-clienti, un ventaglio di
atteggiamenti nuovi che abbiano come denominatore comune quello
dell’attenzione al cliente-individuo, con le proprie convinzioni, i propri
atteggiamenti e a ciò che in realtà percepisce del contesto in cui si trova
per decidere dei suoi risparmi.
Non sarà tanto importante quindi, classificarlo come cliente massa,
affluent o private, bensì adottare un metodo, facilitato dalle ripetute
occasioni di contatto, che consenta di utilizzare le informazioni di
profilatura di ogni specifico cliente ai fini di una segmentazione per
benefici ricercati, identificando così un profilo ideale di preferenze con
cui misurare il proprio posizionamento competitivo e le azioni di
risposta. Certo che da solo, questo metodo, non può essere sufficiente a
risolvere le problematiche di redditività, che difficilmente potrebbero
essere pianificate; il collegamento con i risultati attesi, non solo in
termini di costi, ma anche di ricavi, è indispensabile per fornire alla
Banca elementi utili per decidere su quali segmenti di preferenze sia
utile intervenire nella fase di produzione di servizi .
Ma da qui occorre partire: dal capire ogni cliente, dal saper comunicare
con lui utilizzando un sempre più analitico Sistema Formativo di
Relazione, dal non anteporre i propri obiettivi di vendita a quelli che lui
realmente percepisce essere i propri obiettivi, dall’avere una forte
attenzione alla psicologia del cliente, dal cercare con lui un “vero
rapporto”.
Un rapporto è correlato in genere ad un atteggiamento. Una persona o
un gruppo sente di “avere qualcosa in comune con un altro”. Qualunque
41
sia la natura di questo collante, non dovrebbe essere possibile
scioglierlo facilmente. Non si tratta di una sensazione che si sviluppa
dal nulla però: il Promotore finanziario deve conquistarsela.
Il Rapporto si conquista in base al modo con cui si attua il Marketing
dei Rapporti, come sostiene Gronroos. Il professionista dovrebbe creare
processi di interazione e comunicazione tali da facilitare un rapporto,
ma è il cliente, non lui, a decidere se si è instaurato un rapporto vero
oppure no.
Intanto dobbiamo partire da un aspetto fondamentale: il cliente ha un
vissuto con la Banca e con il Promotore finanziario che ne determina il
suo livello di fiducia. Come noto, infatti, esistono determinati eventi (“i
momenti della verità”) i cui esiti determinano lo stato di fiducia che il
cliente ha con il suo referente d’affari. Una vendita effettuata ad un
cliente che è in “posizione positiva” con la banca/pf sarà una vendita
semplice (in quanto egli “crede” in quel rapporto). Una vendita
effettuata invece ad un cliente in posizione di “indifferenza” o, peggio
ancora, di “negatività”, non sarà così semplice e potrebbe addirittura
comportare un ulteriore deterioramento della relazione ed avviare un
sotterraneo, lento e inesorabile processo di multibancarizzazione e, in
ultimo, di chiusura/inattività dei rapporti. Una ricerca effettuata da
Mckinsey nel 2004 sui “momenti delle verità” della clientela ha
empiricamente dimostrato questo pattern comportamentale. Un ulteriore
elemento di complessità nella valutazione del rapporto, è data dal
livello di multibancarizzazione del portafoglio clienti, che chiaramente
non è dato conoscere completamente dalla pura analisi dei dati rilevati
dal SIM. Le interviste possono rilevare se un cliente è multibanca o no,
ma difficilmente possono definire, per ogni cliente, la propria “share
pocket”con esattezza. Valutare, quindi, il livello di relazione del cliente
e la sua “share of pocket” con la banca/pf, diventa un cruciale criterio di
segmentazione della clientela.
42
Tavola 1.
Segmentazione della clientela in base alla qualità della relazione (%del
totale della clientela)
INTENSITA’
4
1
3
zona a “rischio”
zona di
zona “ideale”
DELLA
RELAZIONE
Alta (>80%)
“equilibrio
10-20 %
(SHARE OF
POCKET)
instabile”
Media (50-80%)
NUMERO
INDICE
10- 15 %
40-60 %
5
2
zona “pericolo”
zona “fertile”
10-20 %
10-15 %
Bassa (<50%)
Rabbia
Sfiducia
Fiducia passiva
Fiducia
Soddisfazione
QUALITA’ DELLA RELAZIONE
Sulla base di alcune esperienze concrete, verificate su portafogli tipo
dei P.F., il quadro che ne emerge è simile a quanto si evince in Tav.1:
solo una piccola parte di clienti è pronto ad accettare con favore ed
attenzione una proposta commerciale, mentre la maggioranza della
43
clientela si posiziona o su un profilo di “fiducia passiva” o addirittura
peggio. E’ chiaro che, in questa situazione, l’hit rate delle vendite non
sarà particolarmente elevato.
Anche questo tipo di segmentazione presenta da un lato il vantaggio di
dare una fotografia della clientela “a tutto tondo” e non basata sulla sola
interpretazione dei dati interni al SIM che, per quanto sofisticata questa
possa essere, fornisce un quadro solo parziale della situazione e non
coglie gli aspetti più “soft” (come ad esempio la qualità della
relazione). Tuttavia, il valore di tale metodo di segmentazione sta
nell’introduzione di un differente approccio alla vendita, caratterizzato
da un processo più “maieutico”, meno aggressivo, ma più sostenibile
nel medio lungo termine, caratterizzato da:
-
capire in quale quadrante sta il cliente; il che implica conoscerlo a
fondo ed instaurare una relazione, superando le semplificazioni ed i
pregiudizi che portano a cercare un rapporto solo con i clienti di fascia
alta di RFA.
-
per ciascun quadrante adottare uno stile di vendita differente, che
tocchi le giuste “corde” e vada alla radice della comprensione delle
cause della multibancarizzazione. In sintesi : definire approcci
commerciali specifici in funzione del cliente che si ha davanti.
In questo la segmentazione di cui sopra è il “kick off” di un lungo
processo di trasformazione dell’approccio commerciale del P.f. che può
spingerlo ad intraprendere una nuova ondata di miglioramento della
performance commerciale e di incremento della produttività, passando
dal recupero della fiducia personale dei clienti e acquisendo così
benefici sostenibili nel tempo. In tavola 2 viene esemplificato un
possibile approccio commerciale per ciascuno dei segmenti visti sopra.
Se ne deduce che l’approccio tradizionale di vendita si applica solo ad
una ristretta porzione di clienti. Per la stragrande maggioranza di questi
44
lo sviluppo commerciale darà risultati meno immediati, ma più di lungo
periodo.
Possibile approccio commerciale per Segmento del Portafoglio-Clienti
Segmento “zona pericolo” : conoscere a fondo il cliente, comprendere bene le motivazioni di
insoddisfazione della relazione, ammettere preventivamente un servizio non adeguato/errori.
Valutare potenziale di recupero della relazione. Non effettuare alcuna iniziativa commerciale.
Instaurare iniziative di marketing di contatto.
Segmento “zona a rischio”: conoscere meglio il cliente, effettuare azioni di contatto di pura
relazione. Informarlo su alcuni movimenti del suo conto o sull’andamento dei mercati finanziari.
Non effettuare alcuna iniziativa commerciale.
Segmento “zona di equilibrio instabile”: effettuare azioni commerciali di lungo periodo. Fare
emergere i bisogni e fare in modo che il cliente richieda di sua spontanea volontà il
servizio/prodotto. Adottare tecniche di vendita maieutiche dopo 2-3 incontri preliminari:
Segmento “zona fertile”: valutare il potenziale disponibile e discutere apertamente dove la
banca è inferiore alla concorrenza e come si potrebbe rimediare. Effettuare una vendita come
invito al recupero di ruolo di “partner primario”.
Segmento “zona ideale” : Effettuare la vendita in modo “tradizionale”.
Tabella 2
Abbiamo così introdotto alcuni elementi di fondo sui quali costruire una
strategia innovativa di intervento sul Portafoglio di un P.F..L’obiettivo
è il recupero e /o il consolidamento del rapporto di fiducia con il
proprio cliente in una precisa fase storica nella quale “complessità” fa
rima con evoluzione continua, crescita della consapevolezza, ma anche
del disorientamento della clientela. C’è sempre più bisogno di tradurre
in modo semplice e trasparente al cliente la complessità dei mercati,
riuscendo a canalizzare altresì le caratteristiche dei prodotti/servizio
coerentemente con ogni singola esigenza espressa.
45
Se analizziamo i limiti
forse più evidenti manifestati dalla prima
applicazione dei programmi di Personal Financial Planning, negli
anni dal 1997 al 2000, questi si caratterizzavano come una soluzione
unica ai bisogni, guardavano ad un obiettivo target, vi era sicuramente
un concetto di rischio poco marcato ed erano applicati dalle reti di
vendita con supporti formativi inadeguati. Oggi i moderni strumenti di
Pianificazione Finanziaria non possono non basarsi su dei Processi
strutturati e iterativi, facendo perno sull’utilizzo di concetti di
rischio/rendimento applicati ad personam
ed alla selezione degli
strumenti più adatti a rispondere alle esigenze specifiche e temporali del
cliente.
2.3
Il Modello di Marketing individuale. L’analisi dei
bisogni attraverso il ciclo di vita del risparmio.
Abbiamo già accennato alla Teoria del Ciclo di Vita elaborata dal
Premio Nobel Franco Modigliani e dal collega Albert Ando. Questa
consente ai P.F., nell’interazione con i clienti, di capire meglio quali
possono essere le fasi del risparmio ed i relativi bisogni da soddisfare
lungo il ciclo della vita di un soggetto. Permette di organizzare, di
conseguenza, un modello di marketing individuale che abbiamo visto
essere reso necessario dalla complessità che stiamo vivendo nel campo
finanziario.
46
Tab 3
Il Modello di Marketing Individuale
Modelli di
investimento
Piano
personalizzato
coerenza
del cliente
Sistema di
interazione
Il percorso
decisionale
Cliente
Mercato
Il Modello del Marketing Individuale (Tab.3) affronta il cliente e il
mercato in due momenti e con due componenti diverse: i modelli di
investimento ed i sistemi di interazione. Questi blocchi trovano la loro
coerenza:
- attraverso la corretta costruzione di
percorsi di decisione per il
cliente;
47
- nel rapporto tra sistema di interazione e modelli di investimento, che
porterà alla creazione di un Piano personalizzato.
Tra il modello di investimento ed il cliente ci deve essere un sistema di
interazione che, quale che sia il canale utilizzato, consenta di assumere
delle decisioni di investimento. In altre parole: non basta un motore di
investimento che assicuri la massima efficacia (raggiungimento
probabilistico del risultato perseguito) e la massima efficienza ( con il
minimo di risorse); per arrivare a una soluzione, e dunque al giusto
prodotto, coerente con l’esigenza dell’investitore, occorre disporre di
un imput che permetta di definire, in termini qualitativi e quantitativi, le
coordinate dell’esigenza stessa e di produrre così un Piano
personalizzato. Il percorso decisionale presenta due aspetti: di
contenuto e di sistema.
Il contenuto definisce l’ambito di operatività del sistema dato dalle
esigenze dell’investitore, le quali devono essere codificate in linguaggio
“naturale”, cioè nel linguaggio del cliente e del suo quotidiano; dunque
dei fini (acquistare casa, sostenere il tenore di vita ecc.) e non dei mezzi
(gestione professionale, performance ecc.). Per tale scopo è funzionale
adottare come riferimento il modello del ciclo di vita.
Il sistema di decisione deve invece supportare l’investitore a prendere le
decisioni seguendo le sue inclinazioni circa il grado di coinvolgimento
desiderato tra totale delega e totale personalizzazione: un processo che
si adatti continuamente agli input che l’investitore via via fornisce.
Il punto di partenza , per l’analisi dei bisogni, non può che essere
l’oggi: per poter affrontare il futuro con serenità, ogni lavoratore
dovrebbe infatti pensare da oggi a come proteggere dagli imprevisti il
reddito, i consumi ed il patrimonio, per sé e per i propri cari. La
protezione del proprio reddito personale interesserà i soggetti privi di
famiglia o con famiglie e affetti economicamente autosufficienti; la
protezione del patrimonio e del reddito dei familiari interesserà i
48
capifamiglia e comunque chi ha la responsabilità del tenore di vita dei
propri conviventi. Assicurare bene il carico alla stiva è condizione
necessaria per poter abbandonare il porto con animo sereno: l’esigenza
è quindi nello stesso tempo immediata e tale da coinvolgere ogni fascia
d’età e ogni individuo. Inizia qui il viaggio del proprio denaro. Prende
avvio dalla riflessione su come creare e gestire le risorse per il futuro,
investendo al meglio: investire al meglio significa modellare gli
investimenti in funzione del proprio ciclo di vita; la creazione del
patrimonio interesserà soprattutto i soggetti più giovani; mentre la
gestione del patrimonio riguarderà soprattutto i soggetti in età più
avanzata e tutti coloro che, di fatto, un patrimonio lo hanno già
costituito.
La terza fase inizia con la definizione di obiettivi di vita: acquistare
casa, provvedere all’educazione e all’istruzione dei figli, realizzare il
sogno di un’attività autonoma sono alcuni degli obiettivi principali,
tipici e spesso irrinunciabili, che il cliente risparmiatore si propone di
raggiungere nelle varie fasi del ciclo di vita. Obiettivi che hanno in
comune la necessità di costituire in un tempo determinato un
capitale finale, con il minimo di risorse iniziali. Infine, quando
l’attività lavorativa termina, ci si avvia verso un lungo tempo di
pensionamento nel quale è necessario mantenere un tenore di vita
adeguato, avendo come obiettivo che il denaro non finisca… prima
della fine della vita. E’ il tema della gestione della longevità, cioè della
pianificazione pensionistica.
Il ciclo di vita può essere descritto mediante le classi di esigenze che
accompagnano il tempo della vita. Ed ecco una prima scoperta: tutta la
vita economica è riconducibile a poche classi di bisogni che
esauriscono qualsiasi esigenza economico-finanziaria legata al ciclo di
vita di un risparmiatore e degli eventuali familiari. La prima è la tutela
della propria capacità economica e della serenità dei propri cari,
perché gli imprevisti possono capitare dall’oggi al domani. La parola
49
guida delle prime fasi della vita economica è tutelare. Il senso è che, per
poter affrontare il futuro con serenità, bisogna innanzitutto proteggere il
reddito ed il patrimonio, cioè rimuovere le ansie derivanti dai rischi
immediati. La protezione riguarda anche la trasmissione ereditaria della
ricchezza e dei frutti del proprio lavoro accumulati; da qui una
particolare cura per la pianificazione successoria.
Risolto il problema più immediato, si pone il tema delle risorse
finanziarie sulle quali costruire il proprio futuro ed eventualmente
quello dei cari. Non sempre tuttavia le risorse sono finalizzate ad uno
scopo specifico: la vita di un risparmiatore comprende anche riflessioni
e decisioni rivolte a creare e gestire il proprio risparmio per il futuro,
semplicemente. Proseguendo sulla strada della semplificazione,
tuttavia, si deve notare come alcuni temi, ad esempio l’acquisto della
casa e lo studio dei figli, racchiudono sotto diverse destinazioni un
unico tipo di processo, che consiste nella finalizzazione del risparmio e
del patrimonio al raggiungimento di un obiettivo di vita quantificato in
termini temporali ed economici; raggruppare temi simili è dunque
possibile ed efficace per adeguarsi in particolare al linguaggio del
cliente, e la sintesi porta a evidenziare come qualsiasi obiettivo
economico
possa
racchiudersi
in
una
delle
fasi
seguenti,
cronologicamente sequenziali e coerenti con il ciclo di vita:
un individuo nasce con un deficit di reddito che qualcun altro deve
colmare; al crescere dell’età tendono ad aumentare il suo tenore di vita
ed i consumi; termina la propria esistenza in fase calante, in
corrispondenza di quel pensionamento che inizia intorno ai 60-65 anni e
conduce fino ad età avanzatissime grazie al prolungamento della
longevità.
50
Obiettivi/età
30
40
60
Obiettivi
definiti
Costituzione
scorta
monetaria
Acquisto casa
Rimborso
debiti
Educazione
figli
Sostegno dote
figli
Disponibilità
da allocare
Incremento
standard di vita
Accumulo
previdenziale
Imprevisti
Previdenza e
tutela
Tutela
familiari
Mantenimento
tenore di vita
Tabella 4 Classificazione del tempo di vita per bisogni.
2.4
Il Marketing del Promotore Finanziario. Diagnosi e
pianificazione del portafoglio clienti con l’obiettivo della
redditività di lungo periodo.
Senza dubbio chi inizia oggi la professione del P.F. si trova ad
affrontare un contesto ben più complesso e competitivo di chi iniziava
pensando alla vendita come l’unico vero volano della propria impresa.
Le tecniche di vendita oggi sono state sostituite da tecniche di
51
relazione; il marketing, solo negli ultimi anni, e non sempre dobbiamo
dirlo, è un elemento presente nella formazione dei professionisti della
consulenza; gli strumenti della pianificazione e la conoscenza dei
prodotti finanziari sono importanti, ma non possono rappresentare da
soli il bagaglio tecnico che oggi un P.F. è chiamato ad arricchire per
incontrare un successo duraturo nel tempo. Fare marketing rappresenta
sempre più un elemento essenziale. Ma anche su questo occorre fare
una precisazione. Non di un marketing “tout court” che replica, nello
stesso modo, il metodo della definizione della strategia a monte
integrata dal marketing mix e che stabilisce con certezza percorsi
virtuosi, quali ad esempio il “successo”, lo sviluppo della quota di
mercato o l’acquisizione dei clienti. Credere che il Marketing abbia una
formula evergreen è sbagliato. La motivazione risiede nella velocità
con cui il settore finanziario si sta evolvendo. Occorrono quindi
innovazioni e forme originali di marketing per puntare ad obiettivi
definibili di successo in questa professione. Basti pensare al fenomeno
dell’ipercompetizione, che sposta continuamente in avanti il livello di
offerta e, di conseguenza, innalza il livello di soddisfazione attesa dalla
clientela (che sta perfettamente al gioco del “più a meno”), che riduce i
margini (comunque sempre sufficientemente elevati se paragonati con il
resto d’Europa) e sposta l’attenzione più sulla conquista del cliente che
sul suo effettivo appagamento. C’è bisogno di un nuovo tipo di
Marketing, quindi, con il quale l’impresa che punta a crearsi un
portafoglio di clienti soddisfatti, fedeli e che soddisfano di conseguenza
nel tempo le aspettative reddituali del professionista, possa farsi notare
rispetto alla concorrenza, farsi apprezzare per l’approccio differenziale
che riesce ad avere. Il farsi notare, la comunicazione quindi, oggi può
essere il paradigma vincente, l’asse intorno al quale ruotano tutti gli
altri meccanismi del marketing mix . Analizziamo brevemente quello
che di nuovo sta emergendo a proposito delle variabili classiche del
marketing, in questo settore specifico.
52
-
Il Prodotto (la qualità percepita/diversificazione dell’offerta).
Nel prodotto da sempre rientrano le fasi del ciclo di vita e tutti gli
elementi relativi alle linee dello stesso, alla sostituzione di nuovi
prodotti, alla pietrificazione, alla maturità innovativa. Oggi questi
concetti si legano a quello di qualità, intesa non come quello che
l’azienda è in grado di fare, ma come ciò che il cliente desidera
ricevere.
-
Il Prezzo (il valore per il cliente).
Il prezzo è sempre stato sinonimo dei “metodi per la determinazione
del prezzo”, ovvero: imitazione del leader, studio del margine di
contribuzione, teoria del mercato (domanda/offerta) e del valore
percepito dal cliente. Oggi l’accezione totale del valore va intesa come
valore olistico che il cliente ricerca, non l’ammontare di denaro che
scambia per ottenere un determinato servizio. I fattori intangibili
(tranquillità, sicurezza, semplicità, servizio, notorietà, immagine)
stanno diventando nel settore finanziario più importanti di quelli
tangibili (prodotto, assistenza, costi).
-
La Politica distributiva ( i canali e la virtualità)
La distribuzione oggi non si limita più alla scelta fra canale indiretto
(breve e lungo) e diretto, ma si assiste alla trasformazione epocale data
dalla virtualità dei canali attraverso il telefono, internet ed altri
approcci a distanza.
-
La Pubblicità (la comunicazione integrata).
La pubblicità, da sempre intesa come variabile istituzionale (esterna,
insegne luminose, giornali, radio, tv, media, oppure sotto la linea,
marketing diretto piuttosto che telemarketing), oggi è diventata
comunicazione integrata. Essa considera contemporaneamente sia il
mix di pubblicità volta verso l’esterno, che quella volta verso l’interno.
Diventa infatti fondamentale comunicare ai collaboratori quali siano
valori, visioni, linee guida.
53
Tutto ciò non annulla il vecchio concetto di marketing, anzi lo
evidenzia ed attualizza.
Analizzando per esempio il Portafoglio clienti di un Promotore
Finanziario, si vede che, a seconda dell’attenzione e della tipologia che
i clienti si aspettano dalla stessa, il marketing deve essere più o meno
evoluto. Chi però si adagia sulle vecchie scelte, chi rimane fermo,
seppur ad un successo del passato, è destinato a chiudere o a
vivacchiare fino all’insuccesso. E’ oggi obbligo realizzare sempre un
marketing “up to date”, un marketing alla moda, “fresco di giornata”,
che cambia, che evolve nelle sue piccole componenti, ma che non si
distacca dalla sovranità e dalla centralità del cliente.
Fare marketing per un P.F. vuol dire essenzialmente lavorare intorno ad
una continua diagnosi della propria risorsa principale: il Portafoglio
Clienti e poi pianificare la propria attività partendo da una
classificazione degli obiettivi prioritari, legandoli al ciclo di vita del
rapporto con i clienti stessi.
Volendo qui analizzare gli obiettivi di un’impresa che ha già un
portafoglio consolidato nel tempo e che quindi non si trova nella fase di
start up, e perciò obbligato a rivolgere quasi tutti i suoi sforzi per la
fase di acquisizione dei clienti, dovremo partire dall’analizzare quelle
che sono da considerare le Aree di Criticità da presidiare. In modo
schematico possiamo individuare le seguenti aree, da analizzare
attraverso il Sistema Informativo di Marketing, uno strumento sempre
più dinamico da implementare con le informazioni interne ( interviste
ai clienti) ed esterne (dati e notizie della Banca , aggiornamenti, indici
di riferimento ecc.).
-
Soddisfazione –Fiducia dei clienti ( livello di ripetitività delle
transazioni- retention media del portafoglio)
-
Clienti attivi – passivi nel passaparola (referals)
54
-
Costi (tempi di acquisizione, di assistenza e mantenimento)
-
Cross selling ( grado di diversificazione prodotti )
-
Up selling ( livello di sensibilità al prezzo )
-
Età media del portafoglio ( anagrafica clienti- ciclo di vita del
cliente)
-
Contribuzione ( rapporto fra commissioni di gestione e di
sottoscrizione )
-
Redditività degli stocks di risparmio ( rapporto fra risparmio gestito
e amministrato)
-
Rischiosità del portafoglio ( asset class del portafoglio)
-
Immobilizzo e rotazione del portafoglio prodotti (rapporto fra
strumenti a breve-medio termine e strumenti a medio-lungo
termine)
-
Piramide del risparmio ( pianificazione risorse per aree di bisogno)
-
Rotazione e ciclo di vita del portafoglio ( indice di rotazione clienti
nuovi, riassegnati e persi ).
Guardare quindi, come abbiamo anticipato prima, al connubio stretto
fra mettere al centro il cliente, con i suoi bisogni e le esigenze
specifiche da soddisfare, con la ricerca di una redditività sostenibile nel
tempo, significa tendere a mantenere in perfetto equilibrio il Portafoglio
clienti in un’ottica di ottimizzazione dei fattori considerati chiave e che
si possono così individuare e analizzare brevemente:
1) La soddisfazione del cliente è la premessa del successo ed il primo
scalino per rimanere competitivi in un contesto di saturazione del
mercato e di concorrenza aggressiva come l’attuale. Nel successivo
capitolo
vedremo
come
dovrebbe
articolarsi
l’attività
di
un
professionista nel ricercarla e nel trasformarla in fedeltà prima ed in
fidelizzazione poi, livelli obiettivo a cui far tendere i propri clienti. E’
ovvio che nella customer satisfaction occorre investirci (costo
temporale
del
corteggiamento,
dell’acquisizione
e
soprattutto
55
dell’assistenza post-vendita) con un’ottica non di breve termine nella
vendita di un servizio finanziario, poiché potrà in seguito risultare
determinante sia per la redditività di transazioni ripetute nel tempo che
per la rendita prodotta dalla fedeltà.
2) Il tempo da dedicare al cliente è un fattore da monitorare e da
pianificare, proprio per la scarsità di questa risorsa fondamentale. Nel
classificare la clientela dovremo perciò non trascurare i diversi livelli di
impegno che comportano segmenti diversi in funzione di atteggiamenti
personali del cliente verso il servizio di consulenza finanziaria, di stili
di relazione, di disponibilità verso la delega, di informazione e
consapevolezza, di bisogno di rapporti umani ecc. , ma soprattutto in
funzione delle strategie adottate dall’impresa nel predisporre un piano
personalizzato di “Marketing di contatto”, suddiviso fra le fasi diverse
della ricerca del cliente, della sua acquisizione e del processo di
mantenimento, tenendo conto di una stima ormai consolidata
statisticamente, per cui il costo di acquisizione di un cliente nuovo è
circa 5 volte superiore al costo di mantenimento di un cliente esistente.
3) La diversificazione dei prodotti/servizio è un fattore che indica, da
un lato, l’innalzamento di maggiori barriere intorno al cliente e
dall’altro una ripetuta disposizione del cliente stesso alla soluzione di
più esigenze e quindi ad una progressiva fedeltà. Ma per il settore della
consulenza finanziaria, la diversificazione rappresenta soprattutto una
maggior sicurezza e minore volatilità del portafoglio servizi del cliente
stesso, il quale sarà normalmente meno soggetto all’andamento, anche
psicologico, di un unico mercato o di un unico prodotto. Fare cross
selling quindi è uno dei principali elementi di pianificazione
dell’attività del P.F.. La diversificazione poi, quando va nella direzione
dell’up selling, significa che il rapporto con il cliente ha intrapreso la
strada giusta in un’ottica di redditività, poiché si opera con una minor
sensibilità al costo del servizio da parte del cliente, che percepisce il
valore aggiunto della consulenza, dell’assistenza personalizzata e
56
dell’attenzione a lui rivolta dal P.F. ed è disposto ad acquistare servizi a
più alto contenuto di valore ( tipico l’esempio del cliente che, partendo
dal c/c bancario, inizia progressivamente ad usufruire di servizi
aggiuntivi specifici come le carte di credito, l’accredito di stipendi e
pensioni , l’addebito utenze, e poi accetta di affrontare esigenze via via
più complesse come un fondo pensione per la previdenza integrativa,
una gestione patrimoniale per l’accumulo delle risorse nel tempo ecc.).
4) La soddisfazione del cliente si misura anche in relazione al grado di
attività-passività dello stesso nel fornire referenze di nuovi clenti e nel
passaparola, elemento di fondamentale importanza nella crescita della
quota di mercato di un P.F. A questo obiettivo bisogna però lavorare,
nello specifico prestando un’attenzione peculiare al cliente che si
dimostra soddisfatto della relazione e dei risultati ottenuti con il P.F.
Tale cliente è certamente da inserire nella prima fascia della
segmentazione ideale del portafoglio, poiché è quello che rappresenta la
più importante risorsa di sviluppo in un’ottica futura, specialmente se il
P.F. riuscirà a gratificarlo con le più ricercate leve di fidelizzazione. Per
il cliente ancora passivo da questo punto di vista, dopo un’analisi
attenta delle specifiche motivazioni da rilevare con un’intervista aperta
( insoddisfazione latente, riservatezza, poca predisposizione al
passaparola), si tratta di intraprendere iniziative di marketing specifiche
che forniscano dei vantaggi specifici al cliente, nell’ambito delle sue
aspettative ricercate. Investire molto, quindi, in questo aspetto, è un
utile attività che favorisce la rotazione produttiva del portafoglio verso
una redditività di lungo periodo.
5) La rotazione del portafoglio, intesa proprio come attenzione
all’equilibrio del ciclo di vita dello stesso. Equilibrio che si deve
sostanziare sia nella miglior composizione media, per età anagrafica,
dei clienti ( ottimale sarebbe un portafoglio con età media intorno ai 4045 anni, che coincide con il massimo momento di accumulazione del
risparmio di un lavoratore), sia come flussi di turn-over tendenti ad una
57
durata di retention del cliente mediamente crescente. Questa
rappresenta nel tempo la più importante area da presidiare (perché la
più lungimirante). Gli strumenti da utilizzare in tal senso sono, oltre a
quelli della qualità del servizio per il mantenimento del cliente,
dell’innovazione, e del rapporto (partnership con il cliente), quelli del
marketing indirizzato verso le nuove generazioni di clienti (innanzitutto
i figli ed i nipoti dei clienti stessi), ma anche verso nuovi segmenti di
mercato
potenziale,
da
attrarre
con
iniziative
specifiche
di
comunicazione, sponsorizzazione, pubblicità, utilizzo dell’internet
marketing e degli sms telefonici, in linea con i gusti e le tendenze delle
nuove generazioni. Promuovere servizi specifici per un cliente di nuova
generazione significa non solamente attenzione alle esigenze di questa
fascia (Mutui prima casa, carte di debito, bancomat gratuiti per studenti
universitari, finanziamenti per master scolastici o corsi all’estero), ma
anche parlare la “stessa lingua”, colpire con la fantasia dei sistemi di
comunicazione e cogliere in anticipo i sogni di questa generazione di
clienti del futuro. Anche qui si tratta di investire, puntando non ad una
redditività che difficilmente potrà venire nel breve da queste tipologie
di transazioni, ma guardando oltre, al rinnovamento di un parco clienti
che sta invecchiando e che, al momento della trasmissione ereditaria
delle risorse finanziarie in gestione, non potrà trasferire anche la
fedeltà, senza che questa non sia viceversa acquisita prima con pazienza
e lavoro sui beneficiari di nuova generazione della stessa.
6) Un’importante area da monitorare per il P.F. è rappresentata dal
rapporto fra le commissioni di acquisizione e di gestione nel fatturato
prodotto; in pratica fra l’attenzione alla redditività prodotta dalle
transazioni sui nuovi servizi collocati a clienti (nuovi acquisizioni e/o in
assistenza) ed alla remunerazione che la banca mandante storna al P.F.
per l’attività di mantenimento del patrimonio gestito alla clientela.
Essendo quest’ultima parte delle commissioni di gestione che i clienti
versano direttamente alla banca nel corso della vita di un prodotto
58
gestito ( Fondi comuni, GPF, Fondi di fondi, Polizze Unit Linked ed
altro) l’equilibrio, che deve certamente tendere al rafforzamento della
componente “fissa” del Portafoglio, non deve però mai trascurare la
visione fondamentale, legata alla soddisfazione del cliente e quindi al
giusto mix di prodotti-servizi in grado di affrontare adeguatamente le
sue esigenze, le sue aspettative, le sue attitudini e propensioni verso il
rischio-volatilità dei prodotti in gestione. Non si dovrà mai scambiare
insomma l’esigenza di una maggiore redditività e stabilità di guadagno
di un Professionista a scapito degli stessi valori ricercati dal cliente,
specie se ritenuto strategico. Qui sta a volte il senso delle contraddizioni
e dei conflitti di interesse che si possono aprire fra il P.F., la Banca ed il
Cliente: e qui si vede il diverso senso di chi opera con una visione, non
solo etica, ma anche di lungo respiro della professione e chi invece
guarda al breve, con una logica di miopia professionale sicuramente
perdente in un contesto ambientale di questo tipo.
7) La stessa considerazione va fatta, nella composizione del portafoglio
di un P.F.,fra i prodotti di risparmio gestito (più redditizi, ma
mediamente più volatili e da valutare in ottica di lungo periodo) e di
risparmio amministrato (depositi di c/c, titoli di stato, obbligazioni,
titoli azionari, pct ecc.). La giusta Asset allocation del Portafoglio,
globalmente inteso fra i clienti di un P.F., determina quindi sia il livello
di redditività dello stesso, sia il livello di volatilità-rischiosità
complessivo ed orienta verso considerazioni di vario tipo il
professionista che desideri puntare al mantenimento di un cliente nel
lungo periodo piuttosto che alla
massima incidenza dell’utile nel
contingente. Certamente, a prescindere dalle considerazioni precedenti
sull’etica e sulla “vision” di periodo, vi è la forte necessità di operare
per favorire una crescita culturale dei clienti, orientandoli a soddisfare
esigenze di lungo termine con gli strumenti più adeguati (risparmio
gestito) piuttosto che con quelli che mirano solo una alla “disponibilità
59
immediata” del denaro, ai quali spesso tende il risparmiatore medio
italiano, specie dopo ogni ciclo negativo dei mercati finanziari.
In quest’ottica va presidiato il Portafoglio anche sotto il profilo
dell’eccesso di risparmio “immobilizzato” o a forte componente di
gestito azionario e di polizze, contro l’eccesso opposto di liquidità e/o
disponibilità garantita da titoli a breve, depositi in conto, pct, e altri
strumenti molto liquidi ma poco redditizi sia per il cliente che per il
promotore. Anche qui l’equilibrio deve essere ricercato a partire da una
giusta allocazione delle risorse in funzione soprattutto della Piramide
del risparmio, lo strumento che meglio degli altri rimanda ai diversi
bisogni del cliente ed alla selezione delle priorità ( liquidità, riserva ,
investimento, previdenza, extra-rendimento, protezione economica) con
servizi adeguati che li soddisfano in una dimensione temporale e di
rischiosità specifica. La Piramide è il driver del processo commerciale e
rappresenta il benchmark a cui tendere, permettendo il controllo
costante sull’effettiva allocazione del portafoglio rispetto alle strategie
scelte.
2.5
Dal Private Banking al Wealth Management, verso la
“ consulenza oggettiva”.
Abbiamo già introdotto in precedenza il concetto di Private Banking
quando, dagli inizi degli anni ’90, certi Istituti di Credito si sono
avvicinati con divisioni specifiche ad una fascia di clienti più facoltosi e
bisognosi di un servizio particolarmente personalizzato.
Una definizione di private banking potrebbe essere infatti quella in cui
lo si interpreta come “ l’offerta di servizi personalizzati e di elevata
qualità ad un numero limitato di clienti con grandi disponibilità e
bisogni finanziari complessi”.
60
Abbiamo anche fatto l’esempio di Banca Fideuram che, come target di
riferimento, ha scelto proprio la clientela di fascia medio-alta per
implementare la sua offerta di consulenza attraverso la sua Rete di
promotori finanziari.
In realtà il termine private banking
dovrebbe comprendere al suo
interno un tipo di servizio che difficilmente in Italia fino ad oggi è stato
erogato da parte del sistema bancario tradizionale, ma che sempre più si
sta affermando come una nuova importante frontiera competitiva. I
servizi predisposti per la clientela con patrimoni finanziari elevati ( a
partire da € 500.000), non dovrebbero essere solo di investimento, ma
abbracciare un certo numero di attività di questa fascia di famiglie
target, spaziando dal tax planning ai servizi di finanziamento, dai
servizi previdenziali- assicurativi alla gestione del patrimonio
immobiliare, dalla consulenza su opere d’arte a quella su altri beni di
lusso (preziosi, vino pregiato). L’idea è quindi quella di offrire un
ventaglio di servizi, il più completo possibile, finalizzato alla
soddisfazione di tutte le esigenze della sfera finanziaria del cliente,
proponendosi in questo modo come consulente di fiducia del cliente
stesso. Da qui nasce l’importanza per la cura della relazione, vista come
elemento distintivo di questo servizio.
Oggi in Italia, riportando i dati di recenti ricerche svolte per conto
dell’Aipb (Associazione Italiana Private Banking), ci sono oltre
700mila famiglie di questa fascia di patrimoni ( esclusi immobili,arte,
preziosi) per un patrimonio globale stimato di oltre 780 miliardi di euro,
rispetto ai 740 miliardi del 2004. I capitali di questo target sono dunque
in aumento. In quanto alla tipologia, il 98% delle famiglie Hnwi (High
net worth individual, la parte più ricca di popolazione) si concentra
nella fascia più bassa, compresa fra 0,5 milioni e 5 milioni di euro. Il
2% si colloca nella fascia intermedia fra 5 e 50 milioni e solo lo 0,1%
ha un patrimonio che supera i 50 milioni. Il polo principale è costituito
dalla Lombardia dove, essendovi prodotto il 20,8% del Pil, si concentra
61
invece il 25,9 % dei capitali investiti, principalmente nella piazza
milanese. Il Lazio e l’Emilia rappresentano le altre due regioni più
importanti per destinazione degli investimenti superiori al Pil prodotto.
Ciò vuol significare che la tendenza ad investire anche fuori della
regione di appartenenza è un fenomeno importante che prelude a scelte
basate sulla professionalità e sul consolidamento degli operatori
presenti su certe piazze, con strutture, organizzazione e risorse umane
più sofisticate ed attrezzate pronte anche ad attrarre una mobilità
interregionale dei capitali. D’altra parte è ben noto il fenomeno dell’off
shore che ha visto per anni i nostri capitali in fuga verso l’estero, in
direzione di Banche specializzate e con una esperienza di decenni in
materia . In Italia, secondo una fotografia del settore scattata lo scorso
anno dal centro studi Magstat di Bologna, la fetta più consistente dei
patrimoni, pari a 291 miliardi, è gestito dalle banche italiane che hanno
una divisione interna di private banking; seguono, ma con una porzione
ridotta pari a 42,3 miliardi di asset in gestione, le banche specializzate
italiane, poi con 41 miliardi, arrivano le banche d’affari straniere. In
crescita è anche la quota di mercato gestita dalle reti di promotori
finanziari con strutture ad hoc per il private, mentre più che un
raddoppio sull’anno precedente hanno fatto registrare le strutture di
family office, segno chiaro di come le famiglie di super-ricchi siano
sempre più alla ricerca di strutture di gestione esclusive, focalizzate
solo su un patrimonio o sul patrimonio di una cerchia ristretta di
famiglie.
Il numero di clienti private è ovviamente molto inferiore a quello dei
clienti retail : ciononostante sono molte le banche che già affollano il
ricco ma piccolo segmento private. Lo scenario è destinato a diventare
ancor più competitivo con un conseguente calo della redditività e la
necessità di grossi investimenti per battere la concorrenza. Le pure
private banks stanno investendo grandi somme nell’asset management e
nel settore della consulenza d’arte, sulla pianificazione fiscale e
62
successoria,
sugli
aspetti
legali
e societari,
sulle transazioni
immobiliari; ciò è possibile creando professionalità interne, ma
soprattutto dando vita ad alleanze e partnership con istituzioni
specializzate nei singoli segmenti di attività. A livello strategico si
aprono nuovi scenari e la competizione per assicurarsi clientela top
diventa quindi trasversale lungo una molteplicità di settori che prima
erano alleati nel fornire servizi e prodotti integrati verticalmente e
orizzontalmente proprio verso la clientela top.
Il grande interesse per il private banking è da ricercarsi nella reale e
potenziale redditività ottenibile da questo particolare tipo di clientela,
che può portare un rilevante contributo al conto economico di molti
operatori, basandosi sulle caratteristiche del nostro paese ( assai
superiore alla media europea nella produzione di risparmio, in ritardo
per quanto riguarda lo sviluppo potenziale connesso al grande business
dei Fondi Pensione e con un tessuto di piccola e media impresa che
supporta la creazione di ricchezza in modo ancora molto diffuso).
Ciò che particolarmente ci interessa nella nostra analisi
è rilevare
come, alla nozione di Private Banking, si collega un “modo di essere e
di fare banca” del tutto particolare, caratterizzato da personalizzazione
del prodotto-servizio offerto, livello di servizio elevato e orientamento
all’eccellenza
nella
produzione
delle
migliori
soluzioni
alle
problematiche finanziarie dei clienti, in un’ottica di gestione finanziaria
globale. Ciò richiede una particolare modalità di relazione tra
l’intermediario ed il cliente comunemente indicata con l’espressione di
“relationship banking”, cioè di esercizio dell’attività bancaria sul
fondamento di una relazione forte, duratura e multifunzionale con il
cliente. Diversamente, il retail banking si caratterizza per un’offerta
centrata sull’efficienza delle transazioni e non sulla relazione con la
clientela. Si sviluppa infatti, in questo secondo tipo di servizio, una
strategia competitiva che, attuando una segmentazione di clientela
63
fondata sull’uniformità dei bisogni, offre un prodotto-servizio, nella
maggior parte dei casi, standardizzato; si parla in questo caso di
“transaction banking”.
Dal confronto risulta molto evidente che l’attività proposta alla clientela
di elevato standing è diversa dall’offerta per il pubblico retail fin dalle
sue basi. Gli operatori di private banking, così come del resto i
promotori finanziari per il loro portafoglio, sono lontani dalla logica
della mass customization sulla quale invece si basa l’odierna attività
bancaria al dettaglio, orientandosi verso servizi tailor made costruiti su
misura. Il cliente tipo, ha oggi esigenze più sofisticate rispetto al
passato, che richiedono, quindi, sempre maggiori competenze ed
esperienza nel costruire tali soluzioni ad hoc. Il modello del private
banking è quindi orientato al cliente ed al soddisfacimento dei suoi
bisogni. Per un operatore di private banking e per un promotore
finanziario diventa così fondamentale avere un’opportuna delimitazione
della propria base clienti ed una conoscenza chiara di ognuno dei loro
bisogni per affinare l’offerta seguendo i distinti segmenti di mercato.
Oggi infatti il private banker o relationship manager non si misura più
tanto e solo sulla capacità di avere un grande portafoglio o clienti
facoltosi al seguito, ma lo si valuta sul servizio che è in grado di offrire,
perché è su quello che i big del settore possono fare la differenza nei
prossimi anni. Le persone con un’esperienza adeguata per diventare
davvero dei private banker oggi sono poche; non basta segmentare la
clientela e creare dal nulla una divisione dedicata con prodotti
sofisticati ed un’offerta ampia, magari riconvertendo alcuni bancari nel
campo dei titoli al nuovo ruolo, per vincere la sfida con le aziende
straniere che da tempo sono attive nel settore. Tutti gli operatori della
distribuzione si stanno convertendo alla consulenza, ma la differenza la
faranno ancora una volta gli uomini più preparati.
Il ruolo primario che il private banker ricopre nella relazione con il
cliente lo rende un asset importante per tutti gli operatori presenti sul
64
mercato. Egli è quindi fondamentalmente un professionista che deve
poter essere indipendente da pressioni commerciali, deve rappresentare
per il cliente un reale problem solver e non apparire come gestore o
venditore di prodotti finanziari; deve essere una figura professionale
completa in possesso di elevate ed ampie competenze sul piano
relazionale, tecnico e consulenziale. In certi casi si va appunto
affermando e diffondendo un modello organizzativo che prevede il
private banker come gestore virtualmente esclusivo della relazione,
nella veste di relationship manager, affiancato da uno staff di
specialisti che egli stesso coordina nel servizio al cliente.
Gli aspetti cruciali sui quali poggia l’attività di private banking
dovrebbero essere sempre presenti all’operatore e ben visibili al cliente
in ogni momento della relazione: il livello di personalizzazione, la
fiducia e l’affidamento totale del cliente al suo interlocutore, la
riservatezza che connota la relazione professionale, la trasparenza
assoluta nel rapporto.
Abbiamo già visto che i clienti private sono diversi e più sofisticati
rispetto ai clienti retail tradizionali. Dall’analisi del profilo di rischio
nascono quindi sentieri che portano alla scoperta degli aspetti rilevanti
del comportamento e del carattere o delle abitudini della clientela per
superare le vecchie logiche di prodotto o di asset class ed evolvere
verso la logica delle strategie e degli stili di investimento. Questi
richiedono una conoscenza approfondita sia del carattere che del
comportamento della clientela al fine di evitare potenziali conflitti o
insoddisfazioni. Dalla strategia di vendita quindi si sta passando ad una
vendita di strategie di investimento.
La segmentazione abbiamo visto essere il primo passo in una reale
strategia di marketing. Una volta che gli operatori di marketing
dividono il mercato in vari gruppi, possono poi selezionare i loro
65
“segmenti obiettivo” e disegnare “modelli di servizio” che soddisfino le
loro esigenze.
Nel complesso mercato del Private Banking, l’approccio tradizionale
ha dimostrato di non funzionare efficientemente, specialmente durante i
crolli dei mercati o dei tassi dove la relazione subisce un periodo di
stress non certamente benefico per il tipo di rapporto. Prima di
realizzare qualsiasi strategia di segmentazione occorre aver ben chiari
quali sono gli obiettivi che si vogliono perseguire. Nel settore
finanziario, in particolare nel private banking, un obiettivo particolare è
la verifica dell’esistenza di comunità relazionali interne; esso può
diventare un punto di arrivo per poi realizzare ulteriori innovazioni di
marketing finalizzate al rinforzo della relazione e della fiducia della
clientela. E’ evidente, a tal proposito, come tale obiettivo debba essere
perseguito cercando di identificare comunità con passioni condivise tra
i clienti e con i clienti oppure gruppi omogenei di aspettative, bisogni e
visioni, ricercando inoltre le affinità elettive tra i clienti ed il private
banker. Molti professionisti utilizzano solo dati demografici per
profilare i propri clienti e, così facendo, può darsi che trascurino le
percezioni che li condurrebbero a migliori clienti o li aiuterebbero a
lavorare più produttivamente con gli attuali clienti. Per superare questi
limiti allora è necessario coniugare gli approcci di segmentazione
operativa con quelli maggiormente legati alla psicologia ed ai
comportamenti dei clienti, poiché solo in questo modo sarà possibile
conoscerli nelle loro differenti dimensioni umane, lavorative e sociali.
E’ evidente che trattandosi di un’analisi all’interno del segmento
private, la finalità principale è quella di creare valore attraverso la
relazione e la soddisfazione del cliente nel lungo periodo. Considerando
le caratteristiche personali e finanziarie dei clienti private e che spesso
essi prendono decisioni su complicati livelli psicologici, occorre
identificare nuovi paradigmi di analisi che consentano di incrociare
contemporaneamente
i
loro
aspetti
patrimoniali,
emotivi,
66
comportamentali ed attitudinali. Occorre quindi valicare il muro
anagrafico (sesso, età, professione) ed entrare in un’analisi molto più
complessa e difficile, ma assolutamente necessaria per costruire il
rapporto di fiducia con la propria clientela.
In questo senso allora la segmentazione assume dimensioni differenti:
•
una dimensione orizzontale, quando cioè l’attenzione è posta su
variabili non modificabili e/o non determinate dall’ambiente
esterno.
•
Una dimensione verticale, quando cioè vengono analizzate nella
loro mutevole complessità quelle informazioni variabili nel
tempo, come la professione, il patrimonio, i bisogni, gli stili di
vita, la salute, le emozioni, le aspettative, i desideri.
•
Una dimensione trasversale, quando cioè vengono analizzate
contemporaneamente in un dato momento due classi di variabili
tra loro correlate come l’avversione al rischio e l’età, oppure gli
obiettivi patrimoniali e l’aumentare della complessità familiare.
•
Una dimensione circolare, quella più completa e utile, che
consente di analizzare contemporaneamente più variabili e la
loro auto-correlazione in un’ottica evolutiva nel tempo, tenendo
conto anche degli aspetti psicologici e comportamentali dei
clienti. Questa dimensione consente di profilare correttamente la
clientela tenendo conto di quelle variabili considerate rilevanti
dalle strutture di marketing in funzione dei modelli di servizio
adottabili che vanno dal personal financial planning al family
office.
I fattori quindi alla base di un complesso processo di segmentazione
possono poi essere molteplici: a) segmentazione su variabili personali e
famiglia; b) su variabili patrimoniali e finanziarie; c) sull’approccio agli
investimenti; d) su base psico-comportamentale (relazione con la
ricchezza).
67
Il fatto che molte strutture riservate alla fornitura di servizi di private
banking “tradizionale” si siano dimostrate alle volte inadeguate, nel
rispondere in modo puntuale e completo alle esigenze consulenziali
espresse dalla clientela e nel soddisfare le stesse, ha dato vita ad una
specie di “vuoto operativo”. In questo spazio hanno trovato
collocazione alcuni intermediari con un’idea di sviluppo per questo
settore assai diversa. Essi hanno iniziato a proporre alla clientela servizi
detti di “wealth management ”, cioè servizi di gestione della ricchezza
complessiva del cliente attuata con un approccio di personalizzazione
estrema, ponendo l’accento sul fatto di curare il cliente a 360 gradi in
modo individuale.
Alcuni autori definiscono appunto il wealth management come “quel
complesso equilibrio tra la domanda e l’offerta di un elevato numero di
servizi e prodotti che dovrebbero consentire alla banca di diventare il
centro di fiducia dei clienti per tutto ciò che riguarda il loro
patrimonio”. In realtà l’innovativo termine non nasconde un vero e
proprio concetto rivoluzionario: si tratta semplicemente del recupero di
quei valori originari che hanno caratterizzato l’attività di global private
banking.
Nella sua concezione primitiva, essa richiedeva la valorizzazione, non
tanto della capacità di un private banker di offrire validi prodotti,
quanto di costruirli su misura in base alle esigenze specifiche del
singolo cliente. Con il wealth management si assiste al cambiamento
dell’ampiezza dell’ambito di interesse che guida la relazione con il
cliente. L’attenzione viene posta sulle esigenze complessive del cliente
lungo l’arco temporale della sua intera vita, in una visione più globale,
il che vuol dire considerare la famiglia del cliente ed il patrimonio della
stessa nel suo insieme, anche se multibancarizzato. L’enfasi è posta
sulla relazione, sulla capacità non di offrire un prodotto standardizzato,
ma di costruirlo ad hoc, sulle esigenze specifiche e mutevoli del cliente.
68
Il passaggio dal private banking al “wealth management approach” si
concretizza ed identifica con il Servizio di Advisory: un approccio
fondato sulle esigenze del cliente e sui conseguenti interventi
consulenziali atti a soddisfarle e non più su prodotti meramente
finanziari. Per rendere possibile questa sorta di cambiamento di
approccio, il wealth management richiede che vengano distribuiti al
cliente non solo prodotti interni, ma anche prodotti di terzi. E’
necessaria perciò un’evoluzione delle modalità distributive che si
devono sempre più ispirare a strategie di “open architecture”.
Con questo termine si intende quell’approccio che permette al cliente di
avere un rapporto con la sua controparte che è, contemporaneamente,
gestore principale, consulente e amministratore del conto con cui aprirà
un mandato di gestione delegato in parte o nella sua totalità a gestori
terzi. Il gestore, in questo modo, si pone in veste di controllore dei
rischi e garantisce una gestione oculata. L’orientamento verso questo
tipo di modello strategico implica al professionista o alla banca una
serie di scelte gestionali di rilievo: in primis l’identificazione delle
“attività core” per il cliente che verranno svolte in via diretta, e di
quelle “no core” che saranno oggetto di esternalizzazione. Con il
collocamento di prodotti di terzi, che caratterizza tale approccio, si
rende necessario il ricorso ad una serie di tecnici e specialisti esterni
che attuano i loro interventi consulenziali in quelle aree di attività in cui
l’intermediario non ha competenza specifica o che ritiene comunque
opportuno delegare all’esterno. L’attivazione di qualificati consulenti
esterni è importante anche perché rende snella e flessibile la struttura,
non implicando una crescita dei costi fissi.
I principali limiti dell’approccio tradizionale al private banking, elencati
nella tabella 5, hanno costituito i veri fattori critici su cui puntare
nell’attività di wealth management per conseguire reali vantaggi
competitivi durevoli.
69
Tabella 5 – Private banking tradizionale e wealth management: limiti e fattori
critici di successo
Limiti private banking tradizionale
Fattori critici di successo del Wealth
Management
Business model
Cliente target
Focus sulla gestione dei patrimoni
Consulenza a valore aggiunto con gestione
finanziari della clientela, spesso
integrata di tutti gli asset della clientela
svolta in house.
tramite un modello di open architecture
Fissazione di soglie patrimoniali
Tipico cliente da private banking con
spesso basse: servizio rivolto a clienti
disponibilità di patrimonio più ampie e
private di fascia bassa e upper
problematiche diversificate.
affluent.
Incentrata sul servizio di asset
Incentrata sui servizi di advisory, in tutte le
management
sue forme, in base alle esigenze del cliente.
Relationship
Semplice interfaccia relazionale della
Problem solver nei confronti dei bisogni che
manager
clientela. Broker/gestore della
un cliente private può manifestare.
Value proposition
relazione.
Offerta
Offerta standardizzata e scarsa
Offerta altamente personalizzata sulla base
capacità di visione delle
delle esigenze dei singoli clienti.
problematiche dei portafogli private.
Leva competitiva
Focus sul prezzo
Focus sulla differenziazione dei servizi
offerti per segmenti di clientela specifica.
Politica di pricing
Commissioni di sottoscrizione dei
Minor sensibilizzazione al prezzo della
prodotti significative e di gestione in
clientela che percepisce l’importanza del
calo per la concorrenza del settore.
servizio consulenziale a maggior valore.
L’abbassamento delle soglie di accesso ed un tentativo di ridurre i costi
attraverso un certo livello di standardizzazione, unito alle difficoltà
incontrate nell’essere davvero problem solver per tutte le necessità del
cliente top, hanno cancellato parte dell’effettiva esclusività del private
banking. Il tentativo di abbracciare tutte le esigenze del cliente
rispondendo in ogni momento in maniera efficiente, soprattutto con
prodotti acquistati all’esterno, rappresenta l’idea davvero innovativa
del. wealth management.
70
Di recente, e precisamente con la Direttiva 2004/39/CE, nota anche
come MIFID, la Consulenza in materia di investimenti è stata
inquadrata tra le attività soggette ad autorizzazione, innalzandola per la
prima volta a livello di servizio primario e non più meramente
accessorio. Con questo importante passo, storico nel settore finanziario,
la Consulenza Finanziaria Oggettiva, nata per supportare l’investitore
individuale nelle proprie scelte di investimento, avrà sicuramente un
grande sviluppo sul mercato italiano dei servizi finanziari dei prossimi
anni.
Sotto il profilo del mercato, l’attività di consulenza finanziaria
oggettiva è fortemente coerente con una serie di tendenze in atto nella
gestione e distribuzione dei servizi di investimento ai privati. Rapporti
tra fabbrica-prodotto e distribuzione, rendimenti e costi del risparmio
gestito, proliferazione di canali e di prodotti, costituiscono i principali
elementi di contesto per il suo sviluppo. E’ in corso infatti un vivace
dibattito sul tema dell’integrazione verticale tra produzione e
distribuzione dei prodotti e servizi finanziari e assicurativi, I primi dieci
gruppi bancari italiani risultano in controllo delle fabbriche prodotto,
con una conseguente distribuzione baricentrata sui prodotti di casa. Nei
Paesi anglosassoni, invece, questa discussione non è presente in quanto
il settore finanziario è assai più specializzato e la consulenza oggettiva è
già una realtà consolidata da moltissimi anni.
Alcune banche-reti di promozione finanziaria fra le quali Banca
Fideuram e Xelion Banca, sono state le prime a sentire l’esigenza di
sviluppare un servizio specifico di consulenza per i propri clienti che
hanno i promotori come referenti (contrattualizzato, con un prezzo ad
hoc ecc,) e si stanno avviando ad applicare la MIFID in tempi brevi per
i loro P.F.
Nell’ambito del private banking, il servizio di consulenza finanziaria
oggettiva è necessario in considerazione dell’ampiezza e tipologia della
gamma
servizi
offerta.
Inoltre
tale
servizio
può
diventare
71
particolarmente attrattivo in un’ottica di sviluppo e acquisizione di
clientela raffinata come quella private. Grand’attenzione dovrà in ogni
caso essere prestata alla definizione delle politiche di prezzo, data la
sostanziale abitudine del cliente a ricevere un servizio di consulenza, sia
pure implicitamente, compreso nei costi dei servizi-prodotti.
Nel retail banking, nell’ambito dei clienti affluent, si giocherà la sfida
più difficile e, forse, più avvincente. Diverse motivazioni spingono a
favore dell’adozione di un approccio consulenziale.
Innanzi tutto esiste una domanda non soddisfatta. Alcune ricerche
parlano di un 20% circa di clientela affluent e private già interessati al
servizio di consulenza a pagamento. Tra i clienti affluent è elevata la
necessità di pianificare per tempo la propria gestione finanziaria, anche
alla luce della riforma del sistema previdenziale. Inoltre alcuni segmenti
affluent hanno chiare propensioni verso l’autonomia nelle proprie scelte
di gestione degli investimenti, che la consulenza finanziaria non
collegata alla vendita di prodotti specifici può consentire di indirizzare
con efficacia, almeno per la fase d’advisory, disgiuntamente da quella
d’esecuzione degli ordini.
Il recepimento della Direttiva MIFID da parte dello Stato italiano,
indubbiamente contribuirà allo sviluppo della figura dell’Indipendent
Financial Advisory ( IFA), in altre parole del consulente che opera in
modo indipendente dalle banche e dalle reti di promotori e che, per i
servizi resi, percepirà un compenso direttamente dal cliente attraverso
emissione di fattura, da cui l’acronimo Consulenti Fee only. L’IFA
potrà essere una persona fisica o giuridica ( il dibattito è ancora aperto
su questo) appositamente autorizzata alla prestazione del servizio di
consulenza. Come tale esso sarà considerato impresa e dovrà essere
iscritto in un apposito registro tenuto dalle competenti autorità. In
particolare, chi ha intenzione di esercitare esclusivamente tale attività,
dovrà dotarsi di un capitale minimo iniziale di 50.000 euro o
sottoscrivere un’assicurazione che copra 1.500.000 euro di indennizzo
72
ai clienti per eventuali danni patrimoniali provocati da negligenza
professionale. E’ prevedibile per questo che la maggior parte dei
professionisti, più che aprire un’impresa individuale, decideranno di
aderire piuttosto ad un network di consulenza o a studi associati. Ciò al
fine di abbattere gli elevati costi inerenti ai controlli cui sono sottoposte
le imprese di investimento, che sono gli stessi previsti per le imprese di
intermediazione.
73
Capitolo 3
Un marketing innovativo della consulenza finanziaria.
3.1
Customer satisfaction e customer loyalty : verso la
fidelizzazione del cliente risparmiatore.
Questo lavoro ha voluto innanzi tutto evidenziare l’evoluzione che,
negli ultimi venti anni, ha attraversato il settore della distribuzione dei
servizi finanziari e della consulenza, cogliendo in particolare le
peculiarità dell’approccio al cliente risparmiatore da parte del
Promotore finanziario.
Nel passaggio ad un contesto assai più complesso del mercato
finanziario, quale quello in cui oggi viviamo, una costante si è andata
affermandosi come il focus di riferimento per le varie figure
professionali che sono nate (P.F, Private Banker, Relationship Manager,
Consulente finanziario) e operano nei vari segmenti di mercato:
l’attenzione al cliente, sempre più considerato come la vera risorsa
scarsa del futuro. Ciò che in definitiva un’impresa bancaria e, a maggior
ragione, un’impresa di consulenza finanziaria dovrà necessariamente
fare per puntare ad un successo permanente nell’era della cosiddetta
complessità, sarà migliorare il livello di qualità delle proprie prestazioni
di servizi e, di conseguenza, partire dalla soddisfazione del cliente. La
clientela soddisfatta costituisce per ogni azienda di questo settore il
patrimonio più prezioso (il cui grande valore non risulta peraltro in
nessun bilancio). Ecco che dunque la tutela e la valorizzazione di
questo patrimonio diventano una priorità indiscutibile nella strategia
aziendale.
74
Fino a non molti anni fa la gestione di un’impresa di promozione dei
servizi finanziari era impostata sulla crescita del portafoglio clienti ed il
marketing significava per lo più conquista di nuovi clienti. Anche con
l’avvento della fase di maturità del mercato, in questo settore l’azione
di marketing ha continuato ad essere orientata alla conquista (sottrarre
quota di mercato e clienti alla concorrenza), assumendo perciò un’ottica
spiccata di “marketing competitivo”. Siamo oggi in quella fase invece
che ha richiesto un’ulteriore evoluzione del marketing in cui, appunto,
si rafforza in modo determinante la gestione della fidelizzazione, perché
essa costa assai meno della conquista. Il cliente risparmiatore, sempre
più esperto, tende a dare ormai per scontati i basics dell’offerta
(affidabilità del prodotto, prezzi competitivi, comunicazione corretta e
senza eccessi, accessibilità del prodotto, scelta di gamma ecc.). Inoltre i
prodotti sono fra loro sempre più simili e vengono imitati con rapidità
crescente. Sempre più diffuso è il ricorso al servizio di alta qualità per
disporre di un elemento differenziale capace di soddisfare e quindi
fidelizzare il cliente. Ecco dunque alcuni dei riferimenti capaci di
arricchire l’approccio verso un “nuovo marketing”: fidelizzazione,
qualità totale del servizio, grado di soddisfazione, gestione della
relazione con il cliente.
La soddisfazione dei clienti passa innanzi tutto dal mantenimento della
parola data e dal fatto che le promesse iniziali collimino con le attese
della clientela. Ciò implica alcune fondamentali priorità:
1) ascoltare il cliente per tutta la durata del rapporto : nella fase iniziale
del corteggiamento e del primo incontro, per poterne definire le
attitudini, i comportamenti, i modi di pensare e soprattutto i bisogni e le
attese; durante l’erogazione del primo servizio per monitorare le
attività; nella fase successiva alla vendita per verificarne l’esito. Per
questo motivo è indispensabile che il consulente guardi ai propri servizi
con gli occhi del cliente, che ci sia una coerenza tra i sistemi di ascolto
75
e gli indicatori interni di qualità e di processo. Il professionista deve
sempre anticipare e gestire le attese della clientela., dimostrando un
comportamento proattivo rispetto ai mutamenti in atto, valorizzando il
rapporto
relazionale
con
i
segmenti
di
domanda
interessati.
L’integrazione è massima, quando i processi aziendali si fondono con
quelli dei clienti in un’ottica di creazione di valore. In altre parole si
passa da una logica give/get ad una di partnership, propria
dell’economia di collaborazione, dove il cliente, normalmente
considerato dal consulente come destinatario dei servizi, diviene coprogettista e co-produttore. Quindi l’ascolto del cliente non deve essere
uno slogan: è inutile avere precise informazioni sulla persona se poi
non esiste la capacità/volontà di interpretarle e tradurle rapidamente in
azioni di miglioramento. Un corretto sistema di ascolto deve presidiare:
• la soddisfazione complessiva del cliente, con la finalità di conoscere la
sua percezione globale, di consentire controlli e confronti nel tempo e
di confrontarsi con la concorrenza, puntando ad un’ottica di wealth
management;
• la sua soddisfazione per specifici eventi chiave, con lo scopo di
raccoglierne la valutazione su particolari aspetti e di incentivare
l’emissione di giudizi affinché il suo ricordo rimanga vivo;
• lo stimolo e la raccolta di reclami, osservazioni e suggerimenti, che
consentono al cliente di comunicare con l’azienda quando lo ritiene
utile, permettono all’impresa di capire dove si concentrano gli elementi
di insoddisfazione e di dare la prova di saper gestire il recupero del
disservizio;
2) considerare i problemi dal punto di vista del cliente e strutturare
di conseguenza l’azienda, ripercorrendo tutti gli step che il cliente
compie (dalla ricerca del fornitore del servizio alla valutazione del suo
stato dopo l’erogazione dello stesso);
76
3) costante capacità e volontà di apprendere e, soprattutto, di mettere
in pratica ciò che si è imparato. L’impresa che investe solamente nelle
competenze tecnico-professionali riesce a migliorare il suo servizio di
consulenza finanziaria, ma questo è un aspetto che può essere
facilmente imitabile. Se invece investe contemporaneamente nelle
competenze socio-culturali, contribuisce a creare una cultura aziendale
orientata al cambiamento ed all’innovazione;
4) dimostrare responsabilità, esclusivamente nell’interesse del cliente;
5) aumentare la redditività dell’azienda attraverso il miglior
equilibrio interno di risorse;
6) stabilizzare ed espandere i flussi di profitto presenti e futuri
(cross- up selling, referals, controllo del ciclo di vita del portafoglio,
wealth management);
7) fidelizzare per attuare la miglior difesa contro le manovre
concorrenziali. Le preferenze generate nella domanda si traducono in
“meccanismi d’isolamento”, suscettibili di dilatare le distanze
concorrenziali. Inoltre la customer satisfaction implica l’ottimizzazione
dei processi aziendali critici, generando sistematici incrementi in
termini di benefici e contenendo, simultaneamente, i costi che il cliente
deve sostenere per acquisire i suddetti benefici.
8) non dimenticare che la customer satisfaction è un traguardo
mobile, spostato in avanti dall’azione dell’azienda e da quella dei
concorrenti.
Rimane tuttavia da precisare che lavorare in un’ottica di qualità totale,
alla ricerca dell’obiettivo della customer satisfaction, è un fattore
necessario, ma di per sè non sufficiente per assicurarsi la fedeltà del
cliente. Una cosa è avere un cliente che diventa fedele sulla scorta di
77
un’impressione buona, confermata da una scelta consapevole che ha
tenuto di conto delle diverse opzioni che il mercato offre e dei vari
elementi del servizio acquistato, primo dei quali la buona relazione
ritenuta un valore in sé; altra cosa è avere un cliente che non cambia,
perché nel contingente vede troppi ostacoli a tale mutamento, ma che
aspetta il momento propizio per andarsene, per vari motivi, pur se il
nostro servizio lo ha soddisfatto. È la differenza fra la partnership del
cliente e l’ownership. In quest’ultimo caso abbiamo solo la “detention”
del cliente, l’esatto opposto della loyalty, la fedeltà.
Per realizzare appieno le potenzialità derivanti da un portafoglio di
clienti fedeli è necessario essere molto selettivi: focalizzare in pratica
gli sforzi e gli investimenti per fidelizzare i clienti migliori, i clienti
giusti, non necessariamente i più facili da attrarre o i più redditizi entro
poco tempo, ma quelli che hanno intenzione di rapportarsi all’azienda
anche nel lungo termine.
Quante volte è capitato, ad un promotore finanziario di lunga
esperienza, constatare con una certa incredulità come certi clienti siano
rimasti fedeli, nonostante le performances dei loro portafogli non
abbiano corrisposto alle loro attese per lunghi periodi. E’ in questi casi
che, da una parte, si devono ripercorrere le tappe di una fidelizzazione
reale basata su fattori personali positivi, per estenderne il modello ad
altri clienti che presentano caratteristiche simili, ma anche per non
cullarsi mai sugli allori e verificare se non ci siano invece fattori di
abitudine e di inerzia in quei rapporti (che potrebbero venir meno in
qualsiasi momento la concorrenza abbia la capacità di individuarli). C’è
bisogno insomma di un continuo monitoraggio del rapporto e di rendere
il cliente attivo nella partnership propositiva e progettuale, piuttosto che
passivo e statico sulle posizioni acquisite.
78
Ci sono poi tutta una serie di piccoli accorgimenti e di modelli di
comportamento virtuosi che un consulente o un promotore non può non
tener di conto nella gestione quotidiana dei rapporti, utilizzando vecchi
e nuovi strumenti :
•
non dimenticare mai di ringraziare il cliente per la fiducia
accordatagli: al cliente piace sentirsi apprezzato;
•
capire se si sta lavorando bene e, se ci sono dei problemi,
reagire rapidamente;
•
assicurarsi sempre che il cliente ritenga di aver fatto la scelta
giusta;
•
riconoscere che nel processo di acquisto potrebbero esserci
concorrenti capaci di farsi apprezzare dai nostri clienti e dare
quindi sempre il meglio di noi;
•
creare un cliente esigente: se ciò avviene sarà più difficile per la
concorrenza riuscire a fidelizzarlo. Il cliente ha bisogno di
sentirsi speciale ed è necessario prendersi cura di lui;
•
creare momenti particolari nei quali far sentire al cliente la
nostra esclusiva attenzione a lui: i cosiddetti “momenti speciali”,
sul tipo della giornata del cliente;
•
venire incontro al cliente rispetto alle sue esigenze temporali ed
agli spazi di vita privata che non vanno troppo invasi (incontri
nei
luoghi
giusti,
all’ora
più
adatta,
con
la
giusta
ambientazione); rendersi disponibile anche in momenti extralavoro facendogli percepire il valore;
•
comunicare con il cliente non solo in occasione di un’offerta di
servizio, ma anche per informazioni utili, utilizzando i canali
innovativi tipo email, sms, news group;
•
ricompensare i clienti di lungo periodo e coloro che si rendono
attivi nelle referenze di nuovi potenziali clienti;
79
•
fare sempre promesse che possono essere mantenute, ma
mantenere anche vivo il “sogno” del cliente; dare divertimento
ed eccitazione per combattere la noia del cliente, che può
sempre spingerlo a trovare aria nuova con la concorrenza;
•
aiutare e consigliare il cliente anche in ambiti esterni o
complementari al campo di servizio (tipo evidenziare al cliente
come fare a risparmiare o come ottimizzare una scelta di
consumo).
Perché si possa parlare di fedeltà, e non di semplice abitudine, è
necessario che nel cliente si verifichino due condizioni:
-
uno stato psicologico, cioè un’attitudine della mente, che lo spinge
nelle sue scelte di investimento a prendere in esame un’unica
azienda e ad escludere le altre;
-
un modo di agire, cioè un comportamento di acquisto esclusivo.
Questo aspetto comportamentale è, a sua volta, influenzato da due
variabili:
-
l’importanza del servizio per il cliente;
-
la frequenza d’acquisto.
Al crescere delle stesse, aumenta il livello di esclusività nei confronti di
un’ unica impresa di consulenza finanziaria. L’obiettivo quindi di ogni
impresa sarà quello di spingere il comportamento della propria
clientela, da una situazione d’impulso verso quella esclusiva. E’ altresì
importante, affinché fra le due parti si instauri il circolo virtuoso della
fedeltà, che il loro rapporto sia fondato su due presupposti essenziali:
a) la reciproca fiducia
b) il commitment alla continuazione della relazione.
80
E’ già stato affermato che la Fidelizzazione (customer retention) ha un
effetto più potente sui profitti rispetto all’aumento della quota di
mercato, alle economie di scala ed alle altre variabili che comunemente
sono associate al vantaggio competitivo. Essa può apportare i seguenti
benefici, assolutamente importanti nel settore dei servizi di natura
finanziaria :
1) gli acquisti del cliente aumentano nel tempo
2) servire i clienti abituali costa meno
3) i clienti risparmiatori soddisfatti fanno un passaparola (referal)
positivo
4) i costi di vendita e di marketing sono ammortizzati nel corso di una
lunga relazione
5) il cliente soddisfatto potrebbe essere disposto a pagare un premium
price.
Il mercato dei servizi finanziari identifica oggi tre macrocategorie di
clienti, secondo fonti della McKinsey:
1) Service Seekers (35%): sensibili al livello di servizio e di consulenza
nell’acquisto.
2) Transactional (25%): molto attenti e sensibili al prezzo.
3) Relationship driver (40%): attenti alla relazione e poco sensibili al
prezzo.
I service seekers sono quei clienti molto attenti a ciò che viene loro
offerto in termini di servizio e di consulenza; hanno bisogno di consigli,
di essere indirizzati nel processo decisionale e riconoscono nel loro
interlocutore la persona esperta in materia, che si assume la
responsabilità di guidarli nella scelta migliore per loro.
81
Affini a questa tipologia sono i clienti attenti alla relazione e poco
sensibili al prezzo (relationship driver): sono persone che amano
essere coccolate, seguite, informate e che si aspettano che il loro
interlocutore si interessi a loro, che li informi sulle novità, che si “faccia
vivo” ad intervalli regolari e che non “sparisca” dopo aver venduto il
proprio prodotto. Si tratta di clienti molto attenti all’After Market e che
considerano il consulente come colui che deve essere continuamente in
contatto con loro perché venga mantenuto il rapporto nel tempo.
La terza categoria ( transactional) raccoglie persone che, essendo molto
attente al prezzo, cambiano fornitore in base alla convenienza del
momento. Chi opera on line, per esempio, ed in “fai da te” ha spesso
questa logica del risparmio ed inoltre si sentono spesso preparati a
sufficienza per fare a meno dell’esperto.
Possiamo evidenziare a questo punto, dopo questa analisi tipologica dei
clienti, la differenza esistente fra riacquisto e fidelizzazione: essa
risiede nel concetto di coinvolgimento.
Il coinvolgimento, infatti, costituisce la discriminante che differenzia i
due concetti, e si identifica con l’atto che esprime la volontà del cliente
nel desiderare la continuità del rapporto con il fornitore del servizio.
Esso può risultare spontaneo, se il cliente si muove autonomamente, o
stimolato se il risultato di un’attività di marketing aziendale. Questo
stimolo può essere causato, per esempio, da una campagna
promozionale o da un’azione di sensibilizzazione realizzata attraverso
direct-marketing, da incontri con opinion leader o da elementi facenti
parte del gruppo di riferimento del cliente: in questo caso il cliente si
attiva non solo per essere il nuovo acquirente di un nuovo servizio, ma
per essere un cliente fedele, confermando così la volontà di continuare
il rapporto con l’azienda di consulenza. Tale tipologia di motivazione,
spinta dal coinvolgimento, può essere riferita a fattori:
82
-
emotivi (legati alla situazione/momento);
-
emozionali (legati alle sensazioni provate);
-
ludici (legati al piacere del gioco),
e che sono, in ogni caso, attivanti. Come accennato, il coinvolgimento
del cliente può essere spontaneo (autoattivante), quando il cliente si
rende conto che vuol continuare ad avere un rapporto con il fornitore,
per cui non ha bisogno di essere sollecitato per ripetere l’acquisto e
rimanere fedele (lo ritiene buono e buono per lui). Questo primo tipo di
coinvolgimento, quindi permette la fidelizzazione. Il secondo tipo di
coinvolgimento è quello stimolato dall’azienda, che, resasi conto
dell’importanza di innalzare il livello dello zoccolo duro della clientela,
si attiva per la fidelizzazione della stessa. Questo avviene, per esempio,
attraverso il marketing relazionale o la personalizzazione del rapporto
con il cliente che, in questo modo, si sente oggetto di attenzioni che
rinforzano la sua percezione positiva al punto da confermare l’acquisto
e ottenere la fidelizzazione. Ciò si analizza attraverso il customer
retention rate, l’indice di ritenzione o fidelizzazione della clientela.
3.2
Il marketing relazionale e la partnership fra consulente
e cliente.
Nell’approccio fondato sul marketing della transazione (focus su
vendite e quote di mercato), il cliente viene considerato tale quando
l’individuo è il target delle iniziative di marketing e di vendita, mentre
nella prospettiva del marketing relazionale la situazione è diversa. Un
rapporto è un processo in atto. In certi casi avvengono collocamenti di
servizi o di prodotti, ma la relazione sussiste ininterrottamente, anche
negli intervalli tra una vendita e l’altra. Il cliente deve percepire la
sensazione che il promotore finanziario o il consulente è pronto ad
83
aiutarlo e sostenerlo sempre, nei suoi bisogni ed esigenze più varie, non
solo quando acquista un servizio-prodotto da lui proposto. Quindi una
volta che si stabilisce un rapporto, il cliente rimane tale nel tempo e
così deve essere considerato costantemente, in ogni manifestazione di
interazione. Le imprese che comprendono questo principio, e cercano
di applicarlo, trattano i loro clienti come clienti relazionali.
I motivi per cui i clienti adottano e partecipano ad una modalità
“relazionale” con il consulente e scelgono di reagire in modo
favorevole a questo approccio di marketing basato sul rapporto, sono
stati poco studiati. E’ possibile che il motivo principale sia il desiderio
di semplificare e di ridurre le possibilità di scelta (strategia delle
euristiche). Quando si trova un consulente affidabile le altre alternative
diventano meno interessanti (ancoraggio) per il cliente e ciò consente
di non prenderle adeguatamente in considerazione con un’ottica
razionale (ottimizzazione). Un’altra motivazione addotta è che,
instaurando una relazione, i clienti possono realizzare in maniera più
efficace gli obiettivi che si erano posti o che si volevano prefiggere.
Tali obiettivi possono essere i più vari come : la performance, la
riduzione dei costi, la riduzione della volatilità negli investimenti, la
semplicità, la liquidabilità dei propri risparmi, la pianificazione del
ciclo di vita familiare. Addirittura qualche studioso ha suggerito che i
clienti hanno la sensazione che essere coinvolti in una relazione sia un
fine in sé.
Si può ipotizzare che i benefici, che può rappresentare per i clienti il
mantenimento di una relazione con un professionista della consulenza
finanziaria, possono essere di tre tipologie:
•
sicurezza: minore ansia, fiducia nel consulente finanziario,
sensazione di affidabilità dello stesso;
84
•
benefici sociali: riconoscimento personale da parte dei
dipendenti, dei parenti ed amici, sviluppo di amicizie personali con
il consulente;
•
trattamenti speciali: servizi extra, prezzi di favore, precedenza
sugli altri clienti, gratificazioni ricorrenti.
I vantaggi relazionali legati alla sicurezza sono certamente quelli più
importanti nella valutazione della maggioranza dei clienti. Ciò significa
che il maggior risultato realizzabile da parte di un’azienda che adotti
una strategia di marketing relazionale, consiste nel dare ai suoi clienti
più sicurezza riguardo alla loro scelta di quanta ne proverebbero
rivolgendosi a qualsiasi altra azienda. In questo modo è possibile
ridurre al minimo od eliminare del tutto la dissonanza cognitiva, ossia
la sensazione di aver fatto in fondo una scelta che non è quella ottimale.
E’ chiaro poi che i vantaggi legati alla fiducia sono il risultato chiave di
relazioni di lungo periodo che risultano essere positive per entrambi.
Gli altri tipi di vantaggi relazionali sono anch’essi importanti.
Dovunque esistono contatti interpersonali, è possibile sviluppare
vantaggi sociali. I contatti di questo genere dovrebbero essere esaltati,
di modo che i clienti, per esempio, abbiano la sensazione di avere a
disposizione “il proprio professionista personale”. Sicuramente poi, per
quanto anche i trattamenti speciali siano considerati importanti da
molti clienti, il loro ruolo sarà meno rilevante.
Nel marketing relazionale un ruolo importante spetta ai concetti di
fiducia, impegno e attrazione.
La fiducia nel professionista può essere definita, per esempio, come
l’aspettativa che lo stesso, in una certa situazione, si comporterà in un
certo modo prevedibile. Se egli non lo farà, il cliente sperimenterà esiti
più negativi che nel caso contrario. Secondo certi studiosi poi (Johnson,
85
Grayson, 2000; Lane, Bachmann, 1996), il concetto di fiducia stesso si
può dividere in quattro sottocategorie, che possono derivare da fonti
diverse : fiducia generalizzata, fiducia nel sistema, fiducia basata sulla
personalità e fiducia basata sul processo. Per cui la fiducia dipenderà in
parte da esperienze passate nell’interazione con altre situazioni; in parte
da altri fattori, come contratti, regolamenti e norme sociali da un lato, e
fattori della personalità dall’altro lato, che ci si può aspettare inducano a
comportarsi in modo prevedibile secondo le aspettative.
Impegno significa che una delle due parti si sente motivata in qualche
misura ad intrattenere una relazione con l’altra. L’impegno è stato
definito anche come il desiderio perdurante di mantenere un rapporto
ritenuto prezioso. Un cliente si può sentire impegnato con un
consulente, per esempio, perché quest’ultimo si è rivelato affidabile ed
ha dimostrato di saper offrire delle soluzioni che sostengono in modo
positivo i processi di creazione del valore per il cliente. Se poi il
Consulente- Promotore finanziario
si
è preso
un
disturbo
supplementare per farlo, per esempio venendo incontro al cliente in un
momento per lui di forti richieste di lavoro, l’impegno sentito diventerà
ancora più profondo.
Il terzo concetto chiave nel marketing relazionale è l’attrazione. Questo
significa che ci deve essere qualcosa che rende un consulente
interessante per un determinato cliente, e viceversa. L’attrazione può
essere basata, per esempio, su fattori finanziari, tecnologici o sociali. Se
fra due parti esiste attrazione, vi sono le basi per lo sviluppo di un
rapporto; se invece l’attrazione manca, probabilmente le due parti non
avvieranno neppure il rapporto.
Non è ancora chiaro quale sia il rapporto tra fiducia, impegno ed
attrazione da un lato e lo sviluppo di relazioni
d’affari dall’altro.
Tuttavia si ha l’impressione che l’esistenza della fiducia in un
86
professionista e l’impegno con quel partner, possa avere un peso
maggiore per i clienti che attribuiscono maggior valore alla relazione in
sé.
Nel Marketing Relazionale diventa centrale il concetto di promesse:
•
stabilire un rapporto implica fare delle promesse;
•
per conservare un rapporto occorre mantenere le promesse;
•
sviluppare e rafforzare un rapporto significa che si fa una serie
di nuove promesse dopo aver immancabilmente mantenuto le
promesse precedenti.
Un’azienda di un promotore finanziario, una banca o un professionista
della consulenza che si preoccupa di fare promesse, può attirare nuovi
clienti nella prima fase della sua attività; tuttavia, se le promesse non
vengono mantenute, sarà impossibile tener vivo o rafforzare la
relazione in evoluzione. Mantenere le promesse fatte è altrettanto
importante per ottenere la soddisfazione del cliente, realizzare la
fidelizzazione della base della clientela e realizzare profitti a lungo
termine. Inoltre l’azienda deve prendere le giuste misure per accertarsi
di avere, da sola o insieme con i partner che fanno parte del network cui
appartiene, le risorse, le conoscenze, le competenze e le motivazioni
necessarie per mantenere le promesse fatte. E’ necessario insomma fare
sforzi sufficienti per legittimare le promesse.
Sappiamo anche che non è possibile fare marketing relazionale in
un’azienda di promozione finanziaria o di un professionista senza che
tutta la struttura a cui si collega (la banca-rete nel caso del pf) sia
partecipe con tutte le sue funzioni in questo “processo”. E’necessario
fare un salto di qualità di fondo in tutti coloro che incidono,
direttamente o indirettamente, sul modo in cui i clienti percepiscono
l’azienda, i suoi prodotti e servizi e la sua capacità di prendersi cura del
87
cliente stesso, a prescindere dal ruolo e responsabilità che le persone o
le funzioni possono avere all’interno dell’organizzazione.
Per concludere questo aspetto relativo al marketing relazionale ed alla
prospettiva della fidelizzazione, ci sono due elementi fondamentali che
possono sviare dalla “missione”. Tra le numerose implicazioni, è
necessario analizzare a fondo le istanze relative ai concetti di “customer
detention” e dell’ avvitamento senza fine della soddisfazione.
La “customer detention” è un vero e proprio deterrente per la crescita
ed il successo, in quanto vincola la scelta delle aziende creando una
fedeltà viziata, che in alcuni contesti diventa perfino obbligata.
Abbiamo già visto in precedenza l’appropriatezza del concetto di
partner rispetto a quello di owner, riferito al ruolo della clientela; il
“rapporto sinallagmatico” con la clientela si concretizza, in tal senso, in
ottica di lungo periodo, nel concetto di “matrimonio con il cliente”, in
modo che costui si trasformi in un partner realmente fedele (in quanto
non interessato dalle sirene della concorrenza). Una fedeltà obbligata,
invece, (detention) è tipica di quei casi di rapporto dove il numero dei
prodotti venduti è sinonimo di fedeltà, dove l’ingessamento dei
portafogli e le penalità per l’uscita, o anche le lunghe trafile
burocratiche più semplicemente, rappresentano barriere per un cliente
insoddisfatto propenso a cambiare banca o consulente. Alla lunga la
concorrenza riesce sempre in questi contesti a far breccia e comunque,
in quel rapporto, il cliente è sempre alla ricerca di una via di fuga.
L’avvitamento senza fine della soddisfazione è la trappola in cui le
aziende rischiano di cadere quando non sono consce (o non
sanno/vogliono verificare) del valore che offrono alla loro clientela.
Può accadere che, per accontentare la clientela, il promotore finanziario
decida di offrire prestazioni a valore aggiunto incrementale o a costo
zero, e quindi con redditività contratta o nulla. Se la situazione si
88
allarga o diventa una costante, questo crea un circolo vizioso, un vortice
che crea sconvolgimenti all’interno delle prestazioni del service mix e
che compromette la permanenza sul mercato, poiché sottrae margine di
contribuzione al businesss. Questa trappola può essere attivata dalle
aziende che cercano di erogare sempre extra-soddisfazione, al fine di
incrementare l’appeal, il valore della propria offerta e la fidelizzazione
del cliente, o magari semplicemente per timore della concorrenza: il
problema è che il cliente adegua subito le proprie aspettative alle nuove
offerte. Questo atteggiamento spinge anche la concorrenza ad offrire di
più; ma il cliente esigerà sempre di più e vorrà spendere sempre di
meno. “Fare di più con meno” diventerà in futuro una richiesta sempre
più pressante, con buona pace di ogni tentativo di fidelizzazione.
Infine, ma non per ultimo, ritengo opportuno focalizzare l’attenzione su
un aspetto che introduce al nuovo paragrafo di questo lavoro: i valori ed
il valore. Si tratta del modo in cui si può e si deve fare un passo in
avanti oggi, proprio partendo dalle esperienze negative del recente
passato nel settore finanziario.
Operare con la filosofia di dare valore ai valori, vuol dire comportarsi in
modo etico, riconoscendo appunto i valori che ci rendono partecipi e
consapevoli della società in cui viviamo, capire quanto oggi i
consumatori ed i risparmiatori ci chiedono prima di tutto : garantire
quanto promesso loro. Essi, infatti, non richiedono nulla di più di
questo. Quindi agire in una prospettiva di eticità significa mantenere le
promesse fatte. Il valore, che anche se apparentemente riduttivo, riporta
il concetto di customer satisfaction, è l’elemento guida nella tensione a
realizzare quanto il cliente ricerca, ovvero la massimizzazione relativa
del profitto del proprio investimento. Il modo etico di operare e la
massimizzazione dell’interesse verso il cliente si intersecano ancora una
volta nella filosofia win-win e nella partnership della clientela.
89
3.3
Un nuovo paradigma: il marketing dell’etica
L’incerto avvio del XXI secolo chiama gli imprenditori ed i manager a
profondi cambiamenti nella gestione delle aziende. I consumatori
stanno divenendo sempre più sensibili ai temi dell’etica. Le imprese, se
vorranno rimanere sul mercato, saranno chiamate a produrre beni e
servizi rispettando i lavoratori, l’ambiente ed i clienti. Dovranno
pensare, oltre alla remunerazione degli azionisti o ai loro utili ed alle
stock-options, anche alla trasparenza, fornendo corrette e dettagliate
informazioni. Chi lavorerà bene nel rispetto di queste regole avrà come
ricompensa il riconoscimento di moltissimi consumatori che saranno,
nel futuro, sempre più disposti a spendere di più e ad investire per
prodotti e servizi forniti da imprese che seguono principi etici.
Correvano gli anni ’70 quando, sulle pagine del New York Times,
Milton Friedman scriveva: “ L’unico dovere sociale dell’impresa è la
massimizzazione del profitto”. Erano gli anni del capitalismo
insofferente ad ogni regola. Fortunatamente le cose stanno cambiando.
Non a caso, recentemente, il Sole 24 Ore ha titolato un articolo così:
“L’impresa scopre l’utile dell’etica”. Due autori, W.Evan e E.Freeman,
hanno elaborato nel frattempo la teoria dell’impresa basata sul modello
degli stakeolders. Questa sovverte il principio per cui i manager devono
rispondere delle proprie azioni quasi esclusivamente agli azionisti,
sostituendolo con il dovere verso una serie di “stakeolders”(portatori di
interessi) dell’impresa, intendendo con questo termine fornitori, clienti,
dipendenti,azionisti e comunità locale. Il fondamento morale della
teoria risiede nel principio kantiano del rispetto delle persone secondo
cui esse (nel caso dell’azienda gli stakeolders) devono essere trattate
come fini in sé e non solo come mezzi.
Bisogna impegnarsi a considerare il cliente, non più solo come un
numero, ma una persona ricca di valori ed attenta ai principi etici.
90
Questo deve avvenire non solo perché gli imprenditori hanno il dovere
di diventare “buoni”, non solo perché è giusto seguire il principio
kantiano, ma soprattutto per il bene della stessa azienda. Gli americani
riassumono il concetto con il loro slogan : “ Good ethics is good
business”. L’etica risulta, infatti, rappresentare per le aziende un
differenziale competitivo molto forte, anche nel settore specifico della
consulenza finanziaria e nella distribuzione di servizi finanziari. Avere
comportamenti etici aumenta la capacità in generale di competere e fa
lavorare con maggiori soddisfazioni, ma può anche fare davvero la
differenza, in materia di fidelizzazione e di redditività, fra aziende di
consulenza che punteranno ad agire e a differenziarsi sul fronte della
chiarezza delle informazioni, della trasparenza dei costi e del rapporto
benefici/rischi per i clienti risparmiatori. L’utile rappresenterà, in
questo modo, non un fine per il professionista, ma la semplice
conseguenza di un lavoro che produce benefici ed utilità concreta per la
collettività.
Come ha detto un noto imprenditore italiano del caffè recentemente:
“L’immagine aziendale si può comprare, mentre la reputazione si può
solo conquistare”.
Oggi i clienti, che in tutte le imprese rappresentano il patrimonio più
importante, si accorgono subito, di solito, con che tipo di azienda hanno
a che fare. Un marketing dell’etica valorizza gli aspetti immateriali
dell’immagine aziendale, puntando ad una piena legittimazione
dell’azienda come portatrice di valori sani e soprattutto attenta
veramente, in primis, alle esigenze dei clienti partners.
Nella letteratura del marketing che ha dominato fino ad oggi, abbiamo
imparato che vi possono essere fondamentalmente tre orientamenti: al
prodotto, al mercato ed al cliente. Credo che è venuto il tempo di
91
aggiungere un orientamento all’etica. I principali benefici di questo
nuovo paradigma di cambiamento possono essere così sintetizzati:
•
miglioramento dei rapporti interpersonali;
•
realizzazione di un buon sistema che accolga i reclami dei
clienti;
•
creazione di un clima di fiducia tra tutti i collaboratori;
•
eliminazione dell’uso di qualsiasi pratica illegale;
•
aumento del fatturato.
Il passaggio dal marketing tradizionale al marketing dell’etica può
determinare, a fronte di limitati investimenti, notevoli vantaggi:
-
aumenta la notorietà,
-
rafforza la fedeltà nella marca,
-
promuove l’immagine ed il valore dei servizi di consulenza,
-
garantisce un posizionamento competitivo,
-
consente un radicamento specifico dell’impresa sul mercato.
Kotler ha definito il marketing mix come la “combinazione delle
variabili controllabili di marketing che l’impresa impiega al fine di
conseguire gli obiettivi predefiniti nel mercato obiettivo”. Quando
parliamo delle 4 P del marketing ci riferiamo, come noto, a: Prodotto
(product), Prezzo (price), Promozione (promotion), Distribuzione
(placement). Esprimendo quindi il concetto di marketing mix in termini
tradizionali, si potrebbe dire che un buon prodotto, dal giusto prezzo,
ben pubblicizzato e ben distribuito capillarmente sul territorio, ha molte
probabilità di incontrare le preferenze dell’acquirente. Questo concetto
esprime, nella letteratura prevalente finora, una visione del mercato
secondo l’interesse del venditore lasciando in secondo piano il punto di
vista dell’acquirente. Con l’applicazione di un marketing dell’etica,
cambia radicalmente l’approccio. Diventa cioè necessario pensare a
92
strategie aziendali avendo a riferimento il miglioramento della società
in cui viviamo ed il nostro microcosmo di attività. Possiamo, in
quest’ottica, ridefinire il marketing mix affermando che un prodotto o
un servizio può essere distribuito prestando attenzione all’etica.
Parleremo così dell’etica del prodotto, di etica del prezzo, di etica della
promozione e di etica della distribuzione, nel nostro caso riferite al
settore dei servizi finanziari.
Etica del Prodotto:
si tratta di valutare la sostenibilità etica del
prodotto-servizio. Capire se ciò che si propone ai clienti è utile alla
società. I servizi finanziari e di consulenza devono essere valutati
rispetto ai criteri del grado di utilità, dell’impatto socio-ambientale con
i bisogni dei clienti risparmiatori, della semplicità , della flessibilità,
della disponibilità in rapporto al ciclo di vita, del rapporto rischiorendimento. In relazione a questi criteri, mi piace ricordare che accurate
ricerche scientifiche hanno dimostrato che il cliente è disposto anche a
pagare di più per ricevere un servizio che corrisponda totalmente alle
sue esigenze e che sia distribuito seguendo criteri etici. Perseguire la
soddisfazione del cliente è un’attività fondamentale per ogni azienda.
Un cliente insoddisfatto è un cliente perso prima o poi; inoltre i risultati
di alcune ricerche mostrano che dare ad un cliente semplicemente ciò
che si aspetta non è sufficiente per ottenere la sua fedeltà. L’obiettivo
dovrebbe essere dargli di più di quanto si attende e quindi avere clienti
soddisfatti. Compito di un marketing etico, potrà dunque essere anche
quello di dare soddisfazione a tutta la “sfera dei bisogni”, inserendoli
in una più ampia concezione di servizio.
Etica del Prezzo:
il promotore finanziario/consulente, che segue i
principi del marketing etico, deve considerare questa variabile come
uno strumento importante per lavorare in modo corretto. Quindi sarà
auspicabile che, pur essendo l’elemento principale per determinare
l’utile aziendale a cui si dovrà comunque tendere, la politica dei prezzi
93
dei servizi di consulenza e sui prodotti collocati sia equamente
rapportata anche alle aspettative di performance ed ai tempi di durata
del servizio stesso per il cliente. Bisogna pur tener conto, tuttavia che,
quando il cliente pone un problema di “prezzo eccessivo”, di solito non
è quello al centro della vera contestazione; in realtà ciò che vorrà
esprimere è che la somma dei benefici che ritiene di ottenere da quel
tipo di servizio non giustifica il prezzo richiesto.Di conseguenza ciò a
cui si dovrà tendere maggiormente sarà la condivisione, all’interno
della relazione, dei valori complessivi per il cliente che il servizio dovrà
contenere.
Etica della Promozione:
Non è mai sufficiente sviluppare un “buon
servizio”, determinarne il prezzo eticamente corretto e metterlo a
disposizione del cliente; bisogna anche comunicare con lui per farlo
conoscere nell’insieme e farlo apprezzare. Nella scelta del messaggio
bisogna tener conto che i clienti non vogliono solo conoscere i benefici
di un prodotto, ma anche i possibili rischi rispetto agli obiettivi
prefissati, e soprattutto vogliono sapere quali problemi quel
prodotto/servizio risolverà. La Pubblicità, per esempio, per essere etica
deve fornire tutte le informazioni necessarie e non deve far uso di
tecniche che hanno l’obiettivo di manipolare o di suggestionare (come
siamo lontani dalla vendita a imbuto degli anni ’80). Una pubblicità
scorretta non solo non è etica, ma è anche disonesta. Non si potrà certo
far uso di comunicazioni che nascondono volutamente informazioni
utili e che mirano a far percepire al cliente elementi falsi rispetto al
servizio. I professionisti etici dovranno impegnarsi, in ogni campagna
pubblicitaria, a divulgare informazioni reali e corrispondenti a verità.
Naturalmente siamo ancora lontani da questi atteggiamenti, nella
maggior parte dei casi; ma è proprio questa la sfida per un impresa o
un’organizzazione che voglia fare del marketing etico la sua distinzione
sul mercato. Presentare per esempio un servizio di investimento,
94
fornendo informazioni parziali sui rischi, sulla volatilità, sui conflitti di
interesse, sui reali costi complessivi, rilevando solo le performance
dell’ultimo periodo (quando positive) , rappresenta un vecchio modo
(seppur ancora molto diffuso) di fare questa professione e lascia aperta
la strada per ogni impresa che voglia, con il cliente appunto,
condividere la costruzione stessa della soluzione riferendosi a tutti i
parametri informativi che sono ormai a disposizione su piattaforme
specializzate. Oltre alla pubblicità, nel marketing etico anche le
pubbliche relazioni possono rappresentare un altro utile strumento per
consentire il raggiungimento di elevati livelli di efficacia, poiché
mirano ad ottenere il consenso attraverso atteggiamenti di interesse
verso la socialità e comportamenti non puramente commerciali.
Etica della Distribuzione:
I problemi relativi alla distribuzione di
servizi e prodotti finanziari, attengono principalmente alla struttura
della rete di vendita ed alla gestione della stessa. Le decisioni più
importanti da prendere in questo senso riguardano aspetti quali la
remunerazione e la motivazione del personale; la fissazione degli
obiettivi commerciali e la valutazione dei risultati; il reclutamento, la
selezione e la formazione continua dei promotori. Qui si torna sul
rapporto fra Azienda partner e la rete delle imprese dei P.F, già
affrontato in precedenza. E’ dalla scelta di reclutamento in poi che le
Aziende devono puntare sul marchio dell’eticità, privilegiando
competenze, onestà e dirittura morale delle persone reclutate e
promuovendo un marchio etico fin dalla mission. Non è più possibile
investire risorse nel creare un servizio eticamente corretto, nello
stabilire prezzi adeguati, nell’investire in una promozione eticamente
corretta e poi farlo distribuire da promotori senza scrupoli che, pur di
vendere, per le pressioni commerciali e per l’errato rapporto di
relazione di partnership instaurato, imbrogliano o manipolano i clienti
proponendo servizi utili solo a procurare commissioni. A lungo andare
95
l’immagine dell’intero marchio aziendale perderà rapidamente valore
ed i clienti diffideranno di altre iniziative. Riconquistare la reputazione,
in molti casi, non sarà più possibile. Starà quindi all’estensione di una
cultura aziendale dell’eticità, di cui i manager dovranno farsi carico in
ogni tipo di comportamento, il futuro affermarsi di questa nuova logica
competitiva. Questo a partire dall’incentivazione dei P.F. che, anziché
basarsi solo su parametri di natura quantitativa (volumi di raccolta di
risparmio, premi assicurativi, risparmio gestito e qualunque altro fattore
di mera redditività aziendale che potrebbero produrre comportamenti
antietici), dovrà sempre più spostarsi su parametri di misurazione della
soddisfazione del cliente e sulla redditività prodotta dall’estendersi
delle relazioni improntate all’etica del rapporto, sul numero dei clienti e
sull’efficacia (cross e up selling) di un’azione assistenziale. E così
anche per le logiche a cui riferire la fissazione degli obiettivi aziendali e
la loro valutazione.
Prendendo in considerazione i clienti, fra gli attori da rispettare nel
Marketing dell’etica (gli altri non possono non essere i collaboratori
dipendenti, gli azionisti ed i fornitori), chi sceglierà di operare
eticamente, si dovrà impegnare a curare i rapporti anche cercando
risposte a domande come queste :
•
chi sono i nostri clienti?
•
Perché acquistano?
•
In che modo compiono le decisioni di acquisto?
I clienti sono prima di tutto persone e l’azienda stessa è formata da
persone; quindi il rispetto degli stessi inizia all’interno dell’impresa, nei
luoghi di accoglienza dei clienti, nella cura dei dettagli del servizio, e si
espande all’esterno applicando in modo coscienzioso le strategie di
marketing, anche quelle più aggressive. Essere parte di un’azienda
promotrice di iniziative ispirate al rispetto ed alla qualità, rafforza
96
la condivisione della mission aziendale e trasmette entusiasmo e
fedeltà.
Il cliente chiede all’azienda integrità, trasparenza e rispetto. Per
effettuare i propri acquisti ha bisogno di informazioni relativamente
semplici sui servizi e sui prodotti, è sempre più esigente ed attento, è
disposto a cambiare interlocutore se si rende conto che l’azienda non
soddisfa le proprie aspettative. Una recente indagine curata da Eurisko
ha messo in evidenza che il 60% dei consumatori è disponibile a non
acquistare i prodotti di una società che viola valori etici. Da qui il
valore economico, oltre che morale, di una scelta improntata verso
l’eticità.
La dichiarazione delle aziende di essere vicine ed attente ai propri
clienti spesso si scontra con la percezione degli stessi di essere visti
esclusivamente come “consumatori”. Riuscire invece ad instaurare una
relazione con il cliente, in quanto “uomo sociale”, può diventare per le
imprese un differenziale competitivo molto forte e rivoluzionario. Il
Marketing dell’etica garantisce proprio questo vantaggio: l’azienda si
presenta agli occhi del suo cliente come soggetto concentrato sul
sociale, come un soggetto attento a “tutti” i bisogni dei suoi clienti. La
grande sfida è già iniziata: la preparazione e la competenza tecnica di
un consulente finanziario stanno per essere superati per “valore” dalla
preparazione e competenza relazionale etica, laddove l’obiettivo
primario da “vincere” diventa “convincere”(win-win, vincere assieme)
e la leadership si fa etica per assolvere al suo compito originario, ossia
guidare con onestà e trasparenza verso la frontiera di un nuovo, diverso
successo. Dobbiamo iniziare tutti a vivere con un’altra mentalità,
eliminando l’io e vivendo il noi, passando dal come saremo al come
saranno quelli che verranno dopo di noi.
97
3.4
Oltre la fidelizzazione.
L’obiettivo di questo paragrafo è di andare ad approfondire un modello
di ricerca di nuovi, ulteriori sentieri, anche latenti, per riuscire ad
incoraggiare la fidelizzazione della clientela di un promotore o di un
consulente finanziario. Andare “oltre” la fidelizzazione è inteso in
quest’ottica secondo due diversi aspetti: un primo modo di concepire il
termine “oltre” è addizionale. In tal senso, con l’oltre ci riferiamo a ciò
che l’azienda può fare di più, ciò che può aggiungere e che può
realizzare di diverso per ottenere la fidelizzazione della clientela. Il
secondo modo di concepire il termine è esplorativo, e si riferisce
all’analisi di che cosa ci sia di importante e strategico all’interno della
gestione dell’azienda del consulente, che possa aiutare ad ottenere il
successo, non considerando, però, il cliente.
Il primo momento di riflessione è riuscire ad osservare la realtà
contestuale in cui vive l’impresa con un metodo di visione globale a
360°. Analizzare perciò le performance aziendali secondo ottiche
diverse: uno sguardo ai sistemi di sintesi ( performance dei prodotti,
performance dei mercati, concetto di valore), uno sguardo alla
destrutturazione (disaggregando ogni singola variabile, cercando di
cogliere tutti quegli aspetti importanti per il cliente), uno sguardo al
budget d’impresa, uno sguardo ai “processi”, uno sguardo alla
concorrenza, uno ai risultati, un occhio al presente ed uno al futuro. La
miopia e la presbiopia sono visioni sfasate che un moderno
imprenditore deve correggere al più presto. Avere una giusta visione “a
breve” ed “a lungo” serve quindi a combinare gli obiettivi di breve
periodo
con
quelli
di
più
lungo
periodo.Un
processo
di
iperfidelizzazione vede, come secondo momento importante, quello
dell’analisi delle performance sul cliente e del cliente con il metodo
della “disaggregazione bidirezionale della performance”.
98
Con il termine “performance sul cliente” ci si riferisce all’analisi dei
motivi per cui il cliente ci ha preferito alla concorrenza. Analizzando la
performance sul cliente si vogliono evidenziare con chiarezza e
precisione i fattori chiave di acquisto (FCA), che hanno costituito le
motivazioni del cliente nello scegliere la nostra combinazione prodottoservizio. E’ importante riuscire a dividere gli stessi fattori chiave tra
quelli relativi alla prestazione del prodotto (tecnici), quelli di servizio
(accessori) e quelli personali (relazionali). La combinazione pesata
degli stessi fattori ci permette di avere una chiara idea del perché il
cliente ha preferito la nostra offerta (combinazione prodotto-serviziorelazione). Solo quando ha una chiara percezione di queste motivazioni,
l’azienda di consulenza finanziaria si rende conto del proprio potere
discrezionale nei confronti del cliente e della concorrenza.
Tab.6
Accoglienza
Aggiornamento
Ascolto del cliente
Assistenza post-vendita
Attenzione al sociale
Banca telefonica
Barriere architettoniche
Burocrazia
Chiarezza
Clima interno
Coerenza
Collaborazione
Competenza professionale
Condizioni agevolate
Considerazione
Consulenza
Continuità di performance
Convenienza
Cordialità
Cortesia
Disponibilità
Disposizione ambientale
Esclusività
Estetica
Etica commerciale
Fattori chiave di acquisto di un servizio di consulenza finanziaria.
Fiducia
Flessibilità condizioni
Garanzia
Gentilezza
Home banking
Immagine
Impegno personale
Informazioni dettagliate
Innovazione
Internet
Notorietà
Orari flessibili
Organizzazione
Parcheggio
Partnership con il cliente
Passaparola
Personalizzazione
Portafoglio diversificato
Precisione
Presenza sul territorio
Prezzo
Privacy
Professionalità
Promesse mantenute
Promozioni e regali
Pubblicità
Performance
Qualità del servizio
Riservatezza
Sconti tariffari
Sensibilità alle esigenze
Serietà
Servizi accessori
Sicurezza
Simpatia
Solidità
Specializzazione
Storia passata
Strutture della rete
Trasparenza
Ubicazione
Velocità nel servizio
99
Successivamente, elevando le barriere all’ingresso, rinforzando i fattori
critici di successo emersi nella citata indagine e mettendo a fuoco i
vantaggi competitivi dinamici ad essi legati, si è in grado di creare quel
differenziale che permettono lo sviluppo ed il successo futuri.
Si tratta cioè di aumentare la consapevolezza nei confronti di ciò che il
cliente apprezza rispetto a quanto erogato; in termini di marketing
significa aumentare la propria sensibilità percettiva e confrontare ciò
per cui ci si ritiene forti con ciò che il cliente ritiene forte di noi. Per
fare ciò sarà opportuno determinare la performance sul cliente
analizzando i dati ottenuti attraverso una ricerca qualitativa sui nostri
clienti; il questionario, opportunamente predisposto, va somministrato
ad un significativo numero di clienti rappresentativi del portafoglio
individuale di ogni promotore/consulente finanziario.
La seconda disaggregazione riguarda le performance del cliente: si
esamina, in questo caso, il valore totale del cliente, componendo in
dettaglio la sua performance complessiva “sgranata” per ogni singolo
elemento tecnico e relazionale che la compone, senza limitarsi a
considerarlo come un semplice portatore di fatturato o di numero di
servizi sottoscritti. E’ opportuno in tal senso produrre una “matrice
della fidelizzazione” come riportata nella tabella 7. La sua costruzione
avviene in questo modo:
1) In prima analisi, si riportano i nomi dei principali clienti nella prima
casella in ordine di importanza percepita, posizionando al primo posto
quello ritenuto più importante, e così via in ordine decrescente. Questo
metodo di valutazione della clientela è esatto, ma riduttivo, in quanto
considera la gerarchia della clientela solo secondo una variabile (di
norma la RFA, ricchezza finanziaria amministrata). Suggerisco, invece,
di prendere in considerazione un novero di variabili (tecniche e
personali/relazionali più ampio, che permette di considerare la
100
performance dei clienti da un punto di vista olistico, e quindi più
completo rispetto alle esigenze delle imprese di consulenza finanziaria.
Potrebbero essere per esempio 5 fattori di natura tecnica e 5 di natura
personale, tutti elementi che devono rappresentare la scelta strategica
dell’azienda ( ciò a cui si guarda quando si sceglie un cliente e la loro
somma è la strategia aziendale).
Tab. 7
Matrice della fidelizzazione
Fattori tecnici
Fattori personali
Potenzialità dirette e ind.
Concorrenza
Cross selling
Subtotale tecnico
Assistenza
Rapporti umani / relazione
Difficoltà di gestione
Rapidità richiesta
Referals attivi
Subtotale persona
Somma ST + SP
Graduatoria finale reale
1.Bianchi
10
6
3
4
6
29
3
4
2
1
1
11
40
1.Renzi
2.Rossi
10
8
6
8
4
36
5
3
3
1
1
13
49
2.Ferri
3.Ferri
9
6
6
10
8
43
6
2
4
2
1
15
58
3.Magni
4. Poli
8
4
4
6
7
29
5
3
4
3
1
16
45
4.Adami
5. Renzi
8
10
8
7
8
41
4
5
4
3
3
19
60
5.Corti
6. Adami
8
9
8
0
3
28
4
4
3
6
6
23
51
6.Carli
7. Pieri
7
7
6
2
5
27
3
4
3
3
4
17
44
7.Rossi
8. Corti
7
6
8
6
6
33
3
3
4
4
3
17
50
8.Poli
9.Magni
7
8
10
4
2
31
5
6
5
3
6
25
56
9.Pieri
10. Carli
6
8
10
6
4
34
3
2
3
4
3
15
49
10.Bianchi
101
(B)
Graduatoria
inizialedella
clientela(A)
Commissioni procurate
SP
Ricchezza finanziaria
ST
Il numero di elementi tecnici e personali da inserire nella matrice può
variare a seconda di come si vuole impostare l’analisi e ancora di più in
base alla sensibilità verso gli uni o gli altri fattori.
2) Il secondo passo consiste nel dare una votazione da uno a dieci per
ogni singolo fattore, considerando di volta in volta tutti i clienti, e
valutandoli per quello che apportano in relazione al fattore considerato.
La valutazione finale del cliente si ottiene sommando in orizzontale la
contribuzione di ogni singolo fattore: ciò costituisce una “nuova
classifica”. Non c’è da meravigliarsi se la nuova classificazione
gerarchica della clientela riportata nel quadrante A è diversa da quella
del quadrante B, proprio perché, nella norma, il quadrante A riporta la
classifica dei clienti valutati in relazione ad un solo elemento (RFA);
nel quadrante B, invece, la somma dei giudizi estrapolati dai fattori
tecnici, personali, “strategici” per l’azienda, può evidenziare qualche
cambiamento, ma è la reale classifica della clientela. Il fatto poi che
qualcuno si ritrovi declassato, significa che la nostra considerazione nei
suoi confronti è alta, ma che il suo apporto totale reale è diverso e
quindi dovremo essere consapevoli che il suo posizionamento reale non
è quello iniziale, ma quello finale; lo stesso vale per chi risulta invece
promosso in classifica. Da questa valutazione matematica si evince
l’importanza di non considerare mai i clienti da un solo punto di vista,
che è al contempo miope e pericoloso. Nell’attribuire i punteggi si
procede con la logica aritmetica: elevata contribuzione, voto alto; scarsa
contribuzione, voto basso, ma con alcune eccezioni.
- La concorrenza: più è presente e pressante sul cliente in questione,
più il voto sarà basso (la pressione concorrenziale obbliga a extra
prestazioni, anche solo in termini di attenzione al cliente, e questa
rappresenta un costo cui, in questo caso, si attribuisce un voto basso).
Lo stesso vale per le voci assistenza, difficoltà di gestione e rapidità
di richiesta che, essendo elementi di costo, tanto più sono richiesti
102
tanto più concorrono negativamente alla creazione di valore per
l’azienda (riducendone i margini).Come si può notare, valutando i
clienti in base a diversi fattori, il giudizio globale cambia con eventuali
spostamenti in classifica. Il commento può essere fatto anche
analizzando solamente i fattori tecnici o quelli personali con grande
flessibilità perché la matrice va costruita in modo autoriferito ed in base
alle singole sensibilità nei confronti dei diversi fattori che la
compongono. Un cliente con basso fatturato, ma con una certa
potenzialità, va visto con un’ottica prospettica, ed è diametralmente
opposto a chi ha un alto fatturato e poca potenzialità. Va da sé che in
base alle priorità ed agli obiettivi si creano diverse classifiche. In
secondo luogo, nonostante certi clienti possono rimanere “bassi” nella
classifica, è giusto considerarli per il valore aggiunto che apportano; in
altre parole, nel momento in cui un cliente non crea problemi dal punto
di vista della concorrenza, perché è totalmente fidelizzato, anche se il
suo apporto di commissioni procurate o di cross selling non è elevato,
egli rappresenta comunque per l’azienda un elemento di contribuzione.
Un basso volume di provvigioni procurate può essere compensato da
una bassa pressione della concorrenza che avrà positivi risultati
nell’area della contribuzione. Ricordo infatti che l’area di redditività
non è solo quella economica, data dalla differenza tra i ricavi ed i costi,
ma è anche quella virtuale, data dall’assenza di necessità di sostenere
dei “costi di comportamento” in quanto il cliente non ha bisogno di
essere presidiato.
Il fine ultimo è quindi quello di considerare la clientela da diversi punti
di vista e la matrice della fidelizzazione, che in pratica è un vero e
proprio “scooring” della clientela, è uno stimolo di facile applicazione e
supportato dalla imparzialità dei numeri rispetto ai giudizi di valore.
Abbiamo già detto quali sono i presupposti per andare verso l’obiettivo
della fidelizzazione del cliente: attraverso un marketing relazionale ed
103
etico essa si implementa in tutte quelle azioni che un’azienda (sia essa
un promotore finanziario o un consulente o una banca ) compie e nelle
strategie che elabora per rendersi interessante agli occhi del cliente
risparmiatore, affinché questo non desideri cambiare fornitore.
Diversamente, andare “oltre la fidelizzazione” implica un piacere, da
parte del cliente stesso, a lavorare con quella particolare impresa.
Una strategia di marketing correttamente impostata non tende a
conquistare il cliente con una buona proposta di investimento
finanziario per poi abbandonarlo a se stesso: piuttosto è orientata a
mantenere un rapporto di fiducia e di aiuto, in alcuni casi perfino di
amicizia. Nel corso del tempo, si deve verificare se la scelta fatta
continua ad essere la migliore possibile; le situazioni, sia dei mercati
che del risparmiatore, possono cambiare: possono esserci occasioni più
interessanti e nuove opportunità nell’ambito del profilo di rischio
stabilito e della pianificazione del ciclo di vita familiare. Per questo
promotori finanziari e clienti si dovrebbero incontrare periodicamente.
Un contatto frequente e diretto è un fortissimo stimolo a migliorare, a
cercare opzioni più adeguate, e ad andare oltre. Si ha la fidelizzazione
di solito quando il professionista riesce a capire in via anticipata le
esigenze del cliente e riesce a soddisfarle nel miglior modo possibile,
non solo in materia di tassi e rendimenti, ma anche di rapporto
continuativo nel tempo. E’ stato dimostrato più volte che un cliente non
lascia una banca o un promotore per la differenza di mezzo punto
percentuale di rendimento o per la differenza di poche decine di euro
sui costi di un conto corrente, ma ciò può accadere se il cliente ricerca
una persona di fiducia o un vero consulente.
Il livello “oltre” si raggiunge quando il risparmiatore già fidelizzato è
disposto a collaborare con il proprio consulente finanziario, diventando
un “opinion leader”. Oltre la fidelizzazione può implicare di investire
104
risorse per motivare il cliente con la qualità; fornire un servizio
qualitativamente superiore e curarlo con attenzioni specifiche. Per altri
può esprimersi nello stimolare dei momenti in cui le idee possono
essere liberamente scambiate tra azienda e cliente; organizzare
periodicamente degli incontri per assicurarsi che, nel tempo, il servizio
erogato risponda sempre ai bisogni della clientela. Infine andare “oltre”
significa
saper
coniugare
efficienza
con
localismo,
servizi
concorrenziali con il dialogo consulente- cliente; il dialogo non è solo
un mezzo per avvicinarsi meglio all’utenza, ma la leva su cui agire per
generare vantaggio competitivo.
Il secondo modo di concepire il termine “oltre la fidelizzazione” è di
natura esplorativa. E’ infatti importante considerare anche cosa sia
fondamentale presidiare, al di là del rapporto con il cliente, per
conseguire il successo. Una strategia che non può non considerare altri
aspetti, oltre a quelli riferiti al cliente, si deve focalizzare sui concetti di
redditività, di lungimiranza, di virtualità, di dimensione, di
investimento.
-
La redditività
rappresenterà sempre comunque l’obiettivo
determinante per ogni impresa che voglia rimanere sul mercato in
posizione di successo, la cartina di tornasole che prova se le idee
strategiche sono state correttamente trasformate in marketing
operativo e percepite positivamente dal cliente.
-
La lungimiranza è una variabile di risultato e crea la storia
dell’azienda. Essa, nel terzo millennio, di sicuro sarà legata al
disaffezionarsi dalle precedenti decisioni di successo. Non cullarsi
sugli allori insomma sarà il dovere di ogni imprenditore di
successo, chiamato a guardare con rapidità e flessibilità ai sempre
più repentini cambiamenti del contesto in cui ci muoviamo.
-
La virtualità è l’altra scommessa del futuro per cui nessun
professionista o imprenditore potrà sottrarsi al confronto con lo
105
strumento di Internet e delle innovazioni che continuamente
saranno
chiamati
ad
applicare
in
tal
senso,
pena
una
marginalizzazione rapida dei propri fattori competitivi.
-
La dimensione
delle imprese in tal senso non costituirà un
particolare discriminante; essa sarà importante nei termini di
struttura di capitale e di diffusione rapida delle conoscenze oltre
che nel numero dei clienti ottimali per una proficuo relazione, ma la
variabile che l’accompagna e secondo cui essa acquista un senso,
sarà ancora una volta la redditività.
-
Gli investimenti di mercato sono un’altra variabile imprescindibile.
Oggi più che mai la ricerca e la conoscenza sono strumenti decisivi.
Per tutti diventa imprescindibile quindi investire nella ricerca di
ogni utile innovazione per il proprio settore: nei nuovi prodotti, nei
nuovi canali, nei nuovi modi di distribuire, nei nuovi modi di creare
soddisfazione.
106
Conclusioni
Questo lavoro vuole essere uno spunto per chi, soprattutto fra i
promotori finanziari con una certa esperienza professionale e chi si
accinge ad intraprendere magari nuove strade verso la consulenza
finanziaria “oggettiva”, intende sviluppare e sperimentare modelli
nuovi di approccio alla professione. Con uno sguardo al passato ed alle
grandi
trasformazioni
intervenute
in
questo
settore:dalla
fase
pionieristica della vendita di prodotto, che tanto ha insegnato a quei
venditori che, con costanza, forza di volontà e metodo invidiabili, si
presentavano ad una fascia ristretta di clienti per presentare servizi e
prodotti che da lì a poco avrebbero aperto, anche ai tradizionali
risparmiatori italiani, le strade per i mercati di investimento di tutto il
mondo; dalle esperienze che hanno visto crescere e professionalizzarsi
queste figure, in un legame esclusivo di supporto con le più importanti
banche specializzate; dai boom alle crisi ricorrenti dei mercati finanziari
e dalle alterne vicende nei rapporti fra risparmiatori e consulenti, spesso
con importanti crisi di sfiducia degli utenti nel sistema bancario tout
court.
Da tutte queste fasi si è andata nel tempo consolidando una tesi, che ho
voluto qui sostenere e arricchire con un contributo di esperienza
personale da operatore che lavora da venti anni in questo settore: quella
che un’impresa di servizi finanziari si deve oggi più che mai orientare a
fornire qualità totale in tutte le sue espressioni e considerare
definitivamente il cliente al centro delle sue operazioni di marketing
interno ed esterno. Il marketing non è morto, come sostiene qualcuno.
E’ certamente però arrivato il tempo di aggiornare il tradizionale
concetto legato alla crescita , alla conquista di nuovi clienti, con uno più
vicino al contesto competitivo attuale, fatto di un’offerta assai più
ampia della domanda e dove la fidelizzazione dei clienti esistenti
rappresenterà sempre più il focus a cui prestare ogni tipo di attenzione.
107
E allora è importante capire quanto possiamo fare per presidiare ciascun
cliente e considerarlo innanzitutto una persona, assumere atteggiamenti
etici in ogni fase aziendale, non solo perché è moralmente giusto, ma
perché conviene; passare dalla fase della classificazione (cluster) in
segmenti a quella della personalizzazione (custom) del servizio; partire
dalle esigenze specifiche di ognuno, coglierne il diverso peso e priorità
in funzione del ciclo di vita della propria famiglia; stabilire con il
cliente una vera e propria relazione che sfoci in una partnership, nella
quale si ottengano reciproci vantaggi e gratificazioni; lavorare per la
fidelizzazione a tutela del nostro vantaggio competitivo verso la
concorrenza, andare “oltre la fidelizzazione” con metodi nuovi di
approccio alla gestione del portafoglio e comportamenti aziendali tali
da far lievitare il rapporto.
L’avvento ed il rapido sviluppo di Internet non fa che accelerare questo
tipo di processo. Le innovazioni, anche attraverso il marketing virtuale,
vedranno competere sempre più selettivamente solo quelle imprese che
ne anticiperanno i contenuti e li sapranno trasferire in operatività
aziendale. Si apre un’era straordinaria per la complessità dei contesti e
per la rapidità di cambiamento degli scenari. Sta a noi accettare la sfida
che ci farà progredire verso una maggiore democratizzazione negli
affari e nei rapporti commerciali.
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