Pinocchio, ci sei o ci fai? Come cresce il cuore di
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Pinocchio, ci sei o ci fai? Come cresce il cuore di
V edizione LibrAperto Carlo Collodi Pinocchio e altre storie “Sono stufo di far sempre il burattino!… Sarebbe ora che diventassi anch’io un uomo” Pinocchio ci sei o ci fai? Come cresce un cuore di un bambino Luisa Leoni Bassani Firenze, 3 ottobre 2015 Il titolo, che abbiamo pensato insieme, l’ho preso citando una persona a cui ho voluto molto bene e che è scomparsa da poco, il cardinale Giacomo Biffi, che era un amante di Pinocchio. Il primo libro che ha letto e dal quale, dice, non si è mai staccato: “Il successo di Pinocchio è un enigma straordinario. Nacque per caso, scritto di malavoglia per un giornale di bambini, a puntate irregolari e interrotto due volte, la prima con la convinzione di concluderlo per sempre, e invece è l’unico libro uscito in Italia, dopo l’Unità, che abbia avuto un successo mondiale. La spiegazione è una sola: contiene un messaggio eterno che tocca le fibre del cuore di tutti gli uomini di ogni cultura.” (Giacomo Biffi, Contro maestro Ciliegia: commento teologico a "Le avventure di Pinocchio") Mi è sembrato un punto di inizio interessante, perché a parte la lettura che vi darò alla fine, di quella che era la lettura di Biffi del nostro burattino, Pinocchio è una favola, meglio, una storia che conosciamo praticamente tutti. Io però me la sono riletta nell’edizione originale di Collodi, che è più interessante di tutte le riduzioni che ne sono state fatte, dai film ai cartoni animati, dalla Walt Disney a tutti i libri di Pinocchio che sono delle riduzioni. Rileggendolo mi sono detta: io per chi tengo? A chi tengo? Ma davvero mi interessa questo bambino che nel libro non c’è? Io tengo per Pinocchio. Mi sono chiesta: perché? Io voglio Pinocchio; non è bene rimanere burattino, ma non è bello perdere la freschezza. Ci sono delle cose in Pinocchio che non credo debbano andare perdute, perché sono proprio la bellezza e la grandezza dei bambini che andiamo a incontrare. Quindi a me interesserebbe molto che insieme provassimo a capire questo bambino, il cuore di questo bambino. Queste sono le cose che mi piacciono di Pinocchio: -‐ Pinocchio è curioso del mondo. Appena gli fanno le gambe scappa, comincia andandosene, se ne va e sembra non avere scopo se non quello di guardare il mondo. Questa è una cosa che secondo me, oggi, noi non troviamo più così tanto nei nostri bambini. È loro consentito di esprimerlo e di viverlo non nel mondo, ma nell’ambito ristretto e costituito per loro che noi abbiamo costruito. Questo è un punto a mio parere pesante della fatica che poi gli adulti fanno coi bambini. Per impedire cosa? Lo vedremo. Li elenco e poi andiamo in profondità: -‐ Pinocchio è ingenuo, crede a quel che incontra. Si fida di tutto quello che gli dicono quelli che incontra. -‐ Pinocchio vuole fare da sé. -‐ Pinocchio ricomincia sempre, tutte le volte: qualunque cosa sia successa, lui ricomincia. Questi sono aspetti che secondo me oggi sono molto carenti. Se non quello che Pinocchio vuole fare da sé. I nostri bambini questo lo fanno molto, arrivano “imparati”, pensano di sapere già tutto ma in realtà non vogliono fare da sé, vogliono fare quello che hanno in mente loro con l’aiuto, anzi, portati da quelli che stanno loro intorno e invece Pinocchio vuole proprio fare da sé. Vuole andare a vedere. Questa è la prima annotazione, perché la domanda è: come cresce il cuore di un bambino? Il primo che crede in qualche modo in Pinocchio è Geppetto, a differenza di Mastro Ciliegia che non dà credito che questo pezzo di legno abbia qualcosa in più, qualcosa di diverso. Geppetto invece ci crede e fa il suo burattino. Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org Poi Pinocchio scappa e va incontro a tutta la realtà. Sembra che non ci vada con la ragione, sembra non usarla, la ragione. Questo Pinocchio ragiona o non ragiona? Va, incontra … i bambini sono spesso così, ragionano dopo, come fa Pinocchio. Poi viene la questione: cosa devo fare? Come posso fare? Che sono le due domande a cui l’uomo risponde attraverso la sua ragione. Ma prima di tutto di cosa si tratta? Sembra essere una domanda che nel libro non emerge. Però poi, nel fatto che Pinocchio si mette dentro le cose, noi vediamo, in qualche modo questa curiosità. Passiamo da Pinocchio ai nostri bambini. Dietro questa curiosità, che tante volte è nascosta dentro i nostri bambini e che in Pinocchio era così palese, ci sta sotto una domanda: che cos’è? Perché fa così? Questo è il segno che dentro quel bambino c’è qualcosa di più di quello che in qualche modo appare, e noi lo riscontriamo poi nel comportamento. Parto prima di tutto da questa curiosità del mondo, perché è quello che mi sembra più necessario da coltivare e in un certo senso da liberare: è una curiosità che viene soddisfatta soprattutto dal punto di vita intellettuale. I nostri bambini hanno molte domande su come funziona, cosa fa, che cos’è, perché è … e noi, i genitori per primi, cominciamo a dare delle risposte a queste domande in modo funzionale: Perché piove? Perché ci sono le nuvole in cielo. La domanda che sta dietro a questa, che è la domanda del significato, è chiusa nella risposta funzionale. Questo poco alla volta riduce la curiosità e inibisce la domanda di significato che ci sta dietro, spostandola in una moltiplicazione di domande e di risposte dal punto di vista del conoscere. Come è fatto? Non è di per sé sbagliato, ma se non ha dietro l’attenzione alla domanda ”Di che cosa è segno?”, finisce poco alla volta per chiudere questa curiosità. A questo si aggiunge la grossa fatica che fanno gli educatori di fronte alla realtà del mondo, alla paura che accompagna la visione del reale, al desiderio di preservare questi bambini dal pericolo che il mondo è. Questo cosa porta? Porta a costruire il mondo nel quale i bambini possono esercitare questa curiosità, e questo mondo diventa sempre più astratto. Spero che si capisca, ma questa è la questione che io dibatto con me stessa e anche con alcuni da tempo. Il mondo che questi bambini vivono è un mondo, in un certo senso, pensato per loro, non solo la scuola, ma anche la casa. È come se, nel momento in cui entra in casa tua un bambino piccolo, e automaticamente ti devi voltare ai suoi bisogni, pensi e strutturi la vita in funzione di quel bambino. E perché? Perché questo mondo così costruito è protetto, controllato, contenuto. Il bambino è molto curioso in questo mondo, apre i cassetti, li vuota, mette dentro ed è un mondo, comunque, di solito strutturato a sua misura. Ha i suoi giochi e puoi lasciarlo fare, ma nella tua cucina con le tue cose, nel tuo salotto con la tua televisione, è di solito, contenuto. E nascono le regole: si deve fare in un certo modo. Questa cosa, secondo me, è un imprinting di partenza che penalizza molto i nostri bambini. Poi c’è il nido, c’è la scuola dell’infanzia e poi la scuola elementare che sempre di più occupano moltissimo spazio per questi bambini. Vanno a scuola e ci stanno un sacco di ore, e quando vanno fuori da lì bene o male si sono organizzati. Una mamma mi diceva: io vado al lavoro, esco alla sei, il bambino esce alle quattro e mezzo, lo va a prendere la dada e cosa fa? Va al parco finché c’è bel tempo o alla ludoteca e arriva a casa quando arriva la mamma che gli fa fare la doccia, gli prepara la cena e lo mette a dormire. Questa mamma ha un buon rapporto con il suo bambino, e non è neanche un bambino particolarmente disturbato, però è un bambino che vive solo realtà pensate per lui e neanche tanto casa sua, entro certi limiti. E le altre realtà sono pensate proprio perché lui venga educato e cresca bene. Per me è un paradosso: Pinocchio invece dove va? Pinocchio va in giro e ne incontra di ogni. Questo dato oggi è socialmente improponibile. Quello che ha fatto Pinocchio, i nostri bambini non lo possono fare. Noi ne riceviamo il contraccolpo, perché poco alla volta si spegne la domanda di realtà e del mondo. Dato però che l’uomo è incomprimibile, si sviluppa moltissimo l’aspetto intellettuale, ma vorrei essere capita bene: non che lui studi di più, ma lavora sui propri pensieri e all’interno di una realtà che con il reale ha poco a che fare. Mi viene in mente questo esempio perché mi ha molto colpito: un bambino di terza elementare è stato a casa da scuola perché gli si sono gonfiati i linfonodi nel collo. La compagna di classe conosceva tutto della Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org mononucleosi, la sua mamma glielo aveva spiegato per istruirla su come doveva fare per non prenderla. Ma la possibilità reale che questa bambina avesse contatti con cose che potevano farle prendere la mononucleosi, era eventualmente solo il contatto con il compagno malato, che ormai tra l’altro era a casa. Questo tipo di conoscenza riguarda tutto quello che è connesso con un tema che non ti tocca (per non parlare di tutta la questione della droga e della sessualità). Tutto viene anticipato per prevenire, in modo che affrontino la realtà sapendo come va affrontata. Questo fa venire in mente il Grillo Parlante, che se ci pensate è l’unico che Pinocchio tenta, e sembra ci riesca, di ammazzare. Questo perché non è un modo reale di conoscere, perché per conoscere bisogna fare esperienza. Pinocchio conosce pochissimo del suo percorso, lui ha tante avventure, quindi tendenzialmente fa tante esperienze, ma non ne giudica nessuna, e infatti non fa esperienza, non impara niente, sembra non avere, e di fatto non ha, nessuno che lo aiuti a trovare il criterio per giudicare, se non attraverso quello che paga. Ma non è da questo che lui impara. La questione del non conoscere dei nostri bambini è una non reale conoscenza. Sanno, e questo spesso li spaventa e quindi li trattiene dal giocarsi nel reale. Tutto quello che so, praticamente, o evito di saperlo, perché lo so ma non me ne curo, oppure lo so e mi fermo perché ho paura e quindi, di fatto, non so. Allora la cosa che mi sembra di dover trattenere di queste mie riflessioni e che bisogna che in qualche modo, noi, e intendo con noi la scuola, ci mettiamo in una posizione più consapevole dei limiti e anche delle necessità. Sempre di più ci si rende conto che il bambino ha bisogno di agire e quindi facciamo una scuola montessoriana, o comunque una scuola che fa intervenire tante esperienze, tanto contatto con la manipolazione e ben di più di questo. La cosa che a me viene da pensare è che la scuola ha bisogno tantissimo di aprirsi come mondo. Lo avverto soprattutto come carenza nelle scuole superiori, ma anche nella scuola primaria, che è il nucleo prevalente. Questo aprirsi cosa significa? Cosa vuol dire una scuola aperta che consenta al bambino di mantenere viva la curiosità e anche la domanda che sta dietro di significato? Questa mi sembra una domanda che io vi rilancio. Noi facciamo dei tentativi. Ci facciamo queste domande come collegio e come insegnanti. Le risposte sono dei tentativi. Cosa vuol dire una scuola aperta: il tentativo di aprirsi al territorio (fai venire i vigili urbani a spiegare come si va per le strade, vai a vedere il mercato del quartiere della tua scuola, fai venire dei papà e delle mamme che raccontano del mestiere che fanno). Sono tutti tentativi che certamente non risolvono il problema ben più grande, dal punto di vista sociale, della paura della realtà, della chiusura della domanda. Però almeno non trasmettono ai genitori e ai bambini l’immaginario che stanno imparando tutto, che sanno già tutto, che il problema è avere delle risposte non delle domande. Invece devono crescere le domande. Infatti, perché il Grillo Parlante non è ascoltato da Pinocchio? Perché è lontano, lontanissimo dal cuore di Pinocchio, cioè dall’umanità che c’è in Pinocchio, che viene espressa in questo modo: il bisogno di scappar via, di fare da sé, la curiosità. Il Grillo lo mette in guardia, gli dice la verità di cui lui è già in possesso, di cui è padrone della risposta: tu devi solo avere la pazienza di recepirla e basta. Questo è invece lontano dal cuore di Pinocchio. Il Grillo non ha nessun interesse alla domanda che c’è nel cuore di Pinocchio, la giudica. La giudica già come eccessiva, sbagliata, pericolosa. Questo è quello che succede spessissimo in famiglia da parte dei genitori. La domanda ti mette in imbarazzo, ti fa paura e la eviti: eviti di dire che il cane è morto, eviti di portare il bambino al funerale del nonno, eviti di dire che vai in ospedale tre giorni perché devi essere operata, e guarda caso diventi bugiarda. Diventa bugiardo l’adulto che non ha il coraggio affrontare la realtà e non porta il peso di accompagnare il bambino dentro la realtà. Lo stesso vale per gli insegnanti. Se ho un bambino adottato in classe oppure orfano, devo parlare o no della giornata della mamma e del papà? Devo affrontare o no questo tema? Ma se io poi le risposte non le ho alle domande che mi fa? O se le risposte che ho non sono quelle che gli ha dato o che gli vuole dare la famiglia? Come faccio? Ma in quel momento lì, davanti a quel bambino lì ci sono io. La questione è consentire al cuore che c’è in ogni bambino, come dato di partenza, di crescere fino a diventare il cuore di un uomo che usa la sua ragione davanti alle domande, che usa la sua libertà e che si mette in gioco. Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org Pinocchio fa così fatica a crescere perché sostanzialmente è da solo in questo. Lui va da solo. Il criterio per giudicare le cose, cioè non per giudicare i fatti ma per giudicare (mettere in paragone, la domanda, il cuore che hai con quello che ti accade) lui non ha nessuno che glielo insegni, nessuno davanti che faccia così. Neanche la Fata, neanche Geppetto. Pinocchio infatti se ne va dal padre e comunque è un padre che non è in grado di accompagnarlo in questo e lui si ritrova a non maturare, deve maturare da solo e ci mette molto di più e paga tanto. Ma quelli che gli dicono come dovrebbe fare (il Grillo Parlante e magari qualche volta anche la Fata quando assume questo suo ruolo di guida) gli danno delle risposte, non prendono in carico la domanda. La domanda che hai non mi interessa, io ti dico come si deve fare per poter stare al mondo. Questa è una cosa che oggi è assolutamente attuale. Per questo siete interessate a questo libro, perché questa è una modalità che voi trovate tantissimo nei vostri genitori. Le regole ci sono dappertutto e io non ne posso più del fatto che vanno introdotte le regole. Cominciano a dirmelo i genitori dei bambini di due anni, che di regole, voi mi insegnate, non capiscono nulla. Cominciamo a fare un lavoro vero di insegnamento sulle regole in terza elementare perché prima i bambini fanno come gli viene consentito di fare e cercano di fare quello che non è consentito. Se tu hai la forza e la presenza sufficiente, il rapporto tra quello che fanno e quello che non fanno è mediamente equilibrato. Perché l’uomo, tendenzialmente vuole fare quello che non ha ancora fatto e soprattutto quello che gli viene impedito di fare. Ora in questa dinamica le regole non c’entrano niente. È il problema del rapporto tra me e te e di quello che io ti sto insegnando di come si fa a vivere. Mi ha molto interessato un film di animazione, che forse alcuni avranno già visto, Inside Out, che fa uno spaccato su come funzionano le emozioni, perché è l’altro inganno a cui siamo sottoposti. Il film è molto bello, descrive molto bene le emozioni della bambina protagonista, ma non sappiamo chi è lei, sappiamo come funzionano le sue emozioni, ma chi è veramente la bimba non lo sappiamo. In realtà non sappiamo neanche chi è Pinocchio. Eppure Pinocchio e questo film sono diversissimi, perché nel libro di Pinocchio non c’è nessuna introspezione psicologica, di nessun genere. Collodi non fa questo, non è neanche l’epoca, invece il film fa solo questo. In questo modo non conosciamo né Pinocchio, né questa bambina, e questo è quello che accade a tantissime famiglie di oggi: “Ti dico quello che puoi fare o non puoi fare, te lo traduco come regola proprio in questo dialogo, in cui il dialogo tra me e te è: così si può o così non si può”. Questi genitori che sembrano consapevolissimi, invece, delle emozioni della loro figlia. I genitori oggi, sono preoccupatissimi di come stanno i loro bambini: l’autostima, le emozioni, la paura, la rabbia, … . Infatti, i genitori, fin dalla scuola dell’infanzia, chiedono, non solo cosa mangia e se ha dormito; anche a scuola non c’è più nessun genitore che chiede solo come va in matematica e in italiano, ma come sta, come sta con i compagni, come reagisce se prende un brutto voto, come si comporta di fronte alla sconfitta, come sta davanti alla competizione... . Tutte queste domande nascono dalla preoccupazione di come il bambino funziona dal punto di vista delle sue emozioni, come sta rispetto a questo. Però, allo stesso tempo, tantissimi genitori non conoscono i loro bambini, non sanno chi sono, perché la domanda che sta dietro alle azioni di Pinocchio e alle reazioni di Riley, questa domanda di chi sono io, che cos’è la vita, cos’è questo mondo (che è una domanda implicita all’inizio e poi diventa esplicita quando drammaticamente magari il bambino è di fronte a una cosa grossa) sembra o ignota o comunque non considerata, e invece è una domanda chiave della questione educativa. C’è una grossissima preoccupazione sul fare un buon progetto educativo. Fare un buon progetto educativo non dico che non sia giusto, ma se noi pensiamo di aver concluso la questione con questo, commettiamo un errore grave, perché nessun essere umano tollera l’intenzione educativa dei genitori. I bambini non hanno nessun interesse a essere educati né dai loro genitori né dai loro insegnanti, perché il cuore dell’uomo ha una grossissima tensione a crescere, non a essere conformato. Si conforma nel percorso che fa, ma non per un’azione precostituita e pensata. L’essere umano, quando si accorge che un altro ha in mente quello che da lui stesso dovrebbe venir fuori (il bambino non è in grado di dire: sono manipolato), vive come profondamente manipolato e si ritira. Non uccide il Grillo Parlante e non scappa. Ma dove scappa, dato che non ha luogo? Scappa Pinocchio e scappa Riley. Dove scappa il bambino che non ha luogo perché non esiste uno spazio reale che non sia già precostituito, controllato e contenuto? Scappa Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org nella testa. E abbiamo tantissimi bambini con nevrosi, con fatiche, disagi o eccesso di fantasia (che non è eccesso di fantasia, è costruzione di pensiero al di là di quello che è il pensiero utile nel reale). La scuola in questo è importantissima. L’altra cosa che ha Pinocchio, oltre a essere curioso del mondo e voler fare da sé, è che Pinocchio è ingenuo, crede a tutti quelli che incontra: non riconosce gli assassini, la volpe, … sotto questa ingenuità che è del bambino, c’è però un punto chiave dell’umano, che oggi è profondamente attaccato: nel reale c’è una possibilità di bene. Dentro le cose e dentro le persone, c’è una possibilità di bene per me. Chi ha fatto più di una sola volta il percorso della scuola primaria sa che man mano che andiamo avanti è come se arrivassero bambini che questa ingenuità l’hanno completamente perduta, sono assolutamente in una posizione di: “guardiamo cosa questo vuole da me, proviamo a darglielo, così non rompe”. Questo tipo di posizione, che è di diffidenza rispetto al reale (di forte diffidenza soprattutto sulle persone), avviene perché in tanti hanno provato a dirgli come doveva diventare. I bambini sono scolarizzati dai due anni e non sono scolarizzati a tredici, infatti di nuovo, finite le medie, fanno “casino” anche in prima superiore. Quindi sono scolarizzati dai due anni e a dodici anni non lo sono. Cosa vuol dire? Quelli che sono un po’ meno Pinocchio, meno vivi, hanno strutturato un sé adattato e quindi si sono messi avanti bene, sono abbastanza bravi a scuola e fanno quello che va fatto, però ci troviamo con un disinteresse. Tutti i ragazzi che incontro mi dicono che la scuola non è interessante, non è bella e non ci vogliono andare. Allora noi cosa possiamo fare? Ci impegniamo per rendere questa scuola interessante, come è giusto. Io penso invece che il problema sia che va destrutturato un po’ di più il lavoro che viene fatto con loro. Questo è il punto chiave per mantenere questa positività verso il reale. Come si può fare? A volte è da riconquistare. Cos’è che lo riconquista? Prima di tutto l’adulto che, in qualche modo, in questo positivo ci crede, ci crede non per finta. Se ci pensate voi siete venuti qui oggi con un desiderio di ascoltare delle cose interessanti, quindi con una presunzione di bene. Poi, invece, io sono noiosa e voi vi stancate, ma non salta però la presunzione di bene: nell’esperienza c’è parziale delusione. Però non è che per questo, quando verrà un altro corso, non vi iscriverete, perché la presunzione di bene, il fatto che nella realtà ci possa essere un bene, prevale, in una struttura umana non patologica, non malata. Nonostante tutte le fatiche che si fanno, tutti desiderano innamorarsi, trovare un compagno, mettere su casa, uscire una sera per andare al cinema. Noi però a volte perdiamo questa consapevolezza. I bambini ci aiutano a recuperarla. In questo senso lavorare con i bambini può essere un grande aiuto, perché anche se arrivano che apparentemente o comunque di fatto sono sulla difensiva, non si fidano, vanno altrove, appena gli “dai il gancio”, si riattaccano. Se solo si accorgono che in te c’è una scintilla minima di passione per le cose che fai, di curiosità per il mondo che c’è fuori e che c’è dentro, di reale interesse a chi c’è dentro a quel bambino lì, loro si attaccano. Ma sono bambini e fanno proprio come Pinocchio, non mantengono le buone intenzioni e ricominciano, però sono prontissimi, se tu riparti, a ripartire con te e a volte ripartono loro. Con la famiglia questo accade spessissimo. Io oggi mi trovo con delle situazioni ribaltate: è il bambino che recupera la mamma. La mamma non ne può più ed è il bambino ne può di più di lei. In questo senso Pinocchio, che non si stanca mai di ricominciare, è una cosa da non perdere. Essere consapevoli che il reale porta un bene, che è incontrabile, che è comunicabile e quindi cercarlo nel bambino e fuori del bambino, è un altro elemento chiave della questione educativa. Psicologicamente possiamo dire: mi fido di te, ti stimo, queste sono tutte cose vere ed interessanti; ma la vera questione è: sono lieto che tu ci sia, tu sei la prima realtà positiva che c’è, sono contento di essere qui con te; non so tutto, non so tutte le risposte, ho anche molta paura delle domande che mi puoi fare e che la realtà pone e in questo senso capisco anche la tua paura, ma ci sono e mi interessa il cammino con te. Questo è un punto: sono certo che tu ci sei e mi interessa esserci, sapendo che c’è un bene che insieme andiamo a cercare, e tutta la fatica che c’è in mezzo, vale la pena. Quando è possibile? E qui ritorno a Pinocchio. Pinocchio sta a tutto ciò che gli accade, così come è con tutta la sua stupidità, ingenuità. Ci sta. Va a piantare le sue monete, ma poi fa il cane dentro al gabbiotto e come un cane denuncia i ladri. Ci sta, per come è fatto, a tutto ciò che accade. Questa cosa è per me grandissima, perché Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org invece è faticoso stare a tutto quello che accade con tutto quello che comporta: paura, dolore, fatica; ma senza questo “stare” non c’è possibilità di gusto. Se io mi tiro via, vedo quello che accade, lo giudico, parlo, ma non mi coinvolgo con quello che c’è, non sperimento mai il gusto. Stare a quello che accade così come sono: questo è l’altro grande scandalo, la paura, la fatica più grossa che fanno le famiglie. È un’enorme fatica essere bravi genitori così come si è. I miei limiti li conosco, li gioco come gioco le mie potenzialità. Questa è un’altra grossissima sfida per la scuola, enorme, oltre che per i genitori: non è solo per gli insegnanti che ci stanno con l’esperienza che hanno, il temperamento che hanno, la competenza che hanno. Gli insegnanti possono crescere in tante cose: l’esperienza sicuramente cresce, la competenza cresce (può crescere se uno ci si mette), il temperamento ti rimane e lo giochi in base al rapporto con la realtà, ma anche il bambino ci sta come può. Se a te non va mai bene come lui ci sta, non può cominciare a cambiare. In questo però non vorrei essere fraintesa. Io non penso che un educatore severo sia meglio di un educatore lassista (anche se non mi piace il termine). Ma un’educazione severa cosa vuol dire? Vuol dire che uno ha consapevolezza del suo ruolo, dei suoi limiti, ma è cosciente che c’è un senso a quello che fa. Il ragazzino che hai con te, nelle tue mani di fatto quando è molto piccolo, non lo fabbrichi tu, non lo hai fabbricato all’inizio e non lo fabbrichi neanche alla fine e non è l’esito di quello che sei capace o non sei capace di fare. C’è di più, nel suo percorso. Tu puoi anche essere fermo e deciso su quello che hai intuito come bene, perché sai che non è un bene assoluto, è assolutamente limitato e quindi passibile di verifica. Lo dico rispetto ai genitori perché mi chiedono sempre: ma qui come devo fare? Il bambino viene a dormire nel mio letto, come devo fare perché non venga più a dormire nel mio letto? Io dico: lo devi lasciare nel suo, non c’è altro modo. Dal punto di vista operativo è di una semplicità lampante. Se non lo vuoi nel tuo letto lo devi lasciare nel suo, il che comporta che ti alzi e ce lo riporti. Comporta che gli dici: no non devi venire. Comporta, in un modo che oggi sarebbe scandaloso, che, come mia madre, chiudi la porta a chiave e, infatti, io non ci sono andata mai. Però il problema era chiaro nella pratica. Il punto è lo scopo che io ho. Non sono sicuro che sia quello buono. Sarà un bene oppure no? Sarà un bene per il mio bambino dormire nel suo letto o io sono forse egoista perché voglio dormire bene di notte? La non chiarezza dello scopo rende incerti. L’incertezza che fa fare avanti e indietro. Un po’ te lo tieni e un po’ ce lo metti. Dopo di che io non mi scandalizzo, non è un problema, non giudica il tuo umano come fai rispetto a un problema che hai. Ma se tu pensi invece che il rapporto con il tuo bambino dipende dal fatto che fai bene o male le cose, diventa drammatico. Se invece tu hai la consapevolezza che il suo cammino è ben di più di quello che tu sei capace di fare o non fare, tu puoi anche permetterti di essere molto severo, e poi dopo dire: come è andata? Perché potrei anche aver fatto delle cose non giuste. Per esempio l’ho picchiato, poi vediamo cosa succede: se lo picchio tutte le volte che balbetta (che è una cosa sicuramente sbagliata, in termini tecnici), smette di balbettare o balbetta di più? Nella realtà le cose sono più semplici di quelle che noi ci prospettiamo nella testa. La consapevolezza del proprio scopo, del fatto che non sei padrone né degli avvenimenti né dell’esito, è di questo che l’educatore deve essere consapevole, che non sei padrone del bambino che hai davanti e dell’esito della sua vita. Tu accompagni e collabori a tante cose nella vita di questo bambino. Un’altra cosa è che abbiamo anche troppa paura di essere tragicamente deleteri per i nostri figli, è la grande paura di sbagliare. Pinocchio non ha nessuna paura di sbagliare. Sbaglia e basta. Sbaglia e paga e così cresce. È veramente l’unico modo con cui Pinocchio cresce. Sbaglia e paga: lui paga tanto, ma dopo un po’ si scoccia di pagare e prova a chiedersi a come fare a non pagare. Così modifica e cambia certi comportamenti: “Proverò a fare così”. Vedete come cerca di mediare, quando va a fare l’elemosina: “Mi dai… non mi dai” e trova un lavoro sufficientemente poco faticoso per tollerarlo (portare la brocca della Fata). Non è che improvvisamente è diventato amante della fatica, cerca di trovare la fatica minore per raggiungere lo scopo, pagando solo in parte. Invece, per gli adulti, in primis, e di conseguenza per i bambini, sbagliare sembra una cosa Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org inaccettabile. Questo nasce da un delirio di onnipotenza: dal nostro far bene viene la perfezione, dal nostro far male viene la tragedia. Quindi noi siamo stabilmente in un dramma, come adulti, davanti a questi nostri ragazzi, cosa che diventa tragica nell’adolescenza. Tantissimo lavoro sul virtuale, mancanza di relazioni, tantissime solitudini nascono dall’idea che al mondo io non sono in grado di starci così come il mondo è. I bambini da questo sono un po’ più tutelati, rispetto agli adolescenti. Un’educazione severa… l’aspetto di severo è proprio quello che io provavo a dire adesso: non avere paura di fare un intervento nella direzione del bene che vedo, perché so che non è definitivo, e che l’errore consente di fare un altro passo, se sono leale con la verifica. Allora in questo ci sta che il nodo chiave dell’educazione sia il rapporto e non il progetto, e l’educazione che vede al centro il rapporto tra me e l’altro, dove nel rapporto tra me e l’altro non è che devo stare attento a come funziona lui, perché sennò lo ferisco (anche questo va bene, ma come conseguenza ultima), ma che prima di tutto ho chiaro che tu esisti con un senso, che sei un positivo, che sei una realtà di bene e che puoi camminare nella realtà verso ciò che nella realtà ti aspetta. Allora posso essere anche severo, perché sono certo del rapporto. È una relazione amorosa, la relazione che è d’amore con questi bambini, con una parola che purtroppo è stata talmente bistrattata da far tremare mentre la dici (un po’ per le distorsioni di cattiva interpretazione che a volte può essere data). Ma cosa vuol dire amare un altro? Prima di tutto quello che ho detto: riconoscerlo come un bene inesauribile nella sua esistenza per me e non un prodotto che mi dà rispetto al progetto che ho. L’ultima cosa è che nella storia di Pinocchio ci sono gli avvenimenti, capitano delle cose (incontra il Mangiafuoco, incontra gli amici, Lucignolo, delle cose), poi gli capitano anche delle coincidenze favolose con il suo desiderio, cioè ogni tanto capita proprio quello che va a fagiolo: lo stesso Mangiafuoco che lo lascia andare e che gli dà i denari per suo padre. Tutte queste cose che arrivano così… questa è una cosa, per me, stupenda del libro. Nella realtà capita che ti vengano fatti dei regali. Pinocchio riceve dei regali. Da un certo punto di vista il primo regalo che riceve è che Geppetto gli fa i piedi. E poi la Fatina, e poi il cane Medoro che lo salva quando sta per essere fritto. Dei regali. Mi spiego con un esempio: è morta la moglie di un mio carissimo amico. Hanno due bambine che adesso sono davanti a questo dolore. Il papà e la nonna hanno detto a queste bambine che la mamma è in cielo ed è sempre con loro e le vede dal cielo e le accompagna. Mi diceva una ragazza che è andata a trovarle che è rimasta stupita (queste bambine piangono, poi devono andare a scuola, fanno le loro cose e gli manca molto la mamma) dal fatto che loro sono certe che la loro mamma è con loro, hanno 8 e 6 anni ma sono certe della vita della mamma, che è viva con loro, così come gli ha detto il papà. Noi abbiamo forse tutte le rimostranze che la nostra ragione ci mette davanti. Per loro, invece, è totalmente corrispondente e credibile questa cosa, perché va a compiere in modo pieno il loro desiderio e sono fiduciose che questa cosa, che per l’uomo adulto medio è incredibile, sia vera. La possibilità che il Mistero compia il mio desiderio nel bambino è naturale. Poco alla volta l’esperienza dentro la realtà attacca questa fiducia di base e ti fa dire che forse non è vero, forse è impossibile, forse il mio desiderio non ha neanche il diritto di essere espresso perché è impossibile che venga compiuto. Aiutare l’essere umano a mantenere vivo il cuore, perché questo è il nucleo del cuore, il desiderio di vero, di bello di totale felicità, è il più grande compito che gli adulti hanno verso i loro bambini, siano essi figli o studenti. Io non ho la risposta ma la risposta è possibile. Questo è l’aspetto per me interessante e l’ho messo per ultimo. Mi ero scritta sui miei appunti: Come avviene il cambiamento di Pinocchio? Attraverso gli avvenimenti, attraverso la presenza del Mistero permane viva in Pinocchio la memoria delle cure che ha ricevuto, di colui che ha amato, e gli è chiaro dove vuol tornare. Vuol tornare da suo padre, da chi ha avuto cura di lui, e alla fatina che gli ha fatto tanti regali. Allora la nostra domanda: come possiamo noi aiutare questo cuore a rimanere vivo? Prima di tutto attraverso la consapevolezza che questo cuore c’è, contro tutte le tentazioni che il nostro giudizio ci porterebbe a fare: con questi bambini non si può, questi bambini non sono in grado di ascoltare, non stanno fermi, non vogliono imparare, non seguono. Il loro cuore c’è, e se io lo vado a cercare lo trovo. Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org Ma il mio cuore c’è? Perché questa è la domanda che sta ancora prima, perché la possibilità di trovare il cuore dell’altro è che io tenga vivo il mio, e per un adulto questo è il punto più grosso della vita. Che cosa tiene acceso il mio di cuore, perché non venga così incapsulato dalle mie delusioni, dalle mie paure, dal mio dolore, dalla mia incapacità, dalla mia inadeguatezza, dal mio errore? L’unico modo per far crescere un cuore di un uomo è che senta vibrare un altro cuore, che senta un’interazione con un cuore vivo. Vale anche per la mente, perché se non ho una mente viva i miei bambini dormono. Ma per permettere ad un cuore di un bambino di crescere ci vuole il cuore vivo di un adulto che si mette in gioco con lui, che come il re nudo, nudi insieme camminiamo, certi della possibilità di una méta. Chiudo leggendovi ancora il cardinal Biffi: Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno, chiamandolo subito sorprendentemente figlio, e finisce con un burattino che figlio lo diventa per davvero. Tra i due estremi c’è la storia del libro, che è identica nella struttura alla Storia Sacra. C’è una fuga dal padre, c’è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c’è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre, il tutto grazie a una salvezza data per superare una distanza incolmabile, con le sole forze del burattino, tra il punto di partenza e l’arrivo. Pinocchio è una fiaba, ma racconta la vera storia dell’uomo che è la storia cristiana della salvezza. (Giacomo Biffi, Contro maestro Ciliegia: commento teologico a "Le avventure di Pinocchio") Didattica e Innovazione Scolastica Centro per la formazione e l’aggiornamento via Nomellini, 9 - 50142 Firenze tel. 055-7327381 - fax 055-7377104 [email protected] www.diessefirenze.org