Paese di terra, terra di cani, Paese di terra e di

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Paese di terra, terra di cani, Paese di terra e di
Paolo Pelizzari
La strage di Brescia
tra risposta istituzionale e mobilitazione dal basso
Il punto di vista della sinistra extraparlamentare
Comune di Brescia
Associazione Familiari Caduti
Strage di Piazza Loggia
Provincia di Brescia
Indice
Prefazione di Gianfranco Porta
5
Introduzione
13
Il periodo precedente
21
Dopo la bomba
39
All’interno della strategia eversiva
46
La peggiore violenza
56
L’obiettivo politico
64
Come alle fosse Ardeatine
77
La collera popolare
85
La città ferita al cuore
96
Democrazia, antifascismo e Resistenza
106
Un campeggio sull’Appennino
122
L’ultimo saluto
132
Il problema della violenza
148
Il Pci
164
Il tempo passa
175
Il discorso di Adriano Sofri
192
La battaglia continua
203
L’Italicus
216
Conclusioni
228
PREFAZIONE
Sulle stragi che hanno segnato la storia d’Italia repubblicana a partire da
Portella della Ginestra sono state pubblicate inchieste giornalistiche,
ricostruzioni di istruttorie e procedimenti giudiziari, studi sui gruppi
eversivi e sulla cultura della destra radicale, storie di singoli eventi e storie
d’insieme, ricerche sulla memoria. Non si sfugge tuttavia, leggendo la
maggioranza di questi lavori, a un’impressione di sconforto e delusione
ascrivibile non tanto al loro impianto e alle loro conclusioni quanto
all’opacità di eventi che per la loro stessa natura hanno residuato labili
tracce, per altro occultate con cura da chi avrebbe dovuto accertare la
verità, obbligando a letture largamente indiziarie. Chi si è misurato con
questa drammatica realtà, giornalisti, storici, ma anche magistrati, ha
dovuto fare i conti con la sistematica azione di copertura e depistaggio –
unico dato accertato senza possibilità di dubbio – messa in atto dagli
apparati dello Stato.
Date queste condizioni non stupisce se sul piano dell’individuazione di
mandanti ed esecutori non si sia andati molto oltre la celebre invettiva di
Pier Paolo Pasolini. «Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e
di Bologna dei primi mesi del 1974 […]. Io so i nomi di coloro che tra una
messa e l’altra hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione a
vecchi generali […]. Io so i nomi delle persone serie e importanti che
stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste
[…]. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e
stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho
nemmeno indizi».
5
Il paziente lavoro di magistrati come Gianpaolo Zorzi e Guido Salvini
ha consentito di ricostruire il disegno d’insieme del piano eversivo che ha
insanguinato l’Italia. La trama indiziaria si è infittita, ma con quali esiti? Se
si esclude la strage di Peteano, risolta grazie all’autodenuncia di Vincenzo
Vinciguerra, i tanti processi celebrati si sono risolti in un nulla di fatto.
Addirittura, nel caso di piazza Fontana con la condanna dei familiari delle
vittime a pagare le spese processuali. Per piazza della Loggia, l’ultimo dei
procedimenti ancora aperti, un accertamento delle responsabilità appare, a
decenni di distanza, quantomeno problematico. Né si può sperare di trovare
un qualche «armadio della vergogna» in grado di rivelare l’identità di
ispiratori, autori e complici di una strategia che ha avuto effetti gravemente
distorsivi sulla vita democratica del nostro paese. Il clamoroso
rinvenimento in una discarica di documenti relativi alle bombe di piazza
Fontana ha confermato, se ancora ce ne fosse bisogno, l’impegno profuso
nel cancellare o comunque non rendere accessibili importanti elementi di
prova.
Non resta, in queste condizioni, che ricostruire la sequenza dei fatti,
analizzare il quadro sociale e politico in cui le stragi si inscrivono,
ricostruire le dinamiche di un mondo ancora bipolare, la geografia e gli
itinerari della destra radicale, le risposte che la società civile, le forze
sociali e politiche hanno di volta in volta dato, il ruolo avuto
dall’informazione.
Non è certo casuale che alcuni dei libri che meglio aiutano a
comprendere la drammatica stagione delle stragi siano studi d’insieme sulla
società italiana negli anni sessanta e settanta. Ma molto resta ancora da fare
sul piano di una ricostruzione puntuale del contesto in cui le stragi
6
avvennero. In merito è indispensabile che tutta la documentazione – e le
relative elaborazioni – raccolta dalla “Commissione Parlamentare
d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata
individuazione dei responsabili delle stragi”, venga informatizzata e
messa a disposizione degli studiosi. Tutto ciò per favorire nuove ricerche
ed acquisizioni che possono precisare il quadro nazionale e internazionale
in cui gli attentati terroristici che si susseguirono in Italia a partire dal 1969
si inscrivono, e contribuire a tener vivo il ricordo, impedendo che la
memoria di quegli eventi luttuosi ripieghi inesorabilmente in una
dimensione individuale e privata o che si confonda, come già è avvenuto,
con altri fatti di sangue di diversa matrice politica o addirittura dovuti alla
criminalità comune.
Per quanto riguarda la strage di Brescia si assiste oggi ad un rinnovato
interesse. Un gruppo di giovani ricercatori si appresta a pubblicare uno
studio sulla risposta della città e sul ruolo svolto dal sindacato in occasione
dei funerali, Mimmo Franzinelli lavora a una ricostruzione d’insieme. In
questo filone di studi si inscrive la ricerca di Paolo Pelizzari che focalizza
l’attenzione sugli atteggiamenti della sinistra extraparlamentare nelle ore e
nei giorni che seguirono l’esplosione della bomba in Piazza della Loggia.
Quello che potrebbe apparire come un limite – l’avere assunto ad oggetto
di studio una realtà circoscritta e per certi versi eccentrica – si rivela ad una
lettura attenta come un punto di forza di questo lavoro. Consente, infatti, di
allargare l’orizzonte e di leggere da una prospettiva inusuale un passaggio
drammatico della storia italiana. La nuova sinistra, che aveva svolto un
ruolo di punta nel disgelare le trame sottese alla strage di piazza Fontana,
«giunse al maggio 1974 con un bagaglio di esperienze che le permise di
schierarsi in modo perentorio e immediato», denunciando insieme le
7
responsabilità della politica governativa, le inadempienze e le complicità
degli apparati dello Stato, il ruolo delle formazioni della destra eversiva,
viste non come espressione residuale di frange nostalgiche, ma come
strumento di una precisa strategia internazionale di attacco alla democrazia.
L’analisi dei fogli e della documentazione prodotta da questi
schieramenti consente di ripercorrere la reazione dei settori più radicali
della società italiana di fronte all’ennesimo episodio di violenza eversiva,
di leggerne la cultura, i programmi e il linguaggio, ma anche di verificare
gli effetti avuti su movimenti e organizzazioni che, per quanto minoritari,
costituivano in quegli anni una presenza non eludibile della vita politica e
sociale del paese. La strage di Brescia, scrive Pelizzari, ha valore
periodizzante. Si colloca, infatti, «in un passaggio storico cruciale sia per le
trame della strategia della tensione sia per l’evoluzione politica delle
formazioni della sinistra extraparlamentare». L’attentato del 28 maggio
1974 rivela responsabilità, connivenze e legami oscuri di apparati dello
Stato, la straordinaria capacità di mobilitazione della società italiana in
difesa della democrazia. Al tempo stesso agisce da acceleratore del
processo di decantazione per la variegata costellazione dei «gruppi».
Mentre la parte largamente maggioritaria di essi si avvia alla
istituzionalizzazione, alcune frange estreme imboccheranno, di lì a poco, la
strada della lotta armata.
Forse, come è stato scritto, la grande mobilitazione civile che si registrò
in quei giorni costituì l’ultimo argine per impedire una deriva dagli effetti
devastanti. Le prese di posizione, le analisi e le denunce di “Lotta
continua”, del “Manifesto”, di “Avanguardia operaia” restituiscono un
punto di vista che fu comune alla parte più generosa della generazione
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affacciatasi alla politica negli anni della contestazione studentesca e delle
lotte operaie dell’autunno caldo.
L’analisi ravvicinata di questi materiali rivela specificità e limiti di una
cultura politica – la critica intransigente dei partiti maggiori, il rigido
classismo, la demistificazione di un uso retorico dell’antifascismo,
l’impegno militante – ma anche le semplificazioni, le forzature, alcuni
pericolosi slittamenti che inducevano a legittimare e a tratti ad esaltare
l’azione diretta e la risposta violenta.
Giustamente Pelizzari ritiene che l’«estrema durezza» delle posizioni
assunte dai gruppi della nuova sinistra vada «inserita in quel complesso
momento della storia repubblicana in cui il paese era sottoposto a forti
tensioni che avevano prodotto una generale e pervasiva percezione di
insicurezza». Va per altro distinta nettamente l’asprezza dei toni e la
radicalità delle proposte, che erano frutto di una situazione d’eccezione,
dalla violenza agita: una soglia che non venne allora quasi mai superata.
Nei giorni del dolore e dell’ira, per altro, «la tendenza istintiva a reagire
contrapponendo violenza a violenza non fu una prerogativa esclusiva della
sinistra rivoluzionaria ma coinvolse anche una parte non trascurabile della
cittadinanza scesa nelle piazze a protestare».
Al di là di esasperazioni ed eccessi, che è giusto evidenziare, ma che
rimandano a ben più gravi responsabilità, al di là degli schematismi
ideologici e di un lessico che appare oggi fortemente datato, a tratti
truculento, resta la capacità di cogliere le connessioni tra episodi anche
lontani che vengono interpretatati come parte di un preciso progetto
eversivo, la denuncia intransigente delle responsabilità e delle connivenze
che legavano apparati dello stato, servizi segreti, settori del mondo
9
economico e formazioni della destra radicale; il contributo dato alla
mobilitazione collettiva che costituì un ostacolo decisivo al successo della
strategia della tensione.
Sarebbe però sbagliato e fuorviante limitarsi a una lettura meramente
ideologica delle analisi e delle denunce dei fogli e degli altri materiali della
nuova sinistra, focalizzare l’attenzione su forme espressive e parole
d’ordine, non cogliendo l’emotività, lo sgomento, la rabbia che quelle prese
di posizione esprimevano, il ribollire di sentimenti e di passioni che
agitarono le assemblee nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, che furono
patrimonio condiviso di militanti e cittadini, ben oltre i confini della
sinistra storica e nuova, degli stessi sindacati, trovando espressione nella
straordinaria partecipazione popolare ai funerali. Basterebbe, per
rendersene conto, rileggere gli articoli pubblicati in quei giorni da giornali
lontanissimi dalla sinistra o prese di posizione di esponenti della stessa
Democrazia cristiana. In quelle dichiarazioni perentorie, nelle esasperazioni
verbali, persino nelle letture manichee, è possibile cogliere in presa diretta
la domanda di giustizia, di trasparenza e di rigore che allora si levò da una
larga parte del paese, la critica aspra ai ritardi, alle inadempienze, alle
complicità delle istituzioni e dei partiti, ma anche la difesa della
democrazia.
La ricerca di Pelizzari sconta la difficoltà di misurarsi con un quadro
sociale e politico lontanissimo da quello attuale, difficoltà che spiega
alcune disomogeneità di giudizio, una non sempre adeguata attenzione alle
differenze esistenti tra le diverse formazioni dell’estrema sinistra. Ha però
il merito di focalizzare l’attenzione su protagonisti di una vicenda collettiva
che più di altri si sforzarono di andare oltre l’indignazione per capire come
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quella strage avesse potuto accadere e a quale disegno rispondesse; che
seppero dar voce al sentire di grandi masse di cittadini. I titoli, le cronache
e le corrispondenze pubblicate dai giornali della sinistra extraparlamentare
guardano esclusivamente alle componenti più radicali della mobilitazione
che riempì tante piazze, fornendo un’immagine unilaterale dell’Italia di
quei giorni; interpretano la straordinaria partecipazione, la collera e la
commozione popolare come segno di una svolta in atto, di una ormai
prossima «resa dei conti» con la destra eversiva. Le cose, come oggi
sappiamo, andarono diversamente.
Questi fogli restituiscono nondimeno, come pochi altri, il clima di un
paese in fermento, il protagonismo operaio e sindacale che fu, non solo a
Brescia, parte essenziale della risposta che l’Italia democratica mise in
campo contro la strategia della tensione.
Riferimento obbligato e, insieme, terreno di aspra contesa, in un
frangente tanto drammatico, fu l’antifascismo. «Il paradigma resistenziale
venne sposato – scrive Pelizzari – come ideale-mito a cui ispirarsi per
rilanciare una controffensiva dalla stragrande maggioranza dei partiti
politici e dagli organi istituzionali, oltre che da una fetta molto consistente
di opinione pubblica e di cittadinanza non direttamente impegnata sul piano
politico». Fortemente critici nei confronti di un antifascismo unanimistico e
istituzionale, degli impacci e del moderatismo della sinistra storica, i gruppi
della sinistra extraparlamentare gli contrapposero un impegno militante che
chiedeva precise discriminanti e rifiutava deleghe ad istituzioni che si erano
dimostrate incapaci o addirittura colluse. Di qui l’impegno profuso nel
promuovere la partecipazione, intesa come presa di parola collettiva, come
strumento di pressione e di controllo dal basso.
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Le piazze e le strade di Brescia ricolme di popolo, l’occupazione della
città da parte degli operai, il servizio d’ordine organizzato dai consigli di
fabbrica diventarono per i suoi militanti il paradigma di una mobilitazione
in cui la «fedeltà agli ideali democratici e antifascisti» costituiva la stella
polare, la garanzia che i «disegni reazionari» ed eversivi sarebbero stati
respinti. Nelle denunce e nelle richieste della “nuova sinistra”, nei titoli
concitati dei sui fogli e dei suoi volantini i lettori di oggi possono ritrovare
le passioni, le tensioni e i furori di una stagione lontana eppure non
eludibile della nostra storia, la domanda, rimasta senza risposta, di un paese
diverso, lo stesso per cui manifestavano le donne e gli uomini che in una
piovosa mattina di primavera del 1974 persero la vita in piazza della
Loggia.
Gianfranco Porta
Brescia, settembre 2006
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Paese di terra, terra di cani, Paese di
terra e di polvere, Paese di pecore e
pescecani e fuoco sotto la cenere.
Dentro le stanze del Potere l’Autorità,
va a tavola con l’Anarchia; mentre il
ritratto della Verità si sta squagliando e
la vernice va via. E il pubblico spera
che tutto ritorni com’era e che sia solo
un fatto di tecnologia, e sotto gli occhi
della Fraternità la Libertà con un chiodo
tortura la Democrazia. […] C’è un
segno di gesso per terra, e la gente che
sta a guardare; qualcuno che accusa
qualcuno, però l’ha visto solamente
passare. E nessuno ricorda la faccia del
boia, è un ricordo spiacevole. E resta
soltanto quel segno di gesso per terra,
però non c’è nessun colpevole 1 .
Francesco De Gregori
Introduzione
Anche se le tematiche della strategia della tensione e dello stragismo
sono state trattate da una bibliografia ormai molto vasta, dal punto di vista
storiografico si stenta ancora ad affrontare con la dovuta profondità questi
problemi. Se, da una parte, la mancanza di studi è riconducibile ad
un’effettiva difficoltà di reperibilità delle fonti, particolarmente accentuata
1
F. De Gregori, Tempo reale, in «Pezzi», Caravan-Sony-Columbia, 2005. Il ‘cantautore
della memoria’ ha significativamente aperto con questa canzone il suo concerto tenuto
in piazza Loggia il 10-09-2005.
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nel nostro paese, sembra che le reali ragioni di questo disinteresse siano
altrove. Per esempio, nella particolare delicatezza di un intreccio storico
all’interno del quale tendevano a sfumare i confini tra istituzioni, servizi –
interni e internazionali – e gruppi eversivi. Studiare questo argomento
significa dunque camminare su un terreno minato. Le maggiori
ricostruzioni storiche dell’Italia repubblicana dedicano al soggetto poche
pagine fornendo un’interpretazione piuttosto stereotipata.
Se le difficoltà di studio di quel travagliato periodo storico possono
essere ben comprese, risulta più difficile credere che un paese come l’Italia
possa riuscire a fornire alle future generazioni un nuovo senso civico, un
rinnovato spirito di partecipazione politico, senza fare i conti con il proprio
passato. Per far sì che le istituzioni di una nazione democratica e moderna
possano crescere in modo sano, riacquisendo la fiducia dei cittadini,
diventa allora necessaria una riconciliazione col proprio passato. Dal punto
di vista storiografico ciò significa abbandonare un’interpretazione canonica
dei fatti, che è anche assai poco problematica, per impugnare un nuovo
approccio – o meglio, una nuova serie di approcci – che possa ridonare la
legittima complessità a quella cruciale fase politica.
La strage di piazza Loggia si presenta come un evento attraverso il
quale quella storia può essere disaggregata e meglio compresa. Essa è
infatti un episodio chiave per fare maggiore chiarezza su quel delicato
momento della vita repubblicana che ha visto la conclusione del periodo
propriamente definito della strategia della tensione, in cui l’estremismo di
destra – com’è stato ormai ampiamente accertato – era una pedina
fondamentale del piano eversivo messosi in moto nel tentativo di bloccare
lo spostamento verso sinistra del paese. È proprio nel 1974 che l’insieme
delle forze che convergeva su tale obiettivo – e che si contrapponeva al
confronto diretto tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista – subì
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una battuta d’arresto. La strage del 28 maggio può allora essere vista come
il culmine della strategia della tensione, il momento in cui almeno una parte
delle forze in gioco uscirono allo scoperto arenandosi però contro la
caparbietà della risposta antifascista.
A Brescia, era dalla fine degli anni sessanta che si respirava un forte
clima di apprensione causato dalle numerosissime violenze organizzate dai
gruppi neofascisti. La situazione era particolarmente difficile anche perché
a fianco di un cospicuo arricchimento industriale si manteneva una
notevole arretratezza culturale e i ‘padroni del tondino’ rivolgevano sempre
più le loro simpatie alla destra estrema. Inoltre, non bisogna dimenticare
che nel bresciano era ancora viva la memoria della Repubblica di Salò. Qui
i gruppi della destra radicale, sopra tutti Ordine nuovo e Avanguardia
nazionale, avevano una consistente presenza e contribuirono a radicalizzare
la lotta politica per espletare la quale l’utilizzo della violenza diventava la
normale prassi. Con il ’67-’68, si acuì lo scontro tra classe operaia e mondo
padronale. Brescia conobbe una stagione di lotta molto intensa e gli operai
– accompagnati da un’organizzazione sindacale che allargava sempre di più
la sua influenza – riuscirono a dare visibilità alle loro richieste.
È in questo contesto che venne organizzata la strage di piazza Loggia.
La particolare politicità di quell’attentato portò definitivamente alla luce le
linee guida del progetto eversivo e mise in evidenza una fitta trama di
complicità che non è stata ancora completamente chiarita. In questo
quadro, uno studio che prenda in considerazione l’interpretazione di un
insieme così fortemente caratterizzato politicamente come quello della
sinistra extraparlamentare – nato e cresciuto proprio in stretto rapporto con
le rivendicazioni operaie – può essere visto come un modesto tentativo di
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rendere più articolata la comprensione storica di quegli anni 2 . Infatti, la
strage di Brescia si colloca in un passaggio storico cruciale sia per le trame
della strategia della tensione sia per l’evoluzione politica delle formazioni
della sinistra extraparlamentare. Mentre, proprio in quei mesi, vi fu
un’inversione di tendenza nell’immissione di violenza politica nella società
italiana – dalla fase del terrorismo nero si passò infatti a quella del
terrorismo rosso –, i gruppi rivoluzionari attraversarono il momento finale
del loro declino movimentista che, da una parte, portò la loro maggioranza
verso l’istituzionalizzazione e la politica in senso stretto e, dall’altra,
condusse una piccola componente ultraradicale di questo ambiente nelle
file del terrorismo di sinistra. Queste due linee problematiche si intersecano
in un punto che coincide con il periodo segnato dall’attentato di piazza
Loggia. Ciò non può essere sottovalutato qualora si voglia cercare di fare
maggiore chiarezza sulle dinamiche che condizionarono l’utilizzo di
violenza politica nel nostro paese.
La sinistra extraparlamentare – attraverso l’avventura sessantottesca e il
passaggio fondamentale della bomba di piazza Fontana – giunse al maggio
del 1974 con un bagaglio di esperienze che le permise di schierarsi in modo
perentorio
e
immediato,
grazie
ad
una
efficace
opera
di
controinformazione, contro la logica della segretezza del potere. Questo
importante e vasto settore politico è stato preso in considerazione da vari
studi che si limitano tuttavia, nella maggior parte dei casi, ad un’analisi
della genesi e dell’evoluzione dei gruppi. Mancano ricerche che utilizzino
2
Nelle pagine seguenti, riferendosi ai principali soggetti considerati dalla ricerca,
vengono utilizzati in modo intercambiabile gli aggettivi extraparlamentare/i e
rivoluzionari/ie/io/ia, anche se le due forme hanno una valenza ideologica ben diversa.
Non è infatti questa la sede per un’analisi che individui le preferenze di definizione
interne a questo settore politico.
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il punto di vista delle formazioni della sinistra radicale come lente
attraverso cui interpretare la complessa evoluzione dei fatti succedutisi
negli anni della loro attività.
Nella critica congiuntura di mutamenti socio-economici in cui si colloca
la strage di Brescia, la lettura degli avvenimenti effettuata dai fogli della
sinistra extraparlamentare risulta particolarmente illuminante e aiuta a
comprendere l’estensione della realtà eversiva che era stata riconfermata
con irruenza dalla bomba del 28 maggio. La sinistra rivoluzionaria si sentì
coinvolta in prima persona dall’attentato, come uno dei bersagli delle trame
neofasciste, e reagì impetuosamente facendosi portavoce delle masse
antifasciste scese in piazza durante quella tragica giornata, contribuendo –
tra l’altro – ad innescare una parziale inversione di tendenza
nell’informazione sul fenomeno neofascista, fino a quel momento poco
considerato dai media.
Il materiale prodotto da questo ambiente politico mette in primo piano
una serie di elementi che conferisce un valore periodizzante alla strage
bresciana. E lo fa – per contrasto – illuminando il modus operandi di quel
complesso insieme di forze che si contrappose all’antifascismo
democratico. L’elevato significato politico della strage di Brescia si disvela
tramite l’osservazione della risposta popolare al piano reazionario messo in
moto da tali forze, la quale andò ben oltre la retorica delle istituzioni
repubblicane e coinvolse direttamente i cittadini che si ribellarono
riproponendo, tramite consigli e comitati unitari antifascisti di quartiere, un
antifascismo in odore di guerra civile, pronto a rispondere con la violenza
alla violenza.
Le argomentazioni sviluppate dalla documentazione presa in esame
gravitano attorno a tematiche determinanti della storia nazionale – come il
nesso potere-politica-violenza, il problema della democrazia bloccata, le
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carenze della borghesia italiana, il processo di secolarizzazione e
laicizzazione della società, il ruolo degli organi d’informazione di massa –
che ridanno a quel drammatico evento molte delle sue variegate sfumature.
Il tema principale è però rappresentato dal riferimento all’antifascismo e
alla Resistenza. Nei giorni successivi all’eccidio bresciano, all’antifascismo
ufficiale – piegato alle esigenze commemorative delle manifestazioni
istituzionali – si affiancò e si contrappose un antifascismo dal basso, teso a
contrastare le dinamiche della strategia della tensione e a richiedere
sicurezza e verità. Il richiamo della sinistra extraparlamentare al legame
ideale tra la mobilitazione antifascista innescata dall’attentato bresciano e
la Resistenza presupponeva proprio l’impegno diretto della popolazione e
si differenziava dall’antifascismo governativo, utilizzato in chiave di
rilegittimazione delle istituzioni repubblicane. Per i gruppi della sinistra
extraparlamentare, bisognava lottare per mettere fuori legge il Movimento
sociale italiano e per epurare il sistema di potere costruito dalla Democrazia
cristiana, la quale costituiva l’elemento portante dell’intero progetto
reazionario ed era quindi parte integrante del ‘nuovo fascismo’ a cui
bisognava opporsi.
L’intreccio delle tematiche costantemente affrontate dal materiale
analizzato evidenzia che la strage di piazza Loggia ha inciso in profondità
il tessuto democratico italiano, portando definitivamente in superficie
l’esistenza di ‘zone oscure’ all’interno dello Stato; ma sottolinea anche un
salto di qualità nella mobilitazione dal basso che non ha eguali nella storia
repubblicana.
Elaborate grazie allo sfoglio dei più importanti giornali della sinistra
extraparlamentare attivi in quel momento – i quotidiani “Lotta continua” e
“Il Manifesto” e il settimanale “Avanguardia operaia” – e all’analisi delle
carte custodite nel Fondo documentario della Fondazione ‘Clementina
18
Calzari Trebeschi’ e nel ‘Fondo Piazza Loggia’ dell’Archivio Storico
Centro di Documentazione ‘Bigio Savoldi - Livia Bottardi Milani’ della
Camera del Lavoro di Brescia, le pagine che seguono tenteranno di
ricostruire le varie modalità tramite cui si è espressa la reazione popolare
alla strage neofascista di Brescia, provando a non rimanere prigioniere
degli schematismi ideologici della lente utilizzata – che tuttavia verranno
costantemente alla luce – ma ad offrire invece l’istantanea di un
coinvolgimento che trascendeva spesso il piano politico per coinvolgere
quello
più
sentitamente
umano.
Attraverso
l’osservazione
del
comportamento dei gruppi della sinistra rivoluzionaria in quelle giornate, si
cercherà inoltre di esprimere un giudizio sul loro grado di maturità politica
e sulle loro responsabilità nei confronti dell’elevato tasso di aggressività
allora presente nella società italiana.
Il contenuto della ricerca si dipana con un andamento che è perlopiù
cronologico, anche se alcuni capitoli vengono proposti con un taglio
maggiormente
tematico.
Nella
prima
parte
del
lavoro,
dopo
un’introduzione sulle formazioni politiche considerate e sull’esasperata
situazione di violenza che caratterizzava il Bresciano nel periodo
precedente alla strage, vengono esaminati i giorni immediatamente
successivi all’esplosione della bomba, quando l’attenzione dei media è più
decisamente concentrata sulle dinamiche dell’attentato. A partire dal
capitolo intitolato ‘Il tempo passa’ viene invece analizzata la fase
susseguente al primo giugno, quando le notizie concernenti la strage
perdono le prime pagine, ma continuano ad essere riproposte con una certa
frequenza. Dopo aver preso in considerazione giornali e documenti prodotti
sino alla fine di giugno, la ricerca dedica un ultimo capitolo ad alcune
riflessioni sulla strage dell’Italicus, dell’agosto seguente, quando i
riferimenti alla bomba di Brescia tornano a farsi insistenti.
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La realizzazione di questo studio – che vuole essere il primo passo di
una ricerca più articolata e insieme organica – è stata possibile grazie
all’appoggio e alla disponibilità di Manlio Milani e della Casa della
Memoria di Brescia. Un aiuto non indifferente mi è stato offerto dai
consigli del professor Gianfranco Porta e dal supporto di Bianca Bardini,
Stefania Noventa e Filippo Iannaci. Sono inoltre debitore nei confronti
dell’ospitalità offertami dalla Fondazione ‘Clementina Calzari Trebeschi’,
dall’Archivio Storico Centro di Documentazione ‘Bigio Savoldi - Livia
Bottardi Milani’ dalla Camera del Lavoro di Brescia, dalla Fondazione
Luigi Micheletti e dall’Archivio storico “Il Sessantotto” di Firenze.
Si ringraziano infine Renato Corsini e Pietro Gino Barbieri per le fotografie
gentilmente concesse.
Brescia, 28 maggio 1974 (Foto di Pietro Gino Barbieri)
20
Il periodo precedente
La strage di piazza Loggia si inserisce in un momento particolarmente
delicato della nostra storia, comprensibile appieno solo se si tengono in
considerazione le frizioni politiche e sociali che caratterizzarono il ‘lungo
Sessantotto italiano’ e che oltrepassarono il punto di non ritorno nel
dicembre del 1969, con l’esplosione della bomba di piazza Fontana 3 .
Formatisi in seno alla contestazione sessantottesca – sfruttando le
possibilità offerte dal conflitto industriale, divampato nel momento in cui il
movimento studentesco entrava in crisi –, i gruppi della sinistra
extraparlamentare dimostrarono proprio in quella tragica circostanza tutto il
loro vigore politico 4 . Essi si schierarono da subito sia contro la brutalità di
quel gesto, sia contro la teoria degli ‘opposti estremismi’ ventilata
dall’ambiente governativo e dai mezzi di comunicazione di massa,
sostenendo – a ragione – che la bomba alla Banca Nazionale
3
Per una ricostruzione delle vicende legate a quest’attentato cfr. G. Boatti, Piazza
Fontana, Einaudi, Torino, 1999 (nuova edizione).
4
Non è un caso che – come si vedrà –, nel commentare l’attentato di piazza della
Loggia, i fogli di questi gruppi ricorreranno sovente al paragone con la bomba del 12
dicembre 1969. Parlando di questo evento, Piero Ignazi ha sostenuto che «è dal
comportamento degli apparati di sicurezza, dai carabinieri ai militari, dalla polizia ai
servizi segreti – tutti protetti dal potere democristiano – che nasce la rottura insanabile
con il sistema da parte della generazione in rivolta». P. Ignazi, Gli anni Settanta e la
memoria monca, «Il Mulino», 2/2005, p. 389. Lo studioso ha inoltre ricordato che già
Norberto Bobbio sostenne che «la degenerazione del nostro sistema democratico è
incominciata lì». N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, «Rivista Italiana di
Scienza Politica», 2/1980, pp. 181-203. Si veda il saggio di Ignazi per una illuminante
riflessione sulla violenza politica di quegli anni, che sottolinea le rimozioni e «i
cortocircuiti logici e mnemonici, che improvvisamente colpiscono parti cospicue della
classe dirigente insediata nelle istituzioni e nei circoli intellettuali e mediatici» (p.
386).
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dell’Agricoltura – ma anche l’arresto e la morte dell’anarchico Giuseppe
Pinelli – facesse parte di un piano studiato per mettere in cattiva luce la
sinistra rivoluzionaria e frenare il dinamismo politico acquisito negli ultimi
anni dalla classe operaia 5 . Queste formazioni – nate sulle ali di un forte
ottimismo, non condiviso dalle forze tradizionali della sinistra, sui possibili
sviluppi della contestazione studentesca e operaia e sull’imminenza della
rivoluzione, e contraddistinte da un marcato settarismo ideologico –
indicarono subito i neofascisti come esecutori della strage, facendo però
5
La strage di piazza Fontana rappresentò un momento di rottura nel mondo
dell’informazione: è infatti da quel momento che prese piede il fenomeno della
‘controinformazione’, ovvero il giornalismo che non si accontenta di fornire notizie
basate sulle ‘fonti ufficiali’. Questo tipo di innovazione deve molto ai giornali di
estrema sinistra, anche se il fenomeno coinvolse – in diversa misura – tutto il mondo
del giornalismo italiano. Cfr. T. Maiolo, Giornalista detective, in Autunno operaio, in
«Il bimestrale», supplemento de “Il Manifesto”, dicembre 1989, pp. 92 sgg. L’intensa
opera di controinformazione messa in atto come reazione alla strage di piazza Fontana
permise inoltre ai gruppi rivoluzionari di acquisire maggiore visibilità e di guadagnare
nuovi simpatizzanti al di fuori della loro base abituale. Secondo Giovanni De Luna, il
panorama politico in cui si inseriva la strage di piazza Loggia era stato profondamente
innovato dall’attivismo della sinistra extraparlamentare – oltre che dalla più ampia
azione dei movimenti legati al Sessantotto – che, reagendo alla ‘strage di Stato’, aveva
compiuto una battaglia contro la logica della segretezza. Era in quel contesto che la
bomba di Brescia «manifestò con chiarezza inequivocabile che l’obiettivo era quello
di ingenerare passività, rassegnazione, subalternità dove erano maturati curiosità,
partecipazione, protagonismo». Per quanto concerne il valore della
controinformazione avviata nel ‘69 dai fogli della sinistra radicale, lo storico compie
la seguente riflessione: «Perché la sinistra extraparlamentare fu più efficace nella sua
campagna rispetto alla sinistra tradizionale? Non è che fosse più attrezzata nella
controinformazione, gli apparati di controinformazione che aveva il Pci erano
certamente superiori, ma la sinistra extraparlamentare era illuminata dalla
consapevolezza che il segreto è la negazione della politica, espropria i cittadini della
possibilità di far politica». G. De Luna, Il segno delle stragi nell’Italia di oggi. La
logica della separatezza, il mestiere dello storico, in AA. VV., Memoria della strage.
Piazza Loggia 1974-1994, Brescia, Grafo, 1994, entrambe a p. 134.
22
attenzione a precisare che questi erano soltanto il braccio armato di una
complessa strategia messa appunto da estesi settori politici ed economici,
che coinvolgeva alleanze internazionali e complicità dei servizi segreti 6 .
6
È necessario ricordare che, sempre in sede storiografica, e a maggior ragione quando si
trattino tematiche relative alla strategia della tensione – e, in generale, concernenti il
fenomeno della violenza politica –, la semplificazione e l’utilizzo di facili formule non
giova alla comprensione dei fatti. Se le modalità di una narrazione scorrevole
consigliano tuttavia l’utilizzo di una terminologia snellita attorno alla quale non è
sempre possibile dilungarsi in approfondite analisi filologiche, è bene insistere sul
fatto che per capire i fenomeni di violenza politica – e dunque provare a prevenirli – è
indispensabile condurre una riflessione che abbandoni facili categorie
omnicomprensive e contestualizzi invece i singoli filoni di violenza in un quadro il più
possibile articolato che consideri gli assetti del panorama internazionale e, soprattutto,
le peculiarità della nostra storia nazionale. Già a sei anni dalla strage di Brescia,
Guido Quazza ricordava che, «poiché è impossibile negare, se non si è privi di
comprendonio oppure in piena malafede, che nella storia dell’umanità la violenza
s’annida dovunque ed è perennemente presente, il primo compito serio di chi vuol
capire e far capire è di analizzare la violenza nella vastissima gamma dei suoi aspetti e
delle sue provenienze e non alla luce d’una povera ottica tutta immersa nel presente e
non rivolta anche al passato, tutta volta a considerare l’albero e non anche la foresta,
tutta svuotata della plurimillenaria meditazione che l’uomo ha condotto su di essa».
Id., Presentazione a Fondazione Clementina Calzari Trebeschi (a cura di), Risposte a
una lettera. Riflessioni di uomini di cultura su strage e processo di Piazza Loggia,
Brescia, FCCT, 1980, p. 14. Per uno studio che inserisce le trame della destra estrema
nel più ampio panorama della strategia della tensione, cfr. F. Ferraresi, Minacce alla
democrazia. La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra,
Milano, Feltrinelli, 1995. Ma cfr. anche Id., La destra eversiva, in Id. (a cura di), La
destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984, pp. 71 sgg. Una storia dell’Italia
repubblicana particolarmente concentrata sui contorni di tale strategia è A Silj,
Malpaese. Criminalità, corruzione e politica nell’Italia della prima Repubblica 19431994, Roma, Donzelli, 1994. Per un utile testo che analizza le trame sotterrane tramite
cui è stato osteggiato l’antifascismo italiano, inteso come movimento politico,
inserendole in un più ampio ragionamento sulla storia del potere dello stato unitario,
cfr. F. M. Biscione, Il sommerso della repubblica. La democrazia italiana e la crisi
dell’antifascismo, Torino, Bollati Boringhieri, 2003. Oltre ad essere un approfondito
23
La sinistra extraparlamentare aveva dunque alle sue spalle questa
significativa esperienza, che condizionò tutta la sua attività. I gruppi
considerati in questa ricerca erano però dotati di caratteristiche diverse.
Lotta Continua era sicuramente il più radicale. Per l’organizzazione, che
era quella con il maggiore numero di militanti, la violenza – anche se solo
la violenza di massa – era un male necessario. Mentre le altre due
formazioni tendevano a muoversi con maggiore prudenza, cercando di
impedire ai propri sostenitori di fornire pretesti ai neofascisti per attaccare e
allo Stato per reprimere, Lotta Continua manteneva un atteggiamento
particolarmente agguerrito e un approccio concettuale spontaneista. Il
gruppo puntava alla ‘socializzazione della lotta di classe’, voleva cioè
radicare la propria presenza non solo nella fabbrica ma anche nei quartieri e
in altri settori della società. Esso si distinse infatti per le sue campagne di
antifascismo militante e per le sue iniziative in settori dello Stato
tendenzialmente isolati, come l’esercito e le carceri. Il suo foglio,
quotidiano dal ’72, utilizzava un linguaggio semplice ed immediato col
quale intendeva raggiungere un vasto numero di lavoratori – ai quali
concedeva non di rado la parola – ma utilizzava spesso la provocazione a
discapito dell’accuratezza dell’analisi politica e del dibattito teorico. Il
Manifesto nasceva invece da una costola del Pci – si può dire che
strumento che aiuta ad orientarsi nella vasta bibliografia sull’argomento, lo studio
descrive le varie sfaccettature della democrazia bloccata in Italia – contraddistinta
dall’abituale estraneità della borghesia ai problemi dello stato e dalla sua
strutturazione corporativa che ha impedito la formazione di un’omogenea classe
dirigente – partendo dall’importante chiave interpretativa di Franco De Felice del
doppio stato che individua come nodo problematico della storia repubblicana il
reciproco condizionamento tra Costituzione, che legittimava anche il Pci, e la lealtà
all’alleanza atlantica, che entrava in contraddizione con il fatto che in Italia il maggior
partito d’opposizione fosse proprio quel partito.
24
affondasse le sue radici nell’opposizione condotta dagli ingraiani all’XI
congresso del Pci, del ’66 – e venne perciò frequentemente accusato di
essere troppo vicino alle posizioni di quel partito e di non voler prendere,
strategicamente, una posizione chiara nei confronti della politica attuata
dall’Urss. La rivista era stata progettata da un gruppo di militanti non più
giovanissimi, con l’ambizioso obiettivo di costituire un legame tra la
sinistra storica e quella rivoluzionaria. Nel 1971 si era trasformata nel
primo quotidiano della sinistra extraparlamentare 7 . Il giornale – unico ad
essere sopravvissuto, e con un certo prestigio, fino ai nostri giorni – poneva
maggiore
attenzione,
rispetto
al
foglio
del
gruppo
precedente,
all’elaborazione teorica dei concetti che proponeva e si rivolgeva ad un
pubblico che non era limitato ai militanti dei movimenti rivoluzionari.
Infine, Avanguardia Operaia era l’organizzazione extraparlamentare che
aveva nelle sue fila il maggior numero di lavoratori ed era più
profondamente radicata nella realtà della fabbrica – grazie anche allo stretto
contatto mantenuto con i Comitati Unitari di Base (Cub) – e si
contraddistingueva per la sua insistente attenzione al dibattito teorico. Il
gruppo criticava lo spontaneismo e l’avventurismo delle formazioni
extraparlamentari
più
radicali,
soprattutto
quando
sfociavano
in
atteggiamenti favorevoli alla lotta armata, e non accettava che formule di
empirismo e di volontarismo venissero utilizzate a prescindere da un
necessario riferimento al materialismo dialettico e all’elaborazione teorica
del movimento operaio. L’organo di stampa omonimo preso in
7
Anche se continuò a mantenere le sue caratteristiche di ‘organizzazione di
movimento’, i connotati del gruppo assunsero ben presto una più marcata
conformazione politica. Già nel primo numero del quotidiano – del 28 aprile 1971 –,
un intervento di Luigi Pintor aveva annunciato la costituzione de Il Manifesto come
‘gruppo politico’.
25
considerazione – settimanale dal ’72 – offriva contributi teorici spesso
ridondanti ma molto ragionati e non di rado anche autocritici, dai quali
traspariva una concezione rivoluzionaria intesa come processo dialettico e
perciò discontinuo. I suoi interventi erano molto attenti, da una parte, alla
realtà internazionale e, dall’altra, a ricercare le radici dei problemi italiani
nel percorso storico della nazione 8 .
8
Per quanto concerne la nascita e lo sviluppo dei gruppi della sinistra extraparlamentare
italiana, cfr. E. Petricola, I diritti degli esclusi nelle lotte degli anni Settanta. Lotta
Continua, Roma, Edizioni Associate, 2002; L. Bobbio, Lotta continua, Milano,
Feltrinelli, 1988; A. Grazia, Da Natta a Natta. Storia del Manifesto e del Pdup, Bari,
Dedalo, 1985; C. Vallauri, I gruppi extraparlamentari di sinistra: genesi e
organizzazione, Bulzoni, Roma, 1976; M. Maffi, Le origini della sinistra
extraparlamentare, Milano, Mondatori, 1976; D. Degli Incerti (a cura di), La sinistra
rivoluzionaria in Italia, Roma, Savelli, 1977. Ma cfr. anche R. Niccolai, Quando la
Cina era vicina. La rivoluzione culturale e la sinistra extraparlamentare italiana
negli anni ’60 e ’70, Bis-Cdp, Pisa-Pistoia, 1998; N. Balestrini, P. Moroni, L’orda
d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale,
Milano, Feltrinelli, 2003. Per una ricostruzione delle vicende della sinistra
extraparlamentare sensibile agli aspetti mediatici cfr. G. Crainz, Il paese mancato. Dal
miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli, 2003, pp. 363 sgg. Per una
maggiormente attenta a contestualizzare quell’esperienza all’interno dei mutamenti
che stava subendo la società italiana, cfr. P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra
a oggi. Società e politica 1943-1988, Torino, Einaudi, 1989, pp. 419 sgg. Infine, per
una trattazione più estesa degli aspetti culturali e politici che contribuirono alla
maturazione della ‘nuova sinistra’, cfr. F. Billi (a cura di), Gli anni della rivolta
(1960-1980): prima, durante e dopo il '68, Milano, Punto Rosso, 2001; C. Adagio, R.
Cerrato, S. Urso (a cura di), Il lungo decennio. L’Italia prima del 68, Verona, Cierre,
1999; M. Grispigni, P. Ghione (a cura di), Giovani prima della rivolta, Roma,
Manifestolibri, 1998; A. Mangano, A. Schina, Le culture del Sessantotto. Gli anni
sessanta, le riviste, il movimento (nuova edizione ampliata a cura di G. Lima),
Bolsena-Pistoia, Massari-CDP, 1998; A. Mangano, Le riviste degli anni Settanta.
Gruppi, movimenti e conflitti sociali (a cura di G. Lima), Bolsena-Pistoia, MassariCDP, 1998.
26
Le differenze riscontrabili tra le varie formazioni – che verranno alla
luce durante la narrazione – vanno però qui intese come delle sfumature –
anche importanti, ma sempre sfumature – all’interno di un medesimo
quadro contraddistinto da posizioni fortemente ideologizzate, che
tendevano a convergere e a sovrapporsi nei momenti di tensione9 . Nel
ristretto arco temporale in cui questi fogli vengono presi in considerazione
e, soprattutto, in riferimento all’argomento analizzato, le differenze più
sostanziali tendono a svanire. Si può ben capire come in quel momento di
violenza esasperata anche i gruppi in questione fossero portati a
radicalizzare ulteriormente le proprie posizioni. Il livello incredibilmente
alto di violenza politica immessa nella società italiana dall’estremismo di
destra – è bene insistere su quest’aspetto che spesso viene messo, a torto, in
secondo piano quando si parla della storia italiana degli anni ’60 e ’70 – è
infatti il dato dal quale è necessario partire per comprendere il
comportamento della sinistra rivoluzionaria.
Tuttavia, nonostante queste premesse, non può non colpire la durezza
dei toni utilizzati e la pericolosa ambiguità tenuta dalle formazioni
considerate nei confronti dell’utilizzo delle risposte violente. Per tale
motivo, oltre a mettere in evidenza la loro percezione della forte
mobilitazione di base provocata dalla bomba bresciana, questo studio
osserverà con particolare cura il loro atteggiamento cercando di fornire un
giudizio sul loro contributo e sulla consistenza della loro attitudine politica
durante quelle giornate. L’osservazione critica del punto di vista della
9
Per un importante contributo sul rapporto tra violenza e democrazia in riferimento
all’azione della sinistra extraparlamentare, cfr. S. Tarrow, Democrazia e disordine.
Movimenti di protesta e politica in Italia. 1965-1975, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp.
197 sgg. Ma vedi anche D. Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in
Italia 1960-1995, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 70-90.
27
sinistra extraparlamentare rispetto a quegli avvenimenti potrà allora forse
fornire nuovi spunti di riflessione sulla memoria della strage – e, in
generale, sulle molteplici forme che può assumere la memoria storica, oltre
che sul ruolo fondamentale giocato dai mezzi di comunicazione di massa
nel darle una conformazione 10 .
Quando esplose la bomba di Brescia erano trascorsi più di quattro anni
dalla strage di piazza Fontana durante i quali le provocazioni reazionarie
non erano per nulla andate diminuendo11 . I gruppi della sinistra
rivoluzionaria avevano osservato con attenzione l’escalation delle trama
eversiva che coinvolgeva tutta la penisola, e che aveva nel bresciano un
rilevante nodo strategico, ed intervennero con rinnovata decisione,
ingaggiando un’aperta battaglia ideologica contro i terroristi e le loro
coperture. Nel periodo immediatamente precedente l’attentato di piazza
Loggia, a Brescia si respirava un’atmosfera di forte tensione a causa delle
ripetute violenze messe in atto dai gruppi della destra radicale. Di questi
ultimi, il meglio organizzato della città era quello delle Sam – le Squadre
d’Azione Mussolini – che di Brescia aveva fatto il suo retroterra per
10
Per un’articolata analisi che prende in considerazione la dimensione mutevole e
sfuggente della memoria collettiva, pubblica e privata dell’attentato bresciano, cfr. G.
Porta, La memoria difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della
strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., pp. 35-61. La trattazione di tali questioni
non può prescindere dalle illuminanti riflessioni elaborate da Nicola Gallerano. Cfr.
Id., Le verità della storia. Scritti sull’uso pubblico del passato, (con introduzione di T.
Detti e M. Flores), Roma, Manifestolibri, 1999; Id. (a cura di), L’uso pubblico della
storia, Milano, Franco Angeli, 1995.
11
Dal 1969 al 1973 la violenza di destra fu pari al 95% del totale della violenza politica
immessa nella società italiana. Cfr. D. Della Porta, M. Rossi, Cifre crudeli. Bilancio
dei terrorismi italiani, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 25. Cfr. anche P. Ignazi,
Postfascisti? Dal Movimento sociale italiano ad Alleanza nazionale, Bologna, Il
Mulino, 1994, p. 48.
28
organizzare attentati in tutta la Lombardia. Le Sam partivano proprio da qui
per le loro ‘spedizioni punitive’ contro i lavoratori milanesi; il gruppo
poteva inoltre contare su una rete di contatti con innumerevoli altre
formazioni reazionarie: gli arresti dei mesi precedenti non lasciavano
dubbi. Il 9 marzo, per esempio, era stato fermato in Valcamonica Kim
Borromeo, legato a Carlo Fumagalli, il fondatore del Movimento di azione
rivoluzionaria che aveva organizzato una serie di attentati in Valtellina ed
era molto attivo anche in Versilia 12 . Borromeo aveva compiuto numerose
aggressioni, come quella del dicembre del 1972 contro un membro di Lotta
Continua, e aveva partecipato all’attentato del febbraio ‘73 alla sede del Psi
di Brescia 13 .
12
Con Borromeo venne arrestato anche Giorgio Spedini, già appartenente ad
Avanguardia nazionale e alla Giovane Italia. Su un volantino stampato dalla segreteria
Provinciale della Lega marxista-leninista (Lotta di Classe) poche ore dopo
l’esplosione della bomba in piazza Loggia si può leggere: «Ancora una volta gli
assassini fascisti, figli e nipoti dei relitti della Repubblica Sociale Italiana, hanno
seminato la morte durante una manifestazione popolare antifascista. Con questa
ignobile strage i fascisti cercano di fermare quell’azione che, con l’arresto di Carlo
Fumagalli (capo del famigerato MAR) e di altri ventidue suoi camerati, poteva
condurre ad un parziale smascheramento delle bande nere armate operanti in
Lombardia e in Nord-Italia». Basta con i fascisti assassini, 28-05-1974. Fondo
documentario della Fondazione ‘Clementina Calzari Trebeschi’ (d‘ora in poi
FDFCT)/Testimonianze 2/19/90.
13
Per una dettagliata ricostruzione delle violenze nere nel bresciano durante il periodo
che precede l’attentato del 28 maggio, si rimanda agli importanti – e pionieristici –
studi di Roberto Chiarini e Paolo Corsini: Da Salò a Piazza Loggia. Blocco d’ordine,
neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), Milano, Franco Angeli,
1983, pp. 311 ss; Le urne, le piazze, le bombe. Cinque anni di neofascismo a Brescia
(1969-1974), in Id. (a cura di), La città ferita. Testimonianze, documenti sulla strage
di piazza della Loggia, Brescia, Centro Bresciano dell'Antifascismo e della
Resistenza, 1985, pp. 45-62.
29
Quando, nella notte tra il 18 e il 19 maggio, il giovane neofascista Silvio
Ferrari perse la vita nell’esplosione dell’ordigno al tritolo che trasportava
sulla sua vespa, i redattori di “Lotta continua” sottolinearono l’elevato
livello di tensione raggiunto nella città lombarda 14 . L’episodio, che ben
rappresenta l’apice dell’ondata di violenza che avvolse la città, è
significativo anche perché gli ambienti della destra tentarono di attribuire la
morte del giovane neofascista all’azione di un gruppo della sinistra radicale
e a causa di ciò si registrarono scontri tra organizzazioni di estrema destra e
formazioni extraparlamentari di sinistra15 . Questo particolare non è di poco
14
Senza firma (d’ora in poi S. f.), Fascisti in azione a Brescia: a distanza di mezz’ora
muoiono in due. Uno salta in aria per il tritolo che teneva tra le ginocchia andando in
moto. L’altro si schianta in macchina contro un muro. Stavano preparando una
strage, “Lotta continua”, 21-05-1974. In piazza Mercato, accanto al corpo dilaniato
del Ferrari, furono ritrovate – oltre ad una pistola con due caricatori – alcune copie del
numero unico del 31-01-1974 di «Anno zero». Anche “Il Manifesto” sottolineò il
valore di quell’episodio in un articolo in cui venivano affrontati gli stessi punti toccati
dall’intervento di “Lotta continua”. Cfr. S. T., Brescia. Salta in aria un corriere
(fascista) del tritolo. Emergono nuove prove sulla rete terroristica, “Il Manifesto”,
21-05-1974. È significativo il titolo di terza pagina, sotto cui si trovava l’articolo
citato: Micidiale attentato fascista bloccato da un ‘infortunio sul lavoro’.
15
Cfr. il testo del volantino firmato ‘Partito nazionale fascista - Sez. di Brescia ‘Silvio
Ferrari’’, dove per di più si annuncia che entro la fine di maggio le formazioni
neofasciste avrebbero compiuto gravi attentati: «Dopo i tanti martiri che il Fascismo
ha avuto dal 1919 in poi, Brescia ha dal 19 maggio 1974 il proprio martire cui
intitolare la sua Sez. Silvio Ferrari è stato barbaramente trucidato con un’imboscata
caratteristica dei ‘rossi’: una potente bomba […] è stata posata nel bauletto della sua
motoretta e, all’ora prefissata dai criminali è esplosa dilaniando il nostro Camerata. È
la goccia che fa traboccare il vaso: ora non son più gli attacchi a case, palazzi o sedi
ma il vero e proprio assassinio a freddo con la tecnica usata dai partigiani: sparando
alla schiena. Il P.N.F. ora entra in azione, le pattuglie di guerriglia sono pronte, le
bombe ed i mitra faranno sentire la loro voce. Ogni lampione avrà il suo impiccato ed
i rossi avranno la lezione che si meritano. Dopo l’Italia potrà tornare ala vita, alla
libertà, al lavoro, al benessere ma soprattutto potrà tornare alla dignità di nazione.
30
conto se si vuole comprendere il clima all’interno del quale si inserirono le
accese prese di posizione degli schieramenti della sinistra rivoluzionaria
dopo la bomba del 28 maggio.
“Lotta continua” mise in evidenza il collegamento tra la morte di Ferrari
e quella del neofascista Carlo Valtorta – che aveva perso la vita intorno alle
tre e mezza della stessa notte nello schianto della Giulia sulla quale
viaggiava con altri tre camerati, finiti all’ospedale – sostenendo che
«mentre tutti i fili di questi due incidenti riporta[vano] alla matassa in cui
[erano] solidamente avvolti Fumagalli, Borromeo e soci, quello che ci si
chiede[va era] cosa si preparavano a fare gli squadristi carichi di tritolo» 16 .
I movimenti di cui era stata oggetto nelle ultime ore la città lombarda
furono descritti come l’ennesima riprova dell’estesa organizzazione e della
rete di appoggi istituzionali su cui potevano contare i protagonisti della
trama nera 17 . In particolare, si fece riferimento alle nuove notizie trapelate
Tramite il Giornale di Brescia (foglio che consideriamo il ‘solo’ informatore di
Brescia), comunichiamo alla popolazione che entro il mese di maggio, gravi attentati
saranno posti in azione […]». In C. Bianchi, P. Jannacci, Piazza Loggia: una strage
impunita, supplemento a «Brescia domani», n. 9, 1982, p. 24. Il messaggio era stato
ricevuto il 21 maggio dal “Giornale di Brescia” che, su pressioni del prefetto, decise
di non pubblicarlo. Cfr. anche, S. f., Trame nere. Arrestati a Brescia trentuno fascisti,
Il Manifesto”, 23-05-1974.
16
S. f., Fascisti in azione a Brescia: a distanza di mezz’ora muoiono in due, cit. Il
giornale sottolineò che, in generale, la stampa nazionale aveva potuto sollevare pochi
dubbi intorno al collegamento tra i due episodi «troppo clamorose essendo le
‘coincidenze’».
17
Per i militanti bresciani di Movimento Studentesco non vi poteva essere alcun dubbio
sulle intenzioni dei neofascisti. «Piazza Fontana insegna: i fascisti la scorsa notte
puntavano alla strage, a fare della nostra città una delle maggiori centrali di
provocazione a livello nazionale. […] Brescia popolare e antifascista, che nei giorni
scorsi ha saputo isolare i provocatori raduni fascisti, deve ora imporre con la forza
della mobilitazione e della più severa vigilanza che vengano colpiti i fascisti e i loro
31
sul materiale rinvenuto nel covo dell’ex ‘partigiano Jordan’ Carlo
Fumagalli. Non venne trovato solo un fornito deposito di esplosivi e un
attrezzato laboratorio per la contraffazione di auto e documenti: tra i
carteggi repertati risultò esservi anche la matrice di un ciclostilato in cui si
esigeva il rilascio di Franco Freda e Giovanni Ventura contro la vita del
giudice Gerardo D’Ambrosio. Il foglio accusò pertanto la polizia di aver
mantenuto un inspiegabile silenzio su quel documento che provava
l’intenzione della cellula fascista di rapire il giudice della strage di Stato,
mancanza che diventava ancora più grave se collegata alla scoperta di
prove contabili su un incredibile giro di denaro:
Sul documento la polizia ha mantenuto un inqualificabile
silenzio, e la notizia ha raggiunto la stampa solo per vie traverse.
Ma c’è di più. Nella stessa base sono state scoperte le prove
contabili di un vertiginoso giro di miliardi sui quali i fascisti
potevano contare per le loro imprese. L’importo di queste
somme non è assolutamente giustificabile con il solo traffico
d’armi dei camerati di Fumagalli. Come per la ‘Rosa dei Venti’,
il rinvenimento di materiali dell’esercito e di miliardi padronali
bastano da soli a chiarire chi siano e dove siedano i veri
mandanti del terrorismo nero 18 .
mandanti».
Volantino:
Ancora
tritolo
fascista
a
Brescia,
19-05-1974.
FDFCT/Testimonianze 2/19/15. Cfr. anche S. f., La lista delle provocazioni fasciste,
“Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974.
18
S. f., Fascisti in azione a Brescia: a distanza di mezz’ora muoiono in due, cit. La
‘Rosa dei venti’ – sotto il cui simbolo si celavano una ventina di organizzazioni
eversive clandestine – fu scoperta grazie al lavoro del giudice Giovanni Tamburino.
Le sue inchieste misero in evidenza che tale organismo – che aveva preso forma per
32
Come apparirà chiaramente dalle pagine che seguono, i gruppi della
sinistra radicale furono molto critici nei confronti delle forze di polizia,
soprattutto perché ritenute particolarmente efficienti nel fermare, perquisire
e schedare i militanti della sinistra extraparlamentare e molto meno nella
ricerca degli esecutori neri e dei loro mandanti; ma anche nei confronti
della magistratura, accusata di scarsa efficienza e di mancanza di
organizzazione19 . I loro fogli attaccarono senza troppi complimenti
istituzioni e partiti politici, spesso esasperando i toni delle accuse. Essi
ebbero però il merito di avviare una preziosa opera di controinformazione,
grazie alla quale l’opinione pubblica italiana poté usufruire di una linea di
stampa che non seguiva il flusso, piuttosto omogeneo, degli altri organi di
informazione nazionale 20 .
combattere, con ogni mezzo, il comunismo – era dotato di una struttura mista – civilemilitare – parallela al Sid e collegata ad altre strutture nel quadro Nato.
19
Per un puntuale resoconto delle indagini fino al 1996, cfr. la prima parte di V. Marchi,
La morte in piazza. Venti anni dì indagini, processi ed informazione sulla strage di
Brescia, Brescia, Grafo, 1996, pp. 23-163. Cfr. anche G. Zorzi, L’amaro in bocca.
Bilancio di un’esperienza di lavoro giudiziario e C. Simoni, L’ombra delle stragi, la
forza della ragione. Una conversazione con il magistrato Gherardo Colombo, in AA.
VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit. pp. 101-132.
20
Per un’analisi dell’atteggiamento dei maggiori quotidiani nazionali – oltre che di
quelli bresciani – di fronte alla tragedia bresciana, cfr. R. Baldo, F. Jannacci, I fatti e
le parole. La stampa quotidiana di fronte alla strage di Brescia, in R. Chiarini, P.
Corsini (a cura di), La città ferita. Testimonianze, documenti sulla strage di piazza
della Loggia, op. cit., pp. 71-96. In generale, i maggiori mezzi di comunicazione di
massa italiani non guardarono con simpatia ai movimenti di contestazione e loro
derivati, tendendo a sottolineare solo gli aspetti violenti ad essi collegabili. Secondo
Sidney Tarrow, proprio «questo atteggiamento negativo costituì un vantaggio cruciale
per gli extraparlamentari, perché li indusse ad affidarsi a legami informali di
comunicazione e a fondare una stampa di movimento che evitasse di essere schiava
dei mezzi di comunicazione di massa». S. Tarrow, op. cit., p. 208.
33
Per questi giornali, ad esempio, era inaccettabile il fatto che Ordine
Nuovo – l’organizzazione neofascista fondata nel ’54 da Clemente Graziani
e da Pino Rauti – potesse continuare la sua attività impunemente,
nonostante una sentenza del Tribunale di Roma lo avesse sciolto,
condannando per ricostituzione del partito fascista i suoi principali
esponenti. In effetti, al gruppo era bastato cambiare nome in Ordine Nero
per poter continuare senza problemi la sua attività politica. Le sezioni di
Ordine Nero erano presenti in tutta Italia, battezzate con i nomi di ideologi
dell’estrema destra, come Cèline e Codreanu. La situazione si mostrava
ancora più paradossale dopo che, nei mesi che andavano da marzo a
maggio, i neofascisti di Ordine Nero avevano totalizzato ben dodici
attentati 21 .
La strage di Brescia apparve quindi – e non soltanto ai settori più
radicali della sinistra – come un crimine annunciato dalle ripetute violenze
nere perpetratesi su tutto il territorio nazionale. La sola provincia di Brescia
veniva da un mese di incredibili angherie neofasciste. Un volantino del 20
maggio firmato dalla federazione Cgil-Cisl-Uil mise in evidenza alcuni
tragici presagi di quei giorni, come la morte di Ferrari e Valtorta, la
scoperta di un ordigno esplosivo presso la vecchia sede della Cisl di Viale
21
S. f., Da ‘Ordine Nuovo’ a ‘Ordine Nero’, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-051974. Questa la successione degli attentati riportata dal settimanale: 13 marzo.
All’agenzia del “Corriere della Sera” e nella sede del ‘Centro studi Gramsci’,
entrambe a Milano; 15 marzo. Contro il liceo certifico ‘Vittorio Veneto’ a Milano; 23
aprile. Contro l’esattoria comunale a Milano, contro gli uffici della Federazione del
Psi a Lecco e contro la ‘casa del popolo’ di Moiano in provincia di Perugia; 25 aprile.
Contro l’auto del procuratore Macri di Treviso; 27 aprile. Contro la scuola slovena di
Trieste; 30 aprile. Contro il senatore Veraldo della Dc a Savona; 10 maggio. Contro
gli uffici dell’assessorato all’ecologia a Milano, contro l’esattoria comunale ad
Ancona e contro l’edificio dove fino a poco tempo prima si trovavano gli uffici della
ditta olearia ‘Chiari e Forti’ a Bologna.
34
Italia e la telefonata anonima che annunciava la presenza di una bomba
nella sede della Camera del Lavoro 22 .
Con il suo contenuto premonitore, il volantino mise in guardia la
popolazione e le autorità dai clamorosi rischi che stava allora correndo la
città:
A Brescia non passa giorno che attentati dinamitardi, riusciti
o falliti, siano messi in atto dalle forze eversive. Le trame nere
assumono contorni sempre più precisi grazie anche agli errori di
giovani inesperti che sono gli strumenti di un disegno costruito
da chi ha mezzi ed obiettivi molto precisi. […] C’è tutta una
strategia della tensione e della paura alimentata dal crescendo
degli atti terroristici che va assumendo tinte sempre più
preoccupanti. È grave che si sfugga all’attentato per cause
fortuite e che si scoprano le trame nere per accidenti dovuti
all’incoscienza, all’inesperienza, all’irresponsabilità 23 .
La delicatezza di quel momento storico fu esplicitata anche dalla grande
mobilitazione della polizia bresciana che, nelle settimane prima della
strage, aveva attivato una serie di inchieste su alcuni neofascisti arrestati,
come Ezio Tartaglia – legato all’ex comandante della X Mas Valerio
22
Il volantino, intitolato Reagire energicamente all’aggressività criminale del
neofascismo, ribadiva che «bisogna individuare i mandanti, quelli che hanno i mezzi,
che hanno coscienza di quello che vogliono. Occorre che le forze politiche, le autorità
tutte uniscano sforzi, promuovano iniziative, colpiscano con ogni energia». Archivio
Storico Centro di Documentazione ‘Bigio Savoldi - Livia Bottardi Milani’ della
Camera del Lavoro di Brescia (d’ora in poi ASCD)/1/PL 1 A 1.
23
Ibidem.
35
Borghese – e Beppino Benedetti, noto esponente degli ambienti d’estrema
destra di Brescia. Questi nomi conducevano a ‘La Fenice’ di Giancarlo
Rognoni e Nico Azzi, al gruppo di Genova che aveva organizzato
l’attentato fallito sul treno di Ventimiglia-Roma, e a Marco Pozzan, un
neofascista, in quel momento latitante, che era accusato della strage di
piazza Fontana insieme a Freda e Ventura. Le ultime rivelazioni
dell’inchiesta evidenziarono la grande quantità di mezzi e di armi di cui
queste figure potevano disporre e l’esistenza di una rete di contatti
strettissimi tra le varie formazioni neofasciste 24 . La stampa della sinistra
rivoluzionaria riconobbe che vi era stato un avanzamento nelle indagini ma
sostenne che le forze di polizia non si fossero mosse nel modo migliore.
Molti sospettati vennero infatti arrestati soltanto allora, nonostante i loro
nomi fossero noti da tempo. Dal punto di vista di questi fogli, fu proprio a
causa della mancanza di efficienza delle forze di polizia che i neofascisti
poterono organizzare i loro piani criminosi.
Posizioni di questo tipo non erano però soltanto patrimonio dei gruppi
della sinistra radicale ma venivano condivise da una parte estesa di
opinione pubblica, non più disposta a sopportare le ingiustizie neofasciste e
pronta ad alzare la voce contro l’inadeguata risposta degli organi preposti
alla sicurezza dei cittadini. Lo stesso volantino che aveva invitato la
cittadinanza a partecipare alla manifestazione che fu poi oggetto
dell’attentato aveva messo in evidenza la ferma volontà popolare di
imprimere una svolta a quella situazione: «le indagini [andavano] portate
sino in fondo, episodi di provocazione come quello di Piazza Mercato
24
Ibidem. Molti degli individui arrestati a Brescia nel corso delle inchieste condotte nei
giorni che precedevano l’esplosione del 28 maggio avevano partecipato alla
manifestazione-provocazione del 12 aprile dell’anno precedente a Milano, durante la
quale venne ucciso l’agente ventiduenne Antonio Marino.
36
[andavano] stroncati sul nascere, la delinquenza nera [doveva] essere
isolata e schiacciata senza esitazione» 25 .
Per i gruppi della sinistra extraparlamentare, nel periodo che precedeva
la strage di piazza Loggia era dunque già emersa l’esistenza di «un’unica
trama, un unico collegamento omicida tra Ordine Nero, la nuova sigla del
disciolto Ordine Nuovo, la SAM, la Rosa dei venti, il MAR, Avanguardia
Nazionale» 26 . Troppi segnali funesti si erano registrati: due tentativi di
strage sui treni, l’esplosione del carico di tritolo che trasportava il
neofascista Ferrari, i legami di quest’ultimo con Borromeo e Fumagalli,
una serie di scritte sempre più minacciose contro la classe operaia sulle
mura della città. Era chiaro che a Brescia la strategia eversiva stava
organizzando qualcosa di grosso e che «nonostante il loro indebolimento
oggettivo sul piano politico, i fascisti si preparavano a attaccare
frontalmente il movimento operaio» 27 .
A trent’anni di distanza, le prese di posizione ed i proclami dei gruppi
presi in considerazione impressionano per la loro crudezza. Spesso, come si
vedrà nei prossimi capitoli, esse presero la forma di slogans ideologici poco
attenti alla obiettività dello svolgimento degli avvenimenti. Tuttavia, va
sempre tenuto presente che un’impostazione di quel tipo derivò loro – oltre
che dalla stessa caratterizzazione ideologica delle formazioni – da alcuni
dati di fatto inconfutabili come l’atteggiamento delle forze di polizia che,
dal dicembre del ’69 in poi, avevano orientato le proprie indagini a senso
unico verso i gruppi di sinistra e avevano mantenuto un atteggiamento di
colpevole indifferenza nei confronti delle macchinazioni dei gruppi
25
Volantino che invitava a partecipare alla manifestazione del 28 maggio, intitolato
Stroncare il terrorismo fascista!. ASCD/2/PL 1 A 2.
26
S. f., Il mese nero di Brescia, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974.
Ibidem.
27
37
neofascisti. Inoltre, se è assodato che gli interventi della sinistra
rivoluzionaria peccarono di eccessivo estremismo, va altresì rilevato che la
direzione complessiva delle denunce sollevate avrebbe poi trovato
fondamento nelle successive indagini giudiziarie e ricerche storiche.
Brescia, 28 maggio 1974 (Foto di Pietro Gino Barbieri)
38
Dopo la bomba
Subito dopo l’esplosione della bomba del 28 maggio, i fogli della
sinistra extraparlamentare evidenziarono la portata politica di quell’evento
ponendo l’accento sull’impegno diretto dei cittadini presenti in piazza della
Loggia e soprattutto su quello delle vittime 28 . La manifestazione
antifascista organizzata per la giornata di martedì 28 maggio dal Comitato
Unitario Antifascista bresciano – nel quadro della quale la Federazione
Cgil-Cisl-Uil programmò poi uno sciopero generale di quattro ore – aveva
infatti lo scopo dichiarato di contrastare il clima di tensione creato sul
bresciano, e in tutta Italia, dalle gravi azioni di violenza dell’estrema
destra 29 . “Avanguardia operaia” sottolineò il fatto che quasi tutte le vittime
erano militanti di sinistra, impegnati nel lavoro politico vicino al
movimento operaio. Il più pesante tributo era stato pagato dalla Cgil scuola
che contava tra le sue fila quattro morti, Giulietta Banzi Bazoli, Livia
28
Il giorno della strage morirono sei persone; altre due sarebbero decedute in seguito
alle ferite riportate. In una significativa Lettera aperta sui morti della strage del 31
maggio si scriveva: «I morti sono morti perché non sono stati a casa loro, ma perché
erano là a testimoniare la loro e a testimoniare la nostra coscienza civile».
FDFCT/Testimonianze 2/19/92.
29
ASCD/6/PL 1 A 3. Così apriva il suo intervento, che sarebbe stato interrotto poco
dopo dall’assordante rumore dell’esplosione, il sindacalista Franco Castrezzati:
«Amici, compagni, lavoratori studenti siamo in piazza perché in questi ultimi tempi
una serie di attentati di marca fascista ha posto la nostra città e la nostra provincia
all’attenzione preoccupata di tutte le forze antifasciste. E le preoccupazioni sono tanto
più acute ove si tenga conto che la macchina difensiva delle istituzioni democratiche
della Repubblica si è messa in moto solo dopo che alcune fortuite circostanze hanno
rilevato l’esistenza di una organizzazione eversiva ampiamente finanziata e dotata di
mezzi micidiali, sufficienti comunque a creare terrore e sbandamento». ASCD/103/PL
I B 7. La registrazione audio del giorno della manifestazione è in ASCD/452/PL I B
16; quella inerente il presidio dei giorni successivi è in ASCD/454/PL I C 22.
39
Bottardi Milani, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi e un
notevole numero di feriti. Livia Bottardi insegnava a Brescia in una scuola
media, era attivamente impegnata nelle lotte scolastiche e amica personale
di Clementina e Alberto Trebeschi. Clementina aveva avuto il padre
assassinato dai nazisti a Mathausen; suo marito Alberto, che proveniva dal
Partito radicale ed era poi confluito nel Pci, era molto conosciuto per
l’impegno della sua ricerca sul piano culturale, strettamente legato alla lotta
politica. L’articolo pose l’accento sull’impegno culturale e politico delle
vittime ma anche sulla loro appartenenza di classe, come nel caso di
Bartolomeo Talenti, operaio di 50 anni, e Euplo Natali, pensionato. I due
furono dipinti come veri e propri «martiri proletari, due compagni che
appartenevano alla classe che [avrebbe spazzato] via definitivamente, senza
possibilità di ritorno, la feccia fascista e tutti coloro che la [tenevano] in
vita per proteggere il capitale» 30 . La radicalità di queste parole lascia
trasparire l’anima rivoluzionaria dei gruppi della sinistra extraparlamentare,
non disposti, nemmeno nei momenti di estrema tensione – anzi, soprattutto
in quelli – a mettere in secondo piano la necessità di puntare alla
costituzione di una società socialista.
Giulietta Banzi Bazoli, oltre alla sua attività nella Cgil scuola,
all’interno della quale era da poco stata eletta delegata, militava nel gruppo
di Avanguardia Operaia 31 . Per questo il suo sacrificio fu messo in
primissimo piano dal settimanale della formazione politica 32 . La giovane
30
S. f., Compagni come noi, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974. Per un profilo
delle vittime, cfr. Aied (a cura di), Per non continuare il silenzio…, Brescia, IGB,
1976, soprattutto pp. 152-159.
31
Cfr. l’opuscolo Non si può più stare a guardare; [s. d.]. FDFCT/Testimonianze
2/12/2.
32
All’interno del mondo scolastico il problema della crescita democratica era
particolarmente sentito. Cfr. il volantino dei ‘Genitori e professori democratici’ della
40
insegnante aveva maturato una lunga esperienza nel lavoro di massa e
prima di entrare nell’organizzazione aveva militato nel circolo ‘Lenin’ di
Brescia, dove aveva potuto sviluppare una notevole preparazione teorica.
Era anche riuscita a conciliare il ruolo difficile di militante e di madre, non
limitando il proprio impegno alle attività all’interno del sindacato perché –
sempre secondo il foglio – aveva compreso che era molto più importante
lavorare costantemente alla base, nel movimento, e far sentire la propria
presenza nei momenti di lotta 33 .
Il settimanale di agitazione comunista tornò più volte ad insistere sul
valore della sua esperienza: la vita di Giulietta Banzi doveva essere presa
come punto di riferimento dell’impegno femminile nelle fila della sinistra
extraparlamentare:
Onoriamo in Giulietta l’esempio militante della compagna
che si fa carico lucidamente della contraddizione tra la
partecipazione diretta alla lotta di classe e il ruolo subalterno di
moglie e madre che la classe dominante assegna alla donna,
l’esempio comunista militante della compagna che ha nel vivo
della lotta acquisito le doti di capacità politica complessiva e di
consapevolezza teorica 34 .
scuola media Kennedy: «Ieri come oggi la libertà e la democrazia vengono costruite o
sepolte principalmente sui banchi della scuola. Piangere adesso, sui morti di Piazza
della Loggia non basta; ed è tardi. Perché le bombe non scoppino, occorre prevenire
educando. Alla democrazia e all’antifascismo si educa – famiglia e scuola – quando si
è presenti e si paga di persona»; [s. d.]. FDFCT/Testimonianze 2/19/117.
33
S. f., Compagna Giulietta ti vendicheremo, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-051974.
34
S. f., Ricordiamo i nostri compagni Luigi Pinto e Giuletta Banzi uccisi nella strage di
Brescia. Due comunisti, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974.
41
“Avanguardia operaia” non accettò il ricordo che di lei tratteggiava la
stampa ‘borghese’ – concentrata soprattutto a mettere in evidenza il suo
ruolo di madre di tre figli – e sostenne invece l’esigenza di commemorarla
come una infaticabile militante che era anche madre di tre figli 35 . Il suo
percorso personale aveva inoltre caratteristiche significative. Di origini
borghesi, era passata da una fase di generica simpatia e adesione ideale per
la sinistra, alla comprensione della necessità di una partecipazione militante
e di una formazione politica complessiva: «il primo decisivo scossone che
aveva spinto Giulietta ad accettare la milizia politica è stato il movimento
studentesco e le sue lotte del ’68-’69, con quanto di dirompente, globale,
antirevisionista esso ha storicamente rappresentato» 36 . La militante di
Avanguardia Operaia si era però rifiutata di seguire le mode dominanti
dello
spontaneismo
e
dell’eclettismo
ideologico.
Dal
movimento
studentesco e dalle sue battaglie aveva imparato ad impegnarsi direttamente
in politica, ad approfondire le problematiche del movimento di massa e la
questione del rapporto tra lotta rivendicativa e lotta politica di classe: «il
suo impegno nel sindacato scuola crebbe in questa volontà e
consapevolezza di non contrapporlo alle lotte studentesche ma al contrario
35
Cfr. il volantino del 31 maggio firmato da tale formazione: «Giulietta, oggi, vuole
essere ricordata da più parti solo come una brava insegnante e madre di famiglia;
Giulietta era molto di più, era una compagna impegnata in prima linea nel Movimento
Operaio e di classe. Era dirigente del sindacato scuola CGIL, era in prima linea nella
lotta antifascista e per il Socialismo. È così che è caduta, ed è così che la ricordiamo.
La ricordiamo come ricorderemo tutti i compagni caduti, uccisi dal tritolo fascista e
dal piombo della polizia agli ordini dei ministri democristiani. In nome di Giulietta
rilanceremo la battaglia antifascista e la determinazione a lottare per il Socialismo».
FDFCT/Testimonianze 2/19/74.
36
S. f., Ricordiamo i nostri compagni Luigi Pinto e Giuletta Banzi uccisi nella strage di
Brescia, cit.
42
di operare una coerente saldatura tra i diversi piani di lotta all’interno di
un’unica prospettiva di classe» 37 .
Anche Luigi Pinto, deceduto alcuni giorni dopo in seguito alle gravi
ferite riportate nell’esplosione, era attivo nella Cgil scuola oltre che
simpatizzante di Avanguardia Operaia. L’insegnante aveva una storia che
ricalcava quella di migliaia di emigrati italiani: come tanti altri cittadini era
stato costretto a lasciare la sua città in cerca di lavoro e quell’esperienza
aveva poi contribuito in modo decisivo alla sua scelta di impegnarsi
nell’attività politica. Arrivato da Foggia per insegnare in una scuola
bresciana, aveva svolto – secondo il foglio – una produttiva attività
sindacale che «aveva accelerato in lui la consapevolezza della necessità di
approfondire in modo organico i problemi della linea di classe nella scuola,
portandolo gradualmente a seguire le riunioni della cellula scuola di AO e a
intensificare i contatti con gli insegnanti dell’organizzazione o con quelli
ad essa più vicini» 38 .
Giulietta Banzi Bazoli e Luigi Pinto erano molto diversi tra loro per
origine sociale e per le responsabilità politiche dirette che avevano assunto,
ma si erano ritrovati uniti nell’impegno militante, nello stile di lavoro ed
entrambi avevano trovato nell’organizzazione extraparlamentare un
riferimento importante. AO dimostrò un grande rammarico per la
scomparsa dei due compagni e si ripromise di continuare le loro battaglie
espletando un antifascismo con una chiara matrice di classe:
Per una piccola e giovane organizzazione come la nostra, la
perdita di due compagni è un grave peso. Onorare la loro
37
38
Ibidem.
Ibidem.
43
memoria e ripercorrere le tappe della loro milizia è oggi un
impegno che va ben oltre il necrologio borghese di due persone
‘importanti’. L’importanza dei nostri due compagni è quella di
cui più andiamo fieri e che rivendichiamo: l’aver contribuito,
con il loro radicamento tra le masse proletarie e con la loro
milizia sempre più consapevole, a orientare la lotta di classe in
senso rivoluzionario. La loro morte è la morte di due comunisti
che hanno sempre inteso l’antifascismo militante nel suo
significato di classe, e su questa strada proseguiremo senza
nessuna esitazione nella lotta e nella vendetta di classe 39 .
La bandiera della classe veniva spesso sventolata da questi gruppi come
ideale supremo, che doveva essere anteposto ad ogni altro ragionamento
politico e che necessitava il perseguimento di una vendetta. Il brano citato
può dare un’idea del livello di tensione raggiunto nei giorni successivi
all’attentato di Brescia, soprattutto se si considera che – come è stato detto
– essa proviene da un foglio di un gruppo particolarmente attento alla
riflessione teorica e solitamente poco propenso ad abbandonarsi a
dichiarazioni che potevano ispirare risposte violente.
D’altra parte, il gesto compiuto a Brescia colpì l’intera nazione per la
ferocia scatenata nei confronti di una piazza riunitasi pacificamente a
manifestare proprio contro le ripetute violenze nere e segnò in profondità
gli animi democratici del paese per il suo patente significato politico 40 . I
gruppi della sinistra rivoluzionaria, percepirono l’attentato del 28 maggio
come un attacco diretto ai valori politici e morali da essi difesi, un attacco
39
Ibidem.
40
Cfr. S. f., Il fascismo a Brescia, in «Movimento Studentesco» (mensile), n. 33, giugno
1974.
44
che dichiarava le proprie intenzioni politiche e che costituiva il picco di una
strategia da tempo perseguita dalle forze reazionarie italiane 41 . In un
volantino del 31 maggio, firmato da Lotta Continua, Avanguardia Operaia
e Il Manifesto-Pdup, i nomi delle vittime furono accomunati a quelli dei
militanti assassinati a Portella delle Ginestre, a Modena, a Reggio Emilia; a
quelli di Giuseppe Pinelli, di Saverio Saltarelli, Giuseppe Tavecchio,
Franco Serantini, Mario Lupo, Roberto Franceschini. Quei nomi –
affermava il volantino – facevano parte della linea del movimento di classe
e dovevano continuare a vivere nelle sue battaglie e nelle sue lotte:
sarebbero in tal modo stati in centinaia di migliaia gli antifascisti che li
avrebbero ricordati con l’impegno sul campo 42 .
41
Anche i giovani della Fgci lanciarono appelli accorati contro la logica di
quell’attacco: «La Fgci mentre inclina le sue bandiere di fronte al sacrificio dei
lavoratori e degli antifascisti vilmente assassinati, fa appello a tutte le sue
organizzazioni, a tutta la gioventù rivoluzionaria, democratica ed antifascista perché i
giovani responsabilmente si pongano alla testa del moto antifascista del Paese, si
organizzino in ogni città, in ogni paese, nelle scuole, nei luoghi di lavoro,
manifestando combattivamente ed unitariamente; si contribuisca con ogni mezzo al
successo delle iniziative di lotta delle organizzazioni dei lavoratori e degli studenti».
Volantino intitolato Strage, [s. d.]. FDFCT/Testimonianze 2/19/66.
42
Il volantino è intitolato La strage di Piazza Loggia è un atto di guerra aperta contro
il movimento operaio nel suo complesso. Nel testo, sono messe bene in evidenza
quattro parole d’ordine: via il giudice Arcai; via il questore Mastronardi; fuorilegge il
Msi; la sede del Msi di Brescia deve essere chiusa per sempre. ASCD/16/PL I A 7.
45
All’interno della strategia eversiva
Le formazioni della sinistra rivoluzionaria nutrivano dunque un acceso
interesse nei confronti delle tematiche concernenti lo stragismo: la bomba
di Brescia attirò immediatamente la loro attenzione, anche perché ribadì
l’esistenza di quel progetto reazionario da tempo indicato dai loro organi
d’informazione. Per questi gruppi, il luogo e la modalità dell’attentato
confermavano che le fondamenta della democrazia italiana erano messe
seriamente a rischio da una trama eversiva che coinvolgeva anche ampi
settori dello Stato. La libertà di movimento delle squadre neofasciste
appariva loro come una conseguenza diretta del mancato sviluppo del
meccanismo democratico italiano 43 . Quando l’ordigno posizionato in
piazza Loggia esplose, essi furono perciò colpiti ma non sorpresi e
utilizzarono tutte le loro energie per cercare di guidare la popolazione
43
Nelle ore immediatamente successive alla bomba di Brescia, anche il Partito
comunista fece notare come l’attentato confermasse una volta di più il pesante deficit
di democrazia del nostro paese. Cfr. il contenuto di un volantino della segreteria
bresciana del partito: «La federazione bresciana del PCI, nell’esprimere il proprio
profondo cordoglio ai famigliari delle vittime e partecipando assieme a tutta la
cittadinanza democratica al loro lutto, chiama tutti i lavoratori, i cittadini, le forze
democratiche a rafforzare l’unità antifascista e ad esprimere il loro sdegno con un
nuovo impulso alla vigilanza e alla volontà di lotta perché la democrazia, il cui
mancato pieno sviluppo è all’origine dello spazio dato alle organizzazioni fasciste che
per loro natura non possono che essere terroristiche, manifesti tutta la sua efficacia
nell’arrestare la mano omicida, i finanziatori e i mandanti, che negli ultimi anni nella
nostra provincia l’hanno armata». Una orribile strage!!!, 28-05-1974.
FDFCT/Testimonianze 2/19/84. Norberto Bobbio, in una riflessione sulla strage di
Brescia, ha ricordato che la democrazia è incompatibile con gli arcana imperii perché
«la democrazia è il governo del potere visibile, il governo pubblico in pubblico». N.
Bobbio, ‘Arcana imperii’: verità e potere invisibile, in AA. VV., Le ragioni della
memoria. Interventi e riflessioni a vent’anni dalla strage di piazza della Loggia,
Brescia, Grafo, 1994, p. 103.
46
sconvolta dalla violenza dell’evento in un esteso moto di protesta.
Nonostante la radicalità degli interventi che riempivano i loro fogli, non si
può non riconoscere a questi gruppi il grande sforzo profuso nel gestire la
difficile situazione. Fu anche grazie alla lucidità e alla relativa cautela con
cui si mosse la sinistra extraparlamentare in quei momenti che la classe
operaia e gli studenti organizzati si comportarono – nella stragrande
maggioranza dei casi – in modo maturo, tanto da apparire ad un non
trascurabile settore dell’opinione pubblica come i veri garanti della
giustizia antifascista.
Nella loro opera di accusa, i gruppi della sinistra rivoluzionaria si
distinsero per la decisione con cui vennero additate le responsabilità della
Democrazia cristiana – ma la loro critica non avrebbe risparmiato
nemmeno i partiti della sinistra – considerata complice delle degenerazioni
reazionarie di quegli anni 44 . Nelle travagliate ore che seguirono
l’esplosione di piazza della Loggia, le formazioni rivoluzionarie non si
limitarono però ad esporre il proprio pensiero tramite frasi ad effetto, ma
svilupparono una serie di analisi – poi dimostratesi sostanzialmente fondate
– che collocavano la strage in un quadro articolato in cui la destra estrema
ed una parte delle istituzioni si trovavano alleate nel tentativo di bloccare le
rivendicazioni del movimento operaio e il generale spostamento a sinistra
44
“Il Manifesto” uscì il giorno dopo la strage con questa titolazione: E’ la strage
fascista più sanguinaria di questi anni: 6 morti, 94 feriti. E’ la lunga catena che può
essere spezzata solo spezzando il sistema di potere della Dc. Taviani deve dimettersi,
il MSI dev’essere sciolto. Sciopero generale in tutto il paese manifestazioni di massa,
collera a Brescia. Nello stesso giorno, “Lotta continua” titolava: Una bomba fascista
ha massacrato donne, bambini, operai che manifestavano contro il terrorismo nero.
Gli assassini fascisti sono noti; sono noti i loro covi; sono noti i loro caporioni, i loro
mandanti, i loro manovratori nei corpi dello stato. Con lo sciopero generale di oggi,
la classe operaia, i proletari, gli studenti, i partigiani, si impegnano a prendere nelle
proprie mani la giustizia antifascista.
47
del paese, alleanza che sembrava diventata ancor più necessaria dopo
l’esito del referendum sul divorzio 45 .
In un articolo di fondo su “Il Manifesto”, Luigi Pintor – dopo aver
descritto con parole forti lo scenario della piazza dilaniata dall’esplosione
ed aver paragonato la sciagura bresciana alla strage di piazza Fontana,
specificando però che il nuovo scenario era contraddistinto da una più
esplicita volontà dei gruppi reazionari e degli industriali che li assoldavano
di fare ritorno al 1922 46 – diede libero sfogo alla propria insofferenza nei
45
A tal proposito, è indicativo il contenuto del volantino redatto da Avanguardia
Operaia, intitolato 12 morti e decine di feriti in piazza della Loggia: questo il bilancio
del vile attentato fascista (come si può notare il numero delle vittime non è corretto):
«La strage fascista di Piazza Loggia si inquadra nel tentativo della destra reazionaria
di riconquistarsi con il terrorismo lo spazio perduto con la sconfitta del referendum, di
bloccare le conquiste del movimento operaio. Dalle bombe sui treni ai vili attentati
alle sedi dei partiti e delle organizzazioni di sinistra fino alla strage di ieri, i fascisti
hanno agito con la tacita protezione della DC, che è arrivata persino ad allearsi con il
MSI nella campagna per l’abrogazione del divorzio contro le libertà democratiche.
Lavoratori, studenti, compagni il MSI, responsabile delle più vandaliche azioni
criminose e liberticide, va combattuto fino in fondo. Dobbiamo sviluppare la più
ampia convergenza di tutte le forze di classe e democratiche, creare nelle fabbriche,
nelle scuole, nei quartieri i Comitati Antifascisti per togliere l’agibilità politica alle
carogne fasciste, e sviluppare il movimento di massa per imporre la messa fuori legge
dell’MSI», 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/67.
46
La comparazione della strage di Brescia con quella di piazza Fontana venne proposta
da tutti i mezzi di informazione ma – com’è stato sopra notato – fu utilizzata con
particolare slancio dai fogli della sinistra extraparlamentare per evidenziare la
continuità della trama eversiva e per sollecitare una decisa azione contro chi
perseguiva quel progetto. Il titolo di copertina del settimanale “Avanguardia operaia”,
N. 21, 31-05-1974, è tanto semplice quanto illuminante: Brescia come piazza
Fontana. Fuori legge il MSI. Cfr. anche il volantino Strage fascista! firmato Lotta
comunista (Circolo operaio di Brescia-Chiesanuova; Circolo operaio di Nave; Circolo
leninista di Rovato): «Sempre con le bombe sempre col sangue. Si sta cercando di
giocare la stessa carta di piazza Fontana. Si sta cercando nuovamente di dare un duro
48
confronti dell’atteggiamento governativo 47 . Innanzitutto, prese di mira il
ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani che aveva evitato di recarsi a
Brescia, dove avrebbe dovuto rendere conto di una gestione delle forze di
polizia che, protrattasi per un ventennio, aveva contribuito a rendere meno
stabili le istituzioni repubblicane 48 . Secondo l’articolo, era intollerabile che
il ministro non si fosse presentato dimissionario al Parlamento e avesse
invece deciso di umiliarlo con la sua solita vuota retorica. Pintor ritenne
inoltre particolarmente sconcertante il fatto che alla presidenza del
Consiglio vi fosse la stessa persona che ricopriva quella carica nel 1969. Il
dirigente de Il Manifesto espresse dunque una netta denuncia nei confronti
dei governi succedutisi in quegli anni, del tutto incapaci di gestire la
situazione.
colpo alla lotta operaia. Oggi la classe operaia sta rendendosi conto che le sue
condizioni di vita sono andate indietro. Oggi la classe operaia sta riprendendo a
lottare. […] La classe operaia deve rispondere senza esitazioni o falsi obiettivi contro
tutte quelle forze che tentano di colpirla o di frenarla! I fascisti di oggi a Brescia sono
gli stessi di piazza Fontana gli stessi di sempre! Solo la lotta operaia organizzata li può
schiacciare!»; 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/88.
47
L. Pintor, La radice, “Il Manifesto”, 29-05-1974.
48
Le critiche alla gestione governativa della violenza di destra furono frequentemente
ribadite – toccando punte notevolmente alte di radicalismo – da tutte le formazioni
dell’estrema sinistra. Cfr. il volantino redatto dal Comitato provinciale bresciano del
Pc(m-l)i: «È proprio il governo che parla di ‘ordine pubblico’ e manda i suoi celerini a
reprimere i lavoratori che vogliono pane e lavoro, protegge gli assassini che
ammazzano i lavoratori; per poi gridare istericamente che ci vuole un pugno di ferro
per governare l’Italia. A cinque anni dalla strage di piazza Fontana i luridi vermi
fascisti con alla testa Almirante protetto e alleato di Fanfani riprovano con la stessa
arma». Basta con gli assassini fascisti, 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/87.
49
Ma c’è di peggio – continuò Pintor –, non è l’inettitudine o
l’irresponsabilità la loro colpa. C’è invece un parallelismo tra
l’azione di questi governi, i loro indirizzi, i loro fallimenti, e le
degenerazioni estreme di questi anni. C’è complementarità tra la
ferocia fascista, la provocazione di destra, e la crisi più generale
in cui il paese è mantenuto dal sistema di potere democristiano,
dal regime edificato in tutto il dopoguerra. Per questo non si può
chiedere a questo sistema di potere di cambiare nulla senza
cambiare prima di tutto se stesso 49 .
La sinistra rivoluzionaria era però conscia che per distruggere le
fondamenta del progetto reazionario bisognava riuscire a coinvolgere anche
la ‘parte sana’ delle istituzioni repubblicane; anche se – dal suo punto di
vista –, lo sviluppo dei fatti successivi al 28 maggio aveva ormai chiarito
che le prese di posizione istituzionali sarebbero state estremamente vaghe.
Secondo “Avanguardia operaia”, in quel momento difficile, mentre vasti
settori del mondo politico e sindacale denunciavano la matrice fascista del
crimine, spiccava «come esempio negativo il vergognoso commento del
presidente della repubblica Leone» 50 , secondo il quale l’eccidio era una
chiara manifestazione del tentativo di ‘esigue e squallide minoranze
terroristiche’ di sconvolgere lo Stato. Da molti anni, le squadre
dell’estremismo di destra si muovevano indisturbate e commettevano i loro
crimini atroci, ma – evidenziò il foglio – Leone non riusciva nemmeno a
usare l’aggettivo ‘fascisti’, generalizzando il proprio ragionamento in modo
inammissibile e favorendo ignobili interpretazioni come quella degli
49
50
L. Pintor, La radice, cit.
S. f., Il vergognoso messaggio di Leone, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974.
50
‘opposti estremismi’. Il settimanale si domandò retoricamente se Leone –
eletto con i voti sottobanco di Almirante e dei suoi seguaci – volesse
restituire il favore ai neofascisti. La scelta di non indicare nelle forze
reazionarie dell’estrema destra gli esecutori della strage appariva al foglio
come una provocazione nella provocazione: sembrava che lo Stato volesse
«approfittare dell’occasione per proporre tra le righe il solito ‘giro di vite’
repressivo che […] da anni e anni [colpiva] sempre in un’unica direzione, a
sinistra» 51 . Questa interpretazione parve inoltre ricevere conferma
dall’atteggiamento tenuto dagli organi di polizia, come quando, subito dopo
la strage, avevano deciso di svolgere una serie di perquisizioni nelle
abitazioni di iscritti alla Fgci e di militanti di Lotta Continua. Secondo la
sinistra radicale, il presidente Leone pensava che l’attentato di Brescia
potesse giustificare uno ‘Stato forte’; “Avanguardia operaia” ribadì allora
che il proletariato italiano era pronto a respingere quell’affronto 52 .
Un altro elemento cui l’articolo precedentemente citato da Pintor
attribuiva grande valore era il risultato del referendum del 12 maggio 53 .
Esso aveva confermato l’opinione del dirigente de Il Manifesto secondo la
quale il paese avrebbe avuto una base di massa contraria ad ogni tendenza
reazionaria 54 . “Avanguardia operaia” partiva invece dalla presa d’atto del
51
Ibidem.
52
Ibidem.
53
Il riferimento all’importanza del referendum sul divorzio fu centrale anche
nell’intensa produzione di volantini politici di quelle giornate. In un volantino del 29
maggio si scriveva: «Il trentennio democristiano è finito col 12 maggio e non
rinascerà sul sangue dei nostri morti!». Giustizia popolare contro i fascisti assassini!,
Costituente provinciale del Fronte Antifascista di Rinascita Popolare, Comitato
antifascista - Borgo Trento, Comitato antifascista - Carmine, 29-05-1974.
FDFCT/Testimonianze 2/19/81.
54
L. Pintor, La radice, cit.
51
risultato referendario per sviluppare un’analisi delle dinamiche sotterranee
della strategia della tensione:
La conseguenza più appariscente del 12 maggio è il duro
colpo subito dal progetto politico fanfaniano. Questo duro colpo
ha una portata politica molto ampia. Non va infatti dimenticato
che il disegno fanfaniano, pur con tutti i limiti da ‘gollismo in
formato ridotto’, costituiva il tentativo più organico compiuto in
questi anni, da parte di settori del fronte borghese, di risolvere in
termini autoritari e reazionari la situazione ormai cronica di
instabilità dell’Italia: esso era cioè l’unico progetto concreto di
arrivare a costituire uno ‘stato forte’ senza rotture violente del
quadro istituzionale, […] era l’unica possibilità di coagulare una
base di consenso di massa che legittimasse il tentativo
integralista e autoritario 55 .
Anche in questo caso, se l’eccessiva radicalità dell’accusa lanciata
contro un preciso ‘progetto fanfaniano’ – radicalità che faceva parte della
natura rivoluzionaria dei gruppi extraparlamentari, molto critici nei
confronti dell’istituzione statuale – non può sfuggire al lettore, non può
nemmeno essere negata la capacità del giornale di cogliere alcune
dinamiche che coinvolsero effettivamente una parte delle istituzioni, dato,
55
S. f., Dopo il referendum. Il ridimensionamento di Fanfani. Il governo Rumor ne esce
indirettamente rafforzato. Cala la credibilità delle proposte dei dirigenti del PCI agli
occhi delle masse. Sempre più difficile l’equilibrio del dominio borghese,
“Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974.
52
questo, che non può più essere messo in discussione 56 . Per quanto riguarda
il referendum abrogativo sul divorzio, è inoltre plausibile sostenere che il
successo dei ‘no’ abbia esasperato i termini dello scontro producendo
un’accelerazione delle dinamiche dello stragismo. L’inaspettato risultato
referendario potrebbe aver convinto lo schieramento reazionario – o una
parte di esso – dell’inefficacia della strategia perseguita fino a quel
momento: nonostante i tentativi di far ricadere la responsabilità degli
attentati sulla sinistra radicale, il paese continuava infatti a spostarsi a
sinistra. Di fronte a quello stato di cose, lo schieramento in questione
avrebbe potuto decidere di agire in modo maggiormente diretto contro le
forze del movimento operaio. La strage di Brescia – che, per la dichiarata
politicità dell’obiettivo, rese poco credibile ogni dubbio sull’identità
politica degli esecutori – potrebbe essere il risultato di tali ragionamenti.
Tornando un’ultima volta all’intervento di Pintor, è interessante notare
come il leader de Il Manifesto giudicasse senza troppa clemenza anche i
rappresentanti tradizionali del movimento operaio. Egli sostenne infatti
che, mentre maturava nelle masse antifasciste la convinzione che fosse
arrivato il momento per dire definitivamente basta ai fenomeni reazionari
56
Già nel giugno del 1974, parlando delle violenze neofasciste che erano sfociate nella
strage di Brescia, Nicola Tranfaglia ha sostenuto che bisognava avere «la
consapevolezza di combattere contro una forza che dietro l’avanguardia degli sbandati
dispone[va] di truppe saldamente piazzate all’interno del blocco dominante, alleate
più o meno stabilmente a una parte non trascurabile della burocrazia statale, decise ad
approfittare di ogni errore del movimento operaio come delle forze democratiche per
imporre – in forme nuove, questo è chiaro, rispetto al regime di Mussolini – un assetto
altrettanto oppressivo e autoritario». N. Tranfaglia, Cosa significa oggi antifascismo,
in L. V. Majocchi (a cura di), Rapporto sulla violenza fascista in Lombardia. Testo
integrale della Relazione della Commissione di inchiesta nominata dalla Giunta della
Regione Lombardia, Roma, Cooperativa scrittori archivio italiano, 1975, pp. XXIIIXXIV.
53
che imperversavano nel paese, il Partito comunista – pur denunciando
puntualmente l’incapacità delle istituzioni di muoversi concretamente per
spezzare quella intollerabile catena di violenze – continuava colpevolmente
a rimanere in disparte. “Il Manifesto” – ma anche “Avanguardia operaia” e
“Lotta continua” – voleva invece che la sinistra italiana ritrovasse una
propria unità programmatica e si mobilitasse, utilizzando la sua forza
morale, per rispondere alla violenza fascista e per appoggiare le spinte
popolari che sempre più impetuosamente chiedevano giustizia, perché «mai
la lotta antifascista e di salvaguardia democratica [era] stata come [allora]
intrecciata alla lotta per un rinnovamento generale delle società e del
potere, da parte di uno schieramento sociale e politico fino in fondo
antagonista, e perciò capace di assumersi fino in fondo un simile
compito» 57 .
57
L. Pintor, La radice, cit. Le critiche dei gruppi della sinistra rivoluzionaria erano
spesso rivolte anche alla magistratura, considerata troppo clemente nei confronti dei
criminali neofascisti. Cfr. il volantino della segreteria Provinciale della Lega marxistaleninista (Lotta di Classe): «I tentennamenti di certa magistratura nel togliere dalla
circolazione simili individui, non possono che dimostrare ancora una volta qual è la
‘giustizia’ che governa il nostro paese. Bombe come quelle di Piazza Fontana e
massacri come quelli di Piazza Loggia sono la più valida dimostrazione
dell’incoerenza di coloro che disarmano la volontà di lotta delle masse popolari, che
erano e rimangono antifasciste. […] Noi ci impegniamo come Marxisti-Leninisti e
come partigiani di ieri e di sempre a stanare gli assassini fascisti. Morte al fascismo!».
Basta con i fascisti assassini, 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/90.
54
Brescia, 28 maggio 1974 (Foto di Pietro Gino Barbieri)
55
La peggiore violenza
“Lotta continua” definì subito il massacro di Brescia come il peggior
atto di violenza neofascista del dopoguerra 58 . Il quotidiano evidenziò la
grande partecipazione popolare alla manifestazione organizzata per la
mattinata del 28 maggio – oltre diecimila cittadini avevano formato tre
cortei partiti alle 9 da piazzale Garibaldi, porta Trento e piazzale
Repubblica, per confluire in piazza della Loggia – che fu indicata come un
segnale del forte sentimento antifascista delle masse. In particolare, il
foglio notò come «le parole d’ordine, i cartelli, gli slogans per la messa
fuorilegge del MSI avevano caratterizzato tutto l’andamento della
manifestazione» 59 . Gli organi di stampa della sinistra extraparlamentare
ripercorsero i momenti più delicati della manifestazione. Sul palco, la
parola era appena stata presa dal segretario della Flm Franco Castrezzati,
quando, alle 10.12, un ordigno a orologeria esplose all’estremità opposta
58
S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, “Lotta continua”, 29-05-1974. (Si noti ancora
l’inesattezza delle cifre riportate.) La popolazione bresciana – insieme ad un ampio
schieramento di partiti politici – rimarcò immediatamente l’intollerabile gravità della
violenza subita: «È con sgomento che ancora una volta dobbiamo constatare come
l’azione fascista abbia un solo nome, un solo volto, un solo mezzo: la violenza! Una
violenza inaudita, impensabile, che da diversi anni viene perpetrata contro tutte le
istituzioni democratiche per favorire quel clima di tensione, di paura, di sfiducia, nel
quale, secondo gli assassini, la democrazia dovrebbe morire per lasciare il posto al
tetro ‘ordine’ da loro invocato». Il testo è riportato in un volantino intitolato Strage
Fascista e firmato dal Consiglio di Quartiere Violino, Anpi, Dc, Pci, Psi, Psdi, Acli,
Consiglio dei Genitori. ASCD/15/PL I A 6.
59
S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, cit.
56
della piazza veneta, sotto i portici della Torre dell’orologio, troncando la
voce dell’oratore 60 .
La scelta di collocare la bomba in quella particolare posizione non
lasciava dubbi sull’intenzione terroristica di causare una carneficina:
Chi ha progettato l’attentato ha voluto raggiungere la
certezza del massacro: il luogo dove è stato posto l’ordigno si
trova infatti in un angolo della piazza che è sempre affollato nel
corso delle manifestazioni; [inoltre] la pioggia che aveva battuto
in modo insistente sul corteo aveva spinto molti compagni a
trovare riparo presso i portici dove è avvenuta l’esplosione 61 .
In realtà, il punto in cui era stato messo l’ordigno era adiacente al luogo
dove solitamente stazionavano, durante le dimostrazioni pubbliche, le
guardie di pubblica sicurezza. Queste si spostarono pochi minuti prima
dell’esplosione per fare posto ai manifestanti che, a causa della forte
pioggia, si ammassavano sempre più numerosi sotto i portici della piazza. Il
luogo scelto dagli attentatori per posizionare l’ordigno fu motivo di
un’iniziale sospetto delle forze dell’ordine nei confronti dei gruppi di
60
L’esplosione giunse pochi secondi dopo che Castrezzati aveva pronunciato la sua
critica nei confronti del Msi: «I titoli dei giornali dell’immediato dopoguerra
mettevano ripetutamente in evidenza che a pagare per le colpe, per i misfatti, per i
crimini del fascismo, erano normalmente i meno responsabili: […] a me sembra che la
storia si ripeta e cioè che oggi non si scavi in profondità, che non si affondi il bisturi
risanatore fino alla radice del male. La nostra Costituzione […] vieta la
riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista. Eppure, il
Movimento sociale italiano vive e vegeta». ASCD/103/PL I B 7.
61
S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, cit.
57
sinistra: altro particolare che non giustifica ma rende più comprensibile la
radicalità del linguaggio usato da questi fogli 62 .
La città, scossa dallo scoppio della bomba, reagì immediatamente. La
Camera del Lavoro prolungò lo sciopero generale provinciale fino alle 24
in tutte le fabbriche e gli uffici e promosse l’occupazione di tutti gli
stabilimenti operai in preparazione di una risposta di massa per il giorno
successivo 63 . Tale iniziativa non fu accolta soltanto a Brescia ma in ogni
centro della Lombardia e della penisola 64 .
Nelle fabbriche di tutto il paese si riscontrò dunque un profondo
sentimento antifascista unito alla rabbia per l’assoluta libertà d’azione di
cui potevano godere i gruppi neofascisti. Il movimento operaio era più che
mai pronto a mobilitarsi contro la recrudescenza fascista. In una riflessione
a caldo, “Avanguardia operaia” sostenne che se era vero che quest’ultimo
aveva saputo dimostrare in ogni occasione di avere la capacità di
rispondere ai soprusi antidemocratici rinsaldando la propria unità e la
propria forza «ancor più che in passato questo [era] stato vero per la strage
di Brescia» 65 . Negli stabilimenti di tutta Italia la notizia dell’attentato si era
62
Lo stesso Castrezzati ha dichiarato che, nei minuti successivi alla deflagrazione, un
vicequestore gli comunicò di essere convinto che l’attentato fosse ‘di sinistra’ perché
destinato a colpire le guardie di pubblica sicurezza. Cfr. R. Cucchini, P. Ferri (a cura
di), Piazza della Loggia 28 maggio 1974. Una strage fascista, Brescia, Camera del
Lavoro, 1982., p. 55. Non bisogna inoltre dimenticare che le forze di polizia
condussero numerose azioni nei confronti degli ambienti legati alla sinistra, fermando
militanti di gruppi extraparlamentari e perquisendo abitazioni di ex-partigiani aderenti
all’Anpi e di dirigenti sindacali.
63
Cfr. il volantino Occupazione delle fabbriche di tutta la provincia, 29-05-1974;
ASCD/9/PL I C 3.
64
S. f., Brescia: 11 morti, 80 feriti, cit.
65
S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, “Avanguardia
operaia”, N. 21, 31-05-1974.
58
diffusa celermente e aveva prodotto una decisa volontà di lotta e di
protesta. La prima reazione giunse – naturalmente – dagli operai della città
lombarda che si organizzarono per occupare le industrie, mentre altri
cittadini affermarono la propria solidarietà partecipando al presidio
promosso dalla Cgil scuola nella piazza della strage. Anche a Milano le
fabbriche risposero immediatamente: alla Pirelli i lavoratori prolungarono
di due ore lo sciopero di mezz’ora deciso dal sindacato ed organizzarono
una manifestazione di oltre quattromila persone 66 .
Sull’onda della mobilitazione operaia, anche gli studenti si erano
organizzati: molte scuole promossero cortei, altre fermarono l’attività
didattica dando vita ad affollate assemblee 67 . Un gran numero di lavoratoristudenti partecipò attivamente ad una manifestazione promossa a Monza da
Lotta Continua e Avanguardia Operaia 68 .
66
Ibidem. I lavoratori di molte altre fabbriche portarono il loro contributo nelle
manifestazioni cittadine, come quelli della Breda, della Magneti Marelli, della
Borletti, della Siemens Ctp, dell’Alfa, dell’Om Fiat, della Talettra, della Stigler e della
Candy. A Monza, l’assemblea delle fabbriche Philips era stata contraddistinta dalla
denuncia del ruolo di copertura della Dc nei confronti delle trame fasciste, mentre
dagli operai della sede centrale della Philips – così come dalla sezione sindacale Cgil
scuola dell’Itis di Sesto – era stata votata una mozione per lo scioglimento del Msi.
67
Negli anni seguenti alle contestazioni del ’67-’68, operai e studenti si ritrovarono
spesso ad agire uniti da ideali comuni. Interessante il documento prodotto il 29
maggio da un’assemblea di lavoratori e studenti, dove vengono denunciate le
connivenze tra potere politico e gruppi terroristici e viene ribadito il grande valore
antifascista del movimento popolare. ASCD/19/PL I C 9. Per alcune lettere
provenienti dalle scuole di tutta Italia, cfr. FDFCT/Testimonianze 2/31/10-13-14-1617-19-20-21-22.
68
S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, cit. Cfr. la
risoluzione approvata da un’assemblea generale di lavoratori-studenti: «Lo scopo di
questa strage è di intimorire terrorizzare il movimento popolare i democratici gli
antifascisti per imporre forme apertamente autoritarie di governo. I fascisti e tutte le
forze che se ne servano e li incoraggino si sbagliano: la strage fascista di piazza
59
Anche Movimento Studentesco fece sentire la propria voce lanciando
una critica che trascendeva il giudizio sul singolo evento e prendeva di
mira gli aspetti generali di una trama eversiva che poteva contare su una
serie di solidi appoggi, anche internazionali. Un suo volantino sviluppò tale
analisi:
I fascisti sono protetti e finanziati dai grandi gruppi
economici, dai ceti privilegiati che si servono di essi per cercare
di terrorizzare le masse nel momento in cui il governo vara una
nuova ondata di provvedimenti antipopolari.
I fascisti sono protetti e incoraggiati dall’apparato statale che
pur a conoscenza di tutte le loro gesta criminali li lascia in libertà
preoccupato
solo
di
colpire
le
forze
democratiche
e
rivoluzionarie.
I fascisti sono finanziati dai servizi segreti americani e greci
che vogliono un regime fascista in Italia uguale a quello greco 69 .
Loggia non ha frenato ma anzi ha dato nuovo slancio e vigore alla volontà antifascista
delle masse ha cacciato nel più completo isolamento le squadracce nere e il
Movimento sociale italiano che le dirige. I lavoratori studenti ribadiscono il loro
impegno militante antifascista che deve vedere come primi momenti di lotta
l’occupazione delle fabbriche il controllo delle scuole delle sedi delle organizzazioni
operaie e la partecipazione in massa ai funerali delle vittime della strage fascista»; [s.
d.]. FDFCT/Testimonianze 2/19/62.
69
Questa l’intestazione manoscritta del volantino: «Stronchiamo la criminalità fascista
incoraggiata e protetta dalla politica antipopolare Dc, dall’apparato statale, dai grandi
gruppi economici, dall’imperialismo USA. Fuori i fascisti dalle fabbriche, dalle
scuole, dai quartieri». ASCD/17/PL I A 8, 28-05-1974. Cfr. anche S. f., I servizi
segreti, strumenti delle cricche DC e fasciste, in «Movimento Studentesco» (mensile),
n. 34, luglio 1974.
60
Per la serata del 28 maggio la sinistra rivoluzionaria organizzò un
grande corteo a Milano che riuscì a coinvolgere ventimila persone.
L’impegno antifascista militante di tale iniziativa era ben rappresentato
dagli slogans taglienti e dalla decisione di organizzare il comizio
conclusivo nella roccaforte nera di Piazza S. Babila. In quelle ore calde
l’atteggiamento dei gruppi della sinistra extraparlamentare non mancò di
contraddistinguersi per la sua rigidità e intransigenza, che non di rado
sfociò in analisi che sostenevano la ‘legittimità della violenza’.
“Avanguardia operaia” – che rivendicò la calorosa partecipazione del suo
gruppo alla manifestazione milanese – esaltò la capacità organizzativa
antifascista anche quando questa sfociava in atti violenti come «il forte
impatto che [aveva] trasformato tre bar noti covi di fascisti in altrettanti ex
bar ed ex covi fascisti, mentre due nostalgici squadristi [erano] rimasti così
scossi dalla determinazione con la quale veniva condotta l’azione che
[avevano] preferito andarsene, in ambulanza» 70 . A Torino, alla Spa-Stura e
in numerose altre fabbriche, furono organizzati scioperi di due ore, mentre
alla Pirelli di Settimo gli operai cercarono di occupare la fabbrica e a
Palazzo Nuovi un’assemblea studentesca predispose un corteo interno. A
Genova gli operai dell’Italsider e i lavoratori del porto proclamarono uno
sciopero. Un significativo comunicato della Fm di Varese affermò che la
strage di Brescia richiedeva «non solo condanne verbali ma precise
iniziative politiche e di massa volte a rompere omertà e complicità di chi
usa la canaglia fascista per relegare la classe operaia e tutti i lavoratori in
un ruolo subalterno»71 .
Commentando la prima giornata di lotta, i gruppi della sinistra
rivoluzionaria riconobbero la forte carica di spontaneismo che aveva
70
71
S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, cit.
Ibidem.
61
contraddistinto le manifestazioni e le risposte partite dalle fabbriche, dalle
scuole e dai quartieri 72 . Queste formazioni non esitarono nemmeno a
riconoscere il merito e l’impegno profuso da una parte del mondo delle
organizzazioni tradizionali del movimento operaio nel tentativo di porsi
come guida dello spontaneismo popolare. L’atteggiamento dei sindacati,
per
esempio,
fu
considerato
particolarmente
positivo.
Secondo
“Avanguardia operaia”, essi si erano comportati nel migliore dei modi
dichiarando lo sciopero generale nazionale di tutte le categorie,
organizzando manifestazioni nei centri più significativi e permettendo alla
classe operaia di «dar vita ad una grande giornata di lotta, di unità, di
impegno antifascista, terreno di scontro che [doveva] vedere proprio la
classe operaia alla testa di tutte le masse popolari, degli studenti, delle forze
democratiche e antifasciste» 73 . Anche se le organizzazioni della sinistra
rivoluzionaria – ma, appunto, anche i sindacati e i partiti politici –
cercarono di direzionare le mobilitazioni di piazza che seguirono l’attentato
di Brescia, il dato che colpisce di più è il forte senso civico della
popolazione e l’estesa partecipazione dal basso messa in campo in quelle
72
Per uno spaccato delle reazione alla strage da parte delle organizzazioni
rappresentative e dei comuni cittadini, cfr. A. Onger, La ‘vibrata protesta’ e la
denuncia. Le voci delle organizzazioni rappresentative, e R. Bresciani, L’acqua dei
‘fontanì dèle rane’. La pietà della gente, in R. Chiarini, P. Corsini (a cura di), La città
ferita. Testimonianze, documenti sulla strage di piazza della Loggia, op. cit., pp. 109121. Marco Revelli ha sottolineato l’incredibile ‘intelligenza collettiva’ delle
manifestazioni di Brescia, frutto di «uno spontaneo operare guidato da un senso
comune sedimentato in una lunga stagione di esperienze politiche di massa e di lotte».
Cfr. la sua Prefazione a G. Porta, C. Simoni, Gli anni difficili. Un’inchiesta fra i
delegati Fiom di Brescia, Milano, Franco Angeli, 1990, p. 11.
73
S. f., In tutta Italia esplode la rabbia proletaria contro i fascisti, cit. Cfr. i volantini in
FDFCT/Testimonianze 2/19/46-49-55. Cfr. anche le indicazioni della federazione
Cgil-Cisl-Uil, in ASCD/8/PL I C 2.
62
ore. Furono innumerevoli i ciclostilati stampati e le manifestazioni
organizzate dai Consigli di quartiere e dai Comitati unitari antifascisti di
zona. Quelli del quartiere ‘Chiusure’ di Brescia, per esempio,
sottolinearono l’estrema gravità della situazione e il pericolo che
minacciava le istituzioni democratiche, e chiesero alle autorità preposte di
individuare e perseguire con il massimo rigore gli esecutori, i mandanti e i
finanziatori dell’attentato; alle forze parlamentari democratiche di mettere
al bando tutte le organizzazioni neofasciste; al governo di accertare le
responsabilità della polizia e della magistratura, colpevoli di aver permesso
lo sviluppo della trama fascista più volte segnalata nella provincia
bresciana 74 . A tutta la popolazione del quartiere fu ricordato che lo
strumento fondamentale per sconfiggere l’eversione fascista era l’unità
delle forze democratiche: bisognava perciò «partecipare attivamente e
costantemente alla vita politica degli organismi di quartiere e nei partiti
politici democratici combattendo in questo modo ogni forma di
qualunquismo politico sotto il quale si annidano i germi del fascismo» 75 .
74
Cfr. anche il volantino firmato dal comitato di quartiere di Mompiano: «Il Consiglio
di Quartiere di Mompiano […] denuncia il comportamento degli organi di polizia, che
sembra non abbiano fatto tutto quanto era in loro potere per prevenire ed evitare la
strage; raccoglie e sottolinea le osservazioni espresse da alcuni rappresentanti delle
forze politiche bresciane, che hanno chiamato direttamente in causa la responsabilità
di alcuni settori e persone degli organi giudiziari locali, i quali non sembrano dare
sufficienti garanzie nel necessario perseguimento degli esecutori e dei mandanti della
criminale strategia della tensione»; 28-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/116.
75
ASCD/14/PL I A 5, 29-05-1974. Cfr. anche: Volantino del Consiglio di Quartiere del
Villaggio Prealpino, del 28-05-1974. ASCD/18/PL I C 8; Volantino del Comitato di
Quartiere Don Bosco, 29-05-1974. ASCD/20/PL I C 10.
63
L’obiettivo politico
I fogli della sinistra extraparlamentare misero costantemente in primo
piano quegli elementi che conferivano all’attentato di piazza Loggia una
forte politicità. “Lotta continua” ricordò che i terroristi neofascisti, dopo
aver ripetutamente provato a mettere a segno, negli anni e nei mesi
precedenti, una strage con la speranza di indebolire il sistema democratico
italiano, avevano alla fine scelto di colpire in modo plateale una pacifica
manifestazione antifascista, un obiettivo che poteva lasciare ben pochi
dubbi sulla matrice di quel gesto: «gli assassini l’[avevano] tentata, in
Emilia, in Toscana, in Lombardia, a Trieste, lungo la campagna del
referendum, nell’intento di fare da battistrada all’operazione reazionaria di
Fanfani e Almirante. L’[avevano] attuata [a Brescia], alla ricerca della più
sanguinaria vendetta» 76 . Come si può ben capire, la carta stampata della
sinistra rivoluzionaria attaccò duramente quelle teorie che sollevavano
dubbi sulla matrice d’estrema destra della strage. Vi erano infatti alcune
voci secondo le quali l’obiettivo reale degli attentatori era quello di far
ricadere le responsabilità sulla destra, con lo scopo di inimicarle l’opinione
76
S. f., Senza titolo [d’ora in poi S. t.], “Lotta continua”, 29-05-1974. Così ha scritto
Manlio Milani, marito di una delle vittime e presidente dell’Associazione dei familiari
dei caduti della strage di piazza Loggia: «Quella bomba ha colpito chi aveva scelto di
poter partecipare in prima persona a quella manifestazione per respingere la violenza
che condizionava la vita di Brescia in quel periodo. A otto persone la vita è stata
stroncata mentre domandavano – perché domandavano – tolleranza, rispetto
reciproco, partecipazione». Id., Non vittime ma caduti consapevoli, in AA. VV., Le
ragioni della memoria. Interventi e riflessioni a vent’anni dalla strage di piazza della
Loggia, op. cit., 1994, p. 17. Sulla politicità della strage bresciana cfr. le osservazioni
di G. De Luna, Le vittime dentro la storia, in Casa della Memoria (a cura di), Brescia:
la memoria, la storia. Testimonianze, riflessioni, iniziative, Brescia, CdM, 2005, pp.
189-191.
64
pubblica 77 . Per la sinistra extraparlamentare la bomba di Brescia
rappresentava una sorta di dichiarazione politica di una strategia che aveva
già lasciato per strada i suoi inquietanti segnali a partire dalla tragedia di
piazza Fontana, strategia strettamente collegata alla licenza concessa ad
Almirante e al suo partito, finanziato dal denaro pubblico e alleato con le
‘crociate democristiane’. E che era anche direttamente legata – come fu
continuamente ribadito – all’esito negativo del referendum che aveva
77
In quella direzione si mossero, per esempio, alcuni interventi de “Il Tempo”, “Il Resto
del Carlino” e “La Nazione”. Cfr. R. Baldo, F. Jannacci, op. cit., pp. 86 sgg. Si
confronti il volantino stampato dalla sezione del Msi bresciano nel giugno del ‘74 in
cui vengono prese le distanze dall’attentato e si avanza implicitamente l’ipotesi di un
piano della sinistra radicale per mettere sotto accusa il neofascismo italiano:
«Bresciani, nel momento in cui alla naturale angoscia, al giustificato sdegno e alla
rabbia, purtroppo irrazionale, subentra la calma, il raziocino, la ragione, vi chiediamo:
1) quale vantaggio avrebbe potuto conseguire il Msi-Dn dalla partecipazione diretta o
indiretta alla strage, se non il linciaggio morale e fisico di cui siamo stati fatti oggetto?
2) pensate proprio che siamo così stoltamente votati all’autolesionismo. Ed allora:
ragionate un po’: “cui prodest?” “a chi giova?” Per i criminali che hanno compiuto
l’attentato di piazza Loggia noi chiediamo la pena si morte». FDFCT/Testimonianze
2/19/52. Ma si veda anche il documento prodotto dalla Federazione provinciale
bresciana dello stesso partito nell’agosto successivo: «Governo in crisi? Bombe!
Centrosinistra a pezzi? Bombe! Decreti impopolari? Bombe! Economia a rotoli?
Bombe! Comunismo che avanza? Bombe e antifascismo! Italiani, è uno sporco
imbroglio sulla vostra pelle! Ve lo dice la Destra Nazionale. Terrorismo: a chi giova?
Sulla pelle degli Italiani il comunismo marcia verso il potere. Terrorismo: chi lo
alimenta? Ministri inetti o complici danno via libera alla delinquenza. Contro i
terroristi e chi li utilizza la Destra Nazionale propone: pena di morte per i reati di
strage; scioglimento dei gruppi extraparlamentari; inchiesta parlamentare sulla
violenza; abrogazione delle norme lassiste e permissive; autorità ed efficienza per le
Forze dell’Ordine». FDFCT/Testimonianze 2/19/11.
65
bloccato i progetti reazionari della Dc, contribuendo però ad alzare la
tensione nel paese 78 .
In un suo articolo su “Il Manifesto”, Tiziana Maiolo fece riferimento
proprio alla bomba di piazza Fontana e alla questione del referendum sul
divorzio per evidenziare il grande valore politico dell’attentato:
I fascisti hanno fatto una strage ieri a Brescia, più sanguinaria
ancora, per proporzioni e per ferocia, a quella di piazza Fontana
del ’69. Come allora, e più di allora, hanno puntato al cuore della
classe operaia, dei lavoratori o degli studenti, che partecipavano
ad una manifestazione antifascista di protesta per gli attentati
squadristi che si susseguivano in città da alcuni mesi, in una città
che, nonostante le sue tradizioni clericali ha detto no (con una
percentuale del 62%) a Fanfani, ai suoi soci missini e
all’abrogazione del divorzio 79 .
Secondo i gruppi della sinistra radicale, era prevedibile che, una volta
fallito il tentativo governativo di coprire col consenso plebiscitario la svolta
78
Cfr. S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974. Anche gli operai bresciani
evidenziarono gli aspetti che collegavano la strage di piazza Fontana alle violenze del
maggio ’74. Cfr., per esempio, il manifesto redatto nell’agosto successivo dal
Consiglio di Zona Cgil-Cisl-Uil di Gavardo, Villanuova, Prevalle, Nuvolento,
Nuvolera, Paitone, Muscoline, Mazzano, Vallio, dove si dichiarava il forte disappunto
per una strategia eversiva che, dal 12 dicembre 1969, non trovava tregua. 12 dicembre
1969, ASCD/377/PL I D 7.
79
T. Maiolo, Strage. Lo scoppio all’inizio del comizio sindacale antifascista. La bomba
era stata messa in un cestino dei rifiuti. Corpi lacerati, sangue dappertutto. Molti dei
feriti sono gravissimi, “Il Manifesto”, 29-05-1974.
66
reazionaria, i gruppi neofascisti intendessero spostare i termini dello
scontro attraverso l’attuazione di un più marcato piano antidemocratico.
Sarebbe stato perciò di fondamentale importanza agire con tempismo senza
lasciare il minimo spazio a quel funesto progetto, impedendo che esso si
sviluppasse «traendo alimento dall’offerta di una copertura a sinistra a una
politica economica ferocemente antioperaia e antiproletaria» 80 . Ciò era
ancora più indispensabile dato che le forze dell’ordine e gli organi proposti
alla sicurezza della cittadinanza non si erano preoccupati di bloccare gli
sviluppi di una trama che aveva potuto preparare ed attuare la strage di
Brescia e sembravano poco propensi ad intervenire in modo deciso contro
quel piano. Queste formazioni sostennero allora che non si poteva restare
immobili ad osservare l’attendismo istituzionale ed affermarono che in
Italia le cose avrebbero potuto cambiare solo grazie ad una intransigente
mobilitazione antifascista unita ad una più generale presa di posizione
contro l’‘uso padronale’ della crisi, il carovita, la disoccupazione e la
regola dello sfruttamento portata avanti dagli industriali e dal ‘loro’
governo 81 . La popolazione democratica ed antifascista aveva da parte sua
già dato prova di una grande maturità: nei drammatici momenti di terrore e
di panico che seguirono l’esplosione della bomba, gli operai e gli studenti
del servizio d’ordine della manifestazione avevano infatti saputo gestire la
situazione, organizzando i soccorsi e formando i cordoni per tenere lontana
la folla e rendere possibile l’afflusso delle ambulanze che andavano avanti
e indietro tra piazza della Loggia e gli ospedali 82 .
80
S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974. Cfr. il volantino Bomba fascista a Brescia
contro i lavoratori del Partito di Unità Proletaria; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze
2/19/82.
81
S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974.
T. Maiolo, Strage. Lo scoppio all’inizio del comizio sindacale antifascista, cit.
82
67
In quel difficile passaggio della storia repubblicana la situazione
appariva impantanata e non sembrava che le istituzioni e i partiti politici
fossero in grado di sbloccarla. Era in quel contesto di immobilità
istituzionale che – secondo il punto di vista dei gruppi della sinistra
extraparlamentare
–
le
‘masse
proletarie
antifasciste’
entrarono
prepotentemente in scena, non potendo esse tollerare che la strage di
Brescia restasse impunita 83 .
Con la solita irruenza “Lotta continua” affermò che era proprio il
‘proletariato antifascista’ che doveva assumersi la responsabilità di vigilare
sui fragili meccanismi della democrazia italiana:
La risposta sta nelle mani della classe operaia, delle masse
proletarie, di militanti antifascisti. Nessuno deve chiedere al
movimento operaio e antifascista di rinunciare alla propria forza
e alla propria coscienza, e di limitarsi alla simbolica protesta, di
fronte alla politica della strage, impunita o addirittura coperta e
manovrata dai corpi dello stato. […] Spetta al movimento di
classe, oggi come sempre, assumersi la responsabilità della
punizione, della vigilanza, dell’epurazione antifascista. Questo
impegno deve stare al centro della risposta senza riserva alla
83
Parlando dell’atto terroristico di piazza Loggia, Movimento Studentesco insistette
sulle responsabilità della Dc nel «cercare col terrore di piegare la resistenza e la
combattività delle masse e paventare il pericolo di reazione aperta per far cedere
ulteriormente le organizzazioni storiche dei lavoratori; e questo non solo nella
prospettiva di far passare i provvedimenti economici, ma anche di arrivare allo scontro
frontale con il movimento popolare su posizioni di forza». Movimento Studentesco,
28 maggio 1974. Strage fascista a Brescia. Dossier di dieci anni di violenza fascista,
supplemento al n. 34, 1974, di “Movimento studentesco”, pp. 6-7.
FDFCT/Testimonianze 2/12/1.
68
infame strage di Brescia, che ha già fermato le fabbriche di tante
città e raccolto nelle piazze i lavoratori, gli studenti, gli
antifascisti, e che oggi farà vivere lo sciopero generale
nazionale. Colpire i fascisti: imporre che il MSI sia sciolto e che
il suo caporione vada in galera; presentare al governo il conto
delle sue complicità e omertà con le trame nere dei corpi dello
stato: questi sono i contenuti della iniziativa antifascista 84 .
I fogli della sinistra rivoluzionaria ribadirono che il luogo scelto per
mettere l’ordigno provava che la strage di Brescia era stata concepita per
dare un segnale molto chiaro alla democrazia italiana. Proprio la brutalità
dell’attentato e il suo significato politico, però, spinsero i lavoratori
bresciani a dare un’altrettanto precisa risposta: gli operai della Atb
occuparono prontamente il proprio stabilimento per dare visibilità alla
propria esigenza di giustizia; presso l’Ideal Standard tutti gli organismi di
fabbrica si riunirono in commissione permanente per seguire in modo
attivo l’evoluzione della situazione; il comitato antifascista rinviò la
riunione della giunta provinciale e comunale – in programma per il 29
maggio – e proclamò lo sciopero generale fino a mezzanotte, facendo forti
pressioni sul prefetto della città perché disponesse la dovuta vigilanza
presso le sedi dei partiti democratici e delle associazioni partigiane e perché
ordinasse misure di controllo repressive contro gli arcinoti gruppi di
neofascisti 85 .
Il segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia Franco Torri,
poco dopo l’attentato, sostenne che la strage della Loggia faceva parte «di
84
85
S. f., S. t., “Lotta continua”, 29-05-1974.
Cfr. T. Maiolo, Strage. Lo scoppio all’inizio del comizio sindacale antifascista, cit.
69
un disegno ben orchestrato, un disegno preparato da tempo, coperto da
forze politiche e economiche, che attendeva i lavoratori al varco e che
mirava ad uccidere» 86 . Secondo Torri, il capoluogo di provincia lombardo
era già da tempo un canale centrale del traffico d’armi, un serbatoio di
aderenti al Msi e di industriali che finanziavano i gruppi dell’estremismo
eversivo ed era chiaro ormai da alcuni mesi che le squadre neofasciste
avevano scelto Brescia come punto strategico della loro trama. Tale
centralità
sembrava
inoltre
essere
confermata
dagli
ultimissimi
avvenimenti. Lo stesso Torri dichiarò che un paio d’ore dopo l’esplosione
della bomba in piazza Loggia era arrivata una telefonata alla Camera del
Lavoro che avvertiva del posizionamento di un ordigno esplosivo anche
presso quella sede. Il palazzo fu subito sgombrato ma l’evento contribuì ad
aumentare ulteriormente lo sconcerto della popolazione bresciana che
esigeva – in quel momento più che mai – una seria inchiesta tesa a punire
non solo gli esecutori ma anche i mandanti e le forze economiche che
appoggiavano il terrorismo eversivo, un’inchiesta che facesse piena luce
sulle trame nere e riportasse nel paese «un clima di confronto civile e
democratico» 87 . In quelle ore di grande confusione i cittadini avevano
bisogno di qualcuno che garantisse loro il massimo impegno nella ricerca
dei responsabili e nella prevenzione di eventuali reiterazioni di attentati.
Secondo i fogli della sinistra extraparlamentare, la magistratura e le forze
di polizia non avevano la capacità di fornire reali speranze alla popolazione
italiana, anche perché fino a quel momento si erano occupati soltanto di
delinquenti minori e non avevano mai cercato di intralciare i piani di quegli
industriali bresciani dimostratisi da tempo pieni di simpatia per i gruppi
della destra, estrema e non, «tanta simpatia da permettere ad Almirante di
86
87
Ibidem.
Ibidem.
70
raccogliere in tre giorni 140 milioni per la sua campagna elettorale del
’72» 88 . Anche la questura – che sostenne di svolgere le sue indagini per lo
più in direzione dei ‘gruppuscoli’ della destra extraparlamentare, arrivando
a smentire che ci fossero indagini a sinistra – continuava a tenere un
atteggiamento ambiguo. Tuttavia, nonostante nella cittadinanza permanesse
una estesa sensazione di insicurezza, il senso di frustrazione non aveva
avuto la meglio e vi era stata una «immediata risposta in tutti gli ambienti
democratici e antifascisti di Brescia» 89 .
La centralità della strage di Brescia – e delle dinamiche eversive
gravitanti attorno ad essa – rispetto al progetto reazionario in quel momento
perseguito nel nostro paese sembrava provata anche dai primi risultati delle
indagini che mettevano in evidenza una fitta rete di collegamenti fra i
gruppi dell’estremismo neofascista90 . Le inchieste attivate dopo l’arresto di
Kim Borromeo e di Giorgio Spedini avevano individuato trenta imputati, di
cui venti in carcere, quattro latitanti e sei a piede libero. Era cominciata
l’operazione definita dalla stampa ‘Sam-Fumagalli’, avviata grazie ad
alcuni numeri telefonici ed appunti rinvenuti sulla macchina dei due
terroristi, che – attraverso intercettazioni telefoniche e dichiarazioni rese
dagli stessi imputati – aveva portato all’arresto di figure di primo piano e al
rinvenimento di rifugi e di depositi di armi.
88
Ibidem.
89
S. f., Brescia, 28 maggio, ore 10,25, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974.
Le organizzazioni extraparlamentari della sinistra erano convinte che a Brescia
90
confluissero tutti i fili dello stragismo e delle provocazioni fasciste che stavano
colpendo il paese. In questo senso, non può essere sottovalutata l’opera dei fogli della
sinistra extraparlamentare nel contrastare il mito del ‘buon bresciano’ tanto radicato
nella provincia. Cfr. R. Chiarini, P. Corsini, Da Salò a Piazza Loggia. Blocco
d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), op. cit., pp. 336337.
71
Già il giorno dopo la strage, “Lotta continua” sostenne che la strategia
eversiva bresciana appariva ben definita nelle sue linee generali:
Fino a questo momento è venuta alla luce un’organizzazione
terroristica i cui personaggi sono tutti nomi notissimi
appartenenti ai diversi gruppi che, cambiando etichetta di volta
in volta, ma evidentemente legati a un unico carro, hanno
costellato di attentati la vita politica di questi ultimi anni 91 .
Il quotidiano sottolineò l’estensione dei legami che univano il gruppo
fondato in Valtellina da Fumagalli – il Movimento di azione rivoluzionaria
– all’ambiente neofascista bresciano, citando alcuni fatti sospetti
verificatesi nel periodo antecedente la strage bresciana, come la presenza di
Fumagalli al processo, svoltosi l’anno precedente, ai sei militanti di
Avanguardia nazionale per l’attentato alla sede del Psi, presenza che per
“Lotta continua” aveva un «evidente scopo di avvertimento e di
intimidazione degli imputati che avrebbero dovuto parlare» 92 . La scoperta
delle centrali Sam aveva anche condotto al rinvenimento e al sequestro di
una vasta documentazione contenente decine di nomi di squadristi che
potevano essere di enorme utilità alle forze dell’ordine perché rivelavano le
intenzioni dichiarate di varie formazioni della destra estrema93 . “Il
Manifesto” diede notizia di un messaggio mandato da uno di questi gruppi
91
S. f., Gli assassini di Brescia, “Lotta continua”, 29-05-1974.
92
Ibidem.
Ibidem.
93
72
al “Giornale di Brescia” per rivendicare l’attentato in piazza Loggia 94 . La
lettera firmata ‘Anno zero - Ordine nero - Brixien Gau’ era arrivata alla
redazione del giornale il giorno della strage, corredata da minacce e frasi
inneggianti al fascismo che lodavano il valore spirituale della «morte nella
propria terra in difesa della propria terra, della propria gente, della propria
razza, del proprio retaggio, della propria gioventù, forza del domani» 95 .
Secondo tale documento – la cui radicalità fa meglio comprendere il
contesto nel quale le formazioni extraparlamentari si trovarono ad agire e,
soprattutto, il carattere e il tono dei loro appelli – lo Stato democratico
italiano non si sarebbe dimostrato in grado di difendere i ‘sacri valori
nazionali’, consentendo alla sinistra di raggiungere posizioni chiave dalle
quali poteva manovrare anche i giudici e la polizia e permettendo una
degradazione della nazione che poteva essere limitata solo grazie ad un
intervento diretto delle forze neofasciste:
Poiché lo stato italiano democratico ha dimostrato di essere
incapace a difendere quanto di più sacro v’è nel nostro popolo,
poiché lo stato italiano democratico ha concesso che la peggiore
94
S. f., Strage. ‘Ordine nero’ manda un messaggio ai giornali. ‘Siamo stati noi, per
tutelare l’Italia fascista e corporativa’, “Il Manifesto”, 29-05-1974.
95
Ibidem. Le indagini avrebbero poi confermato che il messaggio era stato scritto da
Ermanno Buzzi, un pregiudicato bresciano vicino all’ambiente neofascista. Buzzi fu al
centro della prima parte delle indagini e condannato all’ergastolo; fu però ucciso, nel
1981, da due terroristi neofascisti – Gianluigi Concutelli e Mario Tuti – nel
supercarcere di Novara dove era appena stato trasferito. Proprio Buzzi –
contrariamente a tutti gli altri imputati, che saranno successivamente assolti – rimarrà,
a causa del suo decesso, l’unico ‘colpevole’ della strage di Brescia. Per una
puntigliosa ricostruzione della ‘pista Buzzi’ cfr. V. Marchi, op. cit., pp. 73-103.
Sull’assassinio di Buzzi, cfr. Ibidem, pp. 127-130.
73
teppaglia comunista si infiltrasse in ogni dove, minando lo stato
e l’ordine pubblico, riuscendo ad infiltrare i suoi maiali anche
nelle file della polizia, della magistratura e in ogni posto di
responsabilità – noi – eredi di un glorioso passato, nati uomini e
non decisi a morire schiavi, avendo validi motivi per credere che
tutte le azioni imperniate sulle piste nere altro non siano che
abilissimi movimenti della peggiore canaglia comunista, al cui
servizio sono posti anche i peggiori delinquenti comuni, in
combutta con polizia e giudici, per screditare l’unica parte sana
di un popolo, abbiamo deciso di sostituirci ad essi a tutela della
nostra Italia fascista e corporativa, l’Italia dei cesari e dell’ultimo
dei cesari 96 .
Dopo la bomba di Brescia, la struttura che sorreggeva il piano eversivo
stava dunque diventando sempre più riconoscibile e, oltre ai nomi degli
‘squadristi manovali’, cominciarono a venire in superficie anche quelli di
persone che rivestivano posizioni di particolare rilievo: «a Brescia si
parlava con insistenza dell’emissione presunta di altri mandati di cattura
per personaggi molto più importanti, tra cui uno molto famoso di un
appartenente alla maggioranza silenziosa» 97 . Le indagini si stavano poi
concentrando nella ricerca dei finanziatori: era noto, per esempio, che la
guardia di finanza stava indagando su alcuni conti fatti congelare in
Valtellina e a Brescia. Per quanto concerne i potenziali finanziatori
bresciani, “Lotta continua” fece vari nomi tra cui quelli degli industriali
Pasotti che, oltre ad avere assunto Borromeo, subito cacciato dagli altri
96
97
S. f., Strage. ‘Ordine nero’ manda un messaggio ai giornali, cit.
S. f., Gli assassini di Brescia, cit. Come si vedrà in seguito, il nome era quello
dell’avvocato milanese Adamo Degli Occhi.
74
lavoratori, operava normalmente le sue assunzioni tramite il sindacato
fascista Cisnal; dei fratelli Stefana, proprietari di un complesso di
acciaierie; di Oscar Comini, presidente della Brescia calcio, che aveva
subito una condanna per inquinamento ma che era poi stato graziato dal
presidente Leone. Un altro nome spesso ripetuto in quei giorni era quello di
Marcello Mainardi, bresciano d’origine poi domiciliatosi a Bellinzona,
fondatore e direttore della rivista «Riscossa», con un passato che, a partire
dalla sua adesione alla Repubblica Sociale ed il suo arruolamento nella
guardia nazionale repubblicana, dava chiare indicazioni sulla sua fede
politica 98 .
Per i gruppi della sinistra extraparlamentare era inoltre sempre più
evidente il diretto coinvolgimento del Movimento sociale italiano e i loro
organi d’informazione si mobilitarono per evidenziare tale aspetto tramite
la divulgazione di documenti compromettenti. “Lotta continua”, ad
esempio, pubblicò in prima pagina la fotocopia di una circolare interna del
Msi di Brescia, firmata il 28 gennaio precedente dal segretario provinciale
e consigliere regionale Umberto Scaroni, che ben dipinge una linea di
condotta politica più che mai compatibile con l’escalation delle violenze
dei gruppi della destra estrema:
Cari Camerati,
la classe dirigente del partito, pienamente cosciente della
gravità dell’ora che stiamo vivendo, ha chiaramente e
responsabilmente indicato, in un importante documento
approvato all’unanimità del comitato centrale dell’MSI-DN la
linea politica e il metodo di lotta che le forze nazionali
98
Ibidem.
75
dovranno adottare nell’ormai breve termine di tempo che
precede le imminenti, importanti e forse decisive scadenze
elettorali, disponendo una tattica difensiva elastica, tenace e
paziente, alternata a rapide sortite e a vigorose reazioni.
Al termine del primo semestre del 1974, anche a prescindere
dall’esito dell’importante competizione elettorale di primavera
è anche prevedibile il maturarsi di una situazione generale di
estrema tensione. Non abbiamo quindi tempo da perdere,
perché in questi pochi mesi dobbiamo preparare il partito ad
ogni tipo di evenienza 99 .
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
99
S. f., ‘La strage è opera del MSI!’, “Lotta continua”, 29-05-1974. Il contenuto della
circolare è riportato a anche in: S. f., Strage. La federazione del MSI di Brescia
d’accordo con la direzione nazionale, annunciava fin da gennaio ‘un periodo di
estrema tensione’. Il testo integrale di una circolare, “Il Manifesto”, 29-05-1974.
76
Come alle Fosse Ardeatine
“Avanguardia operaia” aveva – in misura più marcata degli altri fogli –
l’abitudine di paragonare gli atti terroristici del presente con quelli che
avevano segnato la storia nazionale. Il settimanale era anche molto attento
a rapportare la violenza politica italiana a quella riscontrabile oltre confine.
Un suo significativo intervento – intitolato Come alle Fosse Ardeatine –
mise appunto in relazione lo scenario di piazza Loggia con quello del 1944
che aveva visto la fucilazione da parte delle truppe tedesche di 335 cittadini
italiani, ma anche con quelli della strage alla Banca Nazionale
dell’Agricoltura di Milano e delle ingiustizie del regime cileno:
La canaglia che ha ideato, organizzato ed eseguito l’attentato,
ha dimostrato la stessa cupidigia di sangue e di stermino del boia
Kesselring che decise l’eccidio delle Fosse Ardeatine nel 1944 e
del boia Pinochet che ha guidato le stragi cilene del 1973. I
criminali di Brescia hanno dimostrato la stessa vigliaccheria di
Freda e Ventura, autori della strage di piazza Fontana nel
1969 100 .
L’articolo comparò il fascismo storico con l’attività neofascista della
prima parte degli anni settanta, sostenendo che il nuovo pericolo non era
riconducibile alla violenza squadristica dei primi anni venti contro uomini e
sedi del movimento operaio – anche questa protetta dall’apparato statale –
quando assalivano e incendiavano le sedi dei sindacati e le case del popolo,
100
S. f., Come alle Fosse Ardeatine, “Avanguardia operaia”, N. 21, 31-05-1974.
77
ma si ispirava piuttosto all’azione del fascismo delle brigate nere di Salò,
dei campi di concentramento hitleriani, dei massacri organizzati dei
generali cileni, dei bombardamenti dei B52 sulle popolazioni vietnamite 101 .
Una critica particolarmente dura fu rivolta ad Almirante, «l’amico di
Pino Rauti e dei colonnelli greci, l’uomo che ha approvato le stragi di
Pinochet [e] si è affrettato, subito dopo l’eccidio di Brescia, a diffondere
una dichiarazione con la quale ‘condanna’ il crimine» 102 . Era proprio
questa condanna a non essere gradita da “Avanguardia operaia”, perché era
considerata una scelta strategica di ripiego: il leader del Msi non aveva la
possibilità di scaricare le responsabilità sulla sinistra, come aveva fatto in
molte altre occasioni, e doveva allora rappresentare la commedia di una
destra nazionale tanto estranea alle intemperanze delle organizzazioni
estreme – come Ordine Nero, le Sam e Avanguardia nazionale – quanto
sinceramente preoccupata della pubblica sicurezza. Secondo il settimanale,
Almirante avrebbe agito in quel modo perché conscio che la collera
popolare avrebbe presto raggiunto il punto di rottura e che in Italia c’erano
«milioni e milioni di veri antifascisti, di vecchi e nuovi partigiani che
[erano] ben decisi a chiudergli la bocca, a togliere alle canaglie sue pari
ogni agibilità politica, ad agire con decisione affinché lo stesso parlamento
[fosse] costretto a dichiarare fuori legge il MSI-DN» 103 .
I gruppi della sinistra rivoluzionaria avevano sempre osservato con
attenzione l’atteggiamento del Msi e il suo rapporto con la destra estrema,
101
Ibidem.
102
Ibidem.
Ibidem.
103
78
divenuta particolarmente aggressiva dopo il Sessantotto 104 . Gli organi di
stampa di queste formazioni, sin dai loro primi mesi di vita, non avevano
mai fatto mancare le proprie critiche nei confronti di quello che veniva
considerato come un legame diretto tra i due diversi piani politici. Nel
corso del tempo, tali accuse erano diventate maggiormente serrate ed
avevano preso di mira le connessioni venutesi a creare tra l’area neofascista
e il disegno governativo: il principale oggetto della loro critiche divenne
allora la Democrazia cristiana, considerata la vera responsabile della
reviviscenza del fascismo, abile nel manovrare il Msi e la destra
extraparlamentare per espletare la propria strategia anticomunista 105 .
L’inequivocabile politicità della strage di Brescia aveva però fatto fare un
balzo in avanti all’insofferenza della sinistra rivoluzionaria che, sui suoi
giornali, oltre a continuare la martellante denuncia del legame Dc-Msidestra extraparlamentare, ingaggiò una battaglia accesissima con l’obiettivo
di mettere fuori legge il partito dei neofascisti 106 .
Secondo “Avanguardia operaia”, nei giorni immediatamente successivi
all’attentato di piazza Loggia, i rapporti diretti tra le figure della ‘destra
nazionale’ e i terroristi che piazzavano le bombe divennero ancora più
104
È utile ricordare che “Lotta continua” aveva avviato già dalla fine del ’70 la
pubblicazione di un Rapporto sullo squadrismo teso a smascherare i componenti, gli
appoggi esterni e le trame dei gruppi d’estrema destra.
105
Cfr. S. f., Anticomunismo democristiano e terrorismo fascista, in «Movimento
Studentesco» (trimestrale), n. 5, luglio 1974, pp. 95-109.
106
Anche Nicola Tranfaglia ha sostenuto che vi fosse una sorta di unità d’azione – con
differenziazione dei compiti – tra i gruppi neofascisti e il Movimento Sociale Italiano.
Cfr. N. Tranfaglia, Cosa significa oggi antifascismo, in L. V. Majocchi (a cura di),
Rapporto sulla violenza fascista in Lombardia. Testo integrale della Relazione della
Commissione di inchiesta nominata dalla Giunta della Regione Lombardia, op. cit., p.
XX. Cfr. anche P. Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento sociale Italiano,
Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 167 sgg.
79
chiari. Le rivelazioni di Nico Azzi – il quale avrebbe avuto il compito di
provocare una grande strage per permettere ad altri squadristi, come Franco
Maria Servello e Ciccio Franco, di scatenare un pogrom a Milano –
sembravano dimostrare l’impossibilità di stabilire una chiara divisione tra
neofascisti delle diverse tendenze ed organizzazioni. Per il settimanale, se
esisteva una differenziazione tattica tra i fautori della politica di semplice
condizionamento della Dc e quelli che tentavano di giocare un ruolo più
autonomo, non era così netta come avrebbero voluto «far credere i borghesi
che si adoperano in mille modi per far ‘accettare’ il MSI-DN dal quadro
democratico-istituzionale» 107 . Se una distinzione poteva essere fatta, non
era tra Msi ed organizzazioni esterne, ma tra i vari schieramenti interni allo
stesso partito. In ogni caso, non si sarebbe dovuta compiere nessuna
distinzione perché i vari punti di vista eversivi erano «tutti da colpire, in
blocco e nella maniera più dura» 108 .
L’articolo proseguì evidenziando che – dopo la bruciante sconfitta
subita da Fanfani e da Almirante con il referendum sul divorzio – era stato
lo schieramento inizialmente meno convinto della possibilità di attuare un
‘golpe strisciante’ o di far conseguire una vittoria al ‘minigollismo
fanfaniano’ a prendere la decisione di rilanciare la sua funesta attività. Le
persone coinvolte non avrebbero avuto niente da perdere ma tutto da
guadagnare, potendo contare su cospicui finanziamenti di grossi capitalisti
e sulla protezione di ampi settori dell’apparato statale. L’unico intoppo che
si sarebbe potuto verificare era l’arresto di qualche ‘manovale del tritolo’.
Seguendo questa logica, il rilancio della strategia degli attentati appariva
come una mossa quasi scontata 109 .
107
S. f., Come alle Fosse Ardeatine, cit.
108
Ibidem.
Ibidem.
109
80
In tale progetto – continuò “Avanguardia operaia” – Brescia rivestiva un
ruolo decisivo. La morte di Silvio Ferrari, pochi giorni prima della strage di
piazza Loggia, era per esempio un segnale che non avrebbe dovuto essere
sottovalutato. Inoltre, l’indifferenza delle forze dell’ordine aveva
dimostrato che i gruppi reazionari potevano contare su una tranquillità
d’azione garantita dalle figure istituzionali italiane, le quali, pur essendo a
conoscenza di una serie di elementi utili sugli obiettivi del piano eversivo,
non avevano voluto intervenire110 .
Per il settimanale di agitazione comunista, il lassismo degli organi
preposti a garantire la sicurezza della popolazione italiana era così divenuto
uno dei punti di forza della strategia dell’eversione:
Questi fascisti sanno che ci saranno sempre un Leone o un
Fanfani che anche di fronte a sei lavoratori massacrati da una
bomba nera, non sapranno fare di meglio che rilanciare la triste
teoria degli opposti estremismi. Sanno che tutti i fautori della
strategia della tensione non puntano tanto a risolvere il problema
di un capovolgimento dei rapporti di forza tra le classi con una
singola impresa terroristica, ma piuttosto mirano a creare un
110
Ibidem. Questo argomento era stato sostenuto anche alla Camera dei deputati. Cfr. le
parole del socialista Vincenzo Balzamo: «A Brescia tutti temevano qualcosa di grave
dopo la morte del giovane fascista salato in aria con la sua moto mentre trasportava
esplosivo. Tutti temevano e tutti ne parlavano! Perché allora non è stato predisposto
un adeguato sevizio di sorveglianza nella piazza, prima e durante la manifestazione?».
‘Discorso di Vincenzo Balzamo alla Camera dei deputati, 28-05-1974’, in AA. VV.,
La strage fascista di Brescia. Dibattito parlamentare. Discorsi, articoli e
interrogazioni dei rappresentanti del Partito socialista italiano, Roma, SETI, 1974, p.
7.
81
clima pesante, a logorare le masse popolari, a determinare
un’attesa di ordine a qualunque costo 111 .
Secondo “Avanguardia operaia” l’esistenza di uno stretto intreccio tra le
esigenze politiche dei democristiani e gli obiettivi dei gruppi neofascisti
non poteva più dunque essere messo in discussione. Proprio quell’esempio
di connivenza avrebbe potuto però essere utilizzato come elemento di
riflessione per meglio comprendere altre realtà, come quella cilena, dove la
predisposizione all’omertà di Eduardo Frei lo aveva portato a giocare al
golpe con i generali, anche se poi era stato eliminato dal gioco all’ultimo
momento. Inoltre, soltanto una prospettiva politica intrisa di omertà
avrebbe potuto spiegare l’atteggiamento della Democrazia cristiana, ertasi a
protettrice dei nostalgici del fascismo per tutto il trentennio repubblicano.
Tramite queste agguerrite considerazioni veniva tratta un’indicazione per
tutto il movimento antifascista: i gruppi neofascisti non dovevano essere
sottovalutati perché erano inseriti nel sistema di potere della borghesia e
dell’imperialismo americano ed erano abbastanza forti da spingere il
movimento operaio sulla difensiva112 . Per questo dovevano «essere
attaccati nel modo più audace, con lo schieramento più largo possibile e
con l’azione diretta» 113 .
Una mobilitazione di quel tipo – ribadì l’articolo – sembrava allora
realizzabile in Italia perché nel paese c’era una schiacciante maggioranza
antifascista. Il momento era particolarmente opportuno per le forze che
111
S. f., Come alle Fosse Ardeatine, cit.
Cfr. S. f., DC e USA alle spalle dei fascisti, in «Movimento Studentesco» (mensile),
n. 33, giugno 1974.
113
S. f., Come alle Fosse Ardeatine, cit.
112
82
combattevano contro lo schieramento neofascista. Le masse democratiche
si mobilitavano spontaneamente per togliere ai gruppi reazionari la
possibilità di agire, per fare in modo che stragi come quella di piazza della
Loggia non accadessero mai più. Si sarebbe allora dovuto approfittare della
sensibilità popolare per ‘smascherare’ la Dc e chiarire a tutti i cittadini
italiani che il ‘partito clericale’ non era intenzionato ad eliminare i propri
legami con i la destra eversiva 114 .
La conclusione a cui portavano le riflessioni del settimanale non
lasciavano spazio a dubbi di sorta: in quella fase storica – caratterizzata
dalla forte valenza politica della bomba bresciana – la responsabilità di
classe della sinistra rivoluzionaria non poteva limitarsi all’organizzazione
di qualche corteo. Essa doveva spingersi fino alla realizzazione di una
svolta definitiva:
Questa volta il nostro impegno antifascista militante non può
esaurirsi in qualche giornata di mobilitazione, in tanti discorsi e
in qualche azione esemplare. Dalla strage di Brescia deve partire
un impegno più deciso e più concreto: la mobilitazione finirà
soltanto quando i fascisti saranno messi fuorilegge, sulle piazze
della mobilitazione popolare ancora prima che in Parlamento 115 .
114
115
Ibidem.
Ibidem.
83
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
84
La collera popolare
Man mano che le ore passavano, la valenza politica della strage di
Brescia era sempre più tangibile. I fogli della sinistra rivoluzionaria furono
pronti a recepire lo sgomento della popolazione e ad evidenziare le prese di
posizione della cittadinanza nei confronti del regime democristiano 116 .
Naturalmente, nella stesura degli articoli i toni continuarono ad essere
molto accesi e le notizie furono riportate con un’enfasi che tendeva a
strumentalizzare lo sconcerto generalizzato della popolazione e a
presentarlo come un espressione della vicinanza delle masse ai gruppi della
sinistra extraparlamentare. Tuttavia, questa era un’operazione che si limitò
ad approssimare per eccesso il valore politico di una partecipazione
popolare che, nel suo complesso, si richiamava direttamente alla forza
ideale – ma anche idealizzata – della lotta di liberazione e che spesso, in
quei momenti di massima tensione, si avvicinava istintivamente a quelle
pulsioni politiche che per il composito settore politico oggetto di questo
studio costituivano invece il fondamento stesso della propria esistenza 117 .
116
Cfr. queste titolazioni di prima pagina: Una mobilitazione di popolo tra le più grandi
del dopoguerra grida di farla finita col fascismo, si indirizza contro la Dc e il suo
regime, vede schierati in prima fila gli operai contro la linea di governo e la crisi del
paese. Da Milano a Napoli, dalle città alle province, la protesta diventa furore di
massa, “Il Manifesto”, 30-05-1974; In milioni nelle piazze, per far giustizia dei
fascisti e dire che la misura è colma, “Lotta continua”, 30-05-1974.
117
Questa interpretazione è corroborata dalla descrizione di quelle giornate effettuata da
R. Chiarini e P. Corsini. Secondo i due storici, nonostante il Consiglio comunale e
provinciale – con l’appoggio di tutte le forze politiche antifasciste – cerchino di dare
uno sbocco unitario-istituzionale alla mobilitazione popolare, «la direttrice che anima
il ‘movimento’ e che riesce ad imprimere la connotazione di fondo al clima dei giorni
successivi alla strage fino ai funerali, punta […] ad una ‘sostituzione’ dell’apparato
dello stato che culmina in una sorta di ‘conquista’ della città». Id., Da Salò a Piazza
85
Due giorni dopo la strage, dalle colonne de “Il Manifesto” Luigi Pintor
osservò che era giunto il momento in cui le cose dovevano cambiare in
modo permanente perché «anche chi [aveva] chiuso gli occhi per non
vedere la qualità nuova del voto del 12 maggio non [poteva] chiuderli di
fronte alla risposta che milioni di persone, anzi tutto il paese, [avevano]
dato alla strage fascista di Brescia» 118 . Pintor chiese ai suoi lettori di
riflettere sugli elementi che rendevano particolarmente significativo quel
momento di violenza reazionaria: non si trattava solo dell’imponenza dello
sciopero e delle manifestazioni di massa che l’avevano accompagnato, ma
«di un clima e di una sostanza diversa da altri sussulti antifascisti del
passato» 119 . Nell’articolo venne sottolineata la coesione della popolazione
ed il forte ruolo giocato dalla classe operaia che con la propria
partecipazione voleva esprimere un sentimento di collera contro la ferocia
dell’attentato bresciano 120 . Secondo Pintor, la mobilitazione popolare aveva
prima di tutto il valore di una reazione consapevole e d’avanguardia alla
crisi che stava vivendo la nazione, contro gli esiti funesti della quale il
fronte operaio e di massa intendeva lottare. Il dirigente de “Il Manifesto”
fece inoltre molta attenzione ad evidenziare il forte autocontrollo del
popolo antifascista; le sue parole tesero tuttavia a legittimare l’impulso che,
in quella situazione di inaffidabilità dei pubblici poteri, poteva portare ad
una forma di reazione diretta contro le centrali neofasciste 121 .
Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974),
op. cit., p. 341.
118
119
L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, “Il Manifesto”, 30-05-1974.
Ibidem.
120
Cfr. anche S. f., Brescia. Decine di migliaia di persone in piazza della Loggia, la
piazza della strage, a portare il cordoglio e l’impegno antifascista, “Il Manifesto”,
30-05-1974.
121
L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, cit.
86
Anche in questa occasione, il fatto che un foglio come “Il Manifesto” –
che non era certo il più radicale tra gli organi della sinistra
extraparlamentare – si sentisse autorizzato a fare concessioni di principio
nei confronti di prese di posizione violente, la dice lunga sul clima che si
respirava in quei giorni. D’altronde, è da tenere costantemente in
considerazione che il sentimento scaturito dalla risposta al gesto terroristico
di piazza Loggia aveva permeato di sé l’intera società italiana, tanto da
rimettere in discussione i rapporti di potere consolidati e da potersi definire
«una sorta di Sessantotto locale» 122 .
“Lotta continua” descrisse le manifestazioni del giorno successivo
all’esplosione della bomba come un evento di proporzioni epocali, che
provava il nuovo spirito rivoluzionario della popolazione antifascista:
Milioni e milioni di persone hanno sfilato ieri nelle strade,
hanno gridato la loro volontà di giustizia antifascista, hanno
riempito le piazze. Mai, a nostra memoria, si era registrata una
simile presenza di massa nelle piazze in una giornata di lotta.
[…] Il movimento di classe e democratico ha dimostrato di che
pasta è fatto, di fronte a chi lavora per ricattare e intimidire con
le bombe, con le stragi vigliacche, con la morte più feroce
seminata fra donne bambini, lavoratori. […] E c’è, in questa
forza di massa, una determinazione nuova, diversa da quella di
tanti altri momenti in cui pure il movimento antifascista è stato
122
G. Porta, C. Simoni, op. cit., p. 23.
87
chiamato a rispondere; c’è la convinzione che la misura sia
colma, che una trasformazione profonda è matura 123 .
Osservando gli interventi dei fogli della sinistra rivoluzionaria di quei
giorni, appare dunque distintamente la convinzione dei loro redattori di
trovarsi di fronte ad un cambiamento senza precedenti – che si sposava con
l’illusoria persuasione di essere poco distanti da un mutamento
rivoluzionario della società italiana. Le cose non avrebbero più potuto
essere come prima e ciò sarebbe stato dimostrato dal processo di
dissoluzione degli argini tradizionali dell’unità antifascista che si stava
verificando in quelle ore e che aveva portato le masse a fischiare i
rappresentanti della Dc, facendo mutare repentinamente atteggiamento agli
«uomini del potere che il giorno prima in parlamento, avevano osato
coprire la barbarie fascista e le proprie complicità politiche con la tesi
mascalzonesca degli opposti estremismi, [i quali avevano invece] dovuto
tacere o cambiar tono di fronte al paese reale» 124 . E la voce del paese reale
era quella delle masse che avevano composto la maggioranza del 12
123
Secondo il giornale, il tragico evento di Brescia aveva fatto maturare nella coscienza
delle grandi masse la volontà di compiere un mutamento rivoluzionario che doveva
coinvolgere in profondità la società: «Fare giustizia dei fascisti di ogni risma,
rovesciare la politica economica del grande capitale e del governo, imporre una nuova
conduzione del potere: questi sono i problemi, l’uno all’altro legati, che stanno nella
coscienza delle grandi masse, che esigono una risposta, che si fanno sempre più
urgenti. Come non riconoscere la profondità e l’ampiezza di questo processo sociale,
la sua potenzialità rivoluzionaria?», S. f., Il polso del paese, “Lotta continua”, 30-051974. Il testo dell’articolo era stato anche utilizzato per la stesura di un volantino
firmato da Lotta continua e intitolato La misura è colma. Cfr. FDFCT/Testimonianze
2/19/35, 30-05-1974.
124
L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, cit.
88
maggio, una parte delle quali – di fronte ad una forte sensazione di
insicurezza amplificata dall’ambiguità dell’atteggiamento degli organi
istituzionali – si stava pericolosamente organizzando per colpire
fisicamente una serie di obiettivi, come le sezioni del Msi, le federazioni
della Cisnal e le sedi del Fuan 125 .
Per cogliere dalla giusta prospettiva le sfumature dell’atmosfera che
contraddistinse quelle giornate è però necessario tenere bene a mente che la
tendenza istintiva a reagire contrapponendo violenza alla violenza non fu
una prerogativa esclusiva della sinistra rivoluzionaria ma coinvolse anche
una parte non trascurabile della cittadinanza scesa nelle piazze a protestare.
A Napoli, per esempio, gli operai e i componenti della base del Pci – i quali
interpretarono la strage di Brescia come un attacco alle loro lotte e alla loro
coscienza antifascista – reagirono con molta durezza. La mobilitazione in
quella città venne vissuta assai intensamente, con coerenza politica ma con
una asprezza di toni raramente raggiunta prima di allora. Per le strade del
centro «ogni volta che si spargeva la voce di una sezione fascista colpita
erano abbracci, salti di gioia, e una festa collettiva» 126 . Anche Roma
125
S. f., ‘Msi fuorilegge, no alla Dc che lo protegge’ è stata la parola d’ordine delle
manifestazioni, “Il Manifesto”, 30-05-1974. Per Movimento Studentesco
l’insofferenza delle masse antifasciste nei confronti della Democrazia cristiana doveva
essere convogliata in un più vasto programma democratico: «Battere tutti i
provvedimenti reazionari dei governi DC e della borghesia internazionale, che
puntano allo scavalcamento delle stesse libertà costituzionali, costruire momenti di
democrazia progressiva, difendere concretamente i lavoratori dal terrorismo
economico non è un complemento ma il fondamento della lotta e della vittoria
antifascista». Prefazione all’opuscolo Movimento Studentesco (a cura di), 28-5-1974.
Strage di piazza Loggia. La violenza fascista a Brescia, 30-05-1974.
FDFCT/Testimonianze 2/16/4.
126
S. f., La stessa maggioranza dell’8 febbraio e del 12 maggio spazza da Napoli le
sedi fasciste, “Lotta continua”, 30-05-1974.
89
rispose in modo molto partecipe: quattrocentomila cittadini romani
manifestarono dal Colosseo a S. Giovanni. C’erano migliaia e migliaia di
bandiere rosse e di striscioni portati prevalentemente da gruppi di operai di
Roma e del Lazio, ma anche da appartenenti ad altre categorie, dagli statali
agli ospedalieri agli studenti. Gli interventi pronunciati dagli esponenti
democristiano, socialdemocratico e liberale furono coperti da sonori fischi
e slogans che salirono da tutta la piazza mentre «batteva precipitosamente
in ritirata l’unica bandiera scudocrociata presente» 127 . Alcuni gruppi si
diressero poi verso varie sedi del Msi per attaccarle, lottando contro le
cariche e i candelotti dei carabinieri. Particolarmente irruenti furono le
azioni di un gruppo di antifascisti provenienti dai quartieri proletari, da
Primavalle a Garbatella. “Lotta continua” confermò la sua radicalità
dimostrandosi compiaciuta dell’aggressività con cui «Roma proletaria,
democratica e antifascista [aveva] detto di nuovo NO, a 15 giorni dal
referendum, al terrorismo fascista» 128 . A Milano, al grido di ‘Morte al
fascio’, «oltre un milione di lavoratori in sciopero [avevano invece]
paralizzato per quattro ore tutta la città» 129 . Un forte spirito d’insofferenza
alle trame fasciste – sostenne “Il Manifesto” – accomunava così tutta la
127
S. f., Grandiosa risposta dei proletari romani. In 400 mila dal Colosseo a S.
Giovanni. Distrutte numerose sedi fasciste, “Lotta continua”, 30-05-1974. Secondo “Il
Manifesto”, furono applauditi calorosamente solo i rappresentanti dei sindacati, Lama,
Macario e Vanni, e dei partiti della sinistra, Amendola per il Pci, Mariotti per il Psi,
Ferrarirs per il Pdup-Manifesto. Cfr. S. f., Roma. Tutta la città in piazza. Corteo al
grido di “Lotta di classe contro i fascisti, fuori dal governo compagni socialisti”.
300.000 al comizio a San Giovanni. Distrutte alcune sedi del Msi, scontri con la
polizia, “Il Manifesto”, 30-05-1974.
128
S. f., Grandiosa risposta dei proletari romani, cit.
S. f., Milano. Sei cortei operai, 250.000 in piazza. La polizia spara ad altezza
d’uomo contro i dimostranti di fronte alla sede del Msi. Collera e tensione per la
strage di Brescia nelle strade e nelle fabbriche, “Il Manifesto”, 30-05-1974.
129
90
penisola e «in molti centri, del nord e del sud, la collera popolare si [era]
trasformata in furore» 130 .
130
S. f., Milioni di persone in piazza, in tutte le città d’Italia, per ripetere più forte il no
del 12 maggio: no al fascismo, no alla Dc. Gli operai ovunque guidano i cortei.
Distrutte e incendiate decine di sedi dell’Msi, “Il Manifesto”, 30-05-1974. Per avere
un’idea dell’estensione e dell’aggressività della partecipazione antifascista di quelle
ore, cfr. le seguenti titolazioni di colonna: Bologna. ‘Morte al fascismo’, grida il
sindaco davanti ai centomila di Piazza Maggiore. Incidenti al termine del comizio;
Napoli. Più di 200.000 in piazza, decine di cortei. Distrutta la sede dell’Unione
monarchica, della Cisnal, del Fuan. Tre ore di scontri sotto la federazione del Msi.
Un delegato dell’Alfa sud al comizio attacca il sindaco dc che parla di ‘opposti
estremismi’; Nuoro. Cariche e fermi contro i compagni che si dirigono verso la sede
del Msi; Taranto. Due cortei di operai, più di 20.000 in piazza; Torino. 100.000 a
piazza S. Carlo; Viareggio. Date alle fiamme carte e striscioni fascisti; Catania. La
città siciliana ha confermato ieri con un imponente sciopero la scelta antifascista del
12 maggio; Bergamo. Più di 15.000 alla manifestazione dei sindacati. Distrutte le
sedi Msi di Bergamo e Lovere; Firenze. Per far parlare un democristiano si
discrimina Enriques Agnoletti, che parla lo stesso e chiede a nome dei partigiani lo
scioglimento del Msi; Como. La polizia carica il corteo sotto la sede del Msi.
Picchiato un giovane socialista; Venezia. 30.000 in corteo di cui almeno la metà
operai. Il petrolchimico fermo 24 ore; Cagliari. In piazza una presenza analoga a
quella per l’attentato a Togliatti nel ’48; Bari. Sciopero al cento per cento; Trieste. In
più di 10 mila sotto la sede del Msi. Anche a Monfalcone imponete corteo; Trento. 15
mila in piazza. I compagni anziani non ricordano di aver mai visto una folla simile;
L’Aquila. Veglia della Flm. 15.000 al corteo e al comizio, in “Il Manifesto”, 30-051974. Il NO di Genova e della Liguria; Trento: 10.000 in piazza contro i fascisti e le
connivenze della DC e dei corpi dello stato; Torino operaia e antifascista si riversa
nelle piazze: fuorilegge il MSI!; Firenze antifascista risponde compatta alla criminale
strage. 100.000 compagni in piazza. In tutta la Toscana decine di migliaia di
compagni in corteo. A Viareggio e Pietrasanta vanno in fumo le sedi del MSI; In tutta
l’Umbria immediata reazione proletaria. 10.000 compagni a Perugia sotto la sede del
MSI; Genova. Piazza De Ferrari completamente piena di almeno 40.000 proletari.
Sonoramente fischiati gli oratori della DC, del PLI, del PSDI. A Savona due cortei
operai autonomi precedono la manifestazione ufficiale. A La Spezia 25.000 compagni
si prendono la piazza; In tutti i centri dell’Abruzzo cortei e manifestazioni. 5.000
91
Di fronte alle azioni violente che si verificarono in quelle ore, le
posizioni
dei
fogli
della
sinistra
extraparlamentare
oscillarono
dall’accondiscendenza all’esaltazione della spontaneità di quei gesti. Certo
i gruppi rivoluzionari non condannarono quello spirito d’iniziativa,
contribuendo – casomai – con la durezza del proprio linguaggio a
fomentarlo indirettamente. Tuttavia, dai loro organi di stampa non
partirono mai appelli tesi a spronare risoluzioni violente, in senso fisico.
Sulle loro pagine si trovavano invece spesso riflessioni che additavano
l’elevato tasso di violenza di quei giorni come un indicatore che non
doveva essere sottovalutato dagli organi istituzionali perché dimostrava che
il contesto politico che aveva permesso la strage di Brescia non poteva più
essere tollerato. Nonostante avessero la convinzione di trovarsi in un
momento storico potenzialmente favorevole ai loro progetti rivoluzionari,
queste forze politiche si dimostrarono abbastanza lucide da ammettere che
gli obiettivi sopra i quali dirigere i loro impegno immediato erano altri e
che – in ogni caso – isolate politicamente avrebbero potuto fare ben poco.
compagni a Pescara subissano di fischi la DC. Chiusa la sede del MSI a Teramo;
Latina è antifascista: 10.000 operai scendono in piazza; A Taranto e a Bari gli operai
alla testa di una mobilitazione che non ha precedenti; A Milano la più importante
mobilitazione operaia di questi anni. Centinaia di migliaia di operai, di studenti, di
antifascisti in piazza Duomo. Dalla piazza, oltre 15.000 compagni riformano un corte
che al grido di ‘gli assassini sono in via Mazzini’ si scontra con la polizia sotto la
federazione provinciale del MSI; In tutto il Veneto enormi manifestazioni. Zittiti gli
oratori democristiani. Prolungato lo sciopero in molte fabbriche; La Sicilia si è
fermata con un grande sciopero. 20.000 a Palermo. 10.000 a Catania:provocazione
fascista, appoggiata dalla polizia, viene rintuzzata dai compagni; 20.000 in piazza a
Cagliari. Furiosa carica della polizia a Nuoro davanti alla sede del MSI; Calabria.
7000 proletari in piazza a Reggio. A Cosenza, Catanzaro, Crotone, Castrovillari,
grandi manifestazioni antifasciste; 60.000 in piazza a Bologna, 40.000 a Reggio
Emilia, decine di migliaia in piazza in tutta la regione; A Salerno 20.000 in piazza,
con una forte presenza dei braccianti di Eboli, in “Lotta continua”, 30-05-1974.
92
Per imporre un cambiamento che andasse oltre le sterili pronunziazioni
verbali ripetute in quei giorni ed attivare un processo che conducesse
finalmente alla verità, esse prospettarono allora una insistita azione di tutta
la sinistra, la quale doveva imporre lo scioglimento del Msi, mettere sotto
accusa i corpi dello Stato e i politici responsabili, rimuovere ogni possibile
alibi della Democrazia cristiana e portare alla ribalta la carica antifascista
espressa dopo il tragico evento di Brescia dalle grandi masse 131 .
Pintor – nell’articolo sopra citato – mise sotto accusa la Dc, attaccò
Fanfani e giunse a proporre l’antidoto di una ritrovata unità d’azione delle
sinistre:
Il telegramma inviato a Brescia da Fanfani è scritto da un
mussoliniano, e non solo per il linguaggio, ma per la sostanza:
non osa bollare come fascista la strage, parla solo (e sembra
lamentarsene) di impossibili ritorni al fascismo, ma subito si
riferisce a opposte sovversioni e invoca autorità. Quest’uomo è
utile al fascismo solo in quanto sogna di assumerne, con
correzioni, l’eredità. Vuole «svuotare» la spinta di destra
ponendosi in concorrenza col boia Almirante, perciò se l’è
trovato alleato il 12 maggio, e perciò ne utilizza anche la
131
In una testimonianza raccolta il primo marzo del 1994, Roberto Cucchini – militante
nella sinistra extraparlamentare al tempo della strage (e uno dei feriti di quest’ultima)
– affermava quanto segue: «Io rivendico ancora, a distanza di vent’anni, l’onestà di
fondo di un atteggiamento che portava le forze della nuova sinistra a denunciare la
natura della strage. Se c’è qualcuno che allora ha cercato, pur con i limiti e con le
semplificazioni estremistiche che c’erano in quella nostra generazione, di difendere
quella verità, in fondo sono state le forze della nuova sinistra». In G. Porta, La
memoria difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage.
Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., p. 44.
93
violenza provocatoria per cercare di rafforzare la propria
«autorità», non democratica ma di regime: un regime impastato
di corruzione, di arbitrio, di potenza economica e perciò terreno
di coltura di ogni violenza antioperaia e antidemocratica. Di
nuovo, non siamo noi che teorizziamo collaborazioni e
compromessi con un partito e un regime così fatti, è la strategia
dei grandi partiti della sinistra: ma è una ragione di più perché
proprio questi partiti non si sottraggano almeno tatticamente a
una lotta comune di tutta la sinistra capace di tagliare le unghie
più avvelenate della Dc e del suo gruppo dirigente 132 .
Come si vede, una volta ancora gli stessi partiti del movimento operaio
furono presi di mira per essersi immischiati nelle strategie governative e
per non aver saputo prendere un’adeguata posizione dai palchi delle
manifestazioni cui avevano partecipato 133 . In questo caso, però, le critiche
si proponevano di essere la base di partenza per la costruzione di una nuova
piattaforma comune.
Riferendosi alle manifestazioni romane, “Il Manifesto” rintracciò nella
partecipazione dei dimostranti una spinta ideale di classe che si rivelava
anche attraverso una ferma richiesta ai socialisti di abbandonare il governo:
132
L. Pintor, Ora le cose devono cambiare, cit.
133
Così “Lotta continua”: «Le cose dette dai palchi, è perfino superfluo registrarle.
Comizietti di maniera, sdegno e cordoglio, appelli allo stato perché intervenga, appelli
alle masse perché se ne stiano buone. In pochi casi ci sono state eccezioni. I socialisti
hanno ripetuto le loro litanie periodiche sulla necessità di far pulizia nei corpi separati
dello stato; le hanno dette tante volte, e tante volte abbiamo risposto che sono loro a
funzionare come un’appendice separata dello stato democristiano. […] È difficile
andare a dire agli antifascisti che sarà lo stato a chiudere i covi delle canaglie nere: lo
stato è schierato in armi a difenderle». S. f., Il polso del paese, cit.
94
l’evento venne definito come «una possente manifestazione di sdegno
antifascista del popolo romano» 134 . L’aspetto che più degli altri venne
messo in evidenza, ad ogni modo, era la capacità dell’ideale antifascista di
unire operai, artigiani, impiegati, studenti, donne – alcune delle quali
avevano sfilato dietro lo striscione ‘Movimento femminista contro il
fascismo’ –, rappresentanti delle forze politiche, del Pci, del Psi, del
Manifesto-Pdup, con migliaia di cittadini raggruppati dietro gli striscioni
dei collettivi di Lotta Continua e Avanguardia Operaia 135 . Il quotidiano
comunista dipinse uno scenario colorito in cui la gente stentava a trattenere
l’emozione: molti piansero e una buona parte della folla gridò ‘La Dc è il
mandante’ quando il vicesegretario democristiano Giovanni Marcora –
durante il suo intervento – chiese che fosse fatta rapidamente luce sulle
responsabilità 136 .
134
S. f., Roma. Tutta la città in piazza. Corteo al grido di ‘Lotta di classe contro i
fascisti, fuori dal governo compagni socialisti’. 300.000 al comizio a San Giovanni.
Distrutte alcune sedi del Msi, scontri con la polizia, “Il Manifesto”, 30-05-1974.
135
Ibidem. Per un esempio di impegno democratico femminile che aiuta a comprendere
le dimensioni dell’astio popolare imperversante nelle piazze italiane durante quelle
giornate, cfr. il volantino intitolato Basta con la violenza che uccide le nostre
famiglie! Vogliamo il rinnovamento nelle mani del popolo, del direttivo bresciano
della Lega delle donne comuniste italiane: «Donne, operaie, casalinghe bresciane noi
donne che ogni giorno lottiamo per garantire una vita dignitosa alle nostre famiglie,
un avvenire sicuro per i nostri figli, che ci battiamo per una nuova unità della famiglia
come abbiamo espresso nel voto del 12 maggio, abbiamo visto come tutti i nostri
desideri e i nostri sentimenti di amore e di progresso vengono distrutti di colpo da una
bomba messa in piazza per uccidere i lavoratori. […] Donne, uniamoci ancora più
profondamente in un fronte a fianco degli operai, dei nostri mariti perché giustizia sia
fatta, per far cadere questo maledetto governo protettore dei fascisti»; 29-05-1974.
FDFCT/Testimonianze 2/19/30.
S. f., Roma. Tutta la città in piazza, cit.
136
95
La città ferita al cuore
La partecipazione popolare antifascista che aveva investito tutta la
nazione era – com’è ovvio – particolarmente accorata nella città dove
l’attentato era stato commesso. Qui la mobilitazione di massa coinvolse
uno schieramento politicamente trasversale di cittadini unitisi per protestare
contro l’uso indiscriminato della violenza 137 . Certo, le forze politiche e
sindacali che avevano profuso maggiore impegno durante le manifestazioni
erano quelle legate al movimento operaio, con gli stessi lavoratori quasi
sempre in prima linea. “Lotta continua” sottolineò come nelle ore
immediatamente successive all’esplosione della bomba, al terrorismo
criminale di matrice neofascista si fosse opposta «una mobilitazione
operaia che forse non [aveva] precedenti nella sua storia» 138 . Per rendere
omaggio alle vittime della violenza fascista, il giorno dopo la strage, furono
piantate bandiere rosse ad ogni angolo della strada, le assemblee sui luoghi
di lavoro si riempirono e molte fabbriche vennero occupate. La città fu
letteralmente assediata da una moltitudine di lavoratori convinti a mettersi
137
Cfr. quanto scritto in un comunicato del direttivo bresciano dell’Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia: «Brescia e provincia non cadranno nella trappola della
provocazione, non daranno tregua agli attentatori e nemici della libertà: lo dimostra la
ampia, forte, responsabile mobilitazione di tutti i cittadini senza distinzione di parte»;
30-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/115.
138
S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, “Lotta continua”, 30-05-1974.
Parlando della straordinaria risposta civile e politica dei giorni successivi alla strage,
Gianfranco Porta ha sottolineato che «poche volte nell’intera storia unitaria italiana la
popolazione di una città era più che raddoppiata per l’afflusso di una massa imponente
di popolo che voleva testimoniare la propria solidarietà, l’impegno a respingere quello
che era nitidamente percepito come un attacco alla democrazia e alla convivenza
pacifica del paese, a gridare il proprio sdegno». G. Porta, La memoria difficile.
Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 19741994, op. cit., p. 35.
96
in gioco, a far sentire la propria voce, a dimostrare che non erano disposti a
lasciarsi intimidire dalle strategie reazionarie in atto nel paese:
Chi oggi arriva a Brescia da una qualsiasi delle strade che
conducono alla città, si trova immediatamente di fronte al peso
concreto e tangibile di questa straordinaria mobilitazione
operaia. Ogni fabbrica, ogni officina, ogni luogo di lavoro è
presidiato da picchetti di operai e di impiegati che tengono in
pugno le bandiere rosse. Ovunque si sente la forza di una classe
operaia che si è mossa compatta e ha detto basta, ma che vuole
nello stesso tempo andare avanti su precisi obiettivi, senza
concedere un attimo di tregua all’avversario 139 .
Dal punto di vista dei fogli della sinistra rivoluzionaria, la volontà
antifascista dei cittadini bresciani diventava sempre più consistente col
passare del tempo. Già il giorno successivo alla strage, tale determinazione
aveva manifestato tutta la sua forza alla Camera del Lavoro, grazie alla
partecipazione di migliaia di delegati e operai che, con la loro voce,
avevano disturbato l’intervento ‘moderato’ ed ‘equivoco’ di Giancarlo
Pajetta, richiedendo a pieni polmoni la mobilitazione contro il Msi, contro
il questore, contro il giudice bresciano Giovanni Arcai, considerato dai
gruppi della sinistra extraparlamentare di chiare simpatie neofasciste 140 .
139
S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, cit.
140
Per alcuni elementi che aiutano a comprendere la controversa posizione del giudice,
cfr. V. Marchi, pp. 191-213. Cfr. anche C. Sabatini, Strage di Brescia. Fascismo e
classe operaia, in AA. VV., Piazza Loggia. 28 maggio 1974. Una strage fascista,
Brescia, Cgil, 1994, p. 41.
97
Molte assemblee continuavano inoltre ad essere organizzate nelle fabbriche
bresciane. Quella che coinvolse il maggior numero di persone si svolse alla
Om-Fiat: nel più grande stabilimento della città, quattromila operai
avviarono una discussione alla presenza del ministro Luigi Bertoldi e del
membro della direzione del Pci Ugo Pecchioli, votando infine una lunga
mozione che non lasciava alcun spazio agli equivoci. Bisognava colpire gli
esecutori e i mandanti della violenza nera partendo dall’attivazione di
iniziative concrete tese a mettere fuorilegge il Msi, e occorreva dimostrare
il proprio spirito di solidarietà di classe aprendo una sottoscrizione in
favore delle vittime del massacro 141 . Anche alla seconda fabbrica di
Brescia, la Sant’Eustacchio, dopo una discussione a cui era intervenuto
anche Franco Bolis della segreteria nazionale di Lotta Continua,
l’assemblea votò all’unanimità una mozione nella quale si chiedeva un
141
Cfr. l’ordine del giorno del 29 maggio approvato dall’assemblea permanente dei
lavoratori della fabbrica bresciana: «L’assemblea dei lavoratori della OM-FIAT di
Brescia, riunita in permanenza nella giornata del 29 maggio in seguito alla strage di
Piazza della Loggia provocata da una bomba fascista, CONDANNA coloro che –
esecutori, mandanti e protettori – hanno mostrato la precisa volontà di arrestare il
processo di crescita democratica affermato dalle lotte operaie, RIVENDICA precisi
interventi per far luce sul disegno reazionario in atto e su tutti coloro che lo
sostengono direttamente e indirettamente. In questo senso l’assemblea dei lavoratori
della OM-FIAT di Brescia CONDANNA l’operato delle forze dell’ordine che hanno
effettuato perquisizioni nelle abitazioni di lavoratori militanti e dirigenti sindacali,
contribuendo a creare in tal modo un clima di confusione e di incertezza attraverso il
quale si facilita la realizzazione di un disegno di restaurazione autoritaria. Per questo
l’assemblea dei lavoratori della OM-FIAT di Brescia RIAFFERMA la volontà di
contrastare tale disegno anche attraverso la conclusione del processo di unità
sindacale; PROPONE a tutti i lavoratori e alle forze democratiche iniziative atte a
mettere fuori legge il MSI-DN. DECIDE di manifestare una forma di solidarietà
concreta con le famiglie dei caduti, aprendo una sottoscrizione fra tutti i lavoratoti
della OM-FIAT ed invita tutti i consigli di fabbrica a trasferire l’iniziativa a tutta la
provincia». FDFCT/Testimonianze 2/19/29. Cfr. anche ASCD/144/PL I 06.
98
preciso impegno politico ai parlamentari del Psi e del Pci perché si facesse
tutto il possibile per ottenere la chiusura delle sedi dei gruppi neofascisti di
Brescia, l’allontanamento del questore Mastronardi e la messa fuorilegge
del Msi 142 . All’Idra – una fabbrica in cui si erano spesso manifestate
collusioni tra padroni e gruppi d’estrema destra, nella quale, in quelle ore,
si poteva dunque riscontrare una notevole aggressività antifascista –, «gli
operai [assunsero] un solenne impegno in assemblea per l’epurazione della
fabbrica dalle carogne nere» 143 .
Una delle critiche maggiormente riproposte sulle pagine dei fogli della
sinistra extraparlamentare si rivolgeva alla grave impreparazione dei corpi
preposti alla sicurezza, che non erano riusciti ad impedire la strage
nonostante l’infuocato clima delle settimane precedenti ne avesse
annunciato
l’imminenza.
Questi
organi
di
stampa
sottolinearono
ripetutamente che l’imperizia delle forze dell’ordine e della magistratura
era inesorabilmente confermata dalla direzione delle indagini sull’attentato
di Brescia 144 . Secondo i loro interventi, l’inchiesta condotta nei mesi
precedenti aveva chiarito che la città lombarda era un centro fondamentale
per la strategia della tensione. Tuttavia erano stati raggiunti solo parziali
risultati ed era stata fatta luce soltanto su alcune delle pedine minori di
quelle trame. Gli inquirenti erano arrivati persino ad affermare che non ci si
trovasse di fronte ad una strategia profondamente radicata nel paese, ma ad
un gioco gestito da una semplice banda di delinquenti comuni che non
142
S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, cit. Cfr. anche S. f., Governo.
Oggi al consiglio dei ministri il massacro di Brescia. Si parla di rimozione del
prefetto e del questore. La Dc mira a restringere l’area delle connivenze e chiede un
potenziamento dei corpi separati, “Il Manifesto”, 30-05-1974.
143
S. f., Brescia: bandiere rosse su tutte le fabbriche, cit.
144
S. f., Il vice questore di Brescia confessa gli ‘sbagli’ compiuti nelle prime indagini
sulla strage, “Il Manifesto”, 30-05-1974.
99
potevano nemmeno essere accusati di associazione sovversiva ma solo di
associazione a delinquere. “Lotta continua” insistette sul fatto che le
identità degli industriali bresciani che finanziavano regolarmente le squadre
dell’estrema destra fossero note da tempo e segnalò una lista di nomi di
alcuni di quei potenziali finanziatori. Inoltre, il quotidiano ricordò che
anche se la procura di Brescia era da tempo in possesso di centocinquanta
fascicoli di procedimenti contro neofascisti, questi non venivano nemmeno
considerati e la trama nera veniva lasciata libera di proliferare sotto gli
occhi di tutti 145 .
Per il foglio non c’erano dunque attenuanti che potevano giustificare
l’impreparazione delle forze di polizia e della magistratura, visto che a
nessuno poteva più sfuggire che l’organizzazione del terrorismo neofascista
«negli ultimi anni stava facendo di Brescia la sua base» 146 . E non bastava
che onorevoli democristiani e socialisti chiedessero l’allontanamento di chi,
preposto alla tutela dell’ordine, non aveva provveduto ad organizzare
adeguatamente la sorveglianza alla piazza, o che dichiarassero che
l’assegnamento al giudice bresciano Arcai dell’inchiesta giudiziaria sugli
ultimi tragici eventi non desse alcuna garanzia per il regolare svolgimento
dell’istruttoria. Bisognava invece mettere in moto una strategia
investigativa maggiormente aggressiva. Secondo “Lotta continua”, le
responsabilità erano infatti da ricercare molto più in alto, erano di chi, per
145
S. f., Brescia. ‘Lo sapevano, e non hanno fatto niente per evitarla’, “Lotta continua”,
30-05-1974. Cfr. anche il volantino redatto dal Consiglio unitario dei magazzini Upim
di Brescia: «Non si può tacere il comportamento, quanto mai strano delle forze di
polizia e della magistratura che non hanno saputo compiere il loro dovere demandato
dal dettato costituzionale di difendere i cittadini dagli assassini e di perseguire il
fascismo rinascente»; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/40.
146
S. f., Brescia. ‘Lo sapevano, e non hanno fatto niente per evitarla’, cit.
100
un lungo periodo, aveva «coperto, manovrato, utilizzato i criminali
fascisti» 147 .
Con le critiche lanciate dai propri fogli, i gruppi della sinistra
extraparlamentare si proposero di spingere le indagini in corso ad un livello
di profondità che consentisse di cogliere le dinamiche della strategia
reazionaria nel loro insieme. Un comunicato della Segreteria Politica di
Avanguardia Operaia indicò la necessità di valutare con particolare
attenzione la strage di Brescia, perché aveva segnato una cesura nella
strategia della tensione e, proprio per tale motivo, collegò il recente
attentato alla memoria delle lotte della Resistenza e alle ingiustizie subite
dal popolo italiano da parte delle forze d’occupazione:
La nuova strage fascista di Brescia segna un salto
qualitativo nel terrorismo nero contro le masse popolari e le
organizzazioni del movimento operaio. Non ha precedenti nel
nostro paese se non nel periodo dell’occupazione nazista. Come
a Marzabotto, come alle Fosse Ardeatine, come negli
innumerevoli eccidi con i quali si tentò, invano, di fermare la
lotta partigiana, anche a Brescia i criminali fascisti hanno
giocato la carta della strage, del massacro. A differenza di altre
occasioni hanno preso di mira direttamente e apertamente, una
grande manifestazione popolare indetta unitariamente dalle
organizzazioni sindacali con l’adesione di tutte le forze
politiche antifasciste 148 .
147
Ibidem.
S. f., Spazziamo via i fascisti, fuori legge il MSI!, “Avanguardia operaia”, N. 21, 3105-1974. Com’è stato precedentemente notato, la manifestazione era in realtà stata
organizzata dal Comitato Antifascista Bresciano – in una riunione avvenuta il 22
148
101
Per il settimanale di agitazione comunista, la bomba di piazza della
Loggia poteva anche essere vista come una risposta dei gruppi neofascisti
alla sconfitta da essi subita, a causa della Dc, con la vittoria dei no al
referendum: l’obiettivo degli autori della strage sarebbe dunque stato
«quello di seminare il terrore, determinare un riflusso difensivo e quindi
impedire che, sulla base dei risultati del 12 maggio, le masse popolari
[partissero] alla controffensiva su tutti i terreni» 149 . Tale progetto non
avrebbe però tenuto conto – sempre secondo l’articolo – della forza della
classe operaia che, corroborata dalla mobilitazione studentesca, si era
dimostrata pronta a far sentire la propria voce tramite l’occupazione delle
fabbriche, le azioni di sciopero generale e le manifestazioni di massa. Era
proprio in quel particolare contesto che – sostenne “Avanguardia Operaia”
– occorreva «non limitarsi alla protesta sia pure appassionata e vibrata […]
ma, al contrario, agire, uniti, decisi e con immediatezza, per far pagare ai
fascisti il loro nuovo efferato crimine» 150 . Bisognava essere determinati,
togliendo ogni agibilità politica ai gruppi neofascisti e costringendo il
Parlamento a mettere fuori legge il Msi-Dn. Secondo il foglio, era arrivato
il momento di fare pagare alla Democrazia cristiana l’appoggio garantito
per trent’anni ai nostalgici del fascismo e di dare vita a comitati antifascisti
in tutto il paese con un preciso programma teso «a ricacciare nelle fogne le
carogne fasciste» 151 . Proprio queste ultime erano viste dalla sinistra
rivoluzionaria, da una parte, come una stampella della Dc e, dall’altra,
maggio – e la Federazione Cgil-Cisl-Uil aveva poi aderito programmando uno
sciopero generale di quattro ore. Il richiamo al legame ideale tra la Resistenza e le
mobilitazioni antifasciste seguite alla strage di piazza Loggia – come si vedrà – sarà
molto frequente sui fogli e sui documenti prodotti dalla sinistra extraparlamentare.
149
Ibidem.
150
Ibidem.
Ibidem.
151
102
come la carta di ricambio della borghesia152 . Per i gruppi rivoluzionari, le
inchieste giudiziarie sulla strage di Stato e sulla ‘Rosa dei venti’ avevano
ampiamente dimostrato che le squadre neofasciste erano foraggiate da
grossi capitalisti e che le trame nere tessute nel nostro paese erano
strettamente connesse ad importanti settori delle gerarchie militari della
Nato, dell’imperialismo americano e dei regimi fascisti di Grecia, Cile e
Spagna 153 . Dal loro punto di vista, allora, ripulire il paese dal fascismo
risorgente significava «colpire con durezza la borghesia [e] spostare in
avanti i rapporti di forza tra proletari e borghesi» 154 . Per fare ciò occorreva
però muoversi con solerzia, battendo il ferro fin tanto che era caldo, perché
152
Cfr. il contenuto di un volantino del Movimento Studentesco: «Gli assassini fascisti
con la complicità degli apparati statali e delle forze dell’ordine, scatenano contro le
masse l’assassinio e la provocazione. L’orrenda strage di Brescia è un attacco contro
la classe operaia le masse popolari giovanili studentesche. L’imponente risposta
popolare bresciana e nazionale ha gettato nel più totale isolamento gli esecutori, i
mandanti, i finanziatori degli assassini fascisti. Continuiamo la mobilitazione per
l’immediato scioglimento del MSI e delle bande fasciste ad esso legate.
Rumor ministro di due stragi. La presenza a Brescia di Leone, eletto con i voti fascisti,
e di Rumor, suona come un’offesa alla memoria delle vittime che lottavano proprio
contro il governo e contro il fascismo per una società realmente democratica, e
rappresenta il tentativo di mascherare la violenta politica antipopolare dei governi
guidati dalla DC che hanno la ‘democrazia’ solo sulla bocca mentre nei fatti
sostengono e rappresentano gli interessi del grande capitale e della reazione.
Prepariamo i lavoratori e i giovani a resistere con tutti i mezzi alla violenza
antipopolare e a stroncare l’organizzazione dei fascisti, costruendo e rafforzando
ovunque nelle fabbriche, nelle scuole e nei quartieri i comitati di vigilanza e di lotta
antifascista». Basta con le stragi fasciste. Firma: Movimento Studentesco, 30-051974. FDFCT/Testimonianze 2/19/77.
153
Cfr. T. Maiolo, Brescia. Arrestato un medico fascista. Uno squadrista, già in galera
comincia a fare una serie di nomi. Industriali ‘neri’, “Il Manifesto”, 30-05-1974.
154
S. f., Spazziamo via i fascisti, fuori legge il MSI!, cit.
103
quello era «il momento di saldare l’azione spontanea ed organizzata delle
masse con la necessaria azione militante e decisa delle avanguardie» 155 .
Queste riflessioni tornano ad evidenziare come la durezza di linguaggio
volesse colpire le logiche dello stragismo ma anche l’impianto sociopolitico dentro al quale queste avevano potuto proliferare. La radicalità dei
toni utilizzati da questi gruppi – che si consideravano le avanguardie della
sinistra italiana – è, anzi, comprensibile solo se tiene conto del fatto che le
loro battaglie congiunturali venivano sempre inserite in un sistema teorico
per il quale l’obiettivo ultimo era un cambio strutturale della società 156 .
Per le formazioni rivoluzionarie di sinistra non era dunque il caso di
lasciare il monopolio della sicurezza democratica italiana alla volontà delle
istituzioni che, non solo avevano permesso ai neofascisti di organizzarsi,
ma erano arrivati finanche ad elargire, tramite la legge sul finanziamento
dei partiti, cinque miliardi e mezzo di lire all’anno al Movimento sociale
italiano-Destra nazionale 157 . Il modo per costringere all’azione le istituzioni
155
Ibidem.
156
Si è visto come questa fosse una caratteristica riscontrabile – con alcune distinzioni –
in tutto l’esteso panorama di sigle e ‘gruppetti’ che formava la sinistra rivoluzionaria
post sessantottesca. L’Organizzazione comunista M.L. (Fronte Unito), per esempio,
era fermamente convinta che vi fosse la necessità di arrivare al superamento del
sistema democratico vigente in Italia, per consegnare infine il potere alla classe
operaia. Cfr. il volantino Contro la violenza fascista giustizia proletaria, stilato da
questo gruppo il giorno successivo alla strage di piazza Loggia: «Noi crediamo che
difendersi non basti più, crediamo che non si possa più tollerare lo spargimento di
sangue proletario. È giunto il momento di contrattaccare e quindi di superare questa
democrazia e la difesa di queste istituzioni per marciare vero il potere della classe
operaia e delle masse popolari». FDFCT/Testimonianze 2/19/68.
157
Cfr. il volantino del Pc(m-l)i: «Operai lavoratori per debellare le bombe fasciste,
perché la giustizia popolare giunga severa ed implacabile a punire gli assassini non si
può puntare su questo stato borghese in crisi, occorre far agire la democrazia diretta e
popolare, gli organismi popolari possono e devono svilupparsi come la sola forza
104
era la mobilitazione di massa, e la sinistra extraparlamentare si proponeva
di divenire una guida credibile dello spontaneismo antifascista. In
quest’ottica, venne riservata una particolare attenzione agli operai e agli
studenti nel tentativo di proiettare la loro forza istintiva verso il
raggiungimento di obiettivi concreti. Era proprio in quel momento
delicatissimo della storia italiana – tornò a precisare “Avanguardia operaia”
– che bisognava sfruttare l’impeto popolare suscitato dall’attentato di
Brescia e raccogliere attorno a sé tutte le forze disponibili per «distruggere
per sempre il fascismo nel solo modo possibile: abbattere la società che lo
fa nascere e lo alimenta» 158 .
decisiva della vigilanza e della lotta contro tutti i reazionari, che i consigli di fabbrica
diventino i centri della vigilanza antifascista». Sciopero generale contro il governo
corrotto e protettore dei fascisti; 29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/34.
158
S. f., Spazziamo via i fascisti, fuori legge il MSI!, cit.
105
Democrazia, antifascismo e Resistenza
Nei giorni successivi, la stampa della sinistra rivoluzionaria continuò a
concedere spazio alle riflessioni sul significato della strage bresciana per il
futuro della democrazia italiana. Tra i quotidiani presi in considerazione,
“Lotta continua” seguitò a dare la massima centralità al valore di ‘scontro
di classe’ scaturito dalla risposta popolare all’attentato, mentre “Il
Manifesto” – pur mantenendo un puntuale interesse per l’informazione
relativa alle strategie eversive – indirizzò progressivamente la propria
attenzione verso argomentazioni più generali, come il rapporto tra la linea
politica tenuta dai rappresentanti del movimento operaio e la crisi
economica attraversata dal paese 159 .
“Lotta continua” non poté fare a meno di notare come la partecipazione
popolare politicamente orientata a sinistra non accennasse a diminuire:
Per il terzo giorno consecutivo in piazza della Loggia una
classe intera, quella dei proletari, porta il suo dolore e insieme la
sua forza, la sua unità, la sua coscienza; dalle assemblee nelle
159
Cfr. i titoli di prima pagina: Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati. La
commozione e lo sdegno più profondo si uniscono al più appassionato dibattito
politico fra i proletari, “Lotta continua”, 31-05-1974; In nome della crisi Agnelli
chiede un compromesso a sindacati e opposizione. I carabinieri intervengono contro
un campo paramilitare fascista. Ne esistono da anni, “Il Manifesto”, 31-05-1974.
Vedi anche V. Parlato, Confindustria. La situazione è grave e i prossimi sei mesi
saranno peggiori. Per questo Agnelli chiede una mano a sindacati e Pci, “Il
Manifesto”, 31-05-1974. In ogni caso – come si vedrà – sino alla fine di giugno questi
fogli tornarono con una certa frequenza ad interessarsi della strage bresciana. Nei suoi
interventi, “Avanguardia operaia” continuò a dargli significativo peso almeno fino al
n. 24 del 21-06-1974.
106
fabbriche occupate, dalle scuole, da tutti i luoghi di lavoro, dai
paesi della provincia è un continuo susseguirsi di delegazioni
che, insieme ai fiori, sul luogo della strage portano non solo la
testimonianza
della
propria
collera
ma
la
profonda
determinazione di imporre un radicale mutamento 160 .
Una fiumana di persone aveva sfilato nella piazza con bandiere rosse
che sventolavano e pugni chiusi che si alzavano. Secondo il foglio, era
proprio l’impegno diretto di quei cittadini «l’immagine più chiara della
decisione con cui la classe operaia si [era] posta come protagonista della
mobilitazione antifascista» 161 . Anche gli studenti avevano giocato un ruolo
molto attivo: nonostante la chiusura degli istituti per tre giorni, si erano
ritrovati davanti alle scuole e nelle piazze e avevano riportato nelle loro
assemblee il dibattito a cui avevano preso parte nelle fabbriche. Gli
insegnanti dei sindacati confederali avevano organizzato un gruppo di più
di cinquecento persone: la loro presenza – sottolineò ancora “Lotta
continua” – non era solo una reazione emotiva della categoria più
pesantemente colpita dall’eccidio, ma l’esito di un processo politico ben
definito durante il quale gli insegnanti si erano impegnati a costruire un
rapporto diretto con gli operai e gli studenti 162 . I ferrovieri si erano
mobilitati per favorire una manifestazione di massa che potesse
impressionare il governo e la magistratura, spingendoli a fare il massimo
160
S. f., Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati, cit.
161
Ibidem. Il quotidiano insistette molto sull’intreccio tra rivendicazioni operaie e
sviluppo della democrazia, sostenendo che proprio «nel legame fra lotta di fabbrica e
lotta antifascista [stava allora] il centro di una risposta che continua».
162
S. f., Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati, cit.
107
per individuare velocemente i colpevoli163 . Gli artigiani bresciani avevano
garantito la loro presenza vigile e militante; anche i soldati si erano attivati:
nella caserma Ottaviani venne fatta una colletta e furono organizzate alcune
delegazioni per manifestare in piazza e rendere omaggio alle vittime 164 .
Per i gruppi della sinistra rivoluzionaria, la strage di Brescia aveva
dunque provocato un esteso sentimento di collera nell’Italia democratica, il
quale aveva ampiamente certificato la forza della masse antifasciste. Come
è già apparso dagli articoli fin qui analizzati, i loro fogli cercarono di dare
pregnanza alla nuova coscienza antifascista popolare del post-piazza
Loggia paragonandola allo spirito che aveva animato la lotta di liberazione.
Il richiamo a similitudini tra i due eventi non era però prerogativa esclusiva
dei gruppi in questione165 . L’escalation della ferocia neofascista sfociata
nell’attentato del 28 maggio aveva infatti creato un clima di tensione per
combattere il quale il paradigma resistenziale venne sposato come idealemito a cui ispirarsi per rilanciare una controffensiva dalla stragrande
maggioranza dei partiti politici e dagli organi istituzionali, oltre che da una
fetta molto consistente di opinione pubblica e di cittadinanza non
163
Cfr. il comunicato dei Ferrovieri del 29-05-1974; ASCD/11/PL I C 5.
164
S. f., Brescia. Oggi i funerali dei compagni assassinati, cit.
165
Per una serie di contributi che analizzano – attraverso l’osservazione dei manifesti
politici – i diversi modi di attualizzazione della memoria resistenziale negli anni
settanta, cfr. D. Melegari e I. La Fata (a cura di), La resistenza contesa. Memoria e
rappresentazione dell’antifascismo nei manifesti politici degli anni settanta, Milano,
Punto Rosso, 2004. Cfr., per esempio, quanto scritto in un opuscolo patrocinato dal
Consiglio di Quartiere di Cortine: «La Resistenza continua. Purtroppo ancora oggi
vediamo attentati di opera fascista. Ricordiamo il più recente: Brescia, 28 maggio
1974. […] Dunque il fascismo non è morto. A ventinove anni dalla Liberazione
sparge ancora morte e terrore. La parola fine non esiste. La resistenza deve continuare
contro la violenza e il terrorismo». Cfr. M. Ghidini, 8 settembre 1943, 25 aprile 1945,
28 maggio 1974. Tre date ed un periodo da non dimenticare, 1974, p. 32.
FDFCT/Testimonianze 2/2/1.
108
direttamente impegnata sul piano politico 166 . Non può essere d’altra parte
messo in discussione che la memoria della Resistenza – stiamo parlando di
un evento dall’indiscutibile importanza storica e politica che ha permesso
la costituzione della Repubblica e che, anche attraverso un’altrettanto
innegabile opera di mitizzazione, ha dato maggiore consistenza alla
166
La stessa strage bresciana, d’altronde, fu un chiaro affronto all’ideale antifascista.
Così ha scritto, vent’anni dopo, Manlio Milani: «Ad una riflessione serena appare
chiaro che la rottura dei valori dell’antifascismo era l’obiettivo dell’atto terroristico di
piazza della Loggia. Per questo quella mattina eravamo in piazza della Loggia: perché
avevamo scelto i valori costituzionali dell’antifascismo». Id., Non vittime ma caduti
consapevoli, in AA. VV., Le ragioni della memoria. Interventi e riflessioni a
vent’anni dalla strage di piazza della Loggia, op. cit., p. 19. Come detto, anche le
organizzazioni tradizionali della sinistra richiamarono spesso l’antifascismo
resistenziale. Cfr., a titolo indicativo, le parole del socialista Gildo Adamini: «Il 28
maggio 1974 resterà una data che verrà celebrata dai bresciani come il 25 aprile ’45,
perché i caduti, cui va il nostro pensiero in questo momento, si uniscono idealmente ai
caduti della Resistenza». ‘Discorso di Gildo Adamini all’Assemblea straordinaria del
consiglio regionale lombardo, 30-05-1974’, in AA. VV., La strage fascista di Brescia.
Dibatto parlamentare. Discorsi, articoli e interrogazioni dei rappresentanti del
Partito socialista italiano, op. cit., pp. 14-15. Cfr. anche un volantino della Fgci Bs
che invita alla vigilanza e alla mobilitazione antifascista, in FDFCT/Testimonianze
2/19/37, e uno dei sindacati che insiste sulla necessità di continuare la Resistenza
antifascista, in FDFCT/Testimonianze 2/19/41. Tale richiamo – com’è venuto alla
luce dalle pagine precedenti, e meglio si chiarirà in quelle che seguono – coinvolse
anche le istituzioni e la quasi totalità degli organi di stampa. Naturalmente, ogni
soggetto strumentalizzò quella memoria cercando di ricavarne il massimo del
guadagno politico. Anche se non concernente questo argomento specifico, offre uno
spunto di riflessione l’analisi di Piero Ignazi tramite la quale – nel tentativo di dare
una spiegazione all’elevato tasso di violenza politica che contraddistinse gli anni ’70 –
ha proposto una chiave interpretativa delle vicende nazionali che faccia particolare
attenzione all’«insofferenza delle élite politiche e soprattutto intellettuali rispetto alla
realtà e [alla loro] proiezione verso obiettivi con forti valenze mitico-simboliche nei
quali far convogliare le energie del Paese, anche a costo di travolgere con ogni mezzo
le eventuali resistenze». Id., Gli anni Settanta e la memoria monca, op. cit., p. 388.
109
struttura democratica del nostro paese – abbia avuto un valore fortemente
aggregante durante quelle giornate contribuendo a far sì che un numero
inaspettatamente esteso di persone manifestasse contro una forza tanto più
temibile in quanto semi-occulta 167 . E non possono nemmeno esserci dubbi
sul fatto che l’adesione di massa a quel bagaglio di valori concorse a
167
Il momento della storia del nostro dopoguerra in cui il paradigma antifascista tornò
per la prima volta alla ribalta – mostrando una forte carica di partecipazione dal basso
– fu il luglio del 1960. Com’è noto, durante quell’estate vi fu un’ampia mobilitazione
popolare contro la decisione dell’esecutivo di consentire lo svolgimento del VI
Congresso nazionale del Msi a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Il
governo Tambroni – che, particolare non da poco, aveva potuto prendere vita grazie
all’appoggio determinante dei voti missini – rispose alle manifestazioni con una linea
molto dura che provocò vari morti e fu, infine, costretto a dimettersi. Cfr. G. De Luna,
M. Revelli, Fascismo/Antifascismo: le idee, le identità, Firenze, La Nuova Italia,
1995, pp. 134-141; G. Santomassimo, La memoria pubblica dell’antifascismo, in Id.,
Antifascismo e dintorni, Roma, Manifestolibri, 2004, pp. 287-292. Per un’aggiornata
ricostruzione che consideri l’evoluzione della memoria antifascista e resistenziale
nella storia repubblicana, attraverso il punto di vista delle istituzioni e dei partiti
politici, cfr. F. Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico
italiano dal 1945 ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005; si vedano in particolare le pp.
41-55 dedicate allo scontro tra ‘memoria ufficiale’ e ‘memoria rossa’ che prese forma
appunto sulla scia degli eventi del luglio ‘60. Sul tema si confronti anche N. Gallerano
(a cura di), Fascismo e antifascismo negli anni della repubblica, fascicolo
monografico di «Problemi del socialismo», 1986, n. 7; Id. (a cura di), La Resistenza
tra storia e memoria, Milano, Mursia, 1999. Per un contributo utile a comprendere
l’universo politico-culturale dal cui grembo germogliò poi la posizione della sinistra
extraparlamentare su queste tematiche, cfr. A. Rapini, Antifascismo e Resistenza nelle
riviste della nuova sinistra (1960-1967), in C. Adagio, R. Cerrato, S. Urso (a cura di),
op. cit., pp. 373-411. Dello stesso autore vedi Antifascismo sociale, soggettività e
strategia della tensione, in «900», n. 1, 1999, pp. 145-165. Per due significative
riflessioni – con diverso taglio ed impostazione – sul significato politico della
memoria dell’antifascismo e della Resistenza, cfr. S. Luzzatto, La crisi
dell’antifascismo, Roma-Bari, Laterza, 2004 e R. Chiarini, 25 aprile. La competizione
politica sulla memoria, Venezia, Marsilio, 2005.
110
determinare un’inversione di tendenza nelle dinamiche della strategia della
tensione 168 . Appare indicativo di quel clima di condivisione ideale – in cui
168
Tra gli storici vi è sostanziale accordo nel considerare il 1974 come momento
cruciale della strategia della tensione. A titolo indicativo si vedano gli interventi dei
maggiori studiosi di questi temi, tenuti durante una serie di conferenze organizzate a
Brescia per il trentesimo anniversario della strage di piazza Loggia, ora pubblicati in
Casa della Memoria (a cura di), Brescia: la memoria, la storia. Testimonianze,
riflessioni, iniziative, op. cit. Tra gli altri, vi sono i contributi di Francesco M.
Biscione, Luigi Bonanate, Giovanni De Luna, Giuseppe De Lutiis, Piero Ignazi,
Virgilio Ilari, Nicola Tranfaglia. Su quel momento della nostra storia e, in particolare,
sull’antifascismo di massa scaturito – come raramente è accaduto nell’Italia
repubblicana – in risposta alla strage di piazza Loggia, è necessario riflettere
attentamente se si vogliono comprendere i motivi per i quali si verificò il passaggio da
una stagione contrassegnata dal terrorismo di destra ad una caratterizzata dalle
violenze rosse. Già nel 1980 – nella riflessione precedentemente citata – Guido
Quazza aveva sostenuto che «la strage di piazza della Loggia, in quanto attacco a un
comizio sindacale, deve essere riconsiderato come il vero spartiacque tra due periodi
diversi della strategia della tensione proprio perché coglie la diversa natura ed entità
dell’attacco da sinistra rispetto all’altro». Id., Presentazione a Fondazione Clementina
Calzari Trebeschi (a cura di), op. cit. pp. 16-17. Si veda anche quanto scritto da F. M.
Biscione: «L’ultimo atto della sequela sanguinaria che aveva avuto origine con la
bomba di piazza Fontana fu la strage del treno Italicus (4 agosto 1974;
giudiziariamente insoluta ancorché attribuibile all’area del neofascismo toscano), ma,
[…] era stata la strage di Brescia […] a costituire il culmine di quella che potremmo
chiamare autonomia stragista. Le vittime designate erano le forze dell’ordine in
servizio alla manifestazione, ma l’errore commesso dai neofascisti ebbe effetti per
qualche verso risolutivi: assassinando dei lavoratori presenti a un comizio sindacale,
essi confessavano implicitamente l’origine nera della catena omicida. La strategia
della tensione aveva perso la maschera e si manifestava per ciò che era stata fin
dall’inizio, odio di classe e odio per la democrazia, che però, in questo modo,
rafforzava la mobilitazione popolare e antifascista in difesa delle istituzioni e dunque
diveniva controproducente per lo scopo per cui era stata ideata». Id., op. cit., pp. 112113.
Tutte le maggiori ricostruzioni storiche dell’Italia repubblicana – così come tutte le
riflessioni concernenti la memoria dell’antifascismo – concordano nell’assegnare un
111
gli antifascismi italiani sembrarono davvero trovare una propria unità nella
militanza collettiva dal basso 169 – il comunicato mandato subito dopo
l’esplosione della bomba dalla Federazione Artigiano Bresciano al
Comitato antifascista della città, col quale l’associazione confermò la
propria presenza «a fianco di tutte le forze antifasciste per chiudere la
valore di svolta alla mobilitazione antifascista verificatasi nel luglio del 1960 – della
quale si è già detto più sopra e alla quale gli studiosi hanno dedicato molte pagine.
Questa circostanza ha infatti un valore periodizzante perché allora – dovendo la Dc
abbandonare l’ipotesi di stabilizzare l’esecutivo su equilibri conservatori – il paese si
lasciò alle spalle la stagione del centrismo ed imboccò la strada di un tendenziale
spostamento a sinistra, caratterizzato – sul piano politico – dall’esperimento di centrosinistra. In questo senso, si capisce perché si è spesso sostenuto che «nel luglio del
1960 l’antifascismo consegue forse la sua unica vera vittoria nella storia della
Repubblica» (L. Paggi, Violenza e democrazia nella storia della repubblica, «Studi
storici», n. 4, 1988, p. 946.) Tuttavia, un’altra importante vittoria dell’antifascismo –
premesso che con tale definizione si intende la capacità di quell’ideale di raccogliere
attorno a sé una partecipazione tanto estesa e condivisa da costringere le forze che ad
esso si contrappongono a cambiare strategia e/o a mettersi sulla difensiva –, si
concretizzò proprio nella risposta popolare alla strage di piazza Loggia. Infatti, mentre
il coinvolgimento antifascista del ’60 causò una svolta decisiva nella gestione della
politica visibile, è legittimo sostenere che quello del ’74 ne provocò – come sarà
meglio specificato nelle pagine seguenti – una altrettanto determinante nella
conduzione di quella occulta.
169
Naturalmente, rimaneva una netta separazione tra la dimensione militante
dell’antifascismo e quella celebrativa. G. De Luna ha scritto che «Brescia è un
esempio di come nel nostro paese non esista un unico antifascismo, ma si debba
parlare di antifascismi – così come, del resto, bisogna parlare di fascismi – e si possa
individuare una chiara distinzione fra antifascismo militante e antifascismo
celebrativo, due dimensioni dell’antifascismo che sono sempre state presenti, ma che è
raro vedere delineate con tanta evidenza all’interno di una stessa situazione, di una
stessa vicenda». Id., Il segno delle stragi nell’Italia di oggi. La logica della
separatezza, il mestiere dello storico, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza
Loggia 1974-1994, op. cit., p. 136.
112
strada a qualsiasi tentativo inteso a sovvertire quei valori democratici che la
Resistenza [aveva] conquistato attraverso una grande battaglia ideale» 170 .
È vero, invece, che le formazioni della sinistra rivoluzionaria rivestirono
spesso i paradigmi antifascista e resistenziale di una connotazione
ideologico-classista molto marcata che trovò ben pochi sostenitori al di
fuori di quell’ambiente politico 171 . Esse si credevano le uniche effettive
depositarie dell’antifascismo uscito dalla seconda guerra mondiale e ciò era
non di rado motivo di scontro con le organizzazioni ufficiali del movimento
operaio. Anche nei giorni successivi all’attentato bresciano, i gruppi
extraparlamentari utilizzarono tale convinzione per lanciare una critica alla
sinistra istituzionale. Tuttavia, in quel momento, quella critica voleva
essere costruttiva. È interessante, a questo proposito, il contenuto di un
volantino elaborato da Avanguardia Operaia, nel quale, dopo aver ricordato
che la strage del 28 maggio arrivava dopo cinque anni di strategia della
provocazione, durante i quali le bombe nere erano state mascherate di
rosso, ed aver sottolineato il significato politico di una bomba a Brescia –
170
Il documento era stato spedito anche ai sindacati e alla stampa. ASCD/4/PL I B 1,
28-05-1974. Ma cfr. anche il comunicato redatto da alcuni studenti di Lumezzane che
sosteneva la necessità di «dimostrare e alimentare la LOTTA ANTIFASCISTA» e
quello di un gruppo di giovani del Villaggio Prealpino in cui si ribadiva che
«Antifascismo, significa isolare in tutti i sensi i fascisti!! W l’antifascismo militante».
Rispettivamente in FDFCT/Testimonianze 2/19/64, 28-05-1974; FDFCT/Testimonianze 2/19/52, 03-06-1974.
171
Si può tuttavia affermare che la radicalità dell’opera di controinformazione dei
gruppi della sinistra extraparlamentare contribuì probabilmente a contrastare quelle
resistenze culturali che faticavano ad essere superate e che – come hanno scritto Paolo
Corsini e Roberto Chiarini – fornivano una «rappresentazione fuorviante di un
neofascismo prolungamento residuale di una parentesi chiusa, entità astratta più che
forza concreta, escrescenza di un male morale più che frutto di un percorso storicopolitico». Id., Da Salò a Piazza Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di
destra a Brescia (1945-1974), op. cit., p. 337.
113
medaglia d’argento della Resistenza, centro operaio, ma anche punto
chiave dell’eversione fascista e dei traffici di esplosivo –, il gruppo accusò
l’‘antifascismo governativo’ e consigliò ai partiti della sinistra di riportare
il proprio vicino a quello delle piazze mobilitate, unendosi alla sinistra
rivoluzionaria nella battaglia contro la reazione neofascista:
Noi oggi diciamo che, di fronte a fatti di tale gravità, di
fronte ai fascisti, mostra tutta la sua vuotezza l’antifascismo di
chi parla del fascismo come di qualcosa di estraneo ai padroni, di
un bubbone marcio che non ha nulla a che vedere con lo stato.
Chi ha messo le bombe deve pagarla, ma deve pagarla altrettanto
duramente chi ha parlato di opposti estremisti, chi ha coperto i
fascisti, chi li ha finanziati, e chi li usa. Sdegno, orrore,
isolamento morale non bastano più. I criminali fascisti vanno
eliminati, le loro sedi vanno chiuse, i fascisti, dentro e fuori le
istituzioni vanno estirpati dal nostro paese. Questo è
l’insegnamento che ci viene da una battaglia di trenta anni che il
movimento operaio ha continuato anche dopo il 45. Questa è la
richiesta che è venuta immediatamente ieri da tutte le fabbriche e
da tutti i lavoratori. […] In nome dei compagni caduti ci
rivolgiamo a tutta la sinistra, a tutto il movimento dei lavoratori,
per
costruire
Comitati
Unitari
Antifascisti
che
lottino
apertamente contro il fascismo e contro chi lo copre e lo
protegge, che rispondano con la mobilitazione di massa alle
provocazioni, che si pongano sul terreno dello scioglimento del
MSI, il partito dei fascisti, il partito della bombe, il partito del
boia Almirante 172 .
172
Fuori legge il MSI, 31-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/76.
114
Nonostante l’accesa risposta della popolazione, a pochi giorni dalla
strage di Brescia le squadre neofasciste avevano ripreso le loro aggressioni
e le loro provocazioni. Secondo “Avanguardia operaia”, nella stessa
provincia bresciana, erano addirittura stati organizzati, «con perfetto e
dignitoso stile nazista, veri e propri festeggiamenti per la strage [in] alcune
ville di San Felice [del] Benaco, Salò, e Maderno» 173 . Per il settimanale,
tali episodi non erano casi isolati di nostalgici repubblichini, ma erano la
dimostrazione che la criminalità fascista si era riaffacciata senza alcun
pudore vicino al luogo in cui aveva da poco compiuto un tremendo
massacro. Le violenze neofasciste continuavano però in tutta Italia:
l’episodio più cruento si verificò a Napoli, dove i missini Ermanno e
Antonio Mainolfi spararono a bruciapelo tre colpi di pistola al pensionato
Amedeo Di Pietro 174 ; a Catania una squadra fascista compì un attentato alla
villa dell’assessore socialista Zappalà; a Milano un gruppo di squadristi si
recò con una jeep in piazzale Abbiategrasso, dove erano concentrate molte
scuole, lanciò alcune bottiglie incendiarie e sparò alcuni colpi d’arma da
fuoco; due cunei metallici furono posizionati sui binari della linea SondrioMilano ma, fortunatamente, il treno passato poco dopo sobbalzò senza
deragliare; in numerose altre città arrivarono poi lettere intimidatorie che
“Avanguardia operaia” considerava di ‘chiaro stampo nazi-fascista’, come
alle redazioni di “Paese Sera” e de “L’Unità” di Perugia, alla redazione del
“Mattino” di Napoli e a un settimanale locale di Treviso 175 .
Anche se le angherie neofasciste continuavano ad essere commesse in
tutta la penisola, “Lotta continua” era convinta che i gruppi della destra
estrema si fossero scoperti troppo e che fosse finalmente arrivata la resa dei
173
S. f., Dopo Brescia i fascisti continuano, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974.
174
Ibidem.
Ibidem.
175
115
conti 176 . La sinistra rivoluzionaria e la cittadinanza antifascista avrebbero
però dovuto continuare a fare sentire la propria voce e a vigilare con
attenzione sull’operato delle istituzioni governative. Il 30 maggio Rumor
aveva incontrato i segretari dei partiti costituzionali per discutere sulla
problematica dell’ordine pubblico e il giorno successivo si era riunito il
Consiglio dei ministri con l’obiettivo di trattare le stesse tematiche. La
redazione del quotidiano era convinta che tramite quegli incontri si stesse
tentando di utilizzare le tensioni venutesi a creare sulla scia della tragedia
di Brescia per riportare in attività il fermo di polizia, imponendo al paese
una gestione politica poco attenta al rispetto dei principi costituzionali e
difficilmente conciliabile con le richieste e con lo spirito della popolazione
scesa in piazza 177 .
“Lotta continua” non era disposta ad accettare l’oltraggio di quel
bagaglio di valori e mise ancora una volta in evidenza il proprio
estremismo prendendo le difese di coloro che si opponevano a tale
situazione anche tramite l’utilizzo della violenza:
Questa coscienza popolare è oltraggiata da una legge sul
finanziamento dei partiti che regala miliardi sottratti ai salari di
chi lavora al boia Almirante, […] è oltraggiata da un regime
democristiano che ha appena cercato la sua rivincita reazionaria
proprio nell’alleanza con i fascisti, com’è avvenuto nel
referendum. Questa coscienza popolare è oltraggiata dall’omertà
che induce le ‘autorità’ a dissociare gli ‘estremisti pazzi’ di
Ordine Nero da un partito fascista che ha mandato in parlamento
176
177
S. f., La resa dei conti, “Lotta continua”, 31-05-1974.
Ibidem.
116
il fondatore di Ordine Nuovo, il nazista e terrorista Rauti. Ai
compagni e agli antifascisti che vanno a colpire le tane nere, si
risponde con la polizia, con le sporcizie sugli opposti
estremismi, con le accuse imbecilli di alimentare ‘la spirale della
violenza’. Il proletariato dovrebbe star contento di quella spirale
[…] che va dal massacro fascista alla protesta composta delle
masse a un nuovo massacro fascista. A loro il diritto di
massacrare, a noi il diritto di indignarci. C’è da meravigliarsi se
non ci stiamo, se non ci sta un movimento operaio e proletario
che sa meglio di chiunque come la violenza assassina dei fascisti
non si alimenta di nessuna opposta violenza, bensì dell’odio
feroce e prezzolato contro la lotta della classe operaia e delle
grandi masse, contro la lotta per abolire la società dello
sfruttamento, della miseria, della diseguaglianza e della
oppressione di classe? 178
La radicalità di linguaggio utilizzata da “Lotta continua” colpisce meno
di quella riscontrata in “Avanguardia operaia” e ne “Il Manifesto”, dato che
il gruppo di cui esprimeva le opinioni aveva sempre avuto come sua
prerogativa il ricorso a parole d’ordine particolarmente violente.
Impressiona, ad ogni modo, la disinvoltura con la quale venivano trattati
certi argomenti. Non può essere negato che proprio tale spigliatezza
contribuì al diffondersi di manifestazioni di violenza – che furono
comunque, fortunatamente, poco frequenti – tra i simpatizzanti della
sinistra rivoluzionaria.
178
Ibidem.
117
Per il quotidiano era necessario contrastare le intenzioni di un governo
che, con la scusa di rendere più forte lo Stato, voleva semplicemente far
convergere più soldi, più armi, più potere verso figure come il generale
Miceli, capo del Sid, nei confronti del quale Amos Spiazzi aveva formulato
una chiamata di correo per la ‘Rosa dei venti’; come il generale Mino, capo
dell’Arma dei Carabinieri, il cui nome appariva nell’agenda di uno
squadrista; come il generale Lucertini, ex capo di Stato Maggiore
dell’Aeronautica implicato nelle trame nere padovane. Anche in questo
caso, però, il problema particolare andava inserito in quella che era vista
come una disfunzione generale di sistema: il centro della questione stava
cioè «in quella semplice e vecchia circostanza per cui lo stato borghese è al
servizio del dominio di una classe sempre» 179 .
Proprio per questo – continuò “Lotta continua” – occorreva «la
vigilanza e la mobilitazione di tutto il movimento operaio e antifascista,
che non [poteva] tollerare che la risposta alle stragi fasciste si tramut[asse]
in un alibi per il rafforzamento autoritario e illiberale degli apparati di
repressione statale, che si [sarebbe volto] contro tutto il movimento operaio
e democratico» 180 . Un appello di quel genere andava ad inserirsi nella
storia stessa del gruppo, da sempre in prima fila nelle battaglie
democratiche, a volte da solo, come nei primi giorni dopo la strage di
piazza Fontana e in quello stesso momento nella lotta per l’organizzazione
democratica dei soldati, ma sempre dotato di ciò che veniva dipinto come
la propria maggiore fonte d’impegno democratico: l’autonomia e l’azione
della classe operaia e degli sfruttati. Conscia di quella forza, la formazione
extraparlamentare – alla testa della cittadinanza in quel momento vicina ai
suoi ideali – avrebbe dovuto opporsi alla risposta che le forze politiche
179
180
Ibidem.
Ibidem.
118
parlamentari – comunisti compresi – volevano dare alla crisi, una risposta
che non teneva in considerazione la volontà della popolazione
antifascista 181 .
Per il foglio, le scelte dello schieramento governativo apparivano infatti
inaccettabili e sembravano voler eludere le questioni di fondo che avevano
portato all’attentato di Brescia. Proprio tale atteggiamento era visto come la
principale provocazione delle risposte violente dell’antifascismo:
Il governo, e un’opposizione che glielo consente, risponde
alla strage di Brescia convocandosi per decretare l’aumento degli
organici di polizia, o per aumentare i corpi di polizia e fermare e
interrogare
chiunque.
Che
cos’è
questo
se
non
una
provocazione? È forse per una carenza degli organici che il
prefetto di Brescia e il suo collega questore non hanno saputo
sventare una strage premeditata e preannunciata in piazza
Loggia? È forse per gli scarsi poteri di polizia che gli squadristi
omicidi di Brescia giravano impuniti, e con loro i capitalisti neri
che li finanziano? 182
181
Ibidem. Cfr. anche S. f., Fuorilegge il MSI! I consigli di fabbrica chiedono la messa
fuorilegge del partito di Almirante, “Lotta continua”, 31-05-1974.
182
S. f., La resa dei conti, cit. Su questo punto la risposta di “Lotta continua” era,
naturalmente, molto precisa: lo spazio lasciato alle trame eversive non dipendeva da
una carenza di organici delle forze di polizia, e ciò era anche provato – scrisse
ironicamente il foglio – dal fatto che «i proletari che occupa[va]no le case imboscate,
che picchetta[va]no le fabbriche, che manifesta[va]no per i loro obiettivi, non
[avevano] mai avuto la sensazione che i corpi di polizia fossero troppo pochi, o troppo
male armati».
119
“Il Manifesto” – pur essendo sostanzialmente in linea con queste prese
di posizione – propose un’analisi più ponderata. Secondo il quotidiano
comunista, la mobilitazione antifascista di quelle ore lasciava trasparire non
solo collera ma anche una grande certezza di forza 183 . Quella forza sarebbe
però derivata alle masse antifasciste soprattutto dalla loro maturità, la quale
aveva permesso loro di comprendere la complessità di una situazione che
non avrebbe potuto essere risolta né dalle istituzioni – nello stato in cui si
trovavano in quel momento –, né dai partiti politici – Pci incluso –, né
tantomeno da inutili – anche se comprensibili – episodi di violenza.
Infatti, il foglio sostenne che
[…] questa certezza di forza non ha il segno in cui si
pretende di restringerla, di tranquilla delega alle istituzioni come
sono, al governo come è, alle opposizioni più o meno diverse.
Va oltre perché non affida allo stato, manifestamente incapace
quando non complice, la repressione del fascismo. Oltre perché
non si illude neppure che il fascismo si possa reprimere davvero
con qualche secco intervento popolare contro i covi, le sedi, le
squadracce. Sa che questo fascismo non è un residuo, ma la
risposta violenta che viene da una parte della borghesia, assieme
a più vasti tentativi di restaurazione autoritaria alternati a
ricerche di compromesso, contro l’aggressività d’un movimento
di classe che ne squilibra i limiti di guardia. Sa quindi che lo si
può liquidare solo portandone fino in fondo la crisi e
ricomponendo un equilibrio diverso, sotto diversa egemonia, in
183
S. f., Non solo collera, “Il Manifesto”, 31-05-1974.
120
fabbrica, fuori, a livello dello stato, delle istituzioni, dei
valori 184 .
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
184
Ibidem. È molto significativo anche questo passo dell’articolo: «La temperatura è
alta non solo perché le bande fasciste ripropongono sangue e dolore. È alta perché la
risposta popolare va ormai, oltre di loro, al quadro politico che le esprime, alla crisi
del sistema politico che le secerne, alla pericolosità d’una borghesia malata e d’uno
stato corrotto». Radicalità di toni a parte, questo intervento – come molti altri qui
riportati – espone un’interpretazione dei fatti che è, nella sostanza, in linea con i più
recenti contributi storiografici.
121
Un campeggio sull’Appennino
Due giorni dopo l’esplosione della bomba di Brescia, un’azione dei
carabinieri portò alla scoperta di un campo paramilitare neofascista situato
a Pian del Rascino, sulle montagne del reatino. Sul posto furono trovati tre
giovani legati all’ambiente dell’estrema destra, Giancarlo Esposti,
Alessandro Danieletti e Alessandro D’Intino, il primo dei quali venne
ucciso durante la sparatoria scatenatasi al momento del ritrovamento. La
stampa della sinistra extraparlamentare si distinse per la particolare
attenzione con cui seguì quella vicenda, la quale rivelò molti punti di
connessione con l’attentato bresciano 185 .
Nelle prime ore della mattina del 30 maggio – segnalò puntualmente
“Lotta continua” – erano partite dai paesi di Antrodoco e Fiamignano, in
provincia di Rieti, due camionette dei carabinieri 186 . Arrivati nei pressi del
campeggio, questi avevano dovuto sostenere una scontro a fuoco durante il
quale venne ucciso uno squadrista delle Sam e restarono feriti due
carabinieri. La spedizione era partita grazie ad una segnalazione che
indicava la presenza di uno ‘strano campeggio’ nella zona della Piana di
Rascino. Tra l’altro, un’informazione simile era arrivata ai carabinieri
anche nel giugno dell’anno precedente, ma quando le forze dell’ordine
erano arrivate sul posto i ‘campeggiatori’, presumibilmente i neofascisti del
185
S. f., I carabinieri sorprendono un campeggio-arsenale delle SAM sui monti tra Rieti
e l’Aquila. Gli squadristi rispondono a raffiche di mitra: feriti due carabinieri, di cui
uno grave. Ucciso uno dei fascisti, “Lotta continua”, 31-05-1974; G. Forti, Fascismo.
Scontro a fuoco tra carabinieri e fascisti delle SAM. Un morto, due arrestati. I
terroristi neri venivano da Milano. Preparavano una strage per il 2 giugno a Roma?,
“Il Manifesto”, 31-05-1974.
186
S. f., I carabinieri sorprendono un campeggio-arsenale delle SAM sui monti tra Rieti
e l’Aquila, cit.
122
gruppo Europa Civiltà, erano già spariti. Grazie alle numerose segnalazioni
pervenute alle forze dell’ordine, si sapeva dunque da tempo che quella zona
era uno dei luoghi preferiti dalle squadre neofasciste per i loro ‘allenamenti
alle stragi’; come si sapeva che la ‘vigilanza’ di quell’area spettava al corpo
delle guardie forestali che aveva nella vicina Cittaducale una scuola per
allievi sottufficiali il cui comandante aveva condotto a Roma, nella notte
tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, le sue guardie armate ‘a scopo di
addestramento’, proprio la stessa notte in cui si radunavano nella capitale le
bande del Fronte nazionale per il tentativo golpista gestito da Valerio
Borghese. Sulla base di questi dati, il quotidiano non diede troppa
importanza al pur significativo intervento dei carabinieri e sottolineò invece
che in Italia i campi militari neofascisti protetti o addirittura equipaggiati da
settori dei corpi dello Stato erano ancora molto numerosi187 .
Secondo“Avanguardia operaia”, i commenti della grande stampa
borghese all’indomani del ritrovamento del campo paramilitare stavano
enfatizzando la situazione per far credere alla popolazione che si era
all’inizio di una svolta, che le forze dell’ordine erano all’altezza della
situazione e avrebbero saputo intervenire con decisione contro il terrorismo
nero per stroncarlo una volte per tutte.
Il settimanale di agitazione comunista non accettò quell’interpretazione
– considerata strumentale – e propose una diversa lettura dei fatti:
[…] ad un’analisi più attenta di quanto è accaduto al Pian di
Cornino la mattina del 30 maggio scorso, e soprattutto nelle
indagini successive, sapientemente gestite dalla stampa ufficiale,
l’ottimismo nei confronti della svolta che i corpi di polizia
187
Ibidem.
123
avrebbero adottato nei confronti della lotta al fascismo, si
attenua e lascia spazio ad interpretazioni diverse. A quella, per
esempio, di un’azione organizzata e comandata dall’alto per dare
in pasto all’opinione pubblica alcuni gregari della strategia della
tensione, coprendo ben altre responsabilità e la collusione
esistente tra certi settori delle forze di polizia e dei corpi separati
dello Stato e la provocazione fascista 188 .
“Avanguardia operaia” mise poi in evidenza gli elementi di contatto tra
la sparatoria sull’Appennino centrale e la strage di Brescia. Il primo di
questi era il nesso temporale, visto che i carabinieri avevano proceduto alla
ricerca del misterioso accampamento a nemmeno quarantotto ore
dall’esplosione della bomba di piazza Loggia. Come è appena stato
osservato, nella zona i campi paramilitari d’estrema destra non erano
occasionali e – secondo il settimanale – i missini locali, insieme ai
carabinieri, ne erano ben informati. Proprio i carabinieri sarebbero stati
costantemente in contatto con i missini, come sembrò dimostrare il fatto
che il segretario del Msi di Rieti fosse venuto a conoscenza della notizia
della sparatoria di Pian di Rascino almeno un’ora prima del prefetto della
188
S. f., Dopo Brescia l’autorità corre ai ripari. E saltano fuori i campi SAM,
“Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. I quotidiani nazionali non mancarono di
sottolineare l’importanza delle rivelazioni di Giorgio Zicari, il quale – in un suo
articolo pubblicato il 31 maggio sul “Corriere della sera” – aveva messo in luce
l’esistenza di stretti legami tra la strategia reazionaria e i servizi segreti. Lo stesso
giornalista si rivelò poi essere un collaboratore del Sid. Per una riflessione su tali
questioni, cfr. l’analisi – controversa ma utile – di due giornalisti che all’epoca
seguivano le indagini sulla strage per “Il Giorno” e per il “Corriere della Sera”: A.
Lega, G. Santerini, Strage a Brescia potere a Roma. Trame nere e trame bianche,
Milano, Mazzotta, 1976.
124
città e che nel poligono della villa del neofascista Gianni Nardi, nei dintorni
di Ascoli, andasse ad allenarsi un funzionario di polizia che era in servizio
a Rieti 189 .
Per provare che l’azione dei carabinieri nei confronti del commando
neofascista non poteva essere considerata semplicemente un riflesso
dell’ondata antifascista che aveva coinvolto tutto il paese, ma andava
inserita nel complesso quadro di azioni e reazioni all’interno del quale la
strage di Brescia era disposta in primo piano, “Avanguardia operaia”
espose altre argomentazioni: il fatto che il giorno dopo la strage di piazza
Loggia Kim Borromeo si fosse sottoposto di sua spontanea volontà ad un
lungo interrogatorio con il magistrato inquirente, per esempio, era ritenuto
quantomeno sospetto. Era probabile – sostenne l’articolo – che egli
cercasse di scaricare parte delle proprie responsabilità e di alleggerire la
propria posizione collaborando con la magistratura. Grazie ad una sua
segnalazione, in ogni caso, venne arrestato Walter Moretti, un giovane
medico neofascista bresciano che frequentava campi paramilitari e
collaborava col periodico fascista «Riscossa». E, con tutta probabilità, fu
sempre grazie alle sue rivelazioni che si decise di interrogare un’altra volta
Carlo Fumagalli e di metterlo a confronto con Mauro Colli, arrestato nel
corso delle indagini precedenti alla strage di Brescia, e che alcune
camionette dei carabinieri si avviarono nel mezzo della notte alla ricerca
dell’accampamento sull’Appennino. “Avanguardia operaia” evidenziò
anche il fatto che l’esplosivo trovato nel campeggio Sam avesse le stesse
caratteristiche di quello utilizzato per l’attentato di Brescia: era ad alto
potenziale tecnico, come quello in dotazione ai reparti militari e alle basi
Nato, molto difficilmente reperibile sul mercato e verosimilmente
189
S. f., Dopo Brescia l’autorità corre ai ripari, cit.
125
proveniva dai depositi di Carlo Fumagalli. Per il settimanale c’erano
insomma tutti i motivi per pensare che tra la strage di Brescia e la scoperta
di Pian del Rascino vi fosse «un rapporto di causa ed effetto che li lega[va]
entrambi» 190 .
Anche per “Il Manifesto”, il legame tra i piani perseguiti dal commando
neofascista di Rieti e la strage di Brescia era certo 191 . Il foglio diede
rilevanza alla vicenda relativa al citato confronto tra Fumagalli e Colli,
posto in essere dopo che il giudice istruttore Giovanni Arcai e il sostituto
procuratore
della
Repubblica
Francesco
Trovato
li
avevano
precedentemente interrogati separatamente. L’incontro si era svolto subito
dopo una perlustrazione compiuta il 31 maggio all’Aprica da una pattuglia
di carabinieri guidata dal capitano Francesco Delfino. L’obiettivo della
spedizione era stato quello di perquisire la villa di Fumagalli e una baracca
usata più volte dagli squadristi come punto d’appoggio per le loro
escursioni. La strada era probabilmente stata indicata agli inquirenti da
Giorgio Spedini, il neofascista arrestato il 9 marzo precedente in
Valcamonica con Kim Borromeo. Dopo l’operazione, il capitano Delfino
avrebbe dichiarato le seguenti parole: «Nelle due ville di Fumagalli
all’Aprica
abbiamo
trovato
documenti
e
materiale
relativo
all’addestramento ideologico degli aderenti alle organizzazioni eversive. In
Valtellina abbiamo trovato qualcosa di importantissimo» 192 .
190
Ibidem. Cfr. anche T. Maiolo, Strage. Kim Borromeo ‘canta’ e ritornano in primo
piano gli ambienti veneti. Altri interrogativi sulla polizia bresciana, “Il Manifesto”,
31-05-1974.
191
Cfr. il titolo di terza pagina: Ormai certo il collegamento tra fascisti del campo di
Rieti e la strage di Brescia, “Il Manifesto”, 01-06-1974.
192
S. B., Strage. Altri bombardieri bresciani vuotano il sacco: scoperta, ad Aprica, una
nuova base dei terroristi. Era a Brescia il giorno delle bombe, uno dei fascisti di
126
Le indagini furono estese a Milano, dove ebbero luogo una quarantina
di perquisizioni nelle case dei più noti neofascisti della città 193 . Nonostante
la discrezione con la quale veniva condotta l’indagine, anche per “Lotta
continua” l’ipotesi di uno stretto collegamento tre le trame del gruppo delle
Sam e la strage di piazza Loggia non poteva più essere messa in
discussione 194 . Il sostituto procuratore di Brescia Francesco Lisciotto aveva
dichiarato che uno degli arrestati a Pian del Rascino, D’Intino, con ogni
probabilità si trovava a Brescia il giorno in cui era esplosa la bomba. Anche
il fatto che molti carabinieri ed alti ufficiali fossero partiti dalla città
lombarda per partecipare a una battuta organizzata il 31 maggio sulle
montagne dell’alta Sabina nel tentativo di rintracciare il diciottenne
Salvatore Vivirito, il quarto uomo del commando che aveva evitato il
conflitto a fuoco, faceva pensare 195 . Col passare del tempo si acquisirono
inoltre nuovi elementi che rendevano maggiormente evidente il legame tra
la bomba esplosa a Brescia e la sparatorie sulle montagne del reatino.
Danieletti, uno dei neofascisti arrestati, sostenne che il campo paramilitare
era stato allestito per un semplice addestramento e che non c’era in
previsione nessun attentato, ma tali dichiarazioni non furono considerate
attendibili dagli inquirenti. “Il Manifesto” dette invece spazio alla tesi
Rieti, “Il Manifesto”, 01-06-1974. Cfr. anche S. f., La premiata ditta Fumagalli e C.,
“Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974.
193
Cfr. S. f., Le indagini per la strage di Brescia allargate a diverse città dell’alta
Italia, “Il Manifesto”, 31-05-1974.
194
Cfr. la titolazione di seconda pagina: Nella strage di Brescia confluiscono tutti i fili
delle stragi, degli attentati, delle aggressioni che i fascisti del MSI e quelli di Stato
hanno scatenato contro la classe operaia e il proletariato da oltre 5 anni. Gli
squadristi scoperti a Rascino con quintali di esplosivo confermano che la strategia
della strage non si è fermata a Brescia, “Lotta continua”, 01-06-1974.
195
Cfr. S. B., Strage. Altri bombardieri bresciani vuotano il sacco: scoperta, ad Aprica,
una nuova base dei terroristi, cit.
127
secondo la quale il gruppo stava preparando un attentato da realizzare a
Roma per il 2 giugno: alcune rivelazioni avrebbero infatti indicato che un
industriale bresciano aveva promesso di consegnare quattrocentomilioni di
lire ai terroristi se questi avessero «fatto saltare in aria Leone alla parata del
2 giugno» 196 .
L’inattendibilità delle affermazioni di Danieletti venne successivamente
provata, ma il progetto eversivo dentro al quale si muovevano i terroristi e
le loro motivazioni avevano una configurazione assai più complicata di
quella proposta dal quotidiano 197 . Tuttavia, i fogli della sinistra
extraparlamentare intuirono che i fatti di Rieti e l’allargamento delle
indagini sulla strage di Brescia a gran parte del territorio nazionale avevano
«finalmente sollevato il coperchio del calderone fascista» 198 . Rimaneva
comunque il dato di fatto che la polizia seguitava a non cercare con il
196
G. F., Fascisti. Battuta a vuoto sui monti di Rieti. Introvabile il quarto uomo della
cellula nera. 400 milioni promessi dall’industriale di Brescia Comini per far saltare
in aria Leone il 2 giugno?, “Il Manifesto”, 01-06-1974.
197
Cfr. la testimonianza di Carlo Fumagalli riportata dalla sentenza Bonavitacola: per il
neofascista «‘la finalità del Mar era quella di arrivare a un tentativo di colpo di Stato’
e […] in ciò il movimento sarebbe stato aiutato da gruppi di giovani che sarebbero
serviti come soldati sulle montagne. Appunto con attentati ai tralicci si sarebbe dovuto
innescare una reazione che avrebbe provocato l’intervento delle forze dell’ordine. […]
Le azioni, ha aggiunto Fumagalli, dovevano svolgersi in Valtellina, mentre invece
Esposti avrebbe potuto agire nel Centro Italia dove, come si è visto, poteva contare su
uomini fidati. In vista del progetto, ha concluso, si stavano ammassando armi e
munizioni. [Il commando di Esposti] si trovava in Abruzzo in attesa di un’azione
dimostrativa che avrebbe dovuto svolgersi in alta Italia, che doveva fungere da
detonatore per l’entrata in azione ‘nell’arco alpino e sulla dorsale centrosettentrionale
appenninica’ di numerosi analoghi gruppi, [che] dovevano impegnare le forze
dell’ordine appunto per creare una diffusa situazione di guerriglia». Citata
nell’Introduzione di Franco Ferraresi a V. Marchi, op. cit., p. 13.
198
S. f., Nella rete i gregari neri. Ma i pesci grossi nessuno li disturba, “Avanguardia
operaia”, N. 22, 07-06-1974.
128
dovuto impegno gli organizzatori delle squadre nere, lasciandoli spesso
fuggire all’estero, e continuava a non spingere le proprie indagini verso le
trame che collegavano questi ultimi al Msi e ad una parte dell’apparato
statale. Una pista che continuò ad essere ritenuta particolarmente
interessante dalla sinistra rivoluzionaria era proprio quella che metteva in
relazione il movimento della destra extraparlamentare con quello della
destra parlamentare. “Lotta continua” sostenne che molti esponenti del Msi
facevano parte dei gruppi che venivano indicati come potenziali
responsabili della strage di Brescia e dell’organizzazione del campo
fascista sull’Appennino, come i deputati del Msi Pino Rauti e Sandro
Saccucci, fondatori di Ordine Nuovo 199 .
La notizia della sparatoria tra i carabinieri e i gruppi armati neofascisti
in provincia di Rieti provocò una certa agitazione anche a Montecitorio. I
capi gruppo dei partiti della maggioranza governativa, dopo una riunione,
avevano concordato «sulla necessità di prendere misure centrali di
repressione nei confronti della criminalità fascista» 200 . L’argomento aveva
acquisito dunque una notevole rilevanza e, poche ore dopo l’azione di Pian
del Rascino, si trovava al primo posto nell’ordine del giorno del consiglio
dei ministri. L’idea del Psi, che prevedeva la costituzione di un ispettorato
centrale contro la criminalità fascista, fu valutata positivamente da “Il
Manifesto”, perché «la formulazione ‘ispettorato contro la criminalità
fascista’
abbandona[va]
definitivamente
la
tesi
degli
opposti
estremismi» 201 . Il socialista Mariotti si era mostrato molto deciso
199
Ibidem; S. f., Le bande armate fasciste non sono estremisti isolati, dipendono dal
MSI del boia Almirante, “Lotta continua”, 01-06-1974.
200
S. f., Consiglio dei ministri. Polizia speciale contro i crimini fascisti?, “Il
Manifesto”, 31-05-1974.
201
Ibidem.
129
dichiarando che l’accordo raggiunto dai capigruppo non avrebbe dovuto
essere messo in discussione per nessuna ragione. Una prerogativa
essenziale del progetto era che l’istituto centrale non avrebbe dovuto
appoggiarsi alle armi di polizia, dei carabinieri o della guardia di finanza,
bensì avrebbe dovuto avere a propria disposizione una ‘brigata speciale’
formata dagli ufficiali e dagli agenti migliori della guardia di finanza e dei
carabinieri; avrebbe dovuto avere cioè una chiara indipendenza 202 .
Pur mantenendo la solita durezza di toni, l’informazione fornita dai fogli
della sinistra extraparlamentare si mostrò molto attenta all’evoluzione delle
indagini, arrivando a fare supposizioni che, se spesso azzardate, andavano
in una direzione poi confermata dalle indagini. Di sicuro, la vicenda di Pian
del Rascino aveva una fitta rete di legami con la bomba del 28 maggio e le
fonti processuali dimostrano pienamente che – come fu sostenuto a pieni
polmoni dagli organi di stampa qui considerati – la strategia eversiva della
quale facevano parte non era portata avanti soltanto da formazioni di
estrema destra ma da un insieme ben più complesso di forze. Il gruppo
neofascista di Pian del Rascino era una pedina dell’esteso piano golpista
riattivatosi dopo la sconfitta delle forze conservatrici al referendum sul
divorzio. Con tutta probabilità, il 28 maggio era la data originariamente
stabilita dal gruppo di terroristi per mettere in scena un attentato
dimostrativo che avrebbe dovuto innescare l’intero disegno eversivo. Gli
avvicendamenti precedenti, e in particolar modo l’arresto di Fumagalli,
avevano però messo in crisi l’operazione. Il fatto che Esposti, subito dopo
aver ricevuto la notizia della strage di piazza Loggia, avesse lasciato
l’accampamento per recarsi a Roma, potrebbe indicare che il neofascista
fosse desideroso di conoscere se il progetto iniziale fosse ancora valido, e
202
Ibidem.
130
dunque dovesse proseguire, oppure se la bomba bresciana rappresentasse
un passo falso che arenava l’intero piano. In ogni caso, la complessità e
l’estensione dei contorni della trama eversiva messa in luce dalle indagini
esclude un’organizzazione esclusivamente neofascista e conferma il
coinvolgimento di settori delle istituzioni e dei servizi segreti. Proprio
alcuni settori del Sid avevano probabilmente deciso di togliere di mezzo –
smascherandoli e utilizzandoli come capri espiatori – quei gruppi della
destra estrema, come il Mar e le Sam, che erano divenuti meno controllabili
e troppo visibili. L’esistenza di una strategia di questo tipo all’interno del
Sid potrebbe inoltre dare una senso compiuto al curioso episodio che ha
visto – il giorno prima della sparatoria di Pian di Rascino – la diffusione
dell’identikit di un sospetto, avvistato poco prima dell’esplosione della
bomba in piazza Loggia, che somigliava incredibilmente al viso, rasato, di
Esposti, quando il neofascista sarebbe stato trovato due giorni dopo con
una fluente barba 203 .
203
Cfr. V. Marchi, op. cit., pp. 56-61. L’ipotesi sulle motivazioni del viaggio a Roma di
Esposti è qui sostenuta da Marchi. Quella sulle intenzioni di una parte del Sid – citata
da Marchi – è stata espressa in un noto articolo redatto per il ventennale dalla strage
da Gianni Cipriani. Cfr. G. Cipriani, Piazza della Loggia. La mano fascista al servizio
degli 007, “L’Unità”, 28-05-1994. Il giornalista pose i seguenti quesiti: «Il terrorista
venne indicato perché si voleva trovare un capro espiatorio? Oppure venne indicato in
maniera palesemente falsa perché proprio quel modo avrebbe potuto rappresentare il
miglior alibi?».
131
L’ultimo saluto
I funerali delle vittime si svolsero il primo giugno in un clima di sentita
partecipazione popolare, descritto con grande pathos dagli organi
d’informazione della sinistra rivoluzionaria204 . Migliaia di cittadini
arrivarono a Brescia per presenziare ai funerali; centinaia di pullman
giunsero da tutte le regioni d’Italia, con a bordo delegazioni ufficiali dei
comuni, rappresentanze dei consigli di fabbrica, studenti e operai 205 . I
sindacati organizzarono il servizio d’ordine in piazza Loggia, dove erano
esposte le sei bare, nonostante i ripetuti tentativi di polizia e carabinieri di
acquisire la gestione della piazza 206 . Le sfilate delle delegazioni che
passavano di fronte alle bare portando fiori e bandiere erano gestite da
operai con una fascia rossa al braccio 207 . La gente continuò ad arrivare per
tutta la giornata e gli striscioni aumentarono a dismisura, tanto che il loro
204
Cfr. i titoli di prima pagina: Non un funerale, ma un’ondata di collera contro fascisti
e potere dc ha accompagnato i sei compagni assassinati di Brescia. Carli annuncia
un programma di disoccupazione, “Il Manifesto”, 01-06-1974; Brescia. Ai funerali
dei compagni assassinati mezzo milione di pugni chiusi e un solo grido ininterrotto:
fuorilegge il MSI!, “Lotta continua”, 01-06-1974. Per il programma dei funerali, cfr.
ASCD/33/PL I E 1.
205
Cfr. il volantino firmato da Avanguardia Operaia, Manifesto-Pdup, Lotta Continua,
Partito Radicale, intitolato Compagni caduti a Brescia, la vostra morte sarà la morte
del fascismo! 31-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/72.
206
La federazione Cgil-Cisl-Uil si preoccupò di gestire la partecipazione di tutti i
lavoratori, raccomandando il massimo della vigilanza. Cfr. 7/PL I A 4, 28-05-1974. Il
servizio d’ordine era stato organizzato in modo particolarmente attento. Cfr.
ASCD/25/PL I C 14; ASCD/26/PL I C 15; ASCD/27/PL I C 16; ASCD/44/PL I E 12.
Per ogni punto di concentramento del corteo era stato indicato il numero preciso di
delegati del servizio d’ordine e le fabbriche di provenienza. In piazza della Loggia
erano 298; in piazza Garibaldi 148; a porta Trento 177. Cfr. ASCD/47/PL I E 15;
ASCD/53/PL I E 21; ASCD/54/PL I E 22.
207
Per alcuni messaggi che accompagnavano i mazzi di fiori, cfr. ASCD/61/PL I E 29.
132
volume era difficilmente gestibile: alla fine le presenze sarebbero state
circa cinquecentomila 208 . Secondo Tiziana Maiolo, a Brescia gli operai
reagirono nel modo migliore, applaudendo le delegazioni della Flm, dei
partiti e dei movimenti di sinistra, fischiando Leone e Rumor, e dando
«un’impronta di classe a tutta la manifestazione» 209 .
Tuttavia, nella piazza centrale la presenza dei lavoratori non era
organizzata 210 . Infatti:
Piazza della Loggia era rigorosamente selezionata: c’erano le
autorità, i giornalisti, i gonfaloni dei Comuni che da soli la
riempivano quasi completamente. Nessuna delegazione di
208
T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa
antifascista. Leone e Rumor sentono la rabbia popolare, “Il Manifesto”, 01-06-1974.
Il “Corriere della Sera” e “Il Giorno” riportarono la stessa cifra. Per alcuni documenti
concernenti la presenza di lavoratori e cittadini ai funerali, cfr. ASCD/36/PL I E 4;
ASCD/37/PL I E 5; ASCD/34/PL I E 2; ASCD/35/PL I E 3.
209
Ibidem.
210
Come sempre accade durante gli avvenimenti con una forte valenza simbolica, anche
in quest’occasione i tentativi di manipolazione della memoria sono ben visibili.
«‘L’elaborazione politica della memoria’ si spinge sino a forme di vera e propria
manipolazione. L’estromissione dei gruppi extraparlamentari da piazza della Loggia
(cui corrisponde la loro volontà di non confondersi con le forze istituzionali e con i
partiti di governo), può essere vista in questa prospettiva come espressione di un
consapevole disegno di rimodellamento della memoria, come rimozione di uno
sguardo radicale, capace di illuminare dimensioni scomode, ma di fondamentale
rilevanza, che sarà a lungo impossibile assumere dentro il discorso ufficiale sulla
strage. […] Preoccupazione ricorrente nel discorso pubblico è quella di annacquare
appartenenze politiche troppo spiccate, fastidiosamente omogenee, di ridurle ad una
dimensione meramente sociologica. La ricerca dell’unità dei partiti maggiori sembra
esigere questo prezzo». G. Porta, La memoria difficile. Percorsi e testimonianze, in
AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit., p. 42.
133
lavoratori era presente in modo organizzato, c’erano però gruppi
di lavoratori, o lavoratori isolati, che si erano staccati dai loro
cortei trovando posto qua e là. Per le ‘autorità’ e la TV sono stati
una brutta sorpresa 211 .
211
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia. In 500.000 a pugno chiuso contro il fascismo e la DC, “Avanguardia operaia”,
N. 22, 07-06-1974. Cfr. quanto scritto da “Il Manifesto” nei confronti della decisione
della Rai di effettuare una diretta dei funerali: «Pessima idea per Bernabei, trasmettere
in diretta alla televisione i funerali di Brescia. Deve aver giocato in questa decisione
un riflesso di pigrizia mentale, per cui i funerali sono cose molto solenni con tanti
discorsi di preti e autorità, e basta. Invece, per quanti affannosi tentativi la Tv facesse,
milioni di telespettatori hanno visto, e sentito, ieri pomeriggio, come, dal momento in
cui è stato annunciato l’arrivo di Leone, tutta la piazza della Loggia abbia preso ad
echeggiare di fischi, malgrado fosse stata invasa da poliziotti, gonfaloni, autorità e la
gente fosse stata relegata nelle strade circostanti. […] È successo in tutta Italia,
d’accordo, ma con questo infortunio televisivo di Barnabei ha avuto la sua
consacrazione definitiva un modo di commemorare i morti della strage fascista non
retorico e soprattutto non dimentico delle complicità e delle omertà nel calderone di
una malintesa ‘unità’». S. f., Televisione. Funerali di stato con fischi, “Il Manifesto”,
01-06-1974. Anche in questo caso, sono indicative le parole di G. Porta: «I fischi
laceranti, insistiti che coprono le parole del sindaco della città, che accolgono il
presidente del Consiglio, il capo dello Stato, e accompagnano gli esponenti dei partiti
di governo durante l’intero tragitto da piazza della Loggia al cimitero scompaiono dai
servizi televisivi. Se la censura interviene abitualmente sulle immagini, eliminando
presenze imbarazzanti, in questa occasione cancella un sottofondo sonoro che dà
clamorosa evidenza alla critica nei confronti dei rappresentanti dello Stato e delle
istituzioni. Una contestazione che, alla luce dei fatti emersi in questi anni, non può
essere letta facendo ricorso alla categoria dell’estremismo, ma in riferimento ad
esperienze precedenti – la strage di piazza Fontana, il caso Valpreda –, tenendo conto
delle difficoltà, del disorientamento derivanti dall’impossibilità di trovare ascolto e
interlocutori a livello politico e istituzionale, di avere risposte ad una elementare
domanda di giustizia. Quello che veniva allora espresso era il rifiuto di una lettura
ecumenica, tutta interna al sistema dei partiti, sorda ad interrogativi che con un ritardo
di decenni sono diventati ineludibili; era la denuncia intransigente delle
compromissioni e delle responsabilità degli apparati dello Stato». Id., La memoria
134
Nei dintorni della piazza c’erano invece gli operai della Pirelli, dell’Alfa
Romeo, della Sit-Siemens, di una serie innumerevole di officine della
Lombardia, del Piemonte, del Veneto e dell’Emilia212 . La Maiolo descrisse
uno scenario che aveva ben poco di mistico e religioso e che tradiva
l’elevato contenuto ideologico della manifestazione: i saluti ‘ufficiali’
sarebbero allora stati i pugni alzati e le bandiere rosse, simboli delle lotte
che le stesse vittime della strage avevano condiviso 213 .
Piazza della Loggia era talmente piena che si faticava a respirare e i
cortei dovevano defluire, tramite via X giornate, fino a piazza Duomo e
piazza Vittoria, entrambe traboccanti di persone214 . Nel riportare le notizie
su quelle ore concitate, i fogli della sinistra extraparlamentare furono molto
attenti a fungere da cassa di risonanza delle contestazioni nei confronti
delle istituzioni. “Il Manifesto” sottolineò che la Dc veniva continuamente
presa di mira dai cori di una folla che non accettava il suo atteggiamento
ambiguo e contraddittorio: non si poteva ‘balbettare’ qualche frase contro il
fascismo dopo aver sostenuto la campagna per il ‘sì’ affiancati da
Almirante, dopo aver deciso di regalare al neofascismo miliardi di lire
pubbliche, dopo aver scelto di non intervenire contro i corpi repressivi
difficile. Percorsi e testimonianze, in AA. VV., Memoria della strage. Piazza Loggia
1974-1994, op. cit., p. 43.
212
Molti pullman erano stati organizzati dalle province di quelle regioni. Cfr.
ASCD/40/PL I E 8.
213
T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa
antifascista, cit. La giornalista – che, per uno di quei complessi e non rari processi di
metamorfosi politica, si troverà, trent’anni dopo, a militare nelle fila di una forza
politica platealmente contrapposta al bagaglio di valori un tempo da essa condiviso –
notava che, nonostante l’allestimento di un piccolo altare, «quasi nessuno si faceva il
segno della croce».
214
Secondo l’articolo in questa parte di città stazionavano all’incirca centomila persone.
Ibidem.
135
separati, complici diretti delle trame nere 215 . Anche il fatto che il governo
democristiano avesse chiesto la creazione di un organo speciale per la
‘repressione del terrorismo e della violenza’, dimenticandosi però – come
d’abitudine – l’aggettivo ‘fascista’, secondo il quotidiano, rendeva ancora
più inviso quel partito alla piazza. In ogni caso, la dimenticanza
governativa non stupì i redattori del giornale, da subito convinti che tale
organo avrebbe avuto il compito di cacciare i ‘terroristi’ solo là dove
avrebbe fatto più comodo alla Dc inventarne l’esistenza 216 .
Per
“Il
Manifesto”
il
vero
scandalo
era
però
rappresentato
dall’atteggiamento della sinistra parlamentare:
Ci scandalizza che i socialisti cadano nella trappola, loro che
sono al governo da un tempo sufficiente per sapere che lo stato
aveva ed ha tutti i mezzi per stroncare il fascismo, almeno fin
dove stroncare è problema di tecnica repressiva. Ci si
scandalizza che il Pci non gridi contro, alto e forte: prova d’una
sconcertante perdita di polso popolare, oltre che di una
sconcertante miopia 217 .
In quel momento Brescia chiedeva alle forze tradizionali della sinistra
un impegno immediato: le responsabilità dovevano essere fatte pagare.
Spettava al Pci e al Psi il compito di agire tramite la richiesta delle
dimissioni del ministro degli Interni Taviani ma, soprattutto, attraverso la
215
S. f., Quel che Brescia domanda, “Il Manifesto”, 01-06-1974.
216
Ibidem.
Ibidem.
217
136
battaglia per mettere fuori legge il Msi. Su questi punti la sinistra
extraparlamentare pretendeva una risposta precisa 218 .
Intorno alle 15 venne chiuso l’accesso a piazza Loggia: sul palco
salirono le delegazioni ufficiali dei partiti. Quando, per la prima volta, dopo
le frasi di circostanza degli annunciatori e del vescovo di Brescia Luigi
Morstabilini, venne pronunciata la condanna della strage fascista, qualcuno
urlò «L’avete detta, finalmente, la parola!» 219 . Dopo il socialista De
Martino, salì sul palco, con una delegazione del Pci, un applauditissimo
Berlinguer. Poi si alternarono le delegazioni del partito liberale, dei
socialdemocratici e dei repubblicani. C’erano anche Dante Rossi per il
Pdup ed Eliseo Milani per Il Manifesto. Per la Dc, non era presente
Fanfani, probabilmente – secondo “Il Manifesto” – per evitare
contestazioni, ma Marcora «il cui nome [era] stato annunciato sottovoce e
in fretta» 220 .
Il
vescovo
di
Brescia
venne
accolto
nel
silenzio
generale.
L’atteggiamento esitante delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delle
trame nere non era tollerato dalla sinistra rivoluzionaria e cominciava ad
infastidire anche la base cattolica 221 . In una lettera spedita proprio al
vescovo, il giorno prima dei funerali, i ‘cristiani della comunità ecclesiale
di base’ di Brescia avevano sostenuto che, anche se la ‘Chiesa bresciana’,
218
Ibidem.
219
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit. Cfr. ASCD/105/PL I B 9.
220
T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa
antifascista, cit.
Cfr. il comunicato dello stesso vescovo Morstabilini: Il vescovo in quest’ora tragica;
29-05-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/59. Per un contributo che ricostruisce le
prime reazioni alla strage del mondo cattolico bresciano, ma anche della società civile
in generale, cfr. B. Bardini, S. Noventa, 28 maggio 1974. Strage di piazza della
Loggia. Le risposte della società bresciana, Brescia, Casa della Memoria, 2003.
221
137
durante la grave crisi provocata dalla bomba del 28 maggio, non aveva
mancato di fare sentire con un comunicato la propria voce e la propria
presenza, lo aveva fatto con una colpevole ed equivoca genericità. La
Chiesa avrebbe invece dovuto smetterla di fare indefiniti appelli alla
‘buona volontà’ e avrebbe dovuto condannare apertamente la sopraffazione
e la violenza che si rivelavano metodi funzionali ed organici ad un sistema
in contraddizione con l’ideale cristiano 222 .
La lettera si conformò dunque come un appello alla gerarchia cristiana
perché mettesse un impegno più genuino e meno rituale – a partire dalla
cerimonia dei funerali delle vittime – nelle proprie prese di posizione:
Ci domandiamo perché mai la nostra chiesa gerarchica non
ha il coraggio di esprimersi chiaramente in momenti così tragici
222
Lettera dei ‘cristiani della comunità ecclesiale di base’ di Brescia al vescovo della
città Luigi Morstabilini; 30-05-1974. ASCD/PL/1 B3. Dal contenuto della lettera, si
deduce che per il gruppo di credenti i fatti erano molto chiari: una bomba era stata
fatta esplodere in occasione di una pacifica manifestazione antifascista, provocando
morti e feriti e sconvolgendo la vita democratica del paese. La Chiesa avrebbe dovuto
esprimere una precisa denuncia perché, se prima del 28 maggio poteva ancora
permettersi di parlare di prevalenza dello ‘spirito di Caino’ sullo ‘spirito di Cristo’,
facendo appello ad un indeterminato spirito di fratellanza, evitando una più profonda
interpretazione dei fatti e del loro valore politico e morale, dopo gli avvenimenti di
Brescia non era più lecito sostenere che la strategia delle bombe fosse semplicemente
criminale, ma bisognava prendere atto che essa rappresentava il disegno di
quell’insieme di forze che avevano realizzato storicamente il fascismo e continuavano
a utilizzarne i metodi sanguinari. Cfr. quanto scritto in un volantino redatto poche ore
dopo la strage: «L’intera chiesa bresciana […] auspica il concorde sforzo per isolare e
punire questo spirito di caino e per ricondurre la convivenza civile a quel clima di
giustizia, di amore, di pace che sono dono della presenza dello spirito di cristo in
mezzo agli uomini di buona volontà». FDFCT/Testimonianze 2/19/94. Cfr. anche i
volantini in FDFCT/Testimonianze 2/19/38-42.
138
come questo, perché si esime dal fare una valutazione
lucidamente politica del fenomeno, dato che in questo caso la
carità esige di essere precisi, mentre il dissimulare non può
essere motivato da discrezione e da opportunità. Ci sembra che
in questo modo di fare sia all’opera un meccanismo di
dissociazione per cui si fanno certe affermazioni senza volerne
accettare le implicazioni politiche. […] L’ufficialità, il valore
plebiscitario, antifascista della manifestazione di venerdì, a cui
partecipiamo in senso di profonda solidarietà con il dolore dei
parenti delle vittime, non ci possono esimere dall’evidenziare un
equivoco che essa potrebbe ingenerare. […] Ciascuno di noi è
impegnato a mettersi in atteggiamento di ascolto del messaggio
che ci viene dall’esperienza tragica del 28 maggio e a viverlo
nell’impegno delle proprie scelte 223 .
Il dissenso di una parte della base del movimento cattolico, la
mobilitazione dei rappresentanti delle organizzazioni operaie, i nuovi
tasselli delle indagini che mettevano in luce l’estensione nazionale della
trama in cui la bomba di Brescia si inseriva, l’indignazione della
cittadinanza – che, non guasta ricordarlo, nei momenti di crisi tende ad
223
ASCD/PL/1 B3, 30-05-1974. Il messaggio era stato spedito anche al Comitato
Unitario Antifascista, alla Flm, al presidente della Provincia e al sindaco della città.
Interessante notare come i ‘cristiani della comunità ecclesiale di base’ avessero una
visione molto critica anche nei confronti della campagna condotta dalla Chiesa per il
referendum sul divorzio: «Nella campagna per il referendum l’episcopato italiano ha
richiesto ai cattolici un voto che poteva soggettivamente tendere alla difesa della
famiglia ma che oggettivamente (ed è quello che più conta) è andato nella stessa
direzione dei fascisti e ha favorito la recrudescenza fascista nel nostro paese, di cui
abbiamo avuto una dolorosa esperienza nei giorni scorsi».
139
accusare comunque il governo, a prescindere dal colore –, uniti alla
radicalità del coinvolgimento dei gruppi extraparlamentari di sinistra,
spiegano la forte connotazione anti-Dc della piazza in quelle movimentate
ore 224 . I fogli della sinistra rivoluzionaria dettero molto risalto agli
224
La percezione della contestazione – è scontato ma è bene ricordarlo – muta a
seconda della fonte che si consulti. Si confronti, a titolo di paragone, la descrizione
effettuata dall’allora inviata de “Il Giorno” Natalia Aspesi: «Nel silenzio della folla,
rotto da qualche battimano, da qualche dissenso, il presidente Leone, pallido e
commosso, ha sostato dapprima nel punto in cui è scoppiata la bomba fascista, poi ha
fatto deporre una corona di alloro davanti alle bare. In quel momento tutta la piazza ha
rispettato un lungo minuto di silenzio. Infine il presidente ha abbracciato uno per uno i
parenti delle vittime, senza parlare. Quando si è unito alle autorità nel piccolo palco
laterale, c’è stato un momento di nervosismo nella folla: dalle piazze vicine è infatti
cominciata ad arrivare, ben scandita, una serie di grida sempre più forti: ‘Assassini
morirete’, ‘MSI fuorilegge’, ‘Vogliamo giustizia’. Ma piazza della Loggia è rimasta
composta, non si è unita alle voci di protesta. Così il vescovo della città, monsignor
Stabilini [sic], ha potuto cominciare la messa e far un breve discorso di condanna per
la strage». Questa la titolazione della pagina in cui compare il resoconto della Aspesi:
Dai funerali di Brescia una testimonianza indimenticabile. Una folla immensa,
decisa, vigilante. Gli uomini di governo e di partito hanno potuto vedere il volto di un
popolo civile e fiducioso, che tuttavia vuole giustizia: per le vittime dell’infame bomba
fascista, per il proprio avvenire di lavoratori democratici. Il corteo dietro gli ‘ultimi
caduti della Resistenza’, “Il Giorno”, 01-06-1974. Sulla questione dell’effettivo valore
della vena polemica popolare, gli organi della sinistra rivoluzionaria entrarono in
aperto contrasto anche con il Pci. “Avanguardia operaia”, per esempio, sostenne che
non si potesse accettare che gli stessi comunisti tendessero a minimizzare il contenuto
critico della partecipazione popolare, e rispose a tono sostenendo che «chi scrive[va],
come l’Unità, che pochi estremisti disturbavano dall’esterno la cerimonia, fa[ceva]
finta di non essersi accorto che non erano solo gli ‘estremisti’ a gridare, che c’erano
anche settori del sindacato e del servizio d’ordine che lanciavano gli slogans insieme
ai compagni». S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista
mai vista in Italia, cit. Ad ogni modo, sull’impostazione fortemente critica di gran
parte della cittadinanza nei confronti del partito di governo non pare giustificato
sollevare dubbi. Lo stesso Paolo Murialdi – studioso esperto delle dinamiche
massmediali – ha evidenziato che la maggioranza dei quotidiani italiani non era
140
atteggiamenti più marcatamente antigovernativi della popolazione facendo
attenzione a dare adeguata visibilità agli slogans – come ‘Msi fuori legge, a
morte la Dc che lo protegge’ – che erano piovuti verso il palco delle
autorità 225 .
Se avrebbe poco senso asserire che la manifestazione di massa non fosse
decisamente schierata contro gli esponenti della maggioranza governativa,
sarebbe altrettanto inesatto non riconoscere che le punte maggiori di
veemenza verbale venissero raggiunte dai militanti e dagli organi di
informazione della sinistra extraparlamentare. I gruppi appartenenti a
questa famiglia politica avevano nel loro dna un’aggressività sostenuta che
a volte – come si è fatto precedentemente notare – sfociava in una
discutibile tolleranza nei confronti delle azioni violente e portava gli stessi
militanti ad avventurarsi in deprecabili rappresaglie. Sarebbe senza dubbio
sbagliato, però, ricorrere a generalizzazioni – che spesso, invece, vengono
impropriamente e strumentalmente effettuate – che riducano questo
articolato settore politico ad un laboratorio di violenze. La risposta data alla
strage di Brescia mostra come le organizzazioni della sinistra
extraparlamentare fossero anche in possesso di una maturità politica che le
portò a sfruttare il proprio radicalismo in nome di un’unità di azione delle
forze che si ergevano a difesa della democrazia italiana, invece di
utilizzarlo, sfruttando la situazione di crisi, per dare vigore alla battaglia –
della quale non potevano, ovviamente, non rimanere vistose tracce nei
disposta a dare la giusta rilevanza alla contestazione delle autorità da parte della
popolazione. Cfr. P. Murialdi, Come si legge un giornale, Bari, Laterza, 1982, pp. 84
sgg.
225
Cfr. T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa
antifascista, cit.; S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista
mai vista in Italia, cit.
141
propri richiami verbali – contro il sistema socio-politico sposato dal nostro
paese 226 .
226
Per uno scorcio su quelle giornate che dà l’idea di come questi due aspetti potessero
coesistere e di come all’interno dei gruppi si ritrovassero posizioni assolutamente in
linea con la legalità e la responsabilità civica, cfr. il contenuto dell’articolo-intervista
pubblicato dal “Bresciaoggi”: «Siamo tornati sulla piazza di sera, quando la gente se
ne era ormai andata portando con sé il dolore per la strage di cui sono state vittime i
militanti delle organizzazioni antifasciste e nello stesso tempo la fierezza di aver
manifestato tutti compatti contro coloro che dopo aver vilipeso e profanato per
trent’anni i fondamentali valori dell’uomo, vorrebbero dare vita ad un nuovo ‘regime’,
disgregando le istituzioni democratiche. In piazza Loggia attorno alle transenne, e
seduti qua e là, sui marciapiede rimanevano soltanto quelli dei ‘gruppuscoli’ i più
impegnati, i fedelissimi. Ci siamo avvicinati e siamo rimasti a conversare con loro: è
stato un momento di riflessione, un’occasione per cercare di capire il significato della
giornata antifascista di Brescia. ‘Penso sia stato uno choc per la nostra città – ci ha
detto subito Fulvio Ferrari esponente di un gruppo extra-parlamentare – Non credo ci
si potesse immaginare una partecipazione così imponente, a tratti oppressiva, ma nello
stesso tempo così composta. Nei nostri slogans hanno sentito tutta la rabbia,
accumulata da troppo tempo, per la catena dei delitti fascisti’. ‘Hanno ammirato – ha
continuato subito un altro – anche il nostro senso di civismo e la nostra
organizzazione. Abbiamo partecipato a questa manifestazione e ai funerali rispettando
i criteri della legalità e della democrazia’. ‘L’occasione è stata la più triste, e forse la
meno adatta, per essere fieri della nostra organizzazione e del nostro movimento, dal
momento che ci sono stati sei morti, però la gente si è resa conto del senso di
responsabilità che anima la presenza della classe operaia’: è il parere di una ragazza
che stringe ancora nella mano un garofano rosso. Anche una vecchia pensionata ci si è
fatta vicino: ‘Sono proprio contenta, quelli là, i fascisti, il muso non lo metteranno
fuori per un bel po’’. ‘Noi in verità – ha replicato un uomo sulla quarantina –
vorremmo sperare che la giornata di oggi sia servita di monito a coloro che credono
nella violenza e nel terrorismo, mi auguro che la lezione di oggi sia servita per
sempre’». S. f., L’aggressiva presenza dei giovani ‘extra’. La sinistra di classe – ha
detto un giovane esponente – ha partecipato alla giornata antifascista con senso di
responsabilità. È una lezione per chi attenta alla democrazia, “Bresciaoggi”, 01-061974. La stampa moderata, come si può ben capire, faceva molta più attenzione agli
atteggiamenti violenti dei gruppi che non al loro contegno e alla loro maturità. Cfr. i
142
Secondo “Il Manifesto”, quando Leone e Rumor fecero la loro comparsa
alla manifestazione, si scatenò uno sdegno pieno di rabbia e dolore dalla
piazza che gridò: «Con che coraggio venite qui!»227 . Il foglio dichiarò che
il presidente del Consiglio dovette lasciare in tasca il suo discorso
limitandosi alla presenza formale; che il presidente della Repubblica, dopo
aver deposto la corona, si mise zitto e imbarazzato al suo posto; che
quest’ultimo avrebbe preteso di conoscere preventivamente i testi dei
discorsi e che questi sarebbero poi stati effettivamente censurati 228 . In ogni
caso, riportò “Avanguardia operaia”, gli interventi di Castrezzati e Savoldi
vennero accolti da applausi scroscianti, soprattutto quando affermarono che
«i fascisti non vanno solo combattuti là dove ci sono e si vedono, ma anche
dove si infiltrano, cioè nelle istituzioni dello Stato» 229 e che era ora di
finirla con le parole perché «i fascisti devono essere cacciati fuori dalla vita
politica italiana» 230 . “Il Manifesto” sostenne che al deputato del Psi Savoldi
toni del passo di un articolo pubblicato dal “Corriere della Sera” due giorni prima dei
funerali: «La protesta contro la strage di Brescia ha offerto il pretesto a gruppi
extraparlamentari di sinistra per compiere ‘raids’ punitivi contro sedi missine e della
Cisnal, per assalire avversari politici, per abbandonarsi ad atti di vandalismo e di
violenza». S. f., Incidenti provocati da extraparlamentari di sinistra turbano la civile
protesta contro la strage di Brescia, “Corriere della Sera”, 30-05-1974. Cfr. anche S.
f., Episodi d’intolleranza subito dopo i funerali, “Giornale di Brescia”, 01-06-1974.
227
T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa
antifascista, cit. Cfr. anche: S. f., Brescia. Ai funerali dei compagni assassinati mezzo
milione di pugni chiusi e un solo grido ininterrotto: fuorilegge il MSI!, cit.
228
T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa
antifascista, cit.
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit.
229
230
Ibidem. Per i discorsi nella loro completezza, cfr. ASCD/105/PL I B 9. Cfr. anche
l’intervento tenuto dallo stesso F. Castrezzati in piazza Loggia a vent’anni
dall’attentato: Id., L’oblio e la verità, in AA. VV., Le ragioni della memoria.
143
fosse stato intimato di eliminare la parte del suo discorso in cui si diceva
che «Brescia democratica e antifascista chiede che si conduca una severa
inchiesta, che faccia luce su quanto è accaduto, ma soprattutto che accerti
anche le responsabilità per quanto riguarda l’ordine pubblico e il potere
giurisdizionale» 231 . Il socialista aveva però letto il proprio intervento nella
sua integrità tra gli applausi della gente. Anche il primo cittadino di
Brescia, il democristiano Bruno Boni, aveva pronunciato il suo discorso
che era stato però coperto da urla e fischi 232 . Secondo “Avanguardia
operaia”, il sindaco di Brescia venne fischiato ininterrottamente dalla gente
che si trovava fuori dalla piazza ‘ufficiale’ perché questa credeva si
trattasse di Leone: «al povero sindaco, democristiano anche lui, bastava
fare un accenno al ‘signor presidente’ o all’‘onorevole Rumor’ per
scatenare nella piazza bordate di fischi e di urla» 233 . Il settimanale
evidenziò invece il silenzio della piazza «sul passaggio di Luciano Lama,
studiato per raccogliere gli applausi, ‘gli operai non si fanno giustizia da
soli’ e sull’omaggio ai ‘figli del popolo’ che hanno trovato i fascisti a
Rieti» 234 . Ai militanti di AO – che ritennero di avere subito ripetute
Interventi e riflessioni a vent’anni dalla strage di piazza della Loggia, op. cit., pp. 2329.
231
T. Maiolo, Strage. I funerali di Brescia: una grande manifestazione rossa
antifascista, cit.
232
Ibidem. L’impostazione del discorso del sindaco tendeva a presentare uno scenario in
cui a coltivare l’ideale dello ‘squallido terrore’ erano solo «alcuni gruppi moralmente
e politicamente isolati». ASCD/104/PL I B 8.
233
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit.
234
Ibidem. Lama aveva però espresso anche una critica lucida e tagliente: «Questa
strage di innocenti, di cittadini onesti esemplari, costituisce l’ultimo anello di una
catena che ha avuto inizio a piazza Fontana nel ’69 e che in altre regioni d’Italia e in
questa stessa provincia si è via via snodata in attentati, in fatti d sangue, in insulti allo
144
discriminazioni dai responsabili della manifestazione – fu permesso di
entrare in piazza solo alla fine, in mezzo al lungo corteo che seguiva le bare
e che ancora a sera scorreva attorno al luogo della strage: «davanti c’erano i
cartelli con la foto di Giulietta e la scritta ‘Compagna Gulietta, ti
vendicheremo’, dietro un mare di compagni e di striscioni. Il corteo di AO
è sfilato in silenzio in piazza della Loggia, salutato dai presenti a pugno
chiuso, poi piano piano si è levato il canto dell’Internazionale e poi, sempre
più forti, gli slogans sono risuonati per le vie di Brescia» 235 .
Le colorite ricostruzioni dei fogli della sinistra rivoluzionaria mettono in
evidenza che queste formazioni politiche si trovarono di fronte ad una
mobilitazione popolare che superò le loro aspettative 236 . I cittadini
bresciani – ma non solo quelli – avevano davvero scelto di partecipare
spirito democratico e alla serenità del nostro paese. Questi nostri fratelli sono stati
uccisi perché protestavano contro il fascismo […]. Il loro sacrificio dimostra che i
valori fondamentali della Resistenza non sono pienamente operanti in Italia [e]
denuncia una carenza drammatica della nostra democrazia: longanimità, incertezze,
complicità, anche, che permettono al risorgente fascismo di rialzare la testa e di
seminare lutti e stragi nel nostro paese». ASCD/104/PL I B 8.
235
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit. La sinistra rivoluzionaria era particolarmente critica nei confronti di Rumor.
Queste le parole riportate su un volantino firmato da Lotta Continua, Avanguardia
Operaia e Il Manifesto-Pdup: «Rumor, per la seconda volta dopo Piazza Fontana
primo ministro della strage, che oggi viene a commemorare i compagni uccisi, è il
capo di questo governo, controparte dei lavoratori e maggiore artefice di questa
situazione di crisi economica e di impunità per i fascisti. Non saranno le sue
assicurazioni verbali ad incantarci». ASCD/16/PL I A 7.
236
Effettivamente, la portata dell’attentato di Brescia non sfuggì alla comunità cittadina
e italiana che fu coinvolta in modo diretto e trasversale. Si confrontino alcuni
comunicati di cordoglio per i famigliari delle vittime da parte dell'Unione Ciechi
Italiani, degli Artisti bresciani e degli studenti cattolici del ‘Gambara’ e
dell’‘Arnaldo’, rispettivamente in ASCD/69/PL I I 6; ASCD/75/PL I I 12;
ASCD/72/PL I I 9.
145
attivamente e in prima persona alla protesta di piazza e in molti casi –
anche quando non erano caratterizzati in senso strettamente politico –
avevano urlato le critiche e gli slogans lanciati dai militanti delle sinistra
extraparlamentare, ma anche da quelli delle organizzazioni ufficiali del
movimento operaio.
Per “Avanguardia operaia” la risposta popolare era stata rivelatrice:
Tutta la gente che si assiepava nelle vie […] e tutta la gente
che affollava a decine i balconi e che era affacciata alle finestre,
applaudiva, alzava il pugno, gridava ‘Bravi’, rispondeva agli
slogans, li imparava e li ripeteva. I compagni erano strabiliati:
ma non era ‘bianca’ Brescia?
Invece la gente aveva proprio bisogno di questo, aveva
bisogno di gridare il suo impegno antifascista, di sentire
qualcuno che non dicesse solo parole, che desse una prospettiva
di azione dopo i requiem e le campane a morto. Solo la sinistra
rivoluzionaria ha colto questo bisogno e ha colto nel segno 237 .
237
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit.
146
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
147
Il problema della violenza
Di fronte all’intensa partecipazione popolare riscontrata durante i
funerali i fogli della sinistra extraparlamentare tornarono a proporre un
confronto con la risposta verificatasi dopo la strage di piazza Fontana.
Secondo “Il Manifesto”, rispetto alle manifestazioni seguite all’attentato
del ‘69, l’attiva presenza antifascista ai funerali di Brescia testimoniò «un
mutamento profondo dell’animo popolare» 238 . Infatti, cinque anni prima
era stato possibile far seguire i funerali delle vittime da un silenzioso corteo
composto da uno schieramento antifascista che sembrava aver eliminato le
divisioni, riuscendo a mantenere un atteggiamento fiducioso nei confronti
delle istituzioni democratiche. Per “Avanguardia operaia”, in Piazza
Duomo a Milano c’era «una folla sgomenta, inconsapevole, che era lì
spinta soprattutto dalla gravità del fatto e dalla pietà per le vittime, una
folla senza segno politico, prevalentemente anzi strumentalizzata da
238
S. f., Quel che Brescia domanda, cit. I paragoni tra l’attentato di Brescia e quello di
Milano ritornano spesso anche sui volantini politici redatti dalle formazioni della
sinistra extraparlamentare. Cfr. quello firmato dal Gruppo marxista rivoluzionario di
Brescia: «La strage di martedì a Brescia è, politicamente, ben peggiore di quella di
Piazza Fontana, voluta dai fascisti con la complicità dello Stato, durante i contratti del
’69. Nella nostra città, per la prima volta nel dopoguerra, si è voluto colpire
direttamente la possibilità di organizzazione del movimento operaio. Sono stati colpiti
i Consigli di Fabbrica, il sindacato, tutti i lavoratori. […] Compagni del PCI e del PSI,
per troppi anni abbiamo sperimentato a che servono le alleanze con i borghesi:
abbiamo visto che i partiti borghesi ‘antifascisti’, subito dopo la Resistenza, hanno
incoraggiato, contro il comunismo, la ripresa delle bande nere. L’unità interclassista
non serve per fermare i fascisti: occorre l’unità di tutto il fronte proletario!». La strage
fascista ci insegna che lo stato borghese non farà mai antifascismo; 30-05-1974.
FDFCT/Testimonianze 2/19/36.
148
destra» 239 . Anche se c’erano molti lavoratori, chiamati dai sindacati contro
le provocazioni eversive, nessuno sapeva bene come reagire. La stessa
sinistra rivoluzionaria – allora molto giovane – «aveva le idee chiare sulla
matrice antioperaia e fascista di quell’attentato, ma era sulla difensiva» 240 .
A Brescia, invece, – sottolineò “Il Manifesto” – i rappresentanti dello
Stato
«hanno
sentito
la
collera
e
l’accusa
popolare
montare
impetuosamente contro di loro: gli è stato gridato in faccia che la
democrazia cristiana [sic] e il suo stato sono responsabili politicamente di
quanto è avvenuto» 241 . Secondo l’ottica del quotidiano, era stata proprio la
gestione ‘abietta’ della crisi del ’69 da parte di Rumor – che aveva
strumentalizzato l’attentato contro i lavoratori, offuscandone la pista nera,
coprendo le trame reazionarie dei neofascisti e lasciandoli liberi di
continuare la loro opera – a togliere ogni legittimità agli organi dello
Stato 242 . Le urla della folla confluita nelle strade bresciane avrebbero
dunque confermato che la maggior parte della cittadinanza era consapevole
di trovarsi di fronte ad un’organizzazione eversiva che non rappresentava
«un virus esterno, ma una malattia endemica di [quella] classe
dominante» 243 .
Secondo i gruppi della sinistra extraparlamentare, l’elevata politicità
dell’attentato di piazza Loggia aveva insomma prodotto un salto di qualità
nella risposta popolare creando un clima di accesa insofferenza nei
confronti delle trame reazionarie.
Per “Avanguardia operaia”, non ci potevano essere dubbi:
239
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit.
240
241
242
243
Ibidem.
S. f., Quel che Brescia domanda, cit.
Ibidem.
Ibidem.
149
A Brescia c’è stato un salto di qualità di importanza enorme.
I sindacati hanno dichiarato in tutta Italia (non solo a Milano
come nel ’69) lo sciopero generale di quattro ore, a Brescia
fabbriche occupate e assemblee aperte. Centinaia di migliaia di
lavoratori hanno perso una seconda giornata di lavoro per
arrivare, anche dal lontano Sud, ai funerali. Non muti, anonimi,
ma con gli striscioni, i cartelli, le parole d’ordine antifasciste,
con migliaia di bandiere rosse e i pugni chiusi, con tutta la rabbia
dell’antifascismo e della Resistenza 244 .
La grande partecipazione di quelle ore coinvolse profondamente tutti gli
strati sociali del paese, ma le dimostrazioni più impetuose – e quelle
maggiormente evidenziate dai fogli qui considerati – provenivano dal
cosiddetto proletariato. La stampa della sinistra rivoluzionaria cercò di
riportare la complessità e l’estensione delle forze che componevano questo
settore della società italiana. “Lotta continua” diede centralità ad un
messaggio spedito alla redazione del giornale da un gruppo di ‘soldati
democratici del 40° RGT.FTR’ di Forlì, i quali – sottolineando la propria
qualità di cittadini che prestano il servizio militare – espressero la loro
sincera protesta contro le dinamiche della strategia della tensione
affermando «la loro fedeltà agli ideali democratici e antifascisti che
animano il popolo italiano e la loro opposizione a qualsiasi tentativo di
coinvolgerli in disegni reazionari, e [associandosi] alla protesta unanime
244
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit.
150
dei lavoratori italiani e delle organizzazioni democratiche e antifasciste» 245 .
Per mostrare come il forte significato della strage bresciana fosse stato
compreso anche fuori dai confini nazionali, il foglio citò il caso dei
cittadini francesi che erano scesi in piazza per protestare contro l’attentato
di piazza Loggia, partecipando in migliaia alla dimostrazione promossa a
Parigi dal Fronte comunista rivoluzionario trotskista. Il corteo si era diretto
fino al cimitero Père-Lachaise mentre la gente scandiva slogans, come ‘Da
Parigi a Brescia il fascismo non passerà’ o ‘In Italia e ovunque il potere
agli operai’. La manifestazione si era conclusa con un discorso del
trotzkista Alain Krivine che attaccava l’uso padronale delle bande fasciste
per colpire la classe operaia e sosteneva che «come in Italia […] anche in
Francia Giscard d’Estaing [avrebbe avuto] bisogno delle frange fasciste per
mantenere il potere del capitale corroso dalle lotte operaie» 246 .
Le formazioni della sinistra rivoluzionaria seguitarono a mettere in
primo piano, sulla propria carta stampata, il contenuto antifascista
245
I soldati democratici di Forlì, I soldati democratici di Forlì partecipano alla protesta
di tutti gli antifascisti, “Lotta continua”, 01-06-1974. Un’altra lettera indicativa della
diffusa reazione al neofascismo che coinvolgeva anche la vita delle caserme italiane è
quella scritta dai ‘militari comunisti’ di Treviso che, «nell’esprimere la loro solidarietà
di classe con il movimento operaio ancora una volta colpito dalla barbarie fascista, si
associa[vano] al cordoglio dei compagni e dei democratici di tutta la nazione, al
fianco dei quali combatt[evano] in nome dell’antifascismo e verso il socialismo contro
il padronato e quella parte della classe politica che permette[va] il ripetersi di episodi
tragici come quelli di Brescia [e] ribadi[vano] il loro impegno antifascista e alla
vigilanza contro le trame nere presenti nell’esercito». ASCD/102/PL I B 6, 30-051974.
246
S. f., Francia. I compagni scendono in piazza contro il crimine fascista di Brescia,
“Lotta continua”, 01-06-1974. Su iniziativa della sinistra rivoluzionaria,
manifestazioni contro la strage fascista a Brescia si erano svolte in varie città europee.
Cfr. S. f., Mobilitazioni per Brescia anche all’estero, “Avanguardia operaia”, N. 22,
07-06-1974.
151
dell’impegno profuso dalla popolazione in quelle giornate. Un impegno che
– com’è stato ampiamente sostenuto – non può essere messo in
discussione, anche se i fogli analizzati ne estremizzarono spesso i toni:
La rabbia, non la rassegnazione o la pietà, si è vista a questi
funerali: la misura è ormai colma, adesso basta. La gente non
vuole più star zitta, neanche se c’è un funerale, la messa o il
vescovo che parla. Vuole agire, spazzare via i fascisti dalla scena
politica, impedire loro fisicamente di agire, di organizzarsi. I
lavoratori vogliono vendicare i loro morti. E, altro punto
importante, hanno capito che non è allo ‘stato democratico’ che
possono delegare il compito di fare giustizia 247 .
Di fronte alla sfida politica lanciata dalla strage di piazza Loggia, gli
organismi dirigenti di AO e la quasi totalità delle sue sedi si impegnarono
ad interpretare le esigenze delle masse e della parte più cosciente del
proletariato, cercando di mettere a frutto l’esperienza maturata nel corso
degli anni nella lotta contro le nuove forme di reazione. L’impegno in
prima
linea
contro
il
neofascismo
da
parte
dell’organizzazione
extraparlamentare era attivo già da tempo: era almeno dal marzo 1972, con
la giornata di lotta milanese contro la ‘maggioranza silenziosa’ e contro la
polizia che la proteggeva, che si impegnava sul terreno dell’antifascismo
militante. I redattori del settimanale del gruppo insistettero su questo punto
in un intervento – intitolato Antifascismo militante: obiettivi e alleanze –
247
S. f., Ai funerali di Brescia la più grande manifestazione antifascista mai vista in
Italia, cit.
152
nel quale sostennero l’urgenza di un maggiore sostegno per le masse e le
avanguardie comuniste nella lotta contro le trame nere «perché, dopo la
strage di Brescia e, più in generale, dopo il salto qualitativo fatto dal
terrorismo fascista negli ultimi mesi, non [potevano] più [ritenersi]
soddisfatti di come [andavano] le cose in questo campo» 248 .
L’articolo – che riveste grande significato perché aiuta a comprendere le
posizioni e le contraddizioni delle formazioni della sinistra rivoluzionaria
rispetto alla questione dell’utilizzo della violenza – additò gli errori del
passato per cercare di evitarli nel presente:
Sarebbe veramente sciocco e autolesionista ritenere che la
bestiale criminalità dei fascisti, per l’indignazione morale che
suscita nella stragrande maggioranza del popolo, sia destinata, di
per sé, a ritorcesi, come un boomerang, su chi la pratica.
Discorsi di questo tipo, che purtroppo capita ancora oggi di
dover ascoltare, sono fatti dai revisionisti dimentichi che, nel
1921-22, i vari Turati, Modigliani ecc. facevano le stesse
identiche osservazioni a proposito del crescente dilagare del
terrorismo mussoliniano. Il primo attacco fascista – quello
contro il Comune di Bologna dopo la vittoria elettorale del
partito socialista – suscitò, senza dubbio, l’esecrazione generale.
Gli squadristi furono condannati non solo dalle masse popolari
ma anche da vasti settori della borghesia; la stessa cosa accadde
successivamente per altri assalti contro sedi sindacali, case del
popolo ecc. ma con il trascorrere dei mesi, la borghesia si
accorse che il terrorismo fascista non trovava ostacoli consistenti
248
S. f., Antifascismo militante: obiettivi e alleanze, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-
06-1974.
153
a causa del pacifismo del PSI (e anche del dottrinarismo e del
settarismo del PCd’I diretto da Bordiga) e prese, quindi, a
considerarlo come una possibile soluzione per piegare la
combattività del proletariato 249 .
I redattori di “Avanguardia operaia” sapevano che la situazione generale
del 1974 era molto diversa da quella degli anni venti, ma erano convinti
che una riflessione storica su quel triste passato fosse necessaria per
comprendere in quale direzione incanalare la reazione antifascista. La
comparazione storica qui proposta – che, visto l’elevatissimo tasso di
violenza nera della prima metà degli anni settanta, offriva uno spunto di
riflessione non banale e certo utile – mette in evidenza l’approccio
‘antipacifista’ di questo gruppo, caratteristica che accomunava – soprattutto
in quella fase critica – le formazioni della sinistra rivoluzionaria. La loro
radicalità verbale era corrispondente al forte desiderio di vedere finalmente
estirpata la strategia reazionaria, ma tradiva anche la disillusione di poter
soddisfare tale desiderio tramite i tradizionali metodi di protesta del
movimento operaio: infatti, «di fronte al salto qualitativo del terrorismo
fascista, sarebbe [stato] da irresponsabili non reagire nel modo dovuto,
pensando che tutto [avrebbe finito] col sistemarsi, rispondendo ad ogni
sparatoria e ad ogni attentato dinamitardo con uno sciopero e un corteo» 250 .
Le parole di “Avanguardia operaia” possono però trarre in inganno,
inducendo a credere che il settimanale volesse spronare i propri militanti a
compiere azioni violente. Anche se non può essere negato che alcune prese
di posizione dei fogli analizzati abbiano favorito lo sviluppo di risposte
249
250
Ibidem.
Ibidem.
154
aggressive, è necessario tenere in considerazione anche il condizionamento
inverso. Infatti, i gruppi della sinistra extraparlamentare erano molto attenti
all’umore mostrato dalla cittadinanza durante le manifestazioni. Le loro
posizioni – e dunque quelle dei loro organi di stampa – tendevano a
radicalizzarsi nel momento in cui le accese proteste di una fetta rilevante
della popolazione scesa in piazza – che aveva un atteggiamento
‘fisiologicamente’ veemente – andavano nella stessa direzione delle loro.
Tuttavia, l’imperativo categorico attorno a cui gravitò l’impegno politico
delle formazioni della sinistra rivoluzionaria in quelle lunghe giornate era
l’indebolimento delle risorse del piano reazionario attraverso un battaglia –
che doveva rientrare nella legalità – per mettere fuori legge il Msi.
L’articolo citato mostra come, secondo il settimanale, la strada da
percorrere fosse stata indicata proprio dalla mobilitazione popolare
antifascista:
Il nostro primo compito è dunque quello di agire per
annullare, o quantomeno, ridurre la forza materiale e militare dei
fascisti. L’unico modo per farlo è quello indicato dagli operai
dell’Italsider di Napoli, dai militanti che a Roma e a Milano
hanno chiuso le sedi missine nei quartieri popolari e i bar
‘sanbabilini’. Un’altra indicazione che viene dalle masse e che
deve essere resa sistematica dalle avanguardie è quella
dell’epurazione dei fascisti dalle fabbriche e dalle scuole (nei
giorni scorsi gli operai della FIAT Mirafiori, come i loro
compagni di altre fabbriche, hanno accuratamente spazzato via i
fascisti). Più in generale occorre determinare un clima di
mobilitazione tale da prevenire il terrorismo fascista o, quando la
cosa non sia stata possibile, punirlo severamente. È in questo
155
quadro che si colloca la nostra risposta, rivolta alle masse ma
anche a tutte le forze politiche antifasciste, di agire per mettere
fuori legge il MSI 251 .
I gruppi della sinistra extraparlamentare ebbero una verifica di massa
che andò ben oltre le forze che erano in grado di influenzare. Infatti, non
soltanto chi aderiva alla sinistra rivoluzionaria ma anche decine di migliaia
di persone legate alle altre organizzazioni del movimento operaio
respinsero nelle fabbriche e nelle piazze l’atteggiamento moderato della
sinistra parlamentare nei confronti degli organi istituzionali.
Ad “Avanguardia operaia” sembrò scontato che le istituzioni
repubblicane, nonostante le solenni affermazioni della carta costituzionale,
non avrebbero mai percorso di loro iniziativa la strada che conduceva allo
scioglimento del Msi 252 . Il partito guidato da Almirante – sostenne il foglio
– faceva troppo comodo come supporto del sistema politico di quegli anni,
ma anche come possibile carta di ricambio per il futuro: sarebbe bastato
ricordare che la legge varata nel 1953 per colpire il Movimento sociale era
stata applicata soltanto nel 1973 e soltanto contro Ordine Nero per capire
che qualcosa non andava. Il settimanale di agitazione comunista sapeva che
la mobilitazione generale sarebbe ben presto calata e che non si poteva
tergiversare nella speranza che l’indignazione morale della popolazione
attivasse un’inversione di tendenza nell’impegno delle autorità. Per
ottenere
un
successo
bisognava
invece
muoversi
con
estrema
251
Ibidem.
Cfr. S. f., Strage. Una lunga serie di falsi per bloccare l’inchiesta sulle bande
fasciste (e di stato). Magari si cerca di unificarla (e portarla a Roma) per toglierla a
giudici che ‘sanno troppo’, “Il Manifesto”, 09-06-1974.
252
156
determinazione, perché soltanto «in una situazione in cui l’azione delle
avanguardie, la decisa iniziativa della classe operaia, un largo consenso
dell’opinione pubblica democratica [avessero reso] l’aria irrespirabile ai
fascisti, l’obiettivo della messa fuorilegge [sarebbe diventato] realistico e si
[sarebbe trasformato] a sua volta in un potente impulso all’azione diretta
delle masse» 253 .
L’articolo
di
“Avanguardia
operaia”
sembrò
poi
rivolgersi
indirettamente alle istituzioni – o alla parte considerata democraticamente
affidabile delle istituzioni, alla quale, nonostante tutto, fu costantemente
richiesto un intervento deciso – per avvertirle che, in mancanza di un loro
ferma presa di posizione, il seguito popolare dei gruppi della sinistra
rivoluzionaria continuava ad aumentare, ma insieme ad esso anche il
desiderio di farsi giustizia da soli:
Alcuni risultati significativi sono venuti, ma è giunta l’ora di
alzare il tiro e di darci obiettivi più ambiziosi. [Le grandi
mobilitazioni dell’ultimo periodo] hanno dimostrato che, oltre ai
militanti della sinistra rivoluzionaria, un vasto settore del
proletariato legato alle organizzazioni della sinistra tradizionale,
comincia a muoversi in modo diverso dal passato: le parole
d’ordine della sinistra rivoluzionaria vengono riprese su
larghissima scala nonostante persistano, in alcuni casi, elementi
inerziali di diffidenza. Anche le forme di lotta più avanzata non
sono considerate estremiste ma tali da essere attuate a livello di
massa 254 .
253
254
S. f., Antifascismo militante: obiettivi e alleanze, cit.
Ibidem.
157
Era anche per evitare che la situazione precipitasse che – per le
formazioni della sinistra rivoluzionaria – bisognava organizzare una
mobilitazione che coinvolgesse il maggior numero di soggetti possibile. Per
questo motivo venne proposta una verifica – da effettuare tramite una
votazione – dell’effettiva volontà e disponibilità popolare di lottare in
prima persona contro tutto quanto di fascista era ancora presente nella
società italiana. Quell’esame era considerato particolarmente importante
proprio perché avrebbe permesso «di verificare l’effettivo grado di
disponibilità dei revisionisti e di tutti i democratici borghesi a passare dalle
parole ai fatti» 255 .
Il Comitato centrale di AO si impegnò in una raccolta di firme per una
proposta di legge di iniziativa popolare. Era però necessario riuscire a
coinvolgere tutti i settori dell’antifascismo per raccogliere almeno
cinquantamila firme. Questa campagna doveva essere inoltre un’occasione
per commemorare le vittime di Brescia, per svolgere comizi e conferenze e
per rendere partecipe il maggior numero di persone possibile 256 . Per il
gruppo bisognava inoltre impegnarsi per eliminare dalla legislazione
italiana i lasciti del fascismo. AO appoggiò l’iniziativa promossa dai
radicali di raccogliere firme per giungere ai referendum abrogativi delle
leggi fasciste ancora vigenti, pur nella consapevolezza che le reali
possibilità di ottenere un successo erano poche. Secondo il settimanale del
gruppo, il governo stava peggiorando la situazione tramite il varo di una
serie di misure che ledevano le libertà dei cittadini, come la decisione di
aumentare il periodo di detenzione in attesa di processo, o la restaurazione
della facoltà della polizia giudiziaria di interrogare gli arrestati anche in
assenza del magistrato. L’energia della popolazione antifascista avrebbe
255
256
Ibidem.
Ibidem.
158
dovuto essere diretta proprio contro quell’atteggiamento, in modo da
cambiare definitivamente la gerarchia dei valori della politica italiana e
segnare un punto di non ritorno nel percorso democratico del paese 257 .
I gruppi della sinistra extraparlamentare erano convinti dei propri mezzi
ma non mancarono mai di sottolineare che, per bloccare quello che si
mostrava sempre più chiaramente come un complesso piano reazionario di
cui l’azione dei gruppi d’estrema destra rappresentava soltanto la punta
dell’iceberg, i loro sforzi avrebbero dovuto necessariamente essere
coadiuvati da un nuovo atteggiamento delle forze parlamentari della
sinistra 258 . In questo senso, la mobilitazione seguente alla strage bresciana
rappresentò per queste formazioni un terreno di riflessione e di maturazione
politica che permise loro di muovere un abbozzo di autocritica nei
confronti della propria intransigenza.
“Avanguardia operaia” arrivò a denunciare il massimalismo che
caratterizzava
gli
schieramenti
della
sinistra
extraparlamentare,
considerandolo corresponsabile dell’atteggiamento difensivo assunto dai
partiti del movimento operaio. La sinistra rivoluzionaria avrebbe allora
dovuto ricercare tutte le alleanze possibili sul terreno dell’antifascismo
effettivo, senza porre pregiudiziali di schieramento come aveva fatto in
passato: l’unico risultato di tale comportamento era stato infatti quello di
aver facilitato l’opera dei ‘revisionisti’ che usavano l’antifascismo solo per
sviluppare la politica del compromesso storico. Bisognava invece puntare
tutto sulla formazione di comitati unitari antifascisti, mettendo in tal modo
alla prova le forze parlamentari della sinistra, spingendole ad abbandonare
le alleanze strategiche con la Dc a favore di un più concreto impegno
257
Ibidem.
258
Cfr. S. f., Le bande armate fasciste non sono estremisti isolati, dipendono dal MSI
del boia Almirante, cit.
159
antifascista. Sarebbero stati «i contenuti programmatici a filtrare gli
antifascisti veri da quelli fasulli» 259 .
In un altro importante articolo – significativamente intitolato Devono
pagare –, “Avanguardia operaia” tornò a puntare il dito contro
l’atteggiamento ambiguo delle cariche governative che avevano cercato di
utilizzare l’indignazione popolare contro i fascisti e la loro impunità «per
deviarla verso l’obiettivo del rafforzamento dell’apparato repressivo e della
legislazione liberticida» 260 . Vennero chiamati in causa anche i maggiori
organi di stampa nazionale che, pur facendo concessioni verbali al
profondo malcontento popolare, avrebbero imbastito ogni giorno dei
‘gialli’ sui personaggi coinvolti o sui nuovi particolari dell’inchiesta con
l’obiettivo di confondere le acque. “Avanguardia operaia” credé invece di
poter vedere chiaramente i fondali di quella vicenda e rincarò la dose di
accuse nei confronti del Msi, considerato colpevole di avere addestrato e
armato le squadre dell’estremismo di destra e di avere agito in stretto
collegamento con i servizi segreti italiani, ma anche con quelli di altri paesi
Nato. Per il settimanale, la situazione era già abbondantemente chiara alle
forze dell’ordine, che sarebbero state da tempo in possesso delle liste dei
nomi dei terroristi e dei finanziatori: esse però non si stavano muovendo
per abbattere le centrali dell’eversione perché la classe dirigente italiana
non aveva la volontà politica di andare in quella direzione 261 .
259
260
S. f., Antifascismo militante: obiettivi e alleanze, cit.
S. f., Devono pagare, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974. Cfr. anche la
titolazione di prima pagina del mensile «Movimento Studentesco»: «Tutte le stragi
portano alla DC. I fascisti sono legati a doppio filo ai gruppi economici, ai settori
dell’apparato statale, alle organizzazioni che fanno capo alla DC, la quale invece di
colpire i fascisti cerca di fare approvare leggi ultrafasciste per limitare le libertà
costituzionali e colpire le forze democratiche e rivoluzionarie», n. 33, giugno 1974.
261
S. f., Devono pagare, cit.
160
La popolazione antifascista mobilitatasi in quelle giornate era riuscita,
fino a quel momento, a mantenere l’autocontrollo e ad organizzare proprie
forme di protesta e di solidarietà 262 . Ma, per i gruppi della sinistra
rivoluzionaria, si era arrivati ai limiti dell’umana sopportazione.
L’intervento di “Avanguardia operaia” tornò a sostenere che la cittadinanza
antifascista non si sarebbe più lasciata ingannare da misure pensate solo per
trovare qualche capro espiatorio, in grado di imprigionare soltanto
insignificanti ‘manovali’ del terrorismo, ma avrebbe richiesto una giustizia
completa 263 .
La collera popolare – ribadì l’articolo – era giunta al colmo e sarebbe
servito tutto l’impegno degli organi istituzionali per evitare che la
cittadinanza cercasse di farsi giustizia da sé:
Questa volta nessuno si accontenterà del successo che hanno
avuto gli scioperi e le manifestazioni. Questa volta non ci si
fermerà fino a quando non saranno stati raggiunti risultati
concreti contro i fascisti. Se, come tutto lascia credere, poliziotti
e magistrati, controllati da Rumor e da Fanfani, non si
decideranno a dare colpi seri cominciando con l’incarcerazione
dei criminali di Brescia, i lavoratori si faranno giustizia da soli
con buona pace delle animelle socialdemocratiche e dello stesso
Lama. Rumor, Fanfani, Taviani non avranno alcuna tregua fino a
262
Molti operai, in particolar modo, continuarono a mobilitasi anche per fornire un
contributo economico ai famigliari delle vittime, come nel caso dei lavoratori di
Carpenedolo che avevano deciso di devolvere un’ora del proprio lavoro a tale scopo.
Cfr. il volantino 1 ora di lavoro per le vittime di Brescia del 06-06-1974.
ASCD/145/PL I 0 7.
263
S. f., Devono pagare, cit.
161
quando gli autori e i mandanti della strage non saranno stati
puniti. Nel frattempo in ogni quartiere popolare sarà fatto tutto il
possibile per chiudere i covi nei quali i fascisti organizzano le
loro imprese squadristiche piccole e grandi; queste sedi devono
essere chiuse una, due, tre, mille volte. […] Pietà l’è morta
cantavano i partigiani. La nostra pazienza, la pazienza dei
proletari è finita, diciamo noi oggi. Questa è l’ora dei fatti, delle
misure, concrete che stronchino materialmente la possibilità dei
fascisti di continuare ad uccidere, a far deragliare treni, a far
esplodere bombe in mezzo alle manifestazioni 264 .
Anche in questa circostanza, dalla radicalità dell’articolo emerge tutta
l’ambiguità delle posizioni sostenute dagli schieramenti analizzati,
posizioni che spesso erano frutto di un atteggiamento condizionato da un
pericoloso intreccio tra concezione legale ed illegale dell’attività politica.
Tale dualismo non deve mai essere perso di vista e non può che avere un
peso considerevole sul giudizio complessivo dell’attività della sinistra
radicale. Nella stessa misura deve però essere costantemente e
specularmene tenuto in considerazione che una dicotomia analoga
persisteva all’interno dello Stato. Solo in questo modo è possibile
approcciarsi obiettivamente a quel travagliato periodo della nostra storia
caratterizzato da un utilizzo della violenza politica che interessò non solo le
parti estreme della destra e della sinistra ma anche una fetta significativa
delle istituzioni.
264
Ibidem.
162
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
163
Il Pci
Durante le giornate successive all’attentato di Brescia, le posizioni dei
gruppi della sinistra extraparlamentare nei confronti del Partito comunista –
relativamente alle tematiche qui trattate – tendevano a coincidere. Il Pci era
visto come una sorta di interlocutore privilegiato da quel settore politico,
ma – proprio per questo motivo – veniva sottoposto ad una critica costante.
Essendo considerato il partito politico che più di ogni altro doveva farsi
garante dei diritti e della sicurezza dei cittadini che protestavano contro la
strategia reazionaria, il Pci venne ripetutamente accusato di non volere
assumersi le proprie responsabilità e di rifugiarsi in un moderatismo utile
soltanto alle proprie strategie di potere. In quel periodo di forti tensioni, la
sinistra rivoluzionaria non accettò i richiami del partito a ‘non farsi
giustizia da soli’ e li interpretò come sterili appelli tesi a placare l’animo
popolare, i quali avrebbero semplicemente aiutato il sistema capitanato dai
democristiani a tenere nascoste le proprie complicità.
Dagli organi di stampa legati a quest’ambiente traspare dunque un
atteggiamento assai critico nei confronti del Pci che – anche dopo la strage
del 28 maggio – non aveva saputo muoversi con decisione ed era rimasto
immerso in un sistema partitico condizionato dal potere democristiano,
mantenendosi estraneo ai problemi del paese reale. Tale posizione critica è
ben mostrata dal contenuto di una serie di articoli di “Avanguardia
operaia”. Il settimanale si lamentò del fatto che, nonostante il risultato del
referendum sul divorzio, il gruppo dirigente comunista avesse rilanciato il
compromesso storico, confermando alla Dc il proprio atteggiamento
‘responsabile’ e la propria opportunistica disponibilità a collaborare.
Comportandosi in quel modo la dirigenza comunista avrebbe però
compiuto alcuni gravi errori di valutazione politica: non aveva tenuto in
164
considerazione gli ostacoli all’apertura verso il Pci di carattere
internazionale, proprio in un momento in cui si erano acutizzati i contrasti
tra Usa e Urss, e – soprattutto – aveva sottovalutato l’evoluzione della
situazione interna. In quella delicata fase segnata dal picco della violenza
eversiva, dalla crisi economica e dalla rinnovata antipatia di buona parte
della cittadinanza nei confronti del partito di governo, una posizione troppo
morbida del Pci era vista come controproducente perché non lo avrebbe
aiutato a mantenere l’egemonia sulle categorie sociali vicine alla classe
operaia 265 .
Il foglio avvertì allora la dirigenza comunista che il prezzo che il partito
avrebbe dovuto pagare per un rapporto di collaborazione con il ‘fronte
borghese’
sarebbe
stato
molto
alto
e
avrebbe
comportato
una
‘corresponsabilizzazione’ con una politica governativa tra le più
direttamente anti-popolari e impopolari dell’Italia repubblicana:
Anche per queste ragioni, la rinnovata disponibilità alla
collaborazione verso cui si orienta il gruppo dirigente del PCI, è
destinata a creare profonde contraddizioni nel rapporto PCImasse; e, in particolare, in quell’aspetto specifico di tale
rapporto che è costituito dal rapporto tra vertice e base del
partito. È da vedere in che misura i militanti del PCI, finalmente
un po’ galvanizzati da un momento di lotta oggettivamente
dominato da una netta contraddizione alla DC, accetteranno di
re-inserirsi nella squallida routine dell’‘opposizione di tipo
diverso’266 .
265
266
S. f., Dopo il referendum, cit.
Ibidem.
165
Il Pci aveva abbondantemente denunciato l’incapacità dei governi
succedutisi in quegli anni di assumere iniziative in grado di spezzare
l’intollerabile catena di violenze reazionarie, ma quelle accuse avrebbero
dovuto tradursi in una presa di posizione concreta. Dopo gli ultimi
drammatici avvenimenti bresciani, i comunisti italiani – sostenne ancora
“Avanguardia operaia” – avrebbero dovuto utilizzare la loro forza per
rispondere alla violenza fascista e per colpire le responsabilità politiche
delle forze al potere, le complicità poliziesche e giudiziarie. Le energie del
partito avrebbero dovuto essere convogliate in una politica che contrastasse
l’atteggiamento governativo che, senza preoccuparsi troppo dei principi
costituzionali, andava nella direzione opposta alla volontà popolare 267 .
Secondo il settimanale, un’azione di contrasto e di controllo sarebbe
stata particolarmente utile, anche perché il potere democristiano stava
rispolverando la parola d’ordine dell’efficienza e della centralità dello Stato
«nell’unica interpretazione che la lotta di classe consente, la repressione,
facendo piazza pulita di ogni altra interpretazione più democratica, come
quella proposta ad esempio dallo stesso PCI» 268 . In effetti, nel corso del
dibattito parlamentare sul rafforzamento degli organici di polizia, il Partito
comunista aveva avanzato alcuni suggerimenti sulla smilitarizzazione degli
agenti di polizia e sulla possibilità di introdurre un reclutamento popolare
delle forze di polizia, controllato da partiti e sindacati, proposta che non era
stata accettata dai democristiani, persuasi di poter conciliare più ‘efficacia
267
Cfr. S. f., Governo. Rumor e Fanfani usano le bombe fasciste per estendere i ‘corpi
speciali’. Astensione del Pci sul potenziamento della polizia, “Il Manifesto”, 02-061974.
268
S. f., Il governo potenzia l’apparato repressivo. Col pretesto del terrorismo,
“Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974.
166
repressiva’ con più democrazia 269 . Tuttavia, agli occhi delle formazioni
della sinistra rivoluzionaria, nonostante qualche flebile tentativo di
reazione, l’atteggiamento dei comunisti – e della sinistra istituzionale in
generale – sembrò assolutamente inadeguato a contrastare le preoccupanti
prese di posizione governative. Una chiara risposta alla strategia
reazionaria doveva invece arrivare velocemente perché, in quel momento,
«col pretesto dello ‘scardinamento delle trame eversive’ [venivano]
preparate e rese più efficienti nuove offensive contro la sinistra
rivoluzionaria e i suoi militanti» 270 .
Quest’ultima sentì l’urgenza di imprimere una svolta alla battaglia
contro il Movimento sociale italiano, una battaglia di vecchia data che dopo
la strage di piazza Loggia non avrebbe più dovuto avere semplicemente un
senso di protesta e di sfogo del movimento di classe, ma avrebbe dovuto
condurre ad una maturazione della democrazia italiana. In quel momento,
però, a questi gruppi parve che il valore di quell’impegno fosse stato
perfettamente compreso da centinaia di migliaia di operai, dai consigli di
fabbrica, dalle organizzazioni antifasciste e dai consigli comunali, ma che
le forze politiche ufficiali della sinistra non fossero in grado di raccoglierne
il significato. E il maggior responsabile di tale atteggiamento sembrò loro
essere, appunto, il Partito comunista.
Nelle conclusioni del comitato centrale di questo partito appena
conclusosi, per esempio, non era stata sostenuta la necessità di metter fuori
legge il Msi, anche se un intervento – quello di Umberto Terracini – aveva
evidenziato la centralità della questione. Tale ipotesi era stata discussa e
rifiutata dalla replica finale con l’argomento che il Msi rappresentava
ancora tre milioni di voti e che non si sarebbe dovuto lottare tanto per
269
270
Ibidem.
Ibidem.
167
sciogliere la sua struttura quanto per smascherarne le connivenze col
terrorismo fascista e per disgregarne le basi sociali e il consenso elettorale,
anche perché – sempre secondo i dirigenti del Pci – una proposta di
scioglimento del Msi avrebbe avuto l’effetto di far serrare i ranghi al
partito, aiutandolo così a ricomporre la propria crisi. In tal modo, il Pci
esplicitò una concezione politica per cui il Movimento sociale non era il
vero centro dell’eversione e il governo avrebbe invece dovuto concentrare
le proprie energie per scoprire gli appoggi internazionali, le complicità
istituzionali e i finanziamenti nel mondo dell’industria. Per “Avanguardia
operaia”, quelle del Pci erano ‘strane teorie’ poco realistiche, che non
tenevano conto che la crisi dei fenomeni reazionari sarebbe scaturita
«soltanto da una contrapposizione molto dura ad essi, da una lotta molto
estesa e radicale che [conducesse] anche a provvedimenti legali che gli
[togliessero] ogni spazio» 271 .
Ribadendo che il principale compito dello schieramento antifascista era
quello di condurre la battaglia contro il Movimento sociale italiano, il
settimanale sottolineò la paradossalità dell’atteggiamento del Partito
comunista ricordando ai propri lettori che era stato proprio in
quell’organizzazione politica che, nelle occasioni maggiormente critiche
del recente passato nazionale, tale impegno aveva trovato il suo maggior
sostenitore:
Trent’anni fa, quindici anni fa, era il Partito Comunista che
portava avanti queste indicazioni, era “L’Unità” che le
sosteneva, erano i militanti del PCI, in prima fila, che le
271
S. f., Il PCI rifiuta la battaglia per la messa fuori legge del MSI. Quattro argomenti
che non convincono nessuno, “Avanguardia operaia”, N. 24, 21-06-1974.
168
applicavano sul terreno della lotta concreta, giorno per giorno,
fabbrica per fabbrica. L’antifascismo militante ha rappresentato,
all’interno dell’intera storia del PCI, una delle pagine più belle, è
di fatto il patrimonio a cui sempre gli stessi dirigenti hanno
inteso richiamarsi nel caratterizzare la tradizione stessa del
partito. Ed è proprio l’antifascismo militante, frutto del coraggio
e dell’eroismo di migliaia di proletari, il segno di riconoscimento
e di continuità che gli stessi militanti richiamano quando
difendono la natura di classe del PCI 272 .
Il periodico affermò allora che per una buona parte della popolazione
antifascista che aveva partecipato alle manifestazioni dei giorni successivi
alla bomba di Brescia – quella che si sentiva appunto rappresentata
politicamente da tale partito – il Pci non era solo la principale forza che
aveva dato vita alla Resistenza ma era anche il gruppo politico che aveva
sostenuto con costanza la lotta antifascista dal dopoguerra sino a quel
momento. Queste considerazioni avevano l’obiettivo di spingere i dirigenti
del partito – ma, in generale, ogni antifascista – a riflettere sul fatto che la
campagna contro il Msi condotta in quel momento dalla sinistra
extraparlamentare era tanto più legittima e comprensibile in quanto frutto
di un’esigenza rivendicata da decenni da tutto il movimento operaio,
esigenza che era appunto stata «uno dei baluardi della politica del PCI, uno
degli elementi fondamentali che gli [avevano] permesso di continuare il
suo radicamento tra le masse, nei confronti delle quali il PCI [era] stato il
punto di riferimento in questa battaglia» 273 . Di fronte a tale constatazione,
272
273
S. f., Le buone vecchie usanze del PCI, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974.
Ibidem.
169
l’atteggiamento incerto tenuto dal partito in quelle giornate di intensa
partecipazione antifascista era considerato inammissibile. “Avanguardia
operaia” non riusciva proprio a spiegarsi perché le enormi differenze
ideologico-politiche che contrapponevano il Pci alla Dc – le quali si erano
manifestate in tutta la loro irruenza durante la campagna per il referendum
del 12 maggio – venissero messe da parte proprio quando si realizzava la
condizione ideale per la sconfitta di massa dei democristiani, e perché le
stesse parole d’ordine che avevano caratterizzato l’attività dei dirigenti
comunisti nel passato fossero «sacrificate sull’altare della tattica e della
strategia del ‘compromesso storico’» 274 .
Nel periodo di tempo e per l’argomento qui trattato – come si è detto –,
queste posizioni erano sostanzialmente condivise da tutti i gruppi
rivoluzionari. È utile però soffermarsi brevemente sul punto di vista de Il
Manifesto. L’organizzazione era stata spesso accusata – a causa delle
modalità stesse tramite cui aveva preso forma la sua esperienza – di essere
troppo morbida nei confronti del partito. In quella fase della loro storia, le
formazioni rivoluzionarie qui considerate avevano però già ridotto – per
non dire eliminato – le loro contrapposizioni di principio nei confronti della
possibilità di condurre la lotta di classe dai banchi del Parlamento, e le loro
– sempre accese – divergenze in merito alla questione riguardavano la
strategia politica che avrebbe dovuto tenere il partito. Nei giorni
immediatamente successivi alla strage bresciana, Il Manifesto – con il Pdup
– aveva dato il via alla propria campagna elettorale in vista delle elezioni
regionali del 16 giugno, la quale fu caratterizzata dal tentativo di fare
convergere il massimo dei voti al Pci. In un articolo pubblicato dal
quotidiano del gruppo venne data rilevanza al comizio organizzato a
274
Ibidem.
170
Cagliari dalla formazione politica in funzione della sua campagna
elettorale. In quella occasione, gli oratori avevano sostenuto che, dopo il
successo delle sinistre al referendum sul divorzio e dopo la risposta
popolare seguita all’attentato bresciano, sarebbe stato controproducente
lasciare spazio politico alla Dc, lasciarle il tempo per riorganizzarsi, mentre
sarebbe stato necessario condurre una strategia tesa ad indebolire il
‘compromesso storico’ e a spostare a sinistra i rapporti di forza. Per questo
motivo «il Manifesto e il Pdup si [sarebbero] impegna[ti] nella battaglia
elettorale concentrando i loro voti sulle liste del Pci, il cui elettorato
operaio e popolare [era] animato dalla stessa volontà di lotta contro la Dc,
il suo sistema di potere, la sua politica nazionale e regionale» 275 .
Nonostante la scelta attuata dal gruppo, sarebbe sbagliato pensare che
questo avesse smesso di rivolgersi al Partito comunista con occhio critico.
Infatti, nello stesso articolo, il Pci fu l’oggetto di un duro attacco:
Questa scelta non esclude né attenua, ma anzi implica e
sottolinea, il nostro giudizio critico nei confronti della politica
generale e della politica sarda del Pci, dell’errore strategico del
compromesso storico, della debolezza della sua ‘opposizione
diversa’, del suo interclassismo regionalistico, dei suoi dichiarati
propositi di cogestione con la Dc, nelle marcie istituzioni locali,
finalizzata oggi neppure a un piano di rinascita in qualche modo
riformista ma ad un uso del denaro pubblico che premierà la
rendita agraria e l’industria di rapina, lasciando la Sardegna in
condizioni di sottosviluppo e sottoccupazione più che nel
275
S. f., Sardegna. Aperta la campagna elettorale del Manifesto-Pdup. Un voto unitario
al Pci per battere la Dc e rendere più difficile il ‘compromesso’, “Il Manifesto”, 0106-1974.
171
passato, nel quadro di una politica nazionale di deflazione e di
recessione 276 .
Le critiche del quotidiano al Pci erano per di più molto frequenti 277 . Di
Berlinguer – per esempio – fu criticato l’intervento al comitato centrale del
partito, nel quale «il segretario del Pci [aveva] cercato di prendere la
distanza dalla ipotesi di un coinvolgimento nell’immediato del partito nelle
responsabilità di gestione dello stato ma anche da quella dell’impegno in
una vera lotta di opposizione»278 . Un altro articolo significativo che mette
in luce il rapporto fortemente conflittuale non solo tra i gruppi e il Pci, ma
anche tra i primi in relazione all’atteggiamento tenuto nei confronti del
secondo, venne redatto da Ritanna Armeni. Prendendo in considerazione le
argomentazioni sostenute in un convegno operaio organizzato a Firenze da
Lotta Continua, la giornalista-militante criticò la posizione tenuta dagli
oratori – e appoggiata dai dirigenti del gruppo –, i quali insistettero sulla
necessità di lottare per mandare il Pci al governo in modo da evitare che la
situazione degenerasse in senso reazionario. La Armeni denunciò la forte
ingenuità di LC che si illudeva di vedere realizzati i propri obiettivi dalla
sinistra parlamentare «ignorando quindi tutte le responsabilità, le astensioni
276
Ibidem.
277
Anche “Lotta continua” non risparmiava le critiche al Pci. Cfr. S. f., La palude
Dorotea prepara una nuova manovra trasformista. Il C.C. del PCI alza un po’ la
voce, ma rilancia l’‘opposizione diversa’, “Lotta continua”, 07-06-1974.
S. f., Be
278
rlinguer prende le distanze da un ‘governo di salute pubblica’ ma anche da una vera
opposizione, “Il Manifesto”, 04-06-1974. Per una posizione più clemente sul dibattito
sviluppato dal Cc del Pci, cfr. L. Magri, Eppur si muove, “Il Manifesto”, 07-06-1974.
172
e le omissioni del Pci e del Psi perfino a livello di una battaglia
antifascista» 279 .
Per quanto riguarda le posizioni nei confronti di un’eventuale
partecipazione del Pci al governo, questi gruppi proposero non di rado
analisi controverse. Capitava spesso che uno schieramento criticasse
aspramente le considerazioni di un’altra formazione, quando gli stessi
ragionamenti – con mutamenti per lo più irrilevanti – venivano proposti
dalle colonne del proprio organo di stampa. Il confronto tra le
organizzazioni della sinistra extraparlamentare e il Pci rappresentava un
terreno molto delicato perché il fatto che le prime cercassero di acquisire
nuovi simpatizzanti dall’elettorato del Pci, mostrandosi come uniche forze
di sinistra non piegatesi ai compromessi istituzionali, creava un clima di
forte competizione che aiuta a spiegare l’irruenza e l’impulsività di certi
attacchi 280 .
279
R. Armeni, Lotta continua vuole il Pci al governo per gestire più facilmente
un’opposizione perdente, “Il Manifesto”, 04-06-1974.
280
Per avere un’idea delle polemiche che venivano ripetutamente accese tra queste
formazioni, cfr. la parte finale del corsivo de “Il Manifesto” nel quale si torna a
mettere in discussione la posizione espressa da Lotta Continua al convegno fiorentino
precedentemente citato: «È sconcertante che da un gruppo fino a ieri tutto
‘movimentista’ esca, oggi, una proposta tutta, e nel senso più tradizionale, politicante.
Che dalla contemplazione d’una mitizzata ‘autonomia’ di classe si salti non alla
questione del potere, ma a quella del governo, senza intermediazioni, senza neppure
porre il problema di un processo di revisione soggettiva e oggettiva di fondo della
sinistra. Sconcertante, o forse coerente con l’irrefrenabile tentazione alla scorciatoia,
oggi ci prendiamo la città, domani il governo? Con un’incorreggibile inclinazione alla
trovata, allo slogan, al saltar sulla occasione, invece che accettare il duro compito
d’una ricostruzione ideale, programmatica, organizzata della classe operaia italiana,
attraverso una lunga e totale crisi delle sue strutture critiche? Qui sta il persistente
avventurismo, l’altra faccia, risvolto obbligatorio del riformismo, che patiamo ormai
da troppi anni in Italia. Su questo dobbiamo riflettere a lungo e correggerci in fretta, se
173
Ad ogni modo, durante quelle giornate, la sinistra extraparlamentare non
vide nel Partito comunista un soggetto politico in grado di fungere da guida
per la popolazione antifascista ribellatasi alla strage di Brescia. I gruppi
della sinistra rivoluzionaria si proposero allora come gli unici
rappresentanti della cittadinanza democratica dotati della libertà e del
coraggio politico necessari a dare uno sbocco concreto all’antifascismo
militante.
non vogliamo perdere non le occasioni inventate, ma quelle reali, gli appuntamenti
veri, meno brillanti e più gravi, che ci stanno di fronte». S. T., Lotta interrotta, “Il
Manifesto”, 05-06-1974. Il gruppo dirigente de Il Manifesto non voleva che il Pci
entrasse nella compagine governativa ma proponeva una ‘nuova opposizione’,
considerata l’unica soluzione tramite la quale la sinistra avrebbe davvero potuto
condizionare il governo.
174
Il tempo passa
Dopo i funerali delle sei vittime, la vicenda della strage bresciana perse
progressivamente la sua centralità e l’attenzione riprese ad essere rivolta
verso tematiche con un taglio più generale 281 . Quando si tornava
sull’argomento lo si faceva per ricordare che era necessario andare oltre
l’arresto degli esecutori materiali delle stragi, per aggiornare i lettori
sull’evoluzione dell’inchiesta, per contestare la costituzione e la gestione
del nuovo ispettorato contro il terrorismo e, soprattutto, per chiedere la
messa fuori legge del Msi 282 . Nell’evidenziare il vasto impegno della
popolazione antifascista – che sembrò loro destinato a perdurare – i fogli
281281
A titolo indicativo si vedano le impostazioni dei titoli di prima pagina fino al 5
giugno de “Il Manifesto” e di “Lotta continua”: Sotto le cannonate di Carli il Rumor-
bis vacilla. I sindacati non ottengono nulla dal dialogo col governo. I socialisti
ricattati e alle corde. A Milano si scopre quel che già era evidente, il legame fra
fascisti e ‘maggioranza silenziosa’, “Il Manifesto”, 02-06-1974; Di fronte alla crisi
economica e (politica) Fanfani non sa proporre altro che repressione, Berlinguer
attesismo invece che intransigenza, “Il Manifesto”, 04-06-1974; La Dc vuole
associare sindacati e sinistre alla stretta recessiva programmata da Carli. Cieco il
Psi se sta al governo, e il Pci se nicchia. La Flm discute a Brescia una ‘azione
generale’, “Il Manifesto”, 05-06-1974. Il dibattito al consiglio di Mirafiori. La
risposta a Carli ed Agnelli deve essere la ripresa immediata della lotta generale,
“Lotta continua”, 02-06-1974; Fuorilegge il MSI! Epurazione dei funzionari fascisti!
Sì alla lotta e allo sciopero generale contro il governo, per il salario, per la difesa dei
posti di lavoro, per i prezzi politici, contro la ristrutturazione, “Lotta continua”, 0406-1974; Al consiglio generale della Flm molte voci per lo sciopero generale, “Lotta
continua”, 04-06-1974.
282
S. f., Non basta arrestare gli squadristi esecutori di stragi: ci vogliono i nomi dei
mandanti e finanziatori. Nella villa del capo della SAM Fumagalli c’erano 400
milioni e blocchi di ricevute. Interrogato a Brescia l’avvocato fascista Adamo Degli
Occhi, “Lotta continua”, 02-06-1974; S. f., La situazione politica dopo il referendum
e le sue prospettive, “Lotta continua”, 02-06-1974.
175
della sinistra rivoluzionaria continuarono a dare grande peso al suo
carattere anti-Msi, ricordando che decine di consigli di fabbrica e di zona
insistevano ad emanare ordini del giorno nei quali si esigeva la messa fuori
legge del Movimento sociale e il processo al suo segretario Almirante. “Il
Manifesto” sottolineò l’estensione e l’eterogeneità di tale impegno citando
casi di varie località della penisola: i dipendenti del comune di Monza, per
esempio, avevano preso posizione mandando una lettera aperta alla stampa,
al comune, all’Anpi e ai sindacati, con la quale chiedevano che fossero
eliminati i finanziamenti statali al Msi e abrogate le leggi del codice
Rocco 283 ; anche una mozione approvata con un solo voto contrario
dall’assemblea degli insegnanti, non insegnanti e studenti dell’istituto Pier
Crescenzi di Bologna aveva chiesto l’immediata epurazione di quelle figure
che erano vicine agli ambienti neofascisti e che, allo stesso tempo,
occupavano posizioni importanti nelle istituzioni repubblicane 284 .
La morte del venticinquenne Luigi Pinto, settima vittima della strage,
provocò una nuova ondata di partecipazione. La Federazione Cgil-Cisl-Uil
proclamò uno sciopero per consentire ai lavoratori di partecipare alla
cerimonia in piazza Loggia 285 . Il funerale di martedì 4 giugno, svoltosi a
Foggia – città natale della vittima –, dimostrò nuovamente la consistenza
della coscienza politica dei cittadini bresciani, presenti in centomila nelle
piazze della città lombarda 286 . Brescia si era fermata completamente anche
283
284
Per un’interessante serie di lettere aperte, cfr. FDFCT/Testimonianze 2/16/1-2-3.
S. f., Antifascismo. ‘Fuori legge il MSI’, “Il Manifesto”, 04-06-1974.
285
Nelle scuole della città e della provincia lo sciopero sarebbe durato tutta la giornata.
ASCD/125/PL I A 9, 02-06-1974; ASCD/126/PL I A 10. Cfr. anche: Sabato sera
anche la vita dell’insegnante Luigi Pinto si è spenta. Federazione Cgil-Cisl-Uil; 0206-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/58.
286
Cfr. S. f., Brescia. Centomila al funerale della settima vittima della strage. Sull’onda
dei tragici avvenimenti, una grande crescita di coscienza politica a Brescia, “Il
176
questa volta, ma – notò “Lotta continua” – la cittadinanza non aveva più
voluto esprimere la propria rabbia contro i rappresentanti del potere ed
aveva sfilato muta e compatta 287 . A Foggia vi fu una mobilitazione senza
precedenti per la città che vide la partecipazione di circa trentamila persone
e la presenza in prima linea della sinistra rivoluzionaria. Secondo
“Avanguardia operaia”, bisognava «risalire alla lotta del ’69 per
l’occupazione dei pozzi di metano per ritrovarne una simile, per forza e
combattività» 288 .
La morte dell’ennesima vittima aveva inoltre fornito ai gruppi
extraparlamentari della sinistra ulteriori elementi di critica nei confronti dei
tradizionali rappresentanti del movimento operaio. “Lotta continua” scrisse
che:
Manifesto”, 04-06-1974; S. f., Ora della verità per il dialogo sindacati-governo.
100.000 a Brescia per l’ultima vittima della strage, “Il Manifesto”, 04-06-1974.
287
S. f. Di nuovo una folla immensa nelle piazze di Brescia per il funerale del
compagno Pinto, settima vittima della strage. I consigli comunali di Desenzano e
Provaglio decidono di non concedere mai più l’uso del suolo pubblico al MSI. Il
padrone fascista dell’Idra costretto a sospendere quattro operai fascisti, “Lotta
continua”, 04-06-1974.
288
S. f., Foggia: mobilitazione senza precedenti al funerale del compagno Pinto,
“Avanguardia operaia”, N. 23, 14-06-1974. Al funerale, a Foggia, c’erano anche le
delegazioni del Comitato Unitario Provinciale Antifascista, della Federazione
bresciana della Cgil-Cisl-Uil, autorità, Partiti, Enti e Associazioni. ASCD/125/PL I A
9; ASCD/127/PL I A 11. “Lotta continua” sarebbe tornata ad evidenziare il valore di
questa protesta, qualche giorno dopo, scrivendo, con la solita durezza di toni, che
«Foggia non aveva mai vissuto l’antifascismo in questo modo, migliaia di bandiere
rosse, pugni chiusi che si alzavano al passaggio del corteo e poi tanta, tanta rabbia
negli slogans gridati da tutti: ‘compagno Pinto ti vendicheremo!’, ‘Msi fuorilegge a
morte la Dc che lo protegge’, ‘Scudo crociato, fascismo di stato’, ‘Piazzale Loreto’».
S. f., Foggia riscopre l’antifascismo militante nel nome del compagno Luigi Pinto,
“Lotta continua”, 08-06-1974.
177
Assurda è stata la risposta che il PCI e i sindacati hanno dato
all’esempio di antifascismo militante dimostrato dalle masse
foggiane mercoledì in piazza. Hanno tappezzato la città di
manifesti in cui si definiva teppista e provocatoria l’azione di
massa e si osannava allo ‘spirito antifascista’ del mafioso
sindaco Graziani, lo stesso che permette alle squadracce nere di
scorazzare impunemente per la città 289 .
Per quanto riguarda l’evoluzione dell’indagine, gli organi di stampa
della sinistra rivoluzionaria si soffermarono sulla figura di Adamo Degli
Occhi. L’avvocato milanese – leader della ‘maggioranza silenziosa’ – era
stato prelevato dal suo appartamento dai carabinieri per sostenere un
interrogatorio 290 . Sembrò così confermato ai gruppi extraparlamentari della
sinistra che nella strage bresciana fosse implicato anche questo movimento
d’opinione conservatore e anticomunista, il quale avrebbe dovuto mettersi
in moto dopo l’attentato per contribuire con la sua opera ad addossare le
responsabilità sulle sinistre e per reclamare una decisa restaurazione
dell’ordine 291 . In occasione del secondo interrogatorio di Degli Occhi, i
fogli della sinistra rivoluzionaria evidenziarono come già da tempo vi
fossero elementi sufficienti per spiccare un mandato di cattura nei suoi
confronti. Secondo “Lotta continua”, era sempre più probabile che
289
290
Ibidem.
Cfr. S. f., Tradotto a Brescia Adamo Degli Occhi, capo della ‘maggioranza
silenziosa’ di Milano. Kim Borromeo tenta di evadere dal carcere, “Il Manifesto”, 0206-1974.
291
Per “Il Manifesto” era «così coinvolto nelle stragi fasciste anche quel grosso
organismo di provocazione nato a Milano nel ’71 che si chiama[va] Maggioranza
silenziosa e che [aveva] raccolto intorno a sé la media borghesia industriale (i nuovi
ricchi del dopoguerra) ed alcuni esponenti della Dc». Ibidem.
178
l’avvocato milanese fosse uno degli ispiratori del gruppo fascista che aveva
messo la bomba a Brescia. Del resto, Degli Occhi era stato difensore di
D’Intino al processo per l’attentato alla sede del Psi di Brescia; difendeva i
neofascisti delle Sam milanesi ed aveva difeso anche Fumagalli 292 . Grazie
alle rilevazioni contenute nel rapporto segreto del 1970 sul Mar e sulle
origini del progetto golpista – fece notare il quotidiano – i coinvolgimenti
di molte figure importanti non erano più negabili così come non si poteva
negare che, come per la strage di piazza Fontana, anche per quella di
Brescia il Sid fosse anticipatamente a conoscenza di significativi elementi
concernenti i piani dei gruppi eversivi 293 .
“Lotta continua” mise inoltre in evidenza la posizione ambigua del
giudice istruttore Arcai, citando il contenuto di un articolo de “L’Europeo”,
intitolato Accusiamo il magistrato che conduce le indagini sulla strage di
Brescia 294 . Il settimanale aveva sostenuto che il giudice Arcai fosse in
possesso già da due anni di documentazione rilevante, fornitagli dal giudice
Raimondo Sinagra di Milano, su un campo paramilitare estivo a Salò, e
aveva criticato il fatto che – nonostante dall’inchiesta risultasse che in quel
luogo si facesse costantemente uso di esplosivi e si conducesse un
metodico addestramento di terroristi neri – essa non fosse stata presa in
considerazione dal giudice bresciano e che, addirittura, in quel momento,
292
S. f., Le indagine sulle trame nere. Arresti Cartocci e 3 di ‘Ordine Nero’. Il missino
Adamo Degli Occhi, riascoltato oggi, resta invece a piede libero, “Lotta continua”,
05-06-1974.
293
S. f., Come per la strage di stato del 1969, il SID sapeva tutto sul MAR, Fumagalli e
Degli Occhi fin dal 1970, “Lotta continua”, 05-06-1974. Cfr. anche S. Bianchi,
Brescia. ‘Pista svizzera’ per i finanziamenti neri. Altri arresti a Milano, le indagini
ruotano sull’avv. Degli Occhi, “Il Manifesto”, 05-06-1974; S. f., C’era una ‘Stella del
MAR’ all’orizzonte. Chi l’ha vista?, “Avanguardia operaia”, N. 22, 07-06-1974.
294
S. T., Brescia. Emergono le complicità all’interno dei corpi dello Stato, “Lotta
continua”, 07-06-1974.
179
alla procura della Repubblica di Brescia si negasse l’esistenza del
campo 295 . “L’Europeo” aveva per di più avvalorato l’ipotesi che il
neofascista Esposti fosse stato volutamente fatto ammazzare dal
maresciallo Antonio Filippi per impedirgli di rivelare quanto conosceva sui
propri camerati e, soprattutto, sulle complicità a più alto livello 296 .
“Lotta continua” citò anche un articolo de “L’espresso” – intitolato
Terremoto nei corpi separati – in cui era stato descritto l’ambiguo
atteggiamento del Sid ed erano stati sottolineati i contrasti crescenti fra
polizia e carabinieri, i quali sarebbero aumentati proprio con l’istituzione
dell’ispettorato antiterrorismo affidato al questore Emilio Santillo.
L’articolo aveva accennato inoltre alle possibili dimissioni del comandante
del Sid, il generale Vito Miceli, interrogato dal giudice Giovanni
Tamburino di Padova nel quadro dell’inchiesta sulla ‘Rosa dei venti’, e del
generale
Enrico
Mino,
comandante
dell’Arma
dei
carabinieri 297 .
295
S. f., Fascisti. Dal 1972 erano noti alla magistratura i ‘campi’ e i gruppi fascisti
della srage. Insabbiata una testimonianza-chiave, “Il Manifesto”, 07-06-1974.
296
S. T., Brescia. Emergono le complicità all’interno dei corpi dello Stato, cit.
297
Proprio dagli interrogatori del giudice Tamburino al comandante Miceli affiorarono
interessanti elementi di riflessione sulle motivazioni che probabilmente
condizionarono il passaggio da una fase della storia italiana contraddistinta da
violenza politica marcatamente di destra ad una segnata precipuamente dal terrorismo
di sinistra. In sede storiografica è stata sollevata l’ipotesi che quel complesso insieme
di forze che aveva attivato la strategia eversiva possa aver deciso – dopo aver preso
coscienza dell’impossibilità di perseguire con l’utilizzo di gruppi dell’estrema destra,
ormai scopertisi troppo – di dirigere la propria attenzione sul terrorismo rosso.
Naturalmente, questo aspetto – per chiarire il quale non si può prescindere da uno
studio approfondito della strage di piazza Loggia – non può essere semplificato e
necessiterebbe di essere appurato tramite l’analisi di documentazione che non è
attualmente (lo sarà mai?) disponibile. Cfr. quanto scritto in proposito da F. M.
Biscione: «La questione, com’è noto, è controversa, nel senso che mentre l’uso
dell’eversione nera per la strategia della tensione è largamente accertato ed è stata
180
“L’espresso” aveva anche notato che l’inchiesta proseguiva con l’arresto di
Stefano Romanelli, Claudio Lodi e Umberto Zamboni, tre veronesi
d’estrema destra accusati di ricostituzione del disciolto partito fascista – in
riferimento al gruppo di Ordine Nero – mentre tra Salò e Maderno i
carabinieri di Brescia attuavano una serie di perquisizioni e rastrellamenti
che avevano condotto al recupero di consistenti armamenti 298 .
Le formazioni della sinistra extraparlamentare reiterarono le loro accuse
nei confronti del governo, ritenuto colpevole di aver saputo rispondere alla
trama reazionaria che aveva prodotto l’attentato di Brescia soltanto tramite
il potenziamento dell’apparato repressivo. Per Movimento Studentesco «la
DC e il ministro degli interni Taviani [avevano] cercato di cavalcare la
tigre con la decisione reazionaria di aumentare l’apparato repressivo dello
stato (ulteriore aumento degli organici dei carabinieri e dei corpi di
altresì accertata una diffusa consapevolezza da parte dei maggiorenti dell’estremismo
di destra della condizione ‘di servizio’ della propria attività, più complesso appare il
rapporto tra Stato ed eversione rossa. Se nelle parole che il capo del Sid Vito Miceli
pronunciò nel settembre 1974 dinanzi al giudice Tamburino (‘ora non sentirete più
parlare del terrorismo nero, da adesso sentirete parlare soltanto di quegli altri’) sembra
riecheggiare il principio gnoseologico vichiano del verum-factum più che l’intuito
dell’investigatore, e se vari studiosi dell’estremismo rosso hanno sottolineato come
non sia spiegabile l’ampiezza delle operazioni delle Brigate rosse senza tenere conto
di una loro indiretta funzionalità ad altri disegni, e dunque di un’attività di copertura e
protezione da parte dell’intelligence (specie dopo la liquidazione del primo gruppo
dirigente brigatista, nel 1974, e l’emergere di una leadership moralmente assai più
disinvolta), l’insieme delle conoscenze non sembra ancora consentire un quadro
ricostruttivo univoco». Id., op. cit., pp. 122-123. Cfr. anche D. Della Porta, Il
terrorismo di sinistra, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 62-74.
298
Ibidem. Cfr. anche S. f., Fascisti. Trovata la terza ‘Land Rover’ del fascista Sirtori.
Trovato un deposito di armi a Riva di Salò, “Il Manifesto”, 07-06-1974.
181
pubblica sicurezza), di potenziare quindi il loro controllo ed accelerare il
processo di fascistizzazione dello stato» 299 .
Secondo “Avanguardia operaia” il governo si era limitato ad inserire
accanto ai vari corpi di polizia, un ‘Ispettorato generale per la repressione
del terrorismo’, ma in realtà faceva ben poco perché «mentre la stessa
stampa borghese sottolinea[va] la responsabilità dei vari organi di polizia a
proposito della strage di Brescia, il ministro di polizia scantona[va] e si
rifiuta[va] di indagare sui collegamenti tra fascisti e organi di repressione
dello Stato borghese» 300 . Per il settimanale era impossibile non dubitare
che l’effettivo obiettivo governativo non fosse quello di perseguire con tutti
i mezzi possibili i gruppi dell’eversione di destra – a cominciare dal Msi –
ma quello di rilanciare la tesi secondo cui gli esecutori delle stragi
venivano ridotti ad imprecisate minoranze terroristiche, di colore
indefinito.
Sulle sue pagine si poteva infatti trovare una decisa presa di posizione
sull’argomento:
Dietro lo slogan delle ‘trame eversive’ ricompare la teoria
degli opposti estremismi in funzione di vergognosa copertura dei
fascisti e di difesa del loro ruolo legale. L’aspetto apertamente
forcaiolo e reazionario della nuova operazione democristiana è
dato […] dalla tesi di fondo, che è quella di trasformare la lotta
299
Movimento Studentesco, 28 maggio 1974. Strage fascista a Brescia. Dossier di dieci
anni di violenza fascista, op. cit., p. 7.
300
S. f., Il governo potenzia l’apparato repressivo, cit.
182
al fascismo in lotta contro dei generici criminali, di risolvere una
questione politica in termini amministrativi 301 .
Anche se parte della carta stampata nazionale aveva criticato
l’atteggiamento titubante del governo, secondo “Avanguardia operaia” era
proprio grazie a quella che definiva sprezzantemente ‘stampa borghese’ che
le teorie esposte dai ministri democristiani avevano potuto avere un
discreto successo. Tali organi d’informazione – sostenne il foglio –
avevano infatti proposto un’evoluzione della teoria degli ‘opposti
estremismi’ con l’obiettivo di far trovare agli strateghi della tensione quel
consenso di massa che fino a quel momento era loro mancato: non poteva
«essere diversa la conclusione di un esame anche superficiale delle
manipolazioni del Corriere della Sera, evidentemente ispirate in alto loco,
sulle indagini connesse all’inchiesta sulla strage di Brescia e sulla
sparatoria di Rieti» 302 .
Il settimanale di agitazione comunista affermò che, invece di metter
sotto accusa la condotta del Sid e degli Affari riservati, il governo Rumor
aveva inopportunamente rafforzato questi organismi collegandoli nel nuovo
ispettorato. Secondo il ragionamento condotto, sarebbe bastato dare
un’occhiata ai nomi dei dirigenti dell’ente per capire il valore negativo di
tale iniziativa: il capo era quel Santillo che nel 1960 aveva guidato i
rastrellamenti e le cariche contro gli antifascisti a Porta San Paolo e nel
‘63-‘64 aveva costituito e diretto a Roma le ‘SS’, squadre ‘speciali’ di
301
Ibidem.
302
S. f., L’ultima trovata del SID e degli Affari Riservati. Dagli opposti estremismi
all’unità degli estremisti. L’inchiesta su Fumagalli e le SAM finalizzata a rilanciare
su basi relativamente nuove la strategia della tensione e la repressione a sinistra,
“Avanguardia operaia”, N. 23, 14-06-1974.
183
agenti in borghese che si confondevano tra i manifestanti per poi dare
inizio a improvvisi pestaggi con i manganelli; al suo fianco c’era Silvano
Russomanno che aveva in passato diretto gli Affari riservati, dopo aver
anche servito per due anni nell’esercito di Hitler 303 .
Una gestione della crisi costruita su quei presupposti non poteva essere
accettata dalla sinistra rivoluzionaria, soprattutto dopo che centinaia di
migliaia di cittadini erano scesi per le strade reclamando una maggiore
trasparenza delle istituzioni. In quelle condizioni – per le formazioni di
questo settore politico –, l’unico modo per smuovere la situazione ed
ottenere il massimo impegno dagli organi preposti alle indagini era quello
di mantenere una costante mobilitazione antifascista. E in tale opera
Brescia doveva fungere da nodo di propagazione di iniziative
democratiche. Il 7 giugno, per esempio, fu organizzata in città
un’assemblea antifascista indetta da Avanguardia Operaia, a cui aderirono
Il Manifesto, Lotta Continua, il Pc(m-l)i, il Circolo La Comune, il Comitato
di Quartiere Violino e altre forze della sinistra. La mozione finale che ne
scaturì fu approvata per acclamazione e stabilì la creazione di comitati
unitari antifascisti e la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare
che rendesse illegale il Msi 304 .
Le cittadinanza democratica non avrebbe però dovuto mollare la presa
ma continuare caparbiamente a fare sentire la propria voce perché –
ammonì “Avanguardia operaia” – dietro al progetto democristiano di dare
vita all’‘Ispettorato generale per la repressione del terrorismo’ non c’era
solo una chiara provocazione contro la sinistra rivoluzionaria:
303
Ibidem. Cfr. anche T. Maiolo, Strage. L’inchiesta sui fascisti si inquina. Cadono nel
vuoto le accuse al Msi e agli organi dello stato, “Il Manifesto”, 08-06-1974.
304
S. f., Brescia. Assemblea popolare antifascista, “Avanguardia operaia”, N. 23, 14-
06-1974.
184
Ma c’[era] anche un vero e proprio salto di qualità in questa
provocazione che mira[va] a rafforzare gli apparati di
repressione: il tentativo di unire in questo Ispettorato i ‘migliori’
elementi di Pubblica Sicurezza, Carabinieri, Guardia di Finanza
mira[va] con ogni probabilità a rafforzare, contro ogni tendenza
centrifuga e ogni concorrenza tra i vari ‘corpi separati’, le
capacità di centralizzazione politica della provocazione e della
stessa ‘strategia della tensione’ 305 .
Secondo i gruppi rivoluzionari di sinistra, la popolazione aveva colto
perfettamente le caratteristiche di quella provocazione. Per questo motivo i
loro fogli continuarono a dare spazio alle sensazioni dei cittadini. “Il
Manifesto”, per esempio, pubblicò le impressioni di due insegnanti dei
corsi delle 150 ore, per i quali la strage di Brescia aveva assunto un valore
etico che arrivava persino a mettere in discussione il senso stesso del loro
lavoro: «nelle classi del metalmeccanici – scrivevano i due professori –,
operai e insegnanti abbiamo avuto la sensazione che gli sforzi compiuti per
dare corpo a una diversa razionalità dello studio e del sapere naufragasse di
fronte alla violenza del fascismo, alla brutalità di un gesto che più di altre
volte riempiva di amarezza e di rabbia, per l’incolmabile distanza tra la
carica provocatoria che conteneva e la qualità del nostro lavoro, ancora
duro e pieno di incertezze, ma proiettato già verso nuovi e superiori modelli
di organizzazione sociale e politica» 306 .
305
S. f., Il governo potenzia l’apparato repressivo, cit.
306
O. Ciavatti, T. Sgaravatto, La strage di Brescia vista dagli operai che frequentano i
corsi delle 150 ore, “Il Manifesto”, 05-06-1974.
185
La stampa della sinistra extraparlamentare proseguì decisamente anche
la propria campagna contro le omertà e le connivenze delle istituzioni.
“Lotta continua” sostenne che dalla strage di Brescia, in connessione diretta
con tutta la rete politica, finanziaria e militare della ‘Rosa dei venti’, era
emerso un progetto golpista che mostrava il coinvolgimento dei corpi
armati dello Stato. Secondo il quotidiano le autorità non volevano però
tenere conto delle evidenze emerse dalle indagini e facevano altresì
pressioni sui magistrati perché da queste ultime fossero esclusi
metodicamente i funzionari della polizia e chiunque avesse potuto mettere
in cattiva luce l’immagine dello Stato 307 .
In un contesto così controverso, dal punto di vista del settore politico
qui considerato, ogni sospetto era più che legittimo:
Infatti i cestini porta rifiuti di piazza della Loggia non erano
stati affatto perquisiti; inoltre l’assenza di poliziotti fra le vittime
della strage in un luogo dove solitamente sostano i plotoni di
polizia durante le manifestazioni, è quanto meno strana. A tutto
ciò va aggiunto che sembra siano stati bruciati i vestiti dei feriti
ricoverati in ospedale 308 .
In effetti, il comportamento della questura di Brescia fu assolutamente
discutibile. Nonostante la città stesse attraversando un momento in cui la
307
Cfr. S. f., Il congresso regionale DC del Trentino-Alto Adige. Farneticante discorso
di Piccoli sulle ‘trame nere e trame rosse’, “Lotta continua”, 05-06-1974.
308
S. T., Brescia. Emergono le complicità all’interno dei corpi dello Stato, cit. Com’è
già stato fatto notare, il luogo scelto dai neofascisti per posizionare la bomba fece
ricadere i primi sospetti sulla sinistra radicale.
186
tensione era più che tangibile, non furono prese adeguate contromisure, ma
si procedette secondo la normale prassi adottata per le manifestazioni. La
reazione delle forze dell’ordine fu poi assolutamente deprecabile in almeno
un’altra occasione: a meno di due ore dall’attentato, infatti, piazza Loggia
venne fatta lavare con gli idranti dai vigili del fuoco, senza che prima fosse
stata condotta un’ispezione che avrebbe potuto fornire utili indicazioni
sull’ordigno utilizzato 309 .
L’8 giugno, “Lotta continua” tornò a dare centralità alle tematiche
concernenti la strage di Brescia dedicando un’intera pagina al convegno
operaio svoltosi in città qualche giorno prima 310 . Il pezzo diede spazio alle
parole pronunciate in quell’occasione da un operaio militante di Lotta
Continua, il quale fece una ‘ricostruzione politica’ degli avvenimenti
accaduti a Brescia, descrivendo il clima del 28 maggio, l’occupazione delle
fabbriche, l’accorata partecipazione di numerosi soldati e la fiumana di
cittadini accorsi nelle giornate successive da tutta Italia. L’operaio
sottolineò che a Brescia, durante le manifestazioni popolari, si era
riscontrata una importante volontà di cambiamento, una volontà di dire
basta al governo per il suo atteggiamento ambiguo nei confronti dei
neofascisti, per la politica economica perseguita e per le sue interferenze
sulla magistratura. Quella volontà era considerata ancora più degna
d’attenzione in quanto maturata non soltanto da una reazione quasi istintiva
dei cittadini ma anche da un’attenta riflessione di questi ultimi 311 .
L’articolo mise inoltre in evidenza un elemento di novità che traspariva
dalle manifestazioni bresciane – elemento che non va sottovalutato se si
309
L’imperizia di tali atteggiamenti sarebbe stata sottolineata anche in sede processuale.
Cfr. V. Marchi, op. cit., p. 54.
310
311
S. f., Convegno operaio. I giorni di Brescia, “Lotta continua”, 08-06-1974.
Ibidem.
187
vuole comprendere l’effettiva estensione e lo spontaneismo delle
mobilitazioni di quelle giornate. Secondo l’oratore, infatti, molte delle
persone che erano scese in piazza in quei giorni non erano mai state così
politicamente coinvolte prima di allora, erano solitamente estranee alle
lotte e probabilmente votavano abitualmente la Democrazia cristiana312 .
Le parole del militante di Lotta Continua ribadiscono che i gruppi della
sinistra extraparlamentare avevano la consapevolezza di trovarsi di fronte
ad una mobilitazione popolare che andava ben oltre la fetta di cittadinanza
sopra la quale essi avevano abitualmente influenza. Nondimeno, l’oratore
diede merito all’organizzazione per la quale militava per il risoluto
impegno dimostrato nelle manifestazioni bresciane:
Io penso che Lotta Continua a Brescia sia stata dentro fino in
fondo in questi avvenimenti; penso che noi abbiamo avuto un
atteggiamento non minoritario rispetto a quello che succedeva in
piazza [perché] abbiamo preso anche noi, fino in fondo, la
responsabilità
del
presidio
di
Piazza
Loggia;
abbiamo
partecipato fino in fondo al servizio d’ordine operaio, che era
una cosa sentita dalle masse, perché il problema di evitare le
provocazioni fasciste, di organizzarsi, di sostituirsi alla polizia
che non vuole difenderci, erano cose sentite dagli operai 313 .
L’intervento sottolineò anche la forte partecipazione di Lotta Continua
alle assemblee operaie di fabbrica e la sua capacità di orientare le
312
313
Ibidem.
Ibidem.
188
discussioni sulle parole d’ordine dell’antifascismo militante, della messa
fuori legge del Msi e dell’epurazione delle istituzioni. Secondo il punto di
vista dell’oratore, all’interno di una mobilitazione popolare politicamente
trasversale, il gruppo rivoluzionario aveva saputo dunque diventare un
punto di riferimento per la popolazione bresciana 314 .
I gruppi della sinistra extraparlamentare continuarono ad avere la netta
impressione che – nonostante le numerose rivelazioni venute alla luce sulle
trame gravitanti attorno alla strage bresciana – vi fosse un ampio tentativo
istituzionale di buttare acqua sul fuoco, per ridimensionare un quadro che
mostrava intrecci riguardanti l’intero ambito nazionale, ma anche quello
internazionale. Anche quando furono compilati articoli che evidenziavano
l’evoluzione delle indagini, non scomparve mai l’elemento di critica per il
modo maggiormente proficuo in cui queste avrebbero potuto essere
condotte. In un intervento de “Il Manifesto” venne sottolineato come
l’impegno dei carabinieri, della polizia e della magistratura avesse portato
alla luce degli elementi che permettevano di inserire la strage di Brescia
all’apice della strategia eversiva nazionale 315 . Lo stesso articolo evidenziò
però che, nonostante «manca[ssero] oggettivamente fatti precisi per
‘inchiodare’ i principali mandanti che [erano] in carcere (e non parla[vano],
come Carlo Fumagalli), latitanti o ‘a disposizione’ della magistratura, […]
a Brescia [si riteneva] che una certa prudenza, se non addirittura un ritardo,
[avessero] contrassegnato lo svolgimento delle inchieste» 316 . “Lotta
314
Ibidem.
315
S. f., Strage. Solo alla terza perquisizione nella villa dello squadrista esploso in
motocicletta si è trovato l’esplosivo. ‘Ma non dove i carabinieri dicono di averlo
trovato’, dice il questore di Brescia, e conferma che il figlio del giudice Arcai era con
lo squadrista la sera della morte, “Il Manifesto”, 11-06-1974.
316
Ibidem. Ma cfr. anche S. f., Per Brescia, finora solo pesci piccoli in galera; S. f.,
Strage. Una lunga serie di falsi per bloccare l’inchiesta sulle bande fasciste (e di
189
continua” mise invece più radicalmente in discussione la buona fede di chi
conduceva le indagini. Secondo il foglio, i propri dubbi erano confermati,
tra le altre cose, dal fatto che il Pm Lisciotto considerasse l’attentato
bresciano frutto di una vendetta per la morte di Silvio Ferrari;
dall’incertezza con cui procedevano le indagini su Rieti: i legami con
Brescia sembravano essere spariti, i terroristi catturati sull’Appennino non
venivano trasferiti per i confronti necessari; e dal fatto che tutte le inchieste
in corso a Brescia, Milano, Roma, Bologna, Padova, andavano avanti a
compartimenti stagni, come se la magistratura dovesse confrontarsi con dei
‘fenomeni locali’ 317 .
stato), cit.; S. f., Per la strage di stato la verità è ancora proibita. A Brescia è la
guerra tra magistratura e polizia, “Il Manifesto”, 11-06-1974.
317
S. f., Brescia: ferme le indagini, “Lotta continua”, 12-06-1974. Cfr. anche S. f.,
Nuove conferme dei rapporti tra Fumagalli e i golpisti della Rosa dei venti, “Lotta
continua”, 15-06-1974. In effetti, le prime due indagini istruttorie furono fortemente
incentrate attorno alla ‘pista bresciana’. Cfr. V. Marchi, op. cit., pp. 73-125. Per
un’interpretazione – citata dallo stesso Marchi – che mette in evidenza le
responsabilità della stampa, soprattutto di quella locale, nell’organizzare il consenso
attorno al lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze di polizia nella prima parte
delle indagini e nel far concentrare queste ultime sulla ‘pista bresciana’, cfr. il capitolo
intitolato La stampa e il suo ruolo di organizzatrice del consenso, in Democrazia
proletaria Sezione di Brescia (a cura di), La strage scomparsa, Brescia, 1982, pp. 4147. FDFCT/Testimonianze 2/20/2.
190
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
191
Il discorso di Adriano Sofri
A questo punto, vale la pena dedicare qualche osservazione al discorso
tenuto l’8 giugno a Brescia da Adriano Sofri e riportato nelle sue parti più
significative su “Lotta continua”, otto giorni dopo, dal quale traspare il
forte significato di cesura assegnato all’attentato di Brescia dalla sinistra
extraparlamentare. Le parole del segretario nazionale di Lotta Continua
sono di particolare interesse perché ripercorrono le principali questioni
attorno alle quali gravitò l’attenzione dei gruppi rivoluzionari nelle giornate
successive alla strage di piazza Loggia, dalla battaglia contro il Msi, alla
critica delle istituzioni e degli stessi partiti della sinistra, alle esigenze della
lotta di classe, alle necessità tattiche della rivoluzione 318 .
Durante il suo comizio, dopo aver sottolineato che ogni cittadino
democratico e antifascista non poteva che essere colmo di rispetto nei
confronti della piazza in cui si trovava e delle persone che lì erano cadute
assassinate, Sofri affermò che «tutta l’Italia, tutto il movimento di classe e
antifascista [aveva] sentito che […] a Brescia [era] avvenuta una svolta
decisiva» 319 . La svolta si era verificata nella modalità d’azione del
terrorismo fascista, nei suoi metodi e nei suoi obiettivi, ma il cambiamento
più importante era riscontrabile nella risposta della cittadinanza italiana,
«nella coscienza, nella forza, nella volontà del movimento di classe
antifascista» 320 . Secondo Sofri, gli elementi emersi dalle indagini aprivano
318
S. f., Le lunghe mani dei golpisti e il pronunciamento della classe operaia, “Lotta
continua”, 16-06-1974. Sul volantino che pubblicizzava l’evento, la partecipazione
popolare successiva alla strage veniva collegata alle lotte operaie «perché la
mobilitazione antifascista [doveva] vivere e crescere nella lotta per il salario e per la
difesa dell’occupazione»; 06-06-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/113.
319
320
S. f., Le lunghe mani dei golpisti e il pronunciamento della classe operaia, cit.
Ibidem.
192
la strada ad una precisa valutazione politica ed illuminavano un piano
eversivo che partiva da lontano e che aveva a Brescia uno dei suoi centri
più rilevanti: quel programma «si [era] alimentato della crociata
anticomunista fanfaniana del referendum, e si [era] impegnato a provocare
una tensione che ne favorisse il successo e ne approfondisse il segno
autoritario» 321 . All’oratore apparve però evidente che, dopo la disfatta di
quella ‘crociata’, il potere democristiano avesse subito un radicale
ridimensionamento. In quel contesto la bomba di Brescia non doveva
essere interpretata come un colpo di coda, ma come «la volontà di cercare
un infame rivalsa e la volontà di indicare un’alternativa apertamente
eversiva alla crisi degli strumenti tradizionali del dominio borghese» 322 .
Secondo Sofri, i sostenitori del progetto reazionario avevano scelto di
sfidare in modo diretto la classe operaia, il movimento sindacale, il
movimento antifascista, senza più camuffamenti e false firme, ma non
avevano tenuto conto della decisa risposta popolare che il loro
atteggiamento avrebbe potuto provocare. La popolazione antifascista aveva
invece reagito in modo risoluto e immediato, opponendo a tale progetto una
volontà di cambiamento che trascendeva le indecisioni interne alla sinistra
– troppo assorbita da analisi politiche tese a definire il peso reale del voto
del 12 maggio – e, secondo l’oratore, aveva dimostrato una forte volontà di
classe e un’accesa insofferenza nei confronti dei giochi di potere del partito
di maggioranza e delle protezioni del Msi.
Per il dirigente di LC, tutto ciò lasciava trasparire una generalizzata
esigenza di rinnovamento:
321
322
Ibidem.
Ibidem.
193
La classe operaia, e dietro a essa l’unità più ampia del
proletariato, è scesa in piazza e ha fatto vivere in una forma ben
più
limpida
e
vasta
il
suo
referendum
antifascista,
antidemocristiano, fondato sull’autonomia e l’antagonismo di
classe. Mai le piazze italiane erano state così piene; mai nelle
piazze italiane la direzione della classe operaia si è espressa con
tanta chiarezza politica e fisica alla testa di uno schieramento
proletario imponente; mai è stata così fermamente ribadita la
volontà di farla finita con i fascisti, una volontà che si è
incarnata soprattutto nella compatta parola d’ordine del MSI
fuorilegge; mai è stata così decisa e urgente la condanna del
potere dello stato, esercitato per conto del grande capitale dal
dopoguerra a oggi dalla Democrazia Cristiana; mai è stata così
netta la rivendicazione di una radicale trasformazione sociale e
politica nel nostro paese 323 .
Sofri sostenne che la compatta mobilitazione dell’antifascismo militante
verificatasi in quelle giornate avesse un valore di sfida che le autorità dello
Stato avrebbero dovuto tenere ben presente. La strage di piazza Loggia
veniva dipinta come un punto di non ritorno nella percezione popolare della
crisi che minacciava l’assetto democratico della nazione: «dopo Brescia,
tutti sono stati costretti a dire che niente avrebbe potuto continuare come
prima, tutti sono stati costretti a dire le stesse parole per raccogliere e
magari per coprire e acquetare la sensazione della maturità di questa svolta,
la sensazione della forza ultimativa con cui essa viene rivendicata nel
323
Ibidem.
194
movimento di classe, e non da ristrette avanguardie, ma dalle grandi
masse» 324 .
Il leader dell’organizzazione rivoluzionaria espose poi la propria
concezione della strategia della tensione. Secondo Sofri non si poteva
arrivare in modo automatico alla conclusione che chi aveva manovrato la
strage intendesse anche realizzare un colpo di Stato; era probabile, invece,
che l’ipotesi di un colpo di Stato immediato non fosse l’obiettivo precipuo
di chi aveva compiuto l’attentato del 28 maggio. La cosa certa era che dalle
bombe sui treni del ’69 si era dipanato un programma eversivo sempre più
organico, attorno al quale si erano unificate tutte le bande della
provocazione fascista: i contenuti più importanti di questo programma,
nonostante fossero già emersi molti elementi esplicativi, restavano però
ancora poco chiari. Per capire quale fosse il fulcro di tale programma –
sempre secondo l’oratore – sarebbe stato necessario indagare nei corpi
dello Stato, nei servizi e nelle agenzie internazionali, soprattutto nella Cia e
nella Nato, facendo attenzione all’atteggiamento delle forze armate italiane.
Proprio l’intervento di queste ultime veniva visto come un elemento di
novità introdotto dalla strage di Brescia sul quale si sarebbe dovuto
riflettere:
Questo programma ha i suoi interlocutori privilegiati e
diretti, il suo centro strategico, negli alti ufficiali, nelle gerarchie
militari dei corpi speciali e delle forze armate in Italia. Sta qui un
passaggio essenziale che la strage di Brescia ha tragicamente
registrato. Il passaggio da una provocazione terroristica asservita
a una strategia di svolta autoritaria come quella ripetutamente
324
Ibidem.
195
messa in cantiere e tentata dalla DC, da Andreotti e Fanfani, a
una provocazione terrorista che mira sempre più scopertamente a
creare le condizioni di un’alternativa apertamente fascista, e a
chiamare alla ribalta, a invitare a un pronunciamento, a
sollecitare all’iniziativa diretta i corpi militari dello stato. È
emerso sempre di più in questi mesi e in questi giorni il bandolo
della matassa, ma è anche venuta la riprova che a dipanarlo non
vuole né può prestarsi una macchina di potere i cui ingranaggi vi
sono in così gran numero e così strettamente aggrovigliati 325 .
L’analisi di Sofri – che raggiunse punte di notevole lucidità – continuò
sottolineando che per lo schieramento antifascista non c’era tempo da
perdere. Man mano che passavano i giorni si sarebbe infatti attenuata nella
memoria di chi deteneva il potere l’immagine del disappunto popolare e
avrebbe preso sempre più corpo la «manovra per espropriare il proletariato
di quella forza e di quella iniziativa diretta che aveva messo in campo a
Brescia» 326 . Nel suo discorso mise inoltre in evidenza come l’inchiesta –
dopo aver offerto più o meno clamorose scoperte – sembrasse essersi
ristabilita sulla ‘linea dell’insabbiamento’: se i primi sviluppi delle indagini
avevano sollevato molti dubbi, come l’uccisione del neofascista Esposti,
che sembrava studiata per zittire una figura che avrebbe avuto troppe cose
da raccontare, con il passare dei giorni l’inchiesta si era infatti bloccata ed
era stato rilanciato il fermo di polizia, con un rafforzamento dei poteri delle
forze dell’ordine. Per Sofri, non si poteva rispondere in quel modo ambiguo
alla bomba di piazza Loggia e non poteva più essere accettata una
325
326
Ibidem.
Ibidem.
196
spiegazione che indicasse come principali cause dell’attentato l’inadeguata
vigilanza da parte delle forze dell’ordine e l’insufficienza degli organici di
polizia. Bisognava invece che le autorità non si limitassero ad operazioni di
facciata – come la decisione di sciogliere gli Affari riservati trasferendo
però i suoi organici al nuovo ispettorato per il terrorismo – ma che
mettessero a punto una tattica in grado di colpire le leve principali del
strategia eversiva e di chiarire una volta per tutte le effettive responsabilità
dello stragismo.
Sofri sostenne che non fosse nemmeno più necessario insistere sulle
connivenze tra Stato, terrorismo nero e Msi, perché le vicende concernenti
l’attentato di Brescia le avevano provate definitivamente:
Io credo che non occorra più, per nessuno, insistere sulle
complicità fra i corpi dello stato, il Movimento Sociale Italiano,
la provocazione terrorista e assassina degli squadristi fascisti, e
sulla funzione di copertura che il regime democristiano ha
sempre esercitato rispetto a tutto questo. Credo che non occorra
insistere quando in una situazione come Brescia, di fronte ai
tentativi di sostenere che si era fatto di tutto per vigilare e
garantire l’ordine nella manifestazione antifascista, ci si trova
oggi di fronte a un magistrato che ammette che uno dei
vicequestori allontanati dalla Questura di Brescia è direttamente
implicato nell’inchiesta sui traffici di armi, sulle bombe! 327
327
Ibidem.
197
Il leader di LC fece poi alcune considerazioni inerenti il rapporto
segreto sul Mar, risalente al 1970, considerato come l’ennesima prova della
copertura posta in essere da importanti settori del Sid nei confronti dello
stragismo 328 . Sottolineò che il maggiore Amos Spiazzi – promosso
colonnello mentre l’inchiesta era già aperta e finito in carcere per la ‘Rosa
dei venti’ – era legato al Sid come ufficiale del servizio informazioni
nell’esercito ed era un militante dell’ex Ordine Nuovo: ciò – secondo
l’oratore – corroborava la tesi che vi fosse una rete di «collegamenti fra la
Rosa dei Venti, fra questa congiura che aveva il suo centro nel potere
militare, e quello che [era] avvenuto a Brescia, e la trama di Brescia, e la
trama di Bergamo, e di tante altre sedi» 329 .
Nel corso del suo comizio, Sofri insistette particolarmente sull’urgenza
di proseguire la battaglia contro il Movimento sociale italiano. Nel farlo
egli riconobbe che quella battaglia non era partita da un’iniziativa della
sinistra extraparlamentare ma dall’annoso impegno di quella istituzionale.
Si rivolse allora direttamente ai comunisti e ai socialisti ricordando loro che
la parola d’ordine della messa fuorilegge del Msi era stata un caposaldo del
movimento operaio italiano fin dal momento in cui lo schieramento fascista
si era riorganizzato nelle nuove vesti; e, soprattutto, facendo loro notare che
quel richiamo avrebbe dovuto finalmente condurre alla soluzione definitiva
del problema. Sofri lasciò però intendere che la sinistra rivoluzionaria
doveva farsi ben poche illusioni sull’impegno delle organizzazioni
tradizionali del movimento operaio in quella direzione, perché «dopo che
328
Cfr. S. f., Come per la strage di stato del 1969, il SID sapeva tutto sul MAR,
Fumagalli e Degli Occhi fin dal 1970, cit.; S. f., Il rapporto segreto del SID, “Lotta
continua”, 08-06-1974; S. f., Il documento segreto del SID, “Lotta continua”, 09-061974; S. f., Il rapporto segreto del SID, “Lotta continua”, 09-06-1974.
329
S. f., Le lunghe mani dei golpisti e il pronunciamento della classe operaia, cit.
198
questa parola d’ordine è stata espressa da milioni di proletari in Italia, dopo
che questa parola d’ordine è stata raccolta da numerosi consigli di fabbrica,
da numerose organizzazioni antifasciste, persino da numerosi consigli
comunali, noi abbiamo visto nelle forze politiche ufficiali della sinistra il
rifiuto di raccogliere questa parola d’ordine» 330 .
Una critica molto severa fu sferrata dall’oratore contro quella parte del
mondo imprenditoriale bresciano e nazionale che aveva contribuito a
finanziare le squadre neofasciste e contro la Cisnal, descritta come
un’organizzazione di crumiraggio e di violenza padronale antioperaia che si
presentava come un’organizzazione sindacale al servizio dei lavoratori ed
operava invece come una sorta di ‘centro assunzioni’ del Msi, atto a
inserire nelle fabbriche spie fasciste. Secondo Sofri, bisognava agire per
impedire i finanziamenti degli industriali e per togliere potere alla Cisnal,
bisognava «portare avanti questi obiettivi, portare avanti l’organizzazione
di massa su questi obiettivi, portare avanti la lotta di massa, ma anche
sviluppare tutte le contraddizioni politiche nei confronti di organizzazioni
opportuniste che rifiutano di raccogliere questi obiettivi, questo è un
compito fondamentale per impedire che dopo Brescia le cose non
cambino» 331 .
Le parole di Sofri passarono dunque in rassegna le maggiori
argomentazioni sviluppate in quei giorni dai gruppi della sinistra
extraparlamentare. E non mancarono di connotarsi in modo marcatamente
ideologico. Un passaggio del suo discorso mette in evidenza una
significativa caratteristica che accomunava le elaborazioni teoriche di
queste formazioni, ovvero l’insistente tentativo di fare coincidere la lotta
contro le trame eversive con quella contro il capitalismo:
330
331
Ibidem.
Ibidem.
199
[…] Questa strategia nera terrorista non è altro che il risvolto,
non è altro che la ruota di scorta di una strategia centrale: la
strategia della restaurazione capitalista, una strategia di
affannamento e di sconfitta politica del movimento di classe, che
ha anch’essa, come la prima, una dimensione internazionale; che
vede anche essa affiancati ai centri del capitalismo italiano i
centri dell’imperialismo internazionale. Il quale oggi detta le
condizioni per l’uscita dalla crisi in Italia, che deve avvenire
prima di tutto attraverso la capacità di ricacciare indietro e di
dividere il movimento di classe, e di riconsegnare intero il potere
di dominio e di sfruttamento nelle mani della borghesia. Questo
è il nemico con cui deve fare i conti una strategia antifascista che
poggi sull’autonomia, l’organizzazione, l’unificazione del
proletariato sotto la direzione operaia 332 .
In Italia – sempre secondo il giudizio del comiziante –, la strategia
eversiva e quella capitalistica avevano potuto perseguire i propri obiettivi a
causa dell’ambigua condotta politica della Dc. Anzi, il partito
democristiano – essendo alla ricerca di strumenti alternativi per la gestione
del consenso che potessero supplire alla sua decrescente presa sulle masse e
frenare lo spostamento a sinistra del paese – sembrava essersi messo alla
guida di una ristrutturazione complessiva del potere dello Stato. I segni
delle responsabilità democristiane giungevano da molte direzioni: per
esempio, erano rintracciabili nel fantasioso discorso che aveva fatto
Flaminio Piccoli al congresso democristiano del Trentino. In esso si
sosteneva che in Italia fosse in corso un attacco convergente degli ‘opposti
332
Ibidem.
200
estremismi’ contro il cuore dello Stato, alimentato addirittura dalla Cina
Popolare. Piccoli era persino arrivato a dichiarare che Mao Tse-Tung in
persona avesse raccontato all’ex ministro degli Esteri andreottiano
Giuseppe Medici il suo progetto di favorire una svolta a destra in Italia.
Secondo le inverosimili parole di Piccoli, il leader cinese avrebbe avuto
l’intenzione di spingere l’Unione Sovietica a sguarnire le frontiere orientali
per poter garantire alla Cina la possibilità di continuare la propria politica
antisovietica.
Anche se l’atteggiamento della Dc si spingeva spesso fino ai limiti della
credibilità, per Sofri il dato da tenere sempre presente era però la
pericolosità della trama gestita da quel partito. Era questo l’elemento sopra
il quale il suo discorso pose maggiore luce. Ed era proprio contro quella
trama democristiana che doveva essere condotta la battaglia più decisa, che
poteva però contare sulla nuova partecipazione popolare registratasi dopo
l’attentato di piazza Loggia:
È questa situazione di aggiustamento, di recupero della crisi
democristiana, è questa operazione che tende a dare a una
politica economica ferocemente anti-operaia e anti-proletaria una
copertura trasformista di sinistra, è questa operazione il nemico
principale da battere in questa fase. Battere questa operazione
significa tirare le conseguenze della vittoria dei NO nel
referendum e soprattutto utilizzare i frutti e la lezione
dell’iniziativa di massa dopo la strage fascista di Brescia 333 .
333
Ibidem.
201
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
202
La battaglia continua
Nella seconda metà di giugno, la strage di Brescia perse ulteriormente la
sua centralità sulla stampa della sinistra rivoluzionaria, ma i riferimenti al
valore di cesura di quell’evento non smisero di tornare con forza. In
particolare, questi fogli utilizzarono la recente memoria della strage per
proseguire la battaglia contro il Movimento sociale italiano. Per dare
ancora più vigore a quella memoria, essi continuarono a collegarla tramite
un filo ideale ad episodi della storia italiana in cui l’antifascismo aveva
dimostrato il proprio senso di abnegazione e, in tale operazione, il richiamo
alla Resistenza era sempre al primo posto.
In un suo articolo, “Avanguardia operaia” partì proprio da alcune
considerazioni sull’importanza dello scontro sostenuto dagli antifascisti
trent’anni prima per arrivare a sostenere che non c’era battaglia più
legittima di quella che la sinistra rivoluzionaria stava muovendo contro il
Msi. Il settimanale sostenne che la lotta partigiana era stata combattuta per
liberare l’Italia dagli oppressori, stranieri e non, ma anche per impedire che
si riproponessero i metodi che avevano caratterizzato il regime
mussoliniano: proprio per questo motivo erano state prese delle precauzioni
legislative. Nel primo testo di legge per la repressione del fascismo in Italia
– emanato alcuni giorni prima della liberazione dall’occupazione tedesca
ed entrato in vigore il 16 aprile 1945 – si affermava, per esempio, che
«chiunque ricostituisce sotto qualsiasi forma e denominazione il partito
fascista ovvero ne promuove la ricostituzione, è punito con la reclusione da
dieci a venti anni» 334 . Per il foglio, quelle parole stavano a significare che,
con la fine della dittatura, il popolo italiano aveva da subito voluto mettere
334
S. f., Chi ha bloccato la legge Parri? La DC!, “Avanguardia operaia”, N. 24, 21-06-
1974.
203
in moto un cambiamento irreversibile del quadro politico, che doveva
essere sancito dalla legge, «da una legge la cui garanzia erano i partigiani
in armi, la mobilitazione popolare in atto in tutto il paese» 335 . L’articolo
evidenziò inoltre che le forze della Resistenza erano inizialmente riuscite
ad
imporre
severi
provvedimenti
che
si
spingevano
al
di
là
dell’affermazione formale contenuta nella Costituzione, come la legge
approvata il 3 dicembre 1947 dall’Assemblea Costituente, la quale
imponeva lo scioglimento immediato di qualsiasi forma di riorganizzazione
del fascismo, dichiarando esplicitamente che i trasgressori sarebbero stati
puniti con la prigione, la confisca dei beni e, in alcuni casi, anche con
l’ergastolo 336 .
Osservando la triste situazione che aveva caratterizzato gli anni
successivi dell’Italia repubblicana e che aveva permesso la proliferazione
di gruppi direttamente ispirati al fascismo, di formazioni al servizio di
progetti reazionari per i quali stragi come quelle di Brescia erano la
normale modalità di azione, “Avanguardia operaia” non poté che
ricollegarsi a quel passato per criticare aspramente chi già allora
ripensava nostalgicamente a quanto i fascisti erano stati uniti
nello schiacciare il movimento proletario e si preparava non solo
a ricostituire saldamente il potere borghese scosso dal
335
Ibidem.
Il testo di legge, dopo aver descritto le caratteristiche che contraddistinguevano le
attività fasciste, imponeva, nell’art. 4, che «chiunque, a fini di svolgere alcune delle
attività prevedute negli articoli precedenti promuove, forma, dirige, o sovvenziona una
banda armata di tre o più persone, è punito per ciò solo con la reclusione da dieci a
trenta anni e con la confisca dei beni». Ibidem.
336
204
movimento di classe che si era saldato o espresso nella
Resistenza, ma anche a rispolverare tali squallidi alleati 337 .
Il settimanale di agitazione comunista non scordò di lanciare
un’immancabile critica alla sinistra istituzionale. In particolare, venne presa
di mira la politica perseguita dal Pci nell’immediato dopoguerra e la
permissività del ministro di Grazia e Giustizia Togliatti: la tregua sociale
concessa dai comunisti con la parola d’ordine della ‘ricostruzione
nazionale’ veniva considerata, col senno di poi, come una strategia
sbagliata che aveva permesso «la ricostruzione dell’apparato dello stato
borghese con il reinserimento dei vecchi elementi del regime e
l’arretramento del fronte proletario di fronte all’offensiva borghese degli
anni ‘50» 338 .
Secondo il foglio, il momento più basso della battaglia contro la
reviviscenza del fascismo arrivò però nel 1952, quando, scaduta la legge
del dicembre ’47, Scelba la ripropose svuotandola di significato, visto che
sorvolò sul fatto che un partito di stampo fascista, il Msi, aveva già preso
vita: in tal modo, le dichiarazioni della legge erano ridotte a pura forma e la
diminuzione delle pene e la delega all’esecutivo e alla magistratura di ogni
iniziativa «diveniva solo una prova di ‘fede antifascista’ utile al governo
DC per colpire più forte a sinistra» 339 . “Avanguardia operaia” utilizzò
anche la memoria delle giornate del luglio ’60 – che, come è stato
precedentemente evidenziato, avevano segnato un punto di svolta nel
risveglio dell’ideale antifascista – per dare corpo agli attacchi che stava
337
338
339
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
205
muovendo contro il Msi. Il settimanale sostenne che era stata quella ventata
di collera e di coscienza proletaria antifascista a smuovere l’Italia e a far
sfumare i tentativi golpisti del governo Dc-Msi capeggiato da Ferdinando
Tambroni. Era stato proprio grazie all’impatto di quella mobilitazione che,
il 10 luglio del ‘60, il Consiglio Federativo della Resistenza riunitosi a
Roma aveva fatto proprie le proposte di Ferruccio Parri, subito riferite in
Parlamento con il sostegno di tutta la sinistra. La proposta legge Parri
chiamava in causa la Costituzione e i doveri del Parlamento, per giungere a
richiedere in termini semplici e chiari lo scioglimento del Msi.
“Avanguardia operaia” evidenziò anche il valore della relazione presentata
in quell’occasione da Pietro Secchia e Luigi Renato Sansone in cui si
sosteneva che la legge era necessaria, vista l’attività dichiaratamente
fascista del Msi. Secchia aveva affermato che quel disegno di legge
avrebbe potuto essere dichiarato inutile ed ingiusto soltanto nel caso in cui
qualcuno avesse dimostrato che il Msi avesse cambiato radicalmente le sue
caratteristiche, la sua ragione d’essere, i suoi programmi e i suoi mezzi
d’azione. Cosa che, secondo il foglio, era pressoché impossibile. Lo stesso
Secchia, d’altronde, aveva presentato al Parlamento tre allegati alla legge
con l’intento di dimostrare l’ideologia fascista del Msi e di provare le
pesanti violenze commesse dagli esponenti di quel partito, anche tramite
una cronologia dettagliata delle imprese di quei gruppi, dalla approvazione
della legge Scelba in poi 340 .
In un altro articolo, “Avanguardia operaia” tornò ad indicare la necessità
di riproporre nel presente quella partecipazione antifascista riscontrata
nell’estate del 1960, per condurre al successo la battaglia contro il Msi:
340
Ibidem.
206
Mettere fuorilegge il MSI: oggi come nel luglio ’60 questa
parola d’ordine è diventata qualcosa di più di uno slogan gridato
nelle manifestazioni antifasciste. Oggi come allora è un obiettivo
di lotta di un vasto movimento che ha alla sua testa di nuovo la
classe operaia. […] Spazzare via i fascisti, fuori legge l’MSI: è
l’impegno preso a Brescia dal proletariato e dalla sinistra
rivoluzionaria. Gli operai, gli studenti, le masse popolari non
sono più disposte a sospendere la mobilitazione per riprenderla
dopo una nuova strage fascista 341 .
Nel resto dell’intervento, il settimanale sottolineò nuovamente la propria
distanza dall’atteggiamento remissivo tenuto dai partiti della sinistra
parlamentare e mise in evidenza il valore di chi aveva avuto la forza
d’animo di contrastare l’atteggiamento accondiscendente delle istituzioni,
come Franco Antonicelli, Norberto Bobbio, Sandro Galante Garrone e
Guido Quazza, che avevano inviato un telegramma a Nenni, Parri, Saragat,
Terracini, Longo e Pertini per spingerli a convincere il governo «ad
applicare senza indugi, secondo sua legittima facoltà, le precise
disposizioni della legge anno 1952 […] e a sospendere il finanziamento al
MSI così sciaguratamente concesso per un falsato principio di
democrazia» 342 . La presa di posizione di alcuni dei più noti nomi
dell’antifascismo torinese venne dunque presentata come il giusto modo di
reagire alle trame che avevano prodotto la strage di piazza Loggia, come il
comportamento che tutti gli antifascisti italiani avrebbero dovuto tenere,
341
S. f., Fuorilegge il MSI: qualcosa di più di uno slogan, “Avanguardia operaia”, N.
24, 21-06-1974.
342
Ibidem.
207
unendosi in tal modo agli sforzi che la sinistra rivoluzionaria stava
producendo per far sì che l’ampia mobilitazione popolare seguita alla
bomba bresciana andasse a costituire «il nucleo centrale di un più vasto
schieramento democratico per raccogliere i più larghi consensi attorno ad
una legge di iniziativa popolare» 343 .
L’utilizzo della memoria antifascista, e soprattutto di quella
resistenziale, per corroborare le battaglie condotte nelle settimane dopo la
strage di Brescia, era una caratteristica che – anche se diveniva a volte,
come si è visto, motivo di attrito e competizione – accomunava la sinistra
rivoluzionaria alle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. Con
la differenza non trascurabile che, mentre i gruppi della prima tendevano a
riferirsi al passato antifascista cercando una conferma dello spirito
rivoluzionario delle masse, i rappresentanti delle seconde si servivano dello
stesso passato per rinnovare la legittimità delle istituzioni 344 .
Tuttavia, anche la sinistra istituzionale aveva reagito con grande
indignazione alla violenza di Brescia e nei sui richiami all’ideale
antifascista raramente mancava un accenno – anche se d’impostazione
343
Ibidem.
344
Cfr. le parole del socialista Ettore Fermi: «La solidarietà manifestatasi nella
resistenza armata che raccolse in difesa degli stessi valori le più diverse espressioni
sociali della nazione, è indispensabile si rinnovi nell’unità delle forze antifasciste.
Unità che deve esprimersi non solo nelle articolazioni spontanee di massa, ma anche
nelle assemblee elettive, negli organi dello Stato [e] che deve trovare una risposta in
tutti i livelli istituzionali, in particolar modo nel Parlamento e nel governo, in primo
luogo attraverso l’applicazione senza incertezze e mortificazioni della carta
costituzionale che ha costituito e costituisce per tutto il movimento popolare e
antifascista un baluardo e uno strumento di legittimazione di una progressiva avanzata
democratica». ‘Discorso di Ettore Fermi al Convegno antifascista alla Camera di
commercio di Brescia, 28-06-1974’, in AA. VV., La strage fascista di Brescia.
Dibattito parlamentare. Discorsi, articoli e interrogazioni dei rappresentanti del
Partito socialista italiano, op. cit., pp. 21-23.
208
solitamente molto moderata – alla necessità di puntare ad un cambiamento
che coinvolgesse anche le strutture economiche e sociali dello Stato
italiano. Il segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia Franco
Torri – durante il discorso tenuto ai funerali di Vittorio Zambarda, ottava e
ultima vittima della strage – aveva dichiarato, per esempio, che in quei
giorni carichi di tensione era più che mai necessario
unire saldamente tutte le forze popolari e sinceramente
democratiche in una grande intesa morale e politica capace di
trasformare l’Italia economicamente e socialmente, per estirpare
il fascismo, per far progredire le classi lavoratrici, per difendere
e consolidare il nostro ordinamento democratico nato dalla
Resistenza 345 .
Gli organi di stampa della sinistra extraparlamentare dettero rilevanza
alla morte di Vittorio Zambarda soprattutto per ricordare l’inefficienza di
una giustizia italiana che formalizzava ‘contro ignoti’ l’inchiesta
sull’attentato e avvalorava l’ipotesi della ragazzata 346 . La morte
345
ASCD/106/PL I B10, 14-06-1974.
346
S. f., Brescia. Neanche l’ottava vittima smuove le indagini. Per il giudice la strage è
stata ‘una ragazzata’. Andreotti sarà interrogato sul Sid, “Il Manifesto”, 18-06-1974;
S. f., Brescia. Formalizzata ‘contro ignoti’ l’inchiesta sulla strage. Il giudice Arcai
interroga Fumagalli, ma sorvola sui suoi rapporti con la Rosa dei Venti. L’inchiesta a
Brescia segue un’unica ipotesi, quella della ‘ragazzata’, “Lotta continua”, 16-061974. “Avanguardia operaia” scriveva: «I morti di Brescia sono saliti a otto. Ma in
galera non c’è ancora nessuno. Né i terroristi che materialmente hanno depositato la
bomba in piazza della Loggia né i loro protettori annidati nelle istituzioni statali e
nella DC». S. f., I terroristi fascisti sono ancora tutti liberi, “Avanguardia operaia”,
209
dell’ennesima vittima della strage mise comunque in moto una nuova
ondata di impegno antifascista che coinvolse anche le organizzazioni della
sinistra istituzionale. La Federazione Cgil-Cisl-Uil proclamò uno sciopero
in data 18 giugno – giorno del funerale – per la zona di Salò, dalle 14 alle
22, e a tutti i lavoratori della provincia venne richiesta l’astensione dal
lavoro dalle 10 alle 10,30, «in segno di partecipazione al cordoglio e per
riaffermare l’impegno di tutti i lavoratori bresciani a proseguire l’azione
democratica contro ogni tentativo di risorgente neofascismo» 347 . Secondo
“Lotta continua”, la morte di Zambarda aveva un forte valore ideale anche
perché, essendo stato operaio edile, vecchio militante del Pci e segretario di
una sezione comunista di Salò, «la figura dell’ultimo compagno ucciso
nella strage riassume[va] in modo esemplare ciò che i fascisti avevano
voluto colpire con la bomba di Brescia» 348 .
A partire dalle giornate successive al funerale dell’ultima vittima, sulla
stampa della sinistra rivoluzionaria i riferimenti alla strage di piazza Loggia
persero rilevanza limitandosi a sporadici richiami. Tuttavia, alla fine di
giugno, in occasione del trigesimo dalla strage, i gruppi della sinistra
N. 24, 21-06-1974. Cfr. anche S. f., Sono otto gli assassinati di Brescia, “Il
Manifesto”, 18-06-1974.
347
ASCD/132/PL I A 15. Il volantino porta anche la firma del Comitato Permanente
Antifascista. Cfr. i comunicati compilati in occasione del decesso di Zambarda dalla
stessa Cgil-Cisl-Uil, dalla federazione bresciana del Pci e dal Comitato Permanente
Antifascista, rispettivamente in ASCD/86/PL I I 23; ASCD/87/PL I I 24;
ASCD/88/PL I I 25.
348
S. f., Stasera a Salò i funerali del compagno Zambarda, ottava vittima della strage.
Da tutta la provincia di Brescia delegazioni operaie porteranno il loro ultimo saluto
al compagno, morto in seguito alle ferite riportate 20 giorni fa in Piazza della Loggia,
“Lotta continua”, 18-06-1974. Zambarda era andato in pensione soltanto tre giorni
prima della strage.
210
rivoluzionaria tornarono a focalizzare la loro attenzione su quell’evento 349 .
Lotta Continua, Il Manifesto e il Partito di Unità Proletaria cercarono di
riattivare l’impegno della cittadinanza antifascista italiana e sfruttarono la
ricorrenza per effettuare un’analisi critica del metodo tramite cui era stata
condotta fino a quel momento la battaglia per preservare la democrazia.
Questi gruppi misero in discussione le modalità di conduzione di un
Convegno nazionale unitario antifascista – organizzato per l’occasione dal
Comitato permanente antifascista di Brescia presso la Camera di
commercio della città 350 – dove avevano trovato spazio gli interventi dei
349
“Lotta continua” del 26-06-1974 usciva con un supplemento intitolato ‘Fuori legge il
MSI! Giornale Bresciano di Lotta continua’ sul quale venivano condensate le
principali tematiche trattate dal giornale durante il mese trascorso dalla strage di
Brescia. Cfr. le seguenti titolazioni: 28 giugno, a un mese dalla strage; La lezione di
Brescia; Autori, mandanti, finanziatori e giudici; Ma chi giudicherà il giudice Arcai?;
Fumagalli e le sue ‘influenti amicizie’; ‘Gli onesti e laboriosi industriali del tondino’;
‘L’epurazione è fallita nel ’45: non può fallire oggi’. Fuorilegge il MSI. Individuare,
denunciare, colpire, espropriare i fascisti, i loro mandanti, i loro finanziatori, i loro
complici nell’apparato dello stato; ‘I morti si onorano vivendo di fatti’. Da piazza
Fontana a Piazza Loggia: la mano omicida del MSI, le complicità della DC, le
connivenze dell’apparato dello stato; Il pronunciamento degli operai e degli
antifascisti. Nessuna esitazione vale, ogni esitazione è complice. Per un contributo che
ripercorre le commemorazioni della strage negli anni successivi, cfr. C. Simoni,
Ricordare, commemorare, celebrare. Cronache del 28 maggio, in AA. VV., Memoria
della strage. Piazza Loggia 1974-1994, op. cit. pp. 7-25. Ma si veda anche il capitolo
intitolato L’informazione sulle ricorrenze della strage, in V. Marchi, op. cit., pp. 215225. Per alcuni esempi di commemorazione a un mese dalla strage da parte della CgilCisl-Uil, dei Sindacati dei Lavoratori elettrici e della Federazione Sindacale Scuola,
cfr. rispettivamente ASCD/330/PL V A 1 e ASCD/228/PL V B 4; ASCD/225/PL V B
1; ASCD/229/PL V B 5. Cfr. anche Onore e Gloria ai Caduti antifascisti,
ASCD/418/PL V B 6.
350
Così si legge sulla Mozione conclusiva dell’Assise dei Comitati antifascisti:
«L’assise ritiene che la strage di Brescia è il punto culminante della catena di attentati
e di delitti – rimasti purtroppo impuniti – che dal 1968-69 hanno funestato la vita del
211
rappresentanti delle istituzioni, e invitarono la popolazione a manifestare la
sera stessa nella piazza del tragico attentato:
Oggi a Brescia alla Camera di Commercio hanno parlato
ministri, onorevoli, ecc. Bisognava invece dare la parola
soprattutto alla gente che si è mossa in queste settimane, portare
sotto il naso di certi esponenti della linea Colombo-Carli i
risultati, le denunce della capillare ‘inchiesta di massa’ contro il
fascismo, organizzata dalla mobilitazione popolare. Come il
giorno dei funerali delle vittime della strage, questa sera in
Piazza Loggia dobbiamo portare con una possente dimostrazione
Paese e che hanno alimentato la strategia della tensione nel tentativo di aprire varchi a
manovre eversive e a colpi reazionari. La fermezza democratica, il livello di maturità
civile e politica delle manifestazioni antifasciste indicano che la Repubblica Italiana
sorta dalla Resistenza e fondata sul lavoro non può tollerare ulteriori attacchi alle sue
istituzioni e perciò è necessario che la politica del Governo e dei diversi organi dello
Stato sia pienamente corrispondente – nell’attuazione dei principi Costituzionali – alla
volontà democratica e antifascista del Paese. La straordinaria risposta della classe
operaia e del popolo italiano all’eccidio di Brescia esige dallo Stato democratico in
tutte le sue espressioni e da tutto il suo apparato, dalle forze politiche e sociali
antifasciste, una ferma azione perché gli autori del crimine infame, coloro che
coltivano folli trame violente e autoritarie, siano individuati e sconfitti: esecutori,
mandanti, finanziatori e protettori ovunque si annidano e, insieme, una coerente e
permanente iniziativa politica e legislativa di chiara intonazione antifascista per
debellare le centrali dell’eversione reazionaria e fascista, rimuovendo le cause da cui
sono originate, per assicurare la difesa e il consolidamento dell’ordine democratico».
Brescia, Camera di Commercio, 28-06-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/133. Cfr.
anche gli Atti del 1° convegno nazionale dei comitati antifascisti nel trigesimo dalla
strage di piazza Loggia, Brescia, Camera di Commercio, 28-06-1974.
FDFCT/Testimonianze 2/12/3.
212
tutta la determinazione popolare contro qualunque tentativo di
seppellire la strage dietro le lacrime di stato 351 .
Nell’invitare la popolazione di tutta Italia a partecipare al corteo
antifascista organizzato a Brescia per quel giorno, contro l’insabbiamento
delle indagini, anche AO attaccò le autorità governative considerate
colpevoli di non aver agito con il necessario impegno per debellare le
recrudescenze del fascismo e di aver invece mantenuto un atteggiamento
teso all’indebolimento del potere del movimento operaio, e sottolineò che
«a un mese dalla strage fascista di piazza Loggia mentre si
intensifica[vano] gli omicidi, le aggressioni, le provocazioni fasciste contro
lavoratori e militanti della sinistra, ancora non si [era] fatta luce sul
criminale assassinio di otto compagni» 352 .
Per il gruppo, era la presenza in Parlamento del Msi a favorire i ricatti
della Democrazia cristiana e a rendere la situazione intollerabile. L’unica
strategia considerata adeguata ad imprimere un cambiamento deciso a tale
stato di cose era quella che puntava tutto sulla forza insita nella
popolazione antifascista e sul potere della controinformazione. Per questo,
AO lanciò una critica che colpì anche il Comitato Permanente Antifascista:
351
A un mese dalla strage: questa sera alle 20,30 tutti di nuovo in piazza della Loggia!!
Volantino firmato da Lotta Continua, Il Manifesto, Partito di Unità Proletaria, 28-061974. FDFCT/Testimonianze 2/19/107.
352
A un mese dalla strage rilanciamo la mobilitazione antifascista. ASCD/227/PL V
B3, 26-06-1974. Cfr. anche il volantino prodotto da Movimento Studentesco, nel
quale si insisteva sulla necessità di rinsaldare e rafforzare la mobilitazione e la lotta
antifascista, ribadendo che «l’attentato in P.za Loggia rappresenta[va] il più duro
attacco frontale che la borghesia, con l’aiuto del suo braccio armato, i fascisti,
muove[va] contro l‘unità e la combattività operaia e popolare». Trigesimo della
Strage fascista; 28-06-1974. ASCD/226/PL V B 2.
213
Riteniamo
che
l’azione
del
Comitato
Permanente
Antifascista, seppur giusta nei contenuti e nelle finalità, non sia
stata adeguata alla volontà di lotta che le masse hanno espresso
in occasione dei funerali delle vittime: riteniamo che un’incisiva
mobilitazione antifascista debba appoggiarsi a una diffusa
informazione e su una massiccia mobilitazione che in questo
periodo sono purtroppo mancate 353 .
Per la prima ricorrenza simbolica della strage di piazza Loggia, Lotta
Continua volle ribadire l’estensione del proprio impegno antifascista
riprendendo e amplificando la proposta effettuata da molti consigli e
assemblee di fabbrica che chiedevano a gran voce lo scioglimento dl Msi, e
diede perciò mandato ai propri rappresentanti di sostenere questa battaglia
all’assemblea nazionale antifascista tenutasi a Brescia. Per il gruppo
rivoluzionario – tra l’altro –, era stato proprio l’impegno antifascista della
classe operaia bresciana ad aver dato una spinta decisiva alle vertenze che
coinvolgevano i lavoratori delle maggiori fabbriche della città 354 .
353
A un mese dalla strage rilanciamo la mobilitazione antifascista. ASCD/227/PL V
B3, 26-06-1974. Cfr. anche il volantino compilato in quell’occasione dal Comitato
provinciale bresciano del Pc(m-l)i: «Operai e lavoratori bresciani rispondiamo colpo
su colpo al programma reazionario del regime democristiano denunciando anche i
riformisti che lo sostengono, è nel mondo del profitto dei monopoli e della
speculazione dove cova il fascismo. Basta coi governi democristiani, i lavoratori non
vogliono fare sacrifici per i superprofitti dei padroni. Le tasse le devono pagare i
miliardari che esportano i capitali all’estero. La classe operaia vuole progresso sociale
e non essere ridotta a livello di sussistenza». FDFCT/Testimonianze 2/19/111.
354
S. f., Brescia. L’assemblea dei delegati a un mese dalla strage chiede lo
scioglimento del MSI, “Lotta continua”, 27-06-1974.
214
Le osservazioni di “Lotta continua” ad un mese dalla strage mettono
così in evidenza uno degli elementi che aveva caratterizzato le formazioni
della sinistra rivoluzionaria sin dalla loro nascita, ovvero l’esigenza di
ancorare il proprio impegno politico alla realtà di fabbrica, dalla quale si
sarebbe poi dovuti partire con un’azione che avrebbe coinvolto tutti i settori
della società. Questi gruppi videro allora – o si illusero di vedere – nel
quadro politico e sociale italiano del post-28 maggio la presenza di quegli
elementi che avrebbero potuto dare il via ad una nuova fase di lotta, nella
quale la classe operaia e la sinistra rivoluzionaria avrebbero dovuto
interagire mantenendo un forte «legame tra mobilitazione di fabbrica e
mobilitazione generale, in primo luogo sull’antifascismo» 355 .
355
S. f., Lotta operaia e mobilitazione antifascista a Brescia. L’assemblea dei delegati
di tutte le fabbriche ha chiesto lo scioglimento del MSI, “Lotta continua”, 29-06-1974.
215
L’Italicus
Prima di giungere alle conclusioni finali, è utile fare alcune
considerazioni sui richiami alla strage di Brescia apparsi sui fogli della
sinistra extraparlamentare in occasione dell’attentato al treno Italicus, del
successivo 4 agosto 356 . In quel delicato momento politico, caratterizzato
dall’agonia dell’avventura governativa di centro-sinistra e dalla debolezza
di qualsiasi soluzione alternativa, al forte sconcerto scatenato dalla strage di
Brescia e da quella appena perpetrata sul treno di Bologna, si sommarono i
turbamenti provenienti dagli Stati Uniti, dove il presidente Nixon, messo
alle strette dallo scandalo del Watergate, sembrava ormai giunto al termine
della sua parabola politica 357 .
Le formazioni della sinistra rivoluzionaria videro nell’attentato al treno
di Bologna la riprova dell’incapacità e, soprattutto, della mancanza di
volontà del governo di intraprendere una seria battaglia contro la strategia
reazionaria, che sembrava invece acquisire sicurezza, e fecero un’altra
volta appello alla cittadinanza antifascista che aveva manifestato contro la
356
L’attentato fu compiuto sulla linea Firenze-Bologna, a 300 metri dalla stazione di S.
Benedetto in val di Sambro, Bologna.
357
Cfr. S. f., Nixon salta, caso unico nella storia d’America. Paga la crisi sua e della
‘grande società’. Bologna saluta le vittime dell’ultima strage, “Il Manifesto”, 09-081974; S. f., Nixon si è dimesso alle 12,10 (ora americana) e ha passato le consegne a
Gerald Ford. La borsa sale, la puzza anche, “Il Manifesto”, 09-08-1974; S. f., Stati
Uniti. Il boia Nixon è finito, “Lotta continua”, 09-08-1974; S. f., Nixon è uscito dalla
Casa bianca, dove si è insediato Gerald Ford. Resta Kissinger, per garantire la
‘continuità’, “Il Manifesto”, 10-08-1974; S. f., USA. Nixon se n’è andato dalla porta
di servizio, Ford ha preso il suo posto. Per conto di Kissinger ha dichiarato che la
politica estera degli USA ‘è nel migliore interesse della nazione’, “Lotta continua”,
10-08-1974; S. f., Richard Nixon boia e furfante è naufragato nella palude del
Watergate, “Lotta continua”, 10-08-1974.
216
strage bresciana affinché tornasse a mobilitarsi sferrando un nuovo attacco
al Msi e al sistema di potere gestito dalla Dc 358 .
Il gruppo del Manifesto-Pdup compilò prontamente un volantino nel
quale espresse il proprio sconforto:
Dopo la strage di Piazza della Loggia i fascisti dunque si
sentono sicuri. Le tanto sbandierate indagini sulle trame nere si
sono limitate a qualche organizzatore di grado minore o
intermedio, ma non hanno colpito i cervelli politici, i mandanti, i
finanziatori. Le critiche che la sinistra ha rivolto in questi mesi
agli sviluppi dell’inchiesta risultano oggi sanguinosamente
358
Cfr. i titoli di prima pagina: La strage indiscriminata non è il frutto della follia
reazionaria, ma della logica lucida e bestiale di chi prepara il colpo di stato militare.
Mettere fuori legge il MSI, sciogliere il SID, garantire l’organizzazione democratica
dei soldati, cacciare dal governo i democristiani e i servi degli americani: con questa
volontà si torna nelle piazze, e si onorano le nuove vittime dell’infamia fascista,
“Lotta continua”, 06-08-1974; Tutto il paese protesta con scioperi e cortei. Ma questa
strage fascista non è la prima e non sarà l’ultima, finché non sarà spezzata la catena
delle complicità politiche e statali sciogliendo il Msi e rovesciando Rumor. Aperta
collusione tra Taviani e Almirante, “Il Manifesto”, 06-08-1974. Naturalmente, i fogli
della sinistra rivoluzionaria continuarono a concedere spazio alle notizie inerenti
l’evoluzione delle indagini sulla strage bresciana, come quando fu rinvenuta una nota
che giaceva alla Procura di Roma, agli atti dell’istruttoria sulla ricostituzione di
Ordine Nuovo-Ordine Nero. L’appunto, datato 19 aprile 1974 e timbrato Ordine Nero,
aveva questo contenuto: «Camerata Cartocci esplosione fallita di giovedì per
mancanza di tritoro (l’errore è in originale). Provvedere eliminazione anarchico
Vanin. Piano Brescia spostato mese prossimo. Avvertiti camerati lombardi. Spese
stampa? A noi, camerata Palustri». Cfr. S. f., La strage di Brescia preannunciata in un
documento da tempo noto alla Magistratura! I carabinieri conoscevano i rapporti tra
l’‘internazionale nera’ e il MSI. Perché qualcuno attribuì la strage dell’Italicus ai
servizi segreti sovietici e perché Almirante e Covelli giocano il tutto e per tutto, “Lotta
continua”, 13-08-1974. “Avanguardia operaia” non usciva in agosto.
217
confermate: il centro della strategia della tensione non è stato
finora nemmeno sfiorato 359 .
A due mesi dalla bomba di Brescia, il nuovo attentato colpiva il paese
rendendo ancora più concreta la sensazione di impotenza dei cittadini di
fronte alla strategia eversiva 360 . “Lotta continua” vide nell’attentato
bolognese un nuovo segnale della profondità raggiunta dalle trame stragiste
ma non dimenticò di evidenziare che lo schieramento democratico e
antifascista,
grazie
alle
recenti
prove,
si
era
significativamente
rinforzato 361 . In particolare, il foglio notò l’inedito atteggiamento
aggressivo delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. Venne
accolta con entusiasmo la decisione dell’ufficio politico del Pci di
divulgare un comunicato i cui contenuti denunciavano i responsabili dello
stragismo, sottolineando le connivenze annidate nell’apparato statale e
359
Altre 12 persone assassinate
FDFCT/Testimonianze 2/19/99.
dai
fascisti.
Adesso
basta!
05-08-1974.
360
Cfr. il volantino firmato da Sfi/Saufi/Siuf di Bologna «I dodici morti, le decine di
feriti di Bologna, sono l’ennesima testimonianza di un disegno eversivo che ha i suoi
esecutori e i suoi mandanti, i suoi ‘poveri stracci’ come si dice, ma anche menti fredde
e crudeli e mezzi potenti coi quali ci si propone di rovesciare le istituzioni e di
riportare in Italia un regime di oppressione, di dittatura di classe». Contro il fascismo
nessuna rassegnazione mai!; 09-08-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/109.
361
L’attenzione della popolazione antifascista tornò ad essere particolarmente sostenuta
nei grandi come nei piccoli centri: anche in questa occasione i richiami alla lotta di
liberazione erano molto frequenti. Cfr. il contenuto di un volantino del Comitato
antifascista di Carpendolo: «Il cancro fascista che credevamo estirpato dal 25 aprile
1945 cerca di risorgere: dopo il sangue di piazza Loggia il sangue più abbondante del
treno Roma-Brennero». I fascisti ammazzano ancora, agosto 1974.
FDFCT/Testimonianze 2/19/102.
218
facendo appello alla mobilitazione e alla vigilanza delle masse 362 . Venne
anche messo in evidenza che, con l’adesione allo sciopero dichiarato dalla
federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, le organizzazioni sindacali si erano
schierate in prima linea contro la logica degli attentati. Inoltre, venne
ricordato che la Flm aveva chiesto ai metalmeccanici di partecipare alle
manifestazioni
con
un
comunicato
in
cui
si
denunciava
come
«puntualmente, nei momenti di maggiore tensione della vita sociale e
politica italiana, [esplodevano] le bombe come strumenti di un disegno
362
Questo il contenuto del comunicato: «A poche settimane dalla strage di Brescia un
nuovo bestiale delitto sconvolge il Paese, sollevando sdegno e orrore nell’animo degli
italiani. L’ufficio politico del PCI esprime il suo commosso cordoglio alle famiglie
delle vittime e il suo augurio ai feriti. La trama criminale continua a svilupparsi con lo
scopo evidente di colpire la vita del nostro Paese, le sue attività economiche, le
istituzioni democratiche in relazione anche all’isolamento dei fascisti in Italia e alla
sconfitta del fascismo in Europa. La misura è colma. Risponda ovunque in modo
vigoroso e unitario la mobilitazione dei lavoratori e delle forze antifasciste. Sia ferma
e tempestiva nei prossimi giorni la vigilanza delle masse di fronte a quella che può
essere una insidia pericolosa. Questo nuovo barbaro eccidio ribadisce le responsabilità
non solo degli esecutori e dei mandanti, ma anche di tutti coloro che in questi anni,
annidati nei diversi organi dello stato e dei suoi apparati, hanno avuto posizioni di
convivenza e di tolleranza dell’azione eversiva fascista com’è risultato anche dalle
rivelazioni seguite alla strage di Brescia. Ancora una volta emergono le gravi
conseguenze delle deficienze e delle deviazioni dei servizi di sicurezza. L’ufficio
politico del PCI rinnova in questo cruciale momento il proprio appello all’unità delle
forze democratiche e allo spirito di lotta delle masse lavoratrici e popolari affinché si
stronchi l’azione sanguinosa delle trame nere. Dopo la strage di Brescia si sono
compiuti alcuni passi nell’accertamento di responsabilità e nella identificazione delle
centrali del disegno eversivo, ma in modo insufficiente, incompleto, non risolutivo,
mentre gli assassini di Brescia sono ancora in libertà. Questo nuovo eccidio ripropone
una svolta negli indirizzi politici in modo da colpire alle radici, prima che altri crimini
insanguinino il Paese, l’eversione reazionaria fascista. Il governo deve rispondere con
i fatti a questo compito urgente». Nuovo barbaro eccidio di marca fascista. L’ufficio
politico del Partito comunista italiano; agosto 1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/101.
219
criminale ed eversivo che tende[va] a far precipitare il paese nella paura ed
in una pericolosa svolta autoritaria ed antidemocratica» 363 . Il foglio notò
poi che i partiti della sinistra parlamentare avevano cominciato ad usare in
modo tagliente i propri organi di stampa: in un’editoriale, “L’Unità” aveva
evidenziato la dipendenza delle strategie nere italiane dalle centrali
internazionali della reazione, «quelle che ‘hanno lavorato nel Cile’, quelle
che in una area cruciale come il Mediterraneo hanno manovrato il golpe
fascista di Cipro» 364 ; l’“Avanti!” aveva scritto che i fatti emersi fino a quel
momento autorizzavano «a sospettare l’esistenza all’interno di organi
delicatissimi dello stato di ‘zone grigie’ dove si annidano elementi che sono
interessati, se non a distorcere il corso delle indagini, perlomeno a limitarne
la portata, a colpire esecutori, a lasciare nell’ombra i mandanti, nella
speranza, magari, che essi abbandonino la partita» 365 . “Lotta continua”
apprezzò anche i buoni propositi del “Corriere della Sera” che aveva
denunciato «la continuità della trama fascista, il suo proposito di terrore, la
sua volontà di logorare le resistenze della democrazia, l’alimento decisivo
che essa riceve da connivenze e coperture nello stato e nel potere
politico» 366 . Non mancò però di sollevare obiezioni sull’atteggiamento filogovernativo del quotidiano che lo aveva portato ad affermare che, dopo
363
S. f., Brescia. A due mesi dalla strage nessun punto fermo sugli esecutori, nessuna
indagine sui mandanti. Continuano ad essere separate le inchieste sulla strage, sulle
trame nere e sulla morte del fascista Ferrari, “Lotta continua”, 06-08-1974. Cfr.
anche S. f., 12 morti, 48 feriti nel rogo del treno, “Lotta continua”, 06-08-1974.
364
S. f., Brescia. A due mesi dalla strage nessun punto fermo sugli esecutori, nessuna
indagine sui mandanti, cit.
365
366
Ibidem.
S. f., Due mesi dopo Brescia, “Lotta continua”, 06-08-1974.
220
Brescia, «il governo e le forze politiche [avevano impegnato] il proprio
onore nella lotta alla violenza fascista» 367 .
La sinistra extraparlamentare continuò infatti ad essere tenacemente
schierata contro le istituzioni, considerate complici del terrorismo nero e
disposte a mettere a repentaglio gli assetti della democrazia italiana pur di
non modificare gli equilibri di un sistema politico che garantiva alla Dc il
controllo dei principali gangli del potere 368 .
“Il Manifesto” diede grande risalto al fatto che anche a Bologna una
parte consistente della popolazione scesa in piazza a manifestare non
avesse fatto parlare i rappresentanti della Dc. Sandro Bianchi descrisse lo
scenario di quelle ore:
Tutta Bologna è in piazza Maggiore, gremita da una massa di
compagni, democratici, inverosimile in questa torrida giornata di
agosto. I pochi passanti nelle vie adiacenti alla piazza sembrano
fantasmi. […] Un crescendo di fischi e boati ha accolto l’oratore
democristiano […] che è stato costretto a smettere di parlare
quando provocatoriamente ha detto ‘questa è una gazzarra
indegna di Bologna’ [e] ha dovuto abbandonare il palco fra gli
urli e gli insulti della piazza, seguito dalla destra Cisl e da alcuni
esponenti della Uil 369 .
367
S. f., Brescia. A due mesi dalla strage nessun punto fermo sugli esecutori, nessuna
indagine sui mandanti, cit.
Cfr. il volantino Niente più respiro ai fascisti assassini! Via Rumor governo delle
stragi! firmato dal Pc(m-l)i; 05-08-1974. FDFCT/Testimonianze 2/19/108.
368
369
S. Bianchi, Strage. Tutta Bologna in Piazza Maggiore al comizio antifascista. Fischi
e urla impediscono di parlare al rappresentante della Dc. Il comune (Rumor è
contrario) vuol fare i funerali come a Brescia, “Il Manifesto”, 06-08-1974.
221
Il quotidiano comunista lodò i rappresentanti del comune di Bologna
che avevano espresso la volontà di organizzare in città i funerali per le
dodici vittime. Le loro dichiarazioni si contrapponevano infatti alle
speranze del governo di evitare la programmazione di un evento che
avrebbe con ogni probabilità riproposto le contestazioni subite a Brescia.
Per questo motivo l’esecutivo aveva cercato di eliminare il problema
proponendo di mandare i corpi delle vittime direttamente nei loro luoghi
d’origine 370 . Nonostante i tentativi delle istituzioni governative di evitare
situazioni imbarazzanti, la cerimonia venne però organizzata nel capoluogo
emiliano 371 . Anche in quell’occasione, i cittadini italiani reagirono con
grande vigore, manifestando in decine di migliaia nelle piazze, senza
risparmiare critiche e fischi alle autorità. I fogli della sinistra
extraparlamentare presentarono quella partecipazione come un’ulteriore
conferma della coscienza antifascista della popolazione, una popolazione
fermamente convinta che gli esecutori e i mandanti delle stragi fossero già
noti agli organi inquirenti e risolutamente motivata a richiedere lo
scioglimento del Msi e a mettere fine al sistema di gestione di potere
democristiano 372 .
370
Ibidem.
371
Cfr. Il governo non voleva a Bologna gli stessi fischi di Brescia. Ma i funerali alle
12 vittime si faranno, “Il Manifesto”, 07-08-1974; S. Bianchi, Bologna. Venerdì
pomeriggio a Piazza Maggiore le solenni esequie alle 12 vittime. Il governo non ci
sarà, “Il Manifesto”, 07-08-1974. Cfr. anche S. f., Bologna. Venerdì l’omaggio alle
vittime della strage, “Lotta continua”, 08-08-1974; S. f., Abrogare le masse?, “Lotta
continua”, 08-08-1974.
372
È su questo punto che i fogli considerati insistettero anche nei giorni seguenti. Cfr. i
seguenti titoli di prima pagina: La folla fischia a Bologna i capi democristiani
complici del fascismo, “Il Manifesto”, 10-08-1974; Bologna. Centinaia di migliaia
hanno salutato le vittime della strage fascista. I fischi e i pugni chiusi delle masse
antifasciste hanno accolto le autorità dello stato democristiano, “Lotta continua”, 10-
222
“Lotta continua” esaltò la forza propulsiva di quella partecipazione:
Essa non è stata la semplice controprova della risposta a
Brescia, con un concorso di massa tanto più significativo perché
realizzato in pieno agosto, con un attacco intransigente alla DC e
allo stato, ma la dimostrazione esemplare che i lavoratori e gli
antifascisti italiani non cedono di un solo millimetro alla
manovra della rassegnazione e della frustrazione, e al contrario
allargano e rinsaldano le file e alzano la loro mira politica 373 .
“Il Manifesto” e “Lotta continua” provarono a ricostruire il filo rosso
che univa la bomba di piazza Loggia all’attentato al treno di Bologna
indicando i forti elementi di continuità tra i due eventi. Tramite quel
collegamento cercarono dunque di dare maggiore corposità ai loro assunti e
– ancora una volta – indicarono l’insieme della cittadinanza antifascista
come unica forza democratica che poteva davvero cambiare quello stato di
cose 374 . Il primo, in particolar modo, fece proprie le parole pronunciate
08-1974. Cfr. anche S. f., Oggi a Bologna gli antifascisti salutano le nuove vittime
della ferocia reazionaria. I mandanti delle stragi, e chi li copre, devono sentire la
forza della volontà popolare: fuorilegge il MSI, sciogliere il SID, libertà di
organizzazione democratica per i soldati, lotta contro il regime democristiano e il
partito degli americani, “Lotta continua”, 09-08-1974.
373
S. f., Il partito della strage, “Lotta continua”, 07-08-1974.
Cfr. i titoli di prima pagina: Vogliono restaurare la vecchia Storia della
sopraffazione, dello sfruttamento e della miseria con le bombe. Ma non passeranno.
Le masse sono forti. Sono le masse che fanno la Storia, “Lotta continua”, 07-08-1974;
Rumor e Taviani, con Almirante confidente, ripristinano il confino fascista di polizia.
Se resta questo governo e non si scioglie il Msi il terrorismo sarà incoraggiato a
374
223
davanti alla popolazione dal sindaco di Bologna Renato Zangheri –
presentate come le uniche che poterono parzialmente placare le proteste
della folla –, le quali espressero «la dura determinazione che è della
schiacciante maggioranza degli italiani a combattere le trame eversive che
insanguina[vano] il paese per sconfiggerle e stroncarle per sempre»375 .
Secondo il quotidiano, il paese era tornato ad esigere un impegno più
consistente dei pubblici poteri contro la strategia dell’eversione che ledeva
i diritti e la sicurezza di tutti i cittadini. Erano proprio questi ultimi –
numerosissimi quel giorno a Bologna – che con la loro partecipazione
avevano pronunciato «un atto di condanna ferma degli esecutori del delitto,
dei mandanti, delle centrali interne ed internazionali che regg[evano] le fila
della mostruosa strategia della tensione e del crimine» 376 .
Anche le analisi di “Lotta continua” insistettero sulla necessità di
estirpare le radici del piano reazionario che stava soffocando la democrazia
italiana. Un suo articolo evidenziò come il salto qualitativo effettuato dalla
strategia della tensione – che, anche in questo caso, venne direttamente
nuove imprese, “Il Manifesto”, 07-08-1974; Arrestati tre dinamitardi di ‘Ordine nero’
ma il Msi nessuno lo tocca e la Dc ne approfitta per rafforzare il Sid e il suo potere
repressivo, “Il Manifesto”, 08-08-1974.
375
S. Bianchi, Bologna. Centocinquantamila in Piazza Maggiore, “Il Manifesto”, 1008-1974.
376
Ibidem. Questo articolo mette anche in evidenza un significativo aspetto concernente
il tema della violenza e il rapporto tra i gruppi qui considerati. Infatti, nonostante tra
questi ultimi vi fosse un’aspra competizione, giocata anche sul modo diverso di
intendere il proprio radicalismo, “Il Manifesto” sottolineò che «Lotta continua aveva
dato appuntamento ai suoi militanti, obbligandoli a raggiungere il centro solo a piccoli
gruppi e a lunghi intervalli di tempo». Ciò contribuisce a provare che la violenza
verbale di queste formazioni – pur con tutti i rischi della sua ambiguità – non era
finalizzata ad istigare scontri fisici.
224
collegata alle problematiche di classe – con la bomba di piazza Loggia
trovasse una precisa conferma nel nuovo attentato di Bologna:
Quello che ormai emerge con tutta evidenza è che dalla
strage di Brescia […] alla strage di Bologna […] siamo in
presenza di un ‘salto di qualità’ in quella ‘strategia della
tensione’ che fa supporto sistematico allo svilupparsi della
tendenza al colpo di Stato in Italia, ma anche, in modo
organicamente complementare, al processo di fascistizzazione
dello Stato. […] E tutto questo avviene in strettissima
connessione con lo svilupparsi e il radicalizzarsi dello scontro di
classe, con l’aggravamento della crisi economica e del suo uso
antiproletario, con il deterioramento degli strumenti di controllo
e di potere del regime democristiano, con il rilancio delle
manovre
scissionistiche
e
delle
connivenze
governative
all’interno del sindacato, con l’evidenziarsi sempre più profondo
e
drammatico
delle
crisi
interimperialistiche
sul
piano
internazionale, tanto nella zona strategica del Mediterraneo come
in Africa 377 .
Il quotidiano fu molto attento ad evidenziare il forte coinvolgimento
popolare ai funerali delle vittime del nuovo attentato 378 . Sulle sue pagine
377
S. f., La lunga marcia della strategia del golpe. Dalla strage di Brescia alla strage
di Bologna, “Lotta continua”, 10-08-1974. Anche di fronte a questo tragico evento
erano continui i richiami ai valori della lotta resistenziale.
378
Cfr. S. f., La giornata di Bologna. La forza delle masse antifasciste ridicolizza i
governanti e le autorità democristiane, e promette giustizia ai caduti. Una
225
trovò spazio un’interessante analisi che paragonava la cerimonia bolognese
a quella di Brescia. Un elemento fu sottolineato sopra gli altri: mentre nella
città lombarda era stata predominante «l’intelaiatura operaia di quella
grandiosa manifestazione, la forza schiacciante della denuncia sdegnata
delle ‘autorità’ e della imposizione dell’autorità alternativa della classe
operaia e della sua organizzazione di massa» 379 , a Bologna era stata
decisamente meno presente «questa trama operaia, e più sensibile una
connotazione
popolare
e,
al
suo
interno,
il
peso
dominante
dell’organizzazione del PCI» 380 . Un’altra osservazione si spinse ad
effettuare una valutazione complessiva sulla strategia eversiva: dopo il
massacro sul treno vi era non solo una maggiore certezza «dell’esistenza di
una metodica trama reazionaria, del suo ruolo antioperaio, del suo legame
con i centri di potere dello stato, con il regime democristiano, con la
sudditanza americana, ma del fatto che un esplicito processo golpista
[fosse] in corso, che ci [fossero] forze che [gettavano] in campo le loro
armi mirando a questo sbocco diretto» 381 . Anche se facevano parte dello
stesso progetto eversivo – secondo il foglio – la bomba di piazza Loggia e
quella dell’Italicus avevano però provocato due risposte di diverso
spessore. A Brescia, dopo l’esplosione che aveva colpito alcuni coraggiosi
antifascisti, le masse avevano espresso la volontà di voltare pagina: gli
slogans e i fischi contro gli organi dello Stato erano esplosi
spontaneamente. A Bologna, la manifestazione della folla era stata
ugualmente pungente, ma meno spontanea e più organizzata, nel senso che
svergognata provocazione di polizia contro Lotta Continua, che si ritorce contro chi
l’ha voluta, “Lotta continua”, 11-08-1974. Vedi anche S. f., ‘Noi sappiamo dove si
alimentano le stragi fasciste’, “Lotta continua”, 09-08-1974.
379
S. f., Da Brescia a Bologna, “Lotta continua”, 11-08-1974.
380
Ibidem.
Ibidem.
381
226
la gente radunata in piazza aveva fischiato non solo per istintiva protesta
ma anche per mettere in chiaro una progettualità politica: «di tanto la
risposta a Brescia [era] stata travolgente, spontanea, veemente, di quanto la
risposta a Bologna [era] stata piena di attenzione e di impegno politico» 382 .
Brescia, 31 maggio 1974 (Foto di Renato Corsini)
382
Ibidem.
227
Conclusioni
L’immagine che da queste pagine appare di uno dei passaggi più
controversi della storia dell’Italia repubblicana è quella di un paese
attraversato da un insieme di attività destabilizzanti, con vari punti di
propagazione, non solo nazionali. La lettura dei fatti effettuata tramite i
fogli e i documenti della sinistra extraparlamentare, più che mostrare le
scelte politiche perseguite dalle organizzazioni, riporta alla luce la storia di
una società attraverso la presa di posizione della sua popolazione. In quel
momento, la reazione delle masse democratiche non era guidata da una
ristretta cerchia di intellettuali ma dalla sentita esigenza dei cittadini che
reclamavano giustizia. I gruppi della sinistra extraparlamentare videro in
quella mobilitazione un’occasione per far convergere l’insofferenza
popolare – supportata dal rinnovato vigore dell’ideale antifascista – verso i
propri propositi rivoluzionari. Per queste formazioni il capitalismo era in
una fase di irrefrenabile declino. Lo spostamento a sinistra verificatosi in
Italia negli ultimi anni sembrava confermare le loro convinzioni e il
dipanarsi della strategia reazionaria veniva visto come l’ultimo tentativo di
un sistema socio-economico in fin di vita di ridistribuire gli equilibri
politici del paese.
Le prese di posizione di questi gruppi mostrano una radicalità
ideologica che non ha loro permesso di leggere in modo lucido le
caratteristiche della società nella quale si muovevano. Nella animata
reazione della cittadinanza italiana nei confronti della violenza politica
messa in gioco dall’estrema destra, la sinistra extraparlamentare si illuse
allora di riconoscere i segnali di una imminente rivoluzione che era invece
ben lontana dal divenire reale. Queste organizzazioni avevano invece già
imboccato la parte finale della loro parabola movimentista e si sarebbero
228
ben presto istituzionalizzate in modo definitivo, anche a causa di una
competizione reciproca che le aveva indotte a rendere sempre più estreme –
e meno verosimili – le proprie parole d’ordine, le quali divennero così
inappetibili anche a quella parte di opinione pubblica che guardava con
simpatia alle loro battaglie. È altresì per tale clima di competizione che
nelle riflessioni sviluppate da queste formazioni sulla strage bresciana si
riscontra una uguale durezza di toni.
Prima di svolgere alcune valutazioni conclusive tramite le quali si
proverà a capire qual’è stato il reale contributo della sinistra radicale alle
mobilitazioni di quelle giornate, ma anche quale segno ha lasciato l’impeto
di queste ultime sulla prima, è però opportuno riproporre brevemente gli
elementi maggiormente significativi affiorati da questo studio.
Dagli organi di stampa e dalla documentazione investigata è emersa
l’immagine di una sinistra rivoluzionaria che ha risposto in modo unitario
all’attacco reazionario – anche se, come è apparso dalle pagine precedenti, i
gruppi avevano caratteristiche diverse e non smisero mai di essere
reciprocamente
critici.
Le
analisi
sviluppate
in
quelle
giornate
evidenziarono ripetutamente la politicità che distingueva l’attentato
bresciano dai precedenti e criticarono l’intero sistema politico italiano per
aver permesso che si giungesse ad un’ennesima prova di forza del piano
stragista.
Furono presi di mira gli organi di polizia, la magistratura e le istituzioni
in generale, oltre che i partiti politici, compresi quelli della sinistra. I
bersagli primari furono però il Msi e la Dc. Nei confronti del primo si diede
vita ad un’intensa battaglia – condotta con mezzi legali, anche se non
mancarono gli scontri fisici tra i militanti dei due estremi politici – che si
proponeva di portare alla messa fuori legge del partito ispiratosi agli ideali
del fascismo storico. Nei confronti della seconda venne inasprita l’opera di
229
controinformazione tramite la quale furono attaccate la linea politica
governativa e le connivenze e le responsabilità ad essa legate. In particolar
modo, venne condotta un’offensiva tesa a porre luce su un intreccio di
diversi piani politici che metteva in collegamento i gruppi della destra
estrema al Msi e alla Dc, e che indicava in quest’ultima il cervello della
struttura eversiva che coinvolgeva parte dell’intelligence, non solo italiana,
e che aveva fatto perdere credibilità e stabilità alla democrazia italiana.
Nella loro campagna di controinformazione, questi fogli si schierarono
inoltre contro l’atteggiamento dei maggiori organi di stampa nazionale,
considerati troppo indulgenti nei confronti delle complicità istituzionali, e
rivolsero severe condanne anche ai giornali dei partiti della sinistra.
Le critiche furono articolate attorno ad un ragionamento ricco di
richiami e paragoni ad episodi significativi della storia nazionale, recente e
passata. Per la sinistra rivoluzionaria la strage bresciana era stata la risposta
diretta al risultato del referendum sul divorzio, spia evidente di un
tendenziale spostamento a sinistra della società italiana che non poteva
essere accettato dallo schieramento più conservatore del paese. La strage di
piazza Fontana venne allora continuamente rievocata come il primo
plateale tassello della strategia reazionaria posta in essere da tale
schieramento. Essa fu anche termine di paragone privilegiato tramite il
quale leggere gli elementi di novità riscontrabili nell’attentato bresciano.
Altri termini di paragone furono invece proposti con eventi storici più
distanti nel tempo. Da una parte, l’ennesima violenza neofascista venne
paragonata alle ingiustizie perpetrate dal fascismo storico e venne
considerata come lo sbocco conseguente di una mancata epurazione del
sistema politico italiano dai lasciti del regime. Dall’altra, la forte
mobilitazione popolare verificatesi dopo la bomba di piazza Loggia venne
raffrontata con l’antifascismo storico e, soprattutto, con le vicende legate
230
alla lotta di liberazione. Il coinvolgimento della cittadinanza italiana
divenne allora per questi gruppi la conferma che la vera forza ideale della
Resistenza – passando per i mutamenti sociali, politici e culturali degli anni
sessanta – si fosse definitivamente risvegliata dal torpore in cui la stagione
del centrismo l’aveva inizialmente relegata. La sinistra extraparlamentare
utilizzò quella memoria per dare maggiore vigore all’inedita coscienza
identitaria delle masse antifasciste, con l’intenzione di direzionarla poi
contro le ipocrisie del governo e contro il Movimento sociale italiano. Tale
operazione aveva naturalmente un carattere anti-istituzionale e tendeva ad
evidenziare e a riproporre nel presente l’originario valore rivoluzionario
dell’antifascismo
resistenziale.
L’ideale
antifascista
venne
inoltre
costantemente lodato per la sua capacità di riunire sotto la propria bandiera
un esteso ed eterogeneo schieramento di cittadini democratici e per il fatto
che portasse con sé una forte carica di spontaneismo, proprio come quella
che si era riscontrata durante le manifestazioni organizzate dopo la strage di
Brescia – che è anche l’elemento che definisce maggiormente la fisionomia
dell’impegno politico messo in piazza durante quelle giornate.
I gruppi della sinistra extraparlamentare erano consci di trovarsi di
fronte ad un coinvolgimento popolare che trascendeva la loro usuale sfera
d’influenza. Essi presentarono però quella partecipazione come la prova di
un rinnovato sentimento di classe che stava attraversando il proletariato di
tutta Italia – e non solo –, partendo dalla fabbrica ed estendendosi in ogni
altro settore della società. L’antifascismo militante messo in gioco da
queste formazioni aveva dunque una marcata impronta di classe che
supportava il loro approccio aggressivo e antipacifista. Un approccio che
veniva rivendicato con forza, anche perché era la caratteristica principale
che distingueva l’atteggiamento della sinistra rivoluzionaria rispetto ai
tradizionali rappresentanti del movimento operaio, e in particolare al
231
Partito comunista. Fu proprio tale atteggiamento che portò questi gruppi a
sostenere le ambigue tesi della legittimità della violenza.
Su questo tema è però necessario spendere ancora qualche parola perché
il problema dell’utilizzo della violenza non può che essere cruciale quando
si voglia giungere ad una conclusione sull’operato della sinistra
extraparlamentare. Quest’ultimo fu senz’altro caratterizzato da un alto
grado di aggressività verbale e dal ricorso a formule ideologiche che
tendevano a strumentalizzare la veemenza delle manifestazioni popolari per
dipingere uno scenario in cui – semplificando i termini del ragionamento –
la democrazia italiana si trovava minacciata prima di tutto dalle malsane
dinamiche di una società capitalistica preoccupata solo di contrastare il
proprio declino.
La violenza fu solitamente usata da questi gruppi per rivendicare una
propria identità ideologica, ma il giudizio sull’atteggiamento combattivo da
essi tenuto nelle settimane dopo la bomba bresciana non può basarsi su
questo assunto e deve invece essere articolato. Innanzitutto, bisogna
insistere sul fatto che la risposta all’attentato di piazza Loggia era stata
molto agguerrita perché rappresentava la reazione ad un lungo periodo di
violenze neofasciste. L’elevata aggressività era infatti un elemento non
riscontrabile soltanto nelle posizioni della sinistra rivoluzionaria ma anche
nella maggior parte dei cittadini – molti dei quali non erano nemmeno
politicizzati – scesi per le strade e postisi a fianco delle organizzazioni più
radicali. Queste, dal canto loro, guarnirono i propri proclami con una
violenza verbale che sembrava loro legittimata dalla reazione istintiva della
popolazione, ma anche dall’atteggiamento dello schieramento governativo
e degli organi di informazione di massa, sempre pronti a scaricare
sull’estrema sinistra le colpe degli eccessi di violenza. Prerogativa di questi
gruppi fu quella di osservare con attenzione gli atteggiamenti della
232
cittadinanza antifascista e di presentare i propri obiettivi come una
conseguenza diretta della volontà popolare. Dalle pagine dei loro fogli
appare allora uno scenario di insoddisfazione generalizzata – soprattutto
per l’assenza di un’adeguata opera preventiva delle autorità, che aveva
permesso l’azione indisturbata dei terroristi neri, e per la discutibile
modalità di condizione delle indagini sulla strage bresciana –
contrassegnato da una posizione ferma della popolazione italiana, convinta
dell’esigenza di protestare contro la trama reazionaria attraverso metodi che
non si riducessero alle tradizionali forme di protesta del movimento operaio
e persuasa a portare avanti la battaglia contro il Msi e contro le logiche di
potere della Dc, nella speranza ultima di giungere ad una società più equa.
Tale operazione si ‘limitava’ però a connotare ideologicamente il reale
malcontento della popolazione che stava effettivamente protestando in
prima persona e a spada tratta contro la estenuante sensazione di
insicurezza che regnava in Italia.
L’estrema durezza delle posizioni di questi gruppi va insomma inserita
in quel complesso momento della storia repubblicana in cui il paese era
sottoposto a forti tensioni che avevano prodotto una generale e pervasiva
percezione di insicurezza, la quale non poté che condizionare i toni dello
scontro politico, ma anche lo stato d’animo dell’intera popolazione; e va
inquadrata in un contesto politico e culturale in cui l’anticomunismo di
un’ampia fetta della classe dirigente italiana aveva raggiunto livelli
esasperati.
L’ affresco che si delinea dall’interpretazione della strage bresciana
operata dalle formazioni extraparlamentari di sinistra mostra un momento
cruciale della ‘fase alta’ della strategia della tensione durante il quale gli
attentati dei gruppi di estrema destra erano serviti appunto a creare una
forte incertezza tra la popolazione, sensazione che avrebbe dovuto facilitare
233
la costituzione di un governo autoritario. Parte integrante di questo piano
era proprio la speranza di scatenare nei gruppi della sinistra, vistisi
accusare ingiustamente, una reazione violenta tale da rendere legittimo
l’intervento dell’esercito.
Attraverso lo sguardo della sinistra rivoluzionaria la strage di Brescia
appare allora come un evento chiave per fare maggiore chiarezza su un
delicato momento del corso repubblicano che costituisce l’apice del
periodo contraddistinto dalla violenza terroristica di matrice nera – una
violenza che uscì in quell’occasione clamorosamente allo scoperto,
provocando una rinnovata mobilitazione antifascista, la quale fu
probabilmente il motivo principale della battuta d’arresto subita
dall’eterogeneo insieme di forze reazionarie che si proponeva di infrangere
l’amalgama politico-istituzionale antifascista.
La fase successiva, com’è noto, fu invece caratterizzata dall’eversione
rossa. L’osservazione dell’atteggiamento tenuto dai gruppi della sinistra
extraparlamentare – delle loro elaborazioni teoriche oltre che della loro
prassi – in relazione all’attentato di Brescia, acquisisce allora un interesse
aggiuntivo perché consente di comprendere meglio quel passaggio nodale
e, insieme, di illuminare il momento culminante della fase movimentistica
di questi gruppi che – con la teorizzazione dell’‘area della rivoluzione’, la
formazione del cartello elettorale di Democrazia proletaria e la successiva
costituzione dell’organizzazione omonima – sarebbe poco dopo sfociata nel
definitivo inglobamento nel sistema dei partiti.
Un’analisi critica di quei fatti non può che confermare l’ambiguità e la
pericolosità
degli
atteggiamenti
tenuti
dai
gruppi
della
sinistra
rivoluzionaria nei confronti della violenza. Le formulazioni più radicali di
questi schieramenti hanno sicuramente contribuito a fornire il sostrato
teorico a una parte di militanti poi confluiti nelle formazioni
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dell’antifascismo
militare
e
del
terrorismo
di
sinistra.
Questa
considerazione non può e non deve però essere generalizzata. Alcune
formazioni – e in particolar modo Potere Operaio – avevano seguito una
strada particolarmente estrema che le portò nella direzione della lotta
armata. Tuttavia, esse costituiscono una piccolissima parte del vasto bacino
politico-culturale qui trattato. Il terrorismo fu infatti posto in essere da una
nuova generazione di massimalisti che spostò in alto la mira creando un
fenomeno distinto da quello della cosiddetta sinistra extraparlamentare, da
essi considerata troppo moderata. I gruppi presi in considerazione da questo
studio riproducono invece un campione maggiormente rappresentativo
delle forze gravitanti in quell’ambiente.
L’analisi delle loro valutazioni mette in evidenza che per la stragrande
maggioranza delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria la violenza
era un modo per comunicare alla popolazione e per esprimere platealmente
la propria collocazione ‘più a sinistra’ rispetto al Pci. Essa non fu però mai
uno strumento centrale dell’azione politica di questi gruppi. Quando
presero forma nuove forze estreme con una concezione militare della
politica, essi fecero una scelta ben precisa che li portò a ripudiare l’utilizzo
della violenza politica, ad allontanarsi dal loro primigenio rivoluzionarismo
e ad intraprendere un nuovo cammino nella politica istituzionale. La
maturità e la compostezza della risposta dell’articolato schieramento
antifascista ertosi a difesa della democrazia nelle giornate successive
all’attentato del 28 maggio non può, tra l’altro, non aver influito sui tempi e
sulle modalità di tale scelta.
Un giudizio obiettivo sull’operato di questo settore politico che tenga in
considerazione – senza perdere di vista il periodo e il tema analizzato dalla
ricerca – i propositi insistentemente dichiarati dai gruppi e i risultati
effettivamente raggiunti, ad ogni modo, non può essere positivo. Infatti, la
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battaglia della sinistra extraparlamentare, tutta protesa a smantellare la
trama eversiva attraverso un percorso che avrebbe dovuto fare crollare
anche i capisaldi del sistema capitalistico, fallì. Estendendo la riflessione, si
potrebbe anche affermare che, oltre al fatto che non riuscirono a imporsi
come forza rivoluzionaria di massa, queste formazioni contribuirono con la
radicalità del proprio atteggiamento a fare assumere una posizione
difensiva alla sinistra parlamentare.
In questo senso, può essere sostenuto che l’estremismo esasperato della
sinistra extraparlamentare contribuì a mantenere bloccato il sistema politico
italiano, ad attuare cioè il proposito principale della strategia della tensione.
L’inasprirsi della violenza – verbale e non – di sinistra contribuì infatti a
creare un clima politico di grande delicatezza nel quale le forze tradizionali
del movimento operaio si trovarono ‘costrette’ a dare prova della propria
affidabilità, condizione che se permise al paese di uscire da un decennio di
profonda crisi senza sconvolgimenti istituzionali, pose inderogabilmente la
parola fine sulla possibilità di dare vita ad una stagione di effettivo
riformismo modernizzatore, confermando una continuità che pare essere il
male congenito dello Stato italiano. D’altra parte, per rendere completo il
ragionamento, bisogna riconoscere che lo stesso atteggiamento moderato
delle tradizionali organizzazioni della sinistra – e soprattutto la scelta del
Pci di perseguire la strategia del ‘compromesso storico’ – contribuì non
poco a radicalizzare le forme di contrapposizione politica dei gruppi
extraparlamentari. È anche tenendo conto del comportamento della sinistra
parlamentare che si spiega – ma, naturalmente, non si giustifica – la scelta
della fazione più radicale della sinistra rivoluzionaria di dirigere il proprio
impegno verso il baratro del terrorismo. E non può nemmeno essere negato
che un tale sbocco sia in qualche modo collegato alla negligenza del Pci
che – nel suo percorso politico nell’Italia del dopoguerra – non aveva mai
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condotto un’approfondita riflessione interna sul tema della violenza politica
e che – preoccupato precipuamente della gestione dei rapporti con la Dc e
gli altri partiti – non si prese neanche la briga di monitorare per tempo
l’impostazione al riguardo delle formazioni postesi alla sua sinistra alla fine
degli anni sessanta. Ciò ha provocato un danno irreparabile all’identità
politica non solo di queste ultime, ma di tutta la sinistra italiana.
In ogni caso, se i risultati complessivi della strategia della sinistra
extraparlamentare, e in particolar modo la durezza dei suoi attacchi –
soprattutto quando sfociavano in appelli più o meno indiretti ad azioni
violente –, sono da giudicare negativamente, non si può fare a meno di
riconoscere che proprio la radicalità di queste organizzazioni fu parte
integrante della campagna di controinformazione da esse condotta dopo la
bomba di Brescia, e contribuì quindi in maniera rilevante a creare un clima
di denuncia generalizzata che – tra le altre cose – aprì gli occhi a quella
parte di cittadinanza poco propensa a credere che le trame della strategia
della tensione potessero passare attraverso i gangli di una provincia ‘onesta
e operosa’ del nord. Inoltre, osservando l’atteggiamento pragmatico dei
gruppi nelle settimane successive all’attentato di piazza Loggia, si può
asserire che l’effettivo obiettivo della violenza verbale da essi utilizzata
fosse la provocazione. Infatti, essi non minacciarono mai realmente né
l’egemonia del sistema capitalistico né le strutture del potere repubblicano,
ma lanciarono una sfida diretta ai rappresentanti storici della sinistra,
chiamando anche in causa i doveri delle istituzioni e dell’intero sistema
partitico italiano. In questo modo, tali formazioni costrinsero i partiti della
sinistra ad assumere – nel breve periodo – posizioni più decise rispetto a
quelle che avrebbero presumibilmente tenuto, e fecero pressione sugli
organi istituzionali chiamandoli a dare una concreta prova della propria
buonafede davanti alla popolazione italiana. D’altra parte, non deve essere
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mai dimenticato che l’estremismo di questi gruppi era indissolubilmente
legato all’esigenza di opporsi ad uno Stato che aveva dato concrete prove
non solo della propria incapacità di soddisfare l’esigenza di sicurezza dei
cittadini, ma di essere implicato in subdole operazioni atte proprio a
mettere in discussione tale valore. Il fatto che, malgrado tutto, le
formazioni extraparlamentari della sinistra si rivolgessero spesso – anche se
quasi sempre indirettamente – alla ‘parte sana’ delle istituzioni per
richiedere un suo concreto impegno contro l’eversione, non può essere
sottovalutato. Così come non può essere trascurato che, nonostante la loro
professione
rivoluzionaria,
esse
ebbero
il
merito
di
richiamarsi
costantemente agli ideali democratici.
Visti i presupposti ideologici di questi gruppi, il fatto che gli appelli da
essi lanciati alla popolazione non abbiano raggiunto mai i livelli di
estremismo che ci si sarebbe potuti da loro aspettare va letto come un
elemento di maturità di questo settore politico che – anche se condusse una
strategia che fu nel complesso fallimentare – riuscì a sviluppare un
percorso di autocritica e contribuì con la propria azione ad amplificare la
portata di un antifascismo dal basso che diventò in tal modo il maggiore
ostacolo dell’intera strategia eversiva, la quale fu costretta a riorganizzare i
propri piani.
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Stampato
febbraio 2007
in collaborazione con
Assessorato alla Partecipazione