Paese di terra, terra di cani, Paese di terra e di
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Paese di terra, terra di cani, Paese di terra e di
Paolo Pelizzari La strage di Brescia tra risposta istituzionale e mobilitazione dal basso Il punto di vista della sinistra extraparlamentare Comune di Brescia Associazione Familiari Caduti Strage di Piazza Loggia Provincia di Brescia Indice Prefazione di Gianfranco Porta 5 Introduzione 13 Il periodo precedente 21 Dopo la bomba 39 All’interno della strategia eversiva 46 La peggiore violenza 56 L’obiettivo politico 64 Come alle fosse Ardeatine 77 La collera popolare 85 La città ferita al cuore 96 Democrazia, antifascismo e Resistenza 106 Un campeggio sull’Appennino 122 L’ultimo saluto 132 Il problema della violenza 148 Il Pci 164 Il tempo passa 175 Il discorso di Adriano Sofri 192 La battaglia continua 203 L’Italicus 216 Conclusioni 228 PREFAZIONE Sulle stragi che hanno segnato la storia d’Italia repubblicana a partire da Portella della Ginestra sono state pubblicate inchieste giornalistiche, ricostruzioni di istruttorie e procedimenti giudiziari, studi sui gruppi eversivi e sulla cultura della destra radicale, storie di singoli eventi e storie d’insieme, ricerche sulla memoria. Non si sfugge tuttavia, leggendo la maggioranza di questi lavori, a un’impressione di sconforto e delusione ascrivibile non tanto al loro impianto e alle loro conclusioni quanto all’opacità di eventi che per la loro stessa natura hanno residuato labili tracce, per altro occultate con cura da chi avrebbe dovuto accertare la verità, obbligando a letture largamente indiziarie. Chi si è misurato con questa drammatica realtà, giornalisti, storici, ma anche magistrati, ha dovuto fare i conti con la sistematica azione di copertura e depistaggio – unico dato accertato senza possibilità di dubbio – messa in atto dagli apparati dello Stato. Date queste condizioni non stupisce se sul piano dell’individuazione di mandanti ed esecutori non si sia andati molto oltre la celebre invettiva di Pier Paolo Pasolini. «Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974 […]. Io so i nomi di coloro che tra una messa e l’altra hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione a vecchi generali […]. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste […]. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi». 5 Il paziente lavoro di magistrati come Gianpaolo Zorzi e Guido Salvini ha consentito di ricostruire il disegno d’insieme del piano eversivo che ha insanguinato l’Italia. La trama indiziaria si è infittita, ma con quali esiti? Se si esclude la strage di Peteano, risolta grazie all’autodenuncia di Vincenzo Vinciguerra, i tanti processi celebrati si sono risolti in un nulla di fatto. Addirittura, nel caso di piazza Fontana con la condanna dei familiari delle vittime a pagare le spese processuali. Per piazza della Loggia, l’ultimo dei procedimenti ancora aperti, un accertamento delle responsabilità appare, a decenni di distanza, quantomeno problematico. Né si può sperare di trovare un qualche «armadio della vergogna» in grado di rivelare l’identità di ispiratori, autori e complici di una strategia che ha avuto effetti gravemente distorsivi sulla vita democratica del nostro paese. Il clamoroso rinvenimento in una discarica di documenti relativi alle bombe di piazza Fontana ha confermato, se ancora ce ne fosse bisogno, l’impegno profuso nel cancellare o comunque non rendere accessibili importanti elementi di prova. Non resta, in queste condizioni, che ricostruire la sequenza dei fatti, analizzare il quadro sociale e politico in cui le stragi si inscrivono, ricostruire le dinamiche di un mondo ancora bipolare, la geografia e gli itinerari della destra radicale, le risposte che la società civile, le forze sociali e politiche hanno di volta in volta dato, il ruolo avuto dall’informazione. Non è certo casuale che alcuni dei libri che meglio aiutano a comprendere la drammatica stagione delle stragi siano studi d’insieme sulla società italiana negli anni sessanta e settanta. Ma molto resta ancora da fare sul piano di una ricostruzione puntuale del contesto in cui le stragi 6 avvennero. In merito è indispensabile che tutta la documentazione – e le relative elaborazioni – raccolta dalla “Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi”, venga informatizzata e messa a disposizione degli studiosi. Tutto ciò per favorire nuove ricerche ed acquisizioni che possono precisare il quadro nazionale e internazionale in cui gli attentati terroristici che si susseguirono in Italia a partire dal 1969 si inscrivono, e contribuire a tener vivo il ricordo, impedendo che la memoria di quegli eventi luttuosi ripieghi inesorabilmente in una dimensione individuale e privata o che si confonda, come già è avvenuto, con altri fatti di sangue di diversa matrice politica o addirittura dovuti alla criminalità comune. Per quanto riguarda la strage di Brescia si assiste oggi ad un rinnovato interesse. Un gruppo di giovani ricercatori si appresta a pubblicare uno studio sulla risposta della città e sul ruolo svolto dal sindacato in occasione dei funerali, Mimmo Franzinelli lavora a una ricostruzione d’insieme. In questo filone di studi si inscrive la ricerca di Paolo Pelizzari che focalizza l’attenzione sugli atteggiamenti della sinistra extraparlamentare nelle ore e nei giorni che seguirono l’esplosione della bomba in Piazza della Loggia. Quello che potrebbe apparire come un limite – l’avere assunto ad oggetto di studio una realtà circoscritta e per certi versi eccentrica – si rivela ad una lettura attenta come un punto di forza di questo lavoro. Consente, infatti, di allargare l’orizzonte e di leggere da una prospettiva inusuale un passaggio drammatico della storia italiana. La nuova sinistra, che aveva svolto un ruolo di punta nel disgelare le trame sottese alla strage di piazza Fontana, «giunse al maggio 1974 con un bagaglio di esperienze che le permise di schierarsi in modo perentorio e immediato», denunciando insieme le 7 responsabilità della politica governativa, le inadempienze e le complicità degli apparati dello Stato, il ruolo delle formazioni della destra eversiva, viste non come espressione residuale di frange nostalgiche, ma come strumento di una precisa strategia internazionale di attacco alla democrazia. L’analisi dei fogli e della documentazione prodotta da questi schieramenti consente di ripercorrere la reazione dei settori più radicali della società italiana di fronte all’ennesimo episodio di violenza eversiva, di leggerne la cultura, i programmi e il linguaggio, ma anche di verificare gli effetti avuti su movimenti e organizzazioni che, per quanto minoritari, costituivano in quegli anni una presenza non eludibile della vita politica e sociale del paese. La strage di Brescia, scrive Pelizzari, ha valore periodizzante. Si colloca, infatti, «in un passaggio storico cruciale sia per le trame della strategia della tensione sia per l’evoluzione politica delle formazioni della sinistra extraparlamentare». L’attentato del 28 maggio 1974 rivela responsabilità, connivenze e legami oscuri di apparati dello Stato, la straordinaria capacità di mobilitazione della società italiana in difesa della democrazia. Al tempo stesso agisce da acceleratore del processo di decantazione per la variegata costellazione dei «gruppi». Mentre la parte largamente maggioritaria di essi si avvia alla istituzionalizzazione, alcune frange estreme imboccheranno, di lì a poco, la strada della lotta armata. Forse, come è stato scritto, la grande mobilitazione civile che si registrò in quei giorni costituì l’ultimo argine per impedire una deriva dagli effetti devastanti. Le prese di posizione, le analisi e le denunce di “Lotta continua”, del “Manifesto”, di “Avanguardia operaia” restituiscono un punto di vista che fu comune alla parte più generosa della generazione 8 affacciatasi alla politica negli anni della contestazione studentesca e delle lotte operaie dell’autunno caldo. L’analisi ravvicinata di questi materiali rivela specificità e limiti di una cultura politica – la critica intransigente dei partiti maggiori, il rigido classismo, la demistificazione di un uso retorico dell’antifascismo, l’impegno militante – ma anche le semplificazioni, le forzature, alcuni pericolosi slittamenti che inducevano a legittimare e a tratti ad esaltare l’azione diretta e la risposta violenta. Giustamente Pelizzari ritiene che l’«estrema durezza» delle posizioni assunte dai gruppi della nuova sinistra vada «inserita in quel complesso momento della storia repubblicana in cui il paese era sottoposto a forti tensioni che avevano prodotto una generale e pervasiva percezione di insicurezza». Va per altro distinta nettamente l’asprezza dei toni e la radicalità delle proposte, che erano frutto di una situazione d’eccezione, dalla violenza agita: una soglia che non venne allora quasi mai superata. Nei giorni del dolore e dell’ira, per altro, «la tendenza istintiva a reagire contrapponendo violenza a violenza non fu una prerogativa esclusiva della sinistra rivoluzionaria ma coinvolse anche una parte non trascurabile della cittadinanza scesa nelle piazze a protestare». Al di là di esasperazioni ed eccessi, che è giusto evidenziare, ma che rimandano a ben più gravi responsabilità, al di là degli schematismi ideologici e di un lessico che appare oggi fortemente datato, a tratti truculento, resta la capacità di cogliere le connessioni tra episodi anche lontani che vengono interpretatati come parte di un preciso progetto eversivo, la denuncia intransigente delle responsabilità e delle connivenze che legavano apparati dello stato, servizi segreti, settori del mondo 9 economico e formazioni della destra radicale; il contributo dato alla mobilitazione collettiva che costituì un ostacolo decisivo al successo della strategia della tensione. Sarebbe però sbagliato e fuorviante limitarsi a una lettura meramente ideologica delle analisi e delle denunce dei fogli e degli altri materiali della nuova sinistra, focalizzare l’attenzione su forme espressive e parole d’ordine, non cogliendo l’emotività, lo sgomento, la rabbia che quelle prese di posizione esprimevano, il ribollire di sentimenti e di passioni che agitarono le assemblee nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, che furono patrimonio condiviso di militanti e cittadini, ben oltre i confini della sinistra storica e nuova, degli stessi sindacati, trovando espressione nella straordinaria partecipazione popolare ai funerali. Basterebbe, per rendersene conto, rileggere gli articoli pubblicati in quei giorni da giornali lontanissimi dalla sinistra o prese di posizione di esponenti della stessa Democrazia cristiana. In quelle dichiarazioni perentorie, nelle esasperazioni verbali, persino nelle letture manichee, è possibile cogliere in presa diretta la domanda di giustizia, di trasparenza e di rigore che allora si levò da una larga parte del paese, la critica aspra ai ritardi, alle inadempienze, alle complicità delle istituzioni e dei partiti, ma anche la difesa della democrazia. La ricerca di Pelizzari sconta la difficoltà di misurarsi con un quadro sociale e politico lontanissimo da quello attuale, difficoltà che spiega alcune disomogeneità di giudizio, una non sempre adeguata attenzione alle differenze esistenti tra le diverse formazioni dell’estrema sinistra. Ha però il merito di focalizzare l’attenzione su protagonisti di una vicenda collettiva che più di altri si sforzarono di andare oltre l’indignazione per capire come 10 quella strage avesse potuto accadere e a quale disegno rispondesse; che seppero dar voce al sentire di grandi masse di cittadini. I titoli, le cronache e le corrispondenze pubblicate dai giornali della sinistra extraparlamentare guardano esclusivamente alle componenti più radicali della mobilitazione che riempì tante piazze, fornendo un’immagine unilaterale dell’Italia di quei giorni; interpretano la straordinaria partecipazione, la collera e la commozione popolare come segno di una svolta in atto, di una ormai prossima «resa dei conti» con la destra eversiva. Le cose, come oggi sappiamo, andarono diversamente. Questi fogli restituiscono nondimeno, come pochi altri, il clima di un paese in fermento, il protagonismo operaio e sindacale che fu, non solo a Brescia, parte essenziale della risposta che l’Italia democratica mise in campo contro la strategia della tensione. Riferimento obbligato e, insieme, terreno di aspra contesa, in un frangente tanto drammatico, fu l’antifascismo. «Il paradigma resistenziale venne sposato – scrive Pelizzari – come ideale-mito a cui ispirarsi per rilanciare una controffensiva dalla stragrande maggioranza dei partiti politici e dagli organi istituzionali, oltre che da una fetta molto consistente di opinione pubblica e di cittadinanza non direttamente impegnata sul piano politico». Fortemente critici nei confronti di un antifascismo unanimistico e istituzionale, degli impacci e del moderatismo della sinistra storica, i gruppi della sinistra extraparlamentare gli contrapposero un impegno militante che chiedeva precise discriminanti e rifiutava deleghe ad istituzioni che si erano dimostrate incapaci o addirittura colluse. Di qui l’impegno profuso nel promuovere la partecipazione, intesa come presa di parola collettiva, come strumento di pressione e di controllo dal basso. 11 Le piazze e le strade di Brescia ricolme di popolo, l’occupazione della città da parte degli operai, il servizio d’ordine organizzato dai consigli di fabbrica diventarono per i suoi militanti il paradigma di una mobilitazione in cui la «fedeltà agli ideali democratici e antifascisti» costituiva la stella polare, la garanzia che i «disegni reazionari» ed eversivi sarebbero stati respinti. Nelle denunce e nelle richieste della “nuova sinistra”, nei titoli concitati dei sui fogli e dei suoi volantini i lettori di oggi possono ritrovare le passioni, le tensioni e i furori di una stagione lontana eppure non eludibile della nostra storia, la domanda, rimasta senza risposta, di un paese diverso, lo stesso per cui manifestavano le donne e gli uomini che in una piovosa mattina di primavera del 1974 persero la vita in piazza della Loggia. Gianfranco Porta Brescia, settembre 2006 12 Paese di terra, terra di cani, Paese di terra e di polvere, Paese di pecore e pescecani e fuoco sotto la cenere. Dentro le stanze del Potere l’Autorità, va a tavola con l’Anarchia; mentre il ritratto della Verità si sta squagliando e la vernice va via. E il pubblico spera che tutto ritorni com’era e che sia solo un fatto di tecnologia, e sotto gli occhi della Fraternità la Libertà con un chiodo tortura la Democrazia. […] C’è un segno di gesso per terra, e la gente che sta a guardare; qualcuno che accusa qualcuno, però l’ha visto solamente passare. E nessuno ricorda la faccia del boia, è un ricordo spiacevole. E resta soltanto quel segno di gesso per terra, però non c’è nessun colpevole 1 . Francesco De Gregori Introduzione Anche se le tematiche della strategia della tensione e dello stragismo sono state trattate da una bibliografia ormai molto vasta, dal punto di vista storiografico si stenta ancora ad affrontare con la dovuta profondità questi problemi. Se, da una parte, la mancanza di studi è riconducibile ad un’effettiva difficoltà di reperibilità delle fonti, particolarmente accentuata 1 F. De Gregori, Tempo reale, in «Pezzi», Caravan-Sony-Columbia, 2005. Il ‘cantautore della memoria’ ha significativamente aperto con questa canzone il suo concerto tenuto in piazza Loggia il 10-09-2005. 13 nel nostro paese, sembra che le reali ragioni di questo disinteresse siano altrove. Per esempio, nella particolare delicatezza di un intreccio storico all’interno del quale tendevano a sfumare i confini tra istituzioni, servizi – interni e internazionali – e gruppi eversivi. Studiare questo argomento significa dunque camminare su un terreno minato. Le maggiori ricostruzioni storiche dell’Italia repubblicana dedicano al soggetto poche pagine fornendo un’interpretazione piuttosto stereotipata. Se le difficoltà di studio di quel travagliato periodo storico possono essere ben comprese, risulta più difficile credere che un paese come l’Italia possa riuscire a fornire alle future generazioni un nuovo senso civico, un rinnovato spirito di partecipazione politico, senza fare i conti con il proprio passato. Per far sì che le istituzioni di una nazione democratica e moderna possano crescere in modo sano, riacquisendo la fiducia dei cittadini, diventa allora necessaria una riconciliazione col proprio passato. Dal punto di vista storiografico ciò significa abbandonare un’interpretazione canonica dei fatti, che è anche assai poco problematica, per impugnare un nuovo approccio – o meglio, una nuova serie di approcci – che possa ridonare la legittima complessità a quella cruciale fase politica. La strage di piazza Loggia si presenta come un evento attraverso il quale quella storia può essere disaggregata e meglio compresa. Essa è infatti un episodio chiave per fare maggiore chiarezza su quel delicato momento della vita repubblicana che ha visto la conclusione del periodo propriamente definito della strategia della tensione, in cui l’estremismo di destra – com’è stato ormai ampiamente accertato – era una pedina fondamentale del piano eversivo messosi in moto nel tentativo di bloccare lo spostamento verso sinistra del paese. È proprio nel 1974 che l’insieme delle forze che convergeva su tale obiettivo – e che si contrapponeva al confronto diretto tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista – subì 14 una battuta d’arresto. La strage del 28 maggio può allora essere vista come il culmine della strategia della tensione, il momento in cui almeno una parte delle forze in gioco uscirono allo scoperto arenandosi però contro la caparbietà della risposta antifascista. A Brescia, era dalla fine degli anni sessanta che si respirava un forte clima di apprensione causato dalle numerosissime violenze organizzate dai gruppi neofascisti. La situazione era particolarmente difficile anche perché a fianco di un cospicuo arricchimento industriale si manteneva una notevole arretratezza culturale e i ‘padroni del tondino’ rivolgevano sempre più le loro simpatie alla destra estrema. Inoltre, non bisogna dimenticare che nel bresciano era ancora viva la memoria della Repubblica di Salò. Qui i gruppi della destra radicale, sopra tutti Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, avevano una consistente presenza e contribuirono a radicalizzare la lotta politica per espletare la quale l’utilizzo della violenza diventava la normale prassi. Con il ’67-’68, si acuì lo scontro tra classe operaia e mondo padronale. Brescia conobbe una stagione di lotta molto intensa e gli operai – accompagnati da un’organizzazione sindacale che allargava sempre di più la sua influenza – riuscirono a dare visibilità alle loro richieste. È in questo contesto che venne organizzata la strage di piazza Loggia. La particolare politicità di quell’attentato portò definitivamente alla luce le linee guida del progetto eversivo e mise in evidenza una fitta trama di complicità che non è stata ancora completamente chiarita. In questo quadro, uno studio che prenda in considerazione l’interpretazione di un insieme così fortemente caratterizzato politicamente come quello della sinistra extraparlamentare – nato e cresciuto proprio in stretto rapporto con le rivendicazioni operaie – può essere visto come un modesto tentativo di 15 rendere più articolata la comprensione storica di quegli anni 2 . Infatti, la strage di Brescia si colloca in un passaggio storico cruciale sia per le trame della strategia della tensione sia per l’evoluzione politica delle formazioni della sinistra extraparlamentare. Mentre, proprio in quei mesi, vi fu un’inversione di tendenza nell’immissione di violenza politica nella società italiana – dalla fase del terrorismo nero si passò infatti a quella del terrorismo rosso –, i gruppi rivoluzionari attraversarono il momento finale del loro declino movimentista che, da una parte, portò la loro maggioranza verso l’istituzionalizzazione e la politica in senso stretto e, dall’altra, condusse una piccola componente ultraradicale di questo ambiente nelle file del terrorismo di sinistra. Queste due linee problematiche si intersecano in un punto che coincide con il periodo segnato dall’attentato di piazza Loggia. Ciò non può essere sottovalutato qualora si voglia cercare di fare maggiore chiarezza sulle dinamiche che condizionarono l’utilizzo di violenza politica nel nostro paese. La sinistra extraparlamentare – attraverso l’avventura sessantottesca e il passaggio fondamentale della bomba di piazza Fontana – giunse al maggio del 1974 con un bagaglio di esperienze che le permise di schierarsi in modo perentorio e immediato, grazie ad una efficace opera di controinformazione, contro la logica della segretezza del potere. Questo importante e vasto settore politico è stato preso in considerazione da vari studi che si limitano tuttavia, nella maggior parte dei casi, ad un’analisi della genesi e dell’evoluzione dei gruppi. Mancano ricerche che utilizzino 2 Nelle pagine seguenti, riferendosi ai principali soggetti considerati dalla ricerca, vengono utilizzati in modo intercambiabile gli aggettivi extraparlamentare/i e rivoluzionari/ie/io/ia, anche se le due forme hanno una valenza ideologica ben diversa. Non è infatti questa la sede per un’analisi che individui le preferenze di definizione interne a questo settore politico. 16 il punto di vista delle formazioni della sinistra radicale come lente attraverso cui interpretare la complessa evoluzione dei fatti succedutisi negli anni della loro attività. Nella critica congiuntura di mutamenti socio-economici in cui si colloca la strage di Brescia, la lettura degli avvenimenti effettuata dai fogli della sinistra extraparlamentare risulta particolarmente illuminante e aiuta a comprendere l’estensione della realtà eversiva che era stata riconfermata con irruenza dalla bomba del 28 maggio. La sinistra rivoluzionaria si sentì coinvolta in prima persona dall’attentato, come uno dei bersagli delle trame neofasciste, e reagì impetuosamente facendosi portavoce delle masse antifasciste scese in piazza durante quella tragica giornata, contribuendo – tra l’altro – ad innescare una parziale inversione di tendenza nell’informazione sul fenomeno neofascista, fino a quel momento poco considerato dai media. Il materiale prodotto da questo ambiente politico mette in primo piano una serie di elementi che conferisce un valore periodizzante alla strage bresciana. E lo fa – per contrasto – illuminando il modus operandi di quel complesso insieme di forze che si contrappose all’antifascismo democratico. L’elevato significato politico della strage di Brescia si disvela tramite l’osservazione della risposta popolare al piano reazionario messo in moto da tali forze, la quale andò ben oltre la retorica delle istituzioni repubblicane e coinvolse direttamente i cittadini che si ribellarono riproponendo, tramite consigli e comitati unitari antifascisti di quartiere, un antifascismo in odore di guerra civile, pronto a rispondere con la violenza alla violenza. Le argomentazioni sviluppate dalla documentazione presa in esame gravitano attorno a tematiche determinanti della storia nazionale – come il nesso potere-politica-violenza, il problema della democrazia bloccata, le 17 carenze della borghesia italiana, il processo di secolarizzazione e laicizzazione della società, il ruolo degli organi d’informazione di massa – che ridanno a quel drammatico evento molte delle sue variegate sfumature. Il tema principale è però rappresentato dal riferimento all’antifascismo e alla Resistenza. Nei giorni successivi all’eccidio bresciano, all’antifascismo ufficiale – piegato alle esigenze commemorative delle manifestazioni istituzionali – si affiancò e si contrappose un antifascismo dal basso, teso a contrastare le dinamiche della strategia della tensione e a richiedere sicurezza e verità. Il richiamo della sinistra extraparlamentare al legame ideale tra la mobilitazione antifascista innescata dall’attentato bresciano e la Resistenza presupponeva proprio l’impegno diretto della popolazione e si differenziava dall’antifascismo governativo, utilizzato in chiave di rilegittimazione delle istituzioni repubblicane. Per i gruppi della sinistra extraparlamentare, bisognava lottare per mettere fuori legge il Movimento sociale italiano e per epurare il sistema di potere costruito dalla Democrazia cristiana, la quale costituiva l’elemento portante dell’intero progetto reazionario ed era quindi parte integrante del ‘nuovo fascismo’ a cui bisognava opporsi. L’intreccio delle tematiche costantemente affrontate dal materiale analizzato evidenzia che la strage di piazza Loggia ha inciso in profondità il tessuto democratico italiano, portando definitivamente in superficie l’esistenza di ‘zone oscure’ all’interno dello Stato; ma sottolinea anche un salto di qualità nella mobilitazione dal basso che non ha eguali nella storia repubblicana. Elaborate grazie allo sfoglio dei più importanti giornali della sinistra extraparlamentare attivi in quel momento – i quotidiani “Lotta continua” e “Il Manifesto” e il settimanale “Avanguardia operaia” – e all’analisi delle carte custodite nel Fondo documentario della Fondazione ‘Clementina 18 Calzari Trebeschi’ e nel ‘Fondo Piazza Loggia’ dell’Archivio Storico Centro di Documentazione ‘Bigio Savoldi - Livia Bottardi Milani’ della Camera del Lavoro di Brescia, le pagine che seguono tenteranno di ricostruire le varie modalità tramite cui si è espressa la reazione popolare alla strage neofascista di Brescia, provando a non rimanere prigioniere degli schematismi ideologici della lente utilizzata – che tuttavia verranno costantemente alla luce – ma ad offrire invece l’istantanea di un coinvolgimento che trascendeva spesso il piano politico per coinvolgere quello più sentitamente umano. Attraverso l’osservazione del comportamento dei gruppi della sinistra rivoluzionaria in quelle giornate, si cercherà inoltre di esprimere un giudizio sul loro grado di maturità politica e sulle loro responsabilità nei confronti dell’elevato tasso di aggressività allora presente nella società italiana. Il contenuto della ricerca si dipana con un andamento che è perlopiù cronologico, anche se alcuni capitoli vengono proposti con un taglio maggiormente tematico. Nella prima parte del lavoro, dopo un’introduzione sulle formazioni politiche considerate e sull’esasperata situazione di violenza che caratterizzava il Bresciano nel periodo precedente alla strage, vengono esaminati i giorni immediatamente successivi all’esplosione della bomba, quando l’attenzione dei media è più decisamente concentrata sulle dinamiche dell’attentato. A partire dal capitolo intitolato ‘Il tempo passa’ viene invece analizzata la fase susseguente al primo giugno, quando le notizie concernenti la strage perdono le prime pagine, ma continuano ad essere riproposte con una certa frequenza. Dopo aver preso in considerazione giornali e documenti prodotti sino alla fine di giugno, la ricerca dedica un ultimo capitolo ad alcune riflessioni sulla strage dell’Italicus, dell’agosto seguente, quando i riferimenti alla bomba di Brescia tornano a farsi insistenti. 19 La realizzazione di questo studio – che vuole essere il primo passo di una ricerca più articolata e insieme organica – è stata possibile grazie all’appoggio e alla disponibilità di Manlio Milani e della Casa della Memoria di Brescia. Un aiuto non indifferente mi è stato offerto dai consigli del professor Gianfranco Porta e dal supporto di Bianca Bardini, Stefania Noventa e Filippo Iannaci. Sono inoltre debitore nei confronti dell’ospitalità offertami dalla Fondazione ‘Clementina Calzari Trebeschi’, dall’Archivio Storico Centro di Documentazione ‘Bigio Savoldi - Livia Bottardi Milani’ dalla Camera del Lavoro di Brescia, dalla Fondazione Luigi Micheletti e dall’Archivio storico “Il Sessantotto” di Firenze. Si ringraziano infine Renato Corsini e Pietro Gino Barbieri per le fotografie gentilmente concesse. Brescia, 28 maggio 1974 (Foto di Pietro Gino Barbieri) 20 Il periodo precedente La strage di piazza Loggia si inserisce in un momento particolarmente delicato della nostra storia, comprensibile appieno solo se si tengono in considerazione le frizioni politiche e sociali che caratterizzarono il ‘lungo Sessantotto italiano’ e che oltrepassarono il punto di non ritorno nel dicembre del 1969, con l’esplosione della bomba di piazza Fontana 3 . Formatisi in seno alla contestazione sessantottesca – sfruttando le possibilità offerte dal conflitto industriale, divampato nel momento in cui il movimento studentesco entrava in crisi –, i gruppi della sinistra extraparlamentare dimostrarono proprio in quella tragica circostanza tutto il loro vigore politico 4 . Essi si schierarono da subito sia contro la brutalità di quel gesto, sia contro la teoria degli ‘opposti estremismi’ ventilata dall’ambiente governativo e dai mezzi di comunicazione di massa, sostenendo – a ragione – che la bomba alla Banca Nazionale 3 Per una ricostruzione delle vicende legate a quest’attentato cfr. G. Boatti, Piazza Fontana, Einaudi, Torino, 1999 (nuova edizione). 4 Non è un caso che – come si vedrà –, nel commentare l’attentato di piazza della Loggia, i fogli di questi gruppi ricorreranno sovente al paragone con la bomba del 12 dicembre 1969. Parlando di questo evento, Piero Ignazi ha sostenuto che «è dal comportamento degli apparati di sicurezza, dai carabinieri ai militari, dalla polizia ai servizi segreti – tutti protetti dal potere democristiano – che nasce la rottura insanabile con il sistema da parte della generazione in rivolta». P. Ignazi, Gli anni Settanta e la memoria monca, «Il Mulino», 2/2005, p. 389. Lo studioso ha inoltre ricordato che già Norberto Bobbio sostenne che «la degenerazione del nostro sistema democratico è incominciata lì». N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, «Rivista Italiana di Scienza Politica», 2/1980, pp. 181-203. Si veda il saggio di Ignazi per una illuminante riflessione sulla violenza politica di quegli anni, che sottolinea le rimozioni e «i cortocircuiti logici e mnemonici, che improvvisamente colpiscono parti cospicue della classe dirigente insediata nelle istituzioni e nei circoli intellettuali e mediatici» (p. 386). 21 dell’Agricoltura – ma anche l’arresto e la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli – facesse parte di un piano studiato per mettere in cattiva luce la sinistra rivoluzionaria e frenare il dinamismo politico acquisito negli ultimi anni dalla classe operaia 5 . Queste formazioni – nate sulle ali di un forte ottimismo, non condiviso dalle forze tradizionali della sinistra, sui possibili sviluppi della contestazione studentesca e operaia e sull’imminenza della rivoluzione, e contraddistinte da un marcato settarismo ideologico – indicarono subito i neofascisti come esecutori della strage, facendo però 5 La strage di piazza Fontana rappresentò un momento di rottura nel mondo dell’informazione: è infatti da quel momento che prese piede il fenomeno della ‘controinformazione’, ovvero il giornalismo che non si accontenta di fornire notizie basate sulle ‘fonti ufficiali’. Questo tipo di innovazione deve molto ai giornali di estrema sinistra, anche se il fenomeno coinvolse – in diversa misura – tutto il mondo del giornalismo italiano. Cfr. T. Maiolo, Giornalista detective, in Autunno operaio, in «Il bimestrale», supplemento de “Il Manifesto”, dicembre 1989, pp. 92 sgg. L’intensa opera di controinformazione messa in atto come reazione alla strage di piazza Fontana permise inoltre ai gruppi rivoluzionari di acquisire maggiore visibilità e di guadagnare nuovi simpatizzanti al di fuori della loro base abituale. Secondo Giovanni De Luna, il panorama politico in cui si inseriva la strage di piazza Loggia era stato profondamente innovato dall’attivismo della sinistra extraparlamentare – oltre che dalla più ampia azione dei movimenti legati al Sessantotto – che, reagendo alla ‘strage di Stato’, aveva compiuto una battaglia contro la logica della segretezza. Era in quel contesto che la bomba di Brescia «manifestò con chiarezza inequivocabile che l’obiettivo era quello di ingenerare passività, rassegnazione, subalternità dove erano maturati curiosità, partecipazione, protagonismo». Per quanto concerne il valore della controinformazione avviata nel ‘69 dai fogli della sinistra radicale, lo storico compie la seguente riflessione: «Perché la sinistra extraparlamentare fu più efficace nella sua campagna rispetto alla sinistra tradizionale? Non è che fosse più attrezzata nella controinformazione, gli apparati di controinformazione che aveva il Pci erano certamente superiori, ma la sinistra extraparlamentare era illuminata dalla consapevolezza che il segreto è la negazione della politica, espropria i cittadini della possibilità di far politica». G. De Luna, Il segno delle stragi nell’Italia di oggi. La logica della separatezza, il mestiere dello storico, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, Brescia, Grafo, 1994, entrambe a p. 134. 22 attenzione a precisare che questi erano soltanto il braccio armato di una complessa strategia messa appunto da estesi settori politici ed economici, che coinvolgeva alleanze internazionali e complicità dei servizi segreti 6 . 6 È necessario ricordare che, sempre in sede storiografica, e a maggior ragione quando si trattino tematiche relative alla strategia della tensione – e, in generale, concernenti il fenomeno della violenza politica –, la semplificazione e l’utilizzo di facili formule non giova alla comprensione dei fatti. Se le modalità di una narrazione scorrevole consigliano tuttavia l’utilizzo di una terminologia snellita attorno alla quale non è sempre possibile dilungarsi in approfondite analisi filologiche, è bene insistere sul fatto che per capire i fenomeni di violenza politica – e dunque provare a prevenirli – è indispensabile condurre una riflessione che abbandoni facili categorie omnicomprensive e contestualizzi invece i singoli filoni di violenza in un quadro il più possibile articolato che consideri gli assetti del panorama internazionale e, soprattutto, le peculiarità della nostra storia nazionale. Già a sei anni dalla strage di Brescia, Guido Quazza ricordava che, «poiché è impossibile negare, se non si è privi di comprendonio oppure in piena malafede, che nella storia dell’umanità la violenza s’annida dovunque ed è perennemente presente, il primo compito serio di chi vuol capire e far capire è di analizzare la violenza nella vastissima gamma dei suoi aspetti e delle sue provenienze e non alla luce d’una povera ottica tutta immersa nel presente e non rivolta anche al passato, tutta volta a considerare l’albero e non anche la foresta, tutta svuotata della plurimillenaria meditazione che l’uomo ha condotto su di essa». Id., Presentazione a Fondazione Clementina Calzari Trebeschi (a cura di), Risposte a una lettera. Riflessioni di uomini di cultura su strage e processo di Piazza Loggia, Brescia, FCCT, 1980, p. 14. Per uno studio che inserisce le trame della destra estrema nel più ampio panorama della strategia della tensione, cfr. F. Ferraresi, Minacce alla democrazia. La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra, Milano, Feltrinelli, 1995. Ma cfr. anche Id., La destra eversiva, in Id. (a cura di), La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984, pp. 71 sgg. Una storia dell’Italia repubblicana particolarmente concentrata sui contorni di tale strategia è A Silj, Malpaese. Criminalità, corruzione e politica nell’Italia della prima Repubblica 19431994, Roma, Donzelli, 1994. Per un utile testo che analizza le trame sotterrane tramite cui è stato osteggiato l’antifascismo italiano, inteso come movimento politico, inserendole in un più ampio ragionamento sulla storia del potere dello stato unitario, cfr. F. M. Biscione, Il sommerso della repubblica. La democrazia italiana e la crisi dell’antifascismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2003. Oltre ad essere un approfondito 23 La sinistra extraparlamentare aveva dunque alle sue spalle questa significativa esperienza, che condizionò tutta la sua attività. I gruppi considerati in questa ricerca erano però dotati di caratteristiche diverse. Lotta Continua era sicuramente il più radicale. Per l’organizzazione, che era quella con il maggiore numero di militanti, la violenza – anche se solo la violenza di massa – era un male necessario. Mentre le altre due formazioni tendevano a muoversi con maggiore prudenza, cercando di impedire ai propri sostenitori di fornire pretesti ai neofascisti per attaccare e allo Stato per reprimere, Lotta Continua manteneva un atteggiamento particolarmente agguerrito e un approccio concettuale spontaneista. Il gruppo puntava alla ‘socializzazione della lotta di classe’, voleva cioè radicare la propria presenza non solo nella fabbrica ma anche nei quartieri e in altri settori della società. Esso si distinse infatti per le sue campagne di antifascismo militante e per le sue iniziative in settori dello Stato tendenzialmente isolati, come l’esercito e le carceri. Il suo foglio, quotidiano dal ’72, utilizzava un linguaggio semplice ed immediato col quale intendeva raggiungere un vasto numero di lavoratori – ai quali concedeva non di rado la parola – ma utilizzava spesso la provocazione a discapito dell’accuratezza dell’analisi politica e del dibattito teorico. Il Manifesto nasceva invece da una costola del Pci – si può dire che strumento che aiuta ad orientarsi nella vasta bibliografia sull’argomento, lo studio descrive le varie sfaccettature della democrazia bloccata in Italia – contraddistinta dall’abituale estraneità della borghesia ai problemi dello stato e dalla sua strutturazione corporativa che ha impedito la formazione di un’omogenea classe dirigente – partendo dall’importante chiave interpretativa di Franco De Felice del doppio stato che individua come nodo problematico della storia repubblicana il reciproco condizionamento tra Costituzione, che legittimava anche il Pci, e la lealtà all’alleanza atlantica, che entrava in contraddizione con il fatto che in Italia il maggior partito d’opposizione fosse proprio quel partito. 24 affondasse le sue radici nell’opposizione condotta dagli ingraiani all’XI congresso del Pci, del ’66 – e venne perciò frequentemente accusato di essere troppo vicino alle posizioni di quel partito e di non voler prendere, strategicamente, una posizione chiara nei confronti della politica attuata dall’Urss. La rivista era stata progettata da un gruppo di militanti non più giovanissimi, con l’ambizioso obiettivo di costituire un legame tra la sinistra storica e quella rivoluzionaria. Nel 1971 si era trasformata nel primo quotidiano della sinistra extraparlamentare 7 . Il giornale – unico ad essere sopravvissuto, e con un certo prestigio, fino ai nostri giorni – poneva maggiore attenzione, rispetto al foglio del gruppo precedente, all’elaborazione teorica dei concetti che proponeva e si rivolgeva ad un pubblico che non era limitato ai militanti dei movimenti rivoluzionari. Infine, Avanguardia Operaia era l’organizzazione extraparlamentare che aveva nelle sue fila il maggior numero di lavoratori ed era più profondamente radicata nella realtà della fabbrica – grazie anche allo stretto contatto mantenuto con i Comitati Unitari di Base (Cub) – e si contraddistingueva per la sua insistente attenzione al dibattito teorico. Il gruppo criticava lo spontaneismo e l’avventurismo delle formazioni extraparlamentari più radicali, soprattutto quando sfociavano in atteggiamenti favorevoli alla lotta armata, e non accettava che formule di empirismo e di volontarismo venissero utilizzate a prescindere da un necessario riferimento al materialismo dialettico e all’elaborazione teorica del movimento operaio. L’organo di stampa omonimo preso in 7 Anche se continuò a mantenere le sue caratteristiche di ‘organizzazione di movimento’, i connotati del gruppo assunsero ben presto una più marcata conformazione politica. Già nel primo numero del quotidiano – del 28 aprile 1971 –, un intervento di Luigi Pintor aveva annunciato la costituzione de Il Manifesto come ‘gruppo politico’. 25 considerazione – settimanale dal ’72 – offriva contributi teorici spesso ridondanti ma molto ragionati e non di rado anche autocritici, dai quali traspariva una concezione rivoluzionaria intesa come processo dialettico e perciò discontinuo. I suoi interventi erano molto attenti, da una parte, alla realtà internazionale e, dall’altra, a ricercare le radici dei problemi italiani nel percorso storico della nazione 8 . 8 Per quanto concerne la nascita e lo sviluppo dei gruppi della sinistra extraparlamentare italiana, cfr. E. Petricola, I diritti degli esclusi nelle lotte degli anni Settanta. Lotta Continua, Roma, Edizioni Associate, 2002; L. Bobbio, Lotta continua, Milano, Feltrinelli, 1988; A. Grazia, Da Natta a Natta. Storia del Manifesto e del Pdup, Bari, Dedalo, 1985; C. Vallauri, I gruppi extraparlamentari di sinistra: genesi e organizzazione, Bulzoni, Roma, 1976; M. Maffi, Le origini della sinistra extraparlamentare, Milano, Mondatori, 1976; D. Degli Incerti (a cura di), La sinistra rivoluzionaria in Italia, Roma, Savelli, 1977. Ma cfr. anche R. Niccolai, Quando la Cina era vicina. La rivoluzione culturale e la sinistra extraparlamentare italiana negli anni ’60 e ’70, Bis-Cdp, Pisa-Pistoia, 1998; N. Balestrini, P. Moroni, L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli, 2003. Per una ricostruzione delle vicende della sinistra extraparlamentare sensibile agli aspetti mediatici cfr. G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli, 2003, pp. 363 sgg. Per una maggiormente attenta a contestualizzare quell’esperienza all’interno dei mutamenti che stava subendo la società italiana, cfr. P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Torino, Einaudi, 1989, pp. 419 sgg. Infine, per una trattazione più estesa degli aspetti culturali e politici che contribuirono alla maturazione della ‘nuova sinistra’, cfr. F. Billi (a cura di), Gli anni della rivolta (1960-1980): prima, durante e dopo il '68, Milano, Punto Rosso, 2001; C. Adagio, R. Cerrato, S. Urso (a cura di), Il lungo decennio. L’Italia prima del 68, Verona, Cierre, 1999; M. Grispigni, P. Ghione (a cura di), Giovani prima della rivolta, Roma, Manifestolibri, 1998; A. Mangano, A. Schina, Le culture del Sessantotto. Gli anni sessanta, le riviste, il movimento (nuova edizione ampliata a cura di G. Lima), Bolsena-Pistoia, Massari-CDP, 1998; A. Mangano, Le riviste degli anni Settanta. Gruppi, movimenti e conflitti sociali (a cura di G. Lima), Bolsena-Pistoia, MassariCDP, 1998. 26 Le differenze riscontrabili tra le varie formazioni – che verranno alla luce durante la narrazione – vanno però qui intese come delle sfumature – anche importanti, ma sempre sfumature – all’interno di un medesimo quadro contraddistinto da posizioni fortemente ideologizzate, che tendevano a convergere e a sovrapporsi nei momenti di tensione9 . Nel ristretto arco temporale in cui questi fogli vengono presi in considerazione e, soprattutto, in riferimento all’argomento analizzato, le differenze più sostanziali tendono a svanire. Si può ben capire come in quel momento di violenza esasperata anche i gruppi in questione fossero portati a radicalizzare ulteriormente le proprie posizioni. Il livello incredibilmente alto di violenza politica immessa nella società italiana dall’estremismo di destra – è bene insistere su quest’aspetto che spesso viene messo, a torto, in secondo piano quando si parla della storia italiana degli anni ’60 e ’70 – è infatti il dato dal quale è necessario partire per comprendere il comportamento della sinistra rivoluzionaria. Tuttavia, nonostante queste premesse, non può non colpire la durezza dei toni utilizzati e la pericolosa ambiguità tenuta dalle formazioni considerate nei confronti dell’utilizzo delle risposte violente. Per tale motivo, oltre a mettere in evidenza la loro percezione della forte mobilitazione di base provocata dalla bomba bresciana, questo studio osserverà con particolare cura il loro atteggiamento cercando di fornire un giudizio sul loro contributo e sulla consistenza della loro attitudine politica durante quelle giornate. L’osservazione critica del punto di vista della 9 Per un importante contributo sul rapporto tra violenza e democrazia in riferimento all’azione della sinistra extraparlamentare, cfr. S. Tarrow, Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia. 1965-1975, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 197 sgg. Ma vedi anche D. Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia 1960-1995, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 70-90. 27 sinistra extraparlamentare rispetto a quegli avvenimenti potrà allora forse fornire nuovi spunti di riflessione sulla memoria della strage – e, in generale, sulle molteplici forme che può assumere la memoria storica, oltre che sul ruolo fondamentale giocato dai mezzi di comunicazione di massa nel darle una conformazione 10 . Quando esplose la bomba di Brescia erano trascorsi più di quattro anni dalla strage di piazza Fontana durante i quali le provocazioni reazionarie non erano per nulla andate diminuendo11 . I gruppi della sinistra rivoluzionaria avevano osservato con attenzione l’escalation delle trama eversiva che coinvolgeva tutta la penisola, e che aveva nel bresciano un rilevante nodo strategico, ed intervennero con rinnovata decisione, ingaggiando un’aperta battaglia ideologica contro i terroristi e le loro coperture. Nel periodo immediatamente precedente l’attentato di piazza Loggia, a Brescia si respirava un’atmosfera di forte tensione a causa delle ripetute violenze messe in atto dai gruppi della destra radicale. Di questi ultimi, il meglio organizzato della città era quello delle Sam – le Squadre d’Azione Mussolini – che di Brescia aveva fatto il suo retroterra per 10 Per un’articolata analisi che prende in considerazione la dimensione mutevole e sfuggente della memoria collettiva, pubblica e privata dell’attentato bresciano, cfr. G. Porta, La memoria difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., pp. 35-61. La trattazione di tali questioni non può prescindere dalle illuminanti riflessioni elaborate da Nicola Gallerano. Cfr. Id., Le verità della storia. Scritti sull’uso pubblico del passato, (con introduzione di T. Detti e M. Flores), Roma, Manifestolibri, 1999; Id. (a cura di), L’uso pubblico della storia, Milano, Franco Angeli, 1995. 11 Dal 1969 al 1973 la violenza di destra fu pari al 95% del totale della violenza politica immessa nella società italiana. Cfr. D. Della Porta, M. Rossi, Cifre crudeli. Bilancio dei terrorismi italiani, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 25. Cfr. anche P. Ignazi, Postfascisti? Dal Movimento sociale italiano ad Alleanza nazionale, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 48. 28 organizzare attentati in tutta la Lombardia. Le Sam partivano proprio da qui per le loro ‘spedizioni punitive’ contro i lavoratori milanesi; il gruppo poteva inoltre contare su una rete di contatti con innumerevoli altre formazioni reazionarie: gli arresti dei mesi precedenti non lasciavano dubbi. Il 9 marzo, per esempio, era stato fermato in Valcamonica Kim Borromeo, legato a Carlo Fumagalli, il fondatore del Movimento di azione rivoluzionaria che aveva organizzato una serie di attentati in Valtellina ed era molto attivo anche in Versilia 12 . Borromeo aveva compiuto numerose aggressioni, come quella del dicembre del 1972 contro un membro di Lotta Continua, e aveva partecipato all’attentato del febbraio ‘73 alla sede del Psi di Brescia 13 . 12 Con Borromeo venne arrestato anche Giorgio Spedini, già appartenente ad Avanguardia nazionale e alla Giovane Italia. Su un volantino stampato dalla segreteria Provinciale della Lega marxista-leninista (Lotta di Classe) poche ore dopo l’esplosione della bomba in piazza Loggia si può leggere: «Ancora una volta gli assassini fascisti, figli e nipoti dei relitti della Repubblica Sociale Italiana, hanno seminato la morte durante una manifestazione popolare antifascista. Con questa ignobile strage i fascisti cercano di fermare quell’azione che, con l’arresto di Carlo Fumagalli (capo del famigerato MAR) e di altri ventidue suoi camerati, poteva condurre ad un parziale smascheramento delle bande nere armate operanti in Lombardia e in Nord-Italia». Basta con i fascisti assassini, 28-05-1974. Fondo documentario della Fondazione ‘Clementina Calzari Trebeschi’ (d‘ora in poi FDFCT)/Testimonianze 2/19/90. 13 Per una dettagliata ricostruzione delle violenze nere nel bresciano durante il periodo che precede l’attentato del 28 maggio, si rimanda agli importanti – e pionieristici – studi di Roberto Chiarini e Paolo Corsini: Da Salò a Piazza Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 311 ss; Le urne, le piazze, le bombe. Cinque anni di neofascismo a Brescia (1969-1974), in Id. (a cura di), La città ferita. Testimonianze, documenti sulla strage di piazza della Loggia, Brescia, Centro Bresciano dell'Antifascismo e della Resistenza, 1985, pp. 45-62. 29 Quando, nella notte tra il 18 e il 19 maggio, il giovane neofascista Silvio Ferrari perse la vita nell’esplosione dell’ordigno al tritolo che trasportava sulla sua vespa, i redattori di “Lotta continua” sottolinearono l’elevato livello di tensione raggiunto nella città lombarda 14 . L’episodio, che ben rappresenta l’apice dell’ondata di violenza che avvolse la città, è significativo anche perché gli ambienti della destra tentarono di attribuire la morte del giovane neofascista all’azione di un gruppo della sinistra radicale e a causa di ciò si registrarono scontri tra organizzazioni di estrema destra e formazioni extraparlamentari di sinistra15 . Questo particolare non è di poco 14 Senza firma (d’ora in poi S. f.), Fascisti in azione a Brescia: a distanza di mezz’ora muoiono in due. Uno salta in aria per il tritolo che teneva tra le ginocchia andando in moto. L’altro si schianta in macchina contro un muro. Stavano preparando una strage, “Lotta continua”, 21-05-1974. In piazza Mercato, accanto al corpo dilaniato del Ferrari, furono ritrovate – oltre ad una pistola con due caricatori – alcune copie del numero unico del 31-01-1974 di «Anno zero». Anche “Il Manifesto” sottolineò il valore di quell’episodio in un articolo in cui venivano affrontati gli stessi punti toccati dall’intervento di “Lotta continua”. Cfr. S. T., Brescia. Salta in aria un corriere (fascista) del tritolo. Emergono nuove prove sulla rete terroristica, “Il Manifesto”, 21-05-1974. È significativo il titolo di terza pagina, sotto cui si trovava l’articolo citato: Micidiale attentato fascista bloccato da un ‘infortunio sul lavoro’. 15 Cfr. il testo del volantino firmato ‘Partito nazionale fascista - Sez. di Brescia ‘Silvio Ferrari’’, dove per di più si annuncia che entro la fine di maggio le formazioni neofasciste avrebbero compiuto gravi attentati: «Dopo i tanti martiri che il Fascismo ha avuto dal 1919 in poi, Brescia ha dal 19 maggio 1974 il proprio martire cui intitolare la sua Sez. Silvio Ferrari è stato barbaramente trucidato con un’imboscata caratteristica dei ‘rossi’: una potente bomba […] è stata posata nel bauletto della sua motoretta e, all’ora prefissata dai criminali è esplosa dilaniando il nostro Camerata. È la goccia che fa traboccare il vaso: ora non son più gli attacchi a case, palazzi o sedi ma il vero e proprio assassinio a freddo con la tecnica usata dai partigiani: sparando alla schiena. Il P.N.F. ora entra in azione, le pattuglie di guerriglia sono pronte, le bombe ed i mitra faranno sentire la loro voce. Ogni lampione avrà il suo impiccato ed i rossi avranno la lezione che si meritano. Dopo l’Italia potrà tornare ala vita, alla libertà, al lavoro, al benessere ma soprattutto potrà tornare alla dignità di nazione. 30 conto se si vuole comprendere il clima all’interno del quale si inserirono le accese prese di posizione degli schieramenti della sinistra rivoluzionaria dopo la bomba del 28 maggio. “Lotta continua” mise in evidenza il collegamento tra la morte di Ferrari e quella del neofascista Carlo Valtorta – che aveva perso la vita intorno alle tre e mezza della stessa notte nello schianto della Giulia sulla quale viaggiava con altri tre camerati, finiti all’ospedale – sostenendo che «mentre tutti i fili di questi due incidenti riporta[vano] alla matassa in cui [erano] solidamente avvolti Fumagalli, Borromeo e soci, quello che ci si chiede[va era] cosa si preparavano a fare gli squadristi carichi di tritolo» 16 . I movimenti di cui era stata oggetto nelle ultime ore la città lombarda furono descritti come l’ennesima riprova dell’estesa organizzazione e della rete di appoggi istituzionali su cui potevano contare i protagonisti della trama nera 17 . In particolare, si fece riferimento alle nuove notizie trapelate Tramite il Giornale di Brescia (foglio che consideriamo il ‘solo’ informatore di Brescia), comunichiamo alla popolazione che entro il mese di maggio, gravi attentati saranno posti in azione […]». In C. Bianchi, P. Jannacci, Piazza Loggia: una strage impunita, supplemento a «Brescia domani», n. 9, 1982, p. 24. Il messaggio era stato ricevuto il 21 maggio dal “Giornale di Brescia” che, su pressioni del prefetto, decise di non pubblicarlo. Cfr. anche, S. f., Trame nere. Arrestati a Brescia trentuno fascisti, Il Manifesto”, 23-05-1974. 16 S. f., Fascisti in azione a Brescia: a distanza di mezz’ora muoiono in due, cit. Il giornale sottolineò che, in generale, la stampa nazionale aveva potuto sollevare pochi dubbi intorno al collegamento tra i due episodi «troppo clamorose essendo le ‘coincidenze’». 17 Per i militanti bresciani di Movimento Studentesco non vi poteva essere alcun dubbio sulle intenzioni dei neofascisti. «Piazza Fontana insegna: i fascisti la scorsa notte puntavano alla strage, a fare della nostra città una delle maggiori centrali di provocazione a livello nazionale. […] Brescia popolare e antifascista, che nei giorni scorsi ha saputo isolare i provocatori raduni fascisti, deve ora imporre con la forza della mobilitazione e della più severa vigilanza che vengano colpiti i fascisti e i loro 31 sul materiale rinvenuto nel covo dell’ex ‘partigiano Jordan’ Carlo Fumagalli. Non venne trovato solo un fornito deposito di esplosivi e un attrezzato laboratorio per la contraffazione di auto e documenti: tra i carteggi repertati risultò esservi anche la matrice di un ciclostilato in cui si esigeva il rilascio di Franco Freda e Giovanni Ventura contro la vita del giudice Gerardo D’Ambrosio. Il foglio accusò pertanto la polizia di aver mantenuto un inspiegabile silenzio su quel documento che provava l’intenzione della cellula fascista di rapire il giudice della strage di Stato, mancanza che diventava ancora più grave se collegata alla scoperta di prove contabili su un incredibile giro di denaro: Sul documento la polizia ha mantenuto un inqualificabile silenzio, e la notizia ha raggiunto la stampa solo per vie traverse. Ma c’è di più. Nella stessa base sono state scoperte le prove contabili di un vertiginoso giro di miliardi sui quali i fascisti potevano contare per le loro imprese. L’importo di queste somme non è assolutamente giustificabile con il solo traffico d’armi dei camerati di Fumagalli. Come per la ‘Rosa dei Venti’, il rinvenimento di materiali dell’esercito e di miliardi padronali bastano da soli a chiarire chi siano e dove siedano i veri mandanti del terrorismo nero 18 . mandanti». Volantino: Ancora tritolo fascista a Brescia, 19-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/15. Cfr. anche S. f., La lista delle provocazioni fasciste, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. 18 S. f., Fascisti in azione a Brescia: a distanza di mezz’ora muoiono in due, cit. La ‘Rosa dei venti’ – sotto il cui simbolo si celavano una ventina di organizzazioni eversive clandestine – fu scoperta grazie al lavoro del giudice Giovanni Tamburino. Le sue inchieste misero in evidenza che tale organismo – che aveva preso forma per 32 Come apparirà chiaramente dalle pagine che seguono, i gruppi della sinistra radicale furono molto critici nei confronti delle forze di polizia, soprattutto perché ritenute particolarmente efficienti nel fermare, perquisire e schedare i militanti della sinistra extraparlamentare e molto meno nella ricerca degli esecutori neri e dei loro mandanti; ma anche nei confronti della magistratura, accusata di scarsa efficienza e di mancanza di organizzazione19 . I loro fogli attaccarono senza troppi complimenti istituzioni e partiti politici, spesso esasperando i toni delle accuse. Essi ebbero però il merito di avviare una preziosa opera di controinformazione, grazie alla quale l’opinione pubblica italiana poté usufruire di una linea di stampa che non seguiva il flusso, piuttosto omogeneo, degli altri organi di informazione nazionale 20 . combattere, con ogni mezzo, il comunismo – era dotato di una struttura mista – civilemilitare – parallela al Sid e collegata ad altre strutture nel quadro Nato. 19 Per un puntuale resoconto delle indagini fino al 1996, cfr. la prima parte di V. Marchi, La morte in piazza. Venti anni dì indagini, processi ed informazione sulla strage di Brescia, Brescia, Grafo, 1996, pp. 23-163. Cfr. anche G. Zorzi, L’amaro in bocca. Bilancio di un’esperienza di lavoro giudiziario e C. Simoni, L’ombra delle stragi, la forza della ragione. Una conversazione con il magistrato Gherardo Colombo, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit. pp. 101-132. 20 Per un’analisi dell’atteggiamento dei maggiori quotidiani nazionali – oltre che di quelli bresciani – di fronte alla tragedia bresciana, cfr. R. Baldo, F. Jannacci, I fatti e le parole. La stampa quotidiana di fronte alla strage di Brescia, in R. Chiarini, P. Corsini (a cura di), La città ferita. Testimonianze, documenti sulla strage di piazza della Loggia, op. cit., pp. 71-96. In generale, i maggiori mezzi di comunicazione di massa italiani non guardarono con simpatia ai movimenti di contestazione e loro derivati, tendendo a sottolineare solo gli aspetti violenti ad essi collegabili. Secondo Sidney Tarrow, proprio «questo atteggiamento negativo costituì un vantaggio cruciale per gli extraparlamentari, perché li indusse ad affidarsi a legami informali di comunicazione e a fondare una stampa di movimento che evitasse di essere schiava dei mezzi di comunicazione di massa». S. Tarrow, op. cit., p. 208. 33 Per questi giornali, ad esempio, era inaccettabile il fatto che Ordine Nuovo – l’organizzazione neofascista fondata nel ’54 da Clemente Graziani e da Pino Rauti – potesse continuare la sua attività impunemente, nonostante una sentenza del Tribunale di Roma lo avesse sciolto, condannando per ricostituzione del partito fascista i suoi principali esponenti. In effetti, al gruppo era bastato cambiare nome in Ordine Nero per poter continuare senza problemi la sua attività politica. Le sezioni di Ordine Nero erano presenti in tutta Italia, battezzate con i nomi di ideologi dell’estrema destra, come Cèline e Codreanu. La situazione si mostrava ancora più paradossale dopo che, nei mesi che andavano da marzo a maggio, i neofascisti di Ordine Nero avevano totalizzato ben dodici attentati 21 . La strage di Brescia apparve quindi – e non soltanto ai settori più radicali della sinistra – come un crimine annunciato dalle ripetute violenze nere perpetratesi su tutto il territorio nazionale. La sola provincia di Brescia veniva da un mese di incredibili angherie neofasciste. Un volantino del 20 maggio firmato dalla federazione Cgil-Cisl-Uil mise in evidenza alcuni tragici presagi di quei giorni, come la morte di Ferrari e Valtorta, la scoperta di un ordigno esplosivo presso la vecchia sede della Cisl di Viale 21 S. f., Da ‘Ordine Nuovo’ a ‘Ordine Nero’, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-051974. Questa la successione degli attentati riportata dal settimanale: 13 marzo. All’agenzia del “Corriere della Sera” e nella sede del ‘Centro studi Gramsci’, entrambe a Milano; 15 marzo. Contro il liceo certifico ‘Vittorio Veneto’ a Milano; 23 aprile. Contro l’esattoria comunale a Milano, contro gli uffici della Federazione del Psi a Lecco e contro la ‘casa del popolo’ di Moiano in provincia di Perugia; 25 aprile. Contro l’auto del procuratore Macri di Treviso; 27 aprile. Contro la scuola slovena di Trieste; 30 aprile. Contro il senatore Veraldo della Dc a Savona; 10 maggio. Contro gli uffici dell’assessorato all’ecologia a Milano, contro l’esattoria comunale ad Ancona e contro l’edificio dove fino a poco tempo prima si trovavano gli uffici della ditta olearia ‘Chiari e Forti’ a Bologna. 34 Italia e la telefonata anonima che annunciava la presenza di una bomba nella sede della Camera del Lavoro 22 . Con il suo contenuto premonitore, il volantino mise in guardia la popolazione e le autorità dai clamorosi rischi che stava allora correndo la città: A Brescia non passa giorno che attentati dinamitardi, riusciti o falliti, siano messi in atto dalle forze eversive. Le trame nere assumono contorni sempre più precisi grazie anche agli errori di giovani inesperti che sono gli strumenti di un disegno costruito da chi ha mezzi ed obiettivi molto precisi. […] C’è tutta una strategia della tensione e della paura alimentata dal crescendo degli atti terroristici che va assumendo tinte sempre più preoccupanti. È grave che si sfugga all’attentato per cause fortuite e che si scoprano le trame nere per accidenti dovuti all’incoscienza, all’inesperienza, all’irresponsabilità 23 . La delicatezza di quel momento storico fu esplicitata anche dalla grande mobilitazione della polizia bresciana che, nelle settimane prima della strage, aveva attivato una serie di inchieste su alcuni neofascisti arrestati, come Ezio Tartaglia – legato all’ex comandante della X Mas Valerio 22 Il volantino, intitolato Reagire energicamente all’aggressività criminale del neofascismo, ribadiva che «bisogna individuare i mandanti, quelli che hanno i mezzi, che hanno coscienza di quello che vogliono. Occorre che le forze politiche, le autorità tutte uniscano sforzi, promuovano iniziative, colpiscano con ogni energia». Archivio Storico Centro di Documentazione ‘Bigio Savoldi - Livia Bottardi Milani’ della Camera del Lavoro di Brescia (d’ora in poi ASCD)/1/PL 1 A 1. 23 Ibidem. 35 Borghese – e Beppino Benedetti, noto esponente degli ambienti d’estrema destra di Brescia. Questi nomi conducevano a ‘La Fenice’ di Giancarlo Rognoni e Nico Azzi, al gruppo di Genova che aveva organizzato l’attentato fallito sul treno di Ventimiglia-Roma, e a Marco Pozzan, un neofascista, in quel momento latitante, che era accusato della strage di piazza Fontana insieme a Freda e Ventura. Le ultime rivelazioni dell’inchiesta evidenziarono la grande quantità di mezzi e di armi di cui queste figure potevano disporre e l’esistenza di una rete di contatti strettissimi tra le varie formazioni neofasciste 24 . La stampa della sinistra rivoluzionaria riconobbe che vi era stato un avanzamento nelle indagini ma sostenne che le forze di polizia non si fossero mosse nel modo migliore. Molti sospettati vennero infatti arrestati soltanto allora, nonostante i loro nomi fossero noti da tempo. Dal punto di vista di questi fogli, fu proprio a causa della mancanza di efficienza delle forze di polizia che i neofascisti poterono organizzare i loro piani criminosi. Posizioni di questo tipo non erano però soltanto patrimonio dei gruppi della sinistra radicale ma venivano condivise da una parte estesa di opinione pubblica, non più disposta a sopportare le ingiustizie neofasciste e pronta ad alzare la voce contro l’inadeguata risposta degli organi preposti alla sicurezza dei cittadini. Lo stesso volantino che aveva invitato la cittadinanza a partecipare alla manifestazione che fu poi oggetto dell’attentato aveva messo in evidenza la ferma volontà popolare di imprimere una svolta a quella situazione: «le indagini [andavano] portate sino in fondo, episodi di provocazione come quello di Piazza Mercato 24 Ibidem. Molti degli individui arrestati a Brescia nel corso delle inchieste condotte nei giorni che precedevano l’esplosione del 28 maggio avevano partecipato alla manifestazione-provocazione del 12 aprile dell’anno precedente a Milano, durante la quale venne ucciso l’agente ventiduenne Antonio Marino. 36 [andavano] stroncati sul nascere, la delinquenza nera [doveva] essere isolata e schiacciata senza esitazione» 25 . Per i gruppi della sinistra extraparlamentare, nel periodo che precedeva la strage di piazza Loggia era dunque già emersa l’esistenza di «un’unica trama, un unico collegamento omicida tra Ordine Nero, la nuova sigla del disciolto Ordine Nuovo, la SAM, la Rosa dei venti, il MAR, Avanguardia Nazionale» 26 . Troppi segnali funesti si erano registrati: due tentativi di strage sui treni, l’esplosione del carico di tritolo che trasportava il neofascista Ferrari, i legami di quest’ultimo con Borromeo e Fumagalli, una serie di scritte sempre più minacciose contro la classe operaia sulle mura della città. Era chiaro che a Brescia la strategia eversiva stava organizzando qualcosa di grosso e che «nonostante il loro indebolimento oggettivo sul piano politico, i fascisti si preparavano a attaccare frontalmente il movimento operaio» 27 . A trent’anni di distanza, le prese di posizione ed i proclami dei gruppi presi in considerazione impressionano per la loro crudezza. Spesso, come si vedrà nei prossimi capitoli, esse presero la forma di slogans ideologici poco attenti alla obiettività dello svolgimento degli avvenimenti. Tuttavia, va sempre tenuto presente che un’impostazione di quel tipo derivò loro – oltre che dalla stessa caratterizzazione ideologica delle formazioni – da alcuni dati di fatto inconfutabili come l’atteggiamento delle forze di polizia che, dal dicembre del ’69 in poi, avevano orientato le proprie indagini a senso unico verso i gruppi di sinistra e avevano mantenuto un atteggiamento di colpevole indifferenza nei confronti delle macchinazioni dei gruppi 25 Volantino che invitava a partecipare alla manifestazione del 28 maggio, intitolato Stroncare il terrorismo fascista!. ASCD/2/PL 1 A 2. 26 S. f., Il mese nero di Brescia, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. Ibidem. 27 37 neofascisti. Inoltre, se è assodato che gli interventi della sinistra rivoluzionaria peccarono di eccessivo estremismo, va altresì rilevato che la direzione complessiva delle denunce sollevate avrebbe poi trovato fondamento nelle successive indagini giudiziarie e ricerche storiche. Brescia, 28 maggio 1974 (Foto di Pietro Gino Barbieri) 38 Dopo la bomba Subito dopo l’esplosione della bomba del 28 maggio, i fogli della sinistra extraparlamentare evidenziarono la portata politica di quell’evento ponendo l’accento sull’impegno diretto dei cittadini presenti in piazza della Loggia e soprattutto su quello delle vittime 28 . La manifestazione antifascista organizzata per la giornata di martedì 28 maggio dal Comitato Unitario Antifascista bresciano – nel quadro della quale la Federazione Cgil-Cisl-Uil programmò poi uno sciopero generale di quattro ore – aveva infatti lo scopo dichiarato di contrastare il clima di tensione creato sul bresciano, e in tutta Italia, dalle gravi azioni di violenza dell’estrema destra 29 . “Avanguardia operaia” sottolineò il fatto che quasi tutte le vittime erano militanti di sinistra, impegnati nel lavoro politico vicino al movimento operaio. Il più pesante tributo era stato pagato dalla Cgil scuola che contava tra le sue fila quattro morti, Giulietta Banzi Bazoli, Livia 28 Il giorno della strage morirono sei persone; altre due sarebbero decedute in seguito alle ferite riportate. In una significativa Lettera aperta sui morti della strage del 31 maggio si scriveva: «I morti sono morti perché non sono stati a casa loro, ma perché erano là a testimoniare la loro e a testimoniare la nostra coscienza civile». FDFCT/Testimonianze 2/19/92. 29 ASCD/6/PL 1 A 3. Così apriva il suo intervento, che sarebbe stato interrotto poco dopo dall’assordante rumore dell’esplosione, il sindacalista Franco Castrezzati: «Amici, compagni, lavoratori studenti siamo in piazza perché in questi ultimi tempi una serie di attentati di marca fascista ha posto la nostra città e la nostra provincia all’attenzione preoccupata di tutte le forze antifasciste. E le preoccupazioni sono tanto più acute ove si tenga conto che la macchina difensiva delle istituzioni democratiche della Repubblica si è messa in moto solo dopo che alcune fortuite circostanze hanno rilevato l’esistenza di una organizzazione eversiva ampiamente finanziata e dotata di mezzi micidiali, sufficienti comunque a creare terrore e sbandamento». ASCD/103/PL I B 7. La registrazione audio del giorno della manifestazione è in ASCD/452/PL I B 16; quella inerente il presidio dei giorni successivi è in ASCD/454/PL I C 22. 39 Bottardi Milani, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi e un notevole numero di feriti. Livia Bottardi insegnava a Brescia in una scuola media, era attivamente impegnata nelle lotte scolastiche e amica personale di Clementina e Alberto Trebeschi. Clementina aveva avuto il padre assassinato dai nazisti a Mathausen; suo marito Alberto, che proveniva dal Partito radicale ed era poi confluito nel Pci, era molto conosciuto per l’impegno della sua ricerca sul piano culturale, strettamente legato alla lotta politica. L’articolo pose l’accento sull’impegno culturale e politico delle vittime ma anche sulla loro appartenenza di classe, come nel caso di Bartolomeo Talenti, operaio di 50 anni, e Euplo Natali, pensionato. I due furono dipinti come veri e propri «martiri proletari, due compagni che appartenevano alla classe che [avrebbe spazzato] via definitivamente, senza possibilità di ritorno, la feccia fascista e tutti coloro che la [tenevano] in vita per proteggere il capitale» 30 . La radicalità di queste parole lascia trasparire l’anima rivoluzionaria dei gruppi della sinistra extraparlamentare, non disposti, nemmeno nei momenti di estrema tensione – anzi, soprattutto in quelli – a mettere in secondo piano la necessità di puntare alla costituzione di una società socialista. Giulietta Banzi Bazoli, oltre alla sua attività nella Cgil scuola, all’interno della quale era da poco stata eletta delegata, militava nel gruppo di Avanguardia Operaia 31 . Per questo il suo sacrificio fu messo in primissimo piano dal settimanale della formazione politica 32 . La giovane 30 S. f., Compagni come noi, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. Per un profilo delle vittime, cfr. Aied (a cura di), Per non continuare il silenzio…, Brescia, IGB, 1976, soprattutto pp. 152-159. 31 Cfr. l’opuscolo Non si può più stare a guardare; [s. d.]. FDFCT/Testimonianze 2/12/2. 32 All’interno del mondo scolastico il problema della crescita democratica era particolarmente sentito. Cfr. il volantino dei ‘Genitori e professori democratici’ della 40 insegnante aveva maturato una lunga esperienza nel lavoro di massa e prima di entrare nell’organizzazione aveva militato nel circolo ‘Lenin’ di Brescia, dove aveva potuto sviluppare una notevole preparazione teorica. Era anche riuscita a conciliare il ruolo difficile di militante e di madre, non limitando il proprio impegno alle attività all’interno del sindacato perché – sempre secondo il foglio – aveva compreso che era molto più importante lavorare costantemente alla base, nel movimento, e far sentire la propria presenza nei momenti di lotta 33 . Il settimanale di agitazione comunista tornò più volte ad insistere sul valore della sua esperienza: la vita di Giulietta Banzi doveva essere presa come punto di riferimento dell’impegno femminile nelle fila della sinistra extraparlamentare: Onoriamo in Giulietta l’esempio militante della compagna che si fa carico lucidamente della contraddizione tra la partecipazione diretta alla lotta di classe e il ruolo subalterno di moglie e madre che la classe dominante assegna alla donna, l’esempio comunista militante della compagna che ha nel vivo della lotta acquisito le doti di capacità politica complessiva e di consapevolezza teorica 34 . scuola media Kennedy: «Ieri come oggi la libertà e la democrazia vengono costruite o sepolte principalmente sui banchi della scuola. Piangere adesso, sui morti di Piazza della Loggia non basta; ed è tardi. Perché le bombe non scoppino, occorre prevenire educando. Alla democrazia e all’antifascismo si educa – famiglia e scuola – quando si è presenti e si paga di persona»; [s. d.]. FDFCT/Testimonianze 2/19/117. 33 S. f., Compagna Giulietta ti vendicheremo, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-051974. 34 S. f., Ricordiamo i nostri compagni Luigi Pinto e Giuletta Banzi uccisi nella strage di Brescia. Due comunisti, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 41 “Avanguardia operaia” non accettò il ricordo che di lei tratteggiava la stampa ‘borghese’ – concentrata soprattutto a mettere in evidenza il suo ruolo di madre di tre figli – e sostenne invece l’esigenza di commemorarla come una infaticabile militante che era anche madre di tre figli 35 . Il suo percorso personale aveva inoltre caratteristiche significative. Di origini borghesi, era passata da una fase di generica simpatia e adesione ideale per la sinistra, alla comprensione della necessità di una partecipazione militante e di una formazione politica complessiva: «il primo decisivo scossone che aveva spinto Giulietta ad accettare la milizia politica è stato il movimento studentesco e le sue lotte del ’68-’69, con quanto di dirompente, globale, antirevisionista esso ha storicamente rappresentato» 36 . La militante di Avanguardia Operaia si era però rifiutata di seguire le mode dominanti dello spontaneismo e dell’eclettismo ideologico. Dal movimento studentesco e dalle sue battaglie aveva imparato ad impegnarsi direttamente in politica, ad approfondire le problematiche del movimento di massa e la questione del rapporto tra lotta rivendicativa e lotta politica di classe: «il suo impegno nel sindacato scuola crebbe in questa volontà e consapevolezza di non contrapporlo alle lotte studentesche ma al contrario 35 Cfr. il volantino del 31 maggio firmato da tale formazione: «Giulietta, oggi, vuole essere ricordata da più parti solo come una brava insegnante e madre di famiglia; Giulietta era molto di più, era una compagna impegnata in prima linea nel Movimento Operaio e di classe. Era dirigente del sindacato scuola CGIL, era in prima linea nella lotta antifascista e per il Socialismo. È così che è caduta, ed è così che la ricordiamo. La ricordiamo come ricorderemo tutti i compagni caduti, uccisi dal tritolo fascista e dal piombo della polizia agli ordini dei ministri democristiani. In nome di Giulietta rilanceremo la battaglia antifascista e la determinazione a lottare per il Socialismo». FDFCT/Testimonianze 2/19/74. 36 S. f., Ricordiamo i nostri compagni Luigi Pinto e Giuletta Banzi uccisi nella strage di Brescia, cit. 42 di operare una coerente saldatura tra i diversi piani di lotta all’interno di un’unica prospettiva di classe» 37 . Anche Luigi Pinto, deceduto alcuni giorni dopo in seguito alle gravi ferite riportate nell’esplosione, era attivo nella Cgil scuola oltre che simpatizzante di Avanguardia Operaia. L’insegnante aveva una storia che ricalcava quella di migliaia di emigrati italiani: come tanti altri cittadini era stato costretto a lasciare la sua città in cerca di lavoro e quell’esperienza aveva poi contribuito in modo decisivo alla sua scelta di impegnarsi nell’attività politica. Arrivato da Foggia per insegnare in una scuola bresciana, aveva svolto – secondo il foglio – una produttiva attività sindacale che «aveva accelerato in lui la consapevolezza della necessità di approfondire in modo organico i problemi della linea di classe nella scuola, portandolo gradualmente a seguire le riunioni della cellula scuola di AO e a intensificare i contatti con gli insegnanti dell’organizzazione o con quelli ad essa più vicini» 38 . Giulietta Banzi Bazoli e Luigi Pinto erano molto diversi tra loro per origine sociale e per le responsabilità politiche dirette che avevano assunto, ma si erano ritrovati uniti nell’impegno militante, nello stile di lavoro ed entrambi avevano trovato nell’organizzazione extraparlamentare un riferimento importante. AO dimostrò un grande rammarico per la scomparsa dei due compagni e si ripromise di continuare le loro battaglie espletando un antifascismo con una chiara matrice di classe: Per una piccola e giovane organizzazione come la nostra, la perdita di due compagni è un grave peso. Onorare la loro 37 38 Ibidem. Ibidem. 43 memoria e ripercorrere le tappe della loro milizia è oggi un impegno che va ben oltre il necrologio borghese di due persone ‘importanti’. L’importanza dei nostri due compagni è quella di cui più andiamo fieri e che rivendichiamo: l’aver contribuito, con il loro radicamento tra le masse proletarie e con la loro milizia sempre più consapevole, a orientare la lotta di classe in senso rivoluzionario. La loro morte è la morte di due comunisti che hanno sempre inteso l’antifascismo militante nel suo significato di classe, e su questa strada proseguiremo senza nessuna esitazione nella lotta e nella vendetta di classe 39 . La bandiera della classe veniva spesso sventolata da questi gruppi come ideale supremo, che doveva essere anteposto ad ogni altro ragionamento politico e che necessitava il perseguimento di una vendetta. Il brano citato può dare un’idea del livello di tensione raggiunto nei giorni successivi all’attentato di Brescia, soprattutto se si considera che – come è stato detto – essa proviene da un foglio di un gruppo particolarmente attento alla riflessione teorica e solitamente poco propenso ad abbandonarsi a dichiarazioni che potevano ispirare risposte violente. D’altra parte, il gesto compiuto a Brescia colpì l’intera nazione per la ferocia scatenata nei confronti di una piazza riunitasi pacificamente a manifestare proprio contro le ripetute violenze nere e segnò in profondità gli animi democratici del paese per il suo patente significato politico 40 . I gruppi della sinistra rivoluzionaria, percepirono l’attentato del 28 maggio come un attacco diretto ai valori politici e morali da essi difesi, un attacco 39 Ibidem. 40 Cfr. S. f., Il fascismo a Brescia, in «Movimento Studentesco» (mensile), n. 33, giugno 1974. 44 che dichiarava le proprie intenzioni politiche e che costituiva il picco di una strategia da tempo perseguita dalle forze reazionarie italiane 41 . In un volantino del 31 maggio, firmato da Lotta Continua, Avanguardia Operaia e Il Manifesto-Pdup, i nomi delle vittime furono accomunati a quelli dei militanti assassinati a Portella delle Ginestre, a Modena, a Reggio Emilia; a quelli di Giuseppe Pinelli, di Saverio Saltarelli, Giuseppe Tavecchio, Franco Serantini, Mario Lupo, Roberto Franceschini. Quei nomi – affermava il volantino – facevano parte della linea del movimento di classe e dovevano continuare a vivere nelle sue battaglie e nelle sue lotte: sarebbero in tal modo stati in centinaia di migliaia gli antifascisti che li avrebbero ricordati con l’impegno sul campo 42 . 41 Anche i giovani della Fgci lanciarono appelli accorati contro la logica di quell’attacco: «La Fgci mentre inclina le sue bandiere di fronte al sacrificio dei lavoratori e degli antifascisti vilmente assassinati, fa appello a tutte le sue organizzazioni, a tutta la gioventù rivoluzionaria, democratica ed antifascista perché i giovani responsabilmente si pongano alla testa del moto antifascista del Paese, si organizzino in ogni città, in ogni paese, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, manifestando combattivamente ed unitariamente; si contribuisca con ogni mezzo al successo delle iniziative di lotta delle organizzazioni dei lavoratori e degli studenti». Volantino intitolato Strage, [s. d.]. FDFCT/Testimonianze 2/19/66. 42 Il volantino è intitolato La strage di Piazza Loggia è un atto di guerra aperta contro il movimento operaio nel suo complesso. Nel testo, sono messe bene in evidenza quattro parole d’ordine: via il giudice Arcai; via il questore Mastronardi; fuorilegge il Msi; la sede del Msi di Brescia deve essere chiusa per sempre. ASCD/16/PL I A 7. 45 All’interno della strategia eversiva Le formazioni della sinistra rivoluzionaria nutrivano dunque un acceso interesse nei confronti delle tematiche concernenti lo stragismo: la bomba di Brescia attirò immediatamente la loro attenzione, anche perché ribadì l’esistenza di quel progetto reazionario da tempo indicato dai loro organi d’informazione. Per questi gruppi, il luogo e la modalità dell’attentato confermavano che le fondamenta della democrazia italiana erano messe seriamente a rischio da una trama eversiva che coinvolgeva anche ampi settori dello Stato. La libertà di movimento delle squadre neofasciste appariva loro come una conseguenza diretta del mancato sviluppo del meccanismo democratico italiano 43 . Quando l’ordigno posizionato in piazza Loggia esplose, essi furono perciò colpiti ma non sorpresi e utilizzarono tutte le loro energie per cercare di guidare la popolazione 43 Nelle ore immediatamente successive alla bomba di Brescia, anche il Partito comunista fece notare come l’attentato confermasse una volta di più il pesante deficit di democrazia del nostro paese. Cfr. il contenuto di un volantino della segreteria bresciana del partito: «La federazione bresciana del PCI, nell’esprimere il proprio profondo cordoglio ai famigliari delle vittime e partecipando assieme a tutta la cittadinanza democratica al loro lutto, chiama tutti i lavoratori, i cittadini, le forze democratiche a rafforzare l’unità antifascista e ad esprimere il loro sdegno con un nuovo impulso alla vigilanza e alla volontà di lotta perché la democrazia, il cui mancato pieno sviluppo è all’origine dello spazio dato alle organizzazioni fasciste che per loro natura non possono che essere terroristiche, manifesti tutta la sua efficacia nell’arrestare la mano omicida, i finanziatori e i mandanti, che negli ultimi anni nella nostra provincia l’hanno armata». Una orribile strage!!!, 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/84. Norberto Bobbio, in una riflessione sulla strage di Brescia, ha ricordato che la democrazia è incompatibile con gli arcana imperii perché «la democrazia è il governo del potere visibile, il governo pubblico in pubblico». N. Bobbio, ‘Arcana imperii’: verità e potere invisibile, in AA. VV., Le ragioni della memoria. Interventi e riflessioni a vent’anni dalla strage di piazza della Loggia, Brescia, Grafo, 1994, p. 103. 46 sconvolta dalla violenza dell’evento in un esteso moto di protesta. Nonostante la radicalità degli interventi che riempivano i loro fogli, non si può non riconoscere a questi gruppi il grande sforzo profuso nel gestire la difficile situazione. Fu anche grazie alla lucidità e alla relativa cautela con cui si mosse la sinistra extraparlamentare in quei momenti che la classe operaia e gli studenti organizzati si comportarono – nella stragrande maggioranza dei casi – in modo maturo, tanto da apparire ad un non trascurabile settore dell’opinione pubblica come i veri garanti della giustizia antifascista. Nella loro opera di accusa, i gruppi della sinistra rivoluzionaria si distinsero per la decisione con cui vennero additate le responsabilità della Democrazia cristiana – ma la loro critica non avrebbe risparmiato nemmeno i partiti della sinistra – considerata complice delle degenerazioni reazionarie di quegli anni 44 . Nelle travagliate ore che seguirono l’esplosione di piazza della Loggia, le formazioni rivoluzionarie non si limitarono però ad esporre il proprio pensiero tramite frasi ad effetto, ma svilupparono una serie di analisi – poi dimostratesi sostanzialmente fondate – che collocavano la strage in un quadro articolato in cui la destra estrema ed una parte delle istituzioni si trovavano alleate nel tentativo di bloccare le rivendicazioni del movimento operaio e il generale spostamento a sinistra 44 “Il Manifesto” uscì il giorno dopo la strage con questa titolazione: E’ la strage fascista più sanguinaria di questi anni: 6 morti, 94 feriti. E’ la lunga catena che può essere spezzata solo spezzando il sistema di potere della Dc. Taviani deve dimettersi, il MSI dev’essere sciolto. Sciopero generale in tutto il paese manifestazioni di massa, collera a Brescia. Nello stesso giorno, “Lotta continua” titolava: Una bomba fascista ha massacrato donne, bambini, operai che manifestavano contro il terrorismo nero. Gli assassini fascisti sono noti; sono noti i loro covi; sono noti i loro caporioni, i loro mandanti, i loro manovratori nei corpi dello stato. Con lo sciopero generale di oggi, la classe operaia, i proletari, gli studenti, i partigiani, si impegnano a prendere nelle proprie mani la giustizia antifascista. 47 del paese, alleanza che sembrava diventata ancor più necessaria dopo l’esito del referendum sul divorzio 45 . In un articolo di fondo su “Il Manifesto”, Luigi Pintor – dopo aver descritto con parole forti lo scenario della piazza dilaniata dall’esplosione ed aver paragonato la sciagura bresciana alla strage di piazza Fontana, specificando però che il nuovo scenario era contraddistinto da una più esplicita volontà dei gruppi reazionari e degli industriali che li assoldavano di fare ritorno al 1922 46 – diede libero sfogo alla propria insofferenza nei 45 A tal proposito, è indicativo il contenuto del volantino redatto da Avanguardia Operaia, intitolato 12 morti e decine di feriti in piazza della Loggia: questo il bilancio del vile attentato fascista (come si può notare il numero delle vittime non è corretto): «La strage fascista di Piazza Loggia si inquadra nel tentativo della destra reazionaria di riconquistarsi con il terrorismo lo spazio perduto con la sconfitta del referendum, di bloccare le conquiste del movimento operaio. Dalle bombe sui treni ai vili attentati alle sedi dei partiti e delle organizzazioni di sinistra fino alla strage di ieri, i fascisti hanno agito con la tacita protezione della DC, che è arrivata persino ad allearsi con il MSI nella campagna per l’abrogazione del divorzio contro le libertà democratiche. Lavoratori, studenti, compagni il MSI, responsabile delle più vandaliche azioni criminose e liberticide, va combattuto fino in fondo. Dobbiamo sviluppare la più ampia convergenza di tutte le forze di classe e democratiche, creare nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri i Comitati Antifascisti per togliere l’agibilità politica alle carogne fasciste, e sviluppare il movimento di massa per imporre la messa fuori legge dell’MSI», 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/67. 46 La comparazione della strage di Brescia con quella di piazza Fontana venne proposta da tutti i mezzi di informazione ma – com’è stato sopra notato – fu utilizzata con particolare slancio dai fogli della sinistra extraparlamentare per evidenziare la continuità della trama eversiva e per sollecitare una decisa azione contro chi perseguiva quel progetto. Il titolo di copertina del settimanale “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974, è tanto semplice quanto illuminante: Brescia come piazza Fontana. Fuori legge il MSI. Cfr. anche il volantino Strage fascista! firmato Lotta comunista (Circolo operaio di Brescia-Chiesanuova; Circolo operaio di Nave; Circolo leninista di Rovato): «Sempre con le bombe sempre col sangue. Si sta cercando di giocare la stessa carta di piazza Fontana. Si sta cercando nuovamente di dare un duro 48 confronti dell’atteggiamento governativo 47 . Innanzitutto, prese di mira il ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani che aveva evitato di recarsi a Brescia, dove avrebbe dovuto rendere conto di una gestione delle forze di polizia che, protrattasi per un ventennio, aveva contribuito a rendere meno stabili le istituzioni repubblicane 48 . Secondo l’articolo, era intollerabile che il ministro non si fosse presentato dimissionario al Parlamento e avesse invece deciso di umiliarlo con la sua solita vuota retorica. Pintor ritenne inoltre particolarmente sconcertante il fatto che alla presidenza del Consiglio vi fosse la stessa persona che ricopriva quella carica nel 1969. Il dirigente de Il Manifesto espresse dunque una netta denuncia nei confronti dei governi succedutisi in quegli anni, del tutto incapaci di gestire la situazione. colpo alla lotta operaia. Oggi la classe operaia sta rendendosi conto che le sue condizioni di vita sono andate indietro. Oggi la classe operaia sta riprendendo a lottare. […] La classe operaia deve rispondere senza esitazioni o falsi obiettivi contro tutte quelle forze che tentano di colpirla o di frenarla! I fascisti di oggi a Brescia sono gli stessi di piazza Fontana gli stessi di sempre! Solo la lotta operaia organizzata li può schiacciare!»; 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/88. 47 L. Pintor, La radice, “Il Manifesto”, 29-05-1974. 48 Le critiche alla gestione governativa della violenza di destra furono frequentemente ribadite – toccando punte notevolmente alte di radicalismo – da tutte le formazioni dell’estrema sinistra. Cfr. il volantino redatto dal Comitato provinciale bresciano del Pc(m-l)i: «È proprio il governo che parla di ‘ordine pubblico’ e manda i suoi celerini a reprimere i lavoratori che vogliono pane e lavoro, protegge gli assassini che ammazzano i lavoratori; per poi gridare istericamente che ci vuole un pugno di ferro per governare l’Italia. A cinque anni dalla strage di piazza Fontana i luridi vermi fascisti con alla testa Almirante protetto e alleato di Fanfani riprovano con la stessa arma». Basta con gli assassini fascisti, 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/87. 49 Ma c’è di peggio – continuò Pintor –, non è l’inettitudine o l’irresponsabilità la loro colpa. C’è invece un parallelismo tra l’azione di questi governi, i loro indirizzi, i loro fallimenti, e le degenerazioni estreme di questi anni. C’è complementarità tra la ferocia fascista, la provocazione di destra, e la crisi più generale in cui il paese è mantenuto dal sistema di potere democristiano, dal regime edificato in tutto il dopoguerra. Per questo non si può chiedere a questo sistema di potere di cambiare nulla senza cambiare prima di tutto se stesso 49 . La sinistra rivoluzionaria era però conscia che per distruggere le fondamenta del progetto reazionario bisognava riuscire a coinvolgere anche la ‘parte sana’ delle istituzioni repubblicane; anche se – dal suo punto di vista –, lo sviluppo dei fatti successivi al 28 maggio aveva ormai chiarito che le prese di posizione istituzionali sarebbero state estremamente vaghe. Secondo “Avanguardia operaia”, in quel momento difficile, mentre vasti settori del mondo politico e sindacale denunciavano la matrice fascista del crimine, spiccava «come esempio negativo il vergognoso commento del presidente della repubblica Leone» 50 , secondo il quale l’eccidio era una chiara manifestazione del tentativo di ‘esigue e squallide minoranze terroristiche’ di sconvolgere lo Stato. Da molti anni, le squadre dell’estremismo di destra si muovevano indisturbate e commettevano i loro crimini atroci, ma – evidenziò il foglio – Leone non riusciva nemmeno a usare l’aggettivo ‘fascisti’, generalizzando il proprio ragionamento in modo inammissibile e favorendo ignobili interpretazioni come quella degli 49 50 L. Pintor, La radice, cit. S. f., Il vergognoso messaggio di Leone, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. 50 ‘opposti estremismi’. Il settimanale si domandò retoricamente se Leone – eletto con i voti sottobanco di Almirante e dei suoi seguaci – volesse restituire il favore ai neofascisti. La scelta di non indicare nelle forze reazionarie dell’estrema destra gli esecutori della strage appariva al foglio come una provocazione nella provocazione: sembrava che lo Stato volesse «approfittare dell’occasione per proporre tra le righe il solito ‘giro di vite’ repressivo che […] da anni e anni [colpiva] sempre in un’unica direzione, a sinistra» 51 . Questa interpretazione parve inoltre ricevere conferma dall’atteggiamento tenuto dagli organi di polizia, come quando, subito dopo la strage, avevano deciso di svolgere una serie di perquisizioni nelle abitazioni di iscritti alla Fgci e di militanti di Lotta Continua. Secondo la sinistra radicale, il presidente Leone pensava che l’attentato di Brescia potesse giustificare uno ‘Stato forte’; “Avanguardia operaia” ribadì allora che il proletariato italiano era pronto a respingere quell’affronto 52 . Un altro elemento cui l’articolo precedentemente citato da Pintor attribuiva grande valore era il risultato del referendum del 12 maggio 53 . Esso aveva confermato l’opinione del dirigente de Il Manifesto secondo la quale il paese avrebbe avuto una base di massa contraria ad ogni tendenza reazionaria 54 . “Avanguardia operaia” partiva invece dalla presa d’atto del 51 Ibidem. 52 Ibidem. 53 Il riferimento all’importanza del referendum sul divorzio fu centrale anche nell’intensa produzione di volantini politici di quelle giornate. In un volantino del 29 maggio si scriveva: «Il trentennio democristiano è finito col 12 maggio e non rinascerà sul sangue dei nostri morti!». Giustizia popolare contro i fascisti assassini!, Costituente provinciale del Fronte Antifascista di Rinascita Popolare, Comitato antifascista - Borgo Trento, Comitato antifascista - Carmine, 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/81. 54 L. Pintor, La radice, cit. 51 risultato referendario per sviluppare un’analisi delle dinamiche sotterranee della strategia della tensione: La conseguenza più appariscente del 12 maggio è il duro colpo subito dal progetto politico fanfaniano. Questo duro colpo ha una portata politica molto ampia. Non va infatti dimenticato che il disegno fanfaniano, pur con tutti i limiti da ‘gollismo in formato ridotto’, costituiva il tentativo più organico compiuto in questi anni, da parte di settori del fronte borghese, di risolvere in termini autoritari e reazionari la situazione ormai cronica di instabilità dell’Italia: esso era cioè l’unico progetto concreto di arrivare a costituire uno ‘stato forte’ senza rotture violente del quadro istituzionale, […] era l’unica possibilità di coagulare una base di consenso di massa che legittimasse il tentativo integralista e autoritario 55 . Anche in questo caso, se l’eccessiva radicalità dell’accusa lanciata contro un preciso ‘progetto fanfaniano’ – radicalità che faceva parte della natura rivoluzionaria dei gruppi extraparlamentari, molto critici nei confronti dell’istituzione statuale – non può sfuggire al lettore, non può nemmeno essere negata la capacità del giornale di cogliere alcune dinamiche che coinvolsero effettivamente una parte delle istituzioni, dato, 55 S. f., Dopo il referendum. Il ridimensionamento di Fanfani. Il governo Rumor ne esce indirettamente rafforzato. Cala la credibilità delle proposte dei dirigenti del PCI agli occhi delle masse. Sempre più difficile l’equilibrio del dominio borghese, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 52 questo, che non può più essere messo in discussione 56 . Per quanto riguarda il referendum abrogativo sul divorzio, è inoltre plausibile sostenere che il successo dei ‘no’ abbia esasperato i termini dello scontro producendo un’accelerazione delle dinamiche dello stragismo. L’inaspettato risultato referendario potrebbe aver convinto lo schieramento reazionario – o una parte di esso – dell’inefficacia della strategia perseguita fino a quel momento: nonostante i tentativi di far ricadere la responsabilità degli attentati sulla sinistra radicale, il paese continuava infatti a spostarsi a sinistra. Di fronte a quello stato di cose, lo schieramento in questione avrebbe potuto decidere di agire in modo maggiormente diretto contro le forze del movimento operaio. La strage di Brescia – che, per la dichiarata politicità dell’obiettivo, rese poco credibile ogni dubbio sull’identità politica degli esecutori – potrebbe essere il risultato di tali ragionamenti. Tornando un’ultima volta all’intervento di Pintor, è interessante notare come il leader de Il Manifesto giudicasse senza troppa clemenza anche i rappresentanti tradizionali del movimento operaio. Egli sostenne infatti che, mentre maturava nelle masse antifasciste la convinzione che fosse arrivato il momento per dire definitivamente basta ai fenomeni reazionari 56 Già nel giugno del 1974, parlando delle violenze neofasciste che erano sfociate nella strage di Brescia, Nicola Tranfaglia ha sostenuto che bisognava avere «la consapevolezza di combattere contro una forza che dietro l’avanguardia degli sbandati dispone[va] di truppe saldamente piazzate all’interno del blocco dominante, alleate più o meno stabilmente a una parte non trascurabile della burocrazia statale, decise ad approfittare di ogni errore del movimento operaio come delle forze democratiche per imporre – in forme nuove, questo è chiaro, rispetto al regime di Mussolini – un assetto altrettanto oppressivo e autoritario». N. Tranfaglia, Cosa significa oggi antifascismo, in L. V. Majocchi (a cura di), Rapporto sulla violenza fascista in Lombardia. Testo integrale della Relazione della Commissione di inchiesta nominata dalla Giunta della Regione Lombardia, Roma, Cooperativa scrittori archivio italiano, 1975, pp. XXIIIXXIV. 53 che imperversavano nel paese, il Partito comunista – pur denunciando puntualmente l’incapacità delle istituzioni di muoversi concretamente per spezzare quella intollerabile catena di violenze – continuava colpevolmente a rimanere in disparte. “Il Manifesto” – ma anche “Avanguardia operaia” e “Lotta continua” – voleva invece che la sinistra italiana ritrovasse una propria unità programmatica e si mobilitasse, utilizzando la sua forza morale, per rispondere alla violenza fascista e per appoggiare le spinte popolari che sempre più impetuosamente chiedevano giustizia, perché «mai la lotta antifascista e di salvaguardia democratica [era] stata come [allora] intrecciata alla lotta per un rinnovamento generale delle società e del potere, da parte di uno schieramento sociale e politico fino in fondo antagonista, e perciò capace di assumersi fino in fondo un simile compito» 57 . 57 L. Pintor, La radice, cit. Le critiche dei gruppi della sinistra rivoluzionaria erano spesso rivolte anche alla magistratura, considerata troppo clemente nei confronti dei criminali neofascisti. Cfr. il volantino della segreteria Provinciale della Lega marxistaleninista (Lotta di Classe): «I tentennamenti di certa magistratura nel togliere dalla circolazione simili individui, non possono che dimostrare ancora una volta qual è la ‘giustizia’ che governa il nostro paese. Bombe come quelle di Piazza Fontana e massacri come quelli di Piazza Loggia sono la più valida dimostrazione dell’incoerenza di coloro che disarmano la volontà di lotta delle masse popolari, che erano e rimangono antifasciste. […] Noi ci impegniamo come Marxisti-Leninisti e come partigiani di ieri e di sempre a stanare gli assassini fascisti. Morte al fascismo!». Basta con i fascisti assassini, 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/90. 54 Brescia, 28 maggio 1974 (Foto di Pietro Gino Barbieri) 55 La peggiore violenza “Lotta continua” definì subito il massacro di Brescia come il peggior atto di violenza neofascista del dopoguerra 58 . Il quotidiano evidenziò la grande partecipazione popolare alla manifestazione organizzata per la mattinata del 28 maggio – oltre diecimila cittadini avevano formato tre cortei partiti alle 9 da piazzale Garibaldi, porta Trento e piazzale Repubblica, per confluire in piazza della Loggia – che fu indicata come un segnale del forte sentimento antifascista delle masse. In particolare, il foglio notò come «le parole d’ordine, i cartelli, gli slogans per la messa fuorilegge del MSI avevano caratterizzato tutto l’andamento della manifestazione» 59 . Gli organi di stampa della sinistra extraparlamentare ripercorsero i momenti più delicati della manifestazione. Sul palco, la parola era appena stata presa dal segretario della Flm Franco Castrezzati, quando, alle 10.12, un ordigno a orologeria esplose all’estremità opposta 58 S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, “Lotta continua”, 29-05-1974. (Si noti ancora l’inesattezza delle cifre riportate.) La popolazione bresciana – insieme ad un ampio schieramento di partiti politici – rimarcò immediatamente l’intollerabile gravità della violenza subita: «È con sgomento che ancora una volta dobbiamo constatare come l’azione fascista abbia un solo nome, un solo volto, un solo mezzo: la violenza! Una violenza inaudita, impensabile, che da diversi anni viene perpetrata contro tutte le istituzioni democratiche per favorire quel clima di tensione, di paura, di sfiducia, nel quale, secondo gli assassini, la democrazia dovrebbe morire per lasciare il posto al tetro ‘ordine’ da loro invocato». Il testo è riportato in un volantino intitolato Strage Fascista e firmato dal Consiglio di Quartiere Violino, Anpi, Dc, Pci, Psi, Psdi, Acli, Consiglio dei Genitori. ASCD/15/PL I A 6. 59 S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, cit. 56 della piazza veneta, sotto i portici della Torre dell’orologio, troncando la voce dell’oratore 60 . La scelta di collocare la bomba in quella particolare posizione non lasciava dubbi sull’intenzione terroristica di causare una carneficina: Chi ha progettato l’attentato ha voluto raggiungere la certezza del massacro: il luogo dove è stato posto l’ordigno si trova infatti in un angolo della piazza che è sempre affollato nel corso delle manifestazioni; [inoltre] la pioggia che aveva battuto in modo insistente sul corteo aveva spinto molti compagni a trovare riparo presso i portici dove è avvenuta l’esplosione 61 . In realtà, il punto in cui era stato messo l’ordigno era adiacente al luogo dove solitamente stazionavano, durante le dimostrazioni pubbliche, le guardie di pubblica sicurezza. Queste si spostarono pochi minuti prima dell’esplosione per fare posto ai manifestanti che, a causa della forte pioggia, si ammassavano sempre più numerosi sotto i portici della piazza. Il luogo scelto dagli attentatori per posizionare l’ordigno fu motivo di un’iniziale sospetto delle forze dell’ordine nei confronti dei gruppi di 60 L’esplosione giunse pochi secondi dopo che Castrezzati aveva pronunciato la sua critica nei confronti del Msi: «I titoli dei giornali dell’immediato dopoguerra mettevano ripetutamente in evidenza che a pagare per le colpe, per i misfatti, per i crimini del fascismo, erano normalmente i meno responsabili: […] a me sembra che la storia si ripeta e cioè che oggi non si scavi in profondità, che non si affondi il bisturi risanatore fino alla radice del male. La nostra Costituzione […] vieta la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista. Eppure, il Movimento sociale italiano vive e vegeta». ASCD/103/PL I B 7. 61 S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, cit. 57 sinistra: altro particolare che non giustifica ma rende più comprensibile la radicalità del linguaggio usato da questi fogli 62 . La città, scossa dallo scoppio della bomba, reagì immediatamente. La Camera del Lavoro prolungò lo sciopero generale provinciale fino alle 24 in tutte le fabbriche e gli uffici e promosse l’occupazione di tutti gli stabilimenti operai in preparazione di una risposta di massa per il giorno successivo 63 . Tale iniziativa non fu accolta soltanto a Brescia ma in ogni centro della Lombardia e della penisola 64 . Nelle fabbriche di tutto il paese si riscontrò dunque un profondo sentimento antifascista unito alla rabbia per l’assoluta libertà d’azione di cui potevano godere i gruppi neofascisti. Il movimento operaio era più che mai pronto a mobilitarsi contro la recrudescenza fascista. In una riflessione a caldo, “Avanguardia operaia” sostenne che se era vero che quest’ultimo aveva saputo dimostrare in ogni occasione di avere la capacità di rispondere ai soprusi antidemocratici rinsaldando la propria unità e la propria forza «ancor più che in passato questo [era] stato vero per la strage di Brescia» 65 . Negli stabilimenti di tutta Italia la notizia dell’attentato si era 62 Lo stesso Castrezzati ha dichiarato che, nei minuti successivi alla deflagrazione, un vicequestore gli comunicò di essere convinto che l’attentato fosse ‘di sinistra’ perché destinato a colpire le guardie di pubblica sicurezza. Cfr. R. Cucchini, P. Ferri (a cura di), Piazza della Loggia 28 maggio 1974. Una strage fascista, Brescia, Camera del Lavoro, 1982., p. 55. Non bisogna inoltre dimenticare che le forze di polizia condussero numerose azioni nei confronti degli ambienti legati alla sinistra, fermando militanti di gruppi extraparlamentari e perquisendo abitazioni di ex-partigiani aderenti all’Anpi e di dirigenti sindacali. 63 Cfr. il volantino Occupazione delle fabbriche di tutta la provincia, 29-05-1974; ASCD/9/PL I C 3. 64 S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, cit. 65 S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. 58 diffusa celermente e aveva prodotto una decisa volontà di lotta e di protesta. La prima reazione giunse – naturalmente – dagli operai della città lombarda che si organizzarono per occupare le industrie, mentre altri cittadini affermarono la propria solidarietà partecipando al presidio promosso dalla Cgil scuola nella piazza della strage. Anche a Milano le fabbriche risposero immediatamente: alla Pirelli i lavoratori prolungarono di due ore lo sciopero di mezz’ora deciso dal sindacato ed organizzarono una manifestazione di oltre quattromila persone 66 . Sull’onda della mobilitazione operaia, anche gli studenti si erano organizzati: molte scuole promossero cortei, altre fermarono l’attività didattica dando vita ad affollate assemblee 67 . Un gran numero di lavoratoristudenti partecipò attivamente ad una manifestazione promossa a Monza da Lotta Continua e Avanguardia Operaia 68 . 66 Ibidem. I lavoratori di molte altre fabbriche portarono il loro contributo nelle manifestazioni cittadine, come quelli della Breda, della Magneti Marelli, della Borletti, della Siemens Ctp, dell’Alfa, dell’Om Fiat, della Talettra, della Stigler e della Candy. A Monza, l’assemblea delle fabbriche Philips era stata contraddistinta dalla denuncia del ruolo di copertura della Dc nei confronti delle trame fasciste, mentre dagli operai della sede centrale della Philips – così come dalla sezione sindacale Cgil scuola dell’Itis di Sesto – era stata votata una mozione per lo scioglimento del Msi. 67 Negli anni seguenti alle contestazioni del ’67-’68, operai e studenti si ritrovarono spesso ad agire uniti da ideali comuni. Interessante il documento prodotto il 29 maggio da un’assemblea di lavoratori e studenti, dove vengono denunciate le connivenze tra potere politico e gruppi terroristici e viene ribadito il grande valore antifascista del movimento popolare. ASCD/19/PL I C 9. Per alcune lettere provenienti dalle scuole di tutta Italia, cfr. FDFCT/Testimonianze 2/31/10-13-14-1617-19-20-21-22. 68 S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, cit. Cfr. la risoluzione approvata da un’assemblea generale di lavoratori-studenti: «Lo scopo di questa strage è di intimorire terrorizzare il movimento popolare i democratici gli antifascisti per imporre forme apertamente autoritarie di governo. I fascisti e tutte le forze che se ne servano e li incoraggino si sbagliano: la strage fascista di piazza 59 Anche Movimento Studentesco fece sentire la propria voce lanciando una critica che trascendeva il giudizio sul singolo evento e prendeva di mira gli aspetti generali di una trama eversiva che poteva contare su una serie di solidi appoggi, anche internazionali. Un suo volantino sviluppò tale analisi: I fascisti sono protetti e finanziati dai grandi gruppi economici, dai ceti privilegiati che si servono di essi per cercare di terrorizzare le masse nel momento in cui il governo vara una nuova ondata di provvedimenti antipopolari. I fascisti sono protetti e incoraggiati dall’apparato statale che pur a conoscenza di tutte le loro gesta criminali li lascia in libertà preoccupato solo di colpire le forze democratiche e rivoluzionarie. I fascisti sono finanziati dai servizi segreti americani e greci che vogliono un regime fascista in Italia uguale a quello greco 69 . Loggia non ha frenato ma anzi ha dato nuovo slancio e vigore alla volontà antifascista delle masse ha cacciato nel più completo isolamento le squadracce nere e il Movimento sociale italiano che le dirige. I lavoratori studenti ribadiscono il loro impegno militante antifascista che deve vedere come primi momenti di lotta l’occupazione delle fabbriche il controllo delle scuole delle sedi delle organizzazioni operaie e la partecipazione in massa ai funerali delle vittime della strage fascista»; [s. d.]. FDFCT/Testimonianze 2/19/62. 69 Questa l’intestazione manoscritta del volantino: «Stronchiamo la criminalità fascista incoraggiata e protetta dalla politica antipopolare Dc, dall’apparato statale, dai grandi gruppi economici, dall’imperialismo USA. Fuori i fascisti dalle fabbriche, dalle scuole, dai quartieri». ASCD/17/PL I A 8, 28-05-1974. Cfr. anche S. f., I servizi segreti, strumenti delle cricche DC e fasciste, in «Movimento Studentesco» (mensile), n. 34, luglio 1974. 60 Per la serata del 28 maggio la sinistra rivoluzionaria organizzò un grande corteo a Milano che riuscì a coinvolgere ventimila persone. L’impegno antifascista militante di tale iniziativa era ben rappresentato dagli slogans taglienti e dalla decisione di organizzare il comizio conclusivo nella roccaforte nera di Piazza S. Babila. In quelle ore calde l’atteggiamento dei gruppi della sinistra extraparlamentare non mancò di contraddistinguersi per la sua rigidità e intransigenza, che non di rado sfociò in analisi che sostenevano la ‘legittimità della violenza’. “Avanguardia operaia” – che rivendicò la calorosa partecipazione del suo gruppo alla manifestazione milanese – esaltò la capacità organizzativa antifascista anche quando questa sfociava in atti violenti come «il forte impatto che [aveva] trasformato tre bar noti covi di fascisti in altrettanti ex bar ed ex covi fascisti, mentre due nostalgici squadristi [erano] rimasti così scossi dalla determinazione con la quale veniva condotta l’azione che [avevano] preferito andarsene, in ambulanza» 70 . A Torino, alla Spa-Stura e in numerose altre fabbriche, furono organizzati scioperi di due ore, mentre alla Pirelli di Settimo gli operai cercarono di occupare la fabbrica e a Palazzo Nuovi un’assemblea studentesca predispose un corteo interno. A Genova gli operai dell’Italsider e i lavoratori del porto proclamarono uno sciopero. Un significativo comunicato della Fm di Varese affermò che la strage di Brescia richiedeva «non solo condanne verbali ma precise iniziative politiche e di massa volte a rompere omertà e complicità di chi usa la canaglia fascista per relegare la classe operaia e tutti i lavoratori in un ruolo subalterno»71 . Commentando la prima giornata di lotta, i gruppi della sinistra rivoluzionaria riconobbero la forte carica di spontaneismo che aveva 70 71 S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, cit. Ibidem. 61 contraddistinto le manifestazioni e le risposte partite dalle fabbriche, dalle scuole e dai quartieri 72 . Queste formazioni non esitarono nemmeno a riconoscere il merito e l’impegno profuso da una parte del mondo delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio nel tentativo di porsi come guida dello spontaneismo popolare. L’atteggiamento dei sindacati, per esempio, fu considerato particolarmente positivo. Secondo “Avanguardia operaia”, essi si erano comportati nel migliore dei modi dichiarando lo sciopero generale nazionale di tutte le categorie, organizzando manifestazioni nei centri più significativi e permettendo alla classe operaia di «dar vita ad una grande giornata di lotta, di unità, di impegno antifascista, terreno di scontro che [doveva] vedere proprio la classe operaia alla testa di tutte le masse popolari, degli studenti, delle forze democratiche e antifasciste» 73 . Anche se le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria – ma, appunto, anche i sindacati e i partiti politici – cercarono di direzionare le mobilitazioni di piazza che seguirono l’attentato di Brescia, il dato che colpisce di più è il forte senso civico della popolazione e l’estesa partecipazione dal basso messa in campo in quelle 72 Per uno spaccato delle reazione alla strage da parte delle organizzazioni rappresentative e dei comuni cittadini, cfr. A. Onger, La ‘vibrata protesta’ e la denuncia. Le voci delle organizzazioni rappresentative, e R. Bresciani, L’acqua dei ‘fontanì dèle rane’. La pietà della gente, in R. Chiarini, P. Corsini (a cura di), La città ferita. Testimonianze, documenti sulla strage di piazza della Loggia, op. cit., pp. 109121. Marco Revelli ha sottolineato l’incredibile ‘intelligenza collettiva’ delle manifestazioni di Brescia, frutto di «uno spontaneo operare guidato da un senso comune sedimentato in una lunga stagione di esperienze politiche di massa e di lotte». Cfr. la sua Prefazione a G. Porta, C. Simoni, Gli anni difficili. Un’inchiesta fra i delegati Fiom di Brescia, Milano, Franco Angeli, 1990, p. 11. 73 S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, cit. Cfr. i volantini in FDFCT/Testimonianze 2/19/46-49-55. Cfr. anche le indicazioni della federazione Cgil-Cisl-Uil, in ASCD/8/PL I C 2. 62 ore. Furono innumerevoli i ciclostilati stampati e le manifestazioni organizzate dai Consigli di quartiere e dai Comitati unitari antifascisti di zona. Quelli del quartiere ‘Chiusure’ di Brescia, per esempio, sottolinearono l’estrema gravità della situazione e il pericolo che minacciava le istituzioni democratiche, e chiesero alle autorità preposte di individuare e perseguire con il massimo rigore gli esecutori, i mandanti e i finanziatori dell’attentato; alle forze parlamentari democratiche di mettere al bando tutte le organizzazioni neofasciste; al governo di accertare le responsabilità della polizia e della magistratura, colpevoli di aver permesso lo sviluppo della trama fascista più volte segnalata nella provincia bresciana 74 . A tutta la popolazione del quartiere fu ricordato che lo strumento fondamentale per sconfiggere l’eversione fascista era l’unità delle forze democratiche: bisognava perciò «partecipare attivamente e costantemente alla vita politica degli organismi di quartiere e nei partiti politici democratici combattendo in questo modo ogni forma di qualunquismo politico sotto il quale si annidano i germi del fascismo» 75 . 74 Cfr. anche il volantino firmato dal comitato di quartiere di Mompiano: «Il Consiglio di Quartiere di Mompiano […] denuncia il comportamento degli organi di polizia, che sembra non abbiano fatto tutto quanto era in loro potere per prevenire ed evitare la strage; raccoglie e sottolinea le osservazioni espresse da alcuni rappresentanti delle forze politiche bresciane, che hanno chiamato direttamente in causa la responsabilità di alcuni settori e persone degli organi giudiziari locali, i quali non sembrano dare sufficienti garanzie nel necessario perseguimento degli esecutori e dei mandanti della criminale strategia della tensione»; 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/116. 75 ASCD/14/PL I A 5, 29-05-1974. Cfr. anche: Volantino del Consiglio di Quartiere del Villaggio Prealpino, del 28-05-1974. ASCD/18/PL I C 8; Volantino del Comitato di Quartiere Don Bosco, 29-05-1974. ASCD/20/PL I C 10. 63 L’obiettivo politico I fogli della sinistra extraparlamentare misero costantemente in primo piano quegli elementi che conferivano all’attentato di piazza Loggia una forte politicità. “Lotta continua” ricordò che i terroristi neofascisti, dopo aver ripetutamente provato a mettere a segno, negli anni e nei mesi precedenti, una strage con la speranza di indebolire il sistema democratico italiano, avevano alla fine scelto di colpire in modo plateale una pacifica manifestazione antifascista, un obiettivo che poteva lasciare ben pochi dubbi sulla matrice di quel gesto: «gli assassini l’[avevano] tentata, in Emilia, in Toscana, in Lombardia, a Trieste, lungo la campagna del referendum, nell’intento di fare da battistrada all’operazione reazionaria di Fanfani e Almirante. L’[avevano] attuata [a Brescia], alla ricerca della più sanguinaria vendetta» 76 . Come si può ben capire, la carta stampata della sinistra rivoluzionaria attaccò duramente quelle teorie che sollevavano dubbi sulla matrice d’estrema destra della strage. Vi erano infatti alcune voci secondo le quali l’obiettivo reale degli attentatori era quello di far ricadere le responsabilità sulla destra, con lo scopo di inimicarle l’opinione 76 S. f., Senza titolo [d’ora in poi S. t.], “Lotta continua”, 29-05-1974. Così ha scritto Manlio Milani, marito di una delle vittime e presidente dell’Associazione dei familiari dei caduti della strage di piazza Loggia: «Quella bomba ha colpito chi aveva scelto di poter partecipare in prima persona a quella manifestazione per respingere la violenza che condizionava la vita di Brescia in quel periodo. A otto persone la vita è stata stroncata mentre domandavano – perché domandavano – tolleranza, rispetto reciproco, partecipazione». Id., Non vittime ma caduti consapevoli, in AA. VV., Le ragioni della memoria. Interventi e riflessioni a vent’anni dalla strage di piazza della Loggia, op. cit., 1994, p. 17. Sulla politicità della strage bresciana cfr. le osservazioni di G. De Luna, Le vittime dentro la storia, in Casa della Memoria (a cura di), Brescia: la memoria, la storia. Testimonianze, riflessioni, iniziative, Brescia, CdM, 2005, pp. 189-191. 64 pubblica 77 . Per la sinistra extraparlamentare la bomba di Brescia rappresentava una sorta di dichiarazione politica di una strategia che aveva già lasciato per strada i suoi inquietanti segnali a partire dalla tragedia di piazza Fontana, strategia strettamente collegata alla licenza concessa ad Almirante e al suo partito, finanziato dal denaro pubblico e alleato con le ‘crociate democristiane’. E che era anche direttamente legata – come fu continuamente ribadito – all’esito negativo del referendum che aveva 77 In quella direzione si mossero, per esempio, alcuni interventi de “Il Tempo”, “Il Resto del Carlino” e “La Nazione”. Cfr. R. Baldo, F. Jannacci, op. cit., pp. 86 sgg. Si confronti il volantino stampato dalla sezione del Msi bresciano nel giugno del ‘74 in cui vengono prese le distanze dall’attentato e si avanza implicitamente l’ipotesi di un piano della sinistra radicale per mettere sotto accusa il neofascismo italiano: «Bresciani, nel momento in cui alla naturale angoscia, al giustificato sdegno e alla rabbia, purtroppo irrazionale, subentra la calma, il raziocino, la ragione, vi chiediamo: 1) quale vantaggio avrebbe potuto conseguire il Msi-Dn dalla partecipazione diretta o indiretta alla strage, se non il linciaggio morale e fisico di cui siamo stati fatti oggetto? 2) pensate proprio che siamo così stoltamente votati all’autolesionismo. Ed allora: ragionate un po’: “cui prodest?” “a chi giova?” Per i criminali che hanno compiuto l’attentato di piazza Loggia noi chiediamo la pena si morte». FDFCT/Testimonianze 2/19/52. Ma si veda anche il documento prodotto dalla Federazione provinciale bresciana dello stesso partito nell’agosto successivo: «Governo in crisi? Bombe! Centrosinistra a pezzi? Bombe! Decreti impopolari? Bombe! Economia a rotoli? Bombe! Comunismo che avanza? Bombe e antifascismo! Italiani, è uno sporco imbroglio sulla vostra pelle! Ve lo dice la Destra Nazionale. Terrorismo: a chi giova? Sulla pelle degli Italiani il comunismo marcia verso il potere. Terrorismo: chi lo alimenta? Ministri inetti o complici danno via libera alla delinquenza. Contro i terroristi e chi li utilizza la Destra Nazionale propone: pena di morte per i reati di strage; scioglimento dei gruppi extraparlamentari; inchiesta parlamentare sulla violenza; abrogazione delle norme lassiste e permissive; autorità ed efficienza per le Forze dell’Ordine». FDFCT/Testimonianze 2/19/11. 65 bloccato i progetti reazionari della Dc, contribuendo però ad alzare la tensione nel paese 78 . In un suo articolo su “Il Manifesto”, Tiziana Maiolo fece riferimento proprio alla bomba di piazza Fontana e alla questione del referendum sul divorzio per evidenziare il grande valore politico dell’attentato: I fascisti hanno fatto una strage ieri a Brescia, più sanguinaria ancora, per proporzioni e per ferocia, a quella di piazza Fontana del ’69. Come allora, e più di allora, hanno puntato al cuore della classe operaia, dei lavoratori o degli studenti, che partecipavano ad una manifestazione antifascista di protesta per gli attentati squadristi che si susseguivano in città da alcuni mesi, in una città che, nonostante le sue tradizioni clericali ha detto no (con una percentuale del 62%) a Fanfani, ai suoi soci missini e all’abrogazione del divorzio 79 . Secondo i gruppi della sinistra radicale, era prevedibile che, una volta fallito il tentativo governativo di coprire col consenso plebiscitario la svolta 78 Cfr. S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974. Anche gli operai bresciani evidenziarono gli aspetti che collegavano la strage di piazza Fontana alle violenze del maggio ’74. Cfr., per esempio, il manifesto redatto nell’agosto successivo dal Consiglio di Zona Cgil-Cisl-Uil di Gavardo, Villanuova, Prevalle, Nuvolento, Nuvolera, Paitone, Muscoline, Mazzano, Vallio, dove si dichiarava il forte disappunto per una strategia eversiva che, dal 12 dicembre 1969, non trovava tregua. 12 dicembre 1969, ASCD/377/PL I D 7. 79 T. Maiolo, Strage. Lo scoppio all’inizio del comizio sindacale antifascista. La bomba era stata messa in un cestino dei rifiuti. Corpi lacerati, sangue dappertutto. Molti dei feriti sono gravissimi, “Il Manifesto”, 29-05-1974. 66 reazionaria, i gruppi neofascisti intendessero spostare i termini dello scontro attraverso l’attuazione di un più marcato piano antidemocratico. Sarebbe stato perciò di fondamentale importanza agire con tempismo senza lasciare il minimo spazio a quel funesto progetto, impedendo che esso si sviluppasse «traendo alimento dall’offerta di una copertura a sinistra a una politica economica ferocemente antioperaia e antiproletaria» 80 . Ciò era ancora più indispensabile dato che le forze dell’ordine e gli organi proposti alla sicurezza della cittadinanza non si erano preoccupati di bloccare gli sviluppi di una trama che aveva potuto preparare ed attuare la strage di Brescia e sembravano poco propensi ad intervenire in modo deciso contro quel piano. Queste formazioni sostennero allora che non si poteva restare immobili ad osservare l’attendismo istituzionale ed affermarono che in Italia le cose avrebbero potuto cambiare solo grazie ad una intransigente mobilitazione antifascista unita ad una più generale presa di posizione contro l’‘uso padronale’ della crisi, il carovita, la disoccupazione e la regola dello sfruttamento portata avanti dagli industriali e dal ‘loro’ governo 81 . La popolazione democratica ed antifascista aveva da parte sua già dato prova di una grande maturità: nei drammatici momenti di terrore e di panico che seguirono l’esplosione della bomba, gli operai e gli studenti del servizio d’ordine della manifestazione avevano infatti saputo gestire la situazione, organizzando i soccorsi e formando i cordoni per tenere lontana la folla e rendere possibile l’afflusso delle ambulanze che andavano avanti e indietro tra piazza della Loggia e gli ospedali 82 . 80 S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974. Cfr. il volantino Bomba fascista a Brescia contro i lavoratori del Partito di Unità Proletaria; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/82. 81 S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974. T. Maiolo, Strage. Lo scoppio all’inizio del comizio sindacale antifascista, cit. 82 67 In quel difficile passaggio della storia repubblicana la situazione appariva impantanata e non sembrava che le istituzioni e i partiti politici fossero in grado di sbloccarla. Era in quel contesto di immobilità istituzionale che – secondo il punto di vista dei gruppi della sinistra extraparlamentare – le ‘masse proletarie antifasciste’ entrarono prepotentemente in scena, non potendo esse tollerare che la strage di Brescia restasse impunita 83 . Con la solita irruenza “Lotta continua” affermò che era proprio il ‘proletariato antifascista’ che doveva assumersi la responsabilità di vigilare sui fragili meccanismi della democrazia italiana: La risposta sta nelle mani della classe operaia, delle masse proletarie, di militanti antifascisti. Nessuno deve chiedere al movimento operaio e antifascista di rinunciare alla propria forza e alla propria coscienza, e di limitarsi alla simbolica protesta, di fronte alla politica della strage, impunita o addirittura coperta e manovrata dai corpi dello stato. […] Spetta al movimento di classe, oggi come sempre, assumersi la responsabilità della punizione, della vigilanza, dell’epurazione antifascista. Questo impegno deve stare al centro della risposta senza riserva alla 83 Parlando dell’atto terroristico di piazza Loggia, Movimento Studentesco insistette sulle responsabilità della Dc nel «cercare col terrore di piegare la resistenza e la combattività delle masse e paventare il pericolo di reazione aperta per far cedere ulteriormente le organizzazioni storiche dei lavoratori; e questo non solo nella prospettiva di far passare i provvedimenti economici, ma anche di arrivare allo scontro frontale con il movimento popolare su posizioni di forza». Movimento Studentesco, 28 maggio 1974. Strage fascista a Brescia. Dossier di dieci anni di violenza fascista, supplemento al n. 34, 1974, di “Movimento studentesco”, pp. 6-7. FDFCT/Testimonianze 2/12/1. 68 infame strage di Brescia, che ha già fermato le fabbriche di tante città e raccolto nelle piazze i lavoratori, gli studenti, gli antifascisti, e che oggi farà vivere lo sciopero generale nazionale. Colpire i fascisti: imporre che il MSI sia sciolto e che il suo caporione vada in galera; presentare al governo il conto delle sue complicità e omertà con le trame nere dei corpi dello stato: questi sono i contenuti della iniziativa antifascista 84 . I fogli della sinistra rivoluzionaria ribadirono che il luogo scelto per mettere l’ordigno provava che la strage di Brescia era stata concepita per dare un segnale molto chiaro alla democrazia italiana. Proprio la brutalità dell’attentato e il suo significato politico, però, spinsero i lavoratori bresciani a dare un’altrettanto precisa risposta: gli operai della Atb occuparono prontamente il proprio stabilimento per dare visibilità alla propria esigenza di giustizia; presso l’Ideal Standard tutti gli organismi di fabbrica si riunirono in commissione permanente per seguire in modo attivo l’evoluzione della situazione; il comitato antifascista rinviò la riunione della giunta provinciale e comunale – in programma per il 29 maggio – e proclamò lo sciopero generale fino a mezzanotte, facendo forti pressioni sul prefetto della città perché disponesse la dovuta vigilanza presso le sedi dei partiti democratici e delle associazioni partigiane e perché ordinasse misure di controllo repressive contro gli arcinoti gruppi di neofascisti 85 . Il segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia Franco Torri, poco dopo l’attentato, sostenne che la strage della Loggia faceva parte «di 84 85 S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974. Cfr. T. Maiolo, Strage. Lo scoppio all’inizio del comizio sindacale antifascista, cit. 69 un disegno ben orchestrato, un disegno preparato da tempo, coperto da forze politiche e economiche, che attendeva i lavoratori al varco e che mirava ad uccidere» 86 . Secondo Torri, il capoluogo di provincia lombardo era già da tempo un canale centrale del traffico d’armi, un serbatoio di aderenti al Msi e di industriali che finanziavano i gruppi dell’estremismo eversivo ed era chiaro ormai da alcuni mesi che le squadre neofasciste avevano scelto Brescia come punto strategico della loro trama. Tale centralità sembrava inoltre essere confermata dagli ultimissimi avvenimenti. Lo stesso Torri dichiarò che un paio d’ore dopo l’esplosione della bomba in piazza Loggia era arrivata una telefonata alla Camera del Lavoro che avvertiva del posizionamento di un ordigno esplosivo anche presso quella sede. Il palazzo fu subito sgombrato ma l’evento contribuì ad aumentare ulteriormente lo sconcerto della popolazione bresciana che esigeva – in quel momento più che mai – una seria inchiesta tesa a punire non solo gli esecutori ma anche i mandanti e le forze economiche che appoggiavano il terrorismo eversivo, un’inchiesta che facesse piena luce sulle trame nere e riportasse nel paese «un clima di confronto civile e democratico» 87 . In quelle ore di grande confusione i cittadini avevano bisogno di qualcuno che garantisse loro il massimo impegno nella ricerca dei responsabili e nella prevenzione di eventuali reiterazioni di attentati. Secondo i fogli della sinistra extraparlamentare, la magistratura e le forze di polizia non avevano la capacità di fornire reali speranze alla popolazione italiana, anche perché fino a quel momento si erano occupati soltanto di delinquenti minori e non avevano mai cercato di intralciare i piani di quegli industriali bresciani dimostratisi da tempo pieni di simpatia per i gruppi della destra, estrema e non, «tanta simpatia da permettere ad Almirante di 86 87 Ibidem. Ibidem. 70 raccogliere in tre giorni 140 milioni per la sua campagna elettorale del ’72» 88 . Anche la questura – che sostenne di svolgere le sue indagini per lo più in direzione dei ‘gruppuscoli’ della destra extraparlamentare, arrivando a smentire che ci fossero indagini a sinistra – continuava a tenere un atteggiamento ambiguo. Tuttavia, nonostante nella cittadinanza permanesse una estesa sensazione di insicurezza, il senso di frustrazione non aveva avuto la meglio e vi era stata una «immediata risposta in tutti gli ambienti democratici e antifascisti di Brescia» 89 . La centralità della strage di Brescia – e delle dinamiche eversive gravitanti attorno ad essa – rispetto al progetto reazionario in quel momento perseguito nel nostro paese sembrava provata anche dai primi risultati delle indagini che mettevano in evidenza una fitta rete di collegamenti fra i gruppi dell’estremismo neofascista90 . Le inchieste attivate dopo l’arresto di Kim Borromeo e di Giorgio Spedini avevano individuato trenta imputati, di cui venti in carcere, quattro latitanti e sei a piede libero. Era cominciata l’operazione definita dalla stampa ‘Sam-Fumagalli’, avviata grazie ad alcuni numeri telefonici ed appunti rinvenuti sulla macchina dei due terroristi, che – attraverso intercettazioni telefoniche e dichiarazioni rese dagli stessi imputati – aveva portato all’arresto di figure di primo piano e al rinvenimento di rifugi e di depositi di armi. 88 Ibidem. 89 S. f., Brescia, 28 maggio, ore 10,25, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. Le organizzazioni extraparlamentari della sinistra erano convinte che a Brescia 90 confluissero tutti i fili dello stragismo e delle provocazioni fasciste che stavano colpendo il paese. In questo senso, non può essere sottovalutata l’opera dei fogli della sinistra extraparlamentare nel contrastare il mito del ‘buon bresciano’ tanto radicato nella provincia. Cfr. R. Chiarini, P. Corsini, Da Salò a Piazza Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), op. cit., pp. 336337. 71 Già il giorno dopo la strage, “Lotta continua” sostenne che la strategia eversiva bresciana appariva ben definita nelle sue linee generali: Fino a questo momento è venuta alla luce un’organizzazione terroristica i cui personaggi sono tutti nomi notissimi appartenenti ai diversi gruppi che, cambiando etichetta di volta in volta, ma evidentemente legati a un unico carro, hanno costellato di attentati la vita politica di questi ultimi anni 91 . Il quotidiano sottolineò l’estensione dei legami che univano il gruppo fondato in Valtellina da Fumagalli – il Movimento di azione rivoluzionaria – all’ambiente neofascista bresciano, citando alcuni fatti sospetti verificatesi nel periodo antecedente la strage bresciana, come la presenza di Fumagalli al processo, svoltosi l’anno precedente, ai sei militanti di Avanguardia nazionale per l’attentato alla sede del Psi, presenza che per “Lotta continua” aveva un «evidente scopo di avvertimento e di intimidazione degli imputati che avrebbero dovuto parlare» 92 . La scoperta delle centrali Sam aveva anche condotto al rinvenimento e al sequestro di una vasta documentazione contenente decine di nomi di squadristi che potevano essere di enorme utilità alle forze dell’ordine perché rivelavano le intenzioni dichiarate di varie formazioni della destra estrema93 . “Il Manifesto” diede notizia di un messaggio mandato da uno di questi gruppi 91 S. f., Gli assassini di Brescia, “Lotta continua”, 29-05-1974. 92 Ibidem. Ibidem. 93 72 al “Giornale di Brescia” per rivendicare l’attentato in piazza Loggia 94 . La lettera firmata ‘Anno zero - Ordine nero - Brixien Gau’ era arrivata alla redazione del giornale il giorno della strage, corredata da minacce e frasi inneggianti al fascismo che lodavano il valore spirituale della «morte nella propria terra in difesa della propria terra, della propria gente, della propria razza, del proprio retaggio, della propria gioventù, forza del domani» 95 . Secondo tale documento – la cui radicalità fa meglio comprendere il contesto nel quale le formazioni extraparlamentari si trovarono ad agire e, soprattutto, il carattere e il tono dei loro appelli – lo Stato democratico italiano non si sarebbe dimostrato in grado di difendere i ‘sacri valori nazionali’, consentendo alla sinistra di raggiungere posizioni chiave dalle quali poteva manovrare anche i giudici e la polizia e permettendo una degradazione della nazione che poteva essere limitata solo grazie ad un intervento diretto delle forze neofasciste: Poiché lo stato italiano democratico ha dimostrato di essere incapace a difendere quanto di più sacro v’è nel nostro popolo, poiché lo stato italiano democratico ha concesso che la peggiore 94 S. f., Strage. ‘Ordine nero’ manda un messaggio ai giornali. ‘Siamo stati noi, per tutelare l’Italia fascista e corporativa’, “Il Manifesto”, 29-05-1974. 95 Ibidem. Le indagini avrebbero poi confermato che il messaggio era stato scritto da Ermanno Buzzi, un pregiudicato bresciano vicino all’ambiente neofascista. Buzzi fu al centro della prima parte delle indagini e condannato all’ergastolo; fu però ucciso, nel 1981, da due terroristi neofascisti – Gianluigi Concutelli e Mario Tuti – nel supercarcere di Novara dove era appena stato trasferito. Proprio Buzzi – contrariamente a tutti gli altri imputati, che saranno successivamente assolti – rimarrà, a causa del suo decesso, l’unico ‘colpevole’ della strage di Brescia. Per una puntigliosa ricostruzione della ‘pista Buzzi’ cfr. V. Marchi, op. cit., pp. 73-103. Sull’assassinio di Buzzi, cfr. Ibidem, pp. 127-130. 73 teppaglia comunista si infiltrasse in ogni dove, minando lo stato e l’ordine pubblico, riuscendo ad infiltrare i suoi maiali anche nelle file della polizia, della magistratura e in ogni posto di responsabilità – noi – eredi di un glorioso passato, nati uomini e non decisi a morire schiavi, avendo validi motivi per credere che tutte le azioni imperniate sulle piste nere altro non siano che abilissimi movimenti della peggiore canaglia comunista, al cui servizio sono posti anche i peggiori delinquenti comuni, in combutta con polizia e giudici, per screditare l’unica parte sana di un popolo, abbiamo deciso di sostituirci ad essi a tutela della nostra Italia fascista e corporativa, l’Italia dei cesari e dell’ultimo dei cesari 96 . Dopo la bomba di Brescia, la struttura che sorreggeva il piano eversivo stava dunque diventando sempre più riconoscibile e, oltre ai nomi degli ‘squadristi manovali’, cominciarono a venire in superficie anche quelli di persone che rivestivano posizioni di particolare rilievo: «a Brescia si parlava con insistenza dell’emissione presunta di altri mandati di cattura per personaggi molto più importanti, tra cui uno molto famoso di un appartenente alla maggioranza silenziosa» 97 . Le indagini si stavano poi concentrando nella ricerca dei finanziatori: era noto, per esempio, che la guardia di finanza stava indagando su alcuni conti fatti congelare in Valtellina e a Brescia. Per quanto concerne i potenziali finanziatori bresciani, “Lotta continua” fece vari nomi tra cui quelli degli industriali Pasotti che, oltre ad avere assunto Borromeo, subito cacciato dagli altri 96 97 S. f., Strage. ‘Ordine nero’ manda un messaggio ai giornali, cit. S. f., Gli assassini di Brescia, cit. Come si vedrà in seguito, il nome era quello dell’avvocato milanese Adamo Degli Occhi. 74 lavoratori, operava normalmente le sue assunzioni tramite il sindacato fascista Cisnal; dei fratelli Stefana, proprietari di un complesso di acciaierie; di Oscar Comini, presidente della Brescia calcio, che aveva subito una condanna per inquinamento ma che era poi stato graziato dal presidente Leone. Un altro nome spesso ripetuto in quei giorni era quello di Marcello Mainardi, bresciano d’origine poi domiciliatosi a Bellinzona, fondatore e direttore della rivista «Riscossa», con un passato che, a partire dalla sua adesione alla Repubblica Sociale ed il suo arruolamento nella guardia nazionale repubblicana, dava chiare indicazioni sulla sua fede politica 98 . Per i gruppi della sinistra extraparlamentare era inoltre sempre più evidente il diretto coinvolgimento del Movimento sociale italiano e i loro organi d’informazione si mobilitarono per evidenziare tale aspetto tramite la divulgazione di documenti compromettenti. “Lotta continua”, ad esempio, pubblicò in prima pagina la fotocopia di una circolare interna del Msi di Brescia, firmata il 28 gennaio precedente dal segretario provinciale e consigliere regionale Umberto Scaroni, che ben dipinge una linea di condotta politica più che mai compatibile con l’escalation delle violenze dei gruppi della destra estrema: Cari Camerati, la classe dirigente del partito, pienamente cosciente della gravità dell’ora che stiamo vivendo, ha chiaramente e responsabilmente indicato, in un importante documento approvato all’unanimità del comitato centrale dell’MSI-DN la linea politica e il metodo di lotta che le forze nazionali 98 Ibidem. 75 dovranno adottare nell’ormai breve termine di tempo che precede le imminenti, importanti e forse decisive scadenze elettorali, disponendo una tattica difensiva elastica, tenace e paziente, alternata a rapide sortite e a vigorose reazioni. Al termine del primo semestre del 1974, anche a prescindere dall’esito dell’importante competizione elettorale di primavera è anche prevedibile il maturarsi di una situazione generale di estrema tensione. Non abbiamo quindi tempo da perdere, perché in questi pochi mesi dobbiamo preparare il partito ad ogni tipo di evenienza 99 . Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 99 S. f., ‘La strage è opera del MSI!’, “Lotta continua”, 29-05-1974. Il contenuto della circolare è riportato a anche in: S. f., Strage. La federazione del MSI di Brescia d’accordo con la direzione nazionale, annunciava fin da gennaio ‘un periodo di estrema tensione’. Il testo integrale di una circolare, “Il Manifesto”, 29-05-1974. 76 Come alle Fosse Ardeatine “Avanguardia operaia” aveva – in misura più marcata degli altri fogli – l’abitudine di paragonare gli atti terroristici del presente con quelli che avevano segnato la storia nazionale. Il settimanale era anche molto attento a rapportare la violenza politica italiana a quella riscontrabile oltre confine. Un suo significativo intervento – intitolato Come alle Fosse Ardeatine – mise appunto in relazione lo scenario di piazza Loggia con quello del 1944 che aveva visto la fucilazione da parte delle truppe tedesche di 335 cittadini italiani, ma anche con quelli della strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano e delle ingiustizie del regime cileno: La canaglia che ha ideato, organizzato ed eseguito l’attentato, ha dimostrato la stessa cupidigia di sangue e di stermino del boia Kesselring che decise l’eccidio delle Fosse Ardeatine nel 1944 e del boia Pinochet che ha guidato le stragi cilene del 1973. I criminali di Brescia hanno dimostrato la stessa vigliaccheria di Freda e Ventura, autori della strage di piazza Fontana nel 1969 100 . L’articolo comparò il fascismo storico con l’attività neofascista della prima parte degli anni settanta, sostenendo che il nuovo pericolo non era riconducibile alla violenza squadristica dei primi anni venti contro uomini e sedi del movimento operaio – anche questa protetta dall’apparato statale – quando assalivano e incendiavano le sedi dei sindacati e le case del popolo, 100 S. f., Come alle Fosse Ardeatine, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. 77 ma si ispirava piuttosto all’azione del fascismo delle brigate nere di Salò, dei campi di concentramento hitleriani, dei massacri organizzati dei generali cileni, dei bombardamenti dei B52 sulle popolazioni vietnamite 101 . Una critica particolarmente dura fu rivolta ad Almirante, «l’amico di Pino Rauti e dei colonnelli greci, l’uomo che ha approvato le stragi di Pinochet [e] si è affrettato, subito dopo l’eccidio di Brescia, a diffondere una dichiarazione con la quale ‘condanna’ il crimine» 102 . Era proprio questa condanna a non essere gradita da “Avanguardia operaia”, perché era considerata una scelta strategica di ripiego: il leader del Msi non aveva la possibilità di scaricare le responsabilità sulla sinistra, come aveva fatto in molte altre occasioni, e doveva allora rappresentare la commedia di una destra nazionale tanto estranea alle intemperanze delle organizzazioni estreme – come Ordine Nero, le Sam e Avanguardia nazionale – quanto sinceramente preoccupata della pubblica sicurezza. Secondo il settimanale, Almirante avrebbe agito in quel modo perché conscio che la collera popolare avrebbe presto raggiunto il punto di rottura e che in Italia c’erano «milioni e milioni di veri antifascisti, di vecchi e nuovi partigiani che [erano] ben decisi a chiudergli la bocca, a togliere alle canaglie sue pari ogni agibilità politica, ad agire con decisione affinché lo stesso parlamento [fosse] costretto a dichiarare fuori legge il MSI-DN» 103 . I gruppi della sinistra rivoluzionaria avevano sempre osservato con attenzione l’atteggiamento del Msi e il suo rapporto con la destra estrema, 101 Ibidem. 102 Ibidem. Ibidem. 103 78 divenuta particolarmente aggressiva dopo il Sessantotto 104 . Gli organi di stampa di queste formazioni, sin dai loro primi mesi di vita, non avevano mai fatto mancare le proprie critiche nei confronti di quello che veniva considerato come un legame diretto tra i due diversi piani politici. Nel corso del tempo, tali accuse erano diventate maggiormente serrate ed avevano preso di mira le connessioni venutesi a creare tra l’area neofascista e il disegno governativo: il principale oggetto della loro critiche divenne allora la Democrazia cristiana, considerata la vera responsabile della reviviscenza del fascismo, abile nel manovrare il Msi e la destra extraparlamentare per espletare la propria strategia anticomunista 105 . L’inequivocabile politicità della strage di Brescia aveva però fatto fare un balzo in avanti all’insofferenza della sinistra rivoluzionaria che, sui suoi giornali, oltre a continuare la martellante denuncia del legame Dc-Msidestra extraparlamentare, ingaggiò una battaglia accesissima con l’obiettivo di mettere fuori legge il partito dei neofascisti 106 . Secondo “Avanguardia operaia”, nei giorni immediatamente successivi all’attentato di piazza Loggia, i rapporti diretti tra le figure della ‘destra nazionale’ e i terroristi che piazzavano le bombe divennero ancora più 104 È utile ricordare che “Lotta continua” aveva avviato già dalla fine del ’70 la pubblicazione di un Rapporto sullo squadrismo teso a smascherare i componenti, gli appoggi esterni e le trame dei gruppi d’estrema destra. 105 Cfr. S. f., Anticomunismo democristiano e terrorismo fascista, in «Movimento Studentesco» (trimestrale), n. 5, luglio 1974, pp. 95-109. 106 Anche Nicola Tranfaglia ha sostenuto che vi fosse una sorta di unità d’azione – con differenziazione dei compiti – tra i gruppi neofascisti e il Movimento Sociale Italiano. Cfr. N. Tranfaglia, Cosa significa oggi antifascismo, in L. V. Majocchi (a cura di), Rapporto sulla violenza fascista in Lombardia. Testo integrale della Relazione della Commissione di inchiesta nominata dalla Giunta della Regione Lombardia, op. cit., p. XX. Cfr. anche P. Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento sociale Italiano, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 167 sgg. 79 chiari. Le rivelazioni di Nico Azzi – il quale avrebbe avuto il compito di provocare una grande strage per permettere ad altri squadristi, come Franco Maria Servello e Ciccio Franco, di scatenare un pogrom a Milano – sembravano dimostrare l’impossibilità di stabilire una chiara divisione tra neofascisti delle diverse tendenze ed organizzazioni. Per il settimanale, se esisteva una differenziazione tattica tra i fautori della politica di semplice condizionamento della Dc e quelli che tentavano di giocare un ruolo più autonomo, non era così netta come avrebbero voluto «far credere i borghesi che si adoperano in mille modi per far ‘accettare’ il MSI-DN dal quadro democratico-istituzionale» 107 . Se una distinzione poteva essere fatta, non era tra Msi ed organizzazioni esterne, ma tra i vari schieramenti interni allo stesso partito. In ogni caso, non si sarebbe dovuta compiere nessuna distinzione perché i vari punti di vista eversivi erano «tutti da colpire, in blocco e nella maniera più dura» 108 . L’articolo proseguì evidenziando che – dopo la bruciante sconfitta subita da Fanfani e da Almirante con il referendum sul divorzio – era stato lo schieramento inizialmente meno convinto della possibilità di attuare un ‘golpe strisciante’ o di far conseguire una vittoria al ‘minigollismo fanfaniano’ a prendere la decisione di rilanciare la sua funesta attività. Le persone coinvolte non avrebbero avuto niente da perdere ma tutto da guadagnare, potendo contare su cospicui finanziamenti di grossi capitalisti e sulla protezione di ampi settori dell’apparato statale. L’unico intoppo che si sarebbe potuto verificare era l’arresto di qualche ‘manovale del tritolo’. Seguendo questa logica, il rilancio della strategia degli attentati appariva come una mossa quasi scontata 109 . 107 S. f., Come alle Fosse Ardeatine, cit. 108 Ibidem. Ibidem. 109 80 In tale progetto – continuò “Avanguardia operaia” – Brescia rivestiva un ruolo decisivo. La morte di Silvio Ferrari, pochi giorni prima della strage di piazza Loggia, era per esempio un segnale che non avrebbe dovuto essere sottovalutato. Inoltre, l’indifferenza delle forze dell’ordine aveva dimostrato che i gruppi reazionari potevano contare su una tranquillità d’azione garantita dalle figure istituzionali italiane, le quali, pur essendo a conoscenza di una serie di elementi utili sugli obiettivi del piano eversivo, non avevano voluto intervenire110 . Per il settimanale di agitazione comunista, il lassismo degli organi preposti a garantire la sicurezza della popolazione italiana era così divenuto uno dei punti di forza della strategia dell’eversione: Questi fascisti sanno che ci saranno sempre un Leone o un Fanfani che anche di fronte a sei lavoratori massacrati da una bomba nera, non sapranno fare di meglio che rilanciare la triste teoria degli opposti estremismi. Sanno che tutti i fautori della strategia della tensione non puntano tanto a risolvere il problema di un capovolgimento dei rapporti di forza tra le classi con una singola impresa terroristica, ma piuttosto mirano a creare un 110 Ibidem. Questo argomento era stato sostenuto anche alla Camera dei deputati. Cfr. le parole del socialista Vincenzo Balzamo: «A Brescia tutti temevano qualcosa di grave dopo la morte del giovane fascista salato in aria con la sua moto mentre trasportava esplosivo. Tutti temevano e tutti ne parlavano! Perché allora non è stato predisposto un adeguato sevizio di sorveglianza nella piazza, prima e durante la manifestazione?». ‘Discorso di Vincenzo Balzamo alla Camera dei deputati, 28-05-1974’, in AA. VV., La strage fascista di Brescia. Dibattito parlamentare. Discorsi, articoli e interrogazioni dei rappresentanti del Partito socialista italiano, Roma, SETI, 1974, p. 7. 81 clima pesante, a logorare le masse popolari, a determinare un’attesa di ordine a qualunque costo 111 . Secondo “Avanguardia operaia” l’esistenza di uno stretto intreccio tra le esigenze politiche dei democristiani e gli obiettivi dei gruppi neofascisti non poteva più dunque essere messo in discussione. Proprio quell’esempio di connivenza avrebbe potuto però essere utilizzato come elemento di riflessione per meglio comprendere altre realtà, come quella cilena, dove la predisposizione all’omertà di Eduardo Frei lo aveva portato a giocare al golpe con i generali, anche se poi era stato eliminato dal gioco all’ultimo momento. Inoltre, soltanto una prospettiva politica intrisa di omertà avrebbe potuto spiegare l’atteggiamento della Democrazia cristiana, ertasi a protettrice dei nostalgici del fascismo per tutto il trentennio repubblicano. Tramite queste agguerrite considerazioni veniva tratta un’indicazione per tutto il movimento antifascista: i gruppi neofascisti non dovevano essere sottovalutati perché erano inseriti nel sistema di potere della borghesia e dell’imperialismo americano ed erano abbastanza forti da spingere il movimento operaio sulla difensiva112 . Per questo dovevano «essere attaccati nel modo più audace, con lo schieramento più largo possibile e con l’azione diretta» 113 . Una mobilitazione di quel tipo – ribadì l’articolo – sembrava allora realizzabile in Italia perché nel paese c’era una schiacciante maggioranza antifascista. Il momento era particolarmente opportuno per le forze che 111 S. f., Come alle Fosse Ardeatine, cit. Cfr. S. f., DC e USA alle spalle dei fascisti, in «Movimento Studentesco» (mensile), n. 33, giugno 1974. 113 S. f., Come alle Fosse Ardeatine, cit. 112 82 combattevano contro lo schieramento neofascista. Le masse democratiche si mobilitavano spontaneamente per togliere ai gruppi reazionari la possibilità di agire, per fare in modo che stragi come quella di piazza della Loggia non accadessero mai più. Si sarebbe allora dovuto approfittare della sensibilità popolare per ‘smascherare’ la Dc e chiarire a tutti i cittadini italiani che il ‘partito clericale’ non era intenzionato ad eliminare i propri legami con i la destra eversiva 114 . La conclusione a cui portavano le riflessioni del settimanale non lasciavano spazio a dubbi di sorta: in quella fase storica – caratterizzata dalla forte valenza politica della bomba bresciana – la responsabilità di classe della sinistra rivoluzionaria non poteva limitarsi all’organizzazione di qualche corteo. Essa doveva spingersi fino alla realizzazione di una svolta definitiva: Questa volta il nostro impegno antifascista militante non può esaurirsi in qualche giornata di mobilitazione, in tanti discorsi e in qualche azione esemplare. Dalla strage di Brescia deve partire un impegno più deciso e più concreto: la mobilitazione finirà soltanto quando i fascisti saranno messi fuorilegge, sulle piazze della mobilitazione popolare ancora prima che in Parlamento 115 . 114 115 Ibidem. Ibidem. 83 Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 84 La collera popolare Man mano che le ore passavano, la valenza politica della strage di Brescia era sempre più tangibile. I fogli della sinistra rivoluzionaria furono pronti a recepire lo sgomento della popolazione e ad evidenziare le prese di posizione della cittadinanza nei confronti del regime democristiano 116 . Naturalmente, nella stesura degli articoli i toni continuarono ad essere molto accesi e le notizie furono riportate con un’enfasi che tendeva a strumentalizzare lo sconcerto generalizzato della popolazione e a presentarlo come un espressione della vicinanza delle masse ai gruppi della sinistra extraparlamentare. Tuttavia, questa era un’operazione che si limitò ad approssimare per eccesso il valore politico di una partecipazione popolare che, nel suo complesso, si richiamava direttamente alla forza ideale – ma anche idealizzata – della lotta di liberazione e che spesso, in quei momenti di massima tensione, si avvicinava istintivamente a quelle pulsioni politiche che per il composito settore politico oggetto di questo studio costituivano invece il fondamento stesso della propria esistenza 117 . 116 Cfr. queste titolazioni di prima pagina: Una mobilitazione di popolo tra le più grandi del dopoguerra grida di farla finita col fascismo, si indirizza contro la Dc e il suo regime, vede schierati in prima fila gli operai contro la linea di governo e la crisi del paese. Da Milano a Napoli, dalle città alle province, la protesta diventa furore di massa, “Il Manifesto”, 30-05-1974; In milioni nelle piazze, per far giustizia dei fascisti e dire che la misura è colma, “Lotta continua”, 30-05-1974. 117 Questa interpretazione è corroborata dalla descrizione di quelle giornate effettuata da R. Chiarini e P. Corsini. Secondo i due storici, nonostante il Consiglio comunale e provinciale – con l’appoggio di tutte le forze politiche antifasciste – cerchino di dare uno sbocco unitario-istituzionale alla mobilitazione popolare, «la direttrice che anima il ‘movimento’ e che riesce ad imprimere la connotazione di fondo al clima dei giorni successivi alla strage fino ai funerali, punta […] ad una ‘sostituzione’ dell’apparato dello stato che culmina in una sorta di ‘conquista’ della città». Id., Da Salò a Piazza 85 Due giorni dopo la strage, dalle colonne de “Il Manifesto” Luigi Pintor osservò che era giunto il momento in cui le cose dovevano cambiare in modo permanente perché «anche chi [aveva] chiuso gli occhi per non vedere la qualità nuova del voto del 12 maggio non [poteva] chiuderli di fronte alla risposta che milioni di persone, anzi tutto il paese, [avevano] dato alla strage fascista di Brescia» 118 . Pintor chiese ai suoi lettori di riflettere sugli elementi che rendevano particolarmente significativo quel momento di violenza reazionaria: non si trattava solo dell’imponenza dello sciopero e delle manifestazioni di massa che l’avevano accompagnato, ma «di un clima e di una sostanza diversa da altri sussulti antifascisti del passato» 119 . Nell’articolo venne sottolineata la coesione della popolazione ed il forte ruolo giocato dalla classe operaia che con la propria partecipazione voleva esprimere un sentimento di collera contro la ferocia dell’attentato bresciano 120 . Secondo Pintor, la mobilitazione popolare aveva prima di tutto il valore di una reazione consapevole e d’avanguardia alla crisi che stava vivendo la nazione, contro gli esiti funesti della quale il fronte operaio e di massa intendeva lottare. Il dirigente de “Il Manifesto” fece inoltre molta attenzione ad evidenziare il forte autocontrollo del popolo antifascista; le sue parole tesero tuttavia a legittimare l’impulso che, in quella situazione di inaffidabilità dei pubblici poteri, poteva portare ad una forma di reazione diretta contro le centrali neofasciste 121 . Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), op. cit., p. 341. 118 119 L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, “Il Manifesto”, 30-05-1974. Ibidem. 120 Cfr. anche S. f., Brescia. Decine di migliaia di persone in piazza della Loggia, la piazza della strage, a portare il cordoglio e l’impegno antifascista, “Il Manifesto”, 30-05-1974. 121 L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, cit. 86 Anche in questa occasione, il fatto che un foglio come “Il Manifesto” – che non era certo il più radicale tra gli organi della sinistra extraparlamentare – si sentisse autorizzato a fare concessioni di principio nei confronti di prese di posizione violente, la dice lunga sul clima che si respirava in quei giorni. D’altronde, è da tenere costantemente in considerazione che il sentimento scaturito dalla risposta al gesto terroristico di piazza Loggia aveva permeato di sé l’intera società italiana, tanto da rimettere in discussione i rapporti di potere consolidati e da potersi definire «una sorta di Sessantotto locale» 122 . “Lotta continua” descrisse le manifestazioni del giorno successivo all’esplosione della bomba come un evento di proporzioni epocali, che provava il nuovo spirito rivoluzionario della popolazione antifascista: Milioni e milioni di persone hanno sfilato ieri nelle strade, hanno gridato la loro volontà di giustizia antifascista, hanno riempito le piazze. Mai, a nostra memoria, si era registrata una simile presenza di massa nelle piazze in una giornata di lotta. […] Il movimento di classe e democratico ha dimostrato di che pasta è fatto, di fronte a chi lavora per ricattare e intimidire con le bombe, con le stragi vigliacche, con la morte più feroce seminata fra donne bambini, lavoratori. […] E c’è, in questa forza di massa, una determinazione nuova, diversa da quella di tanti altri momenti in cui pure il movimento antifascista è stato 122 G. Porta, C. Simoni, op. cit., p. 23. 87 chiamato a rispondere; c’è la convinzione che la misura sia colma, che una trasformazione profonda è matura 123 . Osservando gli interventi dei fogli della sinistra rivoluzionaria di quei giorni, appare dunque distintamente la convinzione dei loro redattori di trovarsi di fronte ad un cambiamento senza precedenti – che si sposava con l’illusoria persuasione di essere poco distanti da un mutamento rivoluzionario della società italiana. Le cose non avrebbero più potuto essere come prima e ciò sarebbe stato dimostrato dal processo di dissoluzione degli argini tradizionali dell’unità antifascista che si stava verificando in quelle ore e che aveva portato le masse a fischiare i rappresentanti della Dc, facendo mutare repentinamente atteggiamento agli «uomini del potere che il giorno prima in parlamento, avevano osato coprire la barbarie fascista e le proprie complicità politiche con la tesi mascalzonesca degli opposti estremismi, [i quali avevano invece] dovuto tacere o cambiar tono di fronte al paese reale» 124 . E la voce del paese reale era quella delle masse che avevano composto la maggioranza del 12 123 Secondo il giornale, il tragico evento di Brescia aveva fatto maturare nella coscienza delle grandi masse la volontà di compiere un mutamento rivoluzionario che doveva coinvolgere in profondità la società: «Fare giustizia dei fascisti di ogni risma, rovesciare la politica economica del grande capitale e del governo, imporre una nuova conduzione del potere: questi sono i problemi, l’uno all’altro legati, che stanno nella coscienza delle grandi masse, che esigono una risposta, che si fanno sempre più urgenti. Come non riconoscere la profondità e l’ampiezza di questo processo sociale, la sua potenzialità rivoluzionaria?», S. f., Il polso del paese, “Lotta continua”, 30-051974. Il testo dell’articolo era stato anche utilizzato per la stesura di un volantino firmato da Lotta continua e intitolato La misura è colma. Cfr. FDFCT/Testimonianze 2/19/35, 30-05-1974. 124 L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, cit. 88 maggio, una parte delle quali – di fronte ad una forte sensazione di insicurezza amplificata dall’ambiguità dell’atteggiamento degli organi istituzionali – si stava pericolosamente organizzando per colpire fisicamente una serie di obiettivi, come le sezioni del Msi, le federazioni della Cisnal e le sedi del Fuan 125 . Per cogliere dalla giusta prospettiva le sfumature dell’atmosfera che contraddistinse quelle giornate è però necessario tenere bene a mente che la tendenza istintiva a reagire contrapponendo violenza alla violenza non fu una prerogativa esclusiva della sinistra rivoluzionaria ma coinvolse anche una parte non trascurabile della cittadinanza scesa nelle piazze a protestare. A Napoli, per esempio, gli operai e i componenti della base del Pci – i quali interpretarono la strage di Brescia come un attacco alle loro lotte e alla loro coscienza antifascista – reagirono con molta durezza. La mobilitazione in quella città venne vissuta assai intensamente, con coerenza politica ma con una asprezza di toni raramente raggiunta prima di allora. Per le strade del centro «ogni volta che si spargeva la voce di una sezione fascista colpita erano abbracci, salti di gioia, e una festa collettiva» 126 . Anche Roma 125 S. f., ‘Msi fuorilegge, no alla Dc che lo protegge’ è stata la parola d’ordine delle manifestazioni, “Il Manifesto”, 30-05-1974. Per Movimento Studentesco l’insofferenza delle masse antifasciste nei confronti della Democrazia cristiana doveva essere convogliata in un più vasto programma democratico: «Battere tutti i provvedimenti reazionari dei governi DC e della borghesia internazionale, che puntano allo scavalcamento delle stesse libertà costituzionali, costruire momenti di democrazia progressiva, difendere concretamente i lavoratori dal terrorismo economico non è un complemento ma il fondamento della lotta e della vittoria antifascista». Prefazione all’opuscolo Movimento Studentesco (a cura di), 28-5-1974. Strage di piazza Loggia. La violenza fascista a Brescia, 30-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/16/4. 126 S. f., La stessa maggioranza dell’8 febbraio e del 12 maggio spazza da Napoli le sedi fasciste, “Lotta continua”, 30-05-1974. 89 rispose in modo molto partecipe: quattrocentomila cittadini romani manifestarono dal Colosseo a S. Giovanni. C’erano migliaia e migliaia di bandiere rosse e di striscioni portati prevalentemente da gruppi di operai di Roma e del Lazio, ma anche da appartenenti ad altre categorie, dagli statali agli ospedalieri agli studenti. Gli interventi pronunciati dagli esponenti democristiano, socialdemocratico e liberale furono coperti da sonori fischi e slogans che salirono da tutta la piazza mentre «batteva precipitosamente in ritirata l’unica bandiera scudocrociata presente» 127 . Alcuni gruppi si diressero poi verso varie sedi del Msi per attaccarle, lottando contro le cariche e i candelotti dei carabinieri. Particolarmente irruenti furono le azioni di un gruppo di antifascisti provenienti dai quartieri proletari, da Primavalle a Garbatella. “Lotta continua” confermò la sua radicalità dimostrandosi compiaciuta dell’aggressività con cui «Roma proletaria, democratica e antifascista [aveva] detto di nuovo NO, a 15 giorni dal referendum, al terrorismo fascista» 128 . A Milano, al grido di ‘Morte al fascio’, «oltre un milione di lavoratori in sciopero [avevano invece] paralizzato per quattro ore tutta la città» 129 . Un forte spirito d’insofferenza alle trame fasciste – sostenne “Il Manifesto” – accomunava così tutta la 127 S. f., Grandiosa risposta dei proletari romani. In 400 mila dal Colosseo a S. Giovanni. Distrutte numerose sedi fasciste, “Lotta continua”, 30-05-1974. Secondo “Il Manifesto”, furono applauditi calorosamente solo i rappresentanti dei sindacati, Lama, Macario e Vanni, e dei partiti della sinistra, Amendola per il Pci, Mariotti per il Psi, Ferrarirs per il Pdup-Manifesto. Cfr. S. f., Roma. Tutta la città in piazza. Corteo al grido di “Lotta di classe contro i fascisti, fuori dal governo compagni socialisti”. 300.000 al comizio a San Giovanni. Distrutte alcune sedi del Msi, scontri con la polizia, “Il Manifesto”, 30-05-1974. 128 S. f., Grandiosa risposta dei proletari romani, cit. S. f., Milano. Sei cortei operai, 250.000 in piazza. La polizia spara ad altezza d’uomo contro i dimostranti di fronte alla sede del Msi. Collera e tensione per la strage di Brescia nelle strade e nelle fabbriche, “Il Manifesto”, 30-05-1974. 129 90 penisola e «in molti centri, del nord e del sud, la collera popolare si [era] trasformata in furore» 130 . 130 S. f., Milioni di persone in piazza, in tutte le città d’Italia, per ripetere più forte il no del 12 maggio: no al fascismo, no alla Dc. Gli operai ovunque guidano i cortei. Distrutte e incendiate decine di sedi dell’Msi, “Il Manifesto”, 30-05-1974. Per avere un’idea dell’estensione e dell’aggressività della partecipazione antifascista di quelle ore, cfr. le seguenti titolazioni di colonna: Bologna. ‘Morte al fascismo’, grida il sindaco davanti ai centomila di Piazza Maggiore. Incidenti al termine del comizio; Napoli. Più di 200.000 in piazza, decine di cortei. Distrutta la sede dell’Unione monarchica, della Cisnal, del Fuan. Tre ore di scontri sotto la federazione del Msi. Un delegato dell’Alfa sud al comizio attacca il sindaco dc che parla di ‘opposti estremismi’; Nuoro. Cariche e fermi contro i compagni che si dirigono verso la sede del Msi; Taranto. Due cortei di operai, più di 20.000 in piazza; Torino. 100.000 a piazza S. Carlo; Viareggio. Date alle fiamme carte e striscioni fascisti; Catania. La città siciliana ha confermato ieri con un imponente sciopero la scelta antifascista del 12 maggio; Bergamo. Più di 15.000 alla manifestazione dei sindacati. Distrutte le sedi Msi di Bergamo e Lovere; Firenze. Per far parlare un democristiano si discrimina Enriques Agnoletti, che parla lo stesso e chiede a nome dei partigiani lo scioglimento del Msi; Como. La polizia carica il corteo sotto la sede del Msi. Picchiato un giovane socialista; Venezia. 30.000 in corteo di cui almeno la metà operai. Il petrolchimico fermo 24 ore; Cagliari. In piazza una presenza analoga a quella per l’attentato a Togliatti nel ’48; Bari. Sciopero al cento per cento; Trieste. In più di 10 mila sotto la sede del Msi. Anche a Monfalcone imponete corteo; Trento. 15 mila in piazza. I compagni anziani non ricordano di aver mai visto una folla simile; L’Aquila. Veglia della Flm. 15.000 al corteo e al comizio, in “Il Manifesto”, 30-051974. Il NO di Genova e della Liguria; Trento: 10.000 in piazza contro i fascisti e le connivenze della DC e dei corpi dello stato; Torino operaia e antifascista si riversa nelle piazze: fuorilegge il MSI!; Firenze antifascista risponde compatta alla criminale strage. 100.000 compagni in piazza. In tutta la Toscana decine di migliaia di compagni in corteo. A Viareggio e Pietrasanta vanno in fumo le sedi del MSI; In tutta l’Umbria immediata reazione proletaria. 10.000 compagni a Perugia sotto la sede del MSI; Genova. Piazza De Ferrari completamente piena di almeno 40.000 proletari. Sonoramente fischiati gli oratori della DC, del PLI, del PSDI. A Savona due cortei operai autonomi precedono la manifestazione ufficiale. A La Spezia 25.000 compagni si prendono la piazza; In tutti i centri dell’Abruzzo cortei e manifestazioni. 5.000 91 Di fronte alle azioni violente che si verificarono in quelle ore, le posizioni dei fogli della sinistra extraparlamentare oscillarono dall’accondiscendenza all’esaltazione della spontaneità di quei gesti. Certo i gruppi rivoluzionari non condannarono quello spirito d’iniziativa, contribuendo – casomai – con la durezza del proprio linguaggio a fomentarlo indirettamente. Tuttavia, dai loro organi di stampa non partirono mai appelli tesi a spronare risoluzioni violente, in senso fisico. Sulle loro pagine si trovavano invece spesso riflessioni che additavano l’elevato tasso di violenza di quei giorni come un indicatore che non doveva essere sottovalutato dagli organi istituzionali perché dimostrava che il contesto politico che aveva permesso la strage di Brescia non poteva più essere tollerato. Nonostante avessero la convinzione di trovarsi in un momento storico potenzialmente favorevole ai loro progetti rivoluzionari, queste forze politiche si dimostrarono abbastanza lucide da ammettere che gli obiettivi sopra i quali dirigere i loro impegno immediato erano altri e che – in ogni caso – isolate politicamente avrebbero potuto fare ben poco. compagni a Pescara subissano di fischi la DC. Chiusa la sede del MSI a Teramo; Latina è antifascista: 10.000 operai scendono in piazza; A Taranto e a Bari gli operai alla testa di una mobilitazione che non ha precedenti; A Milano la più importante mobilitazione operaia di questi anni. Centinaia di migliaia di operai, di studenti, di antifascisti in piazza Duomo. Dalla piazza, oltre 15.000 compagni riformano un corte che al grido di ‘gli assassini sono in via Mazzini’ si scontra con la polizia sotto la federazione provinciale del MSI; In tutto il Veneto enormi manifestazioni. Zittiti gli oratori democristiani. Prolungato lo sciopero in molte fabbriche; La Sicilia si è fermata con un grande sciopero. 20.000 a Palermo. 10.000 a Catania:provocazione fascista, appoggiata dalla polizia, viene rintuzzata dai compagni; 20.000 in piazza a Cagliari. Furiosa carica della polizia a Nuoro davanti alla sede del MSI; Calabria. 7000 proletari in piazza a Reggio. A Cosenza, Catanzaro, Crotone, Castrovillari, grandi manifestazioni antifasciste; 60.000 in piazza a Bologna, 40.000 a Reggio Emilia, decine di migliaia in piazza in tutta la regione; A Salerno 20.000 in piazza, con una forte presenza dei braccianti di Eboli, in “Lotta continua”, 30-05-1974. 92 Per imporre un cambiamento che andasse oltre le sterili pronunziazioni verbali ripetute in quei giorni ed attivare un processo che conducesse finalmente alla verità, esse prospettarono allora una insistita azione di tutta la sinistra, la quale doveva imporre lo scioglimento del Msi, mettere sotto accusa i corpi dello Stato e i politici responsabili, rimuovere ogni possibile alibi della Democrazia cristiana e portare alla ribalta la carica antifascista espressa dopo il tragico evento di Brescia dalle grandi masse 131 . Pintor – nell’articolo sopra citato – mise sotto accusa la Dc, attaccò Fanfani e giunse a proporre l’antidoto di una ritrovata unità d’azione delle sinistre: Il telegramma inviato a Brescia da Fanfani è scritto da un mussoliniano, e non solo per il linguaggio, ma per la sostanza: non osa bollare come fascista la strage, parla solo (e sembra lamentarsene) di impossibili ritorni al fascismo, ma subito si riferisce a opposte sovversioni e invoca autorità. Quest’uomo è utile al fascismo solo in quanto sogna di assumerne, con correzioni, l’eredità. Vuole «svuotare» la spinta di destra ponendosi in concorrenza col boia Almirante, perciò se l’è trovato alleato il 12 maggio, e perciò ne utilizza anche la 131 In una testimonianza raccolta il primo marzo del 1994, Roberto Cucchini – militante nella sinistra extraparlamentare al tempo della strage (e uno dei feriti di quest’ultima) – affermava quanto segue: «Io rivendico ancora, a distanza di vent’anni, l’onestà di fondo di un atteggiamento che portava le forze della nuova sinistra a denunciare la natura della strage. Se c’è qualcuno che allora ha cercato, pur con i limiti e con le semplificazioni estremistiche che c’erano in quella nostra generazione, di difendere quella verità, in fondo sono state le forze della nuova sinistra». In G. Porta, La memoria difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., p. 44. 93 violenza provocatoria per cercare di rafforzare la propria «autorità», non democratica ma di regime: un regime impastato di corruzione, di arbitrio, di potenza economica e perciò terreno di coltura di ogni violenza antioperaia e antidemocratica. Di nuovo, non siamo noi che teorizziamo collaborazioni e compromessi con un partito e un regime così fatti, è la strategia dei grandi partiti della sinistra: ma è una ragione di più perché proprio questi partiti non si sottraggano almeno tatticamente a una lotta comune di tutta la sinistra capace di tagliare le unghie più avvelenate della Dc e del suo gruppo dirigente 132 . Come si vede, una volta ancora gli stessi partiti del movimento operaio furono presi di mira per essersi immischiati nelle strategie governative e per non aver saputo prendere un’adeguata posizione dai palchi delle manifestazioni cui avevano partecipato 133 . In questo caso, però, le critiche si proponevano di essere la base di partenza per la costruzione di una nuova piattaforma comune. Riferendosi alle manifestazioni romane, “Il Manifesto” rintracciò nella partecipazione dei dimostranti una spinta ideale di classe che si rivelava anche attraverso una ferma richiesta ai socialisti di abbandonare il governo: 132 L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, cit. 133 Così “Lotta continua”: «Le cose dette dai palchi, è perfino superfluo registrarle. Comizietti di maniera, sdegno e cordoglio, appelli allo stato perché intervenga, appelli alle masse perché se ne stiano buone. In pochi casi ci sono state eccezioni. I socialisti hanno ripetuto le loro litanie periodiche sulla necessità di far pulizia nei corpi separati dello stato; le hanno dette tante volte, e tante volte abbiamo risposto che sono loro a funzionare come un’appendice separata dello stato democristiano. […] È difficile andare a dire agli antifascisti che sarà lo stato a chiudere i covi delle canaglie nere: lo stato è schierato in armi a difenderle». S. f., Il polso del paese, cit. 94 l’evento venne definito come «una possente manifestazione di sdegno antifascista del popolo romano» 134 . L’aspetto che più degli altri venne messo in evidenza, ad ogni modo, era la capacità dell’ideale antifascista di unire operai, artigiani, impiegati, studenti, donne – alcune delle quali avevano sfilato dietro lo striscione ‘Movimento femminista contro il fascismo’ –, rappresentanti delle forze politiche, del Pci, del Psi, del Manifesto-Pdup, con migliaia di cittadini raggruppati dietro gli striscioni dei collettivi di Lotta Continua e Avanguardia Operaia 135 . Il quotidiano comunista dipinse uno scenario colorito in cui la gente stentava a trattenere l’emozione: molti piansero e una buona parte della folla gridò ‘La Dc è il mandante’ quando il vicesegretario democristiano Giovanni Marcora – durante il suo intervento – chiese che fosse fatta rapidamente luce sulle responsabilità 136 . 134 S. f., Roma. Tutta la città in piazza. Corteo al grido di ‘Lotta di classe contro i fascisti, fuori dal governo compagni socialisti’. 300.000 al comizio a San Giovanni. Distrutte alcune sedi del Msi, scontri con la polizia, “Il Manifesto”, 30-05-1974. 135 Ibidem. Per un esempio di impegno democratico femminile che aiuta a comprendere le dimensioni dell’astio popolare imperversante nelle piazze italiane durante quelle giornate, cfr. il volantino intitolato Basta con la violenza che uccide le nostre famiglie! Vogliamo il rinnovamento nelle mani del popolo, del direttivo bresciano della Lega delle donne comuniste italiane: «Donne, operaie, casalinghe bresciane noi donne che ogni giorno lottiamo per garantire una vita dignitosa alle nostre famiglie, un avvenire sicuro per i nostri figli, che ci battiamo per una nuova unità della famiglia come abbiamo espresso nel voto del 12 maggio, abbiamo visto come tutti i nostri desideri e i nostri sentimenti di amore e di progresso vengono distrutti di colpo da una bomba messa in piazza per uccidere i lavoratori. […] Donne, uniamoci ancora più profondamente in un fronte a fianco degli operai, dei nostri mariti perché giustizia sia fatta, per far cadere questo maledetto governo protettore dei fascisti»; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/30. S. f., Roma. Tutta la città in piazza, cit. 136 95 La città ferita al cuore La partecipazione popolare antifascista che aveva investito tutta la nazione era – com’è ovvio – particolarmente accorata nella città dove l’attentato era stato commesso. Qui la mobilitazione di massa coinvolse uno schieramento politicamente trasversale di cittadini unitisi per protestare contro l’uso indiscriminato della violenza 137 . Certo, le forze politiche e sindacali che avevano profuso maggiore impegno durante le manifestazioni erano quelle legate al movimento operaio, con gli stessi lavoratori quasi sempre in prima linea. “Lotta continua” sottolineò come nelle ore immediatamente successive all’esplosione della bomba, al terrorismo criminale di matrice neofascista si fosse opposta «una mobilitazione operaia che forse non [aveva] precedenti nella sua storia» 138 . Per rendere omaggio alle vittime della violenza fascista, il giorno dopo la strage, furono piantate bandiere rosse ad ogni angolo della strada, le assemblee sui luoghi di lavoro si riempirono e molte fabbriche vennero occupate. La città fu letteralmente assediata da una moltitudine di lavoratori convinti a mettersi 137 Cfr. quanto scritto in un comunicato del direttivo bresciano dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia: «Brescia e provincia non cadranno nella trappola della provocazione, non daranno tregua agli attentatori e nemici della libertà: lo dimostra la ampia, forte, responsabile mobilitazione di tutti i cittadini senza distinzione di parte»; 30-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/115. 138 S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, “Lotta continua”, 30-05-1974. Parlando della straordinaria risposta civile e politica dei giorni successivi alla strage, Gianfranco Porta ha sottolineato che «poche volte nell’intera storia unitaria italiana la popolazione di una città era più che raddoppiata per l’afflusso di una massa imponente di popolo che voleva testimoniare la propria solidarietà, l’impegno a respingere quello che era nitidamente percepito come un attacco alla democrazia e alla convivenza pacifica del paese, a gridare il proprio sdegno». G. Porta, La memoria difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 19741994, op. cit., p. 35. 96 in gioco, a far sentire la propria voce, a dimostrare che non erano disposti a lasciarsi intimidire dalle strategie reazionarie in atto nel paese: Chi oggi arriva a Brescia da una qualsiasi delle strade che conducono alla città, si trova immediatamente di fronte al peso concreto e tangibile di questa straordinaria mobilitazione operaia. Ogni fabbrica, ogni officina, ogni luogo di lavoro è presidiato da picchetti di operai e di impiegati che tengono in pugno le bandiere rosse. Ovunque si sente la forza di una classe operaia che si è mossa compatta e ha detto basta, ma che vuole nello stesso tempo andare avanti su precisi obiettivi, senza concedere un attimo di tregua all’avversario 139 . Dal punto di vista dei fogli della sinistra rivoluzionaria, la volontà antifascista dei cittadini bresciani diventava sempre più consistente col passare del tempo. Già il giorno successivo alla strage, tale determinazione aveva manifestato tutta la sua forza alla Camera del Lavoro, grazie alla partecipazione di migliaia di delegati e operai che, con la loro voce, avevano disturbato l’intervento ‘moderato’ ed ‘equivoco’ di Giancarlo Pajetta, richiedendo a pieni polmoni la mobilitazione contro il Msi, contro il questore, contro il giudice bresciano Giovanni Arcai, considerato dai gruppi della sinistra extraparlamentare di chiare simpatie neofasciste 140 . 139 S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, cit. 140 Per alcuni elementi che aiutano a comprendere la controversa posizione del giudice, cfr. V. Marchi, pp. 191-213. Cfr. anche C. Sabatini, Strage di Brescia. Fascismo e classe operaia, in AA. VV., Piazza Loggia. 28 maggio 1974. Una strage fascista, Brescia, Cgil, 1994, p. 41. 97 Molte assemblee continuavano inoltre ad essere organizzate nelle fabbriche bresciane. Quella che coinvolse il maggior numero di persone si svolse alla Om-Fiat: nel più grande stabilimento della città, quattromila operai avviarono una discussione alla presenza del ministro Luigi Bertoldi e del membro della direzione del Pci Ugo Pecchioli, votando infine una lunga mozione che non lasciava alcun spazio agli equivoci. Bisognava colpire gli esecutori e i mandanti della violenza nera partendo dall’attivazione di iniziative concrete tese a mettere fuorilegge il Msi, e occorreva dimostrare il proprio spirito di solidarietà di classe aprendo una sottoscrizione in favore delle vittime del massacro 141 . Anche alla seconda fabbrica di Brescia, la Sant’Eustacchio, dopo una discussione a cui era intervenuto anche Franco Bolis della segreteria nazionale di Lotta Continua, l’assemblea votò all’unanimità una mozione nella quale si chiedeva un 141 Cfr. l’ordine del giorno del 29 maggio approvato dall’assemblea permanente dei lavoratori della fabbrica bresciana: «L’assemblea dei lavoratori della OM-FIAT di Brescia, riunita in permanenza nella giornata del 29 maggio in seguito alla strage di Piazza della Loggia provocata da una bomba fascista, CONDANNA coloro che – esecutori, mandanti e protettori – hanno mostrato la precisa volontà di arrestare il processo di crescita democratica affermato dalle lotte operaie, RIVENDICA precisi interventi per far luce sul disegno reazionario in atto e su tutti coloro che lo sostengono direttamente e indirettamente. In questo senso l’assemblea dei lavoratori della OM-FIAT di Brescia CONDANNA l’operato delle forze dell’ordine che hanno effettuato perquisizioni nelle abitazioni di lavoratori militanti e dirigenti sindacali, contribuendo a creare in tal modo un clima di confusione e di incertezza attraverso il quale si facilita la realizzazione di un disegno di restaurazione autoritaria. Per questo l’assemblea dei lavoratori della OM-FIAT di Brescia RIAFFERMA la volontà di contrastare tale disegno anche attraverso la conclusione del processo di unità sindacale; PROPONE a tutti i lavoratori e alle forze democratiche iniziative atte a mettere fuori legge il MSI-DN. DECIDE di manifestare una forma di solidarietà concreta con le famiglie dei caduti, aprendo una sottoscrizione fra tutti i lavoratoti della OM-FIAT ed invita tutti i consigli di fabbrica a trasferire l’iniziativa a tutta la provincia». FDFCT/Testimonianze 2/19/29. Cfr. anche ASCD/144/PL I 06. 98 preciso impegno politico ai parlamentari del Psi e del Pci perché si facesse tutto il possibile per ottenere la chiusura delle sedi dei gruppi neofascisti di Brescia, l’allontanamento del questore Mastronardi e la messa fuorilegge del Msi 142 . All’Idra – una fabbrica in cui si erano spesso manifestate collusioni tra padroni e gruppi d’estrema destra, nella quale, in quelle ore, si poteva dunque riscontrare una notevole aggressività antifascista –, «gli operai [assunsero] un solenne impegno in assemblea per l’epurazione della fabbrica dalle carogne nere» 143 . Una delle critiche maggiormente riproposte sulle pagine dei fogli della sinistra extraparlamentare si rivolgeva alla grave impreparazione dei corpi preposti alla sicurezza, che non erano riusciti ad impedire la strage nonostante l’infuocato clima delle settimane precedenti ne avesse annunciato l’imminenza. Questi organi di stampa sottolinearono ripetutamente che l’imperizia delle forze dell’ordine e della magistratura era inesorabilmente confermata dalla direzione delle indagini sull’attentato di Brescia 144 . Secondo i loro interventi, l’inchiesta condotta nei mesi precedenti aveva chiarito che la città lombarda era un centro fondamentale per la strategia della tensione. Tuttavia erano stati raggiunti solo parziali risultati ed era stata fatta luce soltanto su alcune delle pedine minori di quelle trame. Gli inquirenti erano arrivati persino ad affermare che non ci si trovasse di fronte ad una strategia profondamente radicata nel paese, ma ad un gioco gestito da una semplice banda di delinquenti comuni che non 142 S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, cit. Cfr. anche S. f., Governo. Oggi al consiglio dei ministri il massacro di Brescia. Si parla di rimozione del prefetto e del questore. La Dc mira a restringere l’area delle connivenze e chiede un potenziamento dei corpi separati, “Il Manifesto”, 30-05-1974. 143 S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, cit. 144 S. f., Il vice questore di Brescia confessa gli ‘sbagli’ compiuti nelle prime indagini sulla strage, “Il Manifesto”, 30-05-1974. 99 potevano nemmeno essere accusati di associazione sovversiva ma solo di associazione a delinquere. “Lotta continua” insistette sul fatto che le identità degli industriali bresciani che finanziavano regolarmente le squadre dell’estrema destra fossero note da tempo e segnalò una lista di nomi di alcuni di quei potenziali finanziatori. Inoltre, il quotidiano ricordò che anche se la procura di Brescia era da tempo in possesso di centocinquanta fascicoli di procedimenti contro neofascisti, questi non venivano nemmeno considerati e la trama nera veniva lasciata libera di proliferare sotto gli occhi di tutti 145 . Per il foglio non c’erano dunque attenuanti che potevano giustificare l’impreparazione delle forze di polizia e della magistratura, visto che a nessuno poteva più sfuggire che l’organizzazione del terrorismo neofascista «negli ultimi anni stava facendo di Brescia la sua base» 146 . E non bastava che onorevoli democristiani e socialisti chiedessero l’allontanamento di chi, preposto alla tutela dell’ordine, non aveva provveduto ad organizzare adeguatamente la sorveglianza alla piazza, o che dichiarassero che l’assegnamento al giudice bresciano Arcai dell’inchiesta giudiziaria sugli ultimi tragici eventi non desse alcuna garanzia per il regolare svolgimento dell’istruttoria. Bisognava invece mettere in moto una strategia investigativa maggiormente aggressiva. Secondo “Lotta continua”, le responsabilità erano infatti da ricercare molto più in alto, erano di chi, per 145 S. f., Brescia. ‘Lo sapevano, e non hanno fatto niente per evitarla’, “Lotta continua”, 30-05-1974. Cfr. anche il volantino redatto dal Consiglio unitario dei magazzini Upim di Brescia: «Non si può tacere il comportamento, quanto mai strano delle forze di polizia e della magistratura che non hanno saputo compiere il loro dovere demandato dal dettato costituzionale di difendere i cittadini dagli assassini e di perseguire il fascismo rinascente»; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/40. 146 S. f., Brescia. ‘Lo sapevano, e non hanno fatto niente per evitarla’, cit. 100 un lungo periodo, aveva «coperto, manovrato, utilizzato i criminali fascisti» 147 . Con le critiche lanciate dai propri fogli, i gruppi della sinistra extraparlamentare si proposero di spingere le indagini in corso ad un livello di profondità che consentisse di cogliere le dinamiche della strategia reazionaria nel loro insieme. Un comunicato della Segreteria Politica di Avanguardia Operaia indicò la necessità di valutare con particolare attenzione la strage di Brescia, perché aveva segnato una cesura nella strategia della tensione e, proprio per tale motivo, collegò il recente attentato alla memoria delle lotte della Resistenza e alle ingiustizie subite dal popolo italiano da parte delle forze d’occupazione: La nuova strage fascista di Brescia segna un salto qualitativo nel terrorismo nero contro le masse popolari e le organizzazioni del movimento operaio. Non ha precedenti nel nostro paese se non nel periodo dell’occupazione nazista. Come a Marzabotto, come alle Fosse Ardeatine, come negli innumerevoli eccidi con i quali si tentò, invano, di fermare la lotta partigiana, anche a Brescia i criminali fascisti hanno giocato la carta della strage, del massacro. A differenza di altre occasioni hanno preso di mira direttamente e apertamente, una grande manifestazione popolare indetta unitariamente dalle organizzazioni sindacali con l’adesione di tutte le forze politiche antifasciste 148 . 147 Ibidem. S. f., Spazziamo via i fascisti, fuori legge il MSI!, “Avanguardia operaia”, N. 21, 3105-1974. Com’è stato precedentemente notato, la manifestazione era in realtà stata organizzata dal Comitato Antifascista Bresciano – in una riunione avvenuta il 22 148 101 Per il settimanale di agitazione comunista, la bomba di piazza della Loggia poteva anche essere vista come una risposta dei gruppi neofascisti alla sconfitta da essi subita, a causa della Dc, con la vittoria dei no al referendum: l’obiettivo degli autori della strage sarebbe dunque stato «quello di seminare il terrore, determinare un riflusso difensivo e quindi impedire che, sulla base dei risultati del 12 maggio, le masse popolari [partissero] alla controffensiva su tutti i terreni» 149 . Tale progetto non avrebbe però tenuto conto – sempre secondo l’articolo – della forza della classe operaia che, corroborata dalla mobilitazione studentesca, si era dimostrata pronta a far sentire la propria voce tramite l’occupazione delle fabbriche, le azioni di sciopero generale e le manifestazioni di massa. Era proprio in quel particolare contesto che – sostenne “Avanguardia Operaia” – occorreva «non limitarsi alla protesta sia pure appassionata e vibrata […] ma, al contrario, agire, uniti, decisi e con immediatezza, per far pagare ai fascisti il loro nuovo efferato crimine» 150 . Bisognava essere determinati, togliendo ogni agibilità politica ai gruppi neofascisti e costringendo il Parlamento a mettere fuori legge il Msi-Dn. Secondo il foglio, era arrivato il momento di fare pagare alla Democrazia cristiana l’appoggio garantito per trent’anni ai nostalgici del fascismo e di dare vita a comitati antifascisti in tutto il paese con un preciso programma teso «a ricacciare nelle fogne le carogne fasciste» 151 . Proprio queste ultime erano viste dalla sinistra rivoluzionaria, da una parte, come una stampella della Dc e, dall’altra, maggio – e la Federazione Cgil-Cisl-Uil aveva poi aderito programmando uno sciopero generale di quattro ore. Il richiamo al legame ideale tra la Resistenza e le mobilitazioni antifasciste seguite alla strage di piazza Loggia – come si vedrà – sarà molto frequente sui fogli e sui documenti prodotti dalla sinistra extraparlamentare. 149 Ibidem. 150 Ibidem. Ibidem. 151 102 come la carta di ricambio della borghesia152 . Per i gruppi rivoluzionari, le inchieste giudiziarie sulla strage di Stato e sulla ‘Rosa dei venti’ avevano ampiamente dimostrato che le squadre neofasciste erano foraggiate da grossi capitalisti e che le trame nere tessute nel nostro paese erano strettamente connesse ad importanti settori delle gerarchie militari della Nato, dell’imperialismo americano e dei regimi fascisti di Grecia, Cile e Spagna 153 . Dal loro punto di vista, allora, ripulire il paese dal fascismo risorgente significava «colpire con durezza la borghesia [e] spostare in avanti i rapporti di forza tra proletari e borghesi» 154 . Per fare ciò occorreva però muoversi con solerzia, battendo il ferro fin tanto che era caldo, perché 152 Cfr. il contenuto di un volantino del Movimento Studentesco: «Gli assassini fascisti con la complicità degli apparati statali e delle forze dell’ordine, scatenano contro le masse l’assassinio e la provocazione. L’orrenda strage di Brescia è un attacco contro la classe operaia le masse popolari giovanili studentesche. L’imponente risposta popolare bresciana e nazionale ha gettato nel più totale isolamento gli esecutori, i mandanti, i finanziatori degli assassini fascisti. Continuiamo la mobilitazione per l’immediato scioglimento del MSI e delle bande fasciste ad esso legate. Rumor ministro di due stragi. La presenza a Brescia di Leone, eletto con i voti fascisti, e di Rumor, suona come un’offesa alla memoria delle vittime che lottavano proprio contro il governo e contro il fascismo per una società realmente democratica, e rappresenta il tentativo di mascherare la violenta politica antipopolare dei governi guidati dalla DC che hanno la ‘democrazia’ solo sulla bocca mentre nei fatti sostengono e rappresentano gli interessi del grande capitale e della reazione. Prepariamo i lavoratori e i giovani a resistere con tutti i mezzi alla violenza antipopolare e a stroncare l’organizzazione dei fascisti, costruendo e rafforzando ovunque nelle fabbriche, nelle scuole e nei quartieri i comitati di vigilanza e di lotta antifascista». Basta con le stragi fasciste. Firma: Movimento Studentesco, 30-051974. FDFCT/Testimonianze 2/19/77. 153 Cfr. T. Maiolo, Brescia. Arrestato un medico fascista. Uno squadrista, già in galera comincia a fare una serie di nomi. Industriali ‘neri’, “Il Manifesto”, 30-05-1974. 154 S. f., Spazziamo via i fascisti, fuori legge il MSI!, cit. 103 quello era «il momento di saldare l’azione spontanea ed organizzata delle masse con la necessaria azione militante e decisa delle avanguardie» 155 . Queste riflessioni tornano ad evidenziare come la durezza di linguaggio volesse colpire le logiche dello stragismo ma anche l’impianto sociopolitico dentro al quale queste avevano potuto proliferare. La radicalità dei toni utilizzati da questi gruppi – che si consideravano le avanguardie della sinistra italiana – è, anzi, comprensibile solo se tiene conto del fatto che le loro battaglie congiunturali venivano sempre inserite in un sistema teorico per il quale l’obiettivo ultimo era un cambio strutturale della società 156 . Per le formazioni rivoluzionarie di sinistra non era dunque il caso di lasciare il monopolio della sicurezza democratica italiana alla volontà delle istituzioni che, non solo avevano permesso ai neofascisti di organizzarsi, ma erano arrivati finanche ad elargire, tramite la legge sul finanziamento dei partiti, cinque miliardi e mezzo di lire all’anno al Movimento sociale italiano-Destra nazionale 157 . Il modo per costringere all’azione le istituzioni 155 Ibidem. 156 Si è visto come questa fosse una caratteristica riscontrabile – con alcune distinzioni – in tutto l’esteso panorama di sigle e ‘gruppetti’ che formava la sinistra rivoluzionaria post sessantottesca. L’Organizzazione comunista M.L. (Fronte Unito), per esempio, era fermamente convinta che vi fosse la necessità di arrivare al superamento del sistema democratico vigente in Italia, per consegnare infine il potere alla classe operaia. Cfr. il volantino Contro la violenza fascista giustizia proletaria, stilato da questo gruppo il giorno successivo alla strage di piazza Loggia: «Noi crediamo che difendersi non basti più, crediamo che non si possa più tollerare lo spargimento di sangue proletario. È giunto il momento di contrattaccare e quindi di superare questa democrazia e la difesa di queste istituzioni per marciare vero il potere della classe operaia e delle masse popolari». FDFCT/Testimonianze 2/19/68. 157 Cfr. il volantino del Pc(m-l)i: «Operai lavoratori per debellare le bombe fasciste, perché la giustizia popolare giunga severa ed implacabile a punire gli assassini non si può puntare su questo stato borghese in crisi, occorre far agire la democrazia diretta e popolare, gli organismi popolari possono e devono svilupparsi come la sola forza 104 era la mobilitazione di massa, e la sinistra extraparlamentare si proponeva di divenire una guida credibile dello spontaneismo antifascista. In quest’ottica, venne riservata una particolare attenzione agli operai e agli studenti nel tentativo di proiettare la loro forza istintiva verso il raggiungimento di obiettivi concreti. Era proprio in quel momento delicatissimo della storia italiana – tornò a precisare “Avanguardia operaia” – che bisognava sfruttare l’impeto popolare suscitato dall’attentato di Brescia e raccogliere attorno a sé tutte le forze disponibili per «distruggere per sempre il fascismo nel solo modo possibile: abbattere la società che lo fa nascere e lo alimenta» 158 . decisiva della vigilanza e della lotta contro tutti i reazionari, che i consigli di fabbrica diventino i centri della vigilanza antifascista». Sciopero generale contro il governo corrotto e protettore dei fascisti; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/34. 158 S. f., Spazziamo via i fascisti, fuori legge il MSI!, cit. 105 Democrazia, antifascismo e Resistenza Nei giorni successivi, la stampa della sinistra rivoluzionaria continuò a concedere spazio alle riflessioni sul significato della strage bresciana per il futuro della democrazia italiana. Tra i quotidiani presi in considerazione, “Lotta continua” seguitò a dare la massima centralità al valore di ‘scontro di classe’ scaturito dalla risposta popolare all’attentato, mentre “Il Manifesto” – pur mantenendo un puntuale interesse per l’informazione relativa alle strategie eversive – indirizzò progressivamente la propria attenzione verso argomentazioni più generali, come il rapporto tra la linea politica tenuta dai rappresentanti del movimento operaio e la crisi economica attraversata dal paese 159 . “Lotta continua” non poté fare a meno di notare come la partecipazione popolare politicamente orientata a sinistra non accennasse a diminuire: Per il terzo giorno consecutivo in piazza della Loggia una classe intera, quella dei proletari, porta il suo dolore e insieme la sua forza, la sua unità, la sua coscienza; dalle assemblee nelle 159 Cfr. i titoli di prima pagina: Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati. La commozione e lo sdegno più profondo si uniscono al più appassionato dibattito politico fra i proletari, “Lotta continua”, 31-05-1974; In nome della crisi Agnelli chiede un compromesso a sindacati e opposizione. I carabinieri intervengono contro un campo paramilitare fascista. Ne esistono da anni, “Il Manifesto”, 31-05-1974. Vedi anche V. Parlato, Confindustria. La situazione è grave e i prossimi sei mesi saranno peggiori. Per questo Agnelli chiede una mano a sindacati e Pci, “Il Manifesto”, 31-05-1974. In ogni caso – come si vedrà – sino alla fine di giugno questi fogli tornarono con una certa frequenza ad interessarsi della strage bresciana. Nei suoi interventi, “Avanguardia operaia” continuò a dargli significativo peso almeno fino al n. 24 del 21-06-1974. 106 fabbriche occupate, dalle scuole, da tutti i luoghi di lavoro, dai paesi della provincia è un continuo susseguirsi di delegazioni che, insieme ai fiori, sul luogo della strage portano non solo la testimonianza della propria collera ma la profonda determinazione di imporre un radicale mutamento 160 . Una fiumana di persone aveva sfilato nella piazza con bandiere rosse che sventolavano e pugni chiusi che si alzavano. Secondo il foglio, era proprio l’impegno diretto di quei cittadini «l’immagine più chiara della decisione con cui la classe operaia si [era] posta come protagonista della mobilitazione antifascista» 161 . Anche gli studenti avevano giocato un ruolo molto attivo: nonostante la chiusura degli istituti per tre giorni, si erano ritrovati davanti alle scuole e nelle piazze e avevano riportato nelle loro assemblee il dibattito a cui avevano preso parte nelle fabbriche. Gli insegnanti dei sindacati confederali avevano organizzato un gruppo di più di cinquecento persone: la loro presenza – sottolineò ancora “Lotta continua” – non era solo una reazione emotiva della categoria più pesantemente colpita dall’eccidio, ma l’esito di un processo politico ben definito durante il quale gli insegnanti si erano impegnati a costruire un rapporto diretto con gli operai e gli studenti 162 . I ferrovieri si erano mobilitati per favorire una manifestazione di massa che potesse impressionare il governo e la magistratura, spingendoli a fare il massimo 160 S. f., Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati, cit. 161 Ibidem. Il quotidiano insistette molto sull’intreccio tra rivendicazioni operaie e sviluppo della democrazia, sostenendo che proprio «nel legame fra lotta di fabbrica e lotta antifascista [stava allora] il centro di una risposta che continua». 162 S. f., Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati, cit. 107 per individuare velocemente i colpevoli163 . Gli artigiani bresciani avevano garantito la loro presenza vigile e militante; anche i soldati si erano attivati: nella caserma Ottaviani venne fatta una colletta e furono organizzate alcune delegazioni per manifestare in piazza e rendere omaggio alle vittime 164 . Per i gruppi della sinistra rivoluzionaria, la strage di Brescia aveva dunque provocato un esteso sentimento di collera nell’Italia democratica, il quale aveva ampiamente certificato la forza della masse antifasciste. Come è già apparso dagli articoli fin qui analizzati, i loro fogli cercarono di dare pregnanza alla nuova coscienza antifascista popolare del post-piazza Loggia paragonandola allo spirito che aveva animato la lotta di liberazione. Il richiamo a similitudini tra i due eventi non era però prerogativa esclusiva dei gruppi in questione165 . L’escalation della ferocia neofascista sfociata nell’attentato del 28 maggio aveva infatti creato un clima di tensione per combattere il quale il paradigma resistenziale venne sposato come idealemito a cui ispirarsi per rilanciare una controffensiva dalla stragrande maggioranza dei partiti politici e dagli organi istituzionali, oltre che da una fetta molto consistente di opinione pubblica e di cittadinanza non 163 Cfr. il comunicato dei Ferrovieri del 29-05-1974; ASCD/11/PL I C 5. 164 S. f., Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati, cit. 165 Per una serie di contributi che analizzano – attraverso l’osservazione dei manifesti politici – i diversi modi di attualizzazione della memoria resistenziale negli anni settanta, cfr. D. Melegari e I. La Fata (a cura di), La resistenza contesa. Memoria e rappresentazione dell’antifascismo nei manifesti politici degli anni settanta, Milano, Punto Rosso, 2004. Cfr., per esempio, quanto scritto in un opuscolo patrocinato dal Consiglio di Quartiere di Cortine: «La Resistenza continua. Purtroppo ancora oggi vediamo attentati di opera fascista. Ricordiamo il più recente: Brescia, 28 maggio 1974. […] Dunque il fascismo non è morto. A ventinove anni dalla Liberazione sparge ancora morte e terrore. La parola fine non esiste. La resistenza deve continuare contro la violenza e il terrorismo». Cfr. M. Ghidini, 8 settembre 1943, 25 aprile 1945, 28 maggio 1974. Tre date ed un periodo da non dimenticare, 1974, p. 32. FDFCT/Testimonianze 2/2/1. 108 direttamente impegnata sul piano politico 166 . Non può essere d’altra parte messo in discussione che la memoria della Resistenza – stiamo parlando di un evento dall’indiscutibile importanza storica e politica che ha permesso la costituzione della Repubblica e che, anche attraverso un’altrettanto innegabile opera di mitizzazione, ha dato maggiore consistenza alla 166 La stessa strage bresciana, d’altronde, fu un chiaro affronto all’ideale antifascista. Così ha scritto, vent’anni dopo, Manlio Milani: «Ad una riflessione serena appare chiaro che la rottura dei valori dell’antifascismo era l’obiettivo dell’atto terroristico di piazza della Loggia. Per questo quella mattina eravamo in piazza della Loggia: perché avevamo scelto i valori costituzionali dell’antifascismo». Id., Non vittime ma caduti consapevoli, in AA. VV., Le ragioni della memoria. Interventi e riflessioni a vent’anni dalla strage di piazza della Loggia, op. cit., p. 19. Come detto, anche le organizzazioni tradizionali della sinistra richiamarono spesso l’antifascismo resistenziale. Cfr., a titolo indicativo, le parole del socialista Gildo Adamini: «Il 28 maggio 1974 resterà una data che verrà celebrata dai bresciani come il 25 aprile ’45, perché i caduti, cui va il nostro pensiero in questo momento, si uniscono idealmente ai caduti della Resistenza». ‘Discorso di Gildo Adamini all’Assemblea straordinaria del consiglio regionale lombardo, 30-05-1974’, in AA. VV., La strage fascista di Brescia. Dibatto parlamentare. Discorsi, articoli e interrogazioni dei rappresentanti del Partito socialista italiano, op. cit., pp. 14-15. Cfr. anche un volantino della Fgci Bs che invita alla vigilanza e alla mobilitazione antifascista, in FDFCT/Testimonianze 2/19/37, e uno dei sindacati che insiste sulla necessità di continuare la Resistenza antifascista, in FDFCT/Testimonianze 2/19/41. Tale richiamo – com’è venuto alla luce dalle pagine precedenti, e meglio si chiarirà in quelle che seguono – coinvolse anche le istituzioni e la quasi totalità degli organi di stampa. Naturalmente, ogni soggetto strumentalizzò quella memoria cercando di ricavarne il massimo del guadagno politico. Anche se non concernente questo argomento specifico, offre uno spunto di riflessione l’analisi di Piero Ignazi tramite la quale – nel tentativo di dare una spiegazione all’elevato tasso di violenza politica che contraddistinse gli anni ’70 – ha proposto una chiave interpretativa delle vicende nazionali che faccia particolare attenzione all’«insofferenza delle élite politiche e soprattutto intellettuali rispetto alla realtà e [alla loro] proiezione verso obiettivi con forti valenze mitico-simboliche nei quali far convogliare le energie del Paese, anche a costo di travolgere con ogni mezzo le eventuali resistenze». Id., Gli anni Settanta e la memoria monca, op. cit., p. 388. 109 struttura democratica del nostro paese – abbia avuto un valore fortemente aggregante durante quelle giornate contribuendo a far sì che un numero inaspettatamente esteso di persone manifestasse contro una forza tanto più temibile in quanto semi-occulta 167 . E non possono nemmeno esserci dubbi sul fatto che l’adesione di massa a quel bagaglio di valori concorse a 167 Il momento della storia del nostro dopoguerra in cui il paradigma antifascista tornò per la prima volta alla ribalta – mostrando una forte carica di partecipazione dal basso – fu il luglio del 1960. Com’è noto, durante quell’estate vi fu un’ampia mobilitazione popolare contro la decisione dell’esecutivo di consentire lo svolgimento del VI Congresso nazionale del Msi a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Il governo Tambroni – che, particolare non da poco, aveva potuto prendere vita grazie all’appoggio determinante dei voti missini – rispose alle manifestazioni con una linea molto dura che provocò vari morti e fu, infine, costretto a dimettersi. Cfr. G. De Luna, M. Revelli, Fascismo/Antifascismo: le idee, le identità, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. 134-141; G. Santomassimo, La memoria pubblica dell’antifascismo, in Id., Antifascismo e dintorni, Roma, Manifestolibri, 2004, pp. 287-292. Per un’aggiornata ricostruzione che consideri l’evoluzione della memoria antifascista e resistenziale nella storia repubblicana, attraverso il punto di vista delle istituzioni e dei partiti politici, cfr. F. Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005; si vedano in particolare le pp. 41-55 dedicate allo scontro tra ‘memoria ufficiale’ e ‘memoria rossa’ che prese forma appunto sulla scia degli eventi del luglio ‘60. Sul tema si confronti anche N. Gallerano (a cura di), Fascismo e antifascismo negli anni della repubblica, fascicolo monografico di «Problemi del socialismo», 1986, n. 7; Id. (a cura di), La Resistenza tra storia e memoria, Milano, Mursia, 1999. Per un contributo utile a comprendere l’universo politico-culturale dal cui grembo germogliò poi la posizione della sinistra extraparlamentare su queste tematiche, cfr. A. Rapini, Antifascismo e Resistenza nelle riviste della nuova sinistra (1960-1967), in C. Adagio, R. Cerrato, S. Urso (a cura di), op. cit., pp. 373-411. Dello stesso autore vedi Antifascismo sociale, soggettività e strategia della tensione, in «900», n. 1, 1999, pp. 145-165. Per due significative riflessioni – con diverso taglio ed impostazione – sul significato politico della memoria dell’antifascismo e della Resistenza, cfr. S. Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Roma-Bari, Laterza, 2004 e R. Chiarini, 25 aprile. La competizione politica sulla memoria, Venezia, Marsilio, 2005. 110 determinare un’inversione di tendenza nelle dinamiche della strategia della tensione 168 . Appare indicativo di quel clima di condivisione ideale – in cui 168 Tra gli storici vi è sostanziale accordo nel considerare il 1974 come momento cruciale della strategia della tensione. A titolo indicativo si vedano gli interventi dei maggiori studiosi di questi temi, tenuti durante una serie di conferenze organizzate a Brescia per il trentesimo anniversario della strage di piazza Loggia, ora pubblicati in Casa della Memoria (a cura di), Brescia: la memoria, la storia. Testimonianze, riflessioni, iniziative, op. cit. Tra gli altri, vi sono i contributi di Francesco M. Biscione, Luigi Bonanate, Giovanni De Luna, Giuseppe De Lutiis, Piero Ignazi, Virgilio Ilari, Nicola Tranfaglia. Su quel momento della nostra storia e, in particolare, sull’antifascismo di massa scaturito – come raramente è accaduto nell’Italia repubblicana – in risposta alla strage di piazza Loggia, è necessario riflettere attentamente se si vogliono comprendere i motivi per i quali si verificò il passaggio da una stagione contrassegnata dal terrorismo di destra ad una caratterizzata dalle violenze rosse. Già nel 1980 – nella riflessione precedentemente citata – Guido Quazza aveva sostenuto che «la strage di piazza della Loggia, in quanto attacco a un comizio sindacale, deve essere riconsiderato come il vero spartiacque tra due periodi diversi della strategia della tensione proprio perché coglie la diversa natura ed entità dell’attacco da sinistra rispetto all’altro». Id., Presentazione a Fondazione Clementina Calzari Trebeschi (a cura di), op. cit. pp. 16-17. Si veda anche quanto scritto da F. M. Biscione: «L’ultimo atto della sequela sanguinaria che aveva avuto origine con la bomba di piazza Fontana fu la strage del treno Italicus (4 agosto 1974; giudiziariamente insoluta ancorché attribuibile all’area del neofascismo toscano), ma, […] era stata la strage di Brescia […] a costituire il culmine di quella che potremmo chiamare autonomia stragista. Le vittime designate erano le forze dell’ordine in servizio alla manifestazione, ma l’errore commesso dai neofascisti ebbe effetti per qualche verso risolutivi: assassinando dei lavoratori presenti a un comizio sindacale, essi confessavano implicitamente l’origine nera della catena omicida. La strategia della tensione aveva perso la maschera e si manifestava per ciò che era stata fin dall’inizio, odio di classe e odio per la democrazia, che però, in questo modo, rafforzava la mobilitazione popolare e antifascista in difesa delle istituzioni e dunque diveniva controproducente per lo scopo per cui era stata ideata». Id., op. cit., pp. 112113. Tutte le maggiori ricostruzioni storiche dell’Italia repubblicana – così come tutte le riflessioni concernenti la memoria dell’antifascismo – concordano nell’assegnare un 111 gli antifascismi italiani sembrarono davvero trovare una propria unità nella militanza collettiva dal basso 169 – il comunicato mandato subito dopo l’esplosione della bomba dalla Federazione Artigiano Bresciano al Comitato antifascista della città, col quale l’associazione confermò la propria presenza «a fianco di tutte le forze antifasciste per chiudere la valore di svolta alla mobilitazione antifascista verificatasi nel luglio del 1960 – della quale si è già detto più sopra e alla quale gli studiosi hanno dedicato molte pagine. Questa circostanza ha infatti un valore periodizzante perché allora – dovendo la Dc abbandonare l’ipotesi di stabilizzare l’esecutivo su equilibri conservatori – il paese si lasciò alle spalle la stagione del centrismo ed imboccò la strada di un tendenziale spostamento a sinistra, caratterizzato – sul piano politico – dall’esperimento di centrosinistra. In questo senso, si capisce perché si è spesso sostenuto che «nel luglio del 1960 l’antifascismo consegue forse la sua unica vera vittoria nella storia della Repubblica» (L. Paggi, Violenza e democrazia nella storia della repubblica, «Studi storici», n. 4, 1988, p. 946.) Tuttavia, un’altra importante vittoria dell’antifascismo – premesso che con tale definizione si intende la capacità di quell’ideale di raccogliere attorno a sé una partecipazione tanto estesa e condivisa da costringere le forze che ad esso si contrappongono a cambiare strategia e/o a mettersi sulla difensiva –, si concretizzò proprio nella risposta popolare alla strage di piazza Loggia. Infatti, mentre il coinvolgimento antifascista del ’60 causò una svolta decisiva nella gestione della politica visibile, è legittimo sostenere che quello del ’74 ne provocò – come sarà meglio specificato nelle pagine seguenti – una altrettanto determinante nella conduzione di quella occulta. 169 Naturalmente, rimaneva una netta separazione tra la dimensione militante dell’antifascismo e quella celebrativa. G. De Luna ha scritto che «Brescia è un esempio di come nel nostro paese non esista un unico antifascismo, ma si debba parlare di antifascismi – così come, del resto, bisogna parlare di fascismi – e si possa individuare una chiara distinzione fra antifascismo militante e antifascismo celebrativo, due dimensioni dell’antifascismo che sono sempre state presenti, ma che è raro vedere delineate con tanta evidenza all’interno di una stessa situazione, di una stessa vicenda». Id., Il segno delle stragi nell’Italia di oggi. La logica della separatezza, il mestiere dello storico, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., p. 136. 112 strada a qualsiasi tentativo inteso a sovvertire quei valori democratici che la Resistenza [aveva] conquistato attraverso una grande battaglia ideale» 170 . È vero, invece, che le formazioni della sinistra rivoluzionaria rivestirono spesso i paradigmi antifascista e resistenziale di una connotazione ideologico-classista molto marcata che trovò ben pochi sostenitori al di fuori di quell’ambiente politico 171 . Esse si credevano le uniche effettive depositarie dell’antifascismo uscito dalla seconda guerra mondiale e ciò era non di rado motivo di scontro con le organizzazioni ufficiali del movimento operaio. Anche nei giorni successivi all’attentato bresciano, i gruppi extraparlamentari utilizzarono tale convinzione per lanciare una critica alla sinistra istituzionale. Tuttavia, in quel momento, quella critica voleva essere costruttiva. È interessante, a questo proposito, il contenuto di un volantino elaborato da Avanguardia Operaia, nel quale, dopo aver ricordato che la strage del 28 maggio arrivava dopo cinque anni di strategia della provocazione, durante i quali le bombe nere erano state mascherate di rosso, ed aver sottolineato il significato politico di una bomba a Brescia – 170 Il documento era stato spedito anche ai sindacati e alla stampa. ASCD/4/PL I B 1, 28-05-1974. Ma cfr. anche il comunicato redatto da alcuni studenti di Lumezzane che sosteneva la necessità di «dimostrare e alimentare la LOTTA ANTIFASCISTA» e quello di un gruppo di giovani del Villaggio Prealpino in cui si ribadiva che «Antifascismo, significa isolare in tutti i sensi i fascisti!! W l’antifascismo militante». Rispettivamente in FDFCT/Testimonianze 2/19/64, 28-05-1974; FDFCT/Testimonianze 2/19/52, 03-06-1974. 171 Si può tuttavia affermare che la radicalità dell’opera di controinformazione dei gruppi della sinistra extraparlamentare contribuì probabilmente a contrastare quelle resistenze culturali che faticavano ad essere superate e che – come hanno scritto Paolo Corsini e Roberto Chiarini – fornivano una «rappresentazione fuorviante di un neofascismo prolungamento residuale di una parentesi chiusa, entità astratta più che forza concreta, escrescenza di un male morale più che frutto di un percorso storicopolitico». Id., Da Salò a Piazza Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), op. cit., p. 337. 113 medaglia d’argento della Resistenza, centro operaio, ma anche punto chiave dell’eversione fascista e dei traffici di esplosivo –, il gruppo accusò l’‘antifascismo governativo’ e consigliò ai partiti della sinistra di riportare il proprio vicino a quello delle piazze mobilitate, unendosi alla sinistra rivoluzionaria nella battaglia contro la reazione neofascista: Noi oggi diciamo che, di fronte a fatti di tale gravità, di fronte ai fascisti, mostra tutta la sua vuotezza l’antifascismo di chi parla del fascismo come di qualcosa di estraneo ai padroni, di un bubbone marcio che non ha nulla a che vedere con lo stato. Chi ha messo le bombe deve pagarla, ma deve pagarla altrettanto duramente chi ha parlato di opposti estremisti, chi ha coperto i fascisti, chi li ha finanziati, e chi li usa. Sdegno, orrore, isolamento morale non bastano più. I criminali fascisti vanno eliminati, le loro sedi vanno chiuse, i fascisti, dentro e fuori le istituzioni vanno estirpati dal nostro paese. Questo è l’insegnamento che ci viene da una battaglia di trenta anni che il movimento operaio ha continuato anche dopo il 45. Questa è la richiesta che è venuta immediatamente ieri da tutte le fabbriche e da tutti i lavoratori. […] In nome dei compagni caduti ci rivolgiamo a tutta la sinistra, a tutto il movimento dei lavoratori, per costruire Comitati Unitari Antifascisti che lottino apertamente contro il fascismo e contro chi lo copre e lo protegge, che rispondano con la mobilitazione di massa alle provocazioni, che si pongano sul terreno dello scioglimento del MSI, il partito dei fascisti, il partito della bombe, il partito del boia Almirante 172 . 172 Fuori legge il MSI, 31-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/76. 114 Nonostante l’accesa risposta della popolazione, a pochi giorni dalla strage di Brescia le squadre neofasciste avevano ripreso le loro aggressioni e le loro provocazioni. Secondo “Avanguardia operaia”, nella stessa provincia bresciana, erano addirittura stati organizzati, «con perfetto e dignitoso stile nazista, veri e propri festeggiamenti per la strage [in] alcune ville di San Felice [del] Benaco, Salò, e Maderno» 173 . Per il settimanale, tali episodi non erano casi isolati di nostalgici repubblichini, ma erano la dimostrazione che la criminalità fascista si era riaffacciata senza alcun pudore vicino al luogo in cui aveva da poco compiuto un tremendo massacro. Le violenze neofasciste continuavano però in tutta Italia: l’episodio più cruento si verificò a Napoli, dove i missini Ermanno e Antonio Mainolfi spararono a bruciapelo tre colpi di pistola al pensionato Amedeo Di Pietro 174 ; a Catania una squadra fascista compì un attentato alla villa dell’assessore socialista Zappalà; a Milano un gruppo di squadristi si recò con una jeep in piazzale Abbiategrasso, dove erano concentrate molte scuole, lanciò alcune bottiglie incendiarie e sparò alcuni colpi d’arma da fuoco; due cunei metallici furono posizionati sui binari della linea SondrioMilano ma, fortunatamente, il treno passato poco dopo sobbalzò senza deragliare; in numerose altre città arrivarono poi lettere intimidatorie che “Avanguardia operaia” considerava di ‘chiaro stampo nazi-fascista’, come alle redazioni di “Paese Sera” e de “L’Unità” di Perugia, alla redazione del “Mattino” di Napoli e a un settimanale locale di Treviso 175 . Anche se le angherie neofasciste continuavano ad essere commesse in tutta la penisola, “Lotta continua” era convinta che i gruppi della destra estrema si fossero scoperti troppo e che fosse finalmente arrivata la resa dei 173 S. f., Dopo Brescia i fascisti continuano, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 174 Ibidem. Ibidem. 175 115 conti 176 . La sinistra rivoluzionaria e la cittadinanza antifascista avrebbero però dovuto continuare a fare sentire la propria voce e a vigilare con attenzione sull’operato delle istituzioni governative. Il 30 maggio Rumor aveva incontrato i segretari dei partiti costituzionali per discutere sulla problematica dell’ordine pubblico e il giorno successivo si era riunito il Consiglio dei ministri con l’obiettivo di trattare le stesse tematiche. La redazione del quotidiano era convinta che tramite quegli incontri si stesse tentando di utilizzare le tensioni venutesi a creare sulla scia della tragedia di Brescia per riportare in attività il fermo di polizia, imponendo al paese una gestione politica poco attenta al rispetto dei principi costituzionali e difficilmente conciliabile con le richieste e con lo spirito della popolazione scesa in piazza 177 . “Lotta continua” non era disposta ad accettare l’oltraggio di quel bagaglio di valori e mise ancora una volta in evidenza il proprio estremismo prendendo le difese di coloro che si opponevano a tale situazione anche tramite l’utilizzo della violenza: Questa coscienza popolare è oltraggiata da una legge sul finanziamento dei partiti che regala miliardi sottratti ai salari di chi lavora al boia Almirante, […] è oltraggiata da un regime democristiano che ha appena cercato la sua rivincita reazionaria proprio nell’alleanza con i fascisti, com’è avvenuto nel referendum. Questa coscienza popolare è oltraggiata dall’omertà che induce le ‘autorità’ a dissociare gli ‘estremisti pazzi’ di Ordine Nero da un partito fascista che ha mandato in parlamento 176 177 S. f., La resa dei conti, “Lotta continua”, 31-05-1974. Ibidem. 116 il fondatore di Ordine Nuovo, il nazista e terrorista Rauti. Ai compagni e agli antifascisti che vanno a colpire le tane nere, si risponde con la polizia, con le sporcizie sugli opposti estremismi, con le accuse imbecilli di alimentare ‘la spirale della violenza’. Il proletariato dovrebbe star contento di quella spirale […] che va dal massacro fascista alla protesta composta delle masse a un nuovo massacro fascista. A loro il diritto di massacrare, a noi il diritto di indignarci. C’è da meravigliarsi se non ci stiamo, se non ci sta un movimento operaio e proletario che sa meglio di chiunque come la violenza assassina dei fascisti non si alimenta di nessuna opposta violenza, bensì dell’odio feroce e prezzolato contro la lotta della classe operaia e delle grandi masse, contro la lotta per abolire la società dello sfruttamento, della miseria, della diseguaglianza e della oppressione di classe? 178 La radicalità di linguaggio utilizzata da “Lotta continua” colpisce meno di quella riscontrata in “Avanguardia operaia” e ne “Il Manifesto”, dato che il gruppo di cui esprimeva le opinioni aveva sempre avuto come sua prerogativa il ricorso a parole d’ordine particolarmente violente. Impressiona, ad ogni modo, la disinvoltura con la quale venivano trattati certi argomenti. Non può essere negato che proprio tale spigliatezza contribuì al diffondersi di manifestazioni di violenza – che furono comunque, fortunatamente, poco frequenti – tra i simpatizzanti della sinistra rivoluzionaria. 178 Ibidem. 117 Per il quotidiano era necessario contrastare le intenzioni di un governo che, con la scusa di rendere più forte lo Stato, voleva semplicemente far convergere più soldi, più armi, più potere verso figure come il generale Miceli, capo del Sid, nei confronti del quale Amos Spiazzi aveva formulato una chiamata di correo per la ‘Rosa dei venti’; come il generale Mino, capo dell’Arma dei Carabinieri, il cui nome appariva nell’agenda di uno squadrista; come il generale Lucertini, ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica implicato nelle trame nere padovane. Anche in questo caso, però, il problema particolare andava inserito in quella che era vista come una disfunzione generale di sistema: il centro della questione stava cioè «in quella semplice e vecchia circostanza per cui lo stato borghese è al servizio del dominio di una classe sempre» 179 . Proprio per questo – continuò “Lotta continua” – occorreva «la vigilanza e la mobilitazione di tutto il movimento operaio e antifascista, che non [poteva] tollerare che la risposta alle stragi fasciste si tramut[asse] in un alibi per il rafforzamento autoritario e illiberale degli apparati di repressione statale, che si [sarebbe volto] contro tutto il movimento operaio e democratico» 180 . Un appello di quel genere andava ad inserirsi nella storia stessa del gruppo, da sempre in prima fila nelle battaglie democratiche, a volte da solo, come nei primi giorni dopo la strage di piazza Fontana e in quello stesso momento nella lotta per l’organizzazione democratica dei soldati, ma sempre dotato di ciò che veniva dipinto come la propria maggiore fonte d’impegno democratico: l’autonomia e l’azione della classe operaia e degli sfruttati. Conscia di quella forza, la formazione extraparlamentare – alla testa della cittadinanza in quel momento vicina ai suoi ideali – avrebbe dovuto opporsi alla risposta che le forze politiche 179 180 Ibidem. Ibidem. 118 parlamentari – comunisti compresi – volevano dare alla crisi, una risposta che non teneva in considerazione la volontà della popolazione antifascista 181 . Per il foglio, le scelte dello schieramento governativo apparivano infatti inaccettabili e sembravano voler eludere le questioni di fondo che avevano portato all’attentato di Brescia. Proprio tale atteggiamento era visto come la principale provocazione delle risposte violente dell’antifascismo: Il governo, e un’opposizione che glielo consente, risponde alla strage di Brescia convocandosi per decretare l’aumento degli organici di polizia, o per aumentare i corpi di polizia e fermare e interrogare chiunque. Che cos’è questo se non una provocazione? È forse per una carenza degli organici che il prefetto di Brescia e il suo collega questore non hanno saputo sventare una strage premeditata e preannunciata in piazza Loggia? È forse per gli scarsi poteri di polizia che gli squadristi omicidi di Brescia giravano impuniti, e con loro i capitalisti neri che li finanziano? 182 181 Ibidem. Cfr. anche S. f., Fuorilegge il MSI! I consigli di fabbrica chiedono la messa fuorilegge del partito di Almirante, “Lotta continua”, 31-05-1974. 182 S. f., La resa dei conti, cit. Su questo punto la risposta di “Lotta continua” era, naturalmente, molto precisa: lo spazio lasciato alle trame eversive non dipendeva da una carenza di organici delle forze di polizia, e ciò era anche provato – scrisse ironicamente il foglio – dal fatto che «i proletari che occupa[va]no le case imboscate, che picchetta[va]no le fabbriche, che manifesta[va]no per i loro obiettivi, non [avevano] mai avuto la sensazione che i corpi di polizia fossero troppo pochi, o troppo male armati». 119 “Il Manifesto” – pur essendo sostanzialmente in linea con queste prese di posizione – propose un’analisi più ponderata. Secondo il quotidiano comunista, la mobilitazione antifascista di quelle ore lasciava trasparire non solo collera ma anche una grande certezza di forza 183 . Quella forza sarebbe però derivata alle masse antifasciste soprattutto dalla loro maturità, la quale aveva permesso loro di comprendere la complessità di una situazione che non avrebbe potuto essere risolta né dalle istituzioni – nello stato in cui si trovavano in quel momento –, né dai partiti politici – Pci incluso –, né tantomeno da inutili – anche se comprensibili – episodi di violenza. Infatti, il foglio sostenne che […] questa certezza di forza non ha il segno in cui si pretende di restringerla, di tranquilla delega alle istituzioni come sono, al governo come è, alle opposizioni più o meno diverse. Va oltre perché non affida allo stato, manifestamente incapace quando non complice, la repressione del fascismo. Oltre perché non si illude neppure che il fascismo si possa reprimere davvero con qualche secco intervento popolare contro i covi, le sedi, le squadracce. Sa che questo fascismo non è un residuo, ma la risposta violenta che viene da una parte della borghesia, assieme a più vasti tentativi di restaurazione autoritaria alternati a ricerche di compromesso, contro l’aggressività d’un movimento di classe che ne squilibra i limiti di guardia. Sa quindi che lo si può liquidare solo portandone fino in fondo la crisi e ricomponendo un equilibrio diverso, sotto diversa egemonia, in 183 S. f., Non solo collera, “Il Manifesto”, 31-05-1974. 120 fabbrica, fuori, a livello dello stato, delle istituzioni, dei valori 184 . Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 184 Ibidem. È molto significativo anche questo passo dell’articolo: «La temperatura è alta non solo perché le bande fasciste ripropongono sangue e dolore. È alta perché la risposta popolare va ormai, oltre di loro, al quadro politico che le esprime, alla crisi del sistema politico che le secerne, alla pericolosità d’una borghesia malata e d’uno stato corrotto». Radicalità di toni a parte, questo intervento – come molti altri qui riportati – espone un’interpretazione dei fatti che è, nella sostanza, in linea con i più recenti contributi storiografici. 121 Un campeggio sull’Appennino Due giorni dopo l’esplosione della bomba di Brescia, un’azione dei carabinieri portò alla scoperta di un campo paramilitare neofascista situato a Pian del Rascino, sulle montagne del reatino. Sul posto furono trovati tre giovani legati all’ambiente dell’estrema destra, Giancarlo Esposti, Alessandro Danieletti e Alessandro D’Intino, il primo dei quali venne ucciso durante la sparatoria scatenatasi al momento del ritrovamento. La stampa della sinistra extraparlamentare si distinse per la particolare attenzione con cui seguì quella vicenda, la quale rivelò molti punti di connessione con l’attentato bresciano 185 . Nelle prime ore della mattina del 30 maggio – segnalò puntualmente “Lotta continua” – erano partite dai paesi di Antrodoco e Fiamignano, in provincia di Rieti, due camionette dei carabinieri 186 . Arrivati nei pressi del campeggio, questi avevano dovuto sostenere una scontro a fuoco durante il quale venne ucciso uno squadrista delle Sam e restarono feriti due carabinieri. La spedizione era partita grazie ad una segnalazione che indicava la presenza di uno ‘strano campeggio’ nella zona della Piana di Rascino. Tra l’altro, un’informazione simile era arrivata ai carabinieri anche nel giugno dell’anno precedente, ma quando le forze dell’ordine erano arrivate sul posto i ‘campeggiatori’, presumibilmente i neofascisti del 185 S. f., I carabinieri sorprendono un campeggio-arsenale delle SAM sui monti tra Rieti e l’Aquila. Gli squadristi rispondono a raffiche di mitra: feriti due carabinieri, di cui uno grave. Ucciso uno dei fascisti, “Lotta continua”, 31-05-1974; G. Forti, Fascismo. Scontro a fuoco tra carabinieri e fascisti delle SAM. Un morto, due arrestati. I terroristi neri venivano da Milano. Preparavano una strage per il 2 giugno a Roma?, “Il Manifesto”, 31-05-1974. 186 S. f., I carabinieri sorprendono un campeggio-arsenale delle SAM sui monti tra Rieti e l’Aquila, cit. 122 gruppo Europa Civiltà, erano già spariti. Grazie alle numerose segnalazioni pervenute alle forze dell’ordine, si sapeva dunque da tempo che quella zona era uno dei luoghi preferiti dalle squadre neofasciste per i loro ‘allenamenti alle stragi’; come si sapeva che la ‘vigilanza’ di quell’area spettava al corpo delle guardie forestali che aveva nella vicina Cittaducale una scuola per allievi sottufficiali il cui comandante aveva condotto a Roma, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, le sue guardie armate ‘a scopo di addestramento’, proprio la stessa notte in cui si radunavano nella capitale le bande del Fronte nazionale per il tentativo golpista gestito da Valerio Borghese. Sulla base di questi dati, il quotidiano non diede troppa importanza al pur significativo intervento dei carabinieri e sottolineò invece che in Italia i campi militari neofascisti protetti o addirittura equipaggiati da settori dei corpi dello Stato erano ancora molto numerosi187 . Secondo“Avanguardia operaia”, i commenti della grande stampa borghese all’indomani del ritrovamento del campo paramilitare stavano enfatizzando la situazione per far credere alla popolazione che si era all’inizio di una svolta, che le forze dell’ordine erano all’altezza della situazione e avrebbero saputo intervenire con decisione contro il terrorismo nero per stroncarlo una volte per tutte. Il settimanale di agitazione comunista non accettò quell’interpretazione – considerata strumentale – e propose una diversa lettura dei fatti: […] ad un’analisi più attenta di quanto è accaduto al Pian di Cornino la mattina del 30 maggio scorso, e soprattutto nelle indagini successive, sapientemente gestite dalla stampa ufficiale, l’ottimismo nei confronti della svolta che i corpi di polizia 187 Ibidem. 123 avrebbero adottato nei confronti della lotta al fascismo, si attenua e lascia spazio ad interpretazioni diverse. A quella, per esempio, di un’azione organizzata e comandata dall’alto per dare in pasto all’opinione pubblica alcuni gregari della strategia della tensione, coprendo ben altre responsabilità e la collusione esistente tra certi settori delle forze di polizia e dei corpi separati dello Stato e la provocazione fascista 188 . “Avanguardia operaia” mise poi in evidenza gli elementi di contatto tra la sparatoria sull’Appennino centrale e la strage di Brescia. Il primo di questi era il nesso temporale, visto che i carabinieri avevano proceduto alla ricerca del misterioso accampamento a nemmeno quarantotto ore dall’esplosione della bomba di piazza Loggia. Come è appena stato osservato, nella zona i campi paramilitari d’estrema destra non erano occasionali e – secondo il settimanale – i missini locali, insieme ai carabinieri, ne erano ben informati. Proprio i carabinieri sarebbero stati costantemente in contatto con i missini, come sembrò dimostrare il fatto che il segretario del Msi di Rieti fosse venuto a conoscenza della notizia della sparatoria di Pian di Rascino almeno un’ora prima del prefetto della 188 S. f., Dopo Brescia l’autorità corre ai ripari. E saltano fuori i campi SAM, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. I quotidiani nazionali non mancarono di sottolineare l’importanza delle rivelazioni di Giorgio Zicari, il quale – in un suo articolo pubblicato il 31 maggio sul “Corriere della sera” – aveva messo in luce l’esistenza di stretti legami tra la strategia reazionaria e i servizi segreti. Lo stesso giornalista si rivelò poi essere un collaboratore del Sid. Per una riflessione su tali questioni, cfr. l’analisi – controversa ma utile – di due giornalisti che all’epoca seguivano le indagini sulla strage per “Il Giorno” e per il “Corriere della Sera”: A. Lega, G. Santerini, Strage a Brescia potere a Roma. Trame nere e trame bianche, Milano, Mazzotta, 1976. 124 città e che nel poligono della villa del neofascista Gianni Nardi, nei dintorni di Ascoli, andasse ad allenarsi un funzionario di polizia che era in servizio a Rieti 189 . Per provare che l’azione dei carabinieri nei confronti del commando neofascista non poteva essere considerata semplicemente un riflesso dell’ondata antifascista che aveva coinvolto tutto il paese, ma andava inserita nel complesso quadro di azioni e reazioni all’interno del quale la strage di Brescia era disposta in primo piano, “Avanguardia operaia” espose altre argomentazioni: il fatto che il giorno dopo la strage di piazza Loggia Kim Borromeo si fosse sottoposto di sua spontanea volontà ad un lungo interrogatorio con il magistrato inquirente, per esempio, era ritenuto quantomeno sospetto. Era probabile – sostenne l’articolo – che egli cercasse di scaricare parte delle proprie responsabilità e di alleggerire la propria posizione collaborando con la magistratura. Grazie ad una sua segnalazione, in ogni caso, venne arrestato Walter Moretti, un giovane medico neofascista bresciano che frequentava campi paramilitari e collaborava col periodico fascista «Riscossa». E, con tutta probabilità, fu sempre grazie alle sue rivelazioni che si decise di interrogare un’altra volta Carlo Fumagalli e di metterlo a confronto con Mauro Colli, arrestato nel corso delle indagini precedenti alla strage di Brescia, e che alcune camionette dei carabinieri si avviarono nel mezzo della notte alla ricerca dell’accampamento sull’Appennino. “Avanguardia operaia” evidenziò anche il fatto che l’esplosivo trovato nel campeggio Sam avesse le stesse caratteristiche di quello utilizzato per l’attentato di Brescia: era ad alto potenziale tecnico, come quello in dotazione ai reparti militari e alle basi Nato, molto difficilmente reperibile sul mercato e verosimilmente 189 S. f., Dopo Brescia l’autorità corre ai ripari, cit. 125 proveniva dai depositi di Carlo Fumagalli. Per il settimanale c’erano insomma tutti i motivi per pensare che tra la strage di Brescia e la scoperta di Pian del Rascino vi fosse «un rapporto di causa ed effetto che li lega[va] entrambi» 190 . Anche per “Il Manifesto”, il legame tra i piani perseguiti dal commando neofascista di Rieti e la strage di Brescia era certo 191 . Il foglio diede rilevanza alla vicenda relativa al citato confronto tra Fumagalli e Colli, posto in essere dopo che il giudice istruttore Giovanni Arcai e il sostituto procuratore della Repubblica Francesco Trovato li avevano precedentemente interrogati separatamente. L’incontro si era svolto subito dopo una perlustrazione compiuta il 31 maggio all’Aprica da una pattuglia di carabinieri guidata dal capitano Francesco Delfino. L’obiettivo della spedizione era stato quello di perquisire la villa di Fumagalli e una baracca usata più volte dagli squadristi come punto d’appoggio per le loro escursioni. La strada era probabilmente stata indicata agli inquirenti da Giorgio Spedini, il neofascista arrestato il 9 marzo precedente in Valcamonica con Kim Borromeo. Dopo l’operazione, il capitano Delfino avrebbe dichiarato le seguenti parole: «Nelle due ville di Fumagalli all’Aprica abbiamo trovato documenti e materiale relativo all’addestramento ideologico degli aderenti alle organizzazioni eversive. In Valtellina abbiamo trovato qualcosa di importantissimo» 192 . 190 Ibidem. Cfr. anche T. Maiolo, Strage. Kim Borromeo ‘canta’ e ritornano in primo piano gli ambienti veneti. Altri interrogativi sulla polizia bresciana, “Il Manifesto”, 31-05-1974. 191 Cfr. il titolo di terza pagina: Ormai certo il collegamento tra fascisti del campo di Rieti e la strage di Brescia, “Il Manifesto”, 01-06-1974. 192 S. B., Strage. Altri bombardieri bresciani vuotano il sacco: scoperta, ad Aprica, una nuova base dei terroristi. Era a Brescia il giorno delle bombe, uno dei fascisti di 126 Le indagini furono estese a Milano, dove ebbero luogo una quarantina di perquisizioni nelle case dei più noti neofascisti della città 193 . Nonostante la discrezione con la quale veniva condotta l’indagine, anche per “Lotta continua” l’ipotesi di uno stretto collegamento tre le trame del gruppo delle Sam e la strage di piazza Loggia non poteva più essere messa in discussione 194 . Il sostituto procuratore di Brescia Francesco Lisciotto aveva dichiarato che uno degli arrestati a Pian del Rascino, D’Intino, con ogni probabilità si trovava a Brescia il giorno in cui era esplosa la bomba. Anche il fatto che molti carabinieri ed alti ufficiali fossero partiti dalla città lombarda per partecipare a una battuta organizzata il 31 maggio sulle montagne dell’alta Sabina nel tentativo di rintracciare il diciottenne Salvatore Vivirito, il quarto uomo del commando che aveva evitato il conflitto a fuoco, faceva pensare 195 . Col passare del tempo si acquisirono inoltre nuovi elementi che rendevano maggiormente evidente il legame tra la bomba esplosa a Brescia e la sparatorie sulle montagne del reatino. Danieletti, uno dei neofascisti arrestati, sostenne che il campo paramilitare era stato allestito per un semplice addestramento e che non c’era in previsione nessun attentato, ma tali dichiarazioni non furono considerate attendibili dagli inquirenti. “Il Manifesto” dette invece spazio alla tesi Rieti, “Il Manifesto”, 01-06-1974. Cfr. anche S. f., La premiata ditta Fumagalli e C., “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 193 Cfr. S. f., Le indagini per la strage di Brescia allargate a diverse città dell’alta Italia, “Il Manifesto”, 31-05-1974. 194 Cfr. la titolazione di seconda pagina: Nella strage di Brescia confluiscono tutti i fili delle stragi, degli attentati, delle aggressioni che i fascisti del MSI e quelli di Stato hanno scatenato contro la classe operaia e il proletariato da oltre 5 anni. Gli squadristi scoperti a Rascino con quintali di esplosivo confermano che la strategia della strage non si è fermata a Brescia, “Lotta continua”, 01-06-1974. 195 Cfr. S. B., Strage. Altri bombardieri bresciani vuotano il sacco: scoperta, ad Aprica, una nuova base dei terroristi, cit. 127 secondo la quale il gruppo stava preparando un attentato da realizzare a Roma per il 2 giugno: alcune rivelazioni avrebbero infatti indicato che un industriale bresciano aveva promesso di consegnare quattrocentomilioni di lire ai terroristi se questi avessero «fatto saltare in aria Leone alla parata del 2 giugno» 196 . L’inattendibilità delle affermazioni di Danieletti venne successivamente provata, ma il progetto eversivo dentro al quale si muovevano i terroristi e le loro motivazioni avevano una configurazione assai più complicata di quella proposta dal quotidiano 197 . Tuttavia, i fogli della sinistra extraparlamentare intuirono che i fatti di Rieti e l’allargamento delle indagini sulla strage di Brescia a gran parte del territorio nazionale avevano «finalmente sollevato il coperchio del calderone fascista» 198 . Rimaneva comunque il dato di fatto che la polizia seguitava a non cercare con il 196 G. F., Fascisti. Battuta a vuoto sui monti di Rieti. Introvabile il quarto uomo della cellula nera. 400 milioni promessi dall’industriale di Brescia Comini per far saltare in aria Leone il 2 giugno?, “Il Manifesto”, 01-06-1974. 197 Cfr. la testimonianza di Carlo Fumagalli riportata dalla sentenza Bonavitacola: per il neofascista «‘la finalità del Mar era quella di arrivare a un tentativo di colpo di Stato’ e […] in ciò il movimento sarebbe stato aiutato da gruppi di giovani che sarebbero serviti come soldati sulle montagne. Appunto con attentati ai tralicci si sarebbe dovuto innescare una reazione che avrebbe provocato l’intervento delle forze dell’ordine. […] Le azioni, ha aggiunto Fumagalli, dovevano svolgersi in Valtellina, mentre invece Esposti avrebbe potuto agire nel Centro Italia dove, come si è visto, poteva contare su uomini fidati. In vista del progetto, ha concluso, si stavano ammassando armi e munizioni. [Il commando di Esposti] si trovava in Abruzzo in attesa di un’azione dimostrativa che avrebbe dovuto svolgersi in alta Italia, che doveva fungere da detonatore per l’entrata in azione ‘nell’arco alpino e sulla dorsale centrosettentrionale appenninica’ di numerosi analoghi gruppi, [che] dovevano impegnare le forze dell’ordine appunto per creare una diffusa situazione di guerriglia». Citata nell’Introduzione di Franco Ferraresi a V. Marchi, op. cit., p. 13. 198 S. f., Nella rete i gregari neri. Ma i pesci grossi nessuno li disturba, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 128 dovuto impegno gli organizzatori delle squadre nere, lasciandoli spesso fuggire all’estero, e continuava a non spingere le proprie indagini verso le trame che collegavano questi ultimi al Msi e ad una parte dell’apparato statale. Una pista che continuò ad essere ritenuta particolarmente interessante dalla sinistra rivoluzionaria era proprio quella che metteva in relazione il movimento della destra extraparlamentare con quello della destra parlamentare. “Lotta continua” sostenne che molti esponenti del Msi facevano parte dei gruppi che venivano indicati come potenziali responsabili della strage di Brescia e dell’organizzazione del campo fascista sull’Appennino, come i deputati del Msi Pino Rauti e Sandro Saccucci, fondatori di Ordine Nuovo 199 . La notizia della sparatoria tra i carabinieri e i gruppi armati neofascisti in provincia di Rieti provocò una certa agitazione anche a Montecitorio. I capi gruppo dei partiti della maggioranza governativa, dopo una riunione, avevano concordato «sulla necessità di prendere misure centrali di repressione nei confronti della criminalità fascista» 200 . L’argomento aveva acquisito dunque una notevole rilevanza e, poche ore dopo l’azione di Pian del Rascino, si trovava al primo posto nell’ordine del giorno del consiglio dei ministri. L’idea del Psi, che prevedeva la costituzione di un ispettorato centrale contro la criminalità fascista, fu valutata positivamente da “Il Manifesto”, perché «la formulazione ‘ispettorato contro la criminalità fascista’ abbandona[va] definitivamente la tesi degli opposti estremismi» 201 . Il socialista Mariotti si era mostrato molto deciso 199 Ibidem; S. f., Le bande armate fasciste non sono estremisti isolati, dipendono dal MSI del boia Almirante, “Lotta continua”, 01-06-1974. 200 S. f., Consiglio dei ministri. Polizia speciale contro i crimini fascisti?, “Il Manifesto”, 31-05-1974. 201 Ibidem. 129 dichiarando che l’accordo raggiunto dai capigruppo non avrebbe dovuto essere messo in discussione per nessuna ragione. Una prerogativa essenziale del progetto era che l’istituto centrale non avrebbe dovuto appoggiarsi alle armi di polizia, dei carabinieri o della guardia di finanza, bensì avrebbe dovuto avere a propria disposizione una ‘brigata speciale’ formata dagli ufficiali e dagli agenti migliori della guardia di finanza e dei carabinieri; avrebbe dovuto avere cioè una chiara indipendenza 202 . Pur mantenendo la solita durezza di toni, l’informazione fornita dai fogli della sinistra extraparlamentare si mostrò molto attenta all’evoluzione delle indagini, arrivando a fare supposizioni che, se spesso azzardate, andavano in una direzione poi confermata dalle indagini. Di sicuro, la vicenda di Pian del Rascino aveva una fitta rete di legami con la bomba del 28 maggio e le fonti processuali dimostrano pienamente che – come fu sostenuto a pieni polmoni dagli organi di stampa qui considerati – la strategia eversiva della quale facevano parte non era portata avanti soltanto da formazioni di estrema destra ma da un insieme ben più complesso di forze. Il gruppo neofascista di Pian del Rascino era una pedina dell’esteso piano golpista riattivatosi dopo la sconfitta delle forze conservatrici al referendum sul divorzio. Con tutta probabilità, il 28 maggio era la data originariamente stabilita dal gruppo di terroristi per mettere in scena un attentato dimostrativo che avrebbe dovuto innescare l’intero disegno eversivo. Gli avvicendamenti precedenti, e in particolar modo l’arresto di Fumagalli, avevano però messo in crisi l’operazione. Il fatto che Esposti, subito dopo aver ricevuto la notizia della strage di piazza Loggia, avesse lasciato l’accampamento per recarsi a Roma, potrebbe indicare che il neofascista fosse desideroso di conoscere se il progetto iniziale fosse ancora valido, e 202 Ibidem. 130 dunque dovesse proseguire, oppure se la bomba bresciana rappresentasse un passo falso che arenava l’intero piano. In ogni caso, la complessità e l’estensione dei contorni della trama eversiva messa in luce dalle indagini esclude un’organizzazione esclusivamente neofascista e conferma il coinvolgimento di settori delle istituzioni e dei servizi segreti. Proprio alcuni settori del Sid avevano probabilmente deciso di togliere di mezzo – smascherandoli e utilizzandoli come capri espiatori – quei gruppi della destra estrema, come il Mar e le Sam, che erano divenuti meno controllabili e troppo visibili. L’esistenza di una strategia di questo tipo all’interno del Sid potrebbe inoltre dare una senso compiuto al curioso episodio che ha visto – il giorno prima della sparatoria di Pian di Rascino – la diffusione dell’identikit di un sospetto, avvistato poco prima dell’esplosione della bomba in piazza Loggia, che somigliava incredibilmente al viso, rasato, di Esposti, quando il neofascista sarebbe stato trovato due giorni dopo con una fluente barba 203 . 203 Cfr. V. Marchi, op. cit., pp. 56-61. L’ipotesi sulle motivazioni del viaggio a Roma di Esposti è qui sostenuta da Marchi. Quella sulle intenzioni di una parte del Sid – citata da Marchi – è stata espressa in un noto articolo redatto per il ventennale dalla strage da Gianni Cipriani. Cfr. G. Cipriani, Piazza della Loggia. La mano fascista al servizio degli 007, “L’Unità”, 28-05-1994. Il giornalista pose i seguenti quesiti: «Il terrorista venne indicato perché si voleva trovare un capro espiatorio? Oppure venne indicato in maniera palesemente falsa perché proprio quel modo avrebbe potuto rappresentare il miglior alibi?». 131 L’ultimo saluto I funerali delle vittime si svolsero il primo giugno in un clima di sentita partecipazione popolare, descritto con grande pathos dagli organi d’informazione della sinistra rivoluzionaria204 . Migliaia di cittadini arrivarono a Brescia per presenziare ai funerali; centinaia di pullman giunsero da tutte le regioni d’Italia, con a bordo delegazioni ufficiali dei comuni, rappresentanze dei consigli di fabbrica, studenti e operai 205 . I sindacati organizzarono il servizio d’ordine in piazza Loggia, dove erano esposte le sei bare, nonostante i ripetuti tentativi di polizia e carabinieri di acquisire la gestione della piazza 206 . Le sfilate delle delegazioni che passavano di fronte alle bare portando fiori e bandiere erano gestite da operai con una fascia rossa al braccio 207 . La gente continuò ad arrivare per tutta la giornata e gli striscioni aumentarono a dismisura, tanto che il loro 204 Cfr. i titoli di prima pagina: Non un funerale, ma un’ondata di collera contro fascisti e potere dc ha accompagnato i sei compagni assassinati di Brescia. Carli annuncia un programma di disoccupazione, “Il Manifesto”, 01-06-1974; Brescia. Ai funerali dei compagni assassinati mezzo milione di pugni chiusi e un solo grido ininterrotto: fuorilegge il MSI!, “Lotta continua”, 01-06-1974. Per il programma dei funerali, cfr. ASCD/33/PL I E 1. 205 Cfr. il volantino firmato da Avanguardia Operaia, Manifesto-Pdup, Lotta Continua, Partito Radicale, intitolato Compagni caduti a Brescia, la vostra morte sarà la morte del fascismo! 31-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/72. 206 La federazione Cgil-Cisl-Uil si preoccupò di gestire la partecipazione di tutti i lavoratori, raccomandando il massimo della vigilanza. Cfr. 7/PL I A 4, 28-05-1974. Il servizio d’ordine era stato organizzato in modo particolarmente attento. Cfr. ASCD/25/PL I C 14; ASCD/26/PL I C 15; ASCD/27/PL I C 16; ASCD/44/PL I E 12. Per ogni punto di concentramento del corteo era stato indicato il numero preciso di delegati del servizio d’ordine e le fabbriche di provenienza. In piazza della Loggia erano 298; in piazza Garibaldi 148; a porta Trento 177. Cfr. ASCD/47/PL I E 15; ASCD/53/PL I E 21; ASCD/54/PL I E 22. 207 Per alcuni messaggi che accompagnavano i mazzi di fiori, cfr. ASCD/61/PL I E 29. 132 volume era difficilmente gestibile: alla fine le presenze sarebbero state circa cinquecentomila 208 . Secondo Tiziana Maiolo, a Brescia gli operai reagirono nel modo migliore, applaudendo le delegazioni della Flm, dei partiti e dei movimenti di sinistra, fischiando Leone e Rumor, e dando «un’impronta di classe a tutta la manifestazione» 209 . Tuttavia, nella piazza centrale la presenza dei lavoratori non era organizzata 210 . Infatti: Piazza della Loggia era rigorosamente selezionata: c’erano le autorità, i giornalisti, i gonfaloni dei Comuni che da soli la riempivano quasi completamente. Nessuna delegazione di 208 T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa antifascista. Leone e Rumor sentono la rabbia popolare, “Il Manifesto”, 01-06-1974. Il “Corriere della Sera” e “Il Giorno” riportarono la stessa cifra. Per alcuni documenti concernenti la presenza di lavoratori e cittadini ai funerali, cfr. ASCD/36/PL I E 4; ASCD/37/PL I E 5; ASCD/34/PL I E 2; ASCD/35/PL I E 3. 209 Ibidem. 210 Come sempre accade durante gli avvenimenti con una forte valenza simbolica, anche in quest’occasione i tentativi di manipolazione della memoria sono ben visibili. «‘L’elaborazione politica della memoria’ si spinge sino a forme di vera e propria manipolazione. L’estromissione dei gruppi extraparlamentari da piazza della Loggia (cui corrisponde la loro volontà di non confondersi con le forze istituzionali e con i partiti di governo), può essere vista in questa prospettiva come espressione di un consapevole disegno di rimodellamento della memoria, come rimozione di uno sguardo radicale, capace di illuminare dimensioni scomode, ma di fondamentale rilevanza, che sarà a lungo impossibile assumere dentro il discorso ufficiale sulla strage. […] Preoccupazione ricorrente nel discorso pubblico è quella di annacquare appartenenze politiche troppo spiccate, fastidiosamente omogenee, di ridurle ad una dimensione meramente sociologica. La ricerca dell’unità dei partiti maggiori sembra esigere questo prezzo». G. Porta, La memoria difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., p. 42. 133 lavoratori era presente in modo organizzato, c’erano però gruppi di lavoratori, o lavoratori isolati, che si erano staccati dai loro cortei trovando posto qua e là. Per le ‘autorità’ e la TV sono stati una brutta sorpresa 211 . 211 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia. In 500.000 a pugno chiuso contro il fascismo e la DC, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. Cfr. quanto scritto da “Il Manifesto” nei confronti della decisione della Rai di effettuare una diretta dei funerali: «Pessima idea per Bernabei, trasmettere in diretta alla televisione i funerali di Brescia. Deve aver giocato in questa decisione un riflesso di pigrizia mentale, per cui i funerali sono cose molto solenni con tanti discorsi di preti e autorità, e basta. Invece, per quanti affannosi tentativi la Tv facesse, milioni di telespettatori hanno visto, e sentito, ieri pomeriggio, come, dal momento in cui è stato annunciato l’arrivo di Leone, tutta la piazza della Loggia abbia preso ad echeggiare di fischi, malgrado fosse stata invasa da poliziotti, gonfaloni, autorità e la gente fosse stata relegata nelle strade circostanti. […] È successo in tutta Italia, d’accordo, ma con questo infortunio televisivo di Barnabei ha avuto la sua consacrazione definitiva un modo di commemorare i morti della strage fascista non retorico e soprattutto non dimentico delle complicità e delle omertà nel calderone di una malintesa ‘unità’». S. f., Televisione. Funerali di stato con fischi, “Il Manifesto”, 01-06-1974. Anche in questo caso, sono indicative le parole di G. Porta: «I fischi laceranti, insistiti che coprono le parole del sindaco della città, che accolgono il presidente del Consiglio, il capo dello Stato, e accompagnano gli esponenti dei partiti di governo durante l’intero tragitto da piazza della Loggia al cimitero scompaiono dai servizi televisivi. Se la censura interviene abitualmente sulle immagini, eliminando presenze imbarazzanti, in questa occasione cancella un sottofondo sonoro che dà clamorosa evidenza alla critica nei confronti dei rappresentanti dello Stato e delle istituzioni. Una contestazione che, alla luce dei fatti emersi in questi anni, non può essere letta facendo ricorso alla categoria dell’estremismo, ma in riferimento ad esperienze precedenti – la strage di piazza Fontana, il caso Valpreda –, tenendo conto delle difficoltà, del disorientamento derivanti dall’impossibilità di trovare ascolto e interlocutori a livello politico e istituzionale, di avere risposte ad una elementare domanda di giustizia. Quello che veniva allora espresso era il rifiuto di una lettura ecumenica, tutta interna al sistema dei partiti, sorda ad interrogativi che con un ritardo di decenni sono diventati ineludibili; era la denuncia intransigente delle compromissioni e delle responsabilità degli apparati dello Stato». Id., La memoria 134 Nei dintorni della piazza c’erano invece gli operai della Pirelli, dell’Alfa Romeo, della Sit-Siemens, di una serie innumerevole di officine della Lombardia, del Piemonte, del Veneto e dell’Emilia212 . La Maiolo descrisse uno scenario che aveva ben poco di mistico e religioso e che tradiva l’elevato contenuto ideologico della manifestazione: i saluti ‘ufficiali’ sarebbero allora stati i pugni alzati e le bandiere rosse, simboli delle lotte che le stesse vittime della strage avevano condiviso 213 . Piazza della Loggia era talmente piena che si faticava a respirare e i cortei dovevano defluire, tramite via X giornate, fino a piazza Duomo e piazza Vittoria, entrambe traboccanti di persone214 . Nel riportare le notizie su quelle ore concitate, i fogli della sinistra extraparlamentare furono molto attenti a fungere da cassa di risonanza delle contestazioni nei confronti delle istituzioni. “Il Manifesto” sottolineò che la Dc veniva continuamente presa di mira dai cori di una folla che non accettava il suo atteggiamento ambiguo e contraddittorio: non si poteva ‘balbettare’ qualche frase contro il fascismo dopo aver sostenuto la campagna per il ‘sì’ affiancati da Almirante, dopo aver deciso di regalare al neofascismo miliardi di lire pubbliche, dopo aver scelto di non intervenire contro i corpi repressivi difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., p. 43. 212 Molti pullman erano stati organizzati dalle province di quelle regioni. Cfr. ASCD/40/PL I E 8. 213 T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa antifascista, cit. La giornalista – che, per uno di quei complessi e non rari processi di metamorfosi politica, si troverà, trent’anni dopo, a militare nelle fila di una forza politica platealmente contrapposta al bagaglio di valori un tempo da essa condiviso – notava che, nonostante l’allestimento di un piccolo altare, «quasi nessuno si faceva il segno della croce». 214 Secondo l’articolo in questa parte di città stazionavano all’incirca centomila persone. Ibidem. 135 separati, complici diretti delle trame nere 215 . Anche il fatto che il governo democristiano avesse chiesto la creazione di un organo speciale per la ‘repressione del terrorismo e della violenza’, dimenticandosi però – come d’abitudine – l’aggettivo ‘fascista’, secondo il quotidiano, rendeva ancora più inviso quel partito alla piazza. In ogni caso, la dimenticanza governativa non stupì i redattori del giornale, da subito convinti che tale organo avrebbe avuto il compito di cacciare i ‘terroristi’ solo là dove avrebbe fatto più comodo alla Dc inventarne l’esistenza 216 . Per “Il Manifesto” il vero scandalo era però rappresentato dall’atteggiamento della sinistra parlamentare: Ci scandalizza che i socialisti cadano nella trappola, loro che sono al governo da un tempo sufficiente per sapere che lo stato aveva ed ha tutti i mezzi per stroncare il fascismo, almeno fin dove stroncare è problema di tecnica repressiva. Ci si scandalizza che il Pci non gridi contro, alto e forte: prova d’una sconcertante perdita di polso popolare, oltre che di una sconcertante miopia 217 . In quel momento Brescia chiedeva alle forze tradizionali della sinistra un impegno immediato: le responsabilità dovevano essere fatte pagare. Spettava al Pci e al Psi il compito di agire tramite la richiesta delle dimissioni del ministro degli Interni Taviani ma, soprattutto, attraverso la 215 S. f., Quel che Brescia domanda, “Il Manifesto”, 01-06-1974. 216 Ibidem. Ibidem. 217 136 battaglia per mettere fuori legge il Msi. Su questi punti la sinistra extraparlamentare pretendeva una risposta precisa 218 . Intorno alle 15 venne chiuso l’accesso a piazza Loggia: sul palco salirono le delegazioni ufficiali dei partiti. Quando, per la prima volta, dopo le frasi di circostanza degli annunciatori e del vescovo di Brescia Luigi Morstabilini, venne pronunciata la condanna della strage fascista, qualcuno urlò «L’avete detta, finalmente, la parola!» 219 . Dopo il socialista De Martino, salì sul palco, con una delegazione del Pci, un applauditissimo Berlinguer. Poi si alternarono le delegazioni del partito liberale, dei socialdemocratici e dei repubblicani. C’erano anche Dante Rossi per il Pdup ed Eliseo Milani per Il Manifesto. Per la Dc, non era presente Fanfani, probabilmente – secondo “Il Manifesto” – per evitare contestazioni, ma Marcora «il cui nome [era] stato annunciato sottovoce e in fretta» 220 . Il vescovo di Brescia venne accolto nel silenzio generale. L’atteggiamento esitante delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delle trame nere non era tollerato dalla sinistra rivoluzionaria e cominciava ad infastidire anche la base cattolica 221 . In una lettera spedita proprio al vescovo, il giorno prima dei funerali, i ‘cristiani della comunità ecclesiale di base’ di Brescia avevano sostenuto che, anche se la ‘Chiesa bresciana’, 218 Ibidem. 219 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. Cfr. ASCD/105/PL I B 9. 220 T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa antifascista, cit. Cfr. il comunicato dello stesso vescovo Morstabilini: Il vescovo in quest’ora tragica; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/59. Per un contributo che ricostruisce le prime reazioni alla strage del mondo cattolico bresciano, ma anche della società civile in generale, cfr. B. Bardini, S. Noventa, 28 maggio 1974. Strage di piazza della Loggia. Le risposte della società bresciana, Brescia, Casa della Memoria, 2003. 221 137 durante la grave crisi provocata dalla bomba del 28 maggio, non aveva mancato di fare sentire con un comunicato la propria voce e la propria presenza, lo aveva fatto con una colpevole ed equivoca genericità. La Chiesa avrebbe invece dovuto smetterla di fare indefiniti appelli alla ‘buona volontà’ e avrebbe dovuto condannare apertamente la sopraffazione e la violenza che si rivelavano metodi funzionali ed organici ad un sistema in contraddizione con l’ideale cristiano 222 . La lettera si conformò dunque come un appello alla gerarchia cristiana perché mettesse un impegno più genuino e meno rituale – a partire dalla cerimonia dei funerali delle vittime – nelle proprie prese di posizione: Ci domandiamo perché mai la nostra chiesa gerarchica non ha il coraggio di esprimersi chiaramente in momenti così tragici 222 Lettera dei ‘cristiani della comunità ecclesiale di base’ di Brescia al vescovo della città Luigi Morstabilini; 30-05-1974. ASCD/PL/1 B3. Dal contenuto della lettera, si deduce che per il gruppo di credenti i fatti erano molto chiari: una bomba era stata fatta esplodere in occasione di una pacifica manifestazione antifascista, provocando morti e feriti e sconvolgendo la vita democratica del paese. La Chiesa avrebbe dovuto esprimere una precisa denuncia perché, se prima del 28 maggio poteva ancora permettersi di parlare di prevalenza dello ‘spirito di Caino’ sullo ‘spirito di Cristo’, facendo appello ad un indeterminato spirito di fratellanza, evitando una più profonda interpretazione dei fatti e del loro valore politico e morale, dopo gli avvenimenti di Brescia non era più lecito sostenere che la strategia delle bombe fosse semplicemente criminale, ma bisognava prendere atto che essa rappresentava il disegno di quell’insieme di forze che avevano realizzato storicamente il fascismo e continuavano a utilizzarne i metodi sanguinari. Cfr. quanto scritto in un volantino redatto poche ore dopo la strage: «L’intera chiesa bresciana […] auspica il concorde sforzo per isolare e punire questo spirito di caino e per ricondurre la convivenza civile a quel clima di giustizia, di amore, di pace che sono dono della presenza dello spirito di cristo in mezzo agli uomini di buona volontà». FDFCT/Testimonianze 2/19/94. Cfr. anche i volantini in FDFCT/Testimonianze 2/19/38-42. 138 come questo, perché si esime dal fare una valutazione lucidamente politica del fenomeno, dato che in questo caso la carità esige di essere precisi, mentre il dissimulare non può essere motivato da discrezione e da opportunità. Ci sembra che in questo modo di fare sia all’opera un meccanismo di dissociazione per cui si fanno certe affermazioni senza volerne accettare le implicazioni politiche. […] L’ufficialità, il valore plebiscitario, antifascista della manifestazione di venerdì, a cui partecipiamo in senso di profonda solidarietà con il dolore dei parenti delle vittime, non ci possono esimere dall’evidenziare un equivoco che essa potrebbe ingenerare. […] Ciascuno di noi è impegnato a mettersi in atteggiamento di ascolto del messaggio che ci viene dall’esperienza tragica del 28 maggio e a viverlo nell’impegno delle proprie scelte 223 . Il dissenso di una parte della base del movimento cattolico, la mobilitazione dei rappresentanti delle organizzazioni operaie, i nuovi tasselli delle indagini che mettevano in luce l’estensione nazionale della trama in cui la bomba di Brescia si inseriva, l’indignazione della cittadinanza – che, non guasta ricordarlo, nei momenti di crisi tende ad 223 ASCD/PL/1 B3, 30-05-1974. Il messaggio era stato spedito anche al Comitato Unitario Antifascista, alla Flm, al presidente della Provincia e al sindaco della città. Interessante notare come i ‘cristiani della comunità ecclesiale di base’ avessero una visione molto critica anche nei confronti della campagna condotta dalla Chiesa per il referendum sul divorzio: «Nella campagna per il referendum l’episcopato italiano ha richiesto ai cattolici un voto che poteva soggettivamente tendere alla difesa della famiglia ma che oggettivamente (ed è quello che più conta) è andato nella stessa direzione dei fascisti e ha favorito la recrudescenza fascista nel nostro paese, di cui abbiamo avuto una dolorosa esperienza nei giorni scorsi». 139 accusare comunque il governo, a prescindere dal colore –, uniti alla radicalità del coinvolgimento dei gruppi extraparlamentari di sinistra, spiegano la forte connotazione anti-Dc della piazza in quelle movimentate ore 224 . I fogli della sinistra rivoluzionaria dettero molto risalto agli 224 La percezione della contestazione – è scontato ma è bene ricordarlo – muta a seconda della fonte che si consulti. Si confronti, a titolo di paragone, la descrizione effettuata dall’allora inviata de “Il Giorno” Natalia Aspesi: «Nel silenzio della folla, rotto da qualche battimano, da qualche dissenso, il presidente Leone, pallido e commosso, ha sostato dapprima nel punto in cui è scoppiata la bomba fascista, poi ha fatto deporre una corona di alloro davanti alle bare. In quel momento tutta la piazza ha rispettato un lungo minuto di silenzio. Infine il presidente ha abbracciato uno per uno i parenti delle vittime, senza parlare. Quando si è unito alle autorità nel piccolo palco laterale, c’è stato un momento di nervosismo nella folla: dalle piazze vicine è infatti cominciata ad arrivare, ben scandita, una serie di grida sempre più forti: ‘Assassini morirete’, ‘MSI fuorilegge’, ‘Vogliamo giustizia’. Ma piazza della Loggia è rimasta composta, non si è unita alle voci di protesta. Così il vescovo della città, monsignor Stabilini [sic], ha potuto cominciare la messa e far un breve discorso di condanna per la strage». Questa la titolazione della pagina in cui compare il resoconto della Aspesi: Dai funerali di Brescia una testimonianza indimenticabile. Una folla immensa, decisa, vigilante. Gli uomini di governo e di partito hanno potuto vedere il volto di un popolo civile e fiducioso, che tuttavia vuole giustizia: per le vittime dell’infame bomba fascista, per il proprio avvenire di lavoratori democratici. Il corteo dietro gli ‘ultimi caduti della Resistenza’, “Il Giorno”, 01-06-1974. Sulla questione dell’effettivo valore della vena polemica popolare, gli organi della sinistra rivoluzionaria entrarono in aperto contrasto anche con il Pci. “Avanguardia operaia”, per esempio, sostenne che non si potesse accettare che gli stessi comunisti tendessero a minimizzare il contenuto critico della partecipazione popolare, e rispose a tono sostenendo che «chi scrive[va], come l’Unità, che pochi estremisti disturbavano dall’esterno la cerimonia, fa[ceva] finta di non essersi accorto che non erano solo gli ‘estremisti’ a gridare, che c’erano anche settori del sindacato e del servizio d’ordine che lanciavano gli slogans insieme ai compagni». S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. Ad ogni modo, sull’impostazione fortemente critica di gran parte della cittadinanza nei confronti del partito di governo non pare giustificato sollevare dubbi. Lo stesso Paolo Murialdi – studioso esperto delle dinamiche massmediali – ha evidenziato che la maggioranza dei quotidiani italiani non era 140 atteggiamenti più marcatamente antigovernativi della popolazione facendo attenzione a dare adeguata visibilità agli slogans – come ‘Msi fuori legge, a morte la Dc che lo protegge’ – che erano piovuti verso il palco delle autorità 225 . Se avrebbe poco senso asserire che la manifestazione di massa non fosse decisamente schierata contro gli esponenti della maggioranza governativa, sarebbe altrettanto inesatto non riconoscere che le punte maggiori di veemenza verbale venissero raggiunte dai militanti e dagli organi di informazione della sinistra extraparlamentare. I gruppi appartenenti a questa famiglia politica avevano nel loro dna un’aggressività sostenuta che a volte – come si è fatto precedentemente notare – sfociava in una discutibile tolleranza nei confronti delle azioni violente e portava gli stessi militanti ad avventurarsi in deprecabili rappresaglie. Sarebbe senza dubbio sbagliato, però, ricorrere a generalizzazioni – che spesso, invece, vengono impropriamente e strumentalmente effettuate – che riducano questo articolato settore politico ad un laboratorio di violenze. La risposta data alla strage di Brescia mostra come le organizzazioni della sinistra extraparlamentare fossero anche in possesso di una maturità politica che le portò a sfruttare il proprio radicalismo in nome di un’unità di azione delle forze che si ergevano a difesa della democrazia italiana, invece di utilizzarlo, sfruttando la situazione di crisi, per dare vigore alla battaglia – della quale non potevano, ovviamente, non rimanere vistose tracce nei disposta a dare la giusta rilevanza alla contestazione delle autorità da parte della popolazione. Cfr. P. Murialdi, Come si legge un giornale, Bari, Laterza, 1982, pp. 84 sgg. 225 Cfr. T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa antifascista, cit.; S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. 141 propri richiami verbali – contro il sistema socio-politico sposato dal nostro paese 226 . 226 Per uno scorcio su quelle giornate che dà l’idea di come questi due aspetti potessero coesistere e di come all’interno dei gruppi si ritrovassero posizioni assolutamente in linea con la legalità e la responsabilità civica, cfr. il contenuto dell’articolo-intervista pubblicato dal “Bresciaoggi”: «Siamo tornati sulla piazza di sera, quando la gente se ne era ormai andata portando con sé il dolore per la strage di cui sono state vittime i militanti delle organizzazioni antifasciste e nello stesso tempo la fierezza di aver manifestato tutti compatti contro coloro che dopo aver vilipeso e profanato per trent’anni i fondamentali valori dell’uomo, vorrebbero dare vita ad un nuovo ‘regime’, disgregando le istituzioni democratiche. In piazza Loggia attorno alle transenne, e seduti qua e là, sui marciapiede rimanevano soltanto quelli dei ‘gruppuscoli’ i più impegnati, i fedelissimi. Ci siamo avvicinati e siamo rimasti a conversare con loro: è stato un momento di riflessione, un’occasione per cercare di capire il significato della giornata antifascista di Brescia. ‘Penso sia stato uno choc per la nostra città – ci ha detto subito Fulvio Ferrari esponente di un gruppo extra-parlamentare – Non credo ci si potesse immaginare una partecipazione così imponente, a tratti oppressiva, ma nello stesso tempo così composta. Nei nostri slogans hanno sentito tutta la rabbia, accumulata da troppo tempo, per la catena dei delitti fascisti’. ‘Hanno ammirato – ha continuato subito un altro – anche il nostro senso di civismo e la nostra organizzazione. Abbiamo partecipato a questa manifestazione e ai funerali rispettando i criteri della legalità e della democrazia’. ‘L’occasione è stata la più triste, e forse la meno adatta, per essere fieri della nostra organizzazione e del nostro movimento, dal momento che ci sono stati sei morti, però la gente si è resa conto del senso di responsabilità che anima la presenza della classe operaia’: è il parere di una ragazza che stringe ancora nella mano un garofano rosso. Anche una vecchia pensionata ci si è fatta vicino: ‘Sono proprio contenta, quelli là, i fascisti, il muso non lo metteranno fuori per un bel po’’. ‘Noi in verità – ha replicato un uomo sulla quarantina – vorremmo sperare che la giornata di oggi sia servita di monito a coloro che credono nella violenza e nel terrorismo, mi auguro che la lezione di oggi sia servita per sempre’». S. f., L’aggressiva presenza dei giovani ‘extra’. La sinistra di classe – ha detto un giovane esponente – ha partecipato alla giornata antifascista con senso di responsabilità. È una lezione per chi attenta alla democrazia, “Bresciaoggi”, 01-061974. La stampa moderata, come si può ben capire, faceva molta più attenzione agli atteggiamenti violenti dei gruppi che non al loro contegno e alla loro maturità. Cfr. i 142 Secondo “Il Manifesto”, quando Leone e Rumor fecero la loro comparsa alla manifestazione, si scatenò uno sdegno pieno di rabbia e dolore dalla piazza che gridò: «Con che coraggio venite qui!»227 . Il foglio dichiarò che il presidente del Consiglio dovette lasciare in tasca il suo discorso limitandosi alla presenza formale; che il presidente della Repubblica, dopo aver deposto la corona, si mise zitto e imbarazzato al suo posto; che quest’ultimo avrebbe preteso di conoscere preventivamente i testi dei discorsi e che questi sarebbero poi stati effettivamente censurati 228 . In ogni caso, riportò “Avanguardia operaia”, gli interventi di Castrezzati e Savoldi vennero accolti da applausi scroscianti, soprattutto quando affermarono che «i fascisti non vanno solo combattuti là dove ci sono e si vedono, ma anche dove si infiltrano, cioè nelle istituzioni dello Stato» 229 e che era ora di finirla con le parole perché «i fascisti devono essere cacciati fuori dalla vita politica italiana» 230 . “Il Manifesto” sostenne che al deputato del Psi Savoldi toni del passo di un articolo pubblicato dal “Corriere della Sera” due giorni prima dei funerali: «La protesta contro la strage di Brescia ha offerto il pretesto a gruppi extraparlamentari di sinistra per compiere ‘raids’ punitivi contro sedi missine e della Cisnal, per assalire avversari politici, per abbandonarsi ad atti di vandalismo e di violenza». S. f., Incidenti provocati da extraparlamentari di sinistra turbano la civile protesta contro la strage di Brescia, “Corriere della Sera”, 30-05-1974. Cfr. anche S. f., Episodi d’intolleranza subito dopo i funerali, “Giornale di Brescia”, 01-06-1974. 227 T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa antifascista, cit. Cfr. anche: S. f., Brescia. Ai funerali dei compagni assassinati mezzo milione di pugni chiusi e un solo grido ininterrotto: fuorilegge il MSI!, cit. 228 T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa antifascista, cit. S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. 229 230 Ibidem. Per i discorsi nella loro completezza, cfr. ASCD/105/PL I B 9. Cfr. anche l’intervento tenuto dallo stesso F. Castrezzati in piazza Loggia a vent’anni dall’attentato: Id., L’oblio e la verità, in AA. VV., Le ragioni della memoria. 143 fosse stato intimato di eliminare la parte del suo discorso in cui si diceva che «Brescia democratica e antifascista chiede che si conduca una severa inchiesta, che faccia luce su quanto è accaduto, ma soprattutto che accerti anche le responsabilità per quanto riguarda l’ordine pubblico e il potere giurisdizionale» 231 . Il socialista aveva però letto il proprio intervento nella sua integrità tra gli applausi della gente. Anche il primo cittadino di Brescia, il democristiano Bruno Boni, aveva pronunciato il suo discorso che era stato però coperto da urla e fischi 232 . Secondo “Avanguardia operaia”, il sindaco di Brescia venne fischiato ininterrottamente dalla gente che si trovava fuori dalla piazza ‘ufficiale’ perché questa credeva si trattasse di Leone: «al povero sindaco, democristiano anche lui, bastava fare un accenno al ‘signor presidente’ o all’‘onorevole Rumor’ per scatenare nella piazza bordate di fischi e di urla» 233 . Il settimanale evidenziò invece il silenzio della piazza «sul passaggio di Luciano Lama, studiato per raccogliere gli applausi, ‘gli operai non si fanno giustizia da soli’ e sull’omaggio ai ‘figli del popolo’ che hanno trovato i fascisti a Rieti» 234 . Ai militanti di AO – che ritennero di avere subito ripetute Interventi e riflessioni a vent’anni dalla strage di piazza della Loggia, op. cit., pp. 2329. 231 T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa antifascista, cit. 232 Ibidem. L’impostazione del discorso del sindaco tendeva a presentare uno scenario in cui a coltivare l’ideale dello ‘squallido terrore’ erano solo «alcuni gruppi moralmente e politicamente isolati». ASCD/104/PL I B 8. 233 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. 234 Ibidem. Lama aveva però espresso anche una critica lucida e tagliente: «Questa strage di innocenti, di cittadini onesti esemplari, costituisce l’ultimo anello di una catena che ha avuto inizio a piazza Fontana nel ’69 e che in altre regioni d’Italia e in questa stessa provincia si è via via snodata in attentati, in fatti d sangue, in insulti allo 144 discriminazioni dai responsabili della manifestazione – fu permesso di entrare in piazza solo alla fine, in mezzo al lungo corteo che seguiva le bare e che ancora a sera scorreva attorno al luogo della strage: «davanti c’erano i cartelli con la foto di Giulietta e la scritta ‘Compagna Gulietta, ti vendicheremo’, dietro un mare di compagni e di striscioni. Il corteo di AO è sfilato in silenzio in piazza della Loggia, salutato dai presenti a pugno chiuso, poi piano piano si è levato il canto dell’Internazionale e poi, sempre più forti, gli slogans sono risuonati per le vie di Brescia» 235 . Le colorite ricostruzioni dei fogli della sinistra rivoluzionaria mettono in evidenza che queste formazioni politiche si trovarono di fronte ad una mobilitazione popolare che superò le loro aspettative 236 . I cittadini bresciani – ma non solo quelli – avevano davvero scelto di partecipare spirito democratico e alla serenità del nostro paese. Questi nostri fratelli sono stati uccisi perché protestavano contro il fascismo […]. Il loro sacrificio dimostra che i valori fondamentali della Resistenza non sono pienamente operanti in Italia [e] denuncia una carenza drammatica della nostra democrazia: longanimità, incertezze, complicità, anche, che permettono al risorgente fascismo di rialzare la testa e di seminare lutti e stragi nel nostro paese». ASCD/104/PL I B 8. 235 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. La sinistra rivoluzionaria era particolarmente critica nei confronti di Rumor. Queste le parole riportate su un volantino firmato da Lotta Continua, Avanguardia Operaia e Il Manifesto-Pdup: «Rumor, per la seconda volta dopo Piazza Fontana primo ministro della strage, che oggi viene a commemorare i compagni uccisi, è il capo di questo governo, controparte dei lavoratori e maggiore artefice di questa situazione di crisi economica e di impunità per i fascisti. Non saranno le sue assicurazioni verbali ad incantarci». ASCD/16/PL I A 7. 236 Effettivamente, la portata dell’attentato di Brescia non sfuggì alla comunità cittadina e italiana che fu coinvolta in modo diretto e trasversale. Si confrontino alcuni comunicati di cordoglio per i famigliari delle vittime da parte dell'Unione Ciechi Italiani, degli Artisti bresciani e degli studenti cattolici del ‘Gambara’ e dell’‘Arnaldo’, rispettivamente in ASCD/69/PL I I 6; ASCD/75/PL I I 12; ASCD/72/PL I I 9. 145 attivamente e in prima persona alla protesta di piazza e in molti casi – anche quando non erano caratterizzati in senso strettamente politico – avevano urlato le critiche e gli slogans lanciati dai militanti delle sinistra extraparlamentare, ma anche da quelli delle organizzazioni ufficiali del movimento operaio. Per “Avanguardia operaia” la risposta popolare era stata rivelatrice: Tutta la gente che si assiepava nelle vie […] e tutta la gente che affollava a decine i balconi e che era affacciata alle finestre, applaudiva, alzava il pugno, gridava ‘Bravi’, rispondeva agli slogans, li imparava e li ripeteva. I compagni erano strabiliati: ma non era ‘bianca’ Brescia? Invece la gente aveva proprio bisogno di questo, aveva bisogno di gridare il suo impegno antifascista, di sentire qualcuno che non dicesse solo parole, che desse una prospettiva di azione dopo i requiem e le campane a morto. Solo la sinistra rivoluzionaria ha colto questo bisogno e ha colto nel segno 237 . 237 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. 146 Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 147 Il problema della violenza Di fronte all’intensa partecipazione popolare riscontrata durante i funerali i fogli della sinistra extraparlamentare tornarono a proporre un confronto con la risposta verificatasi dopo la strage di piazza Fontana. Secondo “Il Manifesto”, rispetto alle manifestazioni seguite all’attentato del ‘69, l’attiva presenza antifascista ai funerali di Brescia testimoniò «un mutamento profondo dell’animo popolare» 238 . Infatti, cinque anni prima era stato possibile far seguire i funerali delle vittime da un silenzioso corteo composto da uno schieramento antifascista che sembrava aver eliminato le divisioni, riuscendo a mantenere un atteggiamento fiducioso nei confronti delle istituzioni democratiche. Per “Avanguardia operaia”, in Piazza Duomo a Milano c’era «una folla sgomenta, inconsapevole, che era lì spinta soprattutto dalla gravità del fatto e dalla pietà per le vittime, una folla senza segno politico, prevalentemente anzi strumentalizzata da 238 S. f., Quel che Brescia domanda, cit. I paragoni tra l’attentato di Brescia e quello di Milano ritornano spesso anche sui volantini politici redatti dalle formazioni della sinistra extraparlamentare. Cfr. quello firmato dal Gruppo marxista rivoluzionario di Brescia: «La strage di martedì a Brescia è, politicamente, ben peggiore di quella di Piazza Fontana, voluta dai fascisti con la complicità dello Stato, durante i contratti del ’69. Nella nostra città, per la prima volta nel dopoguerra, si è voluto colpire direttamente la possibilità di organizzazione del movimento operaio. Sono stati colpiti i Consigli di Fabbrica, il sindacato, tutti i lavoratori. […] Compagni del PCI e del PSI, per troppi anni abbiamo sperimentato a che servono le alleanze con i borghesi: abbiamo visto che i partiti borghesi ‘antifascisti’, subito dopo la Resistenza, hanno incoraggiato, contro il comunismo, la ripresa delle bande nere. L’unità interclassista non serve per fermare i fascisti: occorre l’unità di tutto il fronte proletario!». La strage fascista ci insegna che lo stato borghese non farà mai antifascismo; 30-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/36. 148 destra» 239 . Anche se c’erano molti lavoratori, chiamati dai sindacati contro le provocazioni eversive, nessuno sapeva bene come reagire. La stessa sinistra rivoluzionaria – allora molto giovane – «aveva le idee chiare sulla matrice antioperaia e fascista di quell’attentato, ma era sulla difensiva» 240 . A Brescia, invece, – sottolineò “Il Manifesto” – i rappresentanti dello Stato «hanno sentito la collera e l’accusa popolare montare impetuosamente contro di loro: gli è stato gridato in faccia che la democrazia cristiana [sic] e il suo stato sono responsabili politicamente di quanto è avvenuto» 241 . Secondo l’ottica del quotidiano, era stata proprio la gestione ‘abietta’ della crisi del ’69 da parte di Rumor – che aveva strumentalizzato l’attentato contro i lavoratori, offuscandone la pista nera, coprendo le trame reazionarie dei neofascisti e lasciandoli liberi di continuare la loro opera – a togliere ogni legittimità agli organi dello Stato 242 . Le urla della folla confluita nelle strade bresciane avrebbero dunque confermato che la maggior parte della cittadinanza era consapevole di trovarsi di fronte ad un’organizzazione eversiva che non rappresentava «un virus esterno, ma una malattia endemica di [quella] classe dominante» 243 . Secondo i gruppi della sinistra extraparlamentare, l’elevata politicità dell’attentato di piazza Loggia aveva insomma prodotto un salto di qualità nella risposta popolare creando un clima di accesa insofferenza nei confronti delle trame reazionarie. Per “Avanguardia operaia”, non ci potevano essere dubbi: 239 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. 240 241 242 243 Ibidem. S. f., Quel che Brescia domanda, cit. Ibidem. Ibidem. 149 A Brescia c’è stato un salto di qualità di importanza enorme. I sindacati hanno dichiarato in tutta Italia (non solo a Milano come nel ’69) lo sciopero generale di quattro ore, a Brescia fabbriche occupate e assemblee aperte. Centinaia di migliaia di lavoratori hanno perso una seconda giornata di lavoro per arrivare, anche dal lontano Sud, ai funerali. Non muti, anonimi, ma con gli striscioni, i cartelli, le parole d’ordine antifasciste, con migliaia di bandiere rosse e i pugni chiusi, con tutta la rabbia dell’antifascismo e della Resistenza 244 . La grande partecipazione di quelle ore coinvolse profondamente tutti gli strati sociali del paese, ma le dimostrazioni più impetuose – e quelle maggiormente evidenziate dai fogli qui considerati – provenivano dal cosiddetto proletariato. La stampa della sinistra rivoluzionaria cercò di riportare la complessità e l’estensione delle forze che componevano questo settore della società italiana. “Lotta continua” diede centralità ad un messaggio spedito alla redazione del giornale da un gruppo di ‘soldati democratici del 40° RGT.FTR’ di Forlì, i quali – sottolineando la propria qualità di cittadini che prestano il servizio militare – espressero la loro sincera protesta contro le dinamiche della strategia della tensione affermando «la loro fedeltà agli ideali democratici e antifascisti che animano il popolo italiano e la loro opposizione a qualsiasi tentativo di coinvolgerli in disegni reazionari, e [associandosi] alla protesta unanime 244 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. 150 dei lavoratori italiani e delle organizzazioni democratiche e antifasciste» 245 . Per mostrare come il forte significato della strage bresciana fosse stato compreso anche fuori dai confini nazionali, il foglio citò il caso dei cittadini francesi che erano scesi in piazza per protestare contro l’attentato di piazza Loggia, partecipando in migliaia alla dimostrazione promossa a Parigi dal Fronte comunista rivoluzionario trotskista. Il corteo si era diretto fino al cimitero Père-Lachaise mentre la gente scandiva slogans, come ‘Da Parigi a Brescia il fascismo non passerà’ o ‘In Italia e ovunque il potere agli operai’. La manifestazione si era conclusa con un discorso del trotzkista Alain Krivine che attaccava l’uso padronale delle bande fasciste per colpire la classe operaia e sosteneva che «come in Italia […] anche in Francia Giscard d’Estaing [avrebbe avuto] bisogno delle frange fasciste per mantenere il potere del capitale corroso dalle lotte operaie» 246 . Le formazioni della sinistra rivoluzionaria seguitarono a mettere in primo piano, sulla propria carta stampata, il contenuto antifascista 245 I soldati democratici di Forlì, I soldati democratici di Forlì partecipano alla protesta di tutti gli antifascisti, “Lotta continua”, 01-06-1974. Un’altra lettera indicativa della diffusa reazione al neofascismo che coinvolgeva anche la vita delle caserme italiane è quella scritta dai ‘militari comunisti’ di Treviso che, «nell’esprimere la loro solidarietà di classe con il movimento operaio ancora una volta colpito dalla barbarie fascista, si associa[vano] al cordoglio dei compagni e dei democratici di tutta la nazione, al fianco dei quali combatt[evano] in nome dell’antifascismo e verso il socialismo contro il padronato e quella parte della classe politica che permette[va] il ripetersi di episodi tragici come quelli di Brescia [e] ribadi[vano] il loro impegno antifascista e alla vigilanza contro le trame nere presenti nell’esercito». ASCD/102/PL I B 6, 30-051974. 246 S. f., Francia. I compagni scendono in piazza contro il crimine fascista di Brescia, “Lotta continua”, 01-06-1974. Su iniziativa della sinistra rivoluzionaria, manifestazioni contro la strage fascista a Brescia si erano svolte in varie città europee. Cfr. S. f., Mobilitazioni per Brescia anche all’estero, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 151 dell’impegno profuso dalla popolazione in quelle giornate. Un impegno che – com’è stato ampiamente sostenuto – non può essere messo in discussione, anche se i fogli analizzati ne estremizzarono spesso i toni: La rabbia, non la rassegnazione o la pietà, si è vista a questi funerali: la misura è ormai colma, adesso basta. La gente non vuole più star zitta, neanche se c’è un funerale, la messa o il vescovo che parla. Vuole agire, spazzare via i fascisti dalla scena politica, impedire loro fisicamente di agire, di organizzarsi. I lavoratori vogliono vendicare i loro morti. E, altro punto importante, hanno capito che non è allo ‘stato democratico’ che possono delegare il compito di fare giustizia 247 . Di fronte alla sfida politica lanciata dalla strage di piazza Loggia, gli organismi dirigenti di AO e la quasi totalità delle sue sedi si impegnarono ad interpretare le esigenze delle masse e della parte più cosciente del proletariato, cercando di mettere a frutto l’esperienza maturata nel corso degli anni nella lotta contro le nuove forme di reazione. L’impegno in prima linea contro il neofascismo da parte dell’organizzazione extraparlamentare era attivo già da tempo: era almeno dal marzo 1972, con la giornata di lotta milanese contro la ‘maggioranza silenziosa’ e contro la polizia che la proteggeva, che si impegnava sul terreno dell’antifascismo militante. I redattori del settimanale del gruppo insistettero su questo punto in un intervento – intitolato Antifascismo militante: obiettivi e alleanze – 247 S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in Italia, cit. 152 nel quale sostennero l’urgenza di un maggiore sostegno per le masse e le avanguardie comuniste nella lotta contro le trame nere «perché, dopo la strage di Brescia e, più in generale, dopo il salto qualitativo fatto dal terrorismo fascista negli ultimi mesi, non [potevano] più [ritenersi] soddisfatti di come [andavano] le cose in questo campo» 248 . L’articolo – che riveste grande significato perché aiuta a comprendere le posizioni e le contraddizioni delle formazioni della sinistra rivoluzionaria rispetto alla questione dell’utilizzo della violenza – additò gli errori del passato per cercare di evitarli nel presente: Sarebbe veramente sciocco e autolesionista ritenere che la bestiale criminalità dei fascisti, per l’indignazione morale che suscita nella stragrande maggioranza del popolo, sia destinata, di per sé, a ritorcesi, come un boomerang, su chi la pratica. Discorsi di questo tipo, che purtroppo capita ancora oggi di dover ascoltare, sono fatti dai revisionisti dimentichi che, nel 1921-22, i vari Turati, Modigliani ecc. facevano le stesse identiche osservazioni a proposito del crescente dilagare del terrorismo mussoliniano. Il primo attacco fascista – quello contro il Comune di Bologna dopo la vittoria elettorale del partito socialista – suscitò, senza dubbio, l’esecrazione generale. Gli squadristi furono condannati non solo dalle masse popolari ma anche da vasti settori della borghesia; la stessa cosa accadde successivamente per altri assalti contro sedi sindacali, case del popolo ecc. ma con il trascorrere dei mesi, la borghesia si accorse che il terrorismo fascista non trovava ostacoli consistenti 248 S. f., Antifascismo militante: obiettivi e alleanze, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07- 06-1974. 153 a causa del pacifismo del PSI (e anche del dottrinarismo e del settarismo del PCd’I diretto da Bordiga) e prese, quindi, a considerarlo come una possibile soluzione per piegare la combattività del proletariato 249 . I redattori di “Avanguardia operaia” sapevano che la situazione generale del 1974 era molto diversa da quella degli anni venti, ma erano convinti che una riflessione storica su quel triste passato fosse necessaria per comprendere in quale direzione incanalare la reazione antifascista. La comparazione storica qui proposta – che, visto l’elevatissimo tasso di violenza nera della prima metà degli anni settanta, offriva uno spunto di riflessione non banale e certo utile – mette in evidenza l’approccio ‘antipacifista’ di questo gruppo, caratteristica che accomunava – soprattutto in quella fase critica – le formazioni della sinistra rivoluzionaria. La loro radicalità verbale era corrispondente al forte desiderio di vedere finalmente estirpata la strategia reazionaria, ma tradiva anche la disillusione di poter soddisfare tale desiderio tramite i tradizionali metodi di protesta del movimento operaio: infatti, «di fronte al salto qualitativo del terrorismo fascista, sarebbe [stato] da irresponsabili non reagire nel modo dovuto, pensando che tutto [avrebbe finito] col sistemarsi, rispondendo ad ogni sparatoria e ad ogni attentato dinamitardo con uno sciopero e un corteo» 250 . Le parole di “Avanguardia operaia” possono però trarre in inganno, inducendo a credere che il settimanale volesse spronare i propri militanti a compiere azioni violente. Anche se non può essere negato che alcune prese di posizione dei fogli analizzati abbiano favorito lo sviluppo di risposte 249 250 Ibidem. Ibidem. 154 aggressive, è necessario tenere in considerazione anche il condizionamento inverso. Infatti, i gruppi della sinistra extraparlamentare erano molto attenti all’umore mostrato dalla cittadinanza durante le manifestazioni. Le loro posizioni – e dunque quelle dei loro organi di stampa – tendevano a radicalizzarsi nel momento in cui le accese proteste di una fetta rilevante della popolazione scesa in piazza – che aveva un atteggiamento ‘fisiologicamente’ veemente – andavano nella stessa direzione delle loro. Tuttavia, l’imperativo categorico attorno a cui gravitò l’impegno politico delle formazioni della sinistra rivoluzionaria in quelle lunghe giornate era l’indebolimento delle risorse del piano reazionario attraverso un battaglia – che doveva rientrare nella legalità – per mettere fuori legge il Msi. L’articolo citato mostra come, secondo il settimanale, la strada da percorrere fosse stata indicata proprio dalla mobilitazione popolare antifascista: Il nostro primo compito è dunque quello di agire per annullare, o quantomeno, ridurre la forza materiale e militare dei fascisti. L’unico modo per farlo è quello indicato dagli operai dell’Italsider di Napoli, dai militanti che a Roma e a Milano hanno chiuso le sedi missine nei quartieri popolari e i bar ‘sanbabilini’. Un’altra indicazione che viene dalle masse e che deve essere resa sistematica dalle avanguardie è quella dell’epurazione dei fascisti dalle fabbriche e dalle scuole (nei giorni scorsi gli operai della FIAT Mirafiori, come i loro compagni di altre fabbriche, hanno accuratamente spazzato via i fascisti). Più in generale occorre determinare un clima di mobilitazione tale da prevenire il terrorismo fascista o, quando la cosa non sia stata possibile, punirlo severamente. È in questo 155 quadro che si colloca la nostra risposta, rivolta alle masse ma anche a tutte le forze politiche antifasciste, di agire per mettere fuori legge il MSI 251 . I gruppi della sinistra extraparlamentare ebbero una verifica di massa che andò ben oltre le forze che erano in grado di influenzare. Infatti, non soltanto chi aderiva alla sinistra rivoluzionaria ma anche decine di migliaia di persone legate alle altre organizzazioni del movimento operaio respinsero nelle fabbriche e nelle piazze l’atteggiamento moderato della sinistra parlamentare nei confronti degli organi istituzionali. Ad “Avanguardia operaia” sembrò scontato che le istituzioni repubblicane, nonostante le solenni affermazioni della carta costituzionale, non avrebbero mai percorso di loro iniziativa la strada che conduceva allo scioglimento del Msi 252 . Il partito guidato da Almirante – sostenne il foglio – faceva troppo comodo come supporto del sistema politico di quegli anni, ma anche come possibile carta di ricambio per il futuro: sarebbe bastato ricordare che la legge varata nel 1953 per colpire il Movimento sociale era stata applicata soltanto nel 1973 e soltanto contro Ordine Nero per capire che qualcosa non andava. Il settimanale di agitazione comunista sapeva che la mobilitazione generale sarebbe ben presto calata e che non si poteva tergiversare nella speranza che l’indignazione morale della popolazione attivasse un’inversione di tendenza nell’impegno delle autorità. Per ottenere un successo bisognava invece muoversi con estrema 251 Ibidem. Cfr. S. f., Strage. Una lunga serie di falsi per bloccare l’inchiesta sulle bande fasciste (e di stato). Magari si cerca di unificarla (e portarla a Roma) per toglierla a giudici che ‘sanno troppo’, “Il Manifesto”, 09-06-1974. 252 156 determinazione, perché soltanto «in una situazione in cui l’azione delle avanguardie, la decisa iniziativa della classe operaia, un largo consenso dell’opinione pubblica democratica [avessero reso] l’aria irrespirabile ai fascisti, l’obiettivo della messa fuorilegge [sarebbe diventato] realistico e si [sarebbe trasformato] a sua volta in un potente impulso all’azione diretta delle masse» 253 . L’articolo di “Avanguardia operaia” sembrò poi rivolgersi indirettamente alle istituzioni – o alla parte considerata democraticamente affidabile delle istituzioni, alla quale, nonostante tutto, fu costantemente richiesto un intervento deciso – per avvertirle che, in mancanza di un loro ferma presa di posizione, il seguito popolare dei gruppi della sinistra rivoluzionaria continuava ad aumentare, ma insieme ad esso anche il desiderio di farsi giustizia da soli: Alcuni risultati significativi sono venuti, ma è giunta l’ora di alzare il tiro e di darci obiettivi più ambiziosi. [Le grandi mobilitazioni dell’ultimo periodo] hanno dimostrato che, oltre ai militanti della sinistra rivoluzionaria, un vasto settore del proletariato legato alle organizzazioni della sinistra tradizionale, comincia a muoversi in modo diverso dal passato: le parole d’ordine della sinistra rivoluzionaria vengono riprese su larghissima scala nonostante persistano, in alcuni casi, elementi inerziali di diffidenza. Anche le forme di lotta più avanzata non sono considerate estremiste ma tali da essere attuate a livello di massa 254 . 253 254 S. f., Antifascismo militante: obiettivi e alleanze, cit. Ibidem. 157 Era anche per evitare che la situazione precipitasse che – per le formazioni della sinistra rivoluzionaria – bisognava organizzare una mobilitazione che coinvolgesse il maggior numero di soggetti possibile. Per questo motivo venne proposta una verifica – da effettuare tramite una votazione – dell’effettiva volontà e disponibilità popolare di lottare in prima persona contro tutto quanto di fascista era ancora presente nella società italiana. Quell’esame era considerato particolarmente importante proprio perché avrebbe permesso «di verificare l’effettivo grado di disponibilità dei revisionisti e di tutti i democratici borghesi a passare dalle parole ai fatti» 255 . Il Comitato centrale di AO si impegnò in una raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare. Era però necessario riuscire a coinvolgere tutti i settori dell’antifascismo per raccogliere almeno cinquantamila firme. Questa campagna doveva essere inoltre un’occasione per commemorare le vittime di Brescia, per svolgere comizi e conferenze e per rendere partecipe il maggior numero di persone possibile 256 . Per il gruppo bisognava inoltre impegnarsi per eliminare dalla legislazione italiana i lasciti del fascismo. AO appoggiò l’iniziativa promossa dai radicali di raccogliere firme per giungere ai referendum abrogativi delle leggi fasciste ancora vigenti, pur nella consapevolezza che le reali possibilità di ottenere un successo erano poche. Secondo il settimanale del gruppo, il governo stava peggiorando la situazione tramite il varo di una serie di misure che ledevano le libertà dei cittadini, come la decisione di aumentare il periodo di detenzione in attesa di processo, o la restaurazione della facoltà della polizia giudiziaria di interrogare gli arrestati anche in assenza del magistrato. L’energia della popolazione antifascista avrebbe 255 256 Ibidem. Ibidem. 158 dovuto essere diretta proprio contro quell’atteggiamento, in modo da cambiare definitivamente la gerarchia dei valori della politica italiana e segnare un punto di non ritorno nel percorso democratico del paese 257 . I gruppi della sinistra extraparlamentare erano convinti dei propri mezzi ma non mancarono mai di sottolineare che, per bloccare quello che si mostrava sempre più chiaramente come un complesso piano reazionario di cui l’azione dei gruppi d’estrema destra rappresentava soltanto la punta dell’iceberg, i loro sforzi avrebbero dovuto necessariamente essere coadiuvati da un nuovo atteggiamento delle forze parlamentari della sinistra 258 . In questo senso, la mobilitazione seguente alla strage bresciana rappresentò per queste formazioni un terreno di riflessione e di maturazione politica che permise loro di muovere un abbozzo di autocritica nei confronti della propria intransigenza. “Avanguardia operaia” arrivò a denunciare il massimalismo che caratterizzava gli schieramenti della sinistra extraparlamentare, considerandolo corresponsabile dell’atteggiamento difensivo assunto dai partiti del movimento operaio. La sinistra rivoluzionaria avrebbe allora dovuto ricercare tutte le alleanze possibili sul terreno dell’antifascismo effettivo, senza porre pregiudiziali di schieramento come aveva fatto in passato: l’unico risultato di tale comportamento era stato infatti quello di aver facilitato l’opera dei ‘revisionisti’ che usavano l’antifascismo solo per sviluppare la politica del compromesso storico. Bisognava invece puntare tutto sulla formazione di comitati unitari antifascisti, mettendo in tal modo alla prova le forze parlamentari della sinistra, spingendole ad abbandonare le alleanze strategiche con la Dc a favore di un più concreto impegno 257 Ibidem. 258 Cfr. S. f., Le bande armate fasciste non sono estremisti isolati, dipendono dal MSI del boia Almirante, cit. 159 antifascista. Sarebbero stati «i contenuti programmatici a filtrare gli antifascisti veri da quelli fasulli» 259 . In un altro importante articolo – significativamente intitolato Devono pagare –, “Avanguardia operaia” tornò a puntare il dito contro l’atteggiamento ambiguo delle cariche governative che avevano cercato di utilizzare l’indignazione popolare contro i fascisti e la loro impunità «per deviarla verso l’obiettivo del rafforzamento dell’apparato repressivo e della legislazione liberticida» 260 . Vennero chiamati in causa anche i maggiori organi di stampa nazionale che, pur facendo concessioni verbali al profondo malcontento popolare, avrebbero imbastito ogni giorno dei ‘gialli’ sui personaggi coinvolti o sui nuovi particolari dell’inchiesta con l’obiettivo di confondere le acque. “Avanguardia operaia” credé invece di poter vedere chiaramente i fondali di quella vicenda e rincarò la dose di accuse nei confronti del Msi, considerato colpevole di avere addestrato e armato le squadre dell’estremismo di destra e di avere agito in stretto collegamento con i servizi segreti italiani, ma anche con quelli di altri paesi Nato. Per il settimanale, la situazione era già abbondantemente chiara alle forze dell’ordine, che sarebbero state da tempo in possesso delle liste dei nomi dei terroristi e dei finanziatori: esse però non si stavano muovendo per abbattere le centrali dell’eversione perché la classe dirigente italiana non aveva la volontà politica di andare in quella direzione 261 . 259 260 S. f., Antifascismo militante: obiettivi e alleanze, cit. S. f., Devono pagare, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. Cfr. anche la titolazione di prima pagina del mensile «Movimento Studentesco»: «Tutte le stragi portano alla DC. I fascisti sono legati a doppio filo ai gruppi economici, ai settori dell’apparato statale, alle organizzazioni che fanno capo alla DC, la quale invece di colpire i fascisti cerca di fare approvare leggi ultrafasciste per limitare le libertà costituzionali e colpire le forze democratiche e rivoluzionarie», n. 33, giugno 1974. 261 S. f., Devono pagare, cit. 160 La popolazione antifascista mobilitatasi in quelle giornate era riuscita, fino a quel momento, a mantenere l’autocontrollo e ad organizzare proprie forme di protesta e di solidarietà 262 . Ma, per i gruppi della sinistra rivoluzionaria, si era arrivati ai limiti dell’umana sopportazione. L’intervento di “Avanguardia operaia” tornò a sostenere che la cittadinanza antifascista non si sarebbe più lasciata ingannare da misure pensate solo per trovare qualche capro espiatorio, in grado di imprigionare soltanto insignificanti ‘manovali’ del terrorismo, ma avrebbe richiesto una giustizia completa 263 . La collera popolare – ribadì l’articolo – era giunta al colmo e sarebbe servito tutto l’impegno degli organi istituzionali per evitare che la cittadinanza cercasse di farsi giustizia da sé: Questa volta nessuno si accontenterà del successo che hanno avuto gli scioperi e le manifestazioni. Questa volta non ci si fermerà fino a quando non saranno stati raggiunti risultati concreti contro i fascisti. Se, come tutto lascia credere, poliziotti e magistrati, controllati da Rumor e da Fanfani, non si decideranno a dare colpi seri cominciando con l’incarcerazione dei criminali di Brescia, i lavoratori si faranno giustizia da soli con buona pace delle animelle socialdemocratiche e dello stesso Lama. Rumor, Fanfani, Taviani non avranno alcuna tregua fino a 262 Molti operai, in particolar modo, continuarono a mobilitasi anche per fornire un contributo economico ai famigliari delle vittime, come nel caso dei lavoratori di Carpenedolo che avevano deciso di devolvere un’ora del proprio lavoro a tale scopo. Cfr. il volantino 1 ora di lavoro per le vittime di Brescia del 06-06-1974. ASCD/145/PL I 0 7. 263 S. f., Devono pagare, cit. 161 quando gli autori e i mandanti della strage non saranno stati puniti. Nel frattempo in ogni quartiere popolare sarà fatto tutto il possibile per chiudere i covi nei quali i fascisti organizzano le loro imprese squadristiche piccole e grandi; queste sedi devono essere chiuse una, due, tre, mille volte. […] Pietà l’è morta cantavano i partigiani. La nostra pazienza, la pazienza dei proletari è finita, diciamo noi oggi. Questa è l’ora dei fatti, delle misure, concrete che stronchino materialmente la possibilità dei fascisti di continuare ad uccidere, a far deragliare treni, a far esplodere bombe in mezzo alle manifestazioni 264 . Anche in questa circostanza, dalla radicalità dell’articolo emerge tutta l’ambiguità delle posizioni sostenute dagli schieramenti analizzati, posizioni che spesso erano frutto di un atteggiamento condizionato da un pericoloso intreccio tra concezione legale ed illegale dell’attività politica. Tale dualismo non deve mai essere perso di vista e non può che avere un peso considerevole sul giudizio complessivo dell’attività della sinistra radicale. Nella stessa misura deve però essere costantemente e specularmene tenuto in considerazione che una dicotomia analoga persisteva all’interno dello Stato. Solo in questo modo è possibile approcciarsi obiettivamente a quel travagliato periodo della nostra storia caratterizzato da un utilizzo della violenza politica che interessò non solo le parti estreme della destra e della sinistra ma anche una fetta significativa delle istituzioni. 264 Ibidem. 162 Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 163 Il Pci Durante le giornate successive all’attentato di Brescia, le posizioni dei gruppi della sinistra extraparlamentare nei confronti del Partito comunista – relativamente alle tematiche qui trattate – tendevano a coincidere. Il Pci era visto come una sorta di interlocutore privilegiato da quel settore politico, ma – proprio per questo motivo – veniva sottoposto ad una critica costante. Essendo considerato il partito politico che più di ogni altro doveva farsi garante dei diritti e della sicurezza dei cittadini che protestavano contro la strategia reazionaria, il Pci venne ripetutamente accusato di non volere assumersi le proprie responsabilità e di rifugiarsi in un moderatismo utile soltanto alle proprie strategie di potere. In quel periodo di forti tensioni, la sinistra rivoluzionaria non accettò i richiami del partito a ‘non farsi giustizia da soli’ e li interpretò come sterili appelli tesi a placare l’animo popolare, i quali avrebbero semplicemente aiutato il sistema capitanato dai democristiani a tenere nascoste le proprie complicità. Dagli organi di stampa legati a quest’ambiente traspare dunque un atteggiamento assai critico nei confronti del Pci che – anche dopo la strage del 28 maggio – non aveva saputo muoversi con decisione ed era rimasto immerso in un sistema partitico condizionato dal potere democristiano, mantenendosi estraneo ai problemi del paese reale. Tale posizione critica è ben mostrata dal contenuto di una serie di articoli di “Avanguardia operaia”. Il settimanale si lamentò del fatto che, nonostante il risultato del referendum sul divorzio, il gruppo dirigente comunista avesse rilanciato il compromesso storico, confermando alla Dc il proprio atteggiamento ‘responsabile’ e la propria opportunistica disponibilità a collaborare. Comportandosi in quel modo la dirigenza comunista avrebbe però compiuto alcuni gravi errori di valutazione politica: non aveva tenuto in 164 considerazione gli ostacoli all’apertura verso il Pci di carattere internazionale, proprio in un momento in cui si erano acutizzati i contrasti tra Usa e Urss, e – soprattutto – aveva sottovalutato l’evoluzione della situazione interna. In quella delicata fase segnata dal picco della violenza eversiva, dalla crisi economica e dalla rinnovata antipatia di buona parte della cittadinanza nei confronti del partito di governo, una posizione troppo morbida del Pci era vista come controproducente perché non lo avrebbe aiutato a mantenere l’egemonia sulle categorie sociali vicine alla classe operaia 265 . Il foglio avvertì allora la dirigenza comunista che il prezzo che il partito avrebbe dovuto pagare per un rapporto di collaborazione con il ‘fronte borghese’ sarebbe stato molto alto e avrebbe comportato una ‘corresponsabilizzazione’ con una politica governativa tra le più direttamente anti-popolari e impopolari dell’Italia repubblicana: Anche per queste ragioni, la rinnovata disponibilità alla collaborazione verso cui si orienta il gruppo dirigente del PCI, è destinata a creare profonde contraddizioni nel rapporto PCImasse; e, in particolare, in quell’aspetto specifico di tale rapporto che è costituito dal rapporto tra vertice e base del partito. È da vedere in che misura i militanti del PCI, finalmente un po’ galvanizzati da un momento di lotta oggettivamente dominato da una netta contraddizione alla DC, accetteranno di re-inserirsi nella squallida routine dell’‘opposizione di tipo diverso’266 . 265 266 S. f., Dopo il referendum, cit. Ibidem. 165 Il Pci aveva abbondantemente denunciato l’incapacità dei governi succedutisi in quegli anni di assumere iniziative in grado di spezzare l’intollerabile catena di violenze reazionarie, ma quelle accuse avrebbero dovuto tradursi in una presa di posizione concreta. Dopo gli ultimi drammatici avvenimenti bresciani, i comunisti italiani – sostenne ancora “Avanguardia operaia” – avrebbero dovuto utilizzare la loro forza per rispondere alla violenza fascista e per colpire le responsabilità politiche delle forze al potere, le complicità poliziesche e giudiziarie. Le energie del partito avrebbero dovuto essere convogliate in una politica che contrastasse l’atteggiamento governativo che, senza preoccuparsi troppo dei principi costituzionali, andava nella direzione opposta alla volontà popolare 267 . Secondo il settimanale, un’azione di contrasto e di controllo sarebbe stata particolarmente utile, anche perché il potere democristiano stava rispolverando la parola d’ordine dell’efficienza e della centralità dello Stato «nell’unica interpretazione che la lotta di classe consente, la repressione, facendo piazza pulita di ogni altra interpretazione più democratica, come quella proposta ad esempio dallo stesso PCI» 268 . In effetti, nel corso del dibattito parlamentare sul rafforzamento degli organici di polizia, il Partito comunista aveva avanzato alcuni suggerimenti sulla smilitarizzazione degli agenti di polizia e sulla possibilità di introdurre un reclutamento popolare delle forze di polizia, controllato da partiti e sindacati, proposta che non era stata accettata dai democristiani, persuasi di poter conciliare più ‘efficacia 267 Cfr. S. f., Governo. Rumor e Fanfani usano le bombe fasciste per estendere i ‘corpi speciali’. Astensione del Pci sul potenziamento della polizia, “Il Manifesto”, 02-061974. 268 S. f., Il governo potenzia l’apparato repressivo. Col pretesto del terrorismo, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 166 repressiva’ con più democrazia 269 . Tuttavia, agli occhi delle formazioni della sinistra rivoluzionaria, nonostante qualche flebile tentativo di reazione, l’atteggiamento dei comunisti – e della sinistra istituzionale in generale – sembrò assolutamente inadeguato a contrastare le preoccupanti prese di posizione governative. Una chiara risposta alla strategia reazionaria doveva invece arrivare velocemente perché, in quel momento, «col pretesto dello ‘scardinamento delle trame eversive’ [venivano] preparate e rese più efficienti nuove offensive contro la sinistra rivoluzionaria e i suoi militanti» 270 . Quest’ultima sentì l’urgenza di imprimere una svolta alla battaglia contro il Movimento sociale italiano, una battaglia di vecchia data che dopo la strage di piazza Loggia non avrebbe più dovuto avere semplicemente un senso di protesta e di sfogo del movimento di classe, ma avrebbe dovuto condurre ad una maturazione della democrazia italiana. In quel momento, però, a questi gruppi parve che il valore di quell’impegno fosse stato perfettamente compreso da centinaia di migliaia di operai, dai consigli di fabbrica, dalle organizzazioni antifasciste e dai consigli comunali, ma che le forze politiche ufficiali della sinistra non fossero in grado di raccoglierne il significato. E il maggior responsabile di tale atteggiamento sembrò loro essere, appunto, il Partito comunista. Nelle conclusioni del comitato centrale di questo partito appena conclusosi, per esempio, non era stata sostenuta la necessità di metter fuori legge il Msi, anche se un intervento – quello di Umberto Terracini – aveva evidenziato la centralità della questione. Tale ipotesi era stata discussa e rifiutata dalla replica finale con l’argomento che il Msi rappresentava ancora tre milioni di voti e che non si sarebbe dovuto lottare tanto per 269 270 Ibidem. Ibidem. 167 sciogliere la sua struttura quanto per smascherarne le connivenze col terrorismo fascista e per disgregarne le basi sociali e il consenso elettorale, anche perché – sempre secondo i dirigenti del Pci – una proposta di scioglimento del Msi avrebbe avuto l’effetto di far serrare i ranghi al partito, aiutandolo così a ricomporre la propria crisi. In tal modo, il Pci esplicitò una concezione politica per cui il Movimento sociale non era il vero centro dell’eversione e il governo avrebbe invece dovuto concentrare le proprie energie per scoprire gli appoggi internazionali, le complicità istituzionali e i finanziamenti nel mondo dell’industria. Per “Avanguardia operaia”, quelle del Pci erano ‘strane teorie’ poco realistiche, che non tenevano conto che la crisi dei fenomeni reazionari sarebbe scaturita «soltanto da una contrapposizione molto dura ad essi, da una lotta molto estesa e radicale che [conducesse] anche a provvedimenti legali che gli [togliessero] ogni spazio» 271 . Ribadendo che il principale compito dello schieramento antifascista era quello di condurre la battaglia contro il Movimento sociale italiano, il settimanale sottolineò la paradossalità dell’atteggiamento del Partito comunista ricordando ai propri lettori che era stato proprio in quell’organizzazione politica che, nelle occasioni maggiormente critiche del recente passato nazionale, tale impegno aveva trovato il suo maggior sostenitore: Trent’anni fa, quindici anni fa, era il Partito Comunista che portava avanti queste indicazioni, era “L’Unità” che le sosteneva, erano i militanti del PCI, in prima fila, che le 271 S. f., Il PCI rifiuta la battaglia per la messa fuori legge del MSI. Quattro argomenti che non convincono nessuno, “Avanguardia operaia”, N. 24, 21-06-1974. 168 applicavano sul terreno della lotta concreta, giorno per giorno, fabbrica per fabbrica. L’antifascismo militante ha rappresentato, all’interno dell’intera storia del PCI, una delle pagine più belle, è di fatto il patrimonio a cui sempre gli stessi dirigenti hanno inteso richiamarsi nel caratterizzare la tradizione stessa del partito. Ed è proprio l’antifascismo militante, frutto del coraggio e dell’eroismo di migliaia di proletari, il segno di riconoscimento e di continuità che gli stessi militanti richiamano quando difendono la natura di classe del PCI 272 . Il periodico affermò allora che per una buona parte della popolazione antifascista che aveva partecipato alle manifestazioni dei giorni successivi alla bomba di Brescia – quella che si sentiva appunto rappresentata politicamente da tale partito – il Pci non era solo la principale forza che aveva dato vita alla Resistenza ma era anche il gruppo politico che aveva sostenuto con costanza la lotta antifascista dal dopoguerra sino a quel momento. Queste considerazioni avevano l’obiettivo di spingere i dirigenti del partito – ma, in generale, ogni antifascista – a riflettere sul fatto che la campagna contro il Msi condotta in quel momento dalla sinistra extraparlamentare era tanto più legittima e comprensibile in quanto frutto di un’esigenza rivendicata da decenni da tutto il movimento operaio, esigenza che era appunto stata «uno dei baluardi della politica del PCI, uno degli elementi fondamentali che gli [avevano] permesso di continuare il suo radicamento tra le masse, nei confronti delle quali il PCI [era] stato il punto di riferimento in questa battaglia» 273 . Di fronte a tale constatazione, 272 273 S. f., Le buone vecchie usanze del PCI, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. Ibidem. 169 l’atteggiamento incerto tenuto dal partito in quelle giornate di intensa partecipazione antifascista era considerato inammissibile. “Avanguardia operaia” non riusciva proprio a spiegarsi perché le enormi differenze ideologico-politiche che contrapponevano il Pci alla Dc – le quali si erano manifestate in tutta la loro irruenza durante la campagna per il referendum del 12 maggio – venissero messe da parte proprio quando si realizzava la condizione ideale per la sconfitta di massa dei democristiani, e perché le stesse parole d’ordine che avevano caratterizzato l’attività dei dirigenti comunisti nel passato fossero «sacrificate sull’altare della tattica e della strategia del ‘compromesso storico’» 274 . Nel periodo di tempo e per l’argomento qui trattato – come si è detto –, queste posizioni erano sostanzialmente condivise da tutti i gruppi rivoluzionari. È utile però soffermarsi brevemente sul punto di vista de Il Manifesto. L’organizzazione era stata spesso accusata – a causa delle modalità stesse tramite cui aveva preso forma la sua esperienza – di essere troppo morbida nei confronti del partito. In quella fase della loro storia, le formazioni rivoluzionarie qui considerate avevano però già ridotto – per non dire eliminato – le loro contrapposizioni di principio nei confronti della possibilità di condurre la lotta di classe dai banchi del Parlamento, e le loro – sempre accese – divergenze in merito alla questione riguardavano la strategia politica che avrebbe dovuto tenere il partito. Nei giorni immediatamente successivi alla strage bresciana, Il Manifesto – con il Pdup – aveva dato il via alla propria campagna elettorale in vista delle elezioni regionali del 16 giugno, la quale fu caratterizzata dal tentativo di fare convergere il massimo dei voti al Pci. In un articolo pubblicato dal quotidiano del gruppo venne data rilevanza al comizio organizzato a 274 Ibidem. 170 Cagliari dalla formazione politica in funzione della sua campagna elettorale. In quella occasione, gli oratori avevano sostenuto che, dopo il successo delle sinistre al referendum sul divorzio e dopo la risposta popolare seguita all’attentato bresciano, sarebbe stato controproducente lasciare spazio politico alla Dc, lasciarle il tempo per riorganizzarsi, mentre sarebbe stato necessario condurre una strategia tesa ad indebolire il ‘compromesso storico’ e a spostare a sinistra i rapporti di forza. Per questo motivo «il Manifesto e il Pdup si [sarebbero] impegna[ti] nella battaglia elettorale concentrando i loro voti sulle liste del Pci, il cui elettorato operaio e popolare [era] animato dalla stessa volontà di lotta contro la Dc, il suo sistema di potere, la sua politica nazionale e regionale» 275 . Nonostante la scelta attuata dal gruppo, sarebbe sbagliato pensare che questo avesse smesso di rivolgersi al Partito comunista con occhio critico. Infatti, nello stesso articolo, il Pci fu l’oggetto di un duro attacco: Questa scelta non esclude né attenua, ma anzi implica e sottolinea, il nostro giudizio critico nei confronti della politica generale e della politica sarda del Pci, dell’errore strategico del compromesso storico, della debolezza della sua ‘opposizione diversa’, del suo interclassismo regionalistico, dei suoi dichiarati propositi di cogestione con la Dc, nelle marcie istituzioni locali, finalizzata oggi neppure a un piano di rinascita in qualche modo riformista ma ad un uso del denaro pubblico che premierà la rendita agraria e l’industria di rapina, lasciando la Sardegna in condizioni di sottosviluppo e sottoccupazione più che nel 275 S. f., Sardegna. Aperta la campagna elettorale del Manifesto-Pdup. Un voto unitario al Pci per battere la Dc e rendere più difficile il ‘compromesso’, “Il Manifesto”, 0106-1974. 171 passato, nel quadro di una politica nazionale di deflazione e di recessione 276 . Le critiche del quotidiano al Pci erano per di più molto frequenti 277 . Di Berlinguer – per esempio – fu criticato l’intervento al comitato centrale del partito, nel quale «il segretario del Pci [aveva] cercato di prendere la distanza dalla ipotesi di un coinvolgimento nell’immediato del partito nelle responsabilità di gestione dello stato ma anche da quella dell’impegno in una vera lotta di opposizione»278 . Un altro articolo significativo che mette in luce il rapporto fortemente conflittuale non solo tra i gruppi e il Pci, ma anche tra i primi in relazione all’atteggiamento tenuto nei confronti del secondo, venne redatto da Ritanna Armeni. Prendendo in considerazione le argomentazioni sostenute in un convegno operaio organizzato a Firenze da Lotta Continua, la giornalista-militante criticò la posizione tenuta dagli oratori – e appoggiata dai dirigenti del gruppo –, i quali insistettero sulla necessità di lottare per mandare il Pci al governo in modo da evitare che la situazione degenerasse in senso reazionario. La Armeni denunciò la forte ingenuità di LC che si illudeva di vedere realizzati i propri obiettivi dalla sinistra parlamentare «ignorando quindi tutte le responsabilità, le astensioni 276 Ibidem. 277 Anche “Lotta continua” non risparmiava le critiche al Pci. Cfr. S. f., La palude Dorotea prepara una nuova manovra trasformista. Il C.C. del PCI alza un po’ la voce, ma rilancia l’‘opposizione diversa’, “Lotta continua”, 07-06-1974. S. f., Be 278 rlinguer prende le distanze da un ‘governo di salute pubblica’ ma anche da una vera opposizione, “Il Manifesto”, 04-06-1974. Per una posizione più clemente sul dibattito sviluppato dal Cc del Pci, cfr. L. Magri, Eppur si muove, “Il Manifesto”, 07-06-1974. 172 e le omissioni del Pci e del Psi perfino a livello di una battaglia antifascista» 279 . Per quanto riguarda le posizioni nei confronti di un’eventuale partecipazione del Pci al governo, questi gruppi proposero non di rado analisi controverse. Capitava spesso che uno schieramento criticasse aspramente le considerazioni di un’altra formazione, quando gli stessi ragionamenti – con mutamenti per lo più irrilevanti – venivano proposti dalle colonne del proprio organo di stampa. Il confronto tra le organizzazioni della sinistra extraparlamentare e il Pci rappresentava un terreno molto delicato perché il fatto che le prime cercassero di acquisire nuovi simpatizzanti dall’elettorato del Pci, mostrandosi come uniche forze di sinistra non piegatesi ai compromessi istituzionali, creava un clima di forte competizione che aiuta a spiegare l’irruenza e l’impulsività di certi attacchi 280 . 279 R. Armeni, Lotta continua vuole il Pci al governo per gestire più facilmente un’opposizione perdente, “Il Manifesto”, 04-06-1974. 280 Per avere un’idea delle polemiche che venivano ripetutamente accese tra queste formazioni, cfr. la parte finale del corsivo de “Il Manifesto” nel quale si torna a mettere in discussione la posizione espressa da Lotta Continua al convegno fiorentino precedentemente citato: «È sconcertante che da un gruppo fino a ieri tutto ‘movimentista’ esca, oggi, una proposta tutta, e nel senso più tradizionale, politicante. Che dalla contemplazione d’una mitizzata ‘autonomia’ di classe si salti non alla questione del potere, ma a quella del governo, senza intermediazioni, senza neppure porre il problema di un processo di revisione soggettiva e oggettiva di fondo della sinistra. Sconcertante, o forse coerente con l’irrefrenabile tentazione alla scorciatoia, oggi ci prendiamo la città, domani il governo? Con un’incorreggibile inclinazione alla trovata, allo slogan, al saltar sulla occasione, invece che accettare il duro compito d’una ricostruzione ideale, programmatica, organizzata della classe operaia italiana, attraverso una lunga e totale crisi delle sue strutture critiche? Qui sta il persistente avventurismo, l’altra faccia, risvolto obbligatorio del riformismo, che patiamo ormai da troppi anni in Italia. Su questo dobbiamo riflettere a lungo e correggerci in fretta, se 173 Ad ogni modo, durante quelle giornate, la sinistra extraparlamentare non vide nel Partito comunista un soggetto politico in grado di fungere da guida per la popolazione antifascista ribellatasi alla strage di Brescia. I gruppi della sinistra rivoluzionaria si proposero allora come gli unici rappresentanti della cittadinanza democratica dotati della libertà e del coraggio politico necessari a dare uno sbocco concreto all’antifascismo militante. non vogliamo perdere non le occasioni inventate, ma quelle reali, gli appuntamenti veri, meno brillanti e più gravi, che ci stanno di fronte». S. T., Lotta interrotta, “Il Manifesto”, 05-06-1974. Il gruppo dirigente de Il Manifesto non voleva che il Pci entrasse nella compagine governativa ma proponeva una ‘nuova opposizione’, considerata l’unica soluzione tramite la quale la sinistra avrebbe davvero potuto condizionare il governo. 174 Il tempo passa Dopo i funerali delle sei vittime, la vicenda della strage bresciana perse progressivamente la sua centralità e l’attenzione riprese ad essere rivolta verso tematiche con un taglio più generale 281 . Quando si tornava sull’argomento lo si faceva per ricordare che era necessario andare oltre l’arresto degli esecutori materiali delle stragi, per aggiornare i lettori sull’evoluzione dell’inchiesta, per contestare la costituzione e la gestione del nuovo ispettorato contro il terrorismo e, soprattutto, per chiedere la messa fuori legge del Msi 282 . Nell’evidenziare il vasto impegno della popolazione antifascista – che sembrò loro destinato a perdurare – i fogli 281281 A titolo indicativo si vedano le impostazioni dei titoli di prima pagina fino al 5 giugno de “Il Manifesto” e di “Lotta continua”: Sotto le cannonate di Carli il Rumor- bis vacilla. I sindacati non ottengono nulla dal dialogo col governo. I socialisti ricattati e alle corde. A Milano si scopre quel che già era evidente, il legame fra fascisti e ‘maggioranza silenziosa’, “Il Manifesto”, 02-06-1974; Di fronte alla crisi economica e (politica) Fanfani non sa proporre altro che repressione, Berlinguer attesismo invece che intransigenza, “Il Manifesto”, 04-06-1974; La Dc vuole associare sindacati e sinistre alla stretta recessiva programmata da Carli. Cieco il Psi se sta al governo, e il Pci se nicchia. La Flm discute a Brescia una ‘azione generale’, “Il Manifesto”, 05-06-1974. Il dibattito al consiglio di Mirafiori. La risposta a Carli ed Agnelli deve essere la ripresa immediata della lotta generale, “Lotta continua”, 02-06-1974; Fuorilegge il MSI! Epurazione dei funzionari fascisti! Sì alla lotta e allo sciopero generale contro il governo, per il salario, per la difesa dei posti di lavoro, per i prezzi politici, contro la ristrutturazione, “Lotta continua”, 0406-1974; Al consiglio generale della Flm molte voci per lo sciopero generale, “Lotta continua”, 04-06-1974. 282 S. f., Non basta arrestare gli squadristi esecutori di stragi: ci vogliono i nomi dei mandanti e finanziatori. Nella villa del capo della SAM Fumagalli c’erano 400 milioni e blocchi di ricevute. Interrogato a Brescia l’avvocato fascista Adamo Degli Occhi, “Lotta continua”, 02-06-1974; S. f., La situazione politica dopo il referendum e le sue prospettive, “Lotta continua”, 02-06-1974. 175 della sinistra rivoluzionaria continuarono a dare grande peso al suo carattere anti-Msi, ricordando che decine di consigli di fabbrica e di zona insistevano ad emanare ordini del giorno nei quali si esigeva la messa fuori legge del Movimento sociale e il processo al suo segretario Almirante. “Il Manifesto” sottolineò l’estensione e l’eterogeneità di tale impegno citando casi di varie località della penisola: i dipendenti del comune di Monza, per esempio, avevano preso posizione mandando una lettera aperta alla stampa, al comune, all’Anpi e ai sindacati, con la quale chiedevano che fossero eliminati i finanziamenti statali al Msi e abrogate le leggi del codice Rocco 283 ; anche una mozione approvata con un solo voto contrario dall’assemblea degli insegnanti, non insegnanti e studenti dell’istituto Pier Crescenzi di Bologna aveva chiesto l’immediata epurazione di quelle figure che erano vicine agli ambienti neofascisti e che, allo stesso tempo, occupavano posizioni importanti nelle istituzioni repubblicane 284 . La morte del venticinquenne Luigi Pinto, settima vittima della strage, provocò una nuova ondata di partecipazione. La Federazione Cgil-Cisl-Uil proclamò uno sciopero per consentire ai lavoratori di partecipare alla cerimonia in piazza Loggia 285 . Il funerale di martedì 4 giugno, svoltosi a Foggia – città natale della vittima –, dimostrò nuovamente la consistenza della coscienza politica dei cittadini bresciani, presenti in centomila nelle piazze della città lombarda 286 . Brescia si era fermata completamente anche 283 284 Per un’interessante serie di lettere aperte, cfr. FDFCT/Testimonianze 2/16/1-2-3. S. f., Antifascismo. ‘Fuori legge il MSI’, “Il Manifesto”, 04-06-1974. 285 Nelle scuole della città e della provincia lo sciopero sarebbe durato tutta la giornata. ASCD/125/PL I A 9, 02-06-1974; ASCD/126/PL I A 10. Cfr. anche: Sabato sera anche la vita dell’insegnante Luigi Pinto si è spenta. Federazione Cgil-Cisl-Uil; 0206-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/58. 286 Cfr. S. f., Brescia. Centomila al funerale della settima vittima della strage. Sull’onda dei tragici avvenimenti, una grande crescita di coscienza politica a Brescia, “Il 176 questa volta, ma – notò “Lotta continua” – la cittadinanza non aveva più voluto esprimere la propria rabbia contro i rappresentanti del potere ed aveva sfilato muta e compatta 287 . A Foggia vi fu una mobilitazione senza precedenti per la città che vide la partecipazione di circa trentamila persone e la presenza in prima linea della sinistra rivoluzionaria. Secondo “Avanguardia operaia”, bisognava «risalire alla lotta del ’69 per l’occupazione dei pozzi di metano per ritrovarne una simile, per forza e combattività» 288 . La morte dell’ennesima vittima aveva inoltre fornito ai gruppi extraparlamentari della sinistra ulteriori elementi di critica nei confronti dei tradizionali rappresentanti del movimento operaio. “Lotta continua” scrisse che: Manifesto”, 04-06-1974; S. f., Ora della verità per il dialogo sindacati-governo. 100.000 a Brescia per l’ultima vittima della strage, “Il Manifesto”, 04-06-1974. 287 S. f. Di nuovo una folla immensa nelle piazze di Brescia per il funerale del compagno Pinto, settima vittima della strage. I consigli comunali di Desenzano e Provaglio decidono di non concedere mai più l’uso del suolo pubblico al MSI. Il padrone fascista dell’Idra costretto a sospendere quattro operai fascisti, “Lotta continua”, 04-06-1974. 288 S. f., Foggia: mobilitazione senza precedenti al funerale del compagno Pinto, “Avanguardia operaia”, N. 23, 14-06-1974. Al funerale, a Foggia, c’erano anche le delegazioni del Comitato Unitario Provinciale Antifascista, della Federazione bresciana della Cgil-Cisl-Uil, autorità, Partiti, Enti e Associazioni. ASCD/125/PL I A 9; ASCD/127/PL I A 11. “Lotta continua” sarebbe tornata ad evidenziare il valore di questa protesta, qualche giorno dopo, scrivendo, con la solita durezza di toni, che «Foggia non aveva mai vissuto l’antifascismo in questo modo, migliaia di bandiere rosse, pugni chiusi che si alzavano al passaggio del corteo e poi tanta, tanta rabbia negli slogans gridati da tutti: ‘compagno Pinto ti vendicheremo!’, ‘Msi fuorilegge a morte la Dc che lo protegge’, ‘Scudo crociato, fascismo di stato’, ‘Piazzale Loreto’». S. f., Foggia riscopre l’antifascismo militante nel nome del compagno Luigi Pinto, “Lotta continua”, 08-06-1974. 177 Assurda è stata la risposta che il PCI e i sindacati hanno dato all’esempio di antifascismo militante dimostrato dalle masse foggiane mercoledì in piazza. Hanno tappezzato la città di manifesti in cui si definiva teppista e provocatoria l’azione di massa e si osannava allo ‘spirito antifascista’ del mafioso sindaco Graziani, lo stesso che permette alle squadracce nere di scorazzare impunemente per la città 289 . Per quanto riguarda l’evoluzione dell’indagine, gli organi di stampa della sinistra rivoluzionaria si soffermarono sulla figura di Adamo Degli Occhi. L’avvocato milanese – leader della ‘maggioranza silenziosa’ – era stato prelevato dal suo appartamento dai carabinieri per sostenere un interrogatorio 290 . Sembrò così confermato ai gruppi extraparlamentari della sinistra che nella strage bresciana fosse implicato anche questo movimento d’opinione conservatore e anticomunista, il quale avrebbe dovuto mettersi in moto dopo l’attentato per contribuire con la sua opera ad addossare le responsabilità sulle sinistre e per reclamare una decisa restaurazione dell’ordine 291 . In occasione del secondo interrogatorio di Degli Occhi, i fogli della sinistra rivoluzionaria evidenziarono come già da tempo vi fossero elementi sufficienti per spiccare un mandato di cattura nei suoi confronti. Secondo “Lotta continua”, era sempre più probabile che 289 290 Ibidem. Cfr. S. f., Tradotto a Brescia Adamo Degli Occhi, capo della ‘maggioranza silenziosa’ di Milano. Kim Borromeo tenta di evadere dal carcere, “Il Manifesto”, 0206-1974. 291 Per “Il Manifesto” era «così coinvolto nelle stragi fasciste anche quel grosso organismo di provocazione nato a Milano nel ’71 che si chiama[va] Maggioranza silenziosa e che [aveva] raccolto intorno a sé la media borghesia industriale (i nuovi ricchi del dopoguerra) ed alcuni esponenti della Dc». Ibidem. 178 l’avvocato milanese fosse uno degli ispiratori del gruppo fascista che aveva messo la bomba a Brescia. Del resto, Degli Occhi era stato difensore di D’Intino al processo per l’attentato alla sede del Psi di Brescia; difendeva i neofascisti delle Sam milanesi ed aveva difeso anche Fumagalli 292 . Grazie alle rilevazioni contenute nel rapporto segreto del 1970 sul Mar e sulle origini del progetto golpista – fece notare il quotidiano – i coinvolgimenti di molte figure importanti non erano più negabili così come non si poteva negare che, come per la strage di piazza Fontana, anche per quella di Brescia il Sid fosse anticipatamente a conoscenza di significativi elementi concernenti i piani dei gruppi eversivi 293 . “Lotta continua” mise inoltre in evidenza la posizione ambigua del giudice istruttore Arcai, citando il contenuto di un articolo de “L’Europeo”, intitolato Accusiamo il magistrato che conduce le indagini sulla strage di Brescia 294 . Il settimanale aveva sostenuto che il giudice Arcai fosse in possesso già da due anni di documentazione rilevante, fornitagli dal giudice Raimondo Sinagra di Milano, su un campo paramilitare estivo a Salò, e aveva criticato il fatto che – nonostante dall’inchiesta risultasse che in quel luogo si facesse costantemente uso di esplosivi e si conducesse un metodico addestramento di terroristi neri – essa non fosse stata presa in considerazione dal giudice bresciano e che, addirittura, in quel momento, 292 S. f., Le indagine sulle trame nere. Arresti Cartocci e 3 di ‘Ordine Nero’. Il missino Adamo Degli Occhi, riascoltato oggi, resta invece a piede libero, “Lotta continua”, 05-06-1974. 293 S. f., Come per la strage di stato del 1969, il SID sapeva tutto sul MAR, Fumagalli e Degli Occhi fin dal 1970, “Lotta continua”, 05-06-1974. Cfr. anche S. Bianchi, Brescia. ‘Pista svizzera’ per i finanziamenti neri. Altri arresti a Milano, le indagini ruotano sull’avv. Degli Occhi, “Il Manifesto”, 05-06-1974; S. f., C’era una ‘Stella del MAR’ all’orizzonte. Chi l’ha vista?, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. 294 S. T., Brescia. Emergono le complicità all’interno dei corpi dello Stato, “Lotta continua”, 07-06-1974. 179 alla procura della Repubblica di Brescia si negasse l’esistenza del campo 295 . “L’Europeo” aveva per di più avvalorato l’ipotesi che il neofascista Esposti fosse stato volutamente fatto ammazzare dal maresciallo Antonio Filippi per impedirgli di rivelare quanto conosceva sui propri camerati e, soprattutto, sulle complicità a più alto livello 296 . “Lotta continua” citò anche un articolo de “L’espresso” – intitolato Terremoto nei corpi separati – in cui era stato descritto l’ambiguo atteggiamento del Sid ed erano stati sottolineati i contrasti crescenti fra polizia e carabinieri, i quali sarebbero aumentati proprio con l’istituzione dell’ispettorato antiterrorismo affidato al questore Emilio Santillo. L’articolo aveva accennato inoltre alle possibili dimissioni del comandante del Sid, il generale Vito Miceli, interrogato dal giudice Giovanni Tamburino di Padova nel quadro dell’inchiesta sulla ‘Rosa dei venti’, e del generale Enrico Mino, comandante dell’Arma dei carabinieri 297 . 295 S. f., Fascisti. Dal 1972 erano noti alla magistratura i ‘campi’ e i gruppi fascisti della srage. Insabbiata una testimonianza-chiave, “Il Manifesto”, 07-06-1974. 296 S. T., Brescia. Emergono le complicità all’interno dei corpi dello Stato, cit. 297 Proprio dagli interrogatori del giudice Tamburino al comandante Miceli affiorarono interessanti elementi di riflessione sulle motivazioni che probabilmente condizionarono il passaggio da una fase della storia italiana contraddistinta da violenza politica marcatamente di destra ad una segnata precipuamente dal terrorismo di sinistra. In sede storiografica è stata sollevata l’ipotesi che quel complesso insieme di forze che aveva attivato la strategia eversiva possa aver deciso – dopo aver preso coscienza dell’impossibilità di perseguire con l’utilizzo di gruppi dell’estrema destra, ormai scopertisi troppo – di dirigere la propria attenzione sul terrorismo rosso. Naturalmente, questo aspetto – per chiarire il quale non si può prescindere da uno studio approfondito della strage di piazza Loggia – non può essere semplificato e necessiterebbe di essere appurato tramite l’analisi di documentazione che non è attualmente (lo sarà mai?) disponibile. Cfr. quanto scritto in proposito da F. M. Biscione: «La questione, com’è noto, è controversa, nel senso che mentre l’uso dell’eversione nera per la strategia della tensione è largamente accertato ed è stata 180 “L’espresso” aveva anche notato che l’inchiesta proseguiva con l’arresto di Stefano Romanelli, Claudio Lodi e Umberto Zamboni, tre veronesi d’estrema destra accusati di ricostituzione del disciolto partito fascista – in riferimento al gruppo di Ordine Nero – mentre tra Salò e Maderno i carabinieri di Brescia attuavano una serie di perquisizioni e rastrellamenti che avevano condotto al recupero di consistenti armamenti 298 . Le formazioni della sinistra extraparlamentare reiterarono le loro accuse nei confronti del governo, ritenuto colpevole di aver saputo rispondere alla trama reazionaria che aveva prodotto l’attentato di Brescia soltanto tramite il potenziamento dell’apparato repressivo. Per Movimento Studentesco «la DC e il ministro degli interni Taviani [avevano] cercato di cavalcare la tigre con la decisione reazionaria di aumentare l’apparato repressivo dello stato (ulteriore aumento degli organici dei carabinieri e dei corpi di altresì accertata una diffusa consapevolezza da parte dei maggiorenti dell’estremismo di destra della condizione ‘di servizio’ della propria attività, più complesso appare il rapporto tra Stato ed eversione rossa. Se nelle parole che il capo del Sid Vito Miceli pronunciò nel settembre 1974 dinanzi al giudice Tamburino (‘ora non sentirete più parlare del terrorismo nero, da adesso sentirete parlare soltanto di quegli altri’) sembra riecheggiare il principio gnoseologico vichiano del verum-factum più che l’intuito dell’investigatore, e se vari studiosi dell’estremismo rosso hanno sottolineato come non sia spiegabile l’ampiezza delle operazioni delle Brigate rosse senza tenere conto di una loro indiretta funzionalità ad altri disegni, e dunque di un’attività di copertura e protezione da parte dell’intelligence (specie dopo la liquidazione del primo gruppo dirigente brigatista, nel 1974, e l’emergere di una leadership moralmente assai più disinvolta), l’insieme delle conoscenze non sembra ancora consentire un quadro ricostruttivo univoco». Id., op. cit., pp. 122-123. Cfr. anche D. Della Porta, Il terrorismo di sinistra, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 62-74. 298 Ibidem. Cfr. anche S. f., Fascisti. Trovata la terza ‘Land Rover’ del fascista Sirtori. Trovato un deposito di armi a Riva di Salò, “Il Manifesto”, 07-06-1974. 181 pubblica sicurezza), di potenziare quindi il loro controllo ed accelerare il processo di fascistizzazione dello stato» 299 . Secondo “Avanguardia operaia” il governo si era limitato ad inserire accanto ai vari corpi di polizia, un ‘Ispettorato generale per la repressione del terrorismo’, ma in realtà faceva ben poco perché «mentre la stessa stampa borghese sottolinea[va] la responsabilità dei vari organi di polizia a proposito della strage di Brescia, il ministro di polizia scantona[va] e si rifiuta[va] di indagare sui collegamenti tra fascisti e organi di repressione dello Stato borghese» 300 . Per il settimanale era impossibile non dubitare che l’effettivo obiettivo governativo non fosse quello di perseguire con tutti i mezzi possibili i gruppi dell’eversione di destra – a cominciare dal Msi – ma quello di rilanciare la tesi secondo cui gli esecutori delle stragi venivano ridotti ad imprecisate minoranze terroristiche, di colore indefinito. Sulle sue pagine si poteva infatti trovare una decisa presa di posizione sull’argomento: Dietro lo slogan delle ‘trame eversive’ ricompare la teoria degli opposti estremismi in funzione di vergognosa copertura dei fascisti e di difesa del loro ruolo legale. L’aspetto apertamente forcaiolo e reazionario della nuova operazione democristiana è dato […] dalla tesi di fondo, che è quella di trasformare la lotta 299 Movimento Studentesco, 28 maggio 1974. Strage fascista a Brescia. Dossier di dieci anni di violenza fascista, op. cit., p. 7. 300 S. f., Il governo potenzia l’apparato repressivo, cit. 182 al fascismo in lotta contro dei generici criminali, di risolvere una questione politica in termini amministrativi 301 . Anche se parte della carta stampata nazionale aveva criticato l’atteggiamento titubante del governo, secondo “Avanguardia operaia” era proprio grazie a quella che definiva sprezzantemente ‘stampa borghese’ che le teorie esposte dai ministri democristiani avevano potuto avere un discreto successo. Tali organi d’informazione – sostenne il foglio – avevano infatti proposto un’evoluzione della teoria degli ‘opposti estremismi’ con l’obiettivo di far trovare agli strateghi della tensione quel consenso di massa che fino a quel momento era loro mancato: non poteva «essere diversa la conclusione di un esame anche superficiale delle manipolazioni del Corriere della Sera, evidentemente ispirate in alto loco, sulle indagini connesse all’inchiesta sulla strage di Brescia e sulla sparatoria di Rieti» 302 . Il settimanale di agitazione comunista affermò che, invece di metter sotto accusa la condotta del Sid e degli Affari riservati, il governo Rumor aveva inopportunamente rafforzato questi organismi collegandoli nel nuovo ispettorato. Secondo il ragionamento condotto, sarebbe bastato dare un’occhiata ai nomi dei dirigenti dell’ente per capire il valore negativo di tale iniziativa: il capo era quel Santillo che nel 1960 aveva guidato i rastrellamenti e le cariche contro gli antifascisti a Porta San Paolo e nel ‘63-‘64 aveva costituito e diretto a Roma le ‘SS’, squadre ‘speciali’ di 301 Ibidem. 302 S. f., L’ultima trovata del SID e degli Affari Riservati. Dagli opposti estremismi all’unità degli estremisti. L’inchiesta su Fumagalli e le SAM finalizzata a rilanciare su basi relativamente nuove la strategia della tensione e la repressione a sinistra, “Avanguardia operaia”, N. 23, 14-06-1974. 183 agenti in borghese che si confondevano tra i manifestanti per poi dare inizio a improvvisi pestaggi con i manganelli; al suo fianco c’era Silvano Russomanno che aveva in passato diretto gli Affari riservati, dopo aver anche servito per due anni nell’esercito di Hitler 303 . Una gestione della crisi costruita su quei presupposti non poteva essere accettata dalla sinistra rivoluzionaria, soprattutto dopo che centinaia di migliaia di cittadini erano scesi per le strade reclamando una maggiore trasparenza delle istituzioni. In quelle condizioni – per le formazioni di questo settore politico –, l’unico modo per smuovere la situazione ed ottenere il massimo impegno dagli organi preposti alle indagini era quello di mantenere una costante mobilitazione antifascista. E in tale opera Brescia doveva fungere da nodo di propagazione di iniziative democratiche. Il 7 giugno, per esempio, fu organizzata in città un’assemblea antifascista indetta da Avanguardia Operaia, a cui aderirono Il Manifesto, Lotta Continua, il Pc(m-l)i, il Circolo La Comune, il Comitato di Quartiere Violino e altre forze della sinistra. La mozione finale che ne scaturì fu approvata per acclamazione e stabilì la creazione di comitati unitari antifascisti e la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare che rendesse illegale il Msi 304 . Le cittadinanza democratica non avrebbe però dovuto mollare la presa ma continuare caparbiamente a fare sentire la propria voce perché – ammonì “Avanguardia operaia” – dietro al progetto democristiano di dare vita all’‘Ispettorato generale per la repressione del terrorismo’ non c’era solo una chiara provocazione contro la sinistra rivoluzionaria: 303 Ibidem. Cfr. anche T. Maiolo, Strage. L’inchiesta sui fascisti si inquina. Cadono nel vuoto le accuse al Msi e agli organi dello stato, “Il Manifesto”, 08-06-1974. 304 S. f., Brescia. Assemblea popolare antifascista, “Avanguardia operaia”, N. 23, 14- 06-1974. 184 Ma c’[era] anche un vero e proprio salto di qualità in questa provocazione che mira[va] a rafforzare gli apparati di repressione: il tentativo di unire in questo Ispettorato i ‘migliori’ elementi di Pubblica Sicurezza, Carabinieri, Guardia di Finanza mira[va] con ogni probabilità a rafforzare, contro ogni tendenza centrifuga e ogni concorrenza tra i vari ‘corpi separati’, le capacità di centralizzazione politica della provocazione e della stessa ‘strategia della tensione’ 305 . Secondo i gruppi rivoluzionari di sinistra, la popolazione aveva colto perfettamente le caratteristiche di quella provocazione. Per questo motivo i loro fogli continuarono a dare spazio alle sensazioni dei cittadini. “Il Manifesto”, per esempio, pubblicò le impressioni di due insegnanti dei corsi delle 150 ore, per i quali la strage di Brescia aveva assunto un valore etico che arrivava persino a mettere in discussione il senso stesso del loro lavoro: «nelle classi del metalmeccanici – scrivevano i due professori –, operai e insegnanti abbiamo avuto la sensazione che gli sforzi compiuti per dare corpo a una diversa razionalità dello studio e del sapere naufragasse di fronte alla violenza del fascismo, alla brutalità di un gesto che più di altre volte riempiva di amarezza e di rabbia, per l’incolmabile distanza tra la carica provocatoria che conteneva e la qualità del nostro lavoro, ancora duro e pieno di incertezze, ma proiettato già verso nuovi e superiori modelli di organizzazione sociale e politica» 306 . 305 S. f., Il governo potenzia l’apparato repressivo, cit. 306 O. Ciavatti, T. Sgaravatto, La strage di Brescia vista dagli operai che frequentano i corsi delle 150 ore, “Il Manifesto”, 05-06-1974. 185 La stampa della sinistra extraparlamentare proseguì decisamente anche la propria campagna contro le omertà e le connivenze delle istituzioni. “Lotta continua” sostenne che dalla strage di Brescia, in connessione diretta con tutta la rete politica, finanziaria e militare della ‘Rosa dei venti’, era emerso un progetto golpista che mostrava il coinvolgimento dei corpi armati dello Stato. Secondo il quotidiano le autorità non volevano però tenere conto delle evidenze emerse dalle indagini e facevano altresì pressioni sui magistrati perché da queste ultime fossero esclusi metodicamente i funzionari della polizia e chiunque avesse potuto mettere in cattiva luce l’immagine dello Stato 307 . In un contesto così controverso, dal punto di vista del settore politico qui considerato, ogni sospetto era più che legittimo: Infatti i cestini porta rifiuti di piazza della Loggia non erano stati affatto perquisiti; inoltre l’assenza di poliziotti fra le vittime della strage in un luogo dove solitamente sostano i plotoni di polizia durante le manifestazioni, è quanto meno strana. A tutto ciò va aggiunto che sembra siano stati bruciati i vestiti dei feriti ricoverati in ospedale 308 . In effetti, il comportamento della questura di Brescia fu assolutamente discutibile. Nonostante la città stesse attraversando un momento in cui la 307 Cfr. S. f., Il congresso regionale DC del Trentino-Alto Adige. Farneticante discorso di Piccoli sulle ‘trame nere e trame rosse’, “Lotta continua”, 05-06-1974. 308 S. T., Brescia. Emergono le complicità all’interno dei corpi dello Stato, cit. Com’è già stato fatto notare, il luogo scelto dai neofascisti per posizionare la bomba fece ricadere i primi sospetti sulla sinistra radicale. 186 tensione era più che tangibile, non furono prese adeguate contromisure, ma si procedette secondo la normale prassi adottata per le manifestazioni. La reazione delle forze dell’ordine fu poi assolutamente deprecabile in almeno un’altra occasione: a meno di due ore dall’attentato, infatti, piazza Loggia venne fatta lavare con gli idranti dai vigili del fuoco, senza che prima fosse stata condotta un’ispezione che avrebbe potuto fornire utili indicazioni sull’ordigno utilizzato 309 . L’8 giugno, “Lotta continua” tornò a dare centralità alle tematiche concernenti la strage di Brescia dedicando un’intera pagina al convegno operaio svoltosi in città qualche giorno prima 310 . Il pezzo diede spazio alle parole pronunciate in quell’occasione da un operaio militante di Lotta Continua, il quale fece una ‘ricostruzione politica’ degli avvenimenti accaduti a Brescia, descrivendo il clima del 28 maggio, l’occupazione delle fabbriche, l’accorata partecipazione di numerosi soldati e la fiumana di cittadini accorsi nelle giornate successive da tutta Italia. L’operaio sottolineò che a Brescia, durante le manifestazioni popolari, si era riscontrata una importante volontà di cambiamento, una volontà di dire basta al governo per il suo atteggiamento ambiguo nei confronti dei neofascisti, per la politica economica perseguita e per le sue interferenze sulla magistratura. Quella volontà era considerata ancora più degna d’attenzione in quanto maturata non soltanto da una reazione quasi istintiva dei cittadini ma anche da un’attenta riflessione di questi ultimi 311 . L’articolo mise inoltre in evidenza un elemento di novità che traspariva dalle manifestazioni bresciane – elemento che non va sottovalutato se si 309 L’imperizia di tali atteggiamenti sarebbe stata sottolineata anche in sede processuale. Cfr. V. Marchi, op. cit., p. 54. 310 311 S. f., Convegno operaio. I giorni di Brescia, “Lotta continua”, 08-06-1974. Ibidem. 187 vuole comprendere l’effettiva estensione e lo spontaneismo delle mobilitazioni di quelle giornate. Secondo l’oratore, infatti, molte delle persone che erano scese in piazza in quei giorni non erano mai state così politicamente coinvolte prima di allora, erano solitamente estranee alle lotte e probabilmente votavano abitualmente la Democrazia cristiana312 . Le parole del militante di Lotta Continua ribadiscono che i gruppi della sinistra extraparlamentare avevano la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una mobilitazione popolare che andava ben oltre la fetta di cittadinanza sopra la quale essi avevano abitualmente influenza. Nondimeno, l’oratore diede merito all’organizzazione per la quale militava per il risoluto impegno dimostrato nelle manifestazioni bresciane: Io penso che Lotta Continua a Brescia sia stata dentro fino in fondo in questi avvenimenti; penso che noi abbiamo avuto un atteggiamento non minoritario rispetto a quello che succedeva in piazza [perché] abbiamo preso anche noi, fino in fondo, la responsabilità del presidio di Piazza Loggia; abbiamo partecipato fino in fondo al servizio d’ordine operaio, che era una cosa sentita dalle masse, perché il problema di evitare le provocazioni fasciste, di organizzarsi, di sostituirsi alla polizia che non vuole difenderci, erano cose sentite dagli operai 313 . L’intervento sottolineò anche la forte partecipazione di Lotta Continua alle assemblee operaie di fabbrica e la sua capacità di orientare le 312 313 Ibidem. Ibidem. 188 discussioni sulle parole d’ordine dell’antifascismo militante, della messa fuori legge del Msi e dell’epurazione delle istituzioni. Secondo il punto di vista dell’oratore, all’interno di una mobilitazione popolare politicamente trasversale, il gruppo rivoluzionario aveva saputo dunque diventare un punto di riferimento per la popolazione bresciana 314 . I gruppi della sinistra extraparlamentare continuarono ad avere la netta impressione che – nonostante le numerose rivelazioni venute alla luce sulle trame gravitanti attorno alla strage bresciana – vi fosse un ampio tentativo istituzionale di buttare acqua sul fuoco, per ridimensionare un quadro che mostrava intrecci riguardanti l’intero ambito nazionale, ma anche quello internazionale. Anche quando furono compilati articoli che evidenziavano l’evoluzione delle indagini, non scomparve mai l’elemento di critica per il modo maggiormente proficuo in cui queste avrebbero potuto essere condotte. In un intervento de “Il Manifesto” venne sottolineato come l’impegno dei carabinieri, della polizia e della magistratura avesse portato alla luce degli elementi che permettevano di inserire la strage di Brescia all’apice della strategia eversiva nazionale 315 . Lo stesso articolo evidenziò però che, nonostante «manca[ssero] oggettivamente fatti precisi per ‘inchiodare’ i principali mandanti che [erano] in carcere (e non parla[vano], come Carlo Fumagalli), latitanti o ‘a disposizione’ della magistratura, […] a Brescia [si riteneva] che una certa prudenza, se non addirittura un ritardo, [avessero] contrassegnato lo svolgimento delle inchieste» 316 . “Lotta 314 Ibidem. 315 S. f., Strage. Solo alla terza perquisizione nella villa dello squadrista esploso in motocicletta si è trovato l’esplosivo. ‘Ma non dove i carabinieri dicono di averlo trovato’, dice il questore di Brescia, e conferma che il figlio del giudice Arcai era con lo squadrista la sera della morte, “Il Manifesto”, 11-06-1974. 316 Ibidem. Ma cfr. anche S. f., Per Brescia, finora solo pesci piccoli in galera; S. f., Strage. Una lunga serie di falsi per bloccare l’inchiesta sulle bande fasciste (e di 189 continua” mise invece più radicalmente in discussione la buona fede di chi conduceva le indagini. Secondo il foglio, i propri dubbi erano confermati, tra le altre cose, dal fatto che il Pm Lisciotto considerasse l’attentato bresciano frutto di una vendetta per la morte di Silvio Ferrari; dall’incertezza con cui procedevano le indagini su Rieti: i legami con Brescia sembravano essere spariti, i terroristi catturati sull’Appennino non venivano trasferiti per i confronti necessari; e dal fatto che tutte le inchieste in corso a Brescia, Milano, Roma, Bologna, Padova, andavano avanti a compartimenti stagni, come se la magistratura dovesse confrontarsi con dei ‘fenomeni locali’ 317 . stato), cit.; S. f., Per la strage di stato la verità è ancora proibita. A Brescia è la guerra tra magistratura e polizia, “Il Manifesto”, 11-06-1974. 317 S. f., Brescia: ferme le indagini, “Lotta continua”, 12-06-1974. Cfr. anche S. f., Nuove conferme dei rapporti tra Fumagalli e i golpisti della Rosa dei venti, “Lotta continua”, 15-06-1974. In effetti, le prime due indagini istruttorie furono fortemente incentrate attorno alla ‘pista bresciana’. Cfr. V. Marchi, op. cit., pp. 73-125. Per un’interpretazione – citata dallo stesso Marchi – che mette in evidenza le responsabilità della stampa, soprattutto di quella locale, nell’organizzare il consenso attorno al lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze di polizia nella prima parte delle indagini e nel far concentrare queste ultime sulla ‘pista bresciana’, cfr. il capitolo intitolato La stampa e il suo ruolo di organizzatrice del consenso, in Democrazia proletaria Sezione di Brescia (a cura di), La strage scomparsa, Brescia, 1982, pp. 4147. FDFCT/Testimonianze 2/20/2. 190 Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 191 Il discorso di Adriano Sofri A questo punto, vale la pena dedicare qualche osservazione al discorso tenuto l’8 giugno a Brescia da Adriano Sofri e riportato nelle sue parti più significative su “Lotta continua”, otto giorni dopo, dal quale traspare il forte significato di cesura assegnato all’attentato di Brescia dalla sinistra extraparlamentare. Le parole del segretario nazionale di Lotta Continua sono di particolare interesse perché ripercorrono le principali questioni attorno alle quali gravitò l’attenzione dei gruppi rivoluzionari nelle giornate successive alla strage di piazza Loggia, dalla battaglia contro il Msi, alla critica delle istituzioni e degli stessi partiti della sinistra, alle esigenze della lotta di classe, alle necessità tattiche della rivoluzione 318 . Durante il suo comizio, dopo aver sottolineato che ogni cittadino democratico e antifascista non poteva che essere colmo di rispetto nei confronti della piazza in cui si trovava e delle persone che lì erano cadute assassinate, Sofri affermò che «tutta l’Italia, tutto il movimento di classe e antifascista [aveva] sentito che […] a Brescia [era] avvenuta una svolta decisiva» 319 . La svolta si era verificata nella modalità d’azione del terrorismo fascista, nei suoi metodi e nei suoi obiettivi, ma il cambiamento più importante era riscontrabile nella risposta della cittadinanza italiana, «nella coscienza, nella forza, nella volontà del movimento di classe antifascista» 320 . Secondo Sofri, gli elementi emersi dalle indagini aprivano 318 S. f., Le lunghe mani dei golpisti e il pronunciamento della classe operaia, “Lotta continua”, 16-06-1974. Sul volantino che pubblicizzava l’evento, la partecipazione popolare successiva alla strage veniva collegata alle lotte operaie «perché la mobilitazione antifascista [doveva] vivere e crescere nella lotta per il salario e per la difesa dell’occupazione»; 06-06-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/113. 319 320 S. f., Le lunghe mani dei golpisti e il pronunciamento della classe operaia, cit. Ibidem. 192 la strada ad una precisa valutazione politica ed illuminavano un piano eversivo che partiva da lontano e che aveva a Brescia uno dei suoi centri più rilevanti: quel programma «si [era] alimentato della crociata anticomunista fanfaniana del referendum, e si [era] impegnato a provocare una tensione che ne favorisse il successo e ne approfondisse il segno autoritario» 321 . All’oratore apparve però evidente che, dopo la disfatta di quella ‘crociata’, il potere democristiano avesse subito un radicale ridimensionamento. In quel contesto la bomba di Brescia non doveva essere interpretata come un colpo di coda, ma come «la volontà di cercare un infame rivalsa e la volontà di indicare un’alternativa apertamente eversiva alla crisi degli strumenti tradizionali del dominio borghese» 322 . Secondo Sofri, i sostenitori del progetto reazionario avevano scelto di sfidare in modo diretto la classe operaia, il movimento sindacale, il movimento antifascista, senza più camuffamenti e false firme, ma non avevano tenuto conto della decisa risposta popolare che il loro atteggiamento avrebbe potuto provocare. La popolazione antifascista aveva invece reagito in modo risoluto e immediato, opponendo a tale progetto una volontà di cambiamento che trascendeva le indecisioni interne alla sinistra – troppo assorbita da analisi politiche tese a definire il peso reale del voto del 12 maggio – e, secondo l’oratore, aveva dimostrato una forte volontà di classe e un’accesa insofferenza nei confronti dei giochi di potere del partito di maggioranza e delle protezioni del Msi. Per il dirigente di LC, tutto ciò lasciava trasparire una generalizzata esigenza di rinnovamento: 321 322 Ibidem. Ibidem. 193 La classe operaia, e dietro a essa l’unità più ampia del proletariato, è scesa in piazza e ha fatto vivere in una forma ben più limpida e vasta il suo referendum antifascista, antidemocristiano, fondato sull’autonomia e l’antagonismo di classe. Mai le piazze italiane erano state così piene; mai nelle piazze italiane la direzione della classe operaia si è espressa con tanta chiarezza politica e fisica alla testa di uno schieramento proletario imponente; mai è stata così fermamente ribadita la volontà di farla finita con i fascisti, una volontà che si è incarnata soprattutto nella compatta parola d’ordine del MSI fuorilegge; mai è stata così decisa e urgente la condanna del potere dello stato, esercitato per conto del grande capitale dal dopoguerra a oggi dalla Democrazia Cristiana; mai è stata così netta la rivendicazione di una radicale trasformazione sociale e politica nel nostro paese 323 . Sofri sostenne che la compatta mobilitazione dell’antifascismo militante verificatasi in quelle giornate avesse un valore di sfida che le autorità dello Stato avrebbero dovuto tenere ben presente. La strage di piazza Loggia veniva dipinta come un punto di non ritorno nella percezione popolare della crisi che minacciava l’assetto democratico della nazione: «dopo Brescia, tutti sono stati costretti a dire che niente avrebbe potuto continuare come prima, tutti sono stati costretti a dire le stesse parole per raccogliere e magari per coprire e acquetare la sensazione della maturità di questa svolta, la sensazione della forza ultimativa con cui essa viene rivendicata nel 323 Ibidem. 194 movimento di classe, e non da ristrette avanguardie, ma dalle grandi masse» 324 . Il leader dell’organizzazione rivoluzionaria espose poi la propria concezione della strategia della tensione. Secondo Sofri non si poteva arrivare in modo automatico alla conclusione che chi aveva manovrato la strage intendesse anche realizzare un colpo di Stato; era probabile, invece, che l’ipotesi di un colpo di Stato immediato non fosse l’obiettivo precipuo di chi aveva compiuto l’attentato del 28 maggio. La cosa certa era che dalle bombe sui treni del ’69 si era dipanato un programma eversivo sempre più organico, attorno al quale si erano unificate tutte le bande della provocazione fascista: i contenuti più importanti di questo programma, nonostante fossero già emersi molti elementi esplicativi, restavano però ancora poco chiari. Per capire quale fosse il fulcro di tale programma – sempre secondo l’oratore – sarebbe stato necessario indagare nei corpi dello Stato, nei servizi e nelle agenzie internazionali, soprattutto nella Cia e nella Nato, facendo attenzione all’atteggiamento delle forze armate italiane. Proprio l’intervento di queste ultime veniva visto come un elemento di novità introdotto dalla strage di Brescia sul quale si sarebbe dovuto riflettere: Questo programma ha i suoi interlocutori privilegiati e diretti, il suo centro strategico, negli alti ufficiali, nelle gerarchie militari dei corpi speciali e delle forze armate in Italia. Sta qui un passaggio essenziale che la strage di Brescia ha tragicamente registrato. Il passaggio da una provocazione terroristica asservita a una strategia di svolta autoritaria come quella ripetutamente 324 Ibidem. 195 messa in cantiere e tentata dalla DC, da Andreotti e Fanfani, a una provocazione terrorista che mira sempre più scopertamente a creare le condizioni di un’alternativa apertamente fascista, e a chiamare alla ribalta, a invitare a un pronunciamento, a sollecitare all’iniziativa diretta i corpi militari dello stato. È emerso sempre di più in questi mesi e in questi giorni il bandolo della matassa, ma è anche venuta la riprova che a dipanarlo non vuole né può prestarsi una macchina di potere i cui ingranaggi vi sono in così gran numero e così strettamente aggrovigliati 325 . L’analisi di Sofri – che raggiunse punte di notevole lucidità – continuò sottolineando che per lo schieramento antifascista non c’era tempo da perdere. Man mano che passavano i giorni si sarebbe infatti attenuata nella memoria di chi deteneva il potere l’immagine del disappunto popolare e avrebbe preso sempre più corpo la «manovra per espropriare il proletariato di quella forza e di quella iniziativa diretta che aveva messo in campo a Brescia» 326 . Nel suo discorso mise inoltre in evidenza come l’inchiesta – dopo aver offerto più o meno clamorose scoperte – sembrasse essersi ristabilita sulla ‘linea dell’insabbiamento’: se i primi sviluppi delle indagini avevano sollevato molti dubbi, come l’uccisione del neofascista Esposti, che sembrava studiata per zittire una figura che avrebbe avuto troppe cose da raccontare, con il passare dei giorni l’inchiesta si era infatti bloccata ed era stato rilanciato il fermo di polizia, con un rafforzamento dei poteri delle forze dell’ordine. Per Sofri, non si poteva rispondere in quel modo ambiguo alla bomba di piazza Loggia e non poteva più essere accettata una 325 326 Ibidem. Ibidem. 196 spiegazione che indicasse come principali cause dell’attentato l’inadeguata vigilanza da parte delle forze dell’ordine e l’insufficienza degli organici di polizia. Bisognava invece che le autorità non si limitassero ad operazioni di facciata – come la decisione di sciogliere gli Affari riservati trasferendo però i suoi organici al nuovo ispettorato per il terrorismo – ma che mettessero a punto una tattica in grado di colpire le leve principali del strategia eversiva e di chiarire una volta per tutte le effettive responsabilità dello stragismo. Sofri sostenne che non fosse nemmeno più necessario insistere sulle connivenze tra Stato, terrorismo nero e Msi, perché le vicende concernenti l’attentato di Brescia le avevano provate definitivamente: Io credo che non occorra più, per nessuno, insistere sulle complicità fra i corpi dello stato, il Movimento Sociale Italiano, la provocazione terrorista e assassina degli squadristi fascisti, e sulla funzione di copertura che il regime democristiano ha sempre esercitato rispetto a tutto questo. Credo che non occorra insistere quando in una situazione come Brescia, di fronte ai tentativi di sostenere che si era fatto di tutto per vigilare e garantire l’ordine nella manifestazione antifascista, ci si trova oggi di fronte a un magistrato che ammette che uno dei vicequestori allontanati dalla Questura di Brescia è direttamente implicato nell’inchiesta sui traffici di armi, sulle bombe! 327 327 Ibidem. 197 Il leader di LC fece poi alcune considerazioni inerenti il rapporto segreto sul Mar, risalente al 1970, considerato come l’ennesima prova della copertura posta in essere da importanti settori del Sid nei confronti dello stragismo 328 . Sottolineò che il maggiore Amos Spiazzi – promosso colonnello mentre l’inchiesta era già aperta e finito in carcere per la ‘Rosa dei venti’ – era legato al Sid come ufficiale del servizio informazioni nell’esercito ed era un militante dell’ex Ordine Nuovo: ciò – secondo l’oratore – corroborava la tesi che vi fosse una rete di «collegamenti fra la Rosa dei Venti, fra questa congiura che aveva il suo centro nel potere militare, e quello che [era] avvenuto a Brescia, e la trama di Brescia, e la trama di Bergamo, e di tante altre sedi» 329 . Nel corso del suo comizio, Sofri insistette particolarmente sull’urgenza di proseguire la battaglia contro il Movimento sociale italiano. Nel farlo egli riconobbe che quella battaglia non era partita da un’iniziativa della sinistra extraparlamentare ma dall’annoso impegno di quella istituzionale. Si rivolse allora direttamente ai comunisti e ai socialisti ricordando loro che la parola d’ordine della messa fuorilegge del Msi era stata un caposaldo del movimento operaio italiano fin dal momento in cui lo schieramento fascista si era riorganizzato nelle nuove vesti; e, soprattutto, facendo loro notare che quel richiamo avrebbe dovuto finalmente condurre alla soluzione definitiva del problema. Sofri lasciò però intendere che la sinistra rivoluzionaria doveva farsi ben poche illusioni sull’impegno delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio in quella direzione, perché «dopo che 328 Cfr. S. f., Come per la strage di stato del 1969, il SID sapeva tutto sul MAR, Fumagalli e Degli Occhi fin dal 1970, cit.; S. f., Il rapporto segreto del SID, “Lotta continua”, 08-06-1974; S. f., Il documento segreto del SID, “Lotta continua”, 09-061974; S. f., Il rapporto segreto del SID, “Lotta continua”, 09-06-1974. 329 S. f., Le lunghe mani dei golpisti e il pronunciamento della classe operaia, cit. 198 questa parola d’ordine è stata espressa da milioni di proletari in Italia, dopo che questa parola d’ordine è stata raccolta da numerosi consigli di fabbrica, da numerose organizzazioni antifasciste, persino da numerosi consigli comunali, noi abbiamo visto nelle forze politiche ufficiali della sinistra il rifiuto di raccogliere questa parola d’ordine» 330 . Una critica molto severa fu sferrata dall’oratore contro quella parte del mondo imprenditoriale bresciano e nazionale che aveva contribuito a finanziare le squadre neofasciste e contro la Cisnal, descritta come un’organizzazione di crumiraggio e di violenza padronale antioperaia che si presentava come un’organizzazione sindacale al servizio dei lavoratori ed operava invece come una sorta di ‘centro assunzioni’ del Msi, atto a inserire nelle fabbriche spie fasciste. Secondo Sofri, bisognava agire per impedire i finanziamenti degli industriali e per togliere potere alla Cisnal, bisognava «portare avanti questi obiettivi, portare avanti l’organizzazione di massa su questi obiettivi, portare avanti la lotta di massa, ma anche sviluppare tutte le contraddizioni politiche nei confronti di organizzazioni opportuniste che rifiutano di raccogliere questi obiettivi, questo è un compito fondamentale per impedire che dopo Brescia le cose non cambino» 331 . Le parole di Sofri passarono dunque in rassegna le maggiori argomentazioni sviluppate in quei giorni dai gruppi della sinistra extraparlamentare. E non mancarono di connotarsi in modo marcatamente ideologico. Un passaggio del suo discorso mette in evidenza una significativa caratteristica che accomunava le elaborazioni teoriche di queste formazioni, ovvero l’insistente tentativo di fare coincidere la lotta contro le trame eversive con quella contro il capitalismo: 330 331 Ibidem. Ibidem. 199 […] Questa strategia nera terrorista non è altro che il risvolto, non è altro che la ruota di scorta di una strategia centrale: la strategia della restaurazione capitalista, una strategia di affannamento e di sconfitta politica del movimento di classe, che ha anch’essa, come la prima, una dimensione internazionale; che vede anche essa affiancati ai centri del capitalismo italiano i centri dell’imperialismo internazionale. Il quale oggi detta le condizioni per l’uscita dalla crisi in Italia, che deve avvenire prima di tutto attraverso la capacità di ricacciare indietro e di dividere il movimento di classe, e di riconsegnare intero il potere di dominio e di sfruttamento nelle mani della borghesia. Questo è il nemico con cui deve fare i conti una strategia antifascista che poggi sull’autonomia, l’organizzazione, l’unificazione del proletariato sotto la direzione operaia 332 . In Italia – sempre secondo il giudizio del comiziante –, la strategia eversiva e quella capitalistica avevano potuto perseguire i propri obiettivi a causa dell’ambigua condotta politica della Dc. Anzi, il partito democristiano – essendo alla ricerca di strumenti alternativi per la gestione del consenso che potessero supplire alla sua decrescente presa sulle masse e frenare lo spostamento a sinistra del paese – sembrava essersi messo alla guida di una ristrutturazione complessiva del potere dello Stato. I segni delle responsabilità democristiane giungevano da molte direzioni: per esempio, erano rintracciabili nel fantasioso discorso che aveva fatto Flaminio Piccoli al congresso democristiano del Trentino. In esso si sosteneva che in Italia fosse in corso un attacco convergente degli ‘opposti 332 Ibidem. 200 estremismi’ contro il cuore dello Stato, alimentato addirittura dalla Cina Popolare. Piccoli era persino arrivato a dichiarare che Mao Tse-Tung in persona avesse raccontato all’ex ministro degli Esteri andreottiano Giuseppe Medici il suo progetto di favorire una svolta a destra in Italia. Secondo le inverosimili parole di Piccoli, il leader cinese avrebbe avuto l’intenzione di spingere l’Unione Sovietica a sguarnire le frontiere orientali per poter garantire alla Cina la possibilità di continuare la propria politica antisovietica. Anche se l’atteggiamento della Dc si spingeva spesso fino ai limiti della credibilità, per Sofri il dato da tenere sempre presente era però la pericolosità della trama gestita da quel partito. Era questo l’elemento sopra il quale il suo discorso pose maggiore luce. Ed era proprio contro quella trama democristiana che doveva essere condotta la battaglia più decisa, che poteva però contare sulla nuova partecipazione popolare registratasi dopo l’attentato di piazza Loggia: È questa situazione di aggiustamento, di recupero della crisi democristiana, è questa operazione che tende a dare a una politica economica ferocemente anti-operaia e anti-proletaria una copertura trasformista di sinistra, è questa operazione il nemico principale da battere in questa fase. Battere questa operazione significa tirare le conseguenze della vittoria dei NO nel referendum e soprattutto utilizzare i frutti e la lezione dell’iniziativa di massa dopo la strage fascista di Brescia 333 . 333 Ibidem. 201 Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 202 La battaglia continua Nella seconda metà di giugno, la strage di Brescia perse ulteriormente la sua centralità sulla stampa della sinistra rivoluzionaria, ma i riferimenti al valore di cesura di quell’evento non smisero di tornare con forza. In particolare, questi fogli utilizzarono la recente memoria della strage per proseguire la battaglia contro il Movimento sociale italiano. Per dare ancora più vigore a quella memoria, essi continuarono a collegarla tramite un filo ideale ad episodi della storia italiana in cui l’antifascismo aveva dimostrato il proprio senso di abnegazione e, in tale operazione, il richiamo alla Resistenza era sempre al primo posto. In un suo articolo, “Avanguardia operaia” partì proprio da alcune considerazioni sull’importanza dello scontro sostenuto dagli antifascisti trent’anni prima per arrivare a sostenere che non c’era battaglia più legittima di quella che la sinistra rivoluzionaria stava muovendo contro il Msi. Il settimanale sostenne che la lotta partigiana era stata combattuta per liberare l’Italia dagli oppressori, stranieri e non, ma anche per impedire che si riproponessero i metodi che avevano caratterizzato il regime mussoliniano: proprio per questo motivo erano state prese delle precauzioni legislative. Nel primo testo di legge per la repressione del fascismo in Italia – emanato alcuni giorni prima della liberazione dall’occupazione tedesca ed entrato in vigore il 16 aprile 1945 – si affermava, per esempio, che «chiunque ricostituisce sotto qualsiasi forma e denominazione il partito fascista ovvero ne promuove la ricostituzione, è punito con la reclusione da dieci a venti anni» 334 . Per il foglio, quelle parole stavano a significare che, con la fine della dittatura, il popolo italiano aveva da subito voluto mettere 334 S. f., Chi ha bloccato la legge Parri? La DC!, “Avanguardia operaia”, N. 24, 21-06- 1974. 203 in moto un cambiamento irreversibile del quadro politico, che doveva essere sancito dalla legge, «da una legge la cui garanzia erano i partigiani in armi, la mobilitazione popolare in atto in tutto il paese» 335 . L’articolo evidenziò inoltre che le forze della Resistenza erano inizialmente riuscite ad imporre severi provvedimenti che si spingevano al di là dell’affermazione formale contenuta nella Costituzione, come la legge approvata il 3 dicembre 1947 dall’Assemblea Costituente, la quale imponeva lo scioglimento immediato di qualsiasi forma di riorganizzazione del fascismo, dichiarando esplicitamente che i trasgressori sarebbero stati puniti con la prigione, la confisca dei beni e, in alcuni casi, anche con l’ergastolo 336 . Osservando la triste situazione che aveva caratterizzato gli anni successivi dell’Italia repubblicana e che aveva permesso la proliferazione di gruppi direttamente ispirati al fascismo, di formazioni al servizio di progetti reazionari per i quali stragi come quelle di Brescia erano la normale modalità di azione, “Avanguardia operaia” non poté che ricollegarsi a quel passato per criticare aspramente chi già allora ripensava nostalgicamente a quanto i fascisti erano stati uniti nello schiacciare il movimento proletario e si preparava non solo a ricostituire saldamente il potere borghese scosso dal 335 Ibidem. Il testo di legge, dopo aver descritto le caratteristiche che contraddistinguevano le attività fasciste, imponeva, nell’art. 4, che «chiunque, a fini di svolgere alcune delle attività prevedute negli articoli precedenti promuove, forma, dirige, o sovvenziona una banda armata di tre o più persone, è punito per ciò solo con la reclusione da dieci a trenta anni e con la confisca dei beni». Ibidem. 336 204 movimento di classe che si era saldato o espresso nella Resistenza, ma anche a rispolverare tali squallidi alleati 337 . Il settimanale di agitazione comunista non scordò di lanciare un’immancabile critica alla sinistra istituzionale. In particolare, venne presa di mira la politica perseguita dal Pci nell’immediato dopoguerra e la permissività del ministro di Grazia e Giustizia Togliatti: la tregua sociale concessa dai comunisti con la parola d’ordine della ‘ricostruzione nazionale’ veniva considerata, col senno di poi, come una strategia sbagliata che aveva permesso «la ricostruzione dell’apparato dello stato borghese con il reinserimento dei vecchi elementi del regime e l’arretramento del fronte proletario di fronte all’offensiva borghese degli anni ‘50» 338 . Secondo il foglio, il momento più basso della battaglia contro la reviviscenza del fascismo arrivò però nel 1952, quando, scaduta la legge del dicembre ’47, Scelba la ripropose svuotandola di significato, visto che sorvolò sul fatto che un partito di stampo fascista, il Msi, aveva già preso vita: in tal modo, le dichiarazioni della legge erano ridotte a pura forma e la diminuzione delle pene e la delega all’esecutivo e alla magistratura di ogni iniziativa «diveniva solo una prova di ‘fede antifascista’ utile al governo DC per colpire più forte a sinistra» 339 . “Avanguardia operaia” utilizzò anche la memoria delle giornate del luglio ’60 – che, come è stato precedentemente evidenziato, avevano segnato un punto di svolta nel risveglio dell’ideale antifascista – per dare corpo agli attacchi che stava 337 338 339 Ibidem. Ibidem. Ibidem. 205 muovendo contro il Msi. Il settimanale sostenne che era stata quella ventata di collera e di coscienza proletaria antifascista a smuovere l’Italia e a far sfumare i tentativi golpisti del governo Dc-Msi capeggiato da Ferdinando Tambroni. Era stato proprio grazie all’impatto di quella mobilitazione che, il 10 luglio del ‘60, il Consiglio Federativo della Resistenza riunitosi a Roma aveva fatto proprie le proposte di Ferruccio Parri, subito riferite in Parlamento con il sostegno di tutta la sinistra. La proposta legge Parri chiamava in causa la Costituzione e i doveri del Parlamento, per giungere a richiedere in termini semplici e chiari lo scioglimento del Msi. “Avanguardia operaia” evidenziò anche il valore della relazione presentata in quell’occasione da Pietro Secchia e Luigi Renato Sansone in cui si sosteneva che la legge era necessaria, vista l’attività dichiaratamente fascista del Msi. Secchia aveva affermato che quel disegno di legge avrebbe potuto essere dichiarato inutile ed ingiusto soltanto nel caso in cui qualcuno avesse dimostrato che il Msi avesse cambiato radicalmente le sue caratteristiche, la sua ragione d’essere, i suoi programmi e i suoi mezzi d’azione. Cosa che, secondo il foglio, era pressoché impossibile. Lo stesso Secchia, d’altronde, aveva presentato al Parlamento tre allegati alla legge con l’intento di dimostrare l’ideologia fascista del Msi e di provare le pesanti violenze commesse dagli esponenti di quel partito, anche tramite una cronologia dettagliata delle imprese di quei gruppi, dalla approvazione della legge Scelba in poi 340 . In un altro articolo, “Avanguardia operaia” tornò ad indicare la necessità di riproporre nel presente quella partecipazione antifascista riscontrata nell’estate del 1960, per condurre al successo la battaglia contro il Msi: 340 Ibidem. 206 Mettere fuorilegge il MSI: oggi come nel luglio ’60 questa parola d’ordine è diventata qualcosa di più di uno slogan gridato nelle manifestazioni antifasciste. Oggi come allora è un obiettivo di lotta di un vasto movimento che ha alla sua testa di nuovo la classe operaia. […] Spazzare via i fascisti, fuori legge l’MSI: è l’impegno preso a Brescia dal proletariato e dalla sinistra rivoluzionaria. Gli operai, gli studenti, le masse popolari non sono più disposte a sospendere la mobilitazione per riprenderla dopo una nuova strage fascista 341 . Nel resto dell’intervento, il settimanale sottolineò nuovamente la propria distanza dall’atteggiamento remissivo tenuto dai partiti della sinistra parlamentare e mise in evidenza il valore di chi aveva avuto la forza d’animo di contrastare l’atteggiamento accondiscendente delle istituzioni, come Franco Antonicelli, Norberto Bobbio, Sandro Galante Garrone e Guido Quazza, che avevano inviato un telegramma a Nenni, Parri, Saragat, Terracini, Longo e Pertini per spingerli a convincere il governo «ad applicare senza indugi, secondo sua legittima facoltà, le precise disposizioni della legge anno 1952 […] e a sospendere il finanziamento al MSI così sciaguratamente concesso per un falsato principio di democrazia» 342 . La presa di posizione di alcuni dei più noti nomi dell’antifascismo torinese venne dunque presentata come il giusto modo di reagire alle trame che avevano prodotto la strage di piazza Loggia, come il comportamento che tutti gli antifascisti italiani avrebbero dovuto tenere, 341 S. f., Fuorilegge il MSI: qualcosa di più di uno slogan, “Avanguardia operaia”, N. 24, 21-06-1974. 342 Ibidem. 207 unendosi in tal modo agli sforzi che la sinistra rivoluzionaria stava producendo per far sì che l’ampia mobilitazione popolare seguita alla bomba bresciana andasse a costituire «il nucleo centrale di un più vasto schieramento democratico per raccogliere i più larghi consensi attorno ad una legge di iniziativa popolare» 343 . L’utilizzo della memoria antifascista, e soprattutto di quella resistenziale, per corroborare le battaglie condotte nelle settimane dopo la strage di Brescia, era una caratteristica che – anche se diveniva a volte, come si è visto, motivo di attrito e competizione – accomunava la sinistra rivoluzionaria alle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. Con la differenza non trascurabile che, mentre i gruppi della prima tendevano a riferirsi al passato antifascista cercando una conferma dello spirito rivoluzionario delle masse, i rappresentanti delle seconde si servivano dello stesso passato per rinnovare la legittimità delle istituzioni 344 . Tuttavia, anche la sinistra istituzionale aveva reagito con grande indignazione alla violenza di Brescia e nei sui richiami all’ideale antifascista raramente mancava un accenno – anche se d’impostazione 343 Ibidem. 344 Cfr. le parole del socialista Ettore Fermi: «La solidarietà manifestatasi nella resistenza armata che raccolse in difesa degli stessi valori le più diverse espressioni sociali della nazione, è indispensabile si rinnovi nell’unità delle forze antifasciste. Unità che deve esprimersi non solo nelle articolazioni spontanee di massa, ma anche nelle assemblee elettive, negli organi dello Stato [e] che deve trovare una risposta in tutti i livelli istituzionali, in particolar modo nel Parlamento e nel governo, in primo luogo attraverso l’applicazione senza incertezze e mortificazioni della carta costituzionale che ha costituito e costituisce per tutto il movimento popolare e antifascista un baluardo e uno strumento di legittimazione di una progressiva avanzata democratica». ‘Discorso di Ettore Fermi al Convegno antifascista alla Camera di commercio di Brescia, 28-06-1974’, in AA. VV., La strage fascista di Brescia. Dibattito parlamentare. Discorsi, articoli e interrogazioni dei rappresentanti del Partito socialista italiano, op. cit., pp. 21-23. 208 solitamente molto moderata – alla necessità di puntare ad un cambiamento che coinvolgesse anche le strutture economiche e sociali dello Stato italiano. Il segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia Franco Torri – durante il discorso tenuto ai funerali di Vittorio Zambarda, ottava e ultima vittima della strage – aveva dichiarato, per esempio, che in quei giorni carichi di tensione era più che mai necessario unire saldamente tutte le forze popolari e sinceramente democratiche in una grande intesa morale e politica capace di trasformare l’Italia economicamente e socialmente, per estirpare il fascismo, per far progredire le classi lavoratrici, per difendere e consolidare il nostro ordinamento democratico nato dalla Resistenza 345 . Gli organi di stampa della sinistra extraparlamentare dettero rilevanza alla morte di Vittorio Zambarda soprattutto per ricordare l’inefficienza di una giustizia italiana che formalizzava ‘contro ignoti’ l’inchiesta sull’attentato e avvalorava l’ipotesi della ragazzata 346 . La morte 345 ASCD/106/PL I B10, 14-06-1974. 346 S. f., Brescia. Neanche l’ottava vittima smuove le indagini. Per il giudice la strage è stata ‘una ragazzata’. Andreotti sarà interrogato sul Sid, “Il Manifesto”, 18-06-1974; S. f., Brescia. Formalizzata ‘contro ignoti’ l’inchiesta sulla strage. Il giudice Arcai interroga Fumagalli, ma sorvola sui suoi rapporti con la Rosa dei Venti. L’inchiesta a Brescia segue un’unica ipotesi, quella della ‘ragazzata’, “Lotta continua”, 16-061974. “Avanguardia operaia” scriveva: «I morti di Brescia sono saliti a otto. Ma in galera non c’è ancora nessuno. Né i terroristi che materialmente hanno depositato la bomba in piazza della Loggia né i loro protettori annidati nelle istituzioni statali e nella DC». S. f., I terroristi fascisti sono ancora tutti liberi, “Avanguardia operaia”, 209 dell’ennesima vittima della strage mise comunque in moto una nuova ondata di impegno antifascista che coinvolse anche le organizzazioni della sinistra istituzionale. La Federazione Cgil-Cisl-Uil proclamò uno sciopero in data 18 giugno – giorno del funerale – per la zona di Salò, dalle 14 alle 22, e a tutti i lavoratori della provincia venne richiesta l’astensione dal lavoro dalle 10 alle 10,30, «in segno di partecipazione al cordoglio e per riaffermare l’impegno di tutti i lavoratori bresciani a proseguire l’azione democratica contro ogni tentativo di risorgente neofascismo» 347 . Secondo “Lotta continua”, la morte di Zambarda aveva un forte valore ideale anche perché, essendo stato operaio edile, vecchio militante del Pci e segretario di una sezione comunista di Salò, «la figura dell’ultimo compagno ucciso nella strage riassume[va] in modo esemplare ciò che i fascisti avevano voluto colpire con la bomba di Brescia» 348 . A partire dalle giornate successive al funerale dell’ultima vittima, sulla stampa della sinistra rivoluzionaria i riferimenti alla strage di piazza Loggia persero rilevanza limitandosi a sporadici richiami. Tuttavia, alla fine di giugno, in occasione del trigesimo dalla strage, i gruppi della sinistra N. 24, 21-06-1974. Cfr. anche S. f., Sono otto gli assassinati di Brescia, “Il Manifesto”, 18-06-1974. 347 ASCD/132/PL I A 15. Il volantino porta anche la firma del Comitato Permanente Antifascista. Cfr. i comunicati compilati in occasione del decesso di Zambarda dalla stessa Cgil-Cisl-Uil, dalla federazione bresciana del Pci e dal Comitato Permanente Antifascista, rispettivamente in ASCD/86/PL I I 23; ASCD/87/PL I I 24; ASCD/88/PL I I 25. 348 S. f., Stasera a Salò i funerali del compagno Zambarda, ottava vittima della strage. Da tutta la provincia di Brescia delegazioni operaie porteranno il loro ultimo saluto al compagno, morto in seguito alle ferite riportate 20 giorni fa in Piazza della Loggia, “Lotta continua”, 18-06-1974. Zambarda era andato in pensione soltanto tre giorni prima della strage. 210 rivoluzionaria tornarono a focalizzare la loro attenzione su quell’evento 349 . Lotta Continua, Il Manifesto e il Partito di Unità Proletaria cercarono di riattivare l’impegno della cittadinanza antifascista italiana e sfruttarono la ricorrenza per effettuare un’analisi critica del metodo tramite cui era stata condotta fino a quel momento la battaglia per preservare la democrazia. Questi gruppi misero in discussione le modalità di conduzione di un Convegno nazionale unitario antifascista – organizzato per l’occasione dal Comitato permanente antifascista di Brescia presso la Camera di commercio della città 350 – dove avevano trovato spazio gli interventi dei 349 “Lotta continua” del 26-06-1974 usciva con un supplemento intitolato ‘Fuori legge il MSI! Giornale Bresciano di Lotta continua’ sul quale venivano condensate le principali tematiche trattate dal giornale durante il mese trascorso dalla strage di Brescia. Cfr. le seguenti titolazioni: 28 giugno, a un mese dalla strage; La lezione di Brescia; Autori, mandanti, finanziatori e giudici; Ma chi giudicherà il giudice Arcai?; Fumagalli e le sue ‘influenti amicizie’; ‘Gli onesti e laboriosi industriali del tondino’; ‘L’epurazione è fallita nel ’45: non può fallire oggi’. Fuorilegge il MSI. Individuare, denunciare, colpire, espropriare i fascisti, i loro mandanti, i loro finanziatori, i loro complici nell’apparato dello stato; ‘I morti si onorano vivendo di fatti’. Da piazza Fontana a Piazza Loggia: la mano omicida del MSI, le complicità della DC, le connivenze dell’apparato dello stato; Il pronunciamento degli operai e degli antifascisti. Nessuna esitazione vale, ogni esitazione è complice. Per un contributo che ripercorre le commemorazioni della strage negli anni successivi, cfr. C. Simoni, Ricordare, commemorare, celebrare. Cronache del 28 maggio, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit. pp. 7-25. Ma si veda anche il capitolo intitolato L’informazione sulle ricorrenze della strage, in V. Marchi, op. cit., pp. 215225. Per alcuni esempi di commemorazione a un mese dalla strage da parte della CgilCisl-Uil, dei Sindacati dei Lavoratori elettrici e della Federazione Sindacale Scuola, cfr. rispettivamente ASCD/330/PL V A 1 e ASCD/228/PL V B 4; ASCD/225/PL V B 1; ASCD/229/PL V B 5. Cfr. anche Onore e Gloria ai Caduti antifascisti, ASCD/418/PL V B 6. 350 Così si legge sulla Mozione conclusiva dell’Assise dei Comitati antifascisti: «L’assise ritiene che la strage di Brescia è il punto culminante della catena di attentati e di delitti – rimasti purtroppo impuniti – che dal 1968-69 hanno funestato la vita del 211 rappresentanti delle istituzioni, e invitarono la popolazione a manifestare la sera stessa nella piazza del tragico attentato: Oggi a Brescia alla Camera di Commercio hanno parlato ministri, onorevoli, ecc. Bisognava invece dare la parola soprattutto alla gente che si è mossa in queste settimane, portare sotto il naso di certi esponenti della linea Colombo-Carli i risultati, le denunce della capillare ‘inchiesta di massa’ contro il fascismo, organizzata dalla mobilitazione popolare. Come il giorno dei funerali delle vittime della strage, questa sera in Piazza Loggia dobbiamo portare con una possente dimostrazione Paese e che hanno alimentato la strategia della tensione nel tentativo di aprire varchi a manovre eversive e a colpi reazionari. La fermezza democratica, il livello di maturità civile e politica delle manifestazioni antifasciste indicano che la Repubblica Italiana sorta dalla Resistenza e fondata sul lavoro non può tollerare ulteriori attacchi alle sue istituzioni e perciò è necessario che la politica del Governo e dei diversi organi dello Stato sia pienamente corrispondente – nell’attuazione dei principi Costituzionali – alla volontà democratica e antifascista del Paese. La straordinaria risposta della classe operaia e del popolo italiano all’eccidio di Brescia esige dallo Stato democratico in tutte le sue espressioni e da tutto il suo apparato, dalle forze politiche e sociali antifasciste, una ferma azione perché gli autori del crimine infame, coloro che coltivano folli trame violente e autoritarie, siano individuati e sconfitti: esecutori, mandanti, finanziatori e protettori ovunque si annidano e, insieme, una coerente e permanente iniziativa politica e legislativa di chiara intonazione antifascista per debellare le centrali dell’eversione reazionaria e fascista, rimuovendo le cause da cui sono originate, per assicurare la difesa e il consolidamento dell’ordine democratico». Brescia, Camera di Commercio, 28-06-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/133. Cfr. anche gli Atti del 1° convegno nazionale dei comitati antifascisti nel trigesimo dalla strage di piazza Loggia, Brescia, Camera di Commercio, 28-06-1974. FDFCT/Testimonianze 2/12/3. 212 tutta la determinazione popolare contro qualunque tentativo di seppellire la strage dietro le lacrime di stato 351 . Nell’invitare la popolazione di tutta Italia a partecipare al corteo antifascista organizzato a Brescia per quel giorno, contro l’insabbiamento delle indagini, anche AO attaccò le autorità governative considerate colpevoli di non aver agito con il necessario impegno per debellare le recrudescenze del fascismo e di aver invece mantenuto un atteggiamento teso all’indebolimento del potere del movimento operaio, e sottolineò che «a un mese dalla strage fascista di piazza Loggia mentre si intensifica[vano] gli omicidi, le aggressioni, le provocazioni fasciste contro lavoratori e militanti della sinistra, ancora non si [era] fatta luce sul criminale assassinio di otto compagni» 352 . Per il gruppo, era la presenza in Parlamento del Msi a favorire i ricatti della Democrazia cristiana e a rendere la situazione intollerabile. L’unica strategia considerata adeguata ad imprimere un cambiamento deciso a tale stato di cose era quella che puntava tutto sulla forza insita nella popolazione antifascista e sul potere della controinformazione. Per questo, AO lanciò una critica che colpì anche il Comitato Permanente Antifascista: 351 A un mese dalla strage: questa sera alle 20,30 tutti di nuovo in piazza della Loggia!! Volantino firmato da Lotta Continua, Il Manifesto, Partito di Unità Proletaria, 28-061974. FDFCT/Testimonianze 2/19/107. 352 A un mese dalla strage rilanciamo la mobilitazione antifascista. ASCD/227/PL V B3, 26-06-1974. Cfr. anche il volantino prodotto da Movimento Studentesco, nel quale si insisteva sulla necessità di rinsaldare e rafforzare la mobilitazione e la lotta antifascista, ribadendo che «l’attentato in P.za Loggia rappresenta[va] il più duro attacco frontale che la borghesia, con l’aiuto del suo braccio armato, i fascisti, muove[va] contro l‘unità e la combattività operaia e popolare». Trigesimo della Strage fascista; 28-06-1974. ASCD/226/PL V B 2. 213 Riteniamo che l’azione del Comitato Permanente Antifascista, seppur giusta nei contenuti e nelle finalità, non sia stata adeguata alla volontà di lotta che le masse hanno espresso in occasione dei funerali delle vittime: riteniamo che un’incisiva mobilitazione antifascista debba appoggiarsi a una diffusa informazione e su una massiccia mobilitazione che in questo periodo sono purtroppo mancate 353 . Per la prima ricorrenza simbolica della strage di piazza Loggia, Lotta Continua volle ribadire l’estensione del proprio impegno antifascista riprendendo e amplificando la proposta effettuata da molti consigli e assemblee di fabbrica che chiedevano a gran voce lo scioglimento dl Msi, e diede perciò mandato ai propri rappresentanti di sostenere questa battaglia all’assemblea nazionale antifascista tenutasi a Brescia. Per il gruppo rivoluzionario – tra l’altro –, era stato proprio l’impegno antifascista della classe operaia bresciana ad aver dato una spinta decisiva alle vertenze che coinvolgevano i lavoratori delle maggiori fabbriche della città 354 . 353 A un mese dalla strage rilanciamo la mobilitazione antifascista. ASCD/227/PL V B3, 26-06-1974. Cfr. anche il volantino compilato in quell’occasione dal Comitato provinciale bresciano del Pc(m-l)i: «Operai e lavoratori bresciani rispondiamo colpo su colpo al programma reazionario del regime democristiano denunciando anche i riformisti che lo sostengono, è nel mondo del profitto dei monopoli e della speculazione dove cova il fascismo. Basta coi governi democristiani, i lavoratori non vogliono fare sacrifici per i superprofitti dei padroni. Le tasse le devono pagare i miliardari che esportano i capitali all’estero. La classe operaia vuole progresso sociale e non essere ridotta a livello di sussistenza». FDFCT/Testimonianze 2/19/111. 354 S. f., Brescia. L’assemblea dei delegati a un mese dalla strage chiede lo scioglimento del MSI, “Lotta continua”, 27-06-1974. 214 Le osservazioni di “Lotta continua” ad un mese dalla strage mettono così in evidenza uno degli elementi che aveva caratterizzato le formazioni della sinistra rivoluzionaria sin dalla loro nascita, ovvero l’esigenza di ancorare il proprio impegno politico alla realtà di fabbrica, dalla quale si sarebbe poi dovuti partire con un’azione che avrebbe coinvolto tutti i settori della società. Questi gruppi videro allora – o si illusero di vedere – nel quadro politico e sociale italiano del post-28 maggio la presenza di quegli elementi che avrebbero potuto dare il via ad una nuova fase di lotta, nella quale la classe operaia e la sinistra rivoluzionaria avrebbero dovuto interagire mantenendo un forte «legame tra mobilitazione di fabbrica e mobilitazione generale, in primo luogo sull’antifascismo» 355 . 355 S. f., Lotta operaia e mobilitazione antifascista a Brescia. L’assemblea dei delegati di tutte le fabbriche ha chiesto lo scioglimento del MSI, “Lotta continua”, 29-06-1974. 215 L’Italicus Prima di giungere alle conclusioni finali, è utile fare alcune considerazioni sui richiami alla strage di Brescia apparsi sui fogli della sinistra extraparlamentare in occasione dell’attentato al treno Italicus, del successivo 4 agosto 356 . In quel delicato momento politico, caratterizzato dall’agonia dell’avventura governativa di centro-sinistra e dalla debolezza di qualsiasi soluzione alternativa, al forte sconcerto scatenato dalla strage di Brescia e da quella appena perpetrata sul treno di Bologna, si sommarono i turbamenti provenienti dagli Stati Uniti, dove il presidente Nixon, messo alle strette dallo scandalo del Watergate, sembrava ormai giunto al termine della sua parabola politica 357 . Le formazioni della sinistra rivoluzionaria videro nell’attentato al treno di Bologna la riprova dell’incapacità e, soprattutto, della mancanza di volontà del governo di intraprendere una seria battaglia contro la strategia reazionaria, che sembrava invece acquisire sicurezza, e fecero un’altra volta appello alla cittadinanza antifascista che aveva manifestato contro la 356 L’attentato fu compiuto sulla linea Firenze-Bologna, a 300 metri dalla stazione di S. Benedetto in val di Sambro, Bologna. 357 Cfr. S. f., Nixon salta, caso unico nella storia d’America. Paga la crisi sua e della ‘grande società’. Bologna saluta le vittime dell’ultima strage, “Il Manifesto”, 09-081974; S. f., Nixon si è dimesso alle 12,10 (ora americana) e ha passato le consegne a Gerald Ford. La borsa sale, la puzza anche, “Il Manifesto”, 09-08-1974; S. f., Stati Uniti. Il boia Nixon è finito, “Lotta continua”, 09-08-1974; S. f., Nixon è uscito dalla Casa bianca, dove si è insediato Gerald Ford. Resta Kissinger, per garantire la ‘continuità’, “Il Manifesto”, 10-08-1974; S. f., USA. Nixon se n’è andato dalla porta di servizio, Ford ha preso il suo posto. Per conto di Kissinger ha dichiarato che la politica estera degli USA ‘è nel migliore interesse della nazione’, “Lotta continua”, 10-08-1974; S. f., Richard Nixon boia e furfante è naufragato nella palude del Watergate, “Lotta continua”, 10-08-1974. 216 strage bresciana affinché tornasse a mobilitarsi sferrando un nuovo attacco al Msi e al sistema di potere gestito dalla Dc 358 . Il gruppo del Manifesto-Pdup compilò prontamente un volantino nel quale espresse il proprio sconforto: Dopo la strage di Piazza della Loggia i fascisti dunque si sentono sicuri. Le tanto sbandierate indagini sulle trame nere si sono limitate a qualche organizzatore di grado minore o intermedio, ma non hanno colpito i cervelli politici, i mandanti, i finanziatori. Le critiche che la sinistra ha rivolto in questi mesi agli sviluppi dell’inchiesta risultano oggi sanguinosamente 358 Cfr. i titoli di prima pagina: La strage indiscriminata non è il frutto della follia reazionaria, ma della logica lucida e bestiale di chi prepara il colpo di stato militare. Mettere fuori legge il MSI, sciogliere il SID, garantire l’organizzazione democratica dei soldati, cacciare dal governo i democristiani e i servi degli americani: con questa volontà si torna nelle piazze, e si onorano le nuove vittime dell’infamia fascista, “Lotta continua”, 06-08-1974; Tutto il paese protesta con scioperi e cortei. Ma questa strage fascista non è la prima e non sarà l’ultima, finché non sarà spezzata la catena delle complicità politiche e statali sciogliendo il Msi e rovesciando Rumor. Aperta collusione tra Taviani e Almirante, “Il Manifesto”, 06-08-1974. Naturalmente, i fogli della sinistra rivoluzionaria continuarono a concedere spazio alle notizie inerenti l’evoluzione delle indagini sulla strage bresciana, come quando fu rinvenuta una nota che giaceva alla Procura di Roma, agli atti dell’istruttoria sulla ricostituzione di Ordine Nuovo-Ordine Nero. L’appunto, datato 19 aprile 1974 e timbrato Ordine Nero, aveva questo contenuto: «Camerata Cartocci esplosione fallita di giovedì per mancanza di tritoro (l’errore è in originale). Provvedere eliminazione anarchico Vanin. Piano Brescia spostato mese prossimo. Avvertiti camerati lombardi. Spese stampa? A noi, camerata Palustri». Cfr. S. f., La strage di Brescia preannunciata in un documento da tempo noto alla Magistratura! I carabinieri conoscevano i rapporti tra l’‘internazionale nera’ e il MSI. Perché qualcuno attribuì la strage dell’Italicus ai servizi segreti sovietici e perché Almirante e Covelli giocano il tutto e per tutto, “Lotta continua”, 13-08-1974. “Avanguardia operaia” non usciva in agosto. 217 confermate: il centro della strategia della tensione non è stato finora nemmeno sfiorato 359 . A due mesi dalla bomba di Brescia, il nuovo attentato colpiva il paese rendendo ancora più concreta la sensazione di impotenza dei cittadini di fronte alla strategia eversiva 360 . “Lotta continua” vide nell’attentato bolognese un nuovo segnale della profondità raggiunta dalle trame stragiste ma non dimenticò di evidenziare che lo schieramento democratico e antifascista, grazie alle recenti prove, si era significativamente rinforzato 361 . In particolare, il foglio notò l’inedito atteggiamento aggressivo delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. Venne accolta con entusiasmo la decisione dell’ufficio politico del Pci di divulgare un comunicato i cui contenuti denunciavano i responsabili dello stragismo, sottolineando le connivenze annidate nell’apparato statale e 359 Altre 12 persone assassinate FDFCT/Testimonianze 2/19/99. dai fascisti. Adesso basta! 05-08-1974. 360 Cfr. il volantino firmato da Sfi/Saufi/Siuf di Bologna «I dodici morti, le decine di feriti di Bologna, sono l’ennesima testimonianza di un disegno eversivo che ha i suoi esecutori e i suoi mandanti, i suoi ‘poveri stracci’ come si dice, ma anche menti fredde e crudeli e mezzi potenti coi quali ci si propone di rovesciare le istituzioni e di riportare in Italia un regime di oppressione, di dittatura di classe». Contro il fascismo nessuna rassegnazione mai!; 09-08-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/109. 361 L’attenzione della popolazione antifascista tornò ad essere particolarmente sostenuta nei grandi come nei piccoli centri: anche in questa occasione i richiami alla lotta di liberazione erano molto frequenti. Cfr. il contenuto di un volantino del Comitato antifascista di Carpendolo: «Il cancro fascista che credevamo estirpato dal 25 aprile 1945 cerca di risorgere: dopo il sangue di piazza Loggia il sangue più abbondante del treno Roma-Brennero». I fascisti ammazzano ancora, agosto 1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/102. 218 facendo appello alla mobilitazione e alla vigilanza delle masse 362 . Venne anche messo in evidenza che, con l’adesione allo sciopero dichiarato dalla federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, le organizzazioni sindacali si erano schierate in prima linea contro la logica degli attentati. Inoltre, venne ricordato che la Flm aveva chiesto ai metalmeccanici di partecipare alle manifestazioni con un comunicato in cui si denunciava come «puntualmente, nei momenti di maggiore tensione della vita sociale e politica italiana, [esplodevano] le bombe come strumenti di un disegno 362 Questo il contenuto del comunicato: «A poche settimane dalla strage di Brescia un nuovo bestiale delitto sconvolge il Paese, sollevando sdegno e orrore nell’animo degli italiani. L’ufficio politico del PCI esprime il suo commosso cordoglio alle famiglie delle vittime e il suo augurio ai feriti. La trama criminale continua a svilupparsi con lo scopo evidente di colpire la vita del nostro Paese, le sue attività economiche, le istituzioni democratiche in relazione anche all’isolamento dei fascisti in Italia e alla sconfitta del fascismo in Europa. La misura è colma. Risponda ovunque in modo vigoroso e unitario la mobilitazione dei lavoratori e delle forze antifasciste. Sia ferma e tempestiva nei prossimi giorni la vigilanza delle masse di fronte a quella che può essere una insidia pericolosa. Questo nuovo barbaro eccidio ribadisce le responsabilità non solo degli esecutori e dei mandanti, ma anche di tutti coloro che in questi anni, annidati nei diversi organi dello stato e dei suoi apparati, hanno avuto posizioni di convivenza e di tolleranza dell’azione eversiva fascista com’è risultato anche dalle rivelazioni seguite alla strage di Brescia. Ancora una volta emergono le gravi conseguenze delle deficienze e delle deviazioni dei servizi di sicurezza. L’ufficio politico del PCI rinnova in questo cruciale momento il proprio appello all’unità delle forze democratiche e allo spirito di lotta delle masse lavoratrici e popolari affinché si stronchi l’azione sanguinosa delle trame nere. Dopo la strage di Brescia si sono compiuti alcuni passi nell’accertamento di responsabilità e nella identificazione delle centrali del disegno eversivo, ma in modo insufficiente, incompleto, non risolutivo, mentre gli assassini di Brescia sono ancora in libertà. Questo nuovo eccidio ripropone una svolta negli indirizzi politici in modo da colpire alle radici, prima che altri crimini insanguinino il Paese, l’eversione reazionaria fascista. Il governo deve rispondere con i fatti a questo compito urgente». Nuovo barbaro eccidio di marca fascista. L’ufficio politico del Partito comunista italiano; agosto 1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/101. 219 criminale ed eversivo che tende[va] a far precipitare il paese nella paura ed in una pericolosa svolta autoritaria ed antidemocratica» 363 . Il foglio notò poi che i partiti della sinistra parlamentare avevano cominciato ad usare in modo tagliente i propri organi di stampa: in un’editoriale, “L’Unità” aveva evidenziato la dipendenza delle strategie nere italiane dalle centrali internazionali della reazione, «quelle che ‘hanno lavorato nel Cile’, quelle che in una area cruciale come il Mediterraneo hanno manovrato il golpe fascista di Cipro» 364 ; l’“Avanti!” aveva scritto che i fatti emersi fino a quel momento autorizzavano «a sospettare l’esistenza all’interno di organi delicatissimi dello stato di ‘zone grigie’ dove si annidano elementi che sono interessati, se non a distorcere il corso delle indagini, perlomeno a limitarne la portata, a colpire esecutori, a lasciare nell’ombra i mandanti, nella speranza, magari, che essi abbandonino la partita» 365 . “Lotta continua” apprezzò anche i buoni propositi del “Corriere della Sera” che aveva denunciato «la continuità della trama fascista, il suo proposito di terrore, la sua volontà di logorare le resistenze della democrazia, l’alimento decisivo che essa riceve da connivenze e coperture nello stato e nel potere politico» 366 . Non mancò però di sollevare obiezioni sull’atteggiamento filogovernativo del quotidiano che lo aveva portato ad affermare che, dopo 363 S. f., Brescia. A due mesi dalla strage nessun punto fermo sugli esecutori, nessuna indagine sui mandanti. Continuano ad essere separate le inchieste sulla strage, sulle trame nere e sulla morte del fascista Ferrari, “Lotta continua”, 06-08-1974. Cfr. anche S. f., 12 morti, 48 feriti nel rogo del treno, “Lotta continua”, 06-08-1974. 364 S. f., Brescia. A due mesi dalla strage nessun punto fermo sugli esecutori, nessuna indagine sui mandanti, cit. 365 366 Ibidem. S. f., Due mesi dopo Brescia, “Lotta continua”, 06-08-1974. 220 Brescia, «il governo e le forze politiche [avevano impegnato] il proprio onore nella lotta alla violenza fascista» 367 . La sinistra extraparlamentare continuò infatti ad essere tenacemente schierata contro le istituzioni, considerate complici del terrorismo nero e disposte a mettere a repentaglio gli assetti della democrazia italiana pur di non modificare gli equilibri di un sistema politico che garantiva alla Dc il controllo dei principali gangli del potere 368 . “Il Manifesto” diede grande risalto al fatto che anche a Bologna una parte consistente della popolazione scesa in piazza a manifestare non avesse fatto parlare i rappresentanti della Dc. Sandro Bianchi descrisse lo scenario di quelle ore: Tutta Bologna è in piazza Maggiore, gremita da una massa di compagni, democratici, inverosimile in questa torrida giornata di agosto. I pochi passanti nelle vie adiacenti alla piazza sembrano fantasmi. […] Un crescendo di fischi e boati ha accolto l’oratore democristiano […] che è stato costretto a smettere di parlare quando provocatoriamente ha detto ‘questa è una gazzarra indegna di Bologna’ [e] ha dovuto abbandonare il palco fra gli urli e gli insulti della piazza, seguito dalla destra Cisl e da alcuni esponenti della Uil 369 . 367 S. f., Brescia. A due mesi dalla strage nessun punto fermo sugli esecutori, nessuna indagine sui mandanti, cit. Cfr. il volantino Niente più respiro ai fascisti assassini! Via Rumor governo delle stragi! firmato dal Pc(m-l)i; 05-08-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/108. 368 369 S. Bianchi, Strage. Tutta Bologna in Piazza Maggiore al comizio antifascista. Fischi e urla impediscono di parlare al rappresentante della Dc. Il comune (Rumor è contrario) vuol fare i funerali come a Brescia, “Il Manifesto”, 06-08-1974. 221 Il quotidiano comunista lodò i rappresentanti del comune di Bologna che avevano espresso la volontà di organizzare in città i funerali per le dodici vittime. Le loro dichiarazioni si contrapponevano infatti alle speranze del governo di evitare la programmazione di un evento che avrebbe con ogni probabilità riproposto le contestazioni subite a Brescia. Per questo motivo l’esecutivo aveva cercato di eliminare il problema proponendo di mandare i corpi delle vittime direttamente nei loro luoghi d’origine 370 . Nonostante i tentativi delle istituzioni governative di evitare situazioni imbarazzanti, la cerimonia venne però organizzata nel capoluogo emiliano 371 . Anche in quell’occasione, i cittadini italiani reagirono con grande vigore, manifestando in decine di migliaia nelle piazze, senza risparmiare critiche e fischi alle autorità. I fogli della sinistra extraparlamentare presentarono quella partecipazione come un’ulteriore conferma della coscienza antifascista della popolazione, una popolazione fermamente convinta che gli esecutori e i mandanti delle stragi fossero già noti agli organi inquirenti e risolutamente motivata a richiedere lo scioglimento del Msi e a mettere fine al sistema di gestione di potere democristiano 372 . 370 Ibidem. 371 Cfr. Il governo non voleva a Bologna gli stessi fischi di Brescia. Ma i funerali alle 12 vittime si faranno, “Il Manifesto”, 07-08-1974; S. Bianchi, Bologna. Venerdì pomeriggio a Piazza Maggiore le solenni esequie alle 12 vittime. Il governo non ci sarà, “Il Manifesto”, 07-08-1974. Cfr. anche S. f., Bologna. Venerdì l’omaggio alle vittime della strage, “Lotta continua”, 08-08-1974; S. f., Abrogare le masse?, “Lotta continua”, 08-08-1974. 372 È su questo punto che i fogli considerati insistettero anche nei giorni seguenti. Cfr. i seguenti titoli di prima pagina: La folla fischia a Bologna i capi democristiani complici del fascismo, “Il Manifesto”, 10-08-1974; Bologna. Centinaia di migliaia hanno salutato le vittime della strage fascista. I fischi e i pugni chiusi delle masse antifasciste hanno accolto le autorità dello stato democristiano, “Lotta continua”, 10- 222 “Lotta continua” esaltò la forza propulsiva di quella partecipazione: Essa non è stata la semplice controprova della risposta a Brescia, con un concorso di massa tanto più significativo perché realizzato in pieno agosto, con un attacco intransigente alla DC e allo stato, ma la dimostrazione esemplare che i lavoratori e gli antifascisti italiani non cedono di un solo millimetro alla manovra della rassegnazione e della frustrazione, e al contrario allargano e rinsaldano le file e alzano la loro mira politica 373 . “Il Manifesto” e “Lotta continua” provarono a ricostruire il filo rosso che univa la bomba di piazza Loggia all’attentato al treno di Bologna indicando i forti elementi di continuità tra i due eventi. Tramite quel collegamento cercarono dunque di dare maggiore corposità ai loro assunti e – ancora una volta – indicarono l’insieme della cittadinanza antifascista come unica forza democratica che poteva davvero cambiare quello stato di cose 374 . Il primo, in particolar modo, fece proprie le parole pronunciate 08-1974. Cfr. anche S. f., Oggi a Bologna gli antifascisti salutano le nuove vittime della ferocia reazionaria. I mandanti delle stragi, e chi li copre, devono sentire la forza della volontà popolare: fuorilegge il MSI, sciogliere il SID, libertà di organizzazione democratica per i soldati, lotta contro il regime democristiano e il partito degli americani, “Lotta continua”, 09-08-1974. 373 S. f., Il partito della strage, “Lotta continua”, 07-08-1974. Cfr. i titoli di prima pagina: Vogliono restaurare la vecchia Storia della sopraffazione, dello sfruttamento e della miseria con le bombe. Ma non passeranno. Le masse sono forti. Sono le masse che fanno la Storia, “Lotta continua”, 07-08-1974; Rumor e Taviani, con Almirante confidente, ripristinano il confino fascista di polizia. Se resta questo governo e non si scioglie il Msi il terrorismo sarà incoraggiato a 374 223 davanti alla popolazione dal sindaco di Bologna Renato Zangheri – presentate come le uniche che poterono parzialmente placare le proteste della folla –, le quali espressero «la dura determinazione che è della schiacciante maggioranza degli italiani a combattere le trame eversive che insanguina[vano] il paese per sconfiggerle e stroncarle per sempre»375 . Secondo il quotidiano, il paese era tornato ad esigere un impegno più consistente dei pubblici poteri contro la strategia dell’eversione che ledeva i diritti e la sicurezza di tutti i cittadini. Erano proprio questi ultimi – numerosissimi quel giorno a Bologna – che con la loro partecipazione avevano pronunciato «un atto di condanna ferma degli esecutori del delitto, dei mandanti, delle centrali interne ed internazionali che regg[evano] le fila della mostruosa strategia della tensione e del crimine» 376 . Anche le analisi di “Lotta continua” insistettero sulla necessità di estirpare le radici del piano reazionario che stava soffocando la democrazia italiana. Un suo articolo evidenziò come il salto qualitativo effettuato dalla strategia della tensione – che, anche in questo caso, venne direttamente nuove imprese, “Il Manifesto”, 07-08-1974; Arrestati tre dinamitardi di ‘Ordine nero’ ma il Msi nessuno lo tocca e la Dc ne approfitta per rafforzare il Sid e il suo potere repressivo, “Il Manifesto”, 08-08-1974. 375 S. Bianchi, Bologna. Centocinquantamila in Piazza Maggiore, “Il Manifesto”, 1008-1974. 376 Ibidem. Questo articolo mette anche in evidenza un significativo aspetto concernente il tema della violenza e il rapporto tra i gruppi qui considerati. Infatti, nonostante tra questi ultimi vi fosse un’aspra competizione, giocata anche sul modo diverso di intendere il proprio radicalismo, “Il Manifesto” sottolineò che «Lotta continua aveva dato appuntamento ai suoi militanti, obbligandoli a raggiungere il centro solo a piccoli gruppi e a lunghi intervalli di tempo». Ciò contribuisce a provare che la violenza verbale di queste formazioni – pur con tutti i rischi della sua ambiguità – non era finalizzata ad istigare scontri fisici. 224 collegata alle problematiche di classe – con la bomba di piazza Loggia trovasse una precisa conferma nel nuovo attentato di Bologna: Quello che ormai emerge con tutta evidenza è che dalla strage di Brescia […] alla strage di Bologna […] siamo in presenza di un ‘salto di qualità’ in quella ‘strategia della tensione’ che fa supporto sistematico allo svilupparsi della tendenza al colpo di Stato in Italia, ma anche, in modo organicamente complementare, al processo di fascistizzazione dello Stato. […] E tutto questo avviene in strettissima connessione con lo svilupparsi e il radicalizzarsi dello scontro di classe, con l’aggravamento della crisi economica e del suo uso antiproletario, con il deterioramento degli strumenti di controllo e di potere del regime democristiano, con il rilancio delle manovre scissionistiche e delle connivenze governative all’interno del sindacato, con l’evidenziarsi sempre più profondo e drammatico delle crisi interimperialistiche sul piano internazionale, tanto nella zona strategica del Mediterraneo come in Africa 377 . Il quotidiano fu molto attento ad evidenziare il forte coinvolgimento popolare ai funerali delle vittime del nuovo attentato 378 . Sulle sue pagine 377 S. f., La lunga marcia della strategia del golpe. Dalla strage di Brescia alla strage di Bologna, “Lotta continua”, 10-08-1974. Anche di fronte a questo tragico evento erano continui i richiami ai valori della lotta resistenziale. 378 Cfr. S. f., La giornata di Bologna. La forza delle masse antifasciste ridicolizza i governanti e le autorità democristiane, e promette giustizia ai caduti. Una 225 trovò spazio un’interessante analisi che paragonava la cerimonia bolognese a quella di Brescia. Un elemento fu sottolineato sopra gli altri: mentre nella città lombarda era stata predominante «l’intelaiatura operaia di quella grandiosa manifestazione, la forza schiacciante della denuncia sdegnata delle ‘autorità’ e della imposizione dell’autorità alternativa della classe operaia e della sua organizzazione di massa» 379 , a Bologna era stata decisamente meno presente «questa trama operaia, e più sensibile una connotazione popolare e, al suo interno, il peso dominante dell’organizzazione del PCI» 380 . Un’altra osservazione si spinse ad effettuare una valutazione complessiva sulla strategia eversiva: dopo il massacro sul treno vi era non solo una maggiore certezza «dell’esistenza di una metodica trama reazionaria, del suo ruolo antioperaio, del suo legame con i centri di potere dello stato, con il regime democristiano, con la sudditanza americana, ma del fatto che un esplicito processo golpista [fosse] in corso, che ci [fossero] forze che [gettavano] in campo le loro armi mirando a questo sbocco diretto» 381 . Anche se facevano parte dello stesso progetto eversivo – secondo il foglio – la bomba di piazza Loggia e quella dell’Italicus avevano però provocato due risposte di diverso spessore. A Brescia, dopo l’esplosione che aveva colpito alcuni coraggiosi antifascisti, le masse avevano espresso la volontà di voltare pagina: gli slogans e i fischi contro gli organi dello Stato erano esplosi spontaneamente. A Bologna, la manifestazione della folla era stata ugualmente pungente, ma meno spontanea e più organizzata, nel senso che svergognata provocazione di polizia contro Lotta Continua, che si ritorce contro chi l’ha voluta, “Lotta continua”, 11-08-1974. Vedi anche S. f., ‘Noi sappiamo dove si alimentano le stragi fasciste’, “Lotta continua”, 09-08-1974. 379 S. f., Da Brescia a Bologna, “Lotta continua”, 11-08-1974. 380 Ibidem. Ibidem. 381 226 la gente radunata in piazza aveva fischiato non solo per istintiva protesta ma anche per mettere in chiaro una progettualità politica: «di tanto la risposta a Brescia [era] stata travolgente, spontanea, veemente, di quanto la risposta a Bologna [era] stata piena di attenzione e di impegno politico» 382 . Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini) 382 Ibidem. 227 Conclusioni L’immagine che da queste pagine appare di uno dei passaggi più controversi della storia dell’Italia repubblicana è quella di un paese attraversato da un insieme di attività destabilizzanti, con vari punti di propagazione, non solo nazionali. La lettura dei fatti effettuata tramite i fogli e i documenti della sinistra extraparlamentare, più che mostrare le scelte politiche perseguite dalle organizzazioni, riporta alla luce la storia di una società attraverso la presa di posizione della sua popolazione. In quel momento, la reazione delle masse democratiche non era guidata da una ristretta cerchia di intellettuali ma dalla sentita esigenza dei cittadini che reclamavano giustizia. I gruppi della sinistra extraparlamentare videro in quella mobilitazione un’occasione per far convergere l’insofferenza popolare – supportata dal rinnovato vigore dell’ideale antifascista – verso i propri propositi rivoluzionari. Per queste formazioni il capitalismo era in una fase di irrefrenabile declino. Lo spostamento a sinistra verificatosi in Italia negli ultimi anni sembrava confermare le loro convinzioni e il dipanarsi della strategia reazionaria veniva visto come l’ultimo tentativo di un sistema socio-economico in fin di vita di ridistribuire gli equilibri politici del paese. Le prese di posizione di questi gruppi mostrano una radicalità ideologica che non ha loro permesso di leggere in modo lucido le caratteristiche della società nella quale si muovevano. Nella animata reazione della cittadinanza italiana nei confronti della violenza politica messa in gioco dall’estrema destra, la sinistra extraparlamentare si illuse allora di riconoscere i segnali di una imminente rivoluzione che era invece ben lontana dal divenire reale. Queste organizzazioni avevano invece già imboccato la parte finale della loro parabola movimentista e si sarebbero 228 ben presto istituzionalizzate in modo definitivo, anche a causa di una competizione reciproca che le aveva indotte a rendere sempre più estreme – e meno verosimili – le proprie parole d’ordine, le quali divennero così inappetibili anche a quella parte di opinione pubblica che guardava con simpatia alle loro battaglie. È altresì per tale clima di competizione che nelle riflessioni sviluppate da queste formazioni sulla strage bresciana si riscontra una uguale durezza di toni. Prima di svolgere alcune valutazioni conclusive tramite le quali si proverà a capire qual’è stato il reale contributo della sinistra radicale alle mobilitazioni di quelle giornate, ma anche quale segno ha lasciato l’impeto di queste ultime sulla prima, è però opportuno riproporre brevemente gli elementi maggiormente significativi affiorati da questo studio. Dagli organi di stampa e dalla documentazione investigata è emersa l’immagine di una sinistra rivoluzionaria che ha risposto in modo unitario all’attacco reazionario – anche se, come è apparso dalle pagine precedenti, i gruppi avevano caratteristiche diverse e non smisero mai di essere reciprocamente critici. Le analisi sviluppate in quelle giornate evidenziarono ripetutamente la politicità che distingueva l’attentato bresciano dai precedenti e criticarono l’intero sistema politico italiano per aver permesso che si giungesse ad un’ennesima prova di forza del piano stragista. Furono presi di mira gli organi di polizia, la magistratura e le istituzioni in generale, oltre che i partiti politici, compresi quelli della sinistra. I bersagli primari furono però il Msi e la Dc. Nei confronti del primo si diede vita ad un’intensa battaglia – condotta con mezzi legali, anche se non mancarono gli scontri fisici tra i militanti dei due estremi politici – che si proponeva di portare alla messa fuori legge del partito ispiratosi agli ideali del fascismo storico. Nei confronti della seconda venne inasprita l’opera di 229 controinformazione tramite la quale furono attaccate la linea politica governativa e le connivenze e le responsabilità ad essa legate. In particolar modo, venne condotta un’offensiva tesa a porre luce su un intreccio di diversi piani politici che metteva in collegamento i gruppi della destra estrema al Msi e alla Dc, e che indicava in quest’ultima il cervello della struttura eversiva che coinvolgeva parte dell’intelligence, non solo italiana, e che aveva fatto perdere credibilità e stabilità alla democrazia italiana. Nella loro campagna di controinformazione, questi fogli si schierarono inoltre contro l’atteggiamento dei maggiori organi di stampa nazionale, considerati troppo indulgenti nei confronti delle complicità istituzionali, e rivolsero severe condanne anche ai giornali dei partiti della sinistra. Le critiche furono articolate attorno ad un ragionamento ricco di richiami e paragoni ad episodi significativi della storia nazionale, recente e passata. Per la sinistra rivoluzionaria la strage bresciana era stata la risposta diretta al risultato del referendum sul divorzio, spia evidente di un tendenziale spostamento a sinistra della società italiana che non poteva essere accettato dallo schieramento più conservatore del paese. La strage di piazza Fontana venne allora continuamente rievocata come il primo plateale tassello della strategia reazionaria posta in essere da tale schieramento. Essa fu anche termine di paragone privilegiato tramite il quale leggere gli elementi di novità riscontrabili nell’attentato bresciano. Altri termini di paragone furono invece proposti con eventi storici più distanti nel tempo. Da una parte, l’ennesima violenza neofascista venne paragonata alle ingiustizie perpetrate dal fascismo storico e venne considerata come lo sbocco conseguente di una mancata epurazione del sistema politico italiano dai lasciti del regime. Dall’altra, la forte mobilitazione popolare verificatesi dopo la bomba di piazza Loggia venne raffrontata con l’antifascismo storico e, soprattutto, con le vicende legate 230 alla lotta di liberazione. Il coinvolgimento della cittadinanza italiana divenne allora per questi gruppi la conferma che la vera forza ideale della Resistenza – passando per i mutamenti sociali, politici e culturali degli anni sessanta – si fosse definitivamente risvegliata dal torpore in cui la stagione del centrismo l’aveva inizialmente relegata. La sinistra extraparlamentare utilizzò quella memoria per dare maggiore vigore all’inedita coscienza identitaria delle masse antifasciste, con l’intenzione di direzionarla poi contro le ipocrisie del governo e contro il Movimento sociale italiano. Tale operazione aveva naturalmente un carattere anti-istituzionale e tendeva ad evidenziare e a riproporre nel presente l’originario valore rivoluzionario dell’antifascismo resistenziale. L’ideale antifascista venne inoltre costantemente lodato per la sua capacità di riunire sotto la propria bandiera un esteso ed eterogeneo schieramento di cittadini democratici e per il fatto che portasse con sé una forte carica di spontaneismo, proprio come quella che si era riscontrata durante le manifestazioni organizzate dopo la strage di Brescia – che è anche l’elemento che definisce maggiormente la fisionomia dell’impegno politico messo in piazza durante quelle giornate. I gruppi della sinistra extraparlamentare erano consci di trovarsi di fronte ad un coinvolgimento popolare che trascendeva la loro usuale sfera d’influenza. Essi presentarono però quella partecipazione come la prova di un rinnovato sentimento di classe che stava attraversando il proletariato di tutta Italia – e non solo –, partendo dalla fabbrica ed estendendosi in ogni altro settore della società. L’antifascismo militante messo in gioco da queste formazioni aveva dunque una marcata impronta di classe che supportava il loro approccio aggressivo e antipacifista. Un approccio che veniva rivendicato con forza, anche perché era la caratteristica principale che distingueva l’atteggiamento della sinistra rivoluzionaria rispetto ai tradizionali rappresentanti del movimento operaio, e in particolare al 231 Partito comunista. Fu proprio tale atteggiamento che portò questi gruppi a sostenere le ambigue tesi della legittimità della violenza. Su questo tema è però necessario spendere ancora qualche parola perché il problema dell’utilizzo della violenza non può che essere cruciale quando si voglia giungere ad una conclusione sull’operato della sinistra extraparlamentare. Quest’ultimo fu senz’altro caratterizzato da un alto grado di aggressività verbale e dal ricorso a formule ideologiche che tendevano a strumentalizzare la veemenza delle manifestazioni popolari per dipingere uno scenario in cui – semplificando i termini del ragionamento – la democrazia italiana si trovava minacciata prima di tutto dalle malsane dinamiche di una società capitalistica preoccupata solo di contrastare il proprio declino. La violenza fu solitamente usata da questi gruppi per rivendicare una propria identità ideologica, ma il giudizio sull’atteggiamento combattivo da essi tenuto nelle settimane dopo la bomba bresciana non può basarsi su questo assunto e deve invece essere articolato. Innanzitutto, bisogna insistere sul fatto che la risposta all’attentato di piazza Loggia era stata molto agguerrita perché rappresentava la reazione ad un lungo periodo di violenze neofasciste. L’elevata aggressività era infatti un elemento non riscontrabile soltanto nelle posizioni della sinistra rivoluzionaria ma anche nella maggior parte dei cittadini – molti dei quali non erano nemmeno politicizzati – scesi per le strade e postisi a fianco delle organizzazioni più radicali. Queste, dal canto loro, guarnirono i propri proclami con una violenza verbale che sembrava loro legittimata dalla reazione istintiva della popolazione, ma anche dall’atteggiamento dello schieramento governativo e degli organi di informazione di massa, sempre pronti a scaricare sull’estrema sinistra le colpe degli eccessi di violenza. Prerogativa di questi gruppi fu quella di osservare con attenzione gli atteggiamenti della 232 cittadinanza antifascista e di presentare i propri obiettivi come una conseguenza diretta della volontà popolare. Dalle pagine dei loro fogli appare allora uno scenario di insoddisfazione generalizzata – soprattutto per l’assenza di un’adeguata opera preventiva delle autorità, che aveva permesso l’azione indisturbata dei terroristi neri, e per la discutibile modalità di condizione delle indagini sulla strage bresciana – contrassegnato da una posizione ferma della popolazione italiana, convinta dell’esigenza di protestare contro la trama reazionaria attraverso metodi che non si riducessero alle tradizionali forme di protesta del movimento operaio e persuasa a portare avanti la battaglia contro il Msi e contro le logiche di potere della Dc, nella speranza ultima di giungere ad una società più equa. Tale operazione si ‘limitava’ però a connotare ideologicamente il reale malcontento della popolazione che stava effettivamente protestando in prima persona e a spada tratta contro la estenuante sensazione di insicurezza che regnava in Italia. L’estrema durezza delle posizioni di questi gruppi va insomma inserita in quel complesso momento della storia repubblicana in cui il paese era sottoposto a forti tensioni che avevano prodotto una generale e pervasiva percezione di insicurezza, la quale non poté che condizionare i toni dello scontro politico, ma anche lo stato d’animo dell’intera popolazione; e va inquadrata in un contesto politico e culturale in cui l’anticomunismo di un’ampia fetta della classe dirigente italiana aveva raggiunto livelli esasperati. L’ affresco che si delinea dall’interpretazione della strage bresciana operata dalle formazioni extraparlamentari di sinistra mostra un momento cruciale della ‘fase alta’ della strategia della tensione durante il quale gli attentati dei gruppi di estrema destra erano serviti appunto a creare una forte incertezza tra la popolazione, sensazione che avrebbe dovuto facilitare 233 la costituzione di un governo autoritario. Parte integrante di questo piano era proprio la speranza di scatenare nei gruppi della sinistra, vistisi accusare ingiustamente, una reazione violenta tale da rendere legittimo l’intervento dell’esercito. Attraverso lo sguardo della sinistra rivoluzionaria la strage di Brescia appare allora come un evento chiave per fare maggiore chiarezza su un delicato momento del corso repubblicano che costituisce l’apice del periodo contraddistinto dalla violenza terroristica di matrice nera – una violenza che uscì in quell’occasione clamorosamente allo scoperto, provocando una rinnovata mobilitazione antifascista, la quale fu probabilmente il motivo principale della battuta d’arresto subita dall’eterogeneo insieme di forze reazionarie che si proponeva di infrangere l’amalgama politico-istituzionale antifascista. La fase successiva, com’è noto, fu invece caratterizzata dall’eversione rossa. L’osservazione dell’atteggiamento tenuto dai gruppi della sinistra extraparlamentare – delle loro elaborazioni teoriche oltre che della loro prassi – in relazione all’attentato di Brescia, acquisisce allora un interesse aggiuntivo perché consente di comprendere meglio quel passaggio nodale e, insieme, di illuminare il momento culminante della fase movimentistica di questi gruppi che – con la teorizzazione dell’‘area della rivoluzione’, la formazione del cartello elettorale di Democrazia proletaria e la successiva costituzione dell’organizzazione omonima – sarebbe poco dopo sfociata nel definitivo inglobamento nel sistema dei partiti. Un’analisi critica di quei fatti non può che confermare l’ambiguità e la pericolosità degli atteggiamenti tenuti dai gruppi della sinistra rivoluzionaria nei confronti della violenza. Le formulazioni più radicali di questi schieramenti hanno sicuramente contribuito a fornire il sostrato teorico a una parte di militanti poi confluiti nelle formazioni 234 dell’antifascismo militare e del terrorismo di sinistra. Questa considerazione non può e non deve però essere generalizzata. Alcune formazioni – e in particolar modo Potere Operaio – avevano seguito una strada particolarmente estrema che le portò nella direzione della lotta armata. Tuttavia, esse costituiscono una piccolissima parte del vasto bacino politico-culturale qui trattato. Il terrorismo fu infatti posto in essere da una nuova generazione di massimalisti che spostò in alto la mira creando un fenomeno distinto da quello della cosiddetta sinistra extraparlamentare, da essi considerata troppo moderata. I gruppi presi in considerazione da questo studio riproducono invece un campione maggiormente rappresentativo delle forze gravitanti in quell’ambiente. L’analisi delle loro valutazioni mette in evidenza che per la stragrande maggioranza delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria la violenza era un modo per comunicare alla popolazione e per esprimere platealmente la propria collocazione ‘più a sinistra’ rispetto al Pci. Essa non fu però mai uno strumento centrale dell’azione politica di questi gruppi. Quando presero forma nuove forze estreme con una concezione militare della politica, essi fecero una scelta ben precisa che li portò a ripudiare l’utilizzo della violenza politica, ad allontanarsi dal loro primigenio rivoluzionarismo e ad intraprendere un nuovo cammino nella politica istituzionale. La maturità e la compostezza della risposta dell’articolato schieramento antifascista ertosi a difesa della democrazia nelle giornate successive all’attentato del 28 maggio non può, tra l’altro, non aver influito sui tempi e sulle modalità di tale scelta. Un giudizio obiettivo sull’operato di questo settore politico che tenga in considerazione – senza perdere di vista il periodo e il tema analizzato dalla ricerca – i propositi insistentemente dichiarati dai gruppi e i risultati effettivamente raggiunti, ad ogni modo, non può essere positivo. Infatti, la 235 battaglia della sinistra extraparlamentare, tutta protesa a smantellare la trama eversiva attraverso un percorso che avrebbe dovuto fare crollare anche i capisaldi del sistema capitalistico, fallì. Estendendo la riflessione, si potrebbe anche affermare che, oltre al fatto che non riuscirono a imporsi come forza rivoluzionaria di massa, queste formazioni contribuirono con la radicalità del proprio atteggiamento a fare assumere una posizione difensiva alla sinistra parlamentare. In questo senso, può essere sostenuto che l’estremismo esasperato della sinistra extraparlamentare contribuì a mantenere bloccato il sistema politico italiano, ad attuare cioè il proposito principale della strategia della tensione. L’inasprirsi della violenza – verbale e non – di sinistra contribuì infatti a creare un clima politico di grande delicatezza nel quale le forze tradizionali del movimento operaio si trovarono ‘costrette’ a dare prova della propria affidabilità, condizione che se permise al paese di uscire da un decennio di profonda crisi senza sconvolgimenti istituzionali, pose inderogabilmente la parola fine sulla possibilità di dare vita ad una stagione di effettivo riformismo modernizzatore, confermando una continuità che pare essere il male congenito dello Stato italiano. D’altra parte, per rendere completo il ragionamento, bisogna riconoscere che lo stesso atteggiamento moderato delle tradizionali organizzazioni della sinistra – e soprattutto la scelta del Pci di perseguire la strategia del ‘compromesso storico’ – contribuì non poco a radicalizzare le forme di contrapposizione politica dei gruppi extraparlamentari. È anche tenendo conto del comportamento della sinistra parlamentare che si spiega – ma, naturalmente, non si giustifica – la scelta della fazione più radicale della sinistra rivoluzionaria di dirigere il proprio impegno verso il baratro del terrorismo. E non può nemmeno essere negato che un tale sbocco sia in qualche modo collegato alla negligenza del Pci che – nel suo percorso politico nell’Italia del dopoguerra – non aveva mai 236 condotto un’approfondita riflessione interna sul tema della violenza politica e che – preoccupato precipuamente della gestione dei rapporti con la Dc e gli altri partiti – non si prese neanche la briga di monitorare per tempo l’impostazione al riguardo delle formazioni postesi alla sua sinistra alla fine degli anni sessanta. Ciò ha provocato un danno irreparabile all’identità politica non solo di queste ultime, ma di tutta la sinistra italiana. In ogni caso, se i risultati complessivi della strategia della sinistra extraparlamentare, e in particolar modo la durezza dei suoi attacchi – soprattutto quando sfociavano in appelli più o meno indiretti ad azioni violente –, sono da giudicare negativamente, non si può fare a meno di riconoscere che proprio la radicalità di queste organizzazioni fu parte integrante della campagna di controinformazione da esse condotta dopo la bomba di Brescia, e contribuì quindi in maniera rilevante a creare un clima di denuncia generalizzata che – tra le altre cose – aprì gli occhi a quella parte di cittadinanza poco propensa a credere che le trame della strategia della tensione potessero passare attraverso i gangli di una provincia ‘onesta e operosa’ del nord. Inoltre, osservando l’atteggiamento pragmatico dei gruppi nelle settimane successive all’attentato di piazza Loggia, si può asserire che l’effettivo obiettivo della violenza verbale da essi utilizzata fosse la provocazione. Infatti, essi non minacciarono mai realmente né l’egemonia del sistema capitalistico né le strutture del potere repubblicano, ma lanciarono una sfida diretta ai rappresentanti storici della sinistra, chiamando anche in causa i doveri delle istituzioni e dell’intero sistema partitico italiano. In questo modo, tali formazioni costrinsero i partiti della sinistra ad assumere – nel breve periodo – posizioni più decise rispetto a quelle che avrebbero presumibilmente tenuto, e fecero pressione sugli organi istituzionali chiamandoli a dare una concreta prova della propria buonafede davanti alla popolazione italiana. D’altra parte, non deve essere 237 mai dimenticato che l’estremismo di questi gruppi era indissolubilmente legato all’esigenza di opporsi ad uno Stato che aveva dato concrete prove non solo della propria incapacità di soddisfare l’esigenza di sicurezza dei cittadini, ma di essere implicato in subdole operazioni atte proprio a mettere in discussione tale valore. Il fatto che, malgrado tutto, le formazioni extraparlamentari della sinistra si rivolgessero spesso – anche se quasi sempre indirettamente – alla ‘parte sana’ delle istituzioni per richiedere un suo concreto impegno contro l’eversione, non può essere sottovalutato. Così come non può essere trascurato che, nonostante la loro professione rivoluzionaria, esse ebbero il merito di richiamarsi costantemente agli ideali democratici. Visti i presupposti ideologici di questi gruppi, il fatto che gli appelli da essi lanciati alla popolazione non abbiano raggiunto mai i livelli di estremismo che ci si sarebbe potuti da loro aspettare va letto come un elemento di maturità di questo settore politico che – anche se condusse una strategia che fu nel complesso fallimentare – riuscì a sviluppare un percorso di autocritica e contribuì con la propria azione ad amplificare la portata di un antifascismo dal basso che diventò in tal modo il maggiore ostacolo dell’intera strategia eversiva, la quale fu costretta a riorganizzare i propri piani. 238 Stampato febbraio 2007 in collaborazione con Assessorato alla Partecipazione