Gesù Cristo è il medesimo ieri, oggi e nei secoli

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Gesù Cristo è il medesimo ieri, oggi e nei secoli
LETTERA CIRCOLARE (9)
DEL SEGRETARIO DEL SEGRETARIATO DELL’ORDINE CISTERCENSE
PER LA LITURGIA
AI MONASTERI DELL’ORDINE
per l’inizio dell’anno 2009/2010
PAX
“Gesù Cristo è il medesimo
ieri, oggi e nei secoli”
(Ebr. 13,8)
Care sorelle,
cari fratelli
la domenica di Cristo Re, che è stata introdotta nel 1925 da Pio XI (+1939), ci ha mostrato
giustamente nella retrospettiva della fine del calendario liturgico che arriva e nella prospettiva
della prima domenica di Avvento che lo inizia, che l’essenza e il centro dell’anno liturgico è:
Gesù Cristo, Il Signore. Si tratta infatti sempre di Lui e del mistero della nostra salvezza. I
primi cristiani hanno espresso ciò molto chiaramente, elevando nell’abside delle loro
basiliche, al di sopra dell’altare, un’immagine monumentale del Cristo: il Cristo come
sovrano sul suo trono (Pantocratore, Maestà del Signore). Ancora oggi si può immaginare
quello che ciò significava quando, per esempio, si visita un’antica basilica romana: lo sguardo
cade immediatamente sul Cristo che domina il luogo (tale il Cristo Pantocratore nella basilica
di San Paolo fuori le Mura a Roma). Più tardi, nell’età romanica e gotica, si è preferito
rappresentare sui timpani dei portali occidentali delle cattedrali, e cioè al di sopra
dell’ingresso, il Cristo che viene a giudicare il mondo. Chi entra in una chiesa si trova allo
stesso tempo nel luogo della sovranità del Cristo Signore e può ascoltare la voce di questo Re.
L’interpretazione dell’esistenza cristiana e della liturgia cristiana si lascia cogliere nelle parole
solenni che il prete, all’inizio della Veglia pasquale recita dinanzi al nuovo fuoco per la
preparazione del cero pasquale, simbolo del Cristo risuscitato: “il Cristo, ieri e oggi,
principio e fine di tutte le cose, Alfa e Omega. A lui, il tempo e l’eternità. A lui, la gloria
e la potenza per i secoli senza fine. Amen.”
Il significato teologico, spirituale ed esistenziale dell’anno liturgico
Considerando la grande importanza che hanno la liturgia e le sue feste nella nostra vita
ecclesiale e quotidiana, vorrei questa volta, in questa lettera, cercare di spiegare il significato
teologico, spirituale ed esistenziale dell’anno liturgico.
Il Concilio Vaticano II (1962-1965) e la riforma liturgica che ne è seguita, hanno richiamato
un’essenza e un senso nuovo dell’anno liturgico nella coscienza della Chiesa e li hanno
radicati nella loro vita.
Nella nostra tradizione cistercense, l’anno liturgico ebbe sempre un posto molto particolare,
visto che i nostri primi eminenti padri cistercensi, come Bernardo di Clairvaux (+1153),
Guerrico d’Igny (+1157, Aelredo di Rievaulx (+1167), Isacco della Stella (1167/69) e tutti
quelli come loro che sono così chiamati, hanno lasciato discorsi importanti per i tempi di festa
e per le feste dell’anno liturgico. Ma anche gli scritti dei mistici di Helfta, santa Gertrude la
Grande (+1157) e santa Mechtilde di Hackeborn (+1299) [e non, è interessante notarlo,
Mechtilde di Magdeburgo (+1282/94) che ha iniziato come beghina!] ci mostrano come
queste donne sono vissute pienamente e interamente dello spirito dell’anno liturgico e della
liturgia. Per noi, monaci e monache, che siamo stati incaricati dal nostro Padre san Benedetto
di “nulla preferire all’Ufficio divino”, è un esercizio di vita per meglio comprendere e più
profondamente ciò che celebriamo nella liturgia e nell’anno liturgico. Il nostro santo Padre
ciostercense Bernardo di Chiaravalle (+1153) predicava ciò una volta in un suo sermone:
come non conviene a dei religiosi né a uomini saggi ignorare ciò che celebrano o di celebrare
ciò che ignorano, bisogna cercare in onore di quale o di quali santi facciamo tale festa. (quarto
sermone per la Dedicazione della chiusa, n° 1).
1. L’anno liturgico è Gesù Cristo stesso.
L’anno liturgico che apriamo nuovamente nella prima domenica di Avvento in comunione
con tutta la Chiesa, non è altro che la celebrazione del memoriale e della realizzazione del
mistero del Cristo che trova il suo culmine nella sua morte e Risurrezione nel Mistero
pasquale (Mysterium Paschale). Il Concilio Vaticano II (1962-1965) l’ha insegnato a questo
proposito nella Costituzione sulla Liturgia, - ed è uno dei grandi testi chiave del Concilio:
“La Nostra Madre la Santa Chiesa reputa che le appartenga di celebrare l’opera salvifica
del suo divino Sposo con una commemorazione sacra, in giorni fissi, lungo tutto l’anno.
Ogni settimana, che essa celebra una volta all’anno, nel medesimo tempo in cui celebra la
sua beata passione, con la grande solennità della Pasqua.
Ed essa spiega tutto il mistero del Cristo durante il ciclo dell’anno, dall’incarnazione e
Natività fino all’Ascensione, fino al giorno della Pentecoste, e fino all’attesa della felice
venuta del Signore.
Celebrando così i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle virtù e dei
meriti del suo Signore; di modo che questi misteri sono in qualche modo resi presenti lungo
il tempo, i fedeli sono messi in contatto con essi e ripieni della grazia della salvezza”.
La Chiesa comprende l’anno liturgico come un anno circolare – è certo la più antica idea per
ciò che noi designiamo come anno ecclesiastico -, nel quale ogni anno, l’avvento del Cristo è
di nuovo condotto allo stesso modo del tempo naturale, pieno dei miracoli di Dio, mette a
contatto le generazioni successive con la salvezza aperta da Gesù. Il calendario liturgico è il
riflesso mistico-sacramentale del ciclo del Signore di cui Gesù stesso ha detto nel Vangelo di
Giovanni 16,28: Io sono uscito dal seno del Padre e sono venuto nel mondo. Di nuovo
abbandono il mondo e vado verso il Padre” o ancora nel medesimo Vangelo 3.13: “Nulla è
salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo”. Sono dunque due
passaggi della Scrittura che giocano un ruolo significativo nella teologia dell’anno liturgico e
nella cristologia del nostro Padre cistercense Bernardo di Chiaravalle (+1153). Il “ciclo del
Signore”, che la Chiesa celebra nella sua liturgia, è anche il tema dell’inno di Natale molto
conosciuto di Sant’Ambrogio (+397) “Intende qui regis Israel”, che si trovava nell’antica
liturgia dell’inno dei Vespri di Natale (cfr. il breviario di Saint Etienne). La sesta strofa
comincia così: “Egli esce e ritorna da suo Padre, Egli rientra e ritorna da suo Padre, Egli
esce e corre fino agli inferi, Egli ritorna al trono di Dio – La sua uscita dal Padre, il suo
ritorno al Padre; uscita fino agli inferi, ritorno al trono del Padre”.
Il tema dell’anno liturgico e il centro di tutta la liturgia è il ricordo dell’evento della salvezza
in e per Gesù Cristo. “Fare sempre memoria del Cristo – Fare senza sosta memoria di Gesù
Cristo”: è una missione fondamentale della Chiesa secondo l’ordine del Signore: “fate
questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11,25)! Nella sua liturgia, la Chiesa prosegue
l’opera della salvezza del Cristo ricordandola attraverso il tempo cosmico del giorno
(preghiera delle ore) e attraverso il ciclo della settimana e dell’anno (calendario liturgico). Si
tratta così sempre della celebrazione della memoria del Cristo. Il Papa Pio XII (+1958) ha
scritto sull’anno liturgico nella sua Enciclica “Mediator Dei” del 1947 da cui proviene la
maggior parte dei grandi principi direttivi del Concilio Vaticano II: “Così, l’anno liturgico …
non è una rappresentazione fredda e senza vita di avvenimenti che appartengono a tempi
passati; esso non è un semplice e puro ricordo di cose di un’epoca compiuta. Esso è piuttosto
il Cristo stesso, che persevera nella sua Chiesa e che continua a percorrere il cammino della
sua immensa misericordia” (III parte, cap. II). Di là è nata la formula breve che una volta si
trovava nel nostro Direttorio: “Annus liturgicus ipse Christus est - L’anno liturgico è Cristo
stesso”. Perfino le feste di Maria Madre di Dio e dei santi sono infine – come le ha definite
nella sua teologia il Concilio Vaticano II (cf la Costituzione sulla Liturgia n° 103 e n° 104) –
da mettere in relazione con la memoria del Cristo, e davvero con la memoria del Cristo.
2. L’anno liturgico come celebrazione che fa memoria e attualizza l’avvento
del Cristo.
La “memoria” (Anamnesi, Ricordo), un’idea fondamentale della teologia biblica, nel campo
dell’azione liturgica della Chiesa vuol dire non solamente un bel ricordo di tempi e di fatti
passati della Storia di Dio con gli uomini, ma un fatto che si attualizza. Con il fatto che la
Chiesa fa memoria dell’atto della nostra salvezza che si è conclusa una volta, la celebrazione
del mistero di Gesù Cristo, egli diventa presente in modo misterioso (sacramentale, mistico).
Tuttavia non si tratta affatto di una ripetizione di fatti passati una volta. La Chiesa piuttosto è
capace, nel ricordarsi dei fatti, di rendere efficaci gli avvenimenti della nostra salvezza nel qui
e nell’oggi, grazie ai suoi atti liturgici simbolici, in modo che le rassomiglianze per la
celebrazione liturgica ricevano una parte di questi eventi. Essi per così dire diventano
contemporanei del Cristo! Che il ricordo dell’opera di salvezza del Cristo possa essere
possibile, è quanto garantisce lo Spirito Santo di cui si tratta nella 4° Preghiera eucaristica
della Chiesa, egli “prosegue nel mondo l’opera del Cristo” e “realizza ogni santificazione”.
Papa Leone Magno (+461) che ha meditato profondamente sulla presenza della salvezza del
Cristo nella liturgia, ebbe questa celebre frase: “ciò che era visibile in nostro Signore è
passato nei suoi misteri” (Sermone 74,2: Catechismo della Chiesa Cattolica n°1115), cioè,
nelle celebrazioni sacramentali della Chiesa. Sulla memoria liturgica, si può trovare quel bel
testo di San Bernardo che egli ha enunciato nel sesto sermone sui Vangeli di Natale: Ciò che
rinnova continuamente i nostri pensieri è sempre nuovo, e ciò che non cessa di portare i suoi
frutti senza mai appassire, non è mai vecchio … Di modo che tutti i giorni [Cristo] si immola
ancora in un certo modo, in quanto annunciamo la sua morte, così come sembra che egli
nasca mentre rappresentiamo, attraverso la fede, la sua nascita (mentre fedelmente
rappresentiamo la sua natività)” (N° 6).
3. L’anno liturgico come celebrazione di tutto il mistero di Cristo.
La liturgia della Chiesa continua l’opera della salvezza attraverso i secoli. Tutte le feste
dell’anno liturgico, in fin dei conti, hanno per oggetto il mistero del Cristo tutto intero, il
mistero della salvezza nella sua totalità, che culmina nella celebrazione della Pasqua.
Di là derivano l’equilibrio e l’unità dell’anno liturgico:
Pasqua domina su tutto il ciclo dell’anno come celebrazione importante, onnipresente, nella
quale siamo incorporati noi stessi. Questo punto di vista teologico è stato difeso da papa Paolo
VI (+1978) all’inizio del suo “Motu Proprio per l’approvazione dell’ordinamento dell’anno
liturgico”: “Mysterii Paschalis” (1969) in cui egli dice “che la celebrazione del mistero
pasquale costituisce l’essenza del culto cristiano nel suo sviluppo quotidiano, settimanale e
annuale, il secondo Concilio del Vaticano lo insegna in modo chiaro”. Di là deriva anche il
significato esistenziale e costitutivo per il cristianesimo della domenica, giorno festivo per i
cristiani (cf. Costituzione sulla liturgia n°102 e n°106). P. Odon Casel OSB (+1948), il
teologo della “presenza misterica”, si è pronunciato sull’importanza della Pasqua con queste
parole dell’inno: “Questa Pasqua è il sole che illumina tutto il cosmo dell’anno liturgico e
che ne fa un unico giorno” (lettera del 7 novembre 1942).
Di continuo l’anno liturgico annuncia il grande piano di salvezza di Dio. Con ciò, il Signore
presente qui e oggi, orienta il nostro sguardo su tutte le dimensioni temporali perché: “GESÙ
CRISTO È IL MEDESIMO IERI E OGGI E NEI SECOLI” (Ebr 13,8)! Anzitutto il
passato (la memoria). L’anno liturgico ci richiama il preludio della liberazione, iniziata al
tempo della Creazione, della storia dei nostri Padri nella fede, delle manifestazioni di potenza
divina presso il suo Popolo dell’Antica Alleanza e delle promesse profetiche che hanno
trovato il loro compimento nel Cristo. Noi giustamente capiamo ciò a proposito del nuovo nel
Tempo dell’Avvento. La liturgia cristiana dà all’Antico Testamento una così grande
importanza – ciò che sfortunatamente non è sempre capito – perché l’Antico e il Nuovo
Testamento hanno tra di loro un’unità indivisibile e rinnovabile nel Cristo. Il teologo Hugues
de Saint Victor (+1141), contemporaneo di San Bernardo, ha formulato così questa
convinzione profonda ancorata tutta nella Tradizione cristiana: Tutta la Scrittura divina non è
che un unico libro, e questo libro è il Cristo, in quanto tutta la Scrittura parla del Cristo, e
tutta la Scrittura divina si compie nel Cristo”. (Noé 2,8, Catechismo della Chiesa Cattolica n°
134). Ma è innanzitutto Sant’Agostino (+430) che ha sottolineato il legame interno profondo
dei due Testamenti, in una sentenza che è rimasta celebre: il Nuovo Testamento è nascosto
nell’Antico, e l’Antico si rivela nel Nuovo: “Novum in vetere latet et in Novo Vetus patet”
(Hept 2,73; Catechismo della Chiesa Cattolica n° 129). Poi il presente (praesentia). Il Cristo
che è risuscitato dai morti e che è salito alla destra del Padre nella gloria del cielo è
continuamente presente nel mistero della Chiesa. Attraverso la celebrazione della memoria
liturgica, noi entriamo davvero in contatto con lui, il Vivente, lo incontriamo simbolicamente
nelle celebrazioni sacramentali. E infine il futuro (profezia). Quando la Chiesa celebra le sue
feste, contempla unicamente il passato, non si attarda sul presente ma tende anche verso il
futuro e porta in qualche modo il compimento della salvezza nel Cristo. Tale dimensione
escatologica della liturgia è particolarmente presente nel n° 8 della Costituzione sulla liturgia
in cui tra l’altro è detto: “Nella liturgia terrena partecipiamo con piacere a questa liturgia
celeste nella santa città di Gerusalemme alla quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo
siede alla destra di Dio, come ministro del santuario e del vero tabernacolo … attendiamo
come Salvatore nostro Signore Gesù Cristo, fino a che egli si manifesti, egli che è la nostra
vita, e allora saremo manifestati con lui nella gloria”. Riassumendo, possiamo dire: l’anno
liturgico è la celebrazione sviluppata nelle diverse feste, dell’avvento del Cristo nella sua
unicità e nella sua totalità, il vero ricordo del Signore, Il suo fine consiste nel fatto che i
credenti prendano parte all’opera di salvezza che si fa presente nel qui e nell’oggi e possano
vivere di essa. “Te, o Cristo, io incontro nei tuoi misteri” (Apologia del profeta Davide 58),
cioè nella celebrazione della liturgia, riconosceva Sant’Ambrogio (+397). Nel servizio divino
della Chiesa si riuniscono in una sola realtà il presente, il passato, il futuro! Certamente questo
spiega molto chiaramente la liturgia dell’Avvento che arriva di nuovo, nella quale celebriamo
il memoriale del triplice evento, della triplice venuta del Signore: la sua Venuta nel mondo
(Incarnazione), il suo ritorno alla fine dei tempi (Parusia) e la sua venuta quotidiana nella
celebrazione della liturgia (presenza misteriosa, nascita divina nei cuori) (cf. a questo
proposito la mia lettera circolare n° 4 del 2004/2005 e n° 8 2008/2009). Il senso dell’anno
liturgico che si ripete costantemente è quello di introdurci sempre più nelle tre dimensioni del
tempo a questa grande e vasta veduta d’insieme del mistero totale del Cristo e di tutta la storia
della salvezza.
4. L’ “oggi” (Hodie) della celebrazione liturgica.
Il responsabile dell’anno liturgico è il Cristo risuscitato e salito al cielo che rimane presente
nella sua Chiesa. Le celebrazioni delle feste dell’anno liturgico, come già detto, sono tutt’altra
cosa di un semplice ricordo, esse rendono presente in modo mistico e sacramentale l’evento
festa della salvezza. Per questo motivo la Chiesa può cantare a Natale: “Oggi è nato il
Cristo”; all’Epifania: “Oggi la Chiesa ha fatto alleanza con lo Sposo celeste”; a Pentecoste;
“Oggi scende lo Spirito Santo sui discepoli sotto forma di lingue di fuoco”. Come si può
comprendere ciò? La nascita di Gesù a Betlemme, per esempio, è resa di nuovo presente nella
liturgia? Si tratta sempre della liturgia del mistero del Cristo totale il cui cuore è il mistero
pasquale. Nel suo contenuto di eternità il mistero della Pasqua conferisce alle festività
cristiane e alle celebrazioni la sua forza di vita, la forza del Signore crocifisso e risuscitato. In
ogni festa la sola ed unica realtà pasquale ci diventa presenza in mezzo a noi, ma ogni volta
considerata sotto una diversa angolatura. Così, a Natale, il Cristo glorificato si trattiene di
fronte a noi ma noi lo guardiamo qui come il Neo-nato di Betlemme, come colui che apparve
nella bassezza della nostra natura umana. In Avvento, il Signore pasquale è di nuovo presente
nella celebrazione della festa, ma ora visto e glorificato come il Cristo atteso dai popoli e che
ritorna nella sua gloria alla fine dei giorni. Dunque: Tutto il mistero della salvezza è sempre là
– ecco la ragione dell’unità magnifica dell’anno liturgico. Ci si avvicina da diversi punti –
ecco la ragione della diversità delle feste. Poiché l’umanità non può mai cogliere in una volta
la profusione di Pasqua, essa cerca di procurarsi, per così dire, un’entrata in questo anno
liturgico da diversi punti di vista.
5. L’anno liturgico come riflesso della vita umana.
Accanto al contenuto spirituale e all’aspetto dell’anno liturgico, vi sono anche dei lati
antropologici e pedagogici della liturgia che sono molto importanti per la vita dell’uomo e che
trovano nelle nostra epoca un’attenzione accurata. L’uomo vive la sua vita in ritmi e in uno
svolgimento ciclico di giorni, settimane ed anni. Egli ha bisogno di riti, di svolgimenti festivi
e di tradizioni che lo aiutino a dare forma alla vita e ad assumerla. La liturgia della Chiesa
mette in discussione e presenta, nel corso degli anni, così importanti esperienze e questioni
dell’esistenza umana, e cioè: la nascita e la morte, la famiglia, il cibo, il male e il trionfo
riportato su di esso, il rapporto con i morti, l’esperienza dello Spirito. Nel corso dell’anno
liturgico l’uomo tematizza le questioni fondamentali della sua esperienza mettendola in
collegamento con la vita di Gesù e dei santi. La liturgia in questo modo è un processo
d’insegnamento che dà all’uomo un’istruzione concreta per lavorare ad una realizzazione di
vita profondamente umana e cristiana. Poiché è questo il grande valore pedagogico dell’anno
liturgico. Secondo il Concilio Vaticano II, la liturgia è, cito, “la fonte primaria e
indispensabile alla quale i fedeli devono attingere uno spirito veramente cristiano”
(Costituzione sulla liturgia n° 4). La liturgia della Chiesa vuol mettere tutta l’umanità nella
sua costituzione corporale e spirituale in contatto con il Cristo e la sua opera di salvezza (cf.
Costituzione sulla liturgia n°102).
6. L’anno liturgico come un divenire uniforme in crescita con il Cristo.
A differenza della comprensione antica del tempo come una linea o come una retta che si
prolunga eternamente oppure come un cerchio senza inizio e senza fine, o ancora come una
ruota ciclica, il cristianesimo comprende il tempo del Cristo, l’anno liturgico come una spirale
che si eleva in cerchio sempre più in alto, la quale, con il ritorno di ciascun anno, tende verso
il ritorno del Cristo. Non vi è dunque lo stesso punto di uscita, il medesimo eterno ritorno, in
quanto il tracciato della spirale di anno in anno è sempre più alto. Così ogni festa di Pasqua
non è la stessa dell’anno precedente, ogni tempo di Avvento non è come quello dell’anno
precedente. Ogni volta si tratta di un livello più alto, un nuovo cammino che conduce il tempo
al suo compimento. In questo modo, siamo introdotti sempre più nel mistero del Cristo e resi
adatti a ricevere “la forza di comprendere, con tutti i santi, ciò che è la Larghezza, la
Lunghezza, l’Altezza e la Profondità, voi conoscerete l’amore del Cristo che supera ogni
conoscenza” (Ef 3,18-19a). E così noi “entreremo con la nostra pienezza in tutta la
Pienezza di Dio” (Ef 3,19b) e cresceremo come un albero il cui tronco diventa sempre più
ricco di anelli circolari di anno in anno, fino alla “pienezza del Cristo” (Ef 4,13). Il fine
ultimo dell’anno liturgico è che diventiamo sempre più conformi al Cristo perché così siamo
certi “di partecipare della sua immagine e della sua natura” (cf Rm 8,29)!
Vi auguro, care sorelle e cari fratelli, un tempo di Avvento e di Natale ricco di benedizioni e
un anno di salvezza 2010!
Con affetto il vostro
Fr. Alberico M. Altermatt, o.cist.
Monastero di Eschenbach (Svizzera), Domenica di Cristo Re 2009.