La mia Tesi su ” La fidelizzazione del cliente risparmiatore
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La mia Tesi su ” La fidelizzazione del cliente risparmiatore
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E DELL’ECONOMIA Corso di Laurea in Comunicazione e Marketing LA FIDELIZZAZIONE DEL CLIENTE RISPARMIATORE EVOLUZIONE DELLA CONSULENZA FINANZIARIA PROFESSIONALE Relatore Prof. Giovanna Galli Laureando Dario Cambi Anno Accademico 2005-2006 INDICE Introduzione……………………………………………………………….. 4 Capitolo 1. Da promotore a private banker. Un ruolo in evoluzione………………. 10 1.1 Il mercato e la nascita dei promotori finanziari……………………………. 10 1.2 Il marketing nella fase pionieristica della vendita dei prodotti finanziari…. 13 1.3 La professione del promotore finanziario partner della banca…………….. L’ampliamento dell’offerta e la sua qualificazione. 17 1.4 Il caso Banca Fideuram: una leadership nel settore……………………….. 23 Capitolo 2 L’ era della complessità……………………………………………………….. 31 2.1 Il “boom”dei mercati e la crisi storica d’inizio 2000. Conseguenze nel rapporto di fiducia tra clienti e sistema bancario……….. 31 2.2 Il cliente “al centro”. Segmentazione del portafoglio basata sulla tipologia dei benefici ricercati e sulla qualità della relazione……….. 36 2.3 Un modello di marketing individuale. L’analisi dei bisogni attraverso il ciclo di vita del risparmio…………………………………………………. 46 2.4 Il marketing del promotore finanziario. Diagnosi e pianificazione del portafoglio clienti con l’obiettivo della redditività di lungo periodo….. 51 2.5 Dal private banking al wealth management, verso la “consulenza oggettiva” 60 2 Capitolo 3. Un marketing innovativo della consulenza finanziaria …………………… 74 3.1 Customer satisfaction e customer loyalty: verso la fidelizzazione del cliente risparmiatore………………………….. 74 3.2 Il marketing relazionale e la partnership fra consulente e cliente………... 83 3.3 Un nuovo paradigma. Il marketing dell’etica…………………………….. 89 3.4 Oltre la fidelizzazione…………………………………………………….. 98 Conclusioni…………………………………………………………………… 107 Bibliografia…………………………………………………………………… 109 3 INTRODUZIONE La storia del mercato finanziario in Italia ha incontrato, nel corso degli ultimi venti anni, profonde trasformazioni, frutto di fenomeni interni ed esterni di portata rivoluzionaria . Il passaggio delle risorse del risparmio dai tradizionali libretti e depositi di c/c bancario e postale verso i titoli di stato prima e, progressivamente, dalla metà degli anni ’80, verso forme innovative di risparmio gestito e previdenziale (fondi comuni d’investimento, polizze vita di rendita e capitalizzazione, gestioni patrimoniali), ha introdotto nuove figure professionali ed ha cambiato radicalmente il rapporto fra cliente-risparmiatore e intermediario finanziario, fino ad allora basato sul ruolo consolidato e di “aspetto” degli Istituti Bancari tradizionali. In particolare le macro tendenze economico-finanziarie possono essere di seguito così sintetizzate: - la disintermediazione del risparmio allocato dai depositi verso i titoli di stato, in coincidenza con il periodo più buio del deficit pubblico dello Stato ( inizi anni ’80), per la loro capacità di fornire tassi di rendimento molto alti a fronte peraltro di un altissimo tasso d’inflazione. Si assisteva, pertanto, al triste fenomeno (tutto italiano) della nuova ricchezza finanziaria proveniente dalle rendite degli interessi, che in realtà nascondeva tassi reali bassissimi, se non negativi, e provocava parallelamente una corsa ai consumi drogata, contrassegnando nello stesso tempo un periodo di alti deficit dei bilanci pubblici di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. 4 - il successivo e salutare forte calo dei rendimenti dei titoli di stato (dopo la drammatica crisi finanziaria del 1992), che ha eliminato la possibilità per il risparmiatore di fruire di facili rendite “garantite”. In un primo momento questo fenomeno ha indotto i risparmiatori ad avvicinarsi rapidamente a strumenti finanziari a più alto contenuto di rischio (azioni, fondi comuni d’investimento ecc.) rimanendo, però, in seguito, per lo più delusi per i tracolli finanziari che hanno caratterizzato il mercato obbligazionario nel 1999 e quello azionario negli anni 2000-2002; - l’aumento dell’instabilità dei mercati finanziari ed il downgrading delle attese sui rendimenti medi degli investimenti; - la revisione dello stato assistenziale e dei sistemi pensionistici (in Italia ed altrove) che sta costringendo i risparmiatori a pensare di destinare una parte del risparmio verso forme di previdenza complementare ( polizze vita, fondi pensione); - una progressiva crescita dell’informazione a tutti i livelli che ha permesso al cliente-risparmiatore di formarsi un quadro di cultura finanziaria sempre crescente e, attraverso lo sviluppo d’Internet, la creazione di un nuovo e diffuso canale di distribuzione dei servizi finanziari on line, fenomeno questo che contribuirà a cambiare in modo profondo l’intero sistema finanziario. In questo contesto la nascita della figura del Promotore Finanziario, istituzionalizzata con la Legge 1/91, ha introdotto un elemento di novità nel panorama italiano (mentre nei Paesi anglosassoni questo era già realtà da diversi anni) venendo incontro soprattutto ad un accresciuto bisogno del risparmiatore di meglio orientare le proprie scelte di 5 investimento, di fruire di un servizio di consulenza volto a far luce sulla complessità dei mercati dopo i rapidi e frequenti sconvolgimenti in atto. Naturalmente la figura del P.F. non nasceva dal niente, ma prendeva spunto dalle esperienze, già in atto nel nostro paese, di un certo tipo di collocamento dei servizi finanziari fuori dal ristretto ambito bancario. N’erano un esempio pionieristico il collocamento dei primi fondi comuni d’investimento di diritto lussemburghese ( FonditaliaInterfund) e dei successivi primi fondi di diritto italiano (ImicapitalImirend) fatto dall’allora società leader del Gruppo I.M.I nel settore (Fideuram) e da altri strumenti analoghi collocati dai gruppi Monte dei Paschi di Siena e RAS, così come da altre numerose esperienze successive. Nell’ottica di estendere il collocamento dei prodotti finanziari attraverso l’uso di tecniche di vendita molto incisive, di emanazione anglosassone, si sono distinte poi le Banche e tutte le S.I.M. (società di intermediazione mobiliare) di emanazione bancaria createsi negli anni ’90, il cui sviluppo ha coinciso peraltro con la forte crescita del risparmio gestito in Italia e con significative performance reddituali degli Istituti Bancari. I fenomeni macro economici suddetti hanno poi, nel corso degli ultimi anni, provocato una crescita della “complessità” nella gestione delle risorse finanziarie, ma anche e soprattutto nella domanda di servizi di consulenza da parte dei clienti risparmiatori, spesso vittime della scarsa attenzione delle banche e di alcuni P.F. verso una giusta asset allocation dei risparmi loro affidati nonchè di un’inadeguata analisi della propensione al rischio dei clienti stessi, ma bensì verso una logica commerciale non più legata alla vendita dei prodotti finanziari, ma piuttosto volta a capire le vere esigenze derivanti dal ciclo di vita del risparmio delle famiglie. 6 Fenomeni definiti di “risparmio tradito”, coincidenti con crack finanziari nazionali ed internazionali ( Enron, Argentina, Cirio, Parmalat ecc. ) hanno poi completato l’opera di sfiducia già alimentata dalla stampa e dall’informazione verso il sistema bancario, dando luogo a fenomeni di disaffezione nel sistema tout court e di chiusura di una buona parte delle famiglie verso gli operatori tradizionali, fino a favorire fenomeni d’ulteriore allargamento dell’offerta di natura transattiva (Banco-Posta) . Da queste considerazioni e dall’analisi della professione del Promotore Finanziario, questo lavoro tenta di descrivere l’impresa alle prese con il marketing interno, con il rapporto che generalmente la lega ad una Banca, con la quale ha un tipo di partnership particolare, attraverso il passaggio dalla “vendita di prodotto” degli anni 80-90 verso un progressiva relationship con il cliente. Quest’ultimo si pone sempre più al centro dell’interesse e del “marketing di contatto”che il P.F. deve mettere in atto, resosi necessario da un’accresciuta concorrenzialità nel settore. Si tenterà quindi di analizzare quali sono gli strumenti per sviluppare una vera fidelizzazione del cliente risparmiatore, che ha magari già scelto uno o più servizi finanziari, ma che è sempre più attratto dalle “sirene” del mercato. La “Relazione” quindi, come soluzione verso la fiducia e verso la “retention”, passando per una prospettiva di qualità totale del servizio in tutte le sue componenti, tale da ottenere la customer satisfaction.. Spazio quindi per un nuovo modo di comunicare il servizio al cliente, per renderlo partecipe attivo delle scelte di investimento, della miglior composizione personalizzata dello stesso servizio, per offrire quella relazione che spesso tuttora è carente nel rapporto fra Banca/Promotore e cliente risparmiatore. Questo attraverso un impiego strategico del S.I.M (sistema informativo di marketing), un ruolo attivo e sempre più decisivo della Banca partner nel fornire strumenti tecnici, logistica, 7 supporto formativo e gestionale adeguati, un importante ruolo del personale di contatto adeguatamente formato e reso pienamente partecipe del progetto di fidelizzazione. Nel frattempo il P.F. si sta avviando verso l’ulteriore fase di sviluppo della sua professione, la “consulenza oggettiva”; dovrà definire scelte di marketing adeguate al contesto di riferimento specifico di ogni impresa ( non tutte le aree presentano medesime risorse e medesimo livello di cultura finanziaria, ogni cliente presenta proprie attitudini verso un servizio, verso l’innovazione, ogni segmento di clientela di un portafoglio ha necessità di specifiche strategie ); comporta anche di percepire nuovi paradigmi con i quali affrontare la domanda ed i bisogni emergenti. Un “marketing dell’etica”, per esempio, può rappresentare uno dei principali volani con cui si dovrà misurare il professionista della consulenza finanziaria nel prossimo futuro, consapevole di incontrare una domanda sempre più esplicita di pulizia e di trasparenza nel mondo degli affari economico-finanziari. Un capitolo a parte il lavoro lo dedica ad uno specifico studio sulla fidelizzazione del portafoglio clienti di un consulente/promotore finanziario. Un modello teorico, ripreso da studiosi del settore, che si accosta molto allo specifico marketing di chi oggi, se vuole mantenere vivo il proprio ruolo nel mercato e assicurarsi un futuro di successo, non può non considerare. Esso si basa innanzitutto sul concetto di “disaggregazione bidirezionale della performance, intendendo per tale un’approfondita analisi sia della performance sul cliente che della performance del cliente. Questo con l’obiettivo di andare appunto “oltre la fidelizzazione”, per ottenere una maggior consapevolezza del proprio potere discrezionale nei suoi confronti e nei confronti della concorrenza. Capire in sostanza da una parte i veri motivi per i quali il cliente ci ha scelto come partner consulenziale (fattori chiave d’acquisto), distinguendoli fra fattori tecnici (il prodotto finanziario), di 8 servizio (la consulenza ed il contesto) e personali (il cliente ha scelto noi come persona per la relazione che abbiamo saputo creare); dall’altra esaminare il vero valore del cliente attraverso una matrice di fidelizzazione che, aldilà della RFA (ricchezza finanziaria amministrata) o del fatturato procurato, focalizzi meglio fattori prospettici del potenziale di ogni cliente. Tutto quanto al fine di operare in un Marketing personalizzato e di settore capace di attivare le strategie di contatto necessarie a valorizzare una relazione duratura nel tempo e performance reddituali proiettate verso il futuro, al di là di ogni evento di mercato. 9 Capitolo 1 Da promotore a consulente finanziario. Un ruolo che cambia. 1.1 Il mercato e la nascita dei Promotori Finanziari. Sono certamente le situazioni interne ed internazionali accennate nell’introduzione ad aver favorito, agli inizi degli anni ’90, la nascita di soggetti imprenditoriali come appunto lo sono i Promotori Finanziari. Il bisogno crescente, da parte dei risparmiatori, di trovare interlocutori professionali competenti e motivati al punto di informare e contribuire ad accrescere la cultura finanziaria, di capire le sempre più raffinate esigenze d’allocazione del risparmio da parte delle famiglie, di suggerire soluzioni adeguate alle esigenze stesse e soprattutto di assistere personalmente e con la dovuta discrezionalità i clienti sempre meno inclini ad accontentarsi dei prodotti bancari generalisti, hanno progressivamente creato le condizioni per un riconoscimento giuridico di una nuova categoria di professionisti-imprenditori. La figura del Promotore Finanziario (P.F.) è stata introdotta nel sistema finanziario italiano dalla Legge 1/1991, che lo definisce come l’unico soggetto di cui l’intermediario bancario può avvalersi per l’offerta dei propri servizi fuori delle proprie sedi. L’esercizio di tale attività presuppone l’iscrizione ad un Albo Nazionale, previa il superamento di un esame a cura d’apposite commissioni regionali tenute presso le Camere di Commercio, di nomina Consob. Attualmente l’attività del P.F. è disciplinata dal Testo Unico della Finanza e da una serie di Regolamenti Consob molto precisi, che ne attuano di fatto un controllo molto severo nel rapporto con la clientela e negli obblighi di esercizio della stessa attività, pena sospensioni e/o 10 radiazione dall’Albo. Ciò ha determinato, nei fatti, un primo grande cambiamento nelle modalità di collocamento dei prodotti finanziari , creando una discontinuità con la precedente attività “porta a porta” di alcuni venditori specializzati che agivano per conto di società fiduciarie, in attività dalla metà degli anni ’70. Il legislatore voleva in sostanza venire incontro alle mutate esigenze del mercato del risparmio, dettate in primis dalla necessità di evitare esperienze precedenti poco edificanti come i crack di alcune società finanziarie (Europrogramme, OTC ecc.), avvenute in Italia a danno di molti risparmiatori per la mancanza di norme chiare nella sollecitazione del risparmio pubblico e, in secondo luogo, per seguire l’esperienza positiva del mercato finanziario statunitense, laddove figure professionali simili ai promotori finanziari stavano ormai da anni realizzando importanti risultati nella pianificazione finanziaria delle famiglie. Dall’introduzione della legge 1/91, buona parte dei gruppi bancari ed assicurativi italiani hanno creato reti di vendita formate da promotori finanziari con contratti d’agenzia, attraverso due modalità: costituendo una S.I.M., quindi un soggetto giuridico a sé, che distribuisce i suoi servizi esclusivamente attraverso i promotori, oppure creando una rete interna alla banca (soluzione meno praticata per i problemi di coordinamento e di concorrenza interna alla banca fra gli sportelli ed i promotori). Le finalità perseguite con la scelta di avvalersi anche di questo specifico canale sono varie e si possono così riassumere: a) la necessità di sviluppo orizzontale del portafoglio clienti, attraverso l’acquisizione di nuova clientela, tanto nelle zone tradizionalmente presidiate quanto in quelle di nuova espansione, nelle quali l’azione di sviluppo del promotore poteva efficacemente affiancare e anche 11 anticipare, se non addirittura sostituire, la presenza di sportelli della banca; b) l’assistenza e la consulenza ai clienti, per consolidarne la fiducia con un rapporto continuo e realmente personalizzato; c) lo sviluppo di clientela marginale, ma di alta potenzialità o di clientela attiva su di una gamma ristretta, ma mirata, con servizi ad alta redditività; d) lo sviluppo commerciale di particolari tipologie di prodotto o particolari segmenti di nicchia del mercato; e) una strategia di marketing che, sviluppando clientela di target elevato in un’ottica di personalizzazione del servizio, aumentava le masse con prodotti prevalentemente di risparmio gestito, in alternativa ai tradizionali strumenti di deposito e di raccolta in vigore nel decennio precedente (titoli di stato, certificati di deposito bancari), tipici del rapporto con gli uffici titoli delle filiali. Molte delle SIM costituitesi agli inizi degli anni ’90 si sono poi trasformate in Banche (vedi la fusione di Fideuram SIM con Banca Manusardi per dar luogo all’attuale Banca Fideuram), grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, che hanno permesso l’utilizzo dei servizi bancari anche in assenza di agenzie diffuse su tutto il territorio. Ciò ha consentito altresì lo sviluppo di sportelli “leggeri” per supportare la rete dei promotori nella gestione dei conti correnti, dei servizi accessori e nelle operazioni in titoli. In quest’ottica il mercato si è così ampliato, si è concentrato intorno alle Reti più importanti, ed oggi più della metà dei promotori attivi opera per conto delle prime cinque-sei società (Banca Fideuram, Xelion Banca, Banca Generali, Banca Mediolanum, Azimut, RasBank). 12 1.2 Il marketing nella fase pionieristica della vendita dei prodotti finanziari. Prima della nascita della figura del P.F., il mercato finanziario conosceva, come si è detto, figure di venditori (si definivano allora impropriamente consulenti finanziari) reclutati per lo più dalle Società fiduciarie di Istituti Bancari ( Fideuram era la società fiduciaria del Gruppo IMI già dal 1970 ), allo scopo di collocare esclusivamente alcuni tipi di prodotti finanziari innovativi che in Italia stavano entrando, dopo alcune esperienze di collocamento attraverso multinazionali americane (IOS). I primi fondi comuni erano di diritto lussemburghese (Fonditalia, Interfund, ISF, Italfortune ecc.), strumenti collettivi di gestione del risparmio già attivi in Europa e, sull’onda del successo già avuto da analoghi strumenti negli USA, divenuti attraenti per i risultati che riuscirono a realizzare in quegli anni. La logica dei venditori reclutati da queste società pionieristiche (Fideuram, Dival), era soprattutto quella di collocare quel tipo di prodotti nella cerchia dei clienti potenziali più evoluti ed informati (professionisti, lavoratori autonomi ecc.) e soprattutto nelle famiglie che affidavano loro i risparmi sulla base del prestigio e del carisma del consulente (spesso uscito dalle Banche per intraprendere quel tipo di attività in proprio) e quindi in possesso di un bagaglio di fiducia già acquisito in precedenti rapporti. Si trattava della vendita di un prodotto finanziario innovativo, quindi, presentato con brochure e grafici sulle caratteristiche e sui rendimenti fino ad allora realizzati, ma soprattutto frutto di un impatto nuovo con 13 un risparmiatore disinformato, tradizionale, timoroso e nello stesso tempo sognatore, sospettoso di ogni novità che potesse in qualche modo mettere a rischio il risparmio faticosamente accumulato, ma attratto da rendimenti molto interessanti. Di fronte a questo difficile mercato, il venditore di prodotti finanziari dei primi anni ’80 veniva reclutato e successivamente addestrato, più che per conoscere il mercato finanziario e l’offerta esistente dei prodotti bancari e postali, per attrezzarlo con tecniche di vendita persuasiva particolarmente aggressive (ad imbuto) che, in ogni caso, presupponevano un duro e paziente lavoro di contatto con il mercato per ottenere un risultato. Una palestra importante di vita e di relazioni, una dura selezione fatta dal mercato, nella quale i più assertivi e professionali (oltrechè onesti) hanno saputo forgiarsi ed hanno gettato le basi per una dimensione professionale futura di grande utilità sociale ed economica. Pochi “consulenti” a quel tempo possedevano uffici propri, le riunioni di formazione venivano effettuate dai Manager negli alberghi ed il training consisteva in ripetuti “role playing” per testare il livello di autonomia del neo-reclutato ad affrontare il potenziale cliente da solo, senza il supporto del supervisore di gruppo. Si analizzavano in sostanza le tecniche per la telefonata (con l’unico scopo di avere un appuntamento), per l’approccio iniziale (tendente a rompere il ghiaccio), per la vendita dell’intervista (allo scopo di rilevare le principali esigenze del cliente e la sua posizione finanziaria), per la successiva presentazione del prodotto (in realtà erano inizialmente uno o due fondi comuni in forma unica o attraverso Piani d’accumulo mensili) e soprattutto per il superamento delle obiezioni necessarie per poi concludere la trattativa con la firma della proposta di investimento. Importantissima in quel contesto era poi, dopo la conclusione del contratto e l’inizio del rapporto con il nuovo cliente, la richiesta di altri nominativi (conoscenti e/o parenti) per alimentare delle referenze attive in grado di agevolare il compito del consulente nel pianificare il suo lavoro di nuove telefonate 14 ed incontri. Una programmazione del lavoro meticolosa, parcellizzata sugli obiettivi di vendita, verificata attraverso incontri con il supervisore ed il manager per la trasmissione degli obiettivi ( per lo più quantitativi) e per la gestione delle motivazioni, sempre essenziali in quel duro impegno commerciale. I guadagni dei “consulenti” migliori, in compenso, erano molto buoni ed alimentati da incentivazioni e contest molto ambiti, frutto di una politica retributiva che, partendo dalle elevate commissioni di collocamento e d’acquisizione dei clienti, nei primi anni d’attività non consentivano soste o rallentamenti nel lavoro, ma bensì un costante sforzo verso il raggiungimento dei sempre crescenti obiettivi assegnati della società mandante. Solo nel tempo si è raggiunto un equilibrio fra le provvigioni di acquisizione e quelle di mantenimento, quando le società presenti sul mercato hanno incrementato l’offerta e la concorrenza per attirare a sé i migliori consulenti, dando vita ad un progressivo miglioramento dei margini per il mantenimento del portafoglio, che così rappresentava il miglior incentivo verso una vera pratica di assistenza al cliente e di difesa dello stesso dalla concorrenza del mercato. Si iniziò a quel punto a parlare di offerta diversificata del consulente, attraverso l’aggiunta di altri tipi di prodotti (polizze, certificati di deposito, gestioni patrimoniali personalizzate, prodotto finanziari atipici), frutto dell’innovazione delle case prodotto e talvolta degli stessi “consulenti” che sapevano cogliere, attraverso il metodo costante delle riunioni e laboratori di gruppo, i vantaggi espressi dalla creatività dai singoli e dal desiderio di emulazione nei confronti dei migliori. Con questo metodico lavoro individuale e di gruppo all’interno delle Reti di vendita, si sono andate innovando sempre di più le tecniche di gestione del cliente e del superamento degli ostacoli posti dai cattivi andamenti dei mercati azionari e obbligazionari che concorrevano, in certe fasi, alle cattive performance dei prodotti venduti. 15 Una logica di marketing quindi, che passava dall’orientamento al prodotto all’orientamento alle vendite in uno scenario caratterizzato inizialmente da una domanda sostenuta con il concorso di una limitata competizione tra aziende, con prodotti poco numerosi e con lunghi cicli di vita, sulla selezione dei migliori venditori e sulla psicologia della vendita (nel quale contesto aziende come Fideuram si sono conquistate la leadership di importanti nicchie di mercato, fino a raggiungere risultati di rilievo europeo nella gestione delle masse finanziarie e nel numero di clienti). Un mercato che era ancora sostanzialmente dominato dalla presenza di una pressoché assoluta inerzia innovativa da parte degli Istituti Bancari tradizionali, i quali, forti della loro presenza sul territorio, non operavano nessun tipo di marketing, ma sfruttavano passivamente gli importanti spread che ancora esistevano fra raccolta ed impieghi finanziari al fine di presentare bilanci molto ricchi. L’ambiente in cui, successivamente alla fase dell’orientamento al prodotto, si sviluppa l’orientamento alle vendite, è contrassegnato da una sopravvenuta (e via via sempre più intensa) competizione tra aziende concorrenti. I prodotti ed i servizi messi a disposizione di una clientela sempre più ampia, hanno cicli di vita più brevi, ma aumentano nel numero e nel tasso di innovazione. La relazione tra domanda ed offerta è in tendenziale equilibrio, ragion per cui si diffonde la convinzione che non basti più semplicemente produrre per vendere e che, di conseguenza, è necessario stimolare la clientela all’acquisto. Si passa quindi dalla fase pionieristica della vendita dei prodotti finanziari, ad una stagione dove le Banche escono dal loro letargo ed entrano in competizione, spinte anche dai sempre più ridotti margini di intermediazione e dal calo progressivo dei tassi di interesse per cui, con i “vituperati” prodotti e servizi di innovazione finanziaria, fino ad allora territorio esclusivo di poche Reti di consulenti, si avvia la rivoluzione 16 del mondo del credito, verso l’offerta di “Risparmio gestito”in alternativa ai tranquilli ma meno remunerativi Titoli di Stato. Nascono così, con la Legge n° 1/91, nuove figure di operatori; si parla da allora di Promotori Finanziari, di S.I.M. e la concorrenza nell’offerta dei prodotti di risparmio diventa globale ed investe tutte le aziende di credito,oltre alle più forti Reti di distribuzione sopravvissute alla selezione del mercato. 1.3 La professione del Promotore finanziario partner della Banca. L’ampliamento dell’offerta e la sua qualificazione. Gli anni dopo la crisi del 1992 rappresentano un primo grande cambiamento nel mondo del risparmio in Italia ed i Promotori finanziari si avviano a diventare una figura di primo piano nel rapporto con le sempre maggiori esigenze delle famiglie per la pianificazione del risparmio. Ai fattori di natura demografica (progressivo invecchiamento della popolazione) si aggiungono via via fattori micro e macroeconomici (globalizzazione, politiche di rientro dai deficit pubblici, abbassamento e successiva stabilizzazione dei tassi di interesse, nascita dell’Euro) e fattori tecnologici (esplosione di internet, innovazione nei software, infrastrutture tecnologiche); da essi prendono spunto importanti fattori di cambiamento finanziari (evoluzione del corporate, volatilità e correlazione dei mercati finanziari, sviluppo mercati telematici, ingegneria finanziaria, finanza on-line). Le SIM principali, come detto prima, si trasformarono in Banche-Reti; alcune delle quali puntarono ad una presenza territoriale di “sportelli leggeri” che affiancava la Rete dei Promotori fornendo i servizi tipici 17 della filiale bancaria, altre puntarono su “banche virtuali”, ed il ruolo dei P.F. si legò, attraverso mandati d’agenzia con l’azienda bancaria, ad un tipo particolare di partnership nella quale il Promotore si impegnava a sviluppare, assistere e presidiare la clientela dei risparmiatori con i servizi, prodotti e strumenti tecnologici e logistici che l’Azienda bancaria metteva a sua disposizione. Nascevano così reti d’Agenzie territoriali ed Uffici di Promotori Finanziari in tutto il paese, ognuno dei quali era attrezzato con ambienti, dipendenti, tecnologie adatte a ricevere con la massima discrezionalità i clienti risparmiatori. Le reti di distribuzione, attraverso le strutture manageriali, avviarono un aggressivo programma di reclutamento (per lo più orientato a target medio-alti di operatori degli uffici titoli e dirigenti di filiali del mondo bancario territoriale) e nel contempo si iniziarono corsi di formazione sempre più qualificanti (orientati alla professione del P.F, in preparazione dell’esame Consob per l’iscrizione all’albo, sui prodotti finanziari e sulle nuove tecniche di pianificazione finanziaria) . La caratteristica principale di questo tipo nuovo di Partnership, che si instaurava tra la Banca ed un sempre crescente numero di imprenditoriprofessionisti (in quanto iscritti ad un Albo), era proprio la comunione di interessi relativa alla gestione della risorsa principale comune, il cliente risparmiatore. Addirittura il cliente poteva, in un certo qual modo, far valere il proprio interesse in un’ottica di reciprocità con chi ne curava i risparmi, in quanto la soddisfazione del cliente stesso diveniva causa-effetto della redditività del promotore e della stessa banca, in un ciclo virtuoso che tutelava il risparmiatore, oggetto di un’attenzione che fino ad allora le tradizionali relazioni con le banche non avevano potuto produrre. Solo in un’ottica di soddisfazione del cliente, infatti, si poteva aspirare ad un passaparola favorevole (vero strumento di marketing per il P.F.) e si poteva di conseguenza ampliare senza grossi costi di ricerca, il proprio portafoglio clienti. Così in quegli 18 anni si realizzò un’imponente crescita delle masse di risparmio da parte delle Banche-Reti e la qualità della raccolta fu potenziata dall’accresciuta offerta di prodotti di risparmio gestito ( fondi comunigestioni patrimoniali- polizze previdenziali- polizze finanziarie) grazie ad un’efficace politica di up-selling e di cross-selling operata dai promotori sui portafogli dei risparmiatori. Naturalmente vi erano, ed in parte vi sono tuttora, elementi che hanno riportato invece a conflitti d’interesse fra Banche-Promotori e fra Banche-Promotori-Clienti. Mi riferisco alle commissioni di Management-fee ( mantenimento del portafoglio) derivanti dalla retrocessione dalla Banca al P.F., di una percentuale delle commissioni di gestione che il cliente paga sui prodotti di risparmio gestito, diventate frutto di controversie e motivo spesso anche di reclutamento “concorrenziale” di alcune reti nei confronti di altre. Così come motivi di conflitto d’interesse talvolta sono state le politiche di budget di alcune Banche-Reti nei confronti dei P.F., ai quali talvolta si è chiesto di collocare determinati prodotti e la comunicazione si è soffermata su elementi commerciali poco in linea con i veri interessi dei clienti, e magari poco lungimiranti anche per gli stessi P.F. Naturalmente gli elementi di discontinuità e di differenziazione, in questo contesto, derivano, come in tutti i campi, dai differenti livelli di professionalità, dall’etica che sovrasta i rapporti fra i tre soggetti interlocutori e dalla cultura finanziaria con cui i soggetti stessi devono fare sempre i conti in ogni specifico ambiente territoriale. La partnership che lo legava alla Banca non impediva, anzi valorizzava, la crescita in termini imprenditoriali del Promotore Finanziario. Attraverso la propria creatività, la propria capacità organizzativa e di programmazione, questi in generale è riuscito a sviluppare in quegli anni una crescente redditività media, una maggiore 19 stabilità professionale, un prestigio sociale sempre più elevato e soprattutto oggi si può accreditare come una fra le professioni più ricercate dai giovani per il futuro. Quello che caratterizza il cuore della professione, oltre alle necessarie doti personali di tenacia, assertività, organizzazione e capacità di relazionarsi, sono le attitudini alla pianificazione. Ciò si ritrova nel modo stesso di concepire la giornata tipica di lavoro del Promotore, trascorsa a partire dall’informazione mattutina (rassegne stampa, notizie specializzate, lettura di giornali finanziari, circolari aziendali), alla periodica formazione sui prodotti e sulle novità del mercato, alle telefonate per organizzare gli incontri con i potenziali clienti e con i clienti in assistenza, alla preparazione meticolosa delle visite attraverso piani di investimento personalizzati studiati al computer, alle visite a domicilio o in ufficio a seconda del tipo di cliente, il tutto intervallato da riunioni periodiche con il manager di rete o di gruppo per analizzare dati di vendita e novità aziendali da presentare ai clienti. Pianificazione che si ritrova poi nella logica sostanziale della professione: quella del MbO ( direzione per obiettivi) che permea tutti i gradini dell’attività bancaria e del P.F. Una logica che ha dato il senso alla Struttura di Rete, creata dall’azienda bancaria per coordinare l’attività di budget ed attuabile solo se la stessa filosofia è fatta propria dall’ impresa di ogni singolo Promotore Finanziario. In quest’ottica gli obiettivi, le ambizioni, le motivazioni principali, i successi del P.F. concorrono al successo di una strategia unica dell’Azienda in tutte le sue articolazioni di rete. Fondamentali nel fare la differenza quindi, in positivo o in negativo, saranno tutti gli strumenti gestionali adottati dalla struttura di rete verso le risorse umane (clienti interni = promotori e clienti esterni = risparmiatori ) nel realizzare quel clima di comunanza di obiettivi e di sinergie tipico delle organizzazioni di successo. 20 Pianificazione che, in fondo, rappresenta un po’ il salto di qualità anche nel rapporto con il cliente di quegli anni ’90, nel momento in cui il mercato finanziario italiano subiva quei cambiamenti che lo portava ad avere caratteristiche simili a quelle dei mercati finanziari più evoluti: bassa inflazione e bassi rendimenti dei titoli di stato. Per l’investitore italiano era sempre più difficile orientarsi nel panorama globale, senza seguire un “ metodo” e delle “ regole” che lo potessero guidare efficacemente nella pianificazione degli investimenti . Le Aziende più evolute di quegli anni svilupparono per i propri clienti strumenti di gestione globale e personalizzata (Personal Financial Planning). Attraverso le linee guida della Teoria del Ciclo di Vita di Modigliani, il Promotore Finanziario cercava di attuare una Pianificazione Finanziaria e Previdenziale del nucleo familiare del cliente attraverso le specifiche esigenze di questi nel tempo, allo scopo di affrontare serenamente gli eventi con la gestione dei risparmi accumulati o in via di formazione. A tale fine era importante non solo individuare gli obiettivi che si desideravano raggiungere nel tempo (educazione scolastica dei figli, acquisto di una casa, rendita finanziaria, pensione integrativa ecc.), ma anche definirne il loro ordine d’importanza. Tali obiettivi potevano essere raggiunti diversificando opportunamente gli investimenti, partendo dall’assunto che, nel lungo periodo e nei mercati finanziari evoluti, l’investimento azionario genera crescite reali significative del capitale, mentre l’investimento obbligazionario ed i titoli di stato generano prevalentemente interessi che compensano l’erosione del potere di acquisto. Per poter fare questo il Promotore, una volta individuati gli obiettivi personalizzati del cliente, doveva valutare se i capitali ed i flussi di risparmio posseduti avrebbero consentito di raggiungere gli obiettivi prefissati e proporre eventuali adeguamenti; oltre a ciò doveva definire globalmente la migliore combinazione di strumenti da adottare per soddisfare tali esigenze (titoli, gestioni di fondi, polizze ecc) e definire così la più “efficiente” ripartizione di 21 portafoglio che consentisse, con la maggior probabilità, di raggiungere gli obiettivi individuati nel tempo dal cliente. Tutto questo, naturalmente, tenendo conto delle attitudini al rapporto rischio/rendimento percepito dal cliente. Il metodo poi era completato con una seria attività di monitoraggio periodico e d’assistenza, al fine di verificare gli scostamenti e le variazioni soggettive ed oggettive derivanti da cambiamenti d’esigenze o dall’andamento dei mercati, cercando di salvaguardare da eventuali congiunture sfavorevoli. Il Promotore Finanziario, per utilizzare questo metodo, aveva in dotazione una work-station integrata (PC, modem, stampante) che consentiva il collegamento con il data-base della Banca/SIM per l’aggiornamento automatico dei dati anagrafici, contabili e commerciali della propria clientela, oltre ai valori dei principali indicatori di mercato, grazie ad una serie di software sviluppati appositamente (Sistema Informativo di Marketing). Questo permetteva al P.F. di pianificare e gestire il portafoglio di ogni cliente e la propria attività professionale in un’ottica di marketing sulla clientela potenziale ed acquisita. In particolare il P.F. utilizzava il SIM per: - programmare e controllare la propria attività commerciale in relazione ai propri obiettivi; - individuare opportunità di incremento della penetrazione commerciale (cross-selling e up-selling); - segmentare la propria clientela; - verificare e pianificare il portafoglio del cliente per l’attività di assistenza; - pianificare i contatti e le visite con la clientela - produrre grafici e tabelle di supporto all’attività commerciale e di assistenza. 22 Nella borsa del P.F. non potevano mancare inoltre, come strumenti di lavoro ordinari, una serie di brochure contenenti: - una presentazione sintetica dell’Azienda mandante e della sua mission; - un’illustrazione del metodo adottato per pianificare (P.F.P.); - depliants, sotto forma di Kit, riguardanti le caratteristiche dei principali servizi e prodotti dell’Azienda con relativi supporti di vendita; - analisi dei mercati, delle varie performance della banca e della concorrenza ed articoli interessanti di riviste specializzate come supporto alle argomentazioni di vendita; - vademecum fiscale recante spiegazioni di natura fiscale sui servizi finanziari; - gli “indirizzi di investimento” forniti dagli Uffici Studi della Banca per orientarsi sulle scelte di asset class e di asset allocation dei portafogli dei clienti; - un osservatorio sui tassi di interesse con tabelle e grafici sulla struttura dei tassi a livello mondiale. 1.4 Il caso Banca Fideuram : una leadership nel settore. Fideuram è stata ed è tuttora la leader del mercato nella promozione e gestione dei servizi di investimento alla clientela privata. Si può dire che leader lo è sempre stata, fin da quando, Fiduciaria dell’IMI, per prima nel 1970 attraverso l’attività di “porta a porta” collocava in Italia i primi fondi comuni esteri Fonditalia e Interfund; lo era quando nel 1983, dietro anche la sua spinta e collaborazione, nacque la Legge che in Italia istituì i Fondi Comuni di Investimento; dette il nome all’indice finanziario di riferimento per i fondi comuni nel Paese; fu artefice del 23 primo “boom” degli investimenti finanziari nelle famiglie (di cui i Fondi rappresentarono la vera locomotiva) nei successivi anni fino alla prima crisi finanziaria di Wall Street del 1987; lo è stata poi quando, nel 1992, interpretando i fondamentali cambiamenti nel contesto finanziario, decise di trasformarsi nella prima Banca specializzata nel risparmio delle famiglie, attraverso la fusione con la Banca Manusardi e quotarsi alla Borsa di Milano. Nel 1996 entrava a far parte del Mib30, l’elenco delle principali 30 società italiane quotate in borsa per capitalizzazione; nel 1997 introduceva, anticipando la concorrenza bancaria con un buon anticipo, un servizio personalizzato di pianificazione finanziaria e previdenziale ad elevatissimo contenuto tecnologico come il “personal financial planning ”, poi divenuto un elemento di svolta con varie applicazioni nelle società di consulenza finanziaria. L’essere costantemente proiettata verso il futuro per anticiparne le tendenze con una politica di innovazione non solo di prodotto, ma di metodo e di relazione con il cliente, ha fatto di questa Azienda un punto di riferimento da sempre per il mercato ed anche per la concorrenza la quale, a più riprese, ha attinto dai suoi quadri manageriali e dai suoi quadri di vendita, l’esperienza necessaria per favorire Start Up di nuove società o per sviluppare progetti di crescita basati sul know-out della leader. Banca Fideuram costituisce tuttora un elemento di spinta e di innovazione per il settore, proiettato sempre verso nuove sfide e cambiamenti. Oggi la Banca è una Holding di cui fanno parte diverse società in Italia e all’estero con presenze in Svizzera, Lussemburgo, Irlanda e Francia relative a settori di Private Banking, Asset Management e Distribuzione di Servizi retail. All’interno di quest’ultimo si avvale di due Reti di distribuzione dopo la recente acquisizione di San Paolo Invest che è andata ad affiancare la già 24 esistente Rete di Banca Fideuram. Dal 2006, dopo la fusione fra le Società del risparmio gestito e previdenziale nell’ambito della controllante San Paolo Imi, Banca Fideuram è controllata direttamente dal Gruppo Eurizon e si appresta a partecipare all’interno dello stesso al futuro progetto di fusione che costituirà il primo grande gruppo bancario italiano ed il terzo a livello europeo, fra Banca San Paolo Imi e Banca Intesa.. La caratteristica peculiare di Banca Fideuram è rimasta fino ad oggi legata alla sua specializzazione nella produzione e nella gestione di prodotti finanziari, che vengono distribuiti in esclusiva dai propri P.F. (definiti Private Banker). Al 31/12/2005 la Società amministrava oltre 64 miliardi di € di attività, comprendenti i prodotti di risparmio gestito della casa (fondi comuni, GPF, Polizze unit linked, fondi pensione), certificati di investimento, titoli intermediati sui c/c della banca per conto dei clienti, oltre ai Premi delle polizze assicurative e previdenziali emessi dalle società prodotto. Dal luglio 2004 Banca Fideuram ha ampliato ulteriormente la gamma dei prodotti offerti ai clienti, mettendo a loro disposizione e selezionando, con sofisticati software di ricerca, fondi comuni di investimento delle più importanti case internazionali. La scelta di aprire al Multibrand come stile di approccio gestionale all’interno dei portafogli-clienti, ha rappresentato l’ulteriore evoluzione dell’offerta che, partita appunto dalla vendita di prodotti finanziari generici, si è sviluppata nel tempo verso gli asset class, la diversificazione per aree geografiche di investimento, gli strumenti per investimento settoriali, i fondi di fondi ed i fondi di terzi, guardando così sempre più alla consulenza globale verso il cliente e meno agli interessi commerciali stretti delle società prodotto integrate; ciò ha permesso di ulteriormente diversificare e specializzare la gamma degli strumenti a disposizione 25 del P.F. nella pianificazione finanziaria del cliente e di avviarlo verso una nuova fase di consulenza. I clienti della Banca sono oggi circa 700.000, assistiti in esclusiva e con un rapporto di esclusiva privacy dai 4150 Private Banker, 3111 dei quali appartenenti alla Rete Fideuram e 1039 alla Rete S.Paolo Invest. Questo modello di business garantisce flessibilità, rapidità decisionale e grande capacità di adattamento alle condizioni di mercato che mutano, anche in maniera radicale, sempre più frequentemente. Tale modello si struttura su una piattaforma integrata con un governo unitario di Gruppo, sulle due Reti autonome e distinte di P.B, che ha il compito di formulare le strategie, allocare le risorse umane e finanziarie per il perseguimento degli obiettivi ed esercitare i controlli. Dopo che nell’ultimo biennio la strategia della Banca era stata principalmente focalizzata, parzialmente a scapito della crescita dimensionale, sul miglioramento del mix di prodotti e sulla generazione di valore, il 2005 si è presentato nuovamente come un anno di svolta. Con un nuovo piano di crescita, il rinnovo della squadra manageriale e la collocazione di Banca Fideuram all’interno del Polo Risparmio e Previdenza (Eurizon Financial Group) creato dall’azionista di controllo, si è iniziato a sfruttare appieno il posizionamento della Banca nell’industria del risparmio gestito, ponendo le basi per una crescita qualitativa sostenibile nel tempo, affiancata al mantenimento di una redditività d’eccellenza (l’ultimo bilancio presenta un ROE semestrale al 36,8% ed un utile netto del primo semestre 2006 di € 123,6 milioni, con un incremento del +27% sullo scorso anno). Certi risultati sono frutto anche di importanti sinergie tra il servizio capillare e personalizzato offerto ai clienti dai suoi P.F,. la presenza sul territorio di 91 filiali bancarie “leggere”denominate P.E (punti di erogazione) e di 257 Uffici dei Promotori Finanziari, a supporto dell’attività degli stessi. La rete dei Private Banker è organizzata in aree 26 (attualmente otto) con l’obiettivo di potenziare il presidio del territorio e lo sviluppo commerciale.Tale rete è articolata su 5 livelli piramidali: -il Promotore Finanziario è il responsabile della relazione con la propria clientela; -il Supervisore ricopre il ruolo di trainer nei confronti dei neo-pf, che rimangono sotto la sua supervisione per i primi 24 mesi di attività; -il Regional Manager coordina l’attività commerciale e monitora la realizzazione del budget delle risorse affidate. Coadiuva inoltre le attività del Divisional Manager con un impegno mirato al reclutamento di nuovi P.F; -il Divisional Manager coadiuva l’Area Manager con particolare attenzione allo sviluppo delle risorse affidate. Si dedica in particolare alla formazione dei P.F; -L’Area Manager sovrintende e coordina l’attività dei P.F. nella propria area territoriale (di solito una o più regioni) e partecipa con l’Azienda alla definizione delle azioni commerciali. Essendo l’azienda una struttura dinamica ed in continua crescita, il Promotore Finanziario che diviene in possesso di adeguate competenze professionali e manageriali, ha la possibilità di accedere, nella struttura di rete, a ruoli con più elevata responsabilità ed intraprendere la carriera di gestore di risorse umane. Banca Fideuram, infatti, dispone di un sistema interno di valutazione che garantisce il continuo monitoraggio delle capacità necessarie a gestire il ruolo di manager. Tutti i ruoli manageriali sono puntualmente supportati da uno specifico Training Program. 27 Il Promotore di Banca Fideuram viene supportato, durante la sua attività, dalla Struttura di Rete mediante un Piano specifico di incontri articolato: - Riunione Plenaria di Gruppo ( tenuta dal Regional Manager o dal Divisional Manager ogni 1/2 mesi) per l’analisi dei mercati e dei potenziali di sviluppo, per gli indirizzi di investimento trasmessi dall’Azienda ed i relativi commenti, per l’analisi dei risultati della produzione e le azioni consigliate da intraprendere. - Incontri Individuali Supervisore/Promotore (ogni 7/15 gg.) che sono una costante dell’attività nei primi 24 mesi perché rappresentano un momento costruttivo di sostegno, confronto ed indirizzo oltre che di analisi e verifica dei risultati e di accordo sulle azioni da intraprendere. - Affiancamento del Supervisore al P.F. in modo da trasmettere informazioni, conoscenze, tecniche relative alla Pianificazione Finanziaria ed alla gestione della relazione con il cliente. - Sales Meeting (tenuti dal Supervisore ogni settimana) consistenti in incontri operativi di confronto e di raccolta di esperienze della settimana e di simulazioni di situazioni tipiche cliente/pf. - Incontri con i colleghi P.F. per scambi di informazioni e di esperienze su clienti/tipologia di operazioni/formulazione di proposte di investimento. - Incontri Individuali Regional Manager/P.F. (ogni 1/2 mesi) in cui si verificano insieme la situazione e le prospettive di sviluppo dell’attività e della professione. Il Training Program rappresenta una vera e propria “scuola di formazione” in continua evoluzione per il Promotore Finanziario di Banca Fideuram. Segue e affianca infatti le varie fasi che portano il neo-promotore dall’inserimento in azienda alla crescita ed allo sviluppo professionale. L’entità dell’impegno formativo e la qualità dei Corsi, nei quali l’Azienda si fa spesso affiancare da partner primari come la 28 SDA Bocconi, consentono a ciascun P.F. di acquisire, sviluppare e consolidare le competenze necessarie per gestire con efficacia la propria clientela. Per ogni innovazione che viene introdotta, si predispongono Piani formativi on line con un’apposita piattaforma Elearning . Sempre con questo metodo i private banker possono realizzare un percorso formativo in piena autonomia on-line frequentando: corsi sulle novità legislative (Formazione ABI su D.Lgs 231/2001-Antiriciclaggio-Misure di Sicurezza-Privacy), corsi nell’ambito dell’Iniziativa Patti Chiari a cui l’Azienda ha aderito (c/c a confronto e obbligazioni a basso rischio), corsi sui prodotti finanziari e assicurativi , corsi finalizzati al superamento dell’Esame Consob per l’iscrizione all’Albo Professionale. Solo nel 2005, ad esempio, sono state erogate complessivamente circa 56.000 ore di formazione fra interventi in aula e a distanza. Di notevole importanza per la crescita professionale di ogni P.F sono poi i Corsi gestiti a livello universitario per l’acquisizione di Master riconosciuti con la Qualifica EFPA (European Financial Planner Adviser) in modalità blended, ai quali l’Azienda contribuisce finanziariamente nell’intento di accrescere lo spessore della rete dei P.F. e di prepararsi ad un futuro selettivo per ogni attore del mercato. Gli anni ’90 hanno rappresentato indubbiamente un momento di grande crescita per il ruolo del Promotore Finanziario e per lo sviluppo delle masse di risparmio gestito e amministrato delle Banche, anche e soprattutto per le tecnologie messe a punto e per gli strumenti di gestione delle relazioni con i clienti ( piattaforme on line per la Pianificazione finanziaria dei portafogli-clienti). Ma sono stati anche anni di contraddizioni fra offerta massiccia di nuovi servizi e consapevolezza dei livelli di rischio da parte della clientela, di confusione emotiva dovuta alla variabilità dei mercati ed alle ripetute crisi finanziarie, culminate con i primi anni del nuovo secolo con un 29 crack dei mercati internazionali di portata storica. Soprattutto si sono manifestati i primi segnali di disaffezione dei clienti verso il sistema bancario in generale che, preso dagli obiettivi di crescita e di posizionamento frenetico sul mercato, ha trascurato talvolta di prestare la giusta attenzione alla sua risorsa principale, il cliente, ed alle sue reali esigenze ed aspettative di servizio. In questo nuovo contesto di sfida Banca Fideuram sta operando un cambiamento profondo di tipo strategico. In una fase, caratterizzata sempre più da una riduzione dei margini di interesse delle banche, dei margini unitari di prodotto, da una maggior attenzione da parte dei clienti al rischio, c’era la necessità di creare elementi distintivi aziendali che andassero sempre più nell’ottica della “Consulting” sul modello della Merrill Lynch americana: una Rete di moderni Advisors nella selezione dei prodotti, nella pianificazione finanziaria e previdenziale, nell’asset allocation, nella consulenza fiscale. Da qui la scelta di potenziare il ruolo dei P.F. della Banca Fideuram verso la clientela Affluent e Private, nella gestione integrata della ricchezza familiare con soluzioni personalizzate e supportando i clienti in modo “indipendente”a 360°. Dunque una vera e propria Rifocalizzazione sull’Advisory, nella quale il focus non sia più sulle performances storiche dei principali assets o prodotti (utilizzo della frontiera dell’efficienza dei portafogli usata negli anni ’95-’05 ), quanto piuttosto sul controllo della volatilità (misurazione del rischio), sull’intensità delle loro variazioni e sulla complessità dei fattori che ne spiegano in termini semplici il trend. La forza della relazione del P.F. con il cliente non potrà che iniziare con l’ascoltarne attentamente i bisogni e valutarne l’emotività. La volatilità dei mercati aumenta inevitabilmente gli aspetti emotivi del cliente e, di conseguenza, oltre a quella sulle scelte di investimento, anche quella sulla scelta del partner finanziario. 30 Se oggi la Rete dei P.F. di Banca Fideuram eccelle nelle capacità tecniche e professionali legate alla gestione del risparmio dei clienti ed in quelle relazionali, dovrà necessariamente migliorare nell’attitudine a “servire il cliente” e a fornirgli assistenza su più fronti, nel far precedere tutto ciò da un adeguato Percorso Formativo e da un Approccio Metodologico, ma soprattutto nel rendere coerenti i sistemi di guadagno/incentivazione con l’obiettivo di Wealth Management che vuole realizzare, attraverso nuovi investimenti, riorganizzazioni e indipendenza da conflitti di interesse. 31 Capitolo 2 L’era della complessità 2.1 Il “boom” dei mercati e la crisi storica di inizio 2000. Conseguenze nel rapporto di fiducia fra clienti e sistema bancario. Se gli anni ’90 hanno rappresentato il massiccio e rapido passaggio di ingenti asset di risparmio, prima allocato in “comodi e sicuri” Titoli di Stato, verso forme più complesse di Risparmio Gestito ( le banche tradizionali per la verità hanno concentrato questo passaggio in pochissimo tempo a differenza di quelle “specializzate” che avevano iniziato questo percorso già da tempo), i primi anni del nuovo millennio hanno subito fatto percepire quanto tale “passaggio storico” fosse stato sottovalutato nelle possibili conseguenze. In effetti questa storica operazione di trasferimento di asset, gestita attraverso un forte orientamento alle vendite degli operatori bancari, più che da una risposta alle poco percepite esigenze dei clienti, si è realizzata nella maggioranza dei casi in presenza di un’insufficiente cultura finanziaria della grande massa dei risparmiatori (pensionati e famiglie) sui rischi legati alla volatilità dei mercati, sull’assenza di una vision di lungo periodo legata al concetto di risparmio gestito e in una fase di vertiginosa crescita dei prezzi azionari . Ciò ha provocato, come sempre accade, una rincorsa all’emulazione della performance da parte di una massa di investitori che, allettati da guadagni crescenti sui mercati azionari e sui fondi comuni, non hanno impiegato molto tempo a trasferirvi i loro risparmi, come le Banche suggerivano. Addirittura in molti casi vi è stata la richiesta diretta agli sportelli bancari di semplici ed inesperti risparmiatori, insoddisfatti dei rendimenti in calo dei Bot, che però hanno finito inesorabilmente per acquistare strumenti ad alto 32 contenuto azionario a prezzi altissimi e nel momento in cui il boom stava per lasciare spazio alla più lunga, difficile ed intensa crisi finanziaria avvenuta sui mercati di tutto il mondo dai tempi del 1929. Tutto questo ha lasciato nel settore e, in generale, nel mondo dei risparmiatori, dei segni che, a tutt’oggi, per molti clienti rappresentano ferite da rimarginare, e non solo per le perdite ancora non riassorbite, ma soprattutto per il senso di sfiducia generalizzata e per la disaffezione verso il mondo bancario che si è diffusa indistintamente. Possiamo dire che nella propensione all’investimento finanziario delle famiglie è stato compiuto un passo indietro di dieci anni. Naturalmente questo fenomeno ha prodotto, come tutti i cambiamenti, dinamiche nuove (non sempre innovative) nell’offerta dei servizi finanziari. Innanzitutto un ritorno di ingenti asset verso la liquidità e verso gli investimenti immobiliari; sul fronte dell’offerta finanziaria però si sono presentati anche strumenti di forte richiamo come il prodotto Banco Posta, il nuovo conto corrente postale a cui faranno seguito strumenti di risparmio e di previdenza che, attraverso Poste Italiane, alimenteranno una maggior concorrenzialità nel settore dei servizi bancari . Così come nasce il nuovo super- reclamizzato Conto Arancio di Ing., servizio di liquidità che rispolvera, in chiave rinnovata di marketing, il contodeposito semplice e sicuro. Nello stesso tempo si fa strada con forza l’offerta di conti e di trading on-line da piattaforme che sfruttano l’innovazione tecnologica come elemento di fidelizzazione dei clienti fai da te. Un vero e proprio sconvolgimento ambientale, insomma, nel quale un po’ tutti gli operatori si sono trovati a fare i conti con un cliente di tipo nuovo. Anche il Promotore Finanziario, in quanto imprenditore, ha dovuto ripensare il suo modo di essere, di porsi sul mercato, di progettare il suo 33 ruolo di partner con l’Azienda in un’ottica diversa, in questo aiutato dalla svolta che le principali Banche –Reti hanno dovuto intraprendere nell’attenzione verso il cliente, verso il suo mantenimento e quindi verso un Marketing meno improntato alla redditività di breve periodo e più alla Retention di lungo periodo. Un cliente di tipo nuovo che peraltro, dopo il boom ed il successivo sboom di inizio anni 2000, ha dovuto vivere sulla propria pelle, direttamente o indirettamente, anche gli scandali delle varie Cirio, Parmalat e dei colossi mondiali come Argentina ed Enron, i cui crack si sono ripercossi sul mancato rimborso ai risparmiatori dei bond andati in default . Un cliente che, dopo la fuga verso la qualità, si è comunque trovato davanti al sempre più emblematico ed irrisolto problema: come affrontare le incertezze e la complessità dei mercati finanziari, sempre più disorientanti, per difendere i propri risparmi faticosamente accumulati? E’ necessario fare un passo indietro per capire intanto, al di là dell’imponderabile o dell’irrazionale che molto ha influito in quegli avvenimenti e degli errori e/o negligenze di natura tecnica ed etica commessi da molteplici soggetti (analisti, operatori bancari, organismi di controllo, organi di governance societari ), quelli che per esempio sono stati i principali limiti che hanno in parte condizionato il rapporto di fiducia fra clienti e operatori del mondo creditizio, con riferimento specifico al ruolo del P.F. Si è già detto delle importanti innovazioni di prodotto, di servizio e di processo introdotte negli ultimi anni dello scorso secolo dalle aziende bancarie specializzate per aggredire la propria clientela retail e private (Sistema Informativo di Marketing, Personal Financial Planning, segmentazione della clientela e nuovi prodotti specifici per ogni segmento), ed attuare così il trasferimento verso il Risparmio Gestito 34 dai Bot amministrati. Ciò non avrebbe rappresentato di per sé un’operazione impropria né inadeguata se non si fosse scontrata, nella stragrande maggioranza dei casi, con una cultura finanziaria propria di un Paese arretrato, vissuta sul debito pubblico, fondata sul concetto del risultato “certo”, misurabile nel breve periodo, con cedole di interessi elevati da far concorrenza a qualsiasi altra forma di investimento di reddito variabile. Soprattutto una cultura finanziaria che non aveva mai dovuto misurarsi con la volatilità dei mercati, con l’informazione specializzata fino ad allora dormiente e di nicchia, con l’assoluta mancanza di network a parlare di risparmio se non per addetti ai lavori o per clienti pionieri dell’innovazione. E poi il rapporto con la Banca, fino ad allora un tabù nell’ambito della sicurezza e della solidità (ne sanno qualcosa i vecchi promotori che si contendevano minuscoli segmenti di risparmio nei primi anni ‘80 con i colossi bancari). Si è pensato insomma che le innovazioni potessero passare nella testa di quel tipo di risparmiatori per il solo fatto che a proporle ed a “venderle” erano gli stessi soggetti che da anni vivacchiavano tranquillamente sulla massa dei clienti tranquilli sui titoli di stato a lucrare rendite free risk, oppure nuovi soggetti talmente preparati e credibili da far vedere a breve il “sogno”che ogni cliente si aspetta sempre di realizzare. Il “Nuovo Marketing”, negli intenti strategici orientato al cliente, ma con ancora troppa operatività di orientamento alle vendite ed al prodotto, alle prime difficoltà era già entrato in crisi. Un vecchio slogan del Promotore Finanziario di Banca Fideuram citava “guadagnamo solo se guadagnate voi”, ed era rivolto ai clienti per presentare l’innovativa scelta di una Banca che, nel 1992, fu la prima a specializzarsi nella gestione integrata del risparmio. Operare per rendere attuale anche oggi quello slogan significa mettersi di nuovo in discussione partendo dai limiti e dagli errori che anche degli specialisti 35 possono commettere: questo è oggi il compito prioritario di una Rete di professionisti che voglia mantenere la leadership! Partire per esempio dalle contraddizioni che si possono creare quando si interpreta il rapporto triangolare di partnership fra cliente-P.F.-banca in un’ottica di “rigidità” sul raggiungimento di obiettivi, che in teoria dovrebbero essere comuni per realizzare un vero rapporto di fiducia e di fedeltà, ma che a volte possono divergere invece sul piano della logica temporale. Nello specifico di quel periodo, si trattava per esempio di gestire con maggiore flessibilità e con un’ottica diversa la dicotomia fra la cultura verso l’investimento (di per sé legato al medio-lungo periodo) e la Pianificazione Finanziaria, affatto presente in un cliente generalmente abituato alla logica della rendita di breve periodo, rispetto agli obiettivi di budget dell’intermediario finanziario che producevano soluzioni di investimento (fondi comuni, GPF, Polizze Unit Linked ) i cui benefici erano legati ad una necessaria vision di lungo periodo, ma che rappresentano redditività immediata ed anche differita sia per il promotore che per la banca (commissioni di acquisizione e di gestione). In questo purtroppo hanno giocato anche delle rilevazioni di esigenze del cliente non realmente percepite dallo stesso o rese poco palesi, a cui si è talvolta risposto con soluzioni non adeguate per il reale profilo di rischio del cliente. E’ evidente come i fenomeni avvenuti abbiano in certi casi prodotto pesanti elementi di insoddisfazione e di mobilità di vaste fasce di clientela da una banca all’altra. Una soluzione ai limiti ed alle contraddizioni di questo tipo deve essere messa al centro, proprio a partire da un’ottica di recupero del rapporto con il cliente, da parte del promotore finanziario che voglia adottare un diverso approccio al Marketing sul proprio portafoglio . Tale risposta può essere anzitutto basata su un tipo di segmentazione del portafoglio ed una diversificazione di approccio ai clienti che sia per tipologia dei 36 benefici ricercati e nella focalizzazione sul ciclo di vita del portafoglio clienti. 2.2. Il Cliente “al centro”. Segmentazione dei portafogli basata sulla tipologia dei benefici ricercati e sulla qualità della relazione. L’elemento forse più importante nelle strategie di marketing di un Promotore finanziario è l’analisi del proprio Portafoglio clienti attraverso vari criteri di lettura. Questo aspetto richiama la complessità e la specificità di ogni singolo cliente, ogni singola area geografica ed ogni ambiente socio-culturale in cui egli vive e dovrebbe servire a ricordare che i segmenti, in realtà, non esistono in natura: esistono gli individui, ognuno con i propri bisogni (ai vari livelli della scala gerarchica masloviana), con le proprie esigenze(spesso latenti), atteggiamenti, preferenze, comportamenti d’acquisto. E’ vero che l’ambiente in cui si vive spesso condiziona e influenza tali peculiarità, ma è pur vero che la segmentazione adottata, il voler in qualche modo raggruppare questi individui, è un modo con cui le aziende tendono a ridurre la complessità del mercato di riferimento per avere un orientamento quanto più stabile possibile al fine di organizzare la propria attività per raggiungere i propri obiettivi. Tanto più la segmentazione dei clienti sarà efficace nel realizzare gli obiettivi gestionali, tanto più sarà riconosciuta valida. Ma se in questa fase storica, sopratutto per un impresa di consulenza finanziaria, diventa prioritario il ricreare un legame di fiducia con il cliente, mantenendo il giusto focus sulla redditività dalla quale non possiamo prescindere nel medio e lungo termine, si deve allora porre la 37 massima attenzione a quale tipo di classificazione (cluster) approdare e da quale metro di valutazione partire per attuare le necessarie strategie e scelte operative. Ecco che, nel rapporto fra Banca mandante e Promotore finanziario, l’orientarsi sic et simpliciter su parametri di segmentazione che genericamente suddividono i clienti in funzione organizzativa, sulla base della RFA (ricchezza finanziaria amministrata) o in funzione geo-demografica o ancora sulla base dei comportamenti di utilizzo dei servizi bancari, potrebbe rappresentare una sottovalutazione delle specificità dei clienti, quando ognuno di essi, in realtà, sente il bisogno di un rapporto di contatto “ unico” con il suo gestore di risparmio. Il P.F. ha bisogno di utilizzare la segmentazione del portafoglio per poi offrire il miglior servizio al cliente, guardando al suo ambito socioeconomico specifico, alla cultura finanziaria che lo distingue ed al conseguente livello di comunicazione a cui far ricorso, all’esperienza in materia di investimenti dello stesso, all’orizzonte temporale a cui tende per ogni sua esigenza specifica, creando barriere competitive tali da costituire condizioni di monopolio inattaccabili Poi,infine, puntare all’obiettivo del wealth management. In questa prospettiva la segmentazione è davvero il presupposto della differenziazione dell’offerta e sta alla base dell’innovazione di prodotto e di processo. Se questo è vero, è evidente che un criterio di clusterizzazione è tanto più efficace quanto più è originale e quanto meno può essere replicato nel breve periodo dalla concorrenza, ma poiché lo stesso, quando ha successo, viene inevitabilmente imitato, il suo vantaggio competitivo è purtroppo limitato nel tempo e si può dire che l’utilità che genera ad ogni azienda ha uno specifico ciclo di vita. Ecco perché, poi lo vedremo, il ciclo di vita del criterio di 38 segmentazione di successo, ha una sua propria correlazione con il ciclo di vita del Portafoglio Clienti dell’impresa. Abbiamo prima accennato a quanto influiscono le peculiarità dei clienti sulla percezione delle loro scelte di investimento. E’ ormai ampiamente dimostrato come gli individui non agiscono seguendo i principi economici razionali, ma sono influenzati dalle loro esperienze passate, dalle loro credenze, dal contesto, dal formato di presentazione delle informazioni e dall’incompletezza informativa frequente nei contesti reali (Kahneman e Tversky, 2000). Una possibile spiegazione fa riferimento al fatto che gli individui avrebbero delle risorse cognitive limitate che in molte occasioni li costringono a semplificare lo spazio del problema, che sarebbe altrimenti ingestibile perché eccessivamente complesso (Simon,1982). Un’altra spiegazione fa invece riferimento al fatto che le scelte delle persone sembrano essere governate da atteggiamenti e valutazioni affettive piuttosto che da preferenze economiche basate sul calcolo dell’utilità attesa (Kahneman, Ritov e Schkade, 1999). Quello dei mercati finanziari, per esempio, è uno dei settori economici in cui maggiormente si evidenzia la mancanza di razionalità, tanto è vero che il loro andamento è spesso descritto utilizzando termini come euforia, depressione, disillusione o addirittura irrazionalità (Shiller, 2000). Da un’analisi sempre più comprovata di questi aspetti che concernono la Psicologia dei mercati finanziari, si è fatta strada, negli addetti ai lavori, la necessità di spiegare scientificamente il modo in cui gli individui appunto utilizzano le sempre maggiori informazioni dei media per prendere le loro decisioni di investimento. La Teoria del Prospetto di Kahneman e Tversky (1979-2000),ad esempio, si è dimostrata particolarmente efficace nell’analizzare il reale comportamento di acquisto dei risparmiatori di fronte ad un diverso modo di presentare un servizio. Poggiando sulla constatazione che gli 39 individui valutano ogni possibile esito di una decisione sulla base di un punto di riferimento (status quo) quale può essere per esempio la loro situazione attuale al momento della decisione di cambiamento (es. il cliente che aveva fino ad allora solo effettuato acquisti di Titoli di Stato), la Teoria spiegherebbe che gli individui si comportano in modo differente quando sono messi di fronte a possibili guadagni o a possibili perdite; nel primo caso sono più avversi al rischio di nuovi tipi di investimento, mentre nel caso di possibili perdite essi sono propensi ad assumersi dei rischi aggiuntivi. Non solo, ma diversi altri studi hanno anche dimostrato che le persone pongono maggior enfasi su risultati codificati come perdite piuttosto che su risultati codificati come guadagni (Slovic, 1987). Olsen (1997) infine ha dimostrato che gli investitori definiscono il rischio degli investimenti come il pericolo di ottenere dei risultati inferiori ad un obiettivo prefissato che è stato utilizzato ( come sostiene la Teoria del Prospetto) come punto di riferimento per valutare la resa degli investimenti fatti in precedenza. Altri studi correlati, poi, hanno dimostrato che gli investitori preferiscono tendenzialmente attività finanziarie con bassa volatilità e quindi con ritorni più contenuti, ma sicuri, quando sono posti di fronte ad uno scenario di possibile guadagno e che i consulenti finanziari hanno la tendenza a scegliere investimenti con diverso grado di rischio a seconda dell’orizzonte temporale con cui i clienti desiderano ottenere il rendimento prefissato; vengono scelti titoli o fondi con bassa volatilità quando l’orizzonte temporale è breve e titoli con volatilità più elevata quando l’orizzonte è a lungo termine. Di per sé non si tratta di una strategia scorretta, tuttavia i clienti hanno spesso una bassa tolleranza alla variabilità dell’andamento dei titoli e dei mercati. Perciò essi non sono particolarmente disposti ad investire su servizi più volatili e quindi più rischiosi solo perché il loro orizzonte temporale è a lungo termine. 40 Il problema è che talvolta questo aspetto non viene focalizzato a sufficienza nel contatto fra cliente e Promotore/Banca.. E’ anche guardando a queste considerazioni che diventa essenziale assumere, nel rapporto con il proprio portafoglio-clienti, un ventaglio di atteggiamenti nuovi che abbiano come denominatore comune quello dell’attenzione al cliente-individuo, con le proprie convinzioni, i propri atteggiamenti e a ciò che in realtà percepisce del contesto in cui si trova per decidere dei suoi risparmi. Non sarà tanto importante quindi, classificarlo come cliente massa, affluent o private, bensì adottare un metodo, facilitato dalle ripetute occasioni di contatto, che consenta di utilizzare le informazioni di profilatura di ogni specifico cliente ai fini di una segmentazione per benefici ricercati, identificando così un profilo ideale di preferenze con cui misurare il proprio posizionamento competitivo e le azioni di risposta. Certo che da solo, questo metodo, non può essere sufficiente a risolvere le problematiche di redditività, che difficilmente potrebbero essere pianificate; il collegamento con i risultati attesi, non solo in termini di costi, ma anche di ricavi, è indispensabile per fornire alla Banca elementi utili per decidere su quali segmenti di preferenze sia utile intervenire nella fase di produzione di servizi . Ma da qui occorre partire: dal capire ogni cliente, dal saper comunicare con lui utilizzando un sempre più analitico Sistema Formativo di Relazione, dal non anteporre i propri obiettivi di vendita a quelli che lui realmente percepisce essere i propri obiettivi, dall’avere una forte attenzione alla psicologia del cliente, dal cercare con lui un “vero rapporto”. Un rapporto è correlato in genere ad un atteggiamento. Una persona o un gruppo sente di “avere qualcosa in comune con un altro”. Qualunque 41 sia la natura di questo collante, non dovrebbe essere possibile scioglierlo facilmente. Non si tratta di una sensazione che si sviluppa dal nulla però: il Promotore finanziario deve conquistarsela. Il Rapporto si conquista in base al modo con cui si attua il Marketing dei Rapporti, come sostiene Gronroos. Il professionista dovrebbe creare processi di interazione e comunicazione tali da facilitare un rapporto, ma è il cliente, non lui, a decidere se si è instaurato un rapporto vero oppure no. Intanto dobbiamo partire da un aspetto fondamentale: il cliente ha un vissuto con la Banca e con il Promotore finanziario che ne determina il suo livello di fiducia. Come noto, infatti, esistono determinati eventi (“i momenti della verità”) i cui esiti determinano lo stato di fiducia che il cliente ha con il suo referente d’affari. Una vendita effettuata ad un cliente che è in “posizione positiva” con la banca/pf sarà una vendita semplice (in quanto egli “crede” in quel rapporto). Una vendita effettuata invece ad un cliente in posizione di “indifferenza” o, peggio ancora, di “negatività”, non sarà così semplice e potrebbe addirittura comportare un ulteriore deterioramento della relazione ed avviare un sotterraneo, lento e inesorabile processo di multibancarizzazione e, in ultimo, di chiusura/inattività dei rapporti. Una ricerca effettuata da Mckinsey nel 2004 sui “momenti delle verità” della clientela ha empiricamente dimostrato questo pattern comportamentale. Un ulteriore elemento di complessità nella valutazione del rapporto, è data dal livello di multibancarizzazione del portafoglio clienti, che chiaramente non è dato conoscere completamente dalla pura analisi dei dati rilevati dal SIM. Le interviste possono rilevare se un cliente è multibanca o no, ma difficilmente possono definire, per ogni cliente, la propria “share pocket”con esattezza. Valutare, quindi, il livello di relazione del cliente e la sua “share of pocket” con la banca/pf, diventa un cruciale criterio di segmentazione della clientela. 42 Tavola 1. Segmentazione della clientela in base alla qualità della relazione (%del totale della clientela) INTENSITA’ 4 1 3 zona a “rischio” zona di zona “ideale” DELLA RELAZIONE Alta (>80%) “equilibrio 10-20 % (SHARE OF POCKET) instabile” Media (50-80%) NUMERO INDICE 10- 15 % 40-60 % 5 2 zona “pericolo” zona “fertile” 10-20 % 10-15 % Bassa (<50%) Rabbia Sfiducia Fiducia passiva Fiducia Soddisfazione QUALITA’ DELLA RELAZIONE Sulla base di alcune esperienze concrete, verificate su portafogli tipo dei P.F., il quadro che ne emerge è simile a quanto si evince in Tav.1: solo una piccola parte di clienti è pronto ad accettare con favore ed attenzione una proposta commerciale, mentre la maggioranza della 43 clientela si posiziona o su un profilo di “fiducia passiva” o addirittura peggio. E’ chiaro che, in questa situazione, l’hit rate delle vendite non sarà particolarmente elevato. Anche questo tipo di segmentazione presenta da un lato il vantaggio di dare una fotografia della clientela “a tutto tondo” e non basata sulla sola interpretazione dei dati interni al SIM che, per quanto sofisticata questa possa essere, fornisce un quadro solo parziale della situazione e non coglie gli aspetti più “soft” (come ad esempio la qualità della relazione). Tuttavia, il valore di tale metodo di segmentazione sta nell’introduzione di un differente approccio alla vendita, caratterizzato da un processo più “maieutico”, meno aggressivo, ma più sostenibile nel medio lungo termine, caratterizzato da: - capire in quale quadrante sta il cliente; il che implica conoscerlo a fondo ed instaurare una relazione, superando le semplificazioni ed i pregiudizi che portano a cercare un rapporto solo con i clienti di fascia alta di RFA. - per ciascun quadrante adottare uno stile di vendita differente, che tocchi le giuste “corde” e vada alla radice della comprensione delle cause della multibancarizzazione. In sintesi : definire approcci commerciali specifici in funzione del cliente che si ha davanti. In questo la segmentazione di cui sopra è il “kick off” di un lungo processo di trasformazione dell’approccio commerciale del P.f. che può spingerlo ad intraprendere una nuova ondata di miglioramento della performance commerciale e di incremento della produttività, passando dal recupero della fiducia personale dei clienti e acquisendo così benefici sostenibili nel tempo. In tavola 2 viene esemplificato un possibile approccio commerciale per ciascuno dei segmenti visti sopra. Se ne deduce che l’approccio tradizionale di vendita si applica solo ad una ristretta porzione di clienti. Per la stragrande maggioranza di questi 44 lo sviluppo commerciale darà risultati meno immediati, ma più di lungo periodo. Possibile approccio commerciale per Segmento del Portafoglio-Clienti Segmento “zona pericolo” : conoscere a fondo il cliente, comprendere bene le motivazioni di insoddisfazione della relazione, ammettere preventivamente un servizio non adeguato/errori. Valutare potenziale di recupero della relazione. Non effettuare alcuna iniziativa commerciale. Instaurare iniziative di marketing di contatto. Segmento “zona a rischio”: conoscere meglio il cliente, effettuare azioni di contatto di pura relazione. Informarlo su alcuni movimenti del suo conto o sull’andamento dei mercati finanziari. Non effettuare alcuna iniziativa commerciale. Segmento “zona di equilibrio instabile”: effettuare azioni commerciali di lungo periodo. Fare emergere i bisogni e fare in modo che il cliente richieda di sua spontanea volontà il servizio/prodotto. Adottare tecniche di vendita maieutiche dopo 2-3 incontri preliminari: Segmento “zona fertile”: valutare il potenziale disponibile e discutere apertamente dove la banca è inferiore alla concorrenza e come si potrebbe rimediare. Effettuare una vendita come invito al recupero di ruolo di “partner primario”. Segmento “zona ideale” : Effettuare la vendita in modo “tradizionale”. Tabella 2 Abbiamo così introdotto alcuni elementi di fondo sui quali costruire una strategia innovativa di intervento sul Portafoglio di un P.F..L’obiettivo è il recupero e /o il consolidamento del rapporto di fiducia con il proprio cliente in una precisa fase storica nella quale “complessità” fa rima con evoluzione continua, crescita della consapevolezza, ma anche del disorientamento della clientela. C’è sempre più bisogno di tradurre in modo semplice e trasparente al cliente la complessità dei mercati, riuscendo a canalizzare altresì le caratteristiche dei prodotti/servizio coerentemente con ogni singola esigenza espressa. 45 Se analizziamo i limiti forse più evidenti manifestati dalla prima applicazione dei programmi di Personal Financial Planning, negli anni dal 1997 al 2000, questi si caratterizzavano come una soluzione unica ai bisogni, guardavano ad un obiettivo target, vi era sicuramente un concetto di rischio poco marcato ed erano applicati dalle reti di vendita con supporti formativi inadeguati. Oggi i moderni strumenti di Pianificazione Finanziaria non possono non basarsi su dei Processi strutturati e iterativi, facendo perno sull’utilizzo di concetti di rischio/rendimento applicati ad personam ed alla selezione degli strumenti più adatti a rispondere alle esigenze specifiche e temporali del cliente. 2.3 Il Modello di Marketing individuale. L’analisi dei bisogni attraverso il ciclo di vita del risparmio. Abbiamo già accennato alla Teoria del Ciclo di Vita elaborata dal Premio Nobel Franco Modigliani e dal collega Albert Ando. Questa consente ai P.F., nell’interazione con i clienti, di capire meglio quali possono essere le fasi del risparmio ed i relativi bisogni da soddisfare lungo il ciclo della vita di un soggetto. Permette di organizzare, di conseguenza, un modello di marketing individuale che abbiamo visto essere reso necessario dalla complessità che stiamo vivendo nel campo finanziario. 46 Tab 3 Il Modello di Marketing Individuale Modelli di investimento Piano personalizzato coerenza del cliente Sistema di interazione Il percorso decisionale Cliente Mercato Il Modello del Marketing Individuale (Tab.3) affronta il cliente e il mercato in due momenti e con due componenti diverse: i modelli di investimento ed i sistemi di interazione. Questi blocchi trovano la loro coerenza: - attraverso la corretta costruzione di percorsi di decisione per il cliente; 47 - nel rapporto tra sistema di interazione e modelli di investimento, che porterà alla creazione di un Piano personalizzato. Tra il modello di investimento ed il cliente ci deve essere un sistema di interazione che, quale che sia il canale utilizzato, consenta di assumere delle decisioni di investimento. In altre parole: non basta un motore di investimento che assicuri la massima efficacia (raggiungimento probabilistico del risultato perseguito) e la massima efficienza ( con il minimo di risorse); per arrivare a una soluzione, e dunque al giusto prodotto, coerente con l’esigenza dell’investitore, occorre disporre di un imput che permetta di definire, in termini qualitativi e quantitativi, le coordinate dell’esigenza stessa e di produrre così un Piano personalizzato. Il percorso decisionale presenta due aspetti: di contenuto e di sistema. Il contenuto definisce l’ambito di operatività del sistema dato dalle esigenze dell’investitore, le quali devono essere codificate in linguaggio “naturale”, cioè nel linguaggio del cliente e del suo quotidiano; dunque dei fini (acquistare casa, sostenere il tenore di vita ecc.) e non dei mezzi (gestione professionale, performance ecc.). Per tale scopo è funzionale adottare come riferimento il modello del ciclo di vita. Il sistema di decisione deve invece supportare l’investitore a prendere le decisioni seguendo le sue inclinazioni circa il grado di coinvolgimento desiderato tra totale delega e totale personalizzazione: un processo che si adatti continuamente agli input che l’investitore via via fornisce. Il punto di partenza , per l’analisi dei bisogni, non può che essere l’oggi: per poter affrontare il futuro con serenità, ogni lavoratore dovrebbe infatti pensare da oggi a come proteggere dagli imprevisti il reddito, i consumi ed il patrimonio, per sé e per i propri cari. La protezione del proprio reddito personale interesserà i soggetti privi di famiglia o con famiglie e affetti economicamente autosufficienti; la protezione del patrimonio e del reddito dei familiari interesserà i 48 capifamiglia e comunque chi ha la responsabilità del tenore di vita dei propri conviventi. Assicurare bene il carico alla stiva è condizione necessaria per poter abbandonare il porto con animo sereno: l’esigenza è quindi nello stesso tempo immediata e tale da coinvolgere ogni fascia d’età e ogni individuo. Inizia qui il viaggio del proprio denaro. Prende avvio dalla riflessione su come creare e gestire le risorse per il futuro, investendo al meglio: investire al meglio significa modellare gli investimenti in funzione del proprio ciclo di vita; la creazione del patrimonio interesserà soprattutto i soggetti più giovani; mentre la gestione del patrimonio riguarderà soprattutto i soggetti in età più avanzata e tutti coloro che, di fatto, un patrimonio lo hanno già costituito. La terza fase inizia con la definizione di obiettivi di vita: acquistare casa, provvedere all’educazione e all’istruzione dei figli, realizzare il sogno di un’attività autonoma sono alcuni degli obiettivi principali, tipici e spesso irrinunciabili, che il cliente risparmiatore si propone di raggiungere nelle varie fasi del ciclo di vita. Obiettivi che hanno in comune la necessità di costituire in un tempo determinato un capitale finale, con il minimo di risorse iniziali. Infine, quando l’attività lavorativa termina, ci si avvia verso un lungo tempo di pensionamento nel quale è necessario mantenere un tenore di vita adeguato, avendo come obiettivo che il denaro non finisca… prima della fine della vita. E’ il tema della gestione della longevità, cioè della pianificazione pensionistica. Il ciclo di vita può essere descritto mediante le classi di esigenze che accompagnano il tempo della vita. Ed ecco una prima scoperta: tutta la vita economica è riconducibile a poche classi di bisogni che esauriscono qualsiasi esigenza economico-finanziaria legata al ciclo di vita di un risparmiatore e degli eventuali familiari. La prima è la tutela della propria capacità economica e della serenità dei propri cari, perché gli imprevisti possono capitare dall’oggi al domani. La parola 49 guida delle prime fasi della vita economica è tutelare. Il senso è che, per poter affrontare il futuro con serenità, bisogna innanzitutto proteggere il reddito ed il patrimonio, cioè rimuovere le ansie derivanti dai rischi immediati. La protezione riguarda anche la trasmissione ereditaria della ricchezza e dei frutti del proprio lavoro accumulati; da qui una particolare cura per la pianificazione successoria. Risolto il problema più immediato, si pone il tema delle risorse finanziarie sulle quali costruire il proprio futuro ed eventualmente quello dei cari. Non sempre tuttavia le risorse sono finalizzate ad uno scopo specifico: la vita di un risparmiatore comprende anche riflessioni e decisioni rivolte a creare e gestire il proprio risparmio per il futuro, semplicemente. Proseguendo sulla strada della semplificazione, tuttavia, si deve notare come alcuni temi, ad esempio l’acquisto della casa e lo studio dei figli, racchiudono sotto diverse destinazioni un unico tipo di processo, che consiste nella finalizzazione del risparmio e del patrimonio al raggiungimento di un obiettivo di vita quantificato in termini temporali ed economici; raggruppare temi simili è dunque possibile ed efficace per adeguarsi in particolare al linguaggio del cliente, e la sintesi porta a evidenziare come qualsiasi obiettivo economico possa racchiudersi in una delle fasi seguenti, cronologicamente sequenziali e coerenti con il ciclo di vita: un individuo nasce con un deficit di reddito che qualcun altro deve colmare; al crescere dell’età tendono ad aumentare il suo tenore di vita ed i consumi; termina la propria esistenza in fase calante, in corrispondenza di quel pensionamento che inizia intorno ai 60-65 anni e conduce fino ad età avanzatissime grazie al prolungamento della longevità. 50 Obiettivi/età 30 40 60 Obiettivi definiti Costituzione scorta monetaria Acquisto casa Rimborso debiti Educazione figli Sostegno dote figli Disponibilità da allocare Incremento standard di vita Accumulo previdenziale Imprevisti Previdenza e tutela Tutela familiari Mantenimento tenore di vita Tabella 4 Classificazione del tempo di vita per bisogni. 2.4 Il Marketing del Promotore Finanziario. Diagnosi e pianificazione del portafoglio clienti con l’obiettivo della redditività di lungo periodo. Senza dubbio chi inizia oggi la professione del P.F. si trova ad affrontare un contesto ben più complesso e competitivo di chi iniziava pensando alla vendita come l’unico vero volano della propria impresa. Le tecniche di vendita oggi sono state sostituite da tecniche di 51 relazione; il marketing, solo negli ultimi anni, e non sempre dobbiamo dirlo, è un elemento presente nella formazione dei professionisti della consulenza; gli strumenti della pianificazione e la conoscenza dei prodotti finanziari sono importanti, ma non possono rappresentare da soli il bagaglio tecnico che oggi un P.F. è chiamato ad arricchire per incontrare un successo duraturo nel tempo. Fare marketing rappresenta sempre più un elemento essenziale. Ma anche su questo occorre fare una precisazione. Non di un marketing “tout court” che replica, nello stesso modo, il metodo della definizione della strategia a monte integrata dal marketing mix e che stabilisce con certezza percorsi virtuosi, quali ad esempio il “successo”, lo sviluppo della quota di mercato o l’acquisizione dei clienti. Credere che il Marketing abbia una formula evergreen è sbagliato. La motivazione risiede nella velocità con cui il settore finanziario si sta evolvendo. Occorrono quindi innovazioni e forme originali di marketing per puntare ad obiettivi definibili di successo in questa professione. Basti pensare al fenomeno dell’ipercompetizione, che sposta continuamente in avanti il livello di offerta e, di conseguenza, innalza il livello di soddisfazione attesa dalla clientela (che sta perfettamente al gioco del “più a meno”), che riduce i margini (comunque sempre sufficientemente elevati se paragonati con il resto d’Europa) e sposta l’attenzione più sulla conquista del cliente che sul suo effettivo appagamento. C’è bisogno di un nuovo tipo di Marketing, quindi, con il quale l’impresa che punta a crearsi un portafoglio di clienti soddisfatti, fedeli e che soddisfano di conseguenza nel tempo le aspettative reddituali del professionista, possa farsi notare rispetto alla concorrenza, farsi apprezzare per l’approccio differenziale che riesce ad avere. Il farsi notare, la comunicazione quindi, oggi può essere il paradigma vincente, l’asse intorno al quale ruotano tutti gli altri meccanismi del marketing mix . Analizziamo brevemente quello che di nuovo sta emergendo a proposito delle variabili classiche del marketing, in questo settore specifico. 52 - Il Prodotto (la qualità percepita/diversificazione dell’offerta). Nel prodotto da sempre rientrano le fasi del ciclo di vita e tutti gli elementi relativi alle linee dello stesso, alla sostituzione di nuovi prodotti, alla pietrificazione, alla maturità innovativa. Oggi questi concetti si legano a quello di qualità, intesa non come quello che l’azienda è in grado di fare, ma come ciò che il cliente desidera ricevere. - Il Prezzo (il valore per il cliente). Il prezzo è sempre stato sinonimo dei “metodi per la determinazione del prezzo”, ovvero: imitazione del leader, studio del margine di contribuzione, teoria del mercato (domanda/offerta) e del valore percepito dal cliente. Oggi l’accezione totale del valore va intesa come valore olistico che il cliente ricerca, non l’ammontare di denaro che scambia per ottenere un determinato servizio. I fattori intangibili (tranquillità, sicurezza, semplicità, servizio, notorietà, immagine) stanno diventando nel settore finanziario più importanti di quelli tangibili (prodotto, assistenza, costi). - La Politica distributiva ( i canali e la virtualità) La distribuzione oggi non si limita più alla scelta fra canale indiretto (breve e lungo) e diretto, ma si assiste alla trasformazione epocale data dalla virtualità dei canali attraverso il telefono, internet ed altri approcci a distanza. - La Pubblicità (la comunicazione integrata). La pubblicità, da sempre intesa come variabile istituzionale (esterna, insegne luminose, giornali, radio, tv, media, oppure sotto la linea, marketing diretto piuttosto che telemarketing), oggi è diventata comunicazione integrata. Essa considera contemporaneamente sia il mix di pubblicità volta verso l’esterno, che quella volta verso l’interno. Diventa infatti fondamentale comunicare ai collaboratori quali siano valori, visioni, linee guida. 53 Tutto ciò non annulla il vecchio concetto di marketing, anzi lo evidenzia ed attualizza. Analizzando per esempio il Portafoglio clienti di un Promotore Finanziario, si vede che, a seconda dell’attenzione e della tipologia che i clienti si aspettano dalla stessa, il marketing deve essere più o meno evoluto. Chi però si adagia sulle vecchie scelte, chi rimane fermo, seppur ad un successo del passato, è destinato a chiudere o a vivacchiare fino all’insuccesso. E’ oggi obbligo realizzare sempre un marketing “up to date”, un marketing alla moda, “fresco di giornata”, che cambia, che evolve nelle sue piccole componenti, ma che non si distacca dalla sovranità e dalla centralità del cliente. Fare marketing per un P.F. vuol dire essenzialmente lavorare intorno ad una continua diagnosi della propria risorsa principale: il Portafoglio Clienti e poi pianificare la propria attività partendo da una classificazione degli obiettivi prioritari, legandoli al ciclo di vita del rapporto con i clienti stessi. Volendo qui analizzare gli obiettivi di un’impresa che ha già un portafoglio consolidato nel tempo e che quindi non si trova nella fase di start up, e perciò obbligato a rivolgere quasi tutti i suoi sforzi per la fase di acquisizione dei clienti, dovremo partire dall’analizzare quelle che sono da considerare le Aree di Criticità da presidiare. In modo schematico possiamo individuare le seguenti aree, da analizzare attraverso il Sistema Informativo di Marketing, uno strumento sempre più dinamico da implementare con le informazioni interne ( interviste ai clienti) ed esterne (dati e notizie della Banca , aggiornamenti, indici di riferimento ecc.). - Soddisfazione –Fiducia dei clienti ( livello di ripetitività delle transazioni- retention media del portafoglio) - Clienti attivi – passivi nel passaparola (referals) 54 - Costi (tempi di acquisizione, di assistenza e mantenimento) - Cross selling ( grado di diversificazione prodotti ) - Up selling ( livello di sensibilità al prezzo ) - Età media del portafoglio ( anagrafica clienti- ciclo di vita del cliente) - Contribuzione ( rapporto fra commissioni di gestione e di sottoscrizione ) - Redditività degli stocks di risparmio ( rapporto fra risparmio gestito e amministrato) - Rischiosità del portafoglio ( asset class del portafoglio) - Immobilizzo e rotazione del portafoglio prodotti (rapporto fra strumenti a breve-medio termine e strumenti a medio-lungo termine) - Piramide del risparmio ( pianificazione risorse per aree di bisogno) - Rotazione e ciclo di vita del portafoglio ( indice di rotazione clienti nuovi, riassegnati e persi ). Guardare quindi, come abbiamo anticipato prima, al connubio stretto fra mettere al centro il cliente, con i suoi bisogni e le esigenze specifiche da soddisfare, con la ricerca di una redditività sostenibile nel tempo, significa tendere a mantenere in perfetto equilibrio il Portafoglio clienti in un’ottica di ottimizzazione dei fattori considerati chiave e che si possono così individuare e analizzare brevemente: 1) La soddisfazione del cliente è la premessa del successo ed il primo scalino per rimanere competitivi in un contesto di saturazione del mercato e di concorrenza aggressiva come l’attuale. Nel successivo capitolo vedremo come dovrebbe articolarsi l’attività di un professionista nel ricercarla e nel trasformarla in fedeltà prima ed in fidelizzazione poi, livelli obiettivo a cui far tendere i propri clienti. E’ ovvio che nella customer satisfaction occorre investirci (costo temporale del corteggiamento, dell’acquisizione e soprattutto 55 dell’assistenza post-vendita) con un’ottica non di breve termine nella vendita di un servizio finanziario, poiché potrà in seguito risultare determinante sia per la redditività di transazioni ripetute nel tempo che per la rendita prodotta dalla fedeltà. 2) Il tempo da dedicare al cliente è un fattore da monitorare e da pianificare, proprio per la scarsità di questa risorsa fondamentale. Nel classificare la clientela dovremo perciò non trascurare i diversi livelli di impegno che comportano segmenti diversi in funzione di atteggiamenti personali del cliente verso il servizio di consulenza finanziaria, di stili di relazione, di disponibilità verso la delega, di informazione e consapevolezza, di bisogno di rapporti umani ecc. , ma soprattutto in funzione delle strategie adottate dall’impresa nel predisporre un piano personalizzato di “Marketing di contatto”, suddiviso fra le fasi diverse della ricerca del cliente, della sua acquisizione e del processo di mantenimento, tenendo conto di una stima ormai consolidata statisticamente, per cui il costo di acquisizione di un cliente nuovo è circa 5 volte superiore al costo di mantenimento di un cliente esistente. 3) La diversificazione dei prodotti/servizio è un fattore che indica, da un lato, l’innalzamento di maggiori barriere intorno al cliente e dall’altro una ripetuta disposizione del cliente stesso alla soluzione di più esigenze e quindi ad una progressiva fedeltà. Ma per il settore della consulenza finanziaria, la diversificazione rappresenta soprattutto una maggior sicurezza e minore volatilità del portafoglio servizi del cliente stesso, il quale sarà normalmente meno soggetto all’andamento, anche psicologico, di un unico mercato o di un unico prodotto. Fare cross selling quindi è uno dei principali elementi di pianificazione dell’attività del P.F.. La diversificazione poi, quando va nella direzione dell’up selling, significa che il rapporto con il cliente ha intrapreso la strada giusta in un’ottica di redditività, poiché si opera con una minor sensibilità al costo del servizio da parte del cliente, che percepisce il valore aggiunto della consulenza, dell’assistenza personalizzata e 56 dell’attenzione a lui rivolta dal P.F. ed è disposto ad acquistare servizi a più alto contenuto di valore ( tipico l’esempio del cliente che, partendo dal c/c bancario, inizia progressivamente ad usufruire di servizi aggiuntivi specifici come le carte di credito, l’accredito di stipendi e pensioni , l’addebito utenze, e poi accetta di affrontare esigenze via via più complesse come un fondo pensione per la previdenza integrativa, una gestione patrimoniale per l’accumulo delle risorse nel tempo ecc.). 4) La soddisfazione del cliente si misura anche in relazione al grado di attività-passività dello stesso nel fornire referenze di nuovi clenti e nel passaparola, elemento di fondamentale importanza nella crescita della quota di mercato di un P.F. A questo obiettivo bisogna però lavorare, nello specifico prestando un’attenzione peculiare al cliente che si dimostra soddisfatto della relazione e dei risultati ottenuti con il P.F. Tale cliente è certamente da inserire nella prima fascia della segmentazione ideale del portafoglio, poiché è quello che rappresenta la più importante risorsa di sviluppo in un’ottica futura, specialmente se il P.F. riuscirà a gratificarlo con le più ricercate leve di fidelizzazione. Per il cliente ancora passivo da questo punto di vista, dopo un’analisi attenta delle specifiche motivazioni da rilevare con un’intervista aperta ( insoddisfazione latente, riservatezza, poca predisposizione al passaparola), si tratta di intraprendere iniziative di marketing specifiche che forniscano dei vantaggi specifici al cliente, nell’ambito delle sue aspettative ricercate. Investire molto, quindi, in questo aspetto, è un utile attività che favorisce la rotazione produttiva del portafoglio verso una redditività di lungo periodo. 5) La rotazione del portafoglio, intesa proprio come attenzione all’equilibrio del ciclo di vita dello stesso. Equilibrio che si deve sostanziare sia nella miglior composizione media, per età anagrafica, dei clienti ( ottimale sarebbe un portafoglio con età media intorno ai 4045 anni, che coincide con il massimo momento di accumulazione del risparmio di un lavoratore), sia come flussi di turn-over tendenti ad una 57 durata di retention del cliente mediamente crescente. Questa rappresenta nel tempo la più importante area da presidiare (perché la più lungimirante). Gli strumenti da utilizzare in tal senso sono, oltre a quelli della qualità del servizio per il mantenimento del cliente, dell’innovazione, e del rapporto (partnership con il cliente), quelli del marketing indirizzato verso le nuove generazioni di clienti (innanzitutto i figli ed i nipoti dei clienti stessi), ma anche verso nuovi segmenti di mercato potenziale, da attrarre con iniziative specifiche di comunicazione, sponsorizzazione, pubblicità, utilizzo dell’internet marketing e degli sms telefonici, in linea con i gusti e le tendenze delle nuove generazioni. Promuovere servizi specifici per un cliente di nuova generazione significa non solamente attenzione alle esigenze di questa fascia (Mutui prima casa, carte di debito, bancomat gratuiti per studenti universitari, finanziamenti per master scolastici o corsi all’estero), ma anche parlare la “stessa lingua”, colpire con la fantasia dei sistemi di comunicazione e cogliere in anticipo i sogni di questa generazione di clienti del futuro. Anche qui si tratta di investire, puntando non ad una redditività che difficilmente potrà venire nel breve da queste tipologie di transazioni, ma guardando oltre, al rinnovamento di un parco clienti che sta invecchiando e che, al momento della trasmissione ereditaria delle risorse finanziarie in gestione, non potrà trasferire anche la fedeltà, senza che questa non sia viceversa acquisita prima con pazienza e lavoro sui beneficiari di nuova generazione della stessa. 6) Un’importante area da monitorare per il P.F. è rappresentata dal rapporto fra le commissioni di acquisizione e di gestione nel fatturato prodotto; in pratica fra l’attenzione alla redditività prodotta dalle transazioni sui nuovi servizi collocati a clienti (nuovi acquisizioni e/o in assistenza) ed alla remunerazione che la banca mandante storna al P.F. per l’attività di mantenimento del patrimonio gestito alla clientela. Essendo quest’ultima parte delle commissioni di gestione che i clienti versano direttamente alla banca nel corso della vita di un prodotto 58 gestito ( Fondi comuni, GPF, Fondi di fondi, Polizze Unit Linked ed altro) l’equilibrio, che deve certamente tendere al rafforzamento della componente “fissa” del Portafoglio, non deve però mai trascurare la visione fondamentale, legata alla soddisfazione del cliente e quindi al giusto mix di prodotti-servizi in grado di affrontare adeguatamente le sue esigenze, le sue aspettative, le sue attitudini e propensioni verso il rischio-volatilità dei prodotti in gestione. Non si dovrà mai scambiare insomma l’esigenza di una maggiore redditività e stabilità di guadagno di un Professionista a scapito degli stessi valori ricercati dal cliente, specie se ritenuto strategico. Qui sta a volte il senso delle contraddizioni e dei conflitti di interesse che si possono aprire fra il P.F., la Banca ed il Cliente: e qui si vede il diverso senso di chi opera con una visione, non solo etica, ma anche di lungo respiro della professione e chi invece guarda al breve, con una logica di miopia professionale sicuramente perdente in un contesto ambientale di questo tipo. 7) La stessa considerazione va fatta, nella composizione del portafoglio di un P.F.,fra i prodotti di risparmio gestito (più redditizi, ma mediamente più volatili e da valutare in ottica di lungo periodo) e di risparmio amministrato (depositi di c/c, titoli di stato, obbligazioni, titoli azionari, pct ecc.). La giusta Asset allocation del Portafoglio, globalmente inteso fra i clienti di un P.F., determina quindi sia il livello di redditività dello stesso, sia il livello di volatilità-rischiosità complessivo ed orienta verso considerazioni di vario tipo il professionista che desideri puntare al mantenimento di un cliente nel lungo periodo piuttosto che alla massima incidenza dell’utile nel contingente. Certamente, a prescindere dalle considerazioni precedenti sull’etica e sulla “vision” di periodo, vi è la forte necessità di operare per favorire una crescita culturale dei clienti, orientandoli a soddisfare esigenze di lungo termine con gli strumenti più adeguati (risparmio gestito) piuttosto che con quelli che mirano solo una alla “disponibilità 59 immediata” del denaro, ai quali spesso tende il risparmiatore medio italiano, specie dopo ogni ciclo negativo dei mercati finanziari. In quest’ottica va presidiato il Portafoglio anche sotto il profilo dell’eccesso di risparmio “immobilizzato” o a forte componente di gestito azionario e di polizze, contro l’eccesso opposto di liquidità e/o disponibilità garantita da titoli a breve, depositi in conto, pct, e altri strumenti molto liquidi ma poco redditizi sia per il cliente che per il promotore. Anche qui l’equilibrio deve essere ricercato a partire da una giusta allocazione delle risorse in funzione soprattutto della Piramide del risparmio, lo strumento che meglio degli altri rimanda ai diversi bisogni del cliente ed alla selezione delle priorità ( liquidità, riserva , investimento, previdenza, extra-rendimento, protezione economica) con servizi adeguati che li soddisfano in una dimensione temporale e di rischiosità specifica. La Piramide è il driver del processo commerciale e rappresenta il benchmark a cui tendere, permettendo il controllo costante sull’effettiva allocazione del portafoglio rispetto alle strategie scelte. 2.5 Dal Private Banking al Wealth Management, verso la “ consulenza oggettiva”. Abbiamo già introdotto in precedenza il concetto di Private Banking quando, dagli inizi degli anni ’90, certi Istituti di Credito si sono avvicinati con divisioni specifiche ad una fascia di clienti più facoltosi e bisognosi di un servizio particolarmente personalizzato. Una definizione di private banking potrebbe essere infatti quella in cui lo si interpreta come “ l’offerta di servizi personalizzati e di elevata qualità ad un numero limitato di clienti con grandi disponibilità e bisogni finanziari complessi”. 60 Abbiamo anche fatto l’esempio di Banca Fideuram che, come target di riferimento, ha scelto proprio la clientela di fascia medio-alta per implementare la sua offerta di consulenza attraverso la sua Rete di promotori finanziari. In realtà il termine private banking dovrebbe comprendere al suo interno un tipo di servizio che difficilmente in Italia fino ad oggi è stato erogato da parte del sistema bancario tradizionale, ma che sempre più si sta affermando come una nuova importante frontiera competitiva. I servizi predisposti per la clientela con patrimoni finanziari elevati ( a partire da € 500.000), non dovrebbero essere solo di investimento, ma abbracciare un certo numero di attività di questa fascia di famiglie target, spaziando dal tax planning ai servizi di finanziamento, dai servizi previdenziali- assicurativi alla gestione del patrimonio immobiliare, dalla consulenza su opere d’arte a quella su altri beni di lusso (preziosi, vino pregiato). L’idea è quindi quella di offrire un ventaglio di servizi, il più completo possibile, finalizzato alla soddisfazione di tutte le esigenze della sfera finanziaria del cliente, proponendosi in questo modo come consulente di fiducia del cliente stesso. Da qui nasce l’importanza per la cura della relazione, vista come elemento distintivo di questo servizio. Oggi in Italia, riportando i dati di recenti ricerche svolte per conto dell’Aipb (Associazione Italiana Private Banking), ci sono oltre 700mila famiglie di questa fascia di patrimoni ( esclusi immobili,arte, preziosi) per un patrimonio globale stimato di oltre 780 miliardi di euro, rispetto ai 740 miliardi del 2004. I capitali di questo target sono dunque in aumento. In quanto alla tipologia, il 98% delle famiglie Hnwi (High net worth individual, la parte più ricca di popolazione) si concentra nella fascia più bassa, compresa fra 0,5 milioni e 5 milioni di euro. Il 2% si colloca nella fascia intermedia fra 5 e 50 milioni e solo lo 0,1% ha un patrimonio che supera i 50 milioni. Il polo principale è costituito dalla Lombardia dove, essendovi prodotto il 20,8% del Pil, si concentra 61 invece il 25,9 % dei capitali investiti, principalmente nella piazza milanese. Il Lazio e l’Emilia rappresentano le altre due regioni più importanti per destinazione degli investimenti superiori al Pil prodotto. Ciò vuol significare che la tendenza ad investire anche fuori della regione di appartenenza è un fenomeno importante che prelude a scelte basate sulla professionalità e sul consolidamento degli operatori presenti su certe piazze, con strutture, organizzazione e risorse umane più sofisticate ed attrezzate pronte anche ad attrarre una mobilità interregionale dei capitali. D’altra parte è ben noto il fenomeno dell’off shore che ha visto per anni i nostri capitali in fuga verso l’estero, in direzione di Banche specializzate e con una esperienza di decenni in materia . In Italia, secondo una fotografia del settore scattata lo scorso anno dal centro studi Magstat di Bologna, la fetta più consistente dei patrimoni, pari a 291 miliardi, è gestito dalle banche italiane che hanno una divisione interna di private banking; seguono, ma con una porzione ridotta pari a 42,3 miliardi di asset in gestione, le banche specializzate italiane, poi con 41 miliardi, arrivano le banche d’affari straniere. In crescita è anche la quota di mercato gestita dalle reti di promotori finanziari con strutture ad hoc per il private, mentre più che un raddoppio sull’anno precedente hanno fatto registrare le strutture di family office, segno chiaro di come le famiglie di super-ricchi siano sempre più alla ricerca di strutture di gestione esclusive, focalizzate solo su un patrimonio o sul patrimonio di una cerchia ristretta di famiglie. Il numero di clienti private è ovviamente molto inferiore a quello dei clienti retail : ciononostante sono molte le banche che già affollano il ricco ma piccolo segmento private. Lo scenario è destinato a diventare ancor più competitivo con un conseguente calo della redditività e la necessità di grossi investimenti per battere la concorrenza. Le pure private banks stanno investendo grandi somme nell’asset management e nel settore della consulenza d’arte, sulla pianificazione fiscale e 62 successoria, sugli aspetti legali e societari, sulle transazioni immobiliari; ciò è possibile creando professionalità interne, ma soprattutto dando vita ad alleanze e partnership con istituzioni specializzate nei singoli segmenti di attività. A livello strategico si aprono nuovi scenari e la competizione per assicurarsi clientela top diventa quindi trasversale lungo una molteplicità di settori che prima erano alleati nel fornire servizi e prodotti integrati verticalmente e orizzontalmente proprio verso la clientela top. Il grande interesse per il private banking è da ricercarsi nella reale e potenziale redditività ottenibile da questo particolare tipo di clientela, che può portare un rilevante contributo al conto economico di molti operatori, basandosi sulle caratteristiche del nostro paese ( assai superiore alla media europea nella produzione di risparmio, in ritardo per quanto riguarda lo sviluppo potenziale connesso al grande business dei Fondi Pensione e con un tessuto di piccola e media impresa che supporta la creazione di ricchezza in modo ancora molto diffuso). Ciò che particolarmente ci interessa nella nostra analisi è rilevare come, alla nozione di Private Banking, si collega un “modo di essere e di fare banca” del tutto particolare, caratterizzato da personalizzazione del prodotto-servizio offerto, livello di servizio elevato e orientamento all’eccellenza nella produzione delle migliori soluzioni alle problematiche finanziarie dei clienti, in un’ottica di gestione finanziaria globale. Ciò richiede una particolare modalità di relazione tra l’intermediario ed il cliente comunemente indicata con l’espressione di “relationship banking”, cioè di esercizio dell’attività bancaria sul fondamento di una relazione forte, duratura e multifunzionale con il cliente. Diversamente, il retail banking si caratterizza per un’offerta centrata sull’efficienza delle transazioni e non sulla relazione con la clientela. Si sviluppa infatti, in questo secondo tipo di servizio, una strategia competitiva che, attuando una segmentazione di clientela 63 fondata sull’uniformità dei bisogni, offre un prodotto-servizio, nella maggior parte dei casi, standardizzato; si parla in questo caso di “transaction banking”. Dal confronto risulta molto evidente che l’attività proposta alla clientela di elevato standing è diversa dall’offerta per il pubblico retail fin dalle sue basi. Gli operatori di private banking, così come del resto i promotori finanziari per il loro portafoglio, sono lontani dalla logica della mass customization sulla quale invece si basa l’odierna attività bancaria al dettaglio, orientandosi verso servizi tailor made costruiti su misura. Il cliente tipo, ha oggi esigenze più sofisticate rispetto al passato, che richiedono, quindi, sempre maggiori competenze ed esperienza nel costruire tali soluzioni ad hoc. Il modello del private banking è quindi orientato al cliente ed al soddisfacimento dei suoi bisogni. Per un operatore di private banking e per un promotore finanziario diventa così fondamentale avere un’opportuna delimitazione della propria base clienti ed una conoscenza chiara di ognuno dei loro bisogni per affinare l’offerta seguendo i distinti segmenti di mercato. Oggi infatti il private banker o relationship manager non si misura più tanto e solo sulla capacità di avere un grande portafoglio o clienti facoltosi al seguito, ma lo si valuta sul servizio che è in grado di offrire, perché è su quello che i big del settore possono fare la differenza nei prossimi anni. Le persone con un’esperienza adeguata per diventare davvero dei private banker oggi sono poche; non basta segmentare la clientela e creare dal nulla una divisione dedicata con prodotti sofisticati ed un’offerta ampia, magari riconvertendo alcuni bancari nel campo dei titoli al nuovo ruolo, per vincere la sfida con le aziende straniere che da tempo sono attive nel settore. Tutti gli operatori della distribuzione si stanno convertendo alla consulenza, ma la differenza la faranno ancora una volta gli uomini più preparati. Il ruolo primario che il private banker ricopre nella relazione con il cliente lo rende un asset importante per tutti gli operatori presenti sul 64 mercato. Egli è quindi fondamentalmente un professionista che deve poter essere indipendente da pressioni commerciali, deve rappresentare per il cliente un reale problem solver e non apparire come gestore o venditore di prodotti finanziari; deve essere una figura professionale completa in possesso di elevate ed ampie competenze sul piano relazionale, tecnico e consulenziale. In certi casi si va appunto affermando e diffondendo un modello organizzativo che prevede il private banker come gestore virtualmente esclusivo della relazione, nella veste di relationship manager, affiancato da uno staff di specialisti che egli stesso coordina nel servizio al cliente. Gli aspetti cruciali sui quali poggia l’attività di private banking dovrebbero essere sempre presenti all’operatore e ben visibili al cliente in ogni momento della relazione: il livello di personalizzazione, la fiducia e l’affidamento totale del cliente al suo interlocutore, la riservatezza che connota la relazione professionale, la trasparenza assoluta nel rapporto. Abbiamo già visto che i clienti private sono diversi e più sofisticati rispetto ai clienti retail tradizionali. Dall’analisi del profilo di rischio nascono quindi sentieri che portano alla scoperta degli aspetti rilevanti del comportamento e del carattere o delle abitudini della clientela per superare le vecchie logiche di prodotto o di asset class ed evolvere verso la logica delle strategie e degli stili di investimento. Questi richiedono una conoscenza approfondita sia del carattere che del comportamento della clientela al fine di evitare potenziali conflitti o insoddisfazioni. Dalla strategia di vendita quindi si sta passando ad una vendita di strategie di investimento. La segmentazione abbiamo visto essere il primo passo in una reale strategia di marketing. Una volta che gli operatori di marketing dividono il mercato in vari gruppi, possono poi selezionare i loro 65 “segmenti obiettivo” e disegnare “modelli di servizio” che soddisfino le loro esigenze. Nel complesso mercato del Private Banking, l’approccio tradizionale ha dimostrato di non funzionare efficientemente, specialmente durante i crolli dei mercati o dei tassi dove la relazione subisce un periodo di stress non certamente benefico per il tipo di rapporto. Prima di realizzare qualsiasi strategia di segmentazione occorre aver ben chiari quali sono gli obiettivi che si vogliono perseguire. Nel settore finanziario, in particolare nel private banking, un obiettivo particolare è la verifica dell’esistenza di comunità relazionali interne; esso può diventare un punto di arrivo per poi realizzare ulteriori innovazioni di marketing finalizzate al rinforzo della relazione e della fiducia della clientela. E’ evidente, a tal proposito, come tale obiettivo debba essere perseguito cercando di identificare comunità con passioni condivise tra i clienti e con i clienti oppure gruppi omogenei di aspettative, bisogni e visioni, ricercando inoltre le affinità elettive tra i clienti ed il private banker. Molti professionisti utilizzano solo dati demografici per profilare i propri clienti e, così facendo, può darsi che trascurino le percezioni che li condurrebbero a migliori clienti o li aiuterebbero a lavorare più produttivamente con gli attuali clienti. Per superare questi limiti allora è necessario coniugare gli approcci di segmentazione operativa con quelli maggiormente legati alla psicologia ed ai comportamenti dei clienti, poiché solo in questo modo sarà possibile conoscerli nelle loro differenti dimensioni umane, lavorative e sociali. E’ evidente che trattandosi di un’analisi all’interno del segmento private, la finalità principale è quella di creare valore attraverso la relazione e la soddisfazione del cliente nel lungo periodo. Considerando le caratteristiche personali e finanziarie dei clienti private e che spesso essi prendono decisioni su complicati livelli psicologici, occorre identificare nuovi paradigmi di analisi che consentano di incrociare contemporaneamente i loro aspetti patrimoniali, emotivi, 66 comportamentali ed attitudinali. Occorre quindi valicare il muro anagrafico (sesso, età, professione) ed entrare in un’analisi molto più complessa e difficile, ma assolutamente necessaria per costruire il rapporto di fiducia con la propria clientela. In questo senso allora la segmentazione assume dimensioni differenti: • una dimensione orizzontale, quando cioè l’attenzione è posta su variabili non modificabili e/o non determinate dall’ambiente esterno. • Una dimensione verticale, quando cioè vengono analizzate nella loro mutevole complessità quelle informazioni variabili nel tempo, come la professione, il patrimonio, i bisogni, gli stili di vita, la salute, le emozioni, le aspettative, i desideri. • Una dimensione trasversale, quando cioè vengono analizzate contemporaneamente in un dato momento due classi di variabili tra loro correlate come l’avversione al rischio e l’età, oppure gli obiettivi patrimoniali e l’aumentare della complessità familiare. • Una dimensione circolare, quella più completa e utile, che consente di analizzare contemporaneamente più variabili e la loro auto-correlazione in un’ottica evolutiva nel tempo, tenendo conto anche degli aspetti psicologici e comportamentali dei clienti. Questa dimensione consente di profilare correttamente la clientela tenendo conto di quelle variabili considerate rilevanti dalle strutture di marketing in funzione dei modelli di servizio adottabili che vanno dal personal financial planning al family office. I fattori quindi alla base di un complesso processo di segmentazione possono poi essere molteplici: a) segmentazione su variabili personali e famiglia; b) su variabili patrimoniali e finanziarie; c) sull’approccio agli investimenti; d) su base psico-comportamentale (relazione con la ricchezza). 67 Il fatto che molte strutture riservate alla fornitura di servizi di private banking “tradizionale” si siano dimostrate alle volte inadeguate, nel rispondere in modo puntuale e completo alle esigenze consulenziali espresse dalla clientela e nel soddisfare le stesse, ha dato vita ad una specie di “vuoto operativo”. In questo spazio hanno trovato collocazione alcuni intermediari con un’idea di sviluppo per questo settore assai diversa. Essi hanno iniziato a proporre alla clientela servizi detti di “wealth management ”, cioè servizi di gestione della ricchezza complessiva del cliente attuata con un approccio di personalizzazione estrema, ponendo l’accento sul fatto di curare il cliente a 360 gradi in modo individuale. Alcuni autori definiscono appunto il wealth management come “quel complesso equilibrio tra la domanda e l’offerta di un elevato numero di servizi e prodotti che dovrebbero consentire alla banca di diventare il centro di fiducia dei clienti per tutto ciò che riguarda il loro patrimonio”. In realtà l’innovativo termine non nasconde un vero e proprio concetto rivoluzionario: si tratta semplicemente del recupero di quei valori originari che hanno caratterizzato l’attività di global private banking. Nella sua concezione primitiva, essa richiedeva la valorizzazione, non tanto della capacità di un private banker di offrire validi prodotti, quanto di costruirli su misura in base alle esigenze specifiche del singolo cliente. Con il wealth management si assiste al cambiamento dell’ampiezza dell’ambito di interesse che guida la relazione con il cliente. L’attenzione viene posta sulle esigenze complessive del cliente lungo l’arco temporale della sua intera vita, in una visione più globale, il che vuol dire considerare la famiglia del cliente ed il patrimonio della stessa nel suo insieme, anche se multibancarizzato. L’enfasi è posta sulla relazione, sulla capacità non di offrire un prodotto standardizzato, ma di costruirlo ad hoc, sulle esigenze specifiche e mutevoli del cliente. 68 Il passaggio dal private banking al “wealth management approach” si concretizza ed identifica con il Servizio di Advisory: un approccio fondato sulle esigenze del cliente e sui conseguenti interventi consulenziali atti a soddisfarle e non più su prodotti meramente finanziari. Per rendere possibile questa sorta di cambiamento di approccio, il wealth management richiede che vengano distribuiti al cliente non solo prodotti interni, ma anche prodotti di terzi. E’ necessaria perciò un’evoluzione delle modalità distributive che si devono sempre più ispirare a strategie di “open architecture”. Con questo termine si intende quell’approccio che permette al cliente di avere un rapporto con la sua controparte che è, contemporaneamente, gestore principale, consulente e amministratore del conto con cui aprirà un mandato di gestione delegato in parte o nella sua totalità a gestori terzi. Il gestore, in questo modo, si pone in veste di controllore dei rischi e garantisce una gestione oculata. L’orientamento verso questo tipo di modello strategico implica al professionista o alla banca una serie di scelte gestionali di rilievo: in primis l’identificazione delle “attività core” per il cliente che verranno svolte in via diretta, e di quelle “no core” che saranno oggetto di esternalizzazione. Con il collocamento di prodotti di terzi, che caratterizza tale approccio, si rende necessario il ricorso ad una serie di tecnici e specialisti esterni che attuano i loro interventi consulenziali in quelle aree di attività in cui l’intermediario non ha competenza specifica o che ritiene comunque opportuno delegare all’esterno. L’attivazione di qualificati consulenti esterni è importante anche perché rende snella e flessibile la struttura, non implicando una crescita dei costi fissi. I principali limiti dell’approccio tradizionale al private banking, elencati nella tabella 5, hanno costituito i veri fattori critici su cui puntare nell’attività di wealth management per conseguire reali vantaggi competitivi durevoli. 69 Tabella 5 – Private banking tradizionale e wealth management: limiti e fattori critici di successo Limiti private banking tradizionale Fattori critici di successo del Wealth Management Business model Cliente target Focus sulla gestione dei patrimoni Consulenza a valore aggiunto con gestione finanziari della clientela, spesso integrata di tutti gli asset della clientela svolta in house. tramite un modello di open architecture Fissazione di soglie patrimoniali Tipico cliente da private banking con spesso basse: servizio rivolto a clienti disponibilità di patrimonio più ampie e private di fascia bassa e upper problematiche diversificate. affluent. Incentrata sul servizio di asset Incentrata sui servizi di advisory, in tutte le management sue forme, in base alle esigenze del cliente. Relationship Semplice interfaccia relazionale della Problem solver nei confronti dei bisogni che manager clientela. Broker/gestore della un cliente private può manifestare. Value proposition relazione. Offerta Offerta standardizzata e scarsa Offerta altamente personalizzata sulla base capacità di visione delle delle esigenze dei singoli clienti. problematiche dei portafogli private. Leva competitiva Focus sul prezzo Focus sulla differenziazione dei servizi offerti per segmenti di clientela specifica. Politica di pricing Commissioni di sottoscrizione dei Minor sensibilizzazione al prezzo della prodotti significative e di gestione in clientela che percepisce l’importanza del calo per la concorrenza del settore. servizio consulenziale a maggior valore. L’abbassamento delle soglie di accesso ed un tentativo di ridurre i costi attraverso un certo livello di standardizzazione, unito alle difficoltà incontrate nell’essere davvero problem solver per tutte le necessità del cliente top, hanno cancellato parte dell’effettiva esclusività del private banking. Il tentativo di abbracciare tutte le esigenze del cliente rispondendo in ogni momento in maniera efficiente, soprattutto con prodotti acquistati all’esterno, rappresenta l’idea davvero innovativa del. wealth management. 70 Di recente, e precisamente con la Direttiva 2004/39/CE, nota anche come MIFID, la Consulenza in materia di investimenti è stata inquadrata tra le attività soggette ad autorizzazione, innalzandola per la prima volta a livello di servizio primario e non più meramente accessorio. Con questo importante passo, storico nel settore finanziario, la Consulenza Finanziaria Oggettiva, nata per supportare l’investitore individuale nelle proprie scelte di investimento, avrà sicuramente un grande sviluppo sul mercato italiano dei servizi finanziari dei prossimi anni. Sotto il profilo del mercato, l’attività di consulenza finanziaria oggettiva è fortemente coerente con una serie di tendenze in atto nella gestione e distribuzione dei servizi di investimento ai privati. Rapporti tra fabbrica-prodotto e distribuzione, rendimenti e costi del risparmio gestito, proliferazione di canali e di prodotti, costituiscono i principali elementi di contesto per il suo sviluppo. E’ in corso infatti un vivace dibattito sul tema dell’integrazione verticale tra produzione e distribuzione dei prodotti e servizi finanziari e assicurativi, I primi dieci gruppi bancari italiani risultano in controllo delle fabbriche prodotto, con una conseguente distribuzione baricentrata sui prodotti di casa. Nei Paesi anglosassoni, invece, questa discussione non è presente in quanto il settore finanziario è assai più specializzato e la consulenza oggettiva è già una realtà consolidata da moltissimi anni. Alcune banche-reti di promozione finanziaria fra le quali Banca Fideuram e Xelion Banca, sono state le prime a sentire l’esigenza di sviluppare un servizio specifico di consulenza per i propri clienti che hanno i promotori come referenti (contrattualizzato, con un prezzo ad hoc ecc,) e si stanno avviando ad applicare la MIFID in tempi brevi per i loro P.F. Nell’ambito del private banking, il servizio di consulenza finanziaria oggettiva è necessario in considerazione dell’ampiezza e tipologia della gamma servizi offerta. Inoltre tale servizio può diventare 71 particolarmente attrattivo in un’ottica di sviluppo e acquisizione di clientela raffinata come quella private. Grand’attenzione dovrà in ogni caso essere prestata alla definizione delle politiche di prezzo, data la sostanziale abitudine del cliente a ricevere un servizio di consulenza, sia pure implicitamente, compreso nei costi dei servizi-prodotti. Nel retail banking, nell’ambito dei clienti affluent, si giocherà la sfida più difficile e, forse, più avvincente. Diverse motivazioni spingono a favore dell’adozione di un approccio consulenziale. Innanzi tutto esiste una domanda non soddisfatta. Alcune ricerche parlano di un 20% circa di clientela affluent e private già interessati al servizio di consulenza a pagamento. Tra i clienti affluent è elevata la necessità di pianificare per tempo la propria gestione finanziaria, anche alla luce della riforma del sistema previdenziale. Inoltre alcuni segmenti affluent hanno chiare propensioni verso l’autonomia nelle proprie scelte di gestione degli investimenti, che la consulenza finanziaria non collegata alla vendita di prodotti specifici può consentire di indirizzare con efficacia, almeno per la fase d’advisory, disgiuntamente da quella d’esecuzione degli ordini. Il recepimento della Direttiva MIFID da parte dello Stato italiano, indubbiamente contribuirà allo sviluppo della figura dell’Indipendent Financial Advisory ( IFA), in altre parole del consulente che opera in modo indipendente dalle banche e dalle reti di promotori e che, per i servizi resi, percepirà un compenso direttamente dal cliente attraverso emissione di fattura, da cui l’acronimo Consulenti Fee only. L’IFA potrà essere una persona fisica o giuridica ( il dibattito è ancora aperto su questo) appositamente autorizzata alla prestazione del servizio di consulenza. Come tale esso sarà considerato impresa e dovrà essere iscritto in un apposito registro tenuto dalle competenti autorità. In particolare, chi ha intenzione di esercitare esclusivamente tale attività, dovrà dotarsi di un capitale minimo iniziale di 50.000 euro o sottoscrivere un’assicurazione che copra 1.500.000 euro di indennizzo 72 ai clienti per eventuali danni patrimoniali provocati da negligenza professionale. E’ prevedibile per questo che la maggior parte dei professionisti, più che aprire un’impresa individuale, decideranno di aderire piuttosto ad un network di consulenza o a studi associati. Ciò al fine di abbattere gli elevati costi inerenti ai controlli cui sono sottoposte le imprese di investimento, che sono gli stessi previsti per le imprese di intermediazione. 73 Capitolo 3 Un marketing innovativo della consulenza finanziaria. 3.1 Customer satisfaction e customer loyalty : verso la fidelizzazione del cliente risparmiatore. Questo lavoro ha voluto innanzi tutto evidenziare l’evoluzione che, negli ultimi venti anni, ha attraversato il settore della distribuzione dei servizi finanziari e della consulenza, cogliendo in particolare le peculiarità dell’approccio al cliente risparmiatore da parte del Promotore finanziario. Nel passaggio ad un contesto assai più complesso del mercato finanziario, quale quello in cui oggi viviamo, una costante si è andata affermandosi come il focus di riferimento per le varie figure professionali che sono nate (P.F, Private Banker, Relationship Manager, Consulente finanziario) e operano nei vari segmenti di mercato: l’attenzione al cliente, sempre più considerato come la vera risorsa scarsa del futuro. Ciò che in definitiva un’impresa bancaria e, a maggior ragione, un’impresa di consulenza finanziaria dovrà necessariamente fare per puntare ad un successo permanente nell’era della cosiddetta complessità, sarà migliorare il livello di qualità delle proprie prestazioni di servizi e, di conseguenza, partire dalla soddisfazione del cliente. La clientela soddisfatta costituisce per ogni azienda di questo settore il patrimonio più prezioso (il cui grande valore non risulta peraltro in nessun bilancio). Ecco che dunque la tutela e la valorizzazione di questo patrimonio diventano una priorità indiscutibile nella strategia aziendale. 74 Fino a non molti anni fa la gestione di un’impresa di promozione dei servizi finanziari era impostata sulla crescita del portafoglio clienti ed il marketing significava per lo più conquista di nuovi clienti. Anche con l’avvento della fase di maturità del mercato, in questo settore l’azione di marketing ha continuato ad essere orientata alla conquista (sottrarre quota di mercato e clienti alla concorrenza), assumendo perciò un’ottica spiccata di “marketing competitivo”. Siamo oggi in quella fase invece che ha richiesto un’ulteriore evoluzione del marketing in cui, appunto, si rafforza in modo determinante la gestione della fidelizzazione, perché essa costa assai meno della conquista. Il cliente risparmiatore, sempre più esperto, tende a dare ormai per scontati i basics dell’offerta (affidabilità del prodotto, prezzi competitivi, comunicazione corretta e senza eccessi, accessibilità del prodotto, scelta di gamma ecc.). Inoltre i prodotti sono fra loro sempre più simili e vengono imitati con rapidità crescente. Sempre più diffuso è il ricorso al servizio di alta qualità per disporre di un elemento differenziale capace di soddisfare e quindi fidelizzare il cliente. Ecco dunque alcuni dei riferimenti capaci di arricchire l’approccio verso un “nuovo marketing”: fidelizzazione, qualità totale del servizio, grado di soddisfazione, gestione della relazione con il cliente. La soddisfazione dei clienti passa innanzi tutto dal mantenimento della parola data e dal fatto che le promesse iniziali collimino con le attese della clientela. Ciò implica alcune fondamentali priorità: 1) ascoltare il cliente per tutta la durata del rapporto : nella fase iniziale del corteggiamento e del primo incontro, per poterne definire le attitudini, i comportamenti, i modi di pensare e soprattutto i bisogni e le attese; durante l’erogazione del primo servizio per monitorare le attività; nella fase successiva alla vendita per verificarne l’esito. Per questo motivo è indispensabile che il consulente guardi ai propri servizi con gli occhi del cliente, che ci sia una coerenza tra i sistemi di ascolto 75 e gli indicatori interni di qualità e di processo. Il professionista deve sempre anticipare e gestire le attese della clientela., dimostrando un comportamento proattivo rispetto ai mutamenti in atto, valorizzando il rapporto relazionale con i segmenti di domanda interessati. L’integrazione è massima, quando i processi aziendali si fondono con quelli dei clienti in un’ottica di creazione di valore. In altre parole si passa da una logica give/get ad una di partnership, propria dell’economia di collaborazione, dove il cliente, normalmente considerato dal consulente come destinatario dei servizi, diviene coprogettista e co-produttore. Quindi l’ascolto del cliente non deve essere uno slogan: è inutile avere precise informazioni sulla persona se poi non esiste la capacità/volontà di interpretarle e tradurle rapidamente in azioni di miglioramento. Un corretto sistema di ascolto deve presidiare: • la soddisfazione complessiva del cliente, con la finalità di conoscere la sua percezione globale, di consentire controlli e confronti nel tempo e di confrontarsi con la concorrenza, puntando ad un’ottica di wealth management; • la sua soddisfazione per specifici eventi chiave, con lo scopo di raccoglierne la valutazione su particolari aspetti e di incentivare l’emissione di giudizi affinché il suo ricordo rimanga vivo; • lo stimolo e la raccolta di reclami, osservazioni e suggerimenti, che consentono al cliente di comunicare con l’azienda quando lo ritiene utile, permettono all’impresa di capire dove si concentrano gli elementi di insoddisfazione e di dare la prova di saper gestire il recupero del disservizio; 2) considerare i problemi dal punto di vista del cliente e strutturare di conseguenza l’azienda, ripercorrendo tutti gli step che il cliente compie (dalla ricerca del fornitore del servizio alla valutazione del suo stato dopo l’erogazione dello stesso); 76 3) costante capacità e volontà di apprendere e, soprattutto, di mettere in pratica ciò che si è imparato. L’impresa che investe solamente nelle competenze tecnico-professionali riesce a migliorare il suo servizio di consulenza finanziaria, ma questo è un aspetto che può essere facilmente imitabile. Se invece investe contemporaneamente nelle competenze socio-culturali, contribuisce a creare una cultura aziendale orientata al cambiamento ed all’innovazione; 4) dimostrare responsabilità, esclusivamente nell’interesse del cliente; 5) aumentare la redditività dell’azienda attraverso il miglior equilibrio interno di risorse; 6) stabilizzare ed espandere i flussi di profitto presenti e futuri (cross- up selling, referals, controllo del ciclo di vita del portafoglio, wealth management); 7) fidelizzare per attuare la miglior difesa contro le manovre concorrenziali. Le preferenze generate nella domanda si traducono in “meccanismi d’isolamento”, suscettibili di dilatare le distanze concorrenziali. Inoltre la customer satisfaction implica l’ottimizzazione dei processi aziendali critici, generando sistematici incrementi in termini di benefici e contenendo, simultaneamente, i costi che il cliente deve sostenere per acquisire i suddetti benefici. 8) non dimenticare che la customer satisfaction è un traguardo mobile, spostato in avanti dall’azione dell’azienda e da quella dei concorrenti. Rimane tuttavia da precisare che lavorare in un’ottica di qualità totale, alla ricerca dell’obiettivo della customer satisfaction, è un fattore necessario, ma di per sè non sufficiente per assicurarsi la fedeltà del cliente. Una cosa è avere un cliente che diventa fedele sulla scorta di 77 un’impressione buona, confermata da una scelta consapevole che ha tenuto di conto delle diverse opzioni che il mercato offre e dei vari elementi del servizio acquistato, primo dei quali la buona relazione ritenuta un valore in sé; altra cosa è avere un cliente che non cambia, perché nel contingente vede troppi ostacoli a tale mutamento, ma che aspetta il momento propizio per andarsene, per vari motivi, pur se il nostro servizio lo ha soddisfatto. È la differenza fra la partnership del cliente e l’ownership. In quest’ultimo caso abbiamo solo la “detention” del cliente, l’esatto opposto della loyalty, la fedeltà. Per realizzare appieno le potenzialità derivanti da un portafoglio di clienti fedeli è necessario essere molto selettivi: focalizzare in pratica gli sforzi e gli investimenti per fidelizzare i clienti migliori, i clienti giusti, non necessariamente i più facili da attrarre o i più redditizi entro poco tempo, ma quelli che hanno intenzione di rapportarsi all’azienda anche nel lungo termine. Quante volte è capitato, ad un promotore finanziario di lunga esperienza, constatare con una certa incredulità come certi clienti siano rimasti fedeli, nonostante le performances dei loro portafogli non abbiano corrisposto alle loro attese per lunghi periodi. E’ in questi casi che, da una parte, si devono ripercorrere le tappe di una fidelizzazione reale basata su fattori personali positivi, per estenderne il modello ad altri clienti che presentano caratteristiche simili, ma anche per non cullarsi mai sugli allori e verificare se non ci siano invece fattori di abitudine e di inerzia in quei rapporti (che potrebbero venir meno in qualsiasi momento la concorrenza abbia la capacità di individuarli). C’è bisogno insomma di un continuo monitoraggio del rapporto e di rendere il cliente attivo nella partnership propositiva e progettuale, piuttosto che passivo e statico sulle posizioni acquisite. 78 Ci sono poi tutta una serie di piccoli accorgimenti e di modelli di comportamento virtuosi che un consulente o un promotore non può non tener di conto nella gestione quotidiana dei rapporti, utilizzando vecchi e nuovi strumenti : • non dimenticare mai di ringraziare il cliente per la fiducia accordatagli: al cliente piace sentirsi apprezzato; • capire se si sta lavorando bene e, se ci sono dei problemi, reagire rapidamente; • assicurarsi sempre che il cliente ritenga di aver fatto la scelta giusta; • riconoscere che nel processo di acquisto potrebbero esserci concorrenti capaci di farsi apprezzare dai nostri clienti e dare quindi sempre il meglio di noi; • creare un cliente esigente: se ciò avviene sarà più difficile per la concorrenza riuscire a fidelizzarlo. Il cliente ha bisogno di sentirsi speciale ed è necessario prendersi cura di lui; • creare momenti particolari nei quali far sentire al cliente la nostra esclusiva attenzione a lui: i cosiddetti “momenti speciali”, sul tipo della giornata del cliente; • venire incontro al cliente rispetto alle sue esigenze temporali ed agli spazi di vita privata che non vanno troppo invasi (incontri nei luoghi giusti, all’ora più adatta, con la giusta ambientazione); rendersi disponibile anche in momenti extralavoro facendogli percepire il valore; • comunicare con il cliente non solo in occasione di un’offerta di servizio, ma anche per informazioni utili, utilizzando i canali innovativi tipo email, sms, news group; • ricompensare i clienti di lungo periodo e coloro che si rendono attivi nelle referenze di nuovi potenziali clienti; 79 • fare sempre promesse che possono essere mantenute, ma mantenere anche vivo il “sogno” del cliente; dare divertimento ed eccitazione per combattere la noia del cliente, che può sempre spingerlo a trovare aria nuova con la concorrenza; • aiutare e consigliare il cliente anche in ambiti esterni o complementari al campo di servizio (tipo evidenziare al cliente come fare a risparmiare o come ottimizzare una scelta di consumo). Perché si possa parlare di fedeltà, e non di semplice abitudine, è necessario che nel cliente si verifichino due condizioni: - uno stato psicologico, cioè un’attitudine della mente, che lo spinge nelle sue scelte di investimento a prendere in esame un’unica azienda e ad escludere le altre; - un modo di agire, cioè un comportamento di acquisto esclusivo. Questo aspetto comportamentale è, a sua volta, influenzato da due variabili: - l’importanza del servizio per il cliente; - la frequenza d’acquisto. Al crescere delle stesse, aumenta il livello di esclusività nei confronti di un’ unica impresa di consulenza finanziaria. L’obiettivo quindi di ogni impresa sarà quello di spingere il comportamento della propria clientela, da una situazione d’impulso verso quella esclusiva. E’ altresì importante, affinché fra le due parti si instauri il circolo virtuoso della fedeltà, che il loro rapporto sia fondato su due presupposti essenziali: a) la reciproca fiducia b) il commitment alla continuazione della relazione. 80 E’ già stato affermato che la Fidelizzazione (customer retention) ha un effetto più potente sui profitti rispetto all’aumento della quota di mercato, alle economie di scala ed alle altre variabili che comunemente sono associate al vantaggio competitivo. Essa può apportare i seguenti benefici, assolutamente importanti nel settore dei servizi di natura finanziaria : 1) gli acquisti del cliente aumentano nel tempo 2) servire i clienti abituali costa meno 3) i clienti risparmiatori soddisfatti fanno un passaparola (referal) positivo 4) i costi di vendita e di marketing sono ammortizzati nel corso di una lunga relazione 5) il cliente soddisfatto potrebbe essere disposto a pagare un premium price. Il mercato dei servizi finanziari identifica oggi tre macrocategorie di clienti, secondo fonti della McKinsey: 1) Service Seekers (35%): sensibili al livello di servizio e di consulenza nell’acquisto. 2) Transactional (25%): molto attenti e sensibili al prezzo. 3) Relationship driver (40%): attenti alla relazione e poco sensibili al prezzo. I service seekers sono quei clienti molto attenti a ciò che viene loro offerto in termini di servizio e di consulenza; hanno bisogno di consigli, di essere indirizzati nel processo decisionale e riconoscono nel loro interlocutore la persona esperta in materia, che si assume la responsabilità di guidarli nella scelta migliore per loro. 81 Affini a questa tipologia sono i clienti attenti alla relazione e poco sensibili al prezzo (relationship driver): sono persone che amano essere coccolate, seguite, informate e che si aspettano che il loro interlocutore si interessi a loro, che li informi sulle novità, che si “faccia vivo” ad intervalli regolari e che non “sparisca” dopo aver venduto il proprio prodotto. Si tratta di clienti molto attenti all’After Market e che considerano il consulente come colui che deve essere continuamente in contatto con loro perché venga mantenuto il rapporto nel tempo. La terza categoria ( transactional) raccoglie persone che, essendo molto attente al prezzo, cambiano fornitore in base alla convenienza del momento. Chi opera on line, per esempio, ed in “fai da te” ha spesso questa logica del risparmio ed inoltre si sentono spesso preparati a sufficienza per fare a meno dell’esperto. Possiamo evidenziare a questo punto, dopo questa analisi tipologica dei clienti, la differenza esistente fra riacquisto e fidelizzazione: essa risiede nel concetto di coinvolgimento. Il coinvolgimento, infatti, costituisce la discriminante che differenzia i due concetti, e si identifica con l’atto che esprime la volontà del cliente nel desiderare la continuità del rapporto con il fornitore del servizio. Esso può risultare spontaneo, se il cliente si muove autonomamente, o stimolato se il risultato di un’attività di marketing aziendale. Questo stimolo può essere causato, per esempio, da una campagna promozionale o da un’azione di sensibilizzazione realizzata attraverso direct-marketing, da incontri con opinion leader o da elementi facenti parte del gruppo di riferimento del cliente: in questo caso il cliente si attiva non solo per essere il nuovo acquirente di un nuovo servizio, ma per essere un cliente fedele, confermando così la volontà di continuare il rapporto con l’azienda di consulenza. Tale tipologia di motivazione, spinta dal coinvolgimento, può essere riferita a fattori: 82 - emotivi (legati alla situazione/momento); - emozionali (legati alle sensazioni provate); - ludici (legati al piacere del gioco), e che sono, in ogni caso, attivanti. Come accennato, il coinvolgimento del cliente può essere spontaneo (autoattivante), quando il cliente si rende conto che vuol continuare ad avere un rapporto con il fornitore, per cui non ha bisogno di essere sollecitato per ripetere l’acquisto e rimanere fedele (lo ritiene buono e buono per lui). Questo primo tipo di coinvolgimento, quindi permette la fidelizzazione. Il secondo tipo di coinvolgimento è quello stimolato dall’azienda, che, resasi conto dell’importanza di innalzare il livello dello zoccolo duro della clientela, si attiva per la fidelizzazione della stessa. Questo avviene, per esempio, attraverso il marketing relazionale o la personalizzazione del rapporto con il cliente che, in questo modo, si sente oggetto di attenzioni che rinforzano la sua percezione positiva al punto da confermare l’acquisto e ottenere la fidelizzazione. Ciò si analizza attraverso il customer retention rate, l’indice di ritenzione o fidelizzazione della clientela. 3.2 Il marketing relazionale e la partnership fra consulente e cliente. Nell’approccio fondato sul marketing della transazione (focus su vendite e quote di mercato), il cliente viene considerato tale quando l’individuo è il target delle iniziative di marketing e di vendita, mentre nella prospettiva del marketing relazionale la situazione è diversa. Un rapporto è un processo in atto. In certi casi avvengono collocamenti di servizi o di prodotti, ma la relazione sussiste ininterrottamente, anche negli intervalli tra una vendita e l’altra. Il cliente deve percepire la sensazione che il promotore finanziario o il consulente è pronto ad 83 aiutarlo e sostenerlo sempre, nei suoi bisogni ed esigenze più varie, non solo quando acquista un servizio-prodotto da lui proposto. Quindi una volta che si stabilisce un rapporto, il cliente rimane tale nel tempo e così deve essere considerato costantemente, in ogni manifestazione di interazione. Le imprese che comprendono questo principio, e cercano di applicarlo, trattano i loro clienti come clienti relazionali. I motivi per cui i clienti adottano e partecipano ad una modalità “relazionale” con il consulente e scelgono di reagire in modo favorevole a questo approccio di marketing basato sul rapporto, sono stati poco studiati. E’ possibile che il motivo principale sia il desiderio di semplificare e di ridurre le possibilità di scelta (strategia delle euristiche). Quando si trova un consulente affidabile le altre alternative diventano meno interessanti (ancoraggio) per il cliente e ciò consente di non prenderle adeguatamente in considerazione con un’ottica razionale (ottimizzazione). Un’altra motivazione addotta è che, instaurando una relazione, i clienti possono realizzare in maniera più efficace gli obiettivi che si erano posti o che si volevano prefiggere. Tali obiettivi possono essere i più vari come : la performance, la riduzione dei costi, la riduzione della volatilità negli investimenti, la semplicità, la liquidabilità dei propri risparmi, la pianificazione del ciclo di vita familiare. Addirittura qualche studioso ha suggerito che i clienti hanno la sensazione che essere coinvolti in una relazione sia un fine in sé. Si può ipotizzare che i benefici, che può rappresentare per i clienti il mantenimento di una relazione con un professionista della consulenza finanziaria, possono essere di tre tipologie: • sicurezza: minore ansia, fiducia nel consulente finanziario, sensazione di affidabilità dello stesso; 84 • benefici sociali: riconoscimento personale da parte dei dipendenti, dei parenti ed amici, sviluppo di amicizie personali con il consulente; • trattamenti speciali: servizi extra, prezzi di favore, precedenza sugli altri clienti, gratificazioni ricorrenti. I vantaggi relazionali legati alla sicurezza sono certamente quelli più importanti nella valutazione della maggioranza dei clienti. Ciò significa che il maggior risultato realizzabile da parte di un’azienda che adotti una strategia di marketing relazionale, consiste nel dare ai suoi clienti più sicurezza riguardo alla loro scelta di quanta ne proverebbero rivolgendosi a qualsiasi altra azienda. In questo modo è possibile ridurre al minimo od eliminare del tutto la dissonanza cognitiva, ossia la sensazione di aver fatto in fondo una scelta che non è quella ottimale. E’ chiaro poi che i vantaggi legati alla fiducia sono il risultato chiave di relazioni di lungo periodo che risultano essere positive per entrambi. Gli altri tipi di vantaggi relazionali sono anch’essi importanti. Dovunque esistono contatti interpersonali, è possibile sviluppare vantaggi sociali. I contatti di questo genere dovrebbero essere esaltati, di modo che i clienti, per esempio, abbiano la sensazione di avere a disposizione “il proprio professionista personale”. Sicuramente poi, per quanto anche i trattamenti speciali siano considerati importanti da molti clienti, il loro ruolo sarà meno rilevante. Nel marketing relazionale un ruolo importante spetta ai concetti di fiducia, impegno e attrazione. La fiducia nel professionista può essere definita, per esempio, come l’aspettativa che lo stesso, in una certa situazione, si comporterà in un certo modo prevedibile. Se egli non lo farà, il cliente sperimenterà esiti più negativi che nel caso contrario. Secondo certi studiosi poi (Johnson, 85 Grayson, 2000; Lane, Bachmann, 1996), il concetto di fiducia stesso si può dividere in quattro sottocategorie, che possono derivare da fonti diverse : fiducia generalizzata, fiducia nel sistema, fiducia basata sulla personalità e fiducia basata sul processo. Per cui la fiducia dipenderà in parte da esperienze passate nell’interazione con altre situazioni; in parte da altri fattori, come contratti, regolamenti e norme sociali da un lato, e fattori della personalità dall’altro lato, che ci si può aspettare inducano a comportarsi in modo prevedibile secondo le aspettative. Impegno significa che una delle due parti si sente motivata in qualche misura ad intrattenere una relazione con l’altra. L’impegno è stato definito anche come il desiderio perdurante di mantenere un rapporto ritenuto prezioso. Un cliente si può sentire impegnato con un consulente, per esempio, perché quest’ultimo si è rivelato affidabile ed ha dimostrato di saper offrire delle soluzioni che sostengono in modo positivo i processi di creazione del valore per il cliente. Se poi il Consulente- Promotore finanziario si è preso un disturbo supplementare per farlo, per esempio venendo incontro al cliente in un momento per lui di forti richieste di lavoro, l’impegno sentito diventerà ancora più profondo. Il terzo concetto chiave nel marketing relazionale è l’attrazione. Questo significa che ci deve essere qualcosa che rende un consulente interessante per un determinato cliente, e viceversa. L’attrazione può essere basata, per esempio, su fattori finanziari, tecnologici o sociali. Se fra due parti esiste attrazione, vi sono le basi per lo sviluppo di un rapporto; se invece l’attrazione manca, probabilmente le due parti non avvieranno neppure il rapporto. Non è ancora chiaro quale sia il rapporto tra fiducia, impegno ed attrazione da un lato e lo sviluppo di relazioni d’affari dall’altro. Tuttavia si ha l’impressione che l’esistenza della fiducia in un 86 professionista e l’impegno con quel partner, possa avere un peso maggiore per i clienti che attribuiscono maggior valore alla relazione in sé. Nel Marketing Relazionale diventa centrale il concetto di promesse: • stabilire un rapporto implica fare delle promesse; • per conservare un rapporto occorre mantenere le promesse; • sviluppare e rafforzare un rapporto significa che si fa una serie di nuove promesse dopo aver immancabilmente mantenuto le promesse precedenti. Un’azienda di un promotore finanziario, una banca o un professionista della consulenza che si preoccupa di fare promesse, può attirare nuovi clienti nella prima fase della sua attività; tuttavia, se le promesse non vengono mantenute, sarà impossibile tener vivo o rafforzare la relazione in evoluzione. Mantenere le promesse fatte è altrettanto importante per ottenere la soddisfazione del cliente, realizzare la fidelizzazione della base della clientela e realizzare profitti a lungo termine. Inoltre l’azienda deve prendere le giuste misure per accertarsi di avere, da sola o insieme con i partner che fanno parte del network cui appartiene, le risorse, le conoscenze, le competenze e le motivazioni necessarie per mantenere le promesse fatte. E’ necessario insomma fare sforzi sufficienti per legittimare le promesse. Sappiamo anche che non è possibile fare marketing relazionale in un’azienda di promozione finanziaria o di un professionista senza che tutta la struttura a cui si collega (la banca-rete nel caso del pf) sia partecipe con tutte le sue funzioni in questo “processo”. E’necessario fare un salto di qualità di fondo in tutti coloro che incidono, direttamente o indirettamente, sul modo in cui i clienti percepiscono l’azienda, i suoi prodotti e servizi e la sua capacità di prendersi cura del 87 cliente stesso, a prescindere dal ruolo e responsabilità che le persone o le funzioni possono avere all’interno dell’organizzazione. Per concludere questo aspetto relativo al marketing relazionale ed alla prospettiva della fidelizzazione, ci sono due elementi fondamentali che possono sviare dalla “missione”. Tra le numerose implicazioni, è necessario analizzare a fondo le istanze relative ai concetti di “customer detention” e dell’ avvitamento senza fine della soddisfazione. La “customer detention” è un vero e proprio deterrente per la crescita ed il successo, in quanto vincola la scelta delle aziende creando una fedeltà viziata, che in alcuni contesti diventa perfino obbligata. Abbiamo già visto in precedenza l’appropriatezza del concetto di partner rispetto a quello di owner, riferito al ruolo della clientela; il “rapporto sinallagmatico” con la clientela si concretizza, in tal senso, in ottica di lungo periodo, nel concetto di “matrimonio con il cliente”, in modo che costui si trasformi in un partner realmente fedele (in quanto non interessato dalle sirene della concorrenza). Una fedeltà obbligata, invece, (detention) è tipica di quei casi di rapporto dove il numero dei prodotti venduti è sinonimo di fedeltà, dove l’ingessamento dei portafogli e le penalità per l’uscita, o anche le lunghe trafile burocratiche più semplicemente, rappresentano barriere per un cliente insoddisfatto propenso a cambiare banca o consulente. Alla lunga la concorrenza riesce sempre in questi contesti a far breccia e comunque, in quel rapporto, il cliente è sempre alla ricerca di una via di fuga. L’avvitamento senza fine della soddisfazione è la trappola in cui le aziende rischiano di cadere quando non sono consce (o non sanno/vogliono verificare) del valore che offrono alla loro clientela. Può accadere che, per accontentare la clientela, il promotore finanziario decida di offrire prestazioni a valore aggiunto incrementale o a costo zero, e quindi con redditività contratta o nulla. Se la situazione si 88 allarga o diventa una costante, questo crea un circolo vizioso, un vortice che crea sconvolgimenti all’interno delle prestazioni del service mix e che compromette la permanenza sul mercato, poiché sottrae margine di contribuzione al businesss. Questa trappola può essere attivata dalle aziende che cercano di erogare sempre extra-soddisfazione, al fine di incrementare l’appeal, il valore della propria offerta e la fidelizzazione del cliente, o magari semplicemente per timore della concorrenza: il problema è che il cliente adegua subito le proprie aspettative alle nuove offerte. Questo atteggiamento spinge anche la concorrenza ad offrire di più; ma il cliente esigerà sempre di più e vorrà spendere sempre di meno. “Fare di più con meno” diventerà in futuro una richiesta sempre più pressante, con buona pace di ogni tentativo di fidelizzazione. Infine, ma non per ultimo, ritengo opportuno focalizzare l’attenzione su un aspetto che introduce al nuovo paragrafo di questo lavoro: i valori ed il valore. Si tratta del modo in cui si può e si deve fare un passo in avanti oggi, proprio partendo dalle esperienze negative del recente passato nel settore finanziario. Operare con la filosofia di dare valore ai valori, vuol dire comportarsi in modo etico, riconoscendo appunto i valori che ci rendono partecipi e consapevoli della società in cui viviamo, capire quanto oggi i consumatori ed i risparmiatori ci chiedono prima di tutto : garantire quanto promesso loro. Essi, infatti, non richiedono nulla di più di questo. Quindi agire in una prospettiva di eticità significa mantenere le promesse fatte. Il valore, che anche se apparentemente riduttivo, riporta il concetto di customer satisfaction, è l’elemento guida nella tensione a realizzare quanto il cliente ricerca, ovvero la massimizzazione relativa del profitto del proprio investimento. Il modo etico di operare e la massimizzazione dell’interesse verso il cliente si intersecano ancora una volta nella filosofia win-win e nella partnership della clientela. 89 3.3 Un nuovo paradigma: il marketing dell’etica L’incerto avvio del XXI secolo chiama gli imprenditori ed i manager a profondi cambiamenti nella gestione delle aziende. I consumatori stanno divenendo sempre più sensibili ai temi dell’etica. Le imprese, se vorranno rimanere sul mercato, saranno chiamate a produrre beni e servizi rispettando i lavoratori, l’ambiente ed i clienti. Dovranno pensare, oltre alla remunerazione degli azionisti o ai loro utili ed alle stock-options, anche alla trasparenza, fornendo corrette e dettagliate informazioni. Chi lavorerà bene nel rispetto di queste regole avrà come ricompensa il riconoscimento di moltissimi consumatori che saranno, nel futuro, sempre più disposti a spendere di più e ad investire per prodotti e servizi forniti da imprese che seguono principi etici. Correvano gli anni ’70 quando, sulle pagine del New York Times, Milton Friedman scriveva: “ L’unico dovere sociale dell’impresa è la massimizzazione del profitto”. Erano gli anni del capitalismo insofferente ad ogni regola. Fortunatamente le cose stanno cambiando. Non a caso, recentemente, il Sole 24 Ore ha titolato un articolo così: “L’impresa scopre l’utile dell’etica”. Due autori, W.Evan e E.Freeman, hanno elaborato nel frattempo la teoria dell’impresa basata sul modello degli stakeolders. Questa sovverte il principio per cui i manager devono rispondere delle proprie azioni quasi esclusivamente agli azionisti, sostituendolo con il dovere verso una serie di “stakeolders”(portatori di interessi) dell’impresa, intendendo con questo termine fornitori, clienti, dipendenti,azionisti e comunità locale. Il fondamento morale della teoria risiede nel principio kantiano del rispetto delle persone secondo cui esse (nel caso dell’azienda gli stakeolders) devono essere trattate come fini in sé e non solo come mezzi. Bisogna impegnarsi a considerare il cliente, non più solo come un numero, ma una persona ricca di valori ed attenta ai principi etici. 90 Questo deve avvenire non solo perché gli imprenditori hanno il dovere di diventare “buoni”, non solo perché è giusto seguire il principio kantiano, ma soprattutto per il bene della stessa azienda. Gli americani riassumono il concetto con il loro slogan : “ Good ethics is good business”. L’etica risulta, infatti, rappresentare per le aziende un differenziale competitivo molto forte, anche nel settore specifico della consulenza finanziaria e nella distribuzione di servizi finanziari. Avere comportamenti etici aumenta la capacità in generale di competere e fa lavorare con maggiori soddisfazioni, ma può anche fare davvero la differenza, in materia di fidelizzazione e di redditività, fra aziende di consulenza che punteranno ad agire e a differenziarsi sul fronte della chiarezza delle informazioni, della trasparenza dei costi e del rapporto benefici/rischi per i clienti risparmiatori. L’utile rappresenterà, in questo modo, non un fine per il professionista, ma la semplice conseguenza di un lavoro che produce benefici ed utilità concreta per la collettività. Come ha detto un noto imprenditore italiano del caffè recentemente: “L’immagine aziendale si può comprare, mentre la reputazione si può solo conquistare”. Oggi i clienti, che in tutte le imprese rappresentano il patrimonio più importante, si accorgono subito, di solito, con che tipo di azienda hanno a che fare. Un marketing dell’etica valorizza gli aspetti immateriali dell’immagine aziendale, puntando ad una piena legittimazione dell’azienda come portatrice di valori sani e soprattutto attenta veramente, in primis, alle esigenze dei clienti partners. Nella letteratura del marketing che ha dominato fino ad oggi, abbiamo imparato che vi possono essere fondamentalmente tre orientamenti: al prodotto, al mercato ed al cliente. Credo che è venuto il tempo di 91 aggiungere un orientamento all’etica. I principali benefici di questo nuovo paradigma di cambiamento possono essere così sintetizzati: • miglioramento dei rapporti interpersonali; • realizzazione di un buon sistema che accolga i reclami dei clienti; • creazione di un clima di fiducia tra tutti i collaboratori; • eliminazione dell’uso di qualsiasi pratica illegale; • aumento del fatturato. Il passaggio dal marketing tradizionale al marketing dell’etica può determinare, a fronte di limitati investimenti, notevoli vantaggi: - aumenta la notorietà, - rafforza la fedeltà nella marca, - promuove l’immagine ed il valore dei servizi di consulenza, - garantisce un posizionamento competitivo, - consente un radicamento specifico dell’impresa sul mercato. Kotler ha definito il marketing mix come la “combinazione delle variabili controllabili di marketing che l’impresa impiega al fine di conseguire gli obiettivi predefiniti nel mercato obiettivo”. Quando parliamo delle 4 P del marketing ci riferiamo, come noto, a: Prodotto (product), Prezzo (price), Promozione (promotion), Distribuzione (placement). Esprimendo quindi il concetto di marketing mix in termini tradizionali, si potrebbe dire che un buon prodotto, dal giusto prezzo, ben pubblicizzato e ben distribuito capillarmente sul territorio, ha molte probabilità di incontrare le preferenze dell’acquirente. Questo concetto esprime, nella letteratura prevalente finora, una visione del mercato secondo l’interesse del venditore lasciando in secondo piano il punto di vista dell’acquirente. Con l’applicazione di un marketing dell’etica, cambia radicalmente l’approccio. Diventa cioè necessario pensare a 92 strategie aziendali avendo a riferimento il miglioramento della società in cui viviamo ed il nostro microcosmo di attività. Possiamo, in quest’ottica, ridefinire il marketing mix affermando che un prodotto o un servizio può essere distribuito prestando attenzione all’etica. Parleremo così dell’etica del prodotto, di etica del prezzo, di etica della promozione e di etica della distribuzione, nel nostro caso riferite al settore dei servizi finanziari. Etica del Prodotto: si tratta di valutare la sostenibilità etica del prodotto-servizio. Capire se ciò che si propone ai clienti è utile alla società. I servizi finanziari e di consulenza devono essere valutati rispetto ai criteri del grado di utilità, dell’impatto socio-ambientale con i bisogni dei clienti risparmiatori, della semplicità , della flessibilità, della disponibilità in rapporto al ciclo di vita, del rapporto rischiorendimento. In relazione a questi criteri, mi piace ricordare che accurate ricerche scientifiche hanno dimostrato che il cliente è disposto anche a pagare di più per ricevere un servizio che corrisponda totalmente alle sue esigenze e che sia distribuito seguendo criteri etici. Perseguire la soddisfazione del cliente è un’attività fondamentale per ogni azienda. Un cliente insoddisfatto è un cliente perso prima o poi; inoltre i risultati di alcune ricerche mostrano che dare ad un cliente semplicemente ciò che si aspetta non è sufficiente per ottenere la sua fedeltà. L’obiettivo dovrebbe essere dargli di più di quanto si attende e quindi avere clienti soddisfatti. Compito di un marketing etico, potrà dunque essere anche quello di dare soddisfazione a tutta la “sfera dei bisogni”, inserendoli in una più ampia concezione di servizio. Etica del Prezzo: il promotore finanziario/consulente, che segue i principi del marketing etico, deve considerare questa variabile come uno strumento importante per lavorare in modo corretto. Quindi sarà auspicabile che, pur essendo l’elemento principale per determinare l’utile aziendale a cui si dovrà comunque tendere, la politica dei prezzi 93 dei servizi di consulenza e sui prodotti collocati sia equamente rapportata anche alle aspettative di performance ed ai tempi di durata del servizio stesso per il cliente. Bisogna pur tener conto, tuttavia che, quando il cliente pone un problema di “prezzo eccessivo”, di solito non è quello al centro della vera contestazione; in realtà ciò che vorrà esprimere è che la somma dei benefici che ritiene di ottenere da quel tipo di servizio non giustifica il prezzo richiesto.Di conseguenza ciò a cui si dovrà tendere maggiormente sarà la condivisione, all’interno della relazione, dei valori complessivi per il cliente che il servizio dovrà contenere. Etica della Promozione: Non è mai sufficiente sviluppare un “buon servizio”, determinarne il prezzo eticamente corretto e metterlo a disposizione del cliente; bisogna anche comunicare con lui per farlo conoscere nell’insieme e farlo apprezzare. Nella scelta del messaggio bisogna tener conto che i clienti non vogliono solo conoscere i benefici di un prodotto, ma anche i possibili rischi rispetto agli obiettivi prefissati, e soprattutto vogliono sapere quali problemi quel prodotto/servizio risolverà. La Pubblicità, per esempio, per essere etica deve fornire tutte le informazioni necessarie e non deve far uso di tecniche che hanno l’obiettivo di manipolare o di suggestionare (come siamo lontani dalla vendita a imbuto degli anni ’80). Una pubblicità scorretta non solo non è etica, ma è anche disonesta. Non si potrà certo far uso di comunicazioni che nascondono volutamente informazioni utili e che mirano a far percepire al cliente elementi falsi rispetto al servizio. I professionisti etici dovranno impegnarsi, in ogni campagna pubblicitaria, a divulgare informazioni reali e corrispondenti a verità. Naturalmente siamo ancora lontani da questi atteggiamenti, nella maggior parte dei casi; ma è proprio questa la sfida per un impresa o un’organizzazione che voglia fare del marketing etico la sua distinzione sul mercato. Presentare per esempio un servizio di investimento, 94 fornendo informazioni parziali sui rischi, sulla volatilità, sui conflitti di interesse, sui reali costi complessivi, rilevando solo le performance dell’ultimo periodo (quando positive) , rappresenta un vecchio modo (seppur ancora molto diffuso) di fare questa professione e lascia aperta la strada per ogni impresa che voglia, con il cliente appunto, condividere la costruzione stessa della soluzione riferendosi a tutti i parametri informativi che sono ormai a disposizione su piattaforme specializzate. Oltre alla pubblicità, nel marketing etico anche le pubbliche relazioni possono rappresentare un altro utile strumento per consentire il raggiungimento di elevati livelli di efficacia, poiché mirano ad ottenere il consenso attraverso atteggiamenti di interesse verso la socialità e comportamenti non puramente commerciali. Etica della Distribuzione: I problemi relativi alla distribuzione di servizi e prodotti finanziari, attengono principalmente alla struttura della rete di vendita ed alla gestione della stessa. Le decisioni più importanti da prendere in questo senso riguardano aspetti quali la remunerazione e la motivazione del personale; la fissazione degli obiettivi commerciali e la valutazione dei risultati; il reclutamento, la selezione e la formazione continua dei promotori. Qui si torna sul rapporto fra Azienda partner e la rete delle imprese dei P.F, già affrontato in precedenza. E’ dalla scelta di reclutamento in poi che le Aziende devono puntare sul marchio dell’eticità, privilegiando competenze, onestà e dirittura morale delle persone reclutate e promuovendo un marchio etico fin dalla mission. Non è più possibile investire risorse nel creare un servizio eticamente corretto, nello stabilire prezzi adeguati, nell’investire in una promozione eticamente corretta e poi farlo distribuire da promotori senza scrupoli che, pur di vendere, per le pressioni commerciali e per l’errato rapporto di relazione di partnership instaurato, imbrogliano o manipolano i clienti proponendo servizi utili solo a procurare commissioni. A lungo andare 95 l’immagine dell’intero marchio aziendale perderà rapidamente valore ed i clienti diffideranno di altre iniziative. Riconquistare la reputazione, in molti casi, non sarà più possibile. Starà quindi all’estensione di una cultura aziendale dell’eticità, di cui i manager dovranno farsi carico in ogni tipo di comportamento, il futuro affermarsi di questa nuova logica competitiva. Questo a partire dall’incentivazione dei P.F. che, anziché basarsi solo su parametri di natura quantitativa (volumi di raccolta di risparmio, premi assicurativi, risparmio gestito e qualunque altro fattore di mera redditività aziendale che potrebbero produrre comportamenti antietici), dovrà sempre più spostarsi su parametri di misurazione della soddisfazione del cliente e sulla redditività prodotta dall’estendersi delle relazioni improntate all’etica del rapporto, sul numero dei clienti e sull’efficacia (cross e up selling) di un’azione assistenziale. E così anche per le logiche a cui riferire la fissazione degli obiettivi aziendali e la loro valutazione. Prendendo in considerazione i clienti, fra gli attori da rispettare nel Marketing dell’etica (gli altri non possono non essere i collaboratori dipendenti, gli azionisti ed i fornitori), chi sceglierà di operare eticamente, si dovrà impegnare a curare i rapporti anche cercando risposte a domande come queste : • chi sono i nostri clienti? • Perché acquistano? • In che modo compiono le decisioni di acquisto? I clienti sono prima di tutto persone e l’azienda stessa è formata da persone; quindi il rispetto degli stessi inizia all’interno dell’impresa, nei luoghi di accoglienza dei clienti, nella cura dei dettagli del servizio, e si espande all’esterno applicando in modo coscienzioso le strategie di marketing, anche quelle più aggressive. Essere parte di un’azienda promotrice di iniziative ispirate al rispetto ed alla qualità, rafforza 96 la condivisione della mission aziendale e trasmette entusiasmo e fedeltà. Il cliente chiede all’azienda integrità, trasparenza e rispetto. Per effettuare i propri acquisti ha bisogno di informazioni relativamente semplici sui servizi e sui prodotti, è sempre più esigente ed attento, è disposto a cambiare interlocutore se si rende conto che l’azienda non soddisfa le proprie aspettative. Una recente indagine curata da Eurisko ha messo in evidenza che il 60% dei consumatori è disponibile a non acquistare i prodotti di una società che viola valori etici. Da qui il valore economico, oltre che morale, di una scelta improntata verso l’eticità. La dichiarazione delle aziende di essere vicine ed attente ai propri clienti spesso si scontra con la percezione degli stessi di essere visti esclusivamente come “consumatori”. Riuscire invece ad instaurare una relazione con il cliente, in quanto “uomo sociale”, può diventare per le imprese un differenziale competitivo molto forte e rivoluzionario. Il Marketing dell’etica garantisce proprio questo vantaggio: l’azienda si presenta agli occhi del suo cliente come soggetto concentrato sul sociale, come un soggetto attento a “tutti” i bisogni dei suoi clienti. La grande sfida è già iniziata: la preparazione e la competenza tecnica di un consulente finanziario stanno per essere superati per “valore” dalla preparazione e competenza relazionale etica, laddove l’obiettivo primario da “vincere” diventa “convincere”(win-win, vincere assieme) e la leadership si fa etica per assolvere al suo compito originario, ossia guidare con onestà e trasparenza verso la frontiera di un nuovo, diverso successo. Dobbiamo iniziare tutti a vivere con un’altra mentalità, eliminando l’io e vivendo il noi, passando dal come saremo al come saranno quelli che verranno dopo di noi. 97 3.4 Oltre la fidelizzazione. L’obiettivo di questo paragrafo è di andare ad approfondire un modello di ricerca di nuovi, ulteriori sentieri, anche latenti, per riuscire ad incoraggiare la fidelizzazione della clientela di un promotore o di un consulente finanziario. Andare “oltre” la fidelizzazione è inteso in quest’ottica secondo due diversi aspetti: un primo modo di concepire il termine “oltre” è addizionale. In tal senso, con l’oltre ci riferiamo a ciò che l’azienda può fare di più, ciò che può aggiungere e che può realizzare di diverso per ottenere la fidelizzazione della clientela. Il secondo modo di concepire il termine è esplorativo, e si riferisce all’analisi di che cosa ci sia di importante e strategico all’interno della gestione dell’azienda del consulente, che possa aiutare ad ottenere il successo, non considerando, però, il cliente. Il primo momento di riflessione è riuscire ad osservare la realtà contestuale in cui vive l’impresa con un metodo di visione globale a 360°. Analizzare perciò le performance aziendali secondo ottiche diverse: uno sguardo ai sistemi di sintesi ( performance dei prodotti, performance dei mercati, concetto di valore), uno sguardo alla destrutturazione (disaggregando ogni singola variabile, cercando di cogliere tutti quegli aspetti importanti per il cliente), uno sguardo al budget d’impresa, uno sguardo ai “processi”, uno sguardo alla concorrenza, uno ai risultati, un occhio al presente ed uno al futuro. La miopia e la presbiopia sono visioni sfasate che un moderno imprenditore deve correggere al più presto. Avere una giusta visione “a breve” ed “a lungo” serve quindi a combinare gli obiettivi di breve periodo con quelli di più lungo periodo.Un processo di iperfidelizzazione vede, come secondo momento importante, quello dell’analisi delle performance sul cliente e del cliente con il metodo della “disaggregazione bidirezionale della performance”. 98 Con il termine “performance sul cliente” ci si riferisce all’analisi dei motivi per cui il cliente ci ha preferito alla concorrenza. Analizzando la performance sul cliente si vogliono evidenziare con chiarezza e precisione i fattori chiave di acquisto (FCA), che hanno costituito le motivazioni del cliente nello scegliere la nostra combinazione prodottoservizio. E’ importante riuscire a dividere gli stessi fattori chiave tra quelli relativi alla prestazione del prodotto (tecnici), quelli di servizio (accessori) e quelli personali (relazionali). La combinazione pesata degli stessi fattori ci permette di avere una chiara idea del perché il cliente ha preferito la nostra offerta (combinazione prodotto-serviziorelazione). Solo quando ha una chiara percezione di queste motivazioni, l’azienda di consulenza finanziaria si rende conto del proprio potere discrezionale nei confronti del cliente e della concorrenza. Tab.6 Accoglienza Aggiornamento Ascolto del cliente Assistenza post-vendita Attenzione al sociale Banca telefonica Barriere architettoniche Burocrazia Chiarezza Clima interno Coerenza Collaborazione Competenza professionale Condizioni agevolate Considerazione Consulenza Continuità di performance Convenienza Cordialità Cortesia Disponibilità Disposizione ambientale Esclusività Estetica Etica commerciale Fattori chiave di acquisto di un servizio di consulenza finanziaria. Fiducia Flessibilità condizioni Garanzia Gentilezza Home banking Immagine Impegno personale Informazioni dettagliate Innovazione Internet Notorietà Orari flessibili Organizzazione Parcheggio Partnership con il cliente Passaparola Personalizzazione Portafoglio diversificato Precisione Presenza sul territorio Prezzo Privacy Professionalità Promesse mantenute Promozioni e regali Pubblicità Performance Qualità del servizio Riservatezza Sconti tariffari Sensibilità alle esigenze Serietà Servizi accessori Sicurezza Simpatia Solidità Specializzazione Storia passata Strutture della rete Trasparenza Ubicazione Velocità nel servizio 99 Successivamente, elevando le barriere all’ingresso, rinforzando i fattori critici di successo emersi nella citata indagine e mettendo a fuoco i vantaggi competitivi dinamici ad essi legati, si è in grado di creare quel differenziale che permettono lo sviluppo ed il successo futuri. Si tratta cioè di aumentare la consapevolezza nei confronti di ciò che il cliente apprezza rispetto a quanto erogato; in termini di marketing significa aumentare la propria sensibilità percettiva e confrontare ciò per cui ci si ritiene forti con ciò che il cliente ritiene forte di noi. Per fare ciò sarà opportuno determinare la performance sul cliente analizzando i dati ottenuti attraverso una ricerca qualitativa sui nostri clienti; il questionario, opportunamente predisposto, va somministrato ad un significativo numero di clienti rappresentativi del portafoglio individuale di ogni promotore/consulente finanziario. La seconda disaggregazione riguarda le performance del cliente: si esamina, in questo caso, il valore totale del cliente, componendo in dettaglio la sua performance complessiva “sgranata” per ogni singolo elemento tecnico e relazionale che la compone, senza limitarsi a considerarlo come un semplice portatore di fatturato o di numero di servizi sottoscritti. E’ opportuno in tal senso produrre una “matrice della fidelizzazione” come riportata nella tabella 7. La sua costruzione avviene in questo modo: 1) In prima analisi, si riportano i nomi dei principali clienti nella prima casella in ordine di importanza percepita, posizionando al primo posto quello ritenuto più importante, e così via in ordine decrescente. Questo metodo di valutazione della clientela è esatto, ma riduttivo, in quanto considera la gerarchia della clientela solo secondo una variabile (di norma la RFA, ricchezza finanziaria amministrata). Suggerisco, invece, di prendere in considerazione un novero di variabili (tecniche e personali/relazionali più ampio, che permette di considerare la 100 performance dei clienti da un punto di vista olistico, e quindi più completo rispetto alle esigenze delle imprese di consulenza finanziaria. Potrebbero essere per esempio 5 fattori di natura tecnica e 5 di natura personale, tutti elementi che devono rappresentare la scelta strategica dell’azienda ( ciò a cui si guarda quando si sceglie un cliente e la loro somma è la strategia aziendale). Tab. 7 Matrice della fidelizzazione Fattori tecnici Fattori personali Potenzialità dirette e ind. Concorrenza Cross selling Subtotale tecnico Assistenza Rapporti umani / relazione Difficoltà di gestione Rapidità richiesta Referals attivi Subtotale persona Somma ST + SP Graduatoria finale reale 1.Bianchi 10 6 3 4 6 29 3 4 2 1 1 11 40 1.Renzi 2.Rossi 10 8 6 8 4 36 5 3 3 1 1 13 49 2.Ferri 3.Ferri 9 6 6 10 8 43 6 2 4 2 1 15 58 3.Magni 4. Poli 8 4 4 6 7 29 5 3 4 3 1 16 45 4.Adami 5. Renzi 8 10 8 7 8 41 4 5 4 3 3 19 60 5.Corti 6. Adami 8 9 8 0 3 28 4 4 3 6 6 23 51 6.Carli 7. Pieri 7 7 6 2 5 27 3 4 3 3 4 17 44 7.Rossi 8. Corti 7 6 8 6 6 33 3 3 4 4 3 17 50 8.Poli 9.Magni 7 8 10 4 2 31 5 6 5 3 6 25 56 9.Pieri 10. Carli 6 8 10 6 4 34 3 2 3 4 3 15 49 10.Bianchi 101 (B) Graduatoria inizialedella clientela(A) Commissioni procurate SP Ricchezza finanziaria ST Il numero di elementi tecnici e personali da inserire nella matrice può variare a seconda di come si vuole impostare l’analisi e ancora di più in base alla sensibilità verso gli uni o gli altri fattori. 2) Il secondo passo consiste nel dare una votazione da uno a dieci per ogni singolo fattore, considerando di volta in volta tutti i clienti, e valutandoli per quello che apportano in relazione al fattore considerato. La valutazione finale del cliente si ottiene sommando in orizzontale la contribuzione di ogni singolo fattore: ciò costituisce una “nuova classifica”. Non c’è da meravigliarsi se la nuova classificazione gerarchica della clientela riportata nel quadrante A è diversa da quella del quadrante B, proprio perché, nella norma, il quadrante A riporta la classifica dei clienti valutati in relazione ad un solo elemento (RFA); nel quadrante B, invece, la somma dei giudizi estrapolati dai fattori tecnici, personali, “strategici” per l’azienda, può evidenziare qualche cambiamento, ma è la reale classifica della clientela. Il fatto poi che qualcuno si ritrovi declassato, significa che la nostra considerazione nei suoi confronti è alta, ma che il suo apporto totale reale è diverso e quindi dovremo essere consapevoli che il suo posizionamento reale non è quello iniziale, ma quello finale; lo stesso vale per chi risulta invece promosso in classifica. Da questa valutazione matematica si evince l’importanza di non considerare mai i clienti da un solo punto di vista, che è al contempo miope e pericoloso. Nell’attribuire i punteggi si procede con la logica aritmetica: elevata contribuzione, voto alto; scarsa contribuzione, voto basso, ma con alcune eccezioni. - La concorrenza: più è presente e pressante sul cliente in questione, più il voto sarà basso (la pressione concorrenziale obbliga a extra prestazioni, anche solo in termini di attenzione al cliente, e questa rappresenta un costo cui, in questo caso, si attribuisce un voto basso). Lo stesso vale per le voci assistenza, difficoltà di gestione e rapidità di richiesta che, essendo elementi di costo, tanto più sono richiesti 102 tanto più concorrono negativamente alla creazione di valore per l’azienda (riducendone i margini).Come si può notare, valutando i clienti in base a diversi fattori, il giudizio globale cambia con eventuali spostamenti in classifica. Il commento può essere fatto anche analizzando solamente i fattori tecnici o quelli personali con grande flessibilità perché la matrice va costruita in modo autoriferito ed in base alle singole sensibilità nei confronti dei diversi fattori che la compongono. Un cliente con basso fatturato, ma con una certa potenzialità, va visto con un’ottica prospettica, ed è diametralmente opposto a chi ha un alto fatturato e poca potenzialità. Va da sé che in base alle priorità ed agli obiettivi si creano diverse classifiche. In secondo luogo, nonostante certi clienti possono rimanere “bassi” nella classifica, è giusto considerarli per il valore aggiunto che apportano; in altre parole, nel momento in cui un cliente non crea problemi dal punto di vista della concorrenza, perché è totalmente fidelizzato, anche se il suo apporto di commissioni procurate o di cross selling non è elevato, egli rappresenta comunque per l’azienda un elemento di contribuzione. Un basso volume di provvigioni procurate può essere compensato da una bassa pressione della concorrenza che avrà positivi risultati nell’area della contribuzione. Ricordo infatti che l’area di redditività non è solo quella economica, data dalla differenza tra i ricavi ed i costi, ma è anche quella virtuale, data dall’assenza di necessità di sostenere dei “costi di comportamento” in quanto il cliente non ha bisogno di essere presidiato. Il fine ultimo è quindi quello di considerare la clientela da diversi punti di vista e la matrice della fidelizzazione, che in pratica è un vero e proprio “scooring” della clientela, è uno stimolo di facile applicazione e supportato dalla imparzialità dei numeri rispetto ai giudizi di valore. Abbiamo già detto quali sono i presupposti per andare verso l’obiettivo della fidelizzazione del cliente: attraverso un marketing relazionale ed 103 etico essa si implementa in tutte quelle azioni che un’azienda (sia essa un promotore finanziario o un consulente o una banca ) compie e nelle strategie che elabora per rendersi interessante agli occhi del cliente risparmiatore, affinché questo non desideri cambiare fornitore. Diversamente, andare “oltre la fidelizzazione” implica un piacere, da parte del cliente stesso, a lavorare con quella particolare impresa. Una strategia di marketing correttamente impostata non tende a conquistare il cliente con una buona proposta di investimento finanziario per poi abbandonarlo a se stesso: piuttosto è orientata a mantenere un rapporto di fiducia e di aiuto, in alcuni casi perfino di amicizia. Nel corso del tempo, si deve verificare se la scelta fatta continua ad essere la migliore possibile; le situazioni, sia dei mercati che del risparmiatore, possono cambiare: possono esserci occasioni più interessanti e nuove opportunità nell’ambito del profilo di rischio stabilito e della pianificazione del ciclo di vita familiare. Per questo promotori finanziari e clienti si dovrebbero incontrare periodicamente. Un contatto frequente e diretto è un fortissimo stimolo a migliorare, a cercare opzioni più adeguate, e ad andare oltre. Si ha la fidelizzazione di solito quando il professionista riesce a capire in via anticipata le esigenze del cliente e riesce a soddisfarle nel miglior modo possibile, non solo in materia di tassi e rendimenti, ma anche di rapporto continuativo nel tempo. E’ stato dimostrato più volte che un cliente non lascia una banca o un promotore per la differenza di mezzo punto percentuale di rendimento o per la differenza di poche decine di euro sui costi di un conto corrente, ma ciò può accadere se il cliente ricerca una persona di fiducia o un vero consulente. Il livello “oltre” si raggiunge quando il risparmiatore già fidelizzato è disposto a collaborare con il proprio consulente finanziario, diventando un “opinion leader”. Oltre la fidelizzazione può implicare di investire 104 risorse per motivare il cliente con la qualità; fornire un servizio qualitativamente superiore e curarlo con attenzioni specifiche. Per altri può esprimersi nello stimolare dei momenti in cui le idee possono essere liberamente scambiate tra azienda e cliente; organizzare periodicamente degli incontri per assicurarsi che, nel tempo, il servizio erogato risponda sempre ai bisogni della clientela. Infine andare “oltre” significa saper coniugare efficienza con localismo, servizi concorrenziali con il dialogo consulente- cliente; il dialogo non è solo un mezzo per avvicinarsi meglio all’utenza, ma la leva su cui agire per generare vantaggio competitivo. Il secondo modo di concepire il termine “oltre la fidelizzazione” è di natura esplorativa. E’ infatti importante considerare anche cosa sia fondamentale presidiare, al di là del rapporto con il cliente, per conseguire il successo. Una strategia che non può non considerare altri aspetti, oltre a quelli riferiti al cliente, si deve focalizzare sui concetti di redditività, di lungimiranza, di virtualità, di dimensione, di investimento. - La redditività rappresenterà sempre comunque l’obiettivo determinante per ogni impresa che voglia rimanere sul mercato in posizione di successo, la cartina di tornasole che prova se le idee strategiche sono state correttamente trasformate in marketing operativo e percepite positivamente dal cliente. - La lungimiranza è una variabile di risultato e crea la storia dell’azienda. Essa, nel terzo millennio, di sicuro sarà legata al disaffezionarsi dalle precedenti decisioni di successo. Non cullarsi sugli allori insomma sarà il dovere di ogni imprenditore di successo, chiamato a guardare con rapidità e flessibilità ai sempre più repentini cambiamenti del contesto in cui ci muoviamo. - La virtualità è l’altra scommessa del futuro per cui nessun professionista o imprenditore potrà sottrarsi al confronto con lo 105 strumento di Internet e delle innovazioni che continuamente saranno chiamati ad applicare in tal senso, pena una marginalizzazione rapida dei propri fattori competitivi. - La dimensione delle imprese in tal senso non costituirà un particolare discriminante; essa sarà importante nei termini di struttura di capitale e di diffusione rapida delle conoscenze oltre che nel numero dei clienti ottimali per una proficuo relazione, ma la variabile che l’accompagna e secondo cui essa acquista un senso, sarà ancora una volta la redditività. - Gli investimenti di mercato sono un’altra variabile imprescindibile. Oggi più che mai la ricerca e la conoscenza sono strumenti decisivi. Per tutti diventa imprescindibile quindi investire nella ricerca di ogni utile innovazione per il proprio settore: nei nuovi prodotti, nei nuovi canali, nei nuovi modi di distribuire, nei nuovi modi di creare soddisfazione. 106 Conclusioni Questo lavoro vuole essere uno spunto per chi, soprattutto fra i promotori finanziari con una certa esperienza professionale e chi si accinge ad intraprendere magari nuove strade verso la consulenza finanziaria “oggettiva”, intende sviluppare e sperimentare modelli nuovi di approccio alla professione. Con uno sguardo al passato ed alle grandi trasformazioni intervenute in questo settore:dalla fase pionieristica della vendita di prodotto, che tanto ha insegnato a quei venditori che, con costanza, forza di volontà e metodo invidiabili, si presentavano ad una fascia ristretta di clienti per presentare servizi e prodotti che da lì a poco avrebbero aperto, anche ai tradizionali risparmiatori italiani, le strade per i mercati di investimento di tutto il mondo; dalle esperienze che hanno visto crescere e professionalizzarsi queste figure, in un legame esclusivo di supporto con le più importanti banche specializzate; dai boom alle crisi ricorrenti dei mercati finanziari e dalle alterne vicende nei rapporti fra risparmiatori e consulenti, spesso con importanti crisi di sfiducia degli utenti nel sistema bancario tout court. Da tutte queste fasi si è andata nel tempo consolidando una tesi, che ho voluto qui sostenere e arricchire con un contributo di esperienza personale da operatore che lavora da venti anni in questo settore: quella che un’impresa di servizi finanziari si deve oggi più che mai orientare a fornire qualità totale in tutte le sue espressioni e considerare definitivamente il cliente al centro delle sue operazioni di marketing interno ed esterno. Il marketing non è morto, come sostiene qualcuno. E’ certamente però arrivato il tempo di aggiornare il tradizionale concetto legato alla crescita , alla conquista di nuovi clienti, con uno più vicino al contesto competitivo attuale, fatto di un’offerta assai più ampia della domanda e dove la fidelizzazione dei clienti esistenti rappresenterà sempre più il focus a cui prestare ogni tipo di attenzione. 107 E allora è importante capire quanto possiamo fare per presidiare ciascun cliente e considerarlo innanzitutto una persona, assumere atteggiamenti etici in ogni fase aziendale, non solo perché è moralmente giusto, ma perché conviene; passare dalla fase della classificazione (cluster) in segmenti a quella della personalizzazione (custom) del servizio; partire dalle esigenze specifiche di ognuno, coglierne il diverso peso e priorità in funzione del ciclo di vita della propria famiglia; stabilire con il cliente una vera e propria relazione che sfoci in una partnership, nella quale si ottengano reciproci vantaggi e gratificazioni; lavorare per la fidelizzazione a tutela del nostro vantaggio competitivo verso la concorrenza, andare “oltre la fidelizzazione” con metodi nuovi di approccio alla gestione del portafoglio e comportamenti aziendali tali da far lievitare il rapporto. L’avvento ed il rapido sviluppo di Internet non fa che accelerare questo tipo di processo. Le innovazioni, anche attraverso il marketing virtuale, vedranno competere sempre più selettivamente solo quelle imprese che ne anticiperanno i contenuti e li sapranno trasferire in operatività aziendale. Si apre un’era straordinaria per la complessità dei contesti e per la rapidità di cambiamento degli scenari. Sta a noi accettare la sfida che ci farà progredire verso una maggiore democratizzazione negli affari e nei rapporti commerciali. 108 BIBLIOGRAFIA LIBRI Barbieri C., Policardi L., Le nuove professioni: il promotore finanziario, Il Sole 24 Ore, Milano, 1993. Bugatti G., Diaz S., Megale G., Marketing individuale dei servizi finanziari, Il Sole 24 Ore, Milano, 2004. Busacca A., Costruire la fedeltà, Il Sole 24 Ore, Milano,1998. Cavallone M.,Oltre la fidelizzazione, Franco Angeli, Milano, 2003 Delia-Russel T., Di Mascio A., Wealth management. 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