dalla fabbrica al museo

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Gabriella Gnetti
Bibliografia sommaria • Per ulteriori
informazioni sulla Centrale Montemartini
cfr. Comune di Roma, Assessorato alle
Politiche Culturali Sovrintendenza ai Beni
Culturali, Zètema Progetto Cultura,
Centrale Montemartini, Mondadori Electa,
Milano 2006.
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Centrale Termoelettrica Giovanni
Montemartini, vista dalla sponda opposta
del Tevere, 1924 circa. In fondo a sinistra,
il Gazometro.
La Centrale Montemartini
di Roma
La storia
Con i Musei Capitolini, fa parte del Sistema Musei Civici di Roma un insieme
estremamente diversificato di luoghi espositivi e siti archeologici di grande valore artistico e storico, nei quali è possibile godere un’offerta culturale diversificata grazie alle collezioni permanenti ospitate e ai numerosi eventi e mostre
temporanee.
Tra questi una struttura particolare, con una funzione originaria di tutt’altro
genere rispetto all’attuale: la Centrale Montemartini, il primo impianto pubblico di produzione di elettricità a Roma, sorto agli inizi del Novecento sulla Via
Ostiense, tra i Mercati Generali e la sponda sinistra del Tevere.
Attualmente, in una straordinaria ambientazione di archeologia industriale,
la Centrale ospita un’esposizione permanente di capolavori della scultura antica, provenienti dalla collezione dei Musei Capitolini, e preziosi manufatti rinvenuti negli scavi di fine Ottocento e degli anni Trenta del XX secolo.
Intitolata alla memoria dell’Assessore ai Servizi Tecnologici del Comune di Roma, Giovanni Montemartini (Montù Beccaria, 1867 - Roma, 1913), la sua storia ha
inizio il 1° luglio del 1912 e corre parallela a quella dell’Azienda Elettrica Municipale, l’attuale Acea. L’area scelta per l’edificazione, vicina al fiume per la disponibilità permanente d’acqua, era fuori della cinta daziale e quindi non soggetta a imposte sul combustibile.Tecnologicamente all’avanguardia con macchinari produttivi modernissimi – motori diesel e turbo-alternatore a vapore forniti dalla ditta
Tosi – la Centrale è arrivata a sviluppare una potenza di 16.000 kW, grazie all’aggiunta, nel 1924, di turbine a vapore e, nel 1933, di due grandi motori diesel.
Dopo la definitiva interruzione della produzione di energia elettrica – avvenuta a partire dal 1963 – sono sopraggiunti per questo impianto anni di decadenza,
smontaggio delle macchine e riuso degli ambienti, fino al restauro e alla nuova destinazione a spazio per servizi direzionali e culturali. Sono stati conservati il corpo centrale del complesso, comprendente la Sala Macchine e la Sala caldaie, e ricollocati i grandi motori diesel, una turbina a vapore del 1917 e altri macchinari,
con un significativo intervento di salvaguardia dell’archeologia industriale della
città. In seguito, nel 1997, in occasione della ristrutturazione di ampi settori dei
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Musei Capitolini, centinaia di sculture
vennero da lì trasferite in alcuni ambienti dell’ex centrale elettrica Montemartini ed organizzate in una mostra dal titolo «Le macchine e gli dèi». Questa sistemazione, che sarebbe dovuta essere
temporanea, divenne permanente nel
2005, quando solo parte delle opere
pervenute è tornata alla sede originaria, in Campidoglio, e la Centrale è divenuta sede museale permanente.
La centrale oggi
Atrio
Attualmente il nuovo polo espositivo
è dunque uno straordinario esempio di
accostamento tra due mondi opposti,
archeologia classica e archeologia industriale, immediatamente evidente fin
dall’ampio corridoio dell’Atrio del Museo, al piano terreno. Qui, tra le alte
bombole ad aria compressa – utilizzate per l’avviamento dei motori Diesel
della sovrastante Sala Macchine – alcuni pannelli didattici narrano la storia
della Centrale, con foto d’epoca e disegni tecnici, e quella dell’allestimento
del museo. Incontriamo così le immagini di Giovanni Montemartini, della
Centrale vista dal Tevere (ca. 1924), la
planimetria del complesso della Centrale nel 1933, l’interno della Sala macchine
e il “caricamento del carbone” (ca. 1950). Possiamo vedere quali fossero le condizioni e gli ambienti di lavoro dell’epoca attraverso gli scatti «Operai al lavoro
nella Sala Caldaie» e «Operai al lavoro nella Sala Macchine» (ca. 1960).
Altri pannelli raccontano le varie fasi dell’allestimento del Museo, dall’imballaggio delle opere nei Musei Capitolini al trasporto nelle sale della Centrale, tutti scatti risalenti al 1997.
In particolare, per lo spostamento di molte sculture di grandi dimensioni e
di peso notevole – quali il «Torso di combattente» e la «Testa colossale da Largo
Argentina» – si sono dovuti adoperare accorgimenti tecnici speciali, come casse e imballaggi specifici. Altrettanto dicasi per il montaggio di altre opere, quali il frontone del tempio di Apollo Sosiano nella Sala Macchine.
Sala Colonne
Proseguendo oltre l’Atrio, sempre al piano terra della Centrale, incontriamo la Sala Colonne, un grande salone con numerosi pilastri in cemento armato di sostegno alle tre caldaie del piano superiore. Nel soffitto sono visibili le tramogge per
le scorie del carbone, che erano recuperate tramite uno sportello, raccolte con i
carrelli e caricate sui camion comunali del Servizio Giardini per essere usate nelle ville e nei parchi romani per il drenaggio del terreno. Qui sono esposti alcuni
esempi dei ricchi corredi funerari della Necropoli Esquilina, tra cui la «Cassa con
coperchio a doppio spiovente» di peperino, risalente a fine VI-inizio V secolo a.C.
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In alto, Centrale Termoelettrica Giovanni
Montemartini, 1950 circa. Turboalternatore
Tosi Ansaldo di 20.000 kW.
Sotto, la Centrale Termoelettrica Giovanni
Montemartini e operai al lavoro, 1960 circa.
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Quando la Centrale Montemartini produceva elettricità
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La Centrale Montemartini era un
impianto di trasformazione dell’energia
meccanica in energia elettrica tramite
una combustione, utile cioè a produrre
elettricità per una città medio-grande.
Due sistemi di produzione erano attivi
all’interno del complesso: i motori diesel,
a combustione interna, e le turbine a
vapore, che sfruttavano il prodotto di una
combustione esterna. Due cicli di
produzione che operavano a seconda
delle necessità svolgendo ognuno
funzioni diverse.
Ai motori diesel era riservata la
produzione in ore di particolare necessità
energetica della città, come quelle
pomeridiane della stagione fredda.
Funzionavano per un massimo di quattro
ore, dopo le quali avevano bisogno di
essere depurati. La combustione della
nafta sulla testata dei cilindri produceva
il moto degli stantuffi che veniva
trasformato, tramite le bielle, nel moto
rotante dell’albero motore. Si metteva
così in moto l’alternatore, formato da un
rotore mobile con magneti e da uno
statore con rocchetti di materiale
conduttore. I magneti, muovendosi,
inducevano nei rocchetti lo spostamento
di elettroni e, quindi, la corrente elettrica.
Il ciclo vapore funzionava invece tramite il
carbone gettato dentro due grosse
tramogge dal cui fondo partivano nastri
trasportatori conducenti al coal bunker
nella Sala Caldaie. Da qui, tramite altre
tramogge, il carbone scendeva nella
camera di combustione dopo essere
stato livellato da una sorta di ghigliottina
regolabile. Nel forno il carbone bruciava
a più di 400° C e si consumava in
cenere e scorie, raccolte e trasportate in
piccoli vagoni nella Sala Colonne. Le
scorie erano raccolte nell’angolo sud-est
della Sala e poi scaricate dai camion del
Servizio Giardini. La combustione del
carbone trasformava l’acqua in vapore
alla pressione di 45 atmosfere, il quale
veniva mandato in Sala Macchine per
alimentare tre turbine. All’interno di
queste turbine il vapore provocava il
movimento delle palette che, a loro volta,
facevano ruotare l’albero motore.
Nel progetto di recupero della Centrale,
dopo la fine del suo ciclo produttivo, si è
mirato a preservare la Sala Macchine, la
Sala Caldaie e i locali sottostanti, mentre
gli edifici lungo il prospetto est del
complesso sono stati adibiti ad uffici. La
struttura ha conservato, quindi, al piano
terra, il condensatore della turbina n. 6, le
due batterie di bombole ad aria
compressa per l’accensione dei motori
diesel e il compressore di riserva Pignone.
Nella Sala Macchine sono stati preservati
invece i due enormi motori diesel e i
quadri di manovra, i cassoni per la nafta, il
carroponte e il basamento dei
turboalternatori. Le decorazioni sono state
completamente restaurate, il mosaico del
pavimento in parte rimosso e sono rimaste
al loro posto anche due centrifughe per la
purificazione dei liquidi e la scala di
metallo che collega i vari piani.
Nella Sala Caldaie è stata conservata e
restaurata una sola caldaia delle tre
originarie, della quale sono state rese
visibili le parti meccaniche con l’enorme
camera di combustione. Per quanto
riguarda l’esterno della Centrale, due
lampioni in ghisa – la cui decorazione fu
ideata da Duilio Cambellotti su disegno
di Mariano Coppedè – sono stati
collocati nel piazzale di fronte alla
facciata principale.
Centrale
Termoelettrica
Giovanni
Montemartini,
interno della Sala
Macchine, 1950
circa. Si vedono le
turbine a vapore
numerate sulla
cassa
dell’alternatore.
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Questo vastissimo sepolcreto – utilizzato dalla fine del IX secolo a.C. per tutta
l’età repubblicana – è stato esplorato alla fine dell’800 rilevando preziosi oggetti di importazione che testimoniano lo sviluppo degli scambi commerciali di Roma con l’Etruria e la Grecia in età arcaica. Altra interessante opera è un eccezionale frammento di affresco proveniente dalla tomba dei Fabii e risalente alla prima metà del III secolo a.C., che rappresenta scene militari riferibili alle guerre
sannitiche narrate secondo lo stile della pittura trionfale romana.
Sempre da ambito funerario, sono esposti in questa Sala arredi di materiale
pregiato e alta qualità artistica, come i resti di un letto in osso con scene dell’infanzia di Dioniso – conservati insieme alle ceneri del defunto in un’urna di alabastro, proveniente sempre dall’Esquilino – e un letto funerario in bronzo da
Amiterno, con raffinati intarsi in rame e argento. Sono oggetti preziosi che fanno probabilmente parte di bottini di guerra – importati dalla Grecia a partire
dal II secolo a.C. – che influenzarono il gusto delle classi più agiate di Roma.
Andando avanti nella visita della Sala, incontriamo frammenti di sculture in
peperino quali la «Statua di Orfeo tra gli animali», la «Statua femminile con due
bambini» e la «Testa di barbaro», tutti oggetti risalenti al II secolo a.C. Sono opere ritrovate presso la Basilica di San Lorenzo – dove erano riutilizzate in una muratura rinascimentale – accuratamente lavorate riprendendo modelli ellenistici
di scuola pergamena di fine III-inizi II secolo a.C.
Provengono invece da abitazioni private i rivestimenti in bronzo con cui è
stata ricostruita la cosiddetta «Lettiga capitolina», letto da parata di fine I secolo
a.C.-inizio I secolo d.C., e il mosaico policromo con animali marini bordato da
girali d’acanto (fine II-inizi I secolo a.C.).
Infine, in una lunga galleria è allineata una serie di ritratti del I secolo a.C.
che riproducono rappresentanti di diverse classi sociali. Troviamo così schiavi
affrancati, esponenti della piccola borghesia, la statua del cosiddetto «Togato
Barberini» che regge le immagini degli antenati, e tra i ritratti di personaggi illustri, quelli di Cesare, Augusto e Agrippa.
Sala Macchine
Esaurita la ricca proposta del primo
piano, una scala di ferro conduce alla
Sala Macchine, dove si è accolti da due
colossali motori Diesel completamente restaurati. Ciascun albero motore
misura oltre 20 metri ed è formato da
tre pezzi del peso complessivo di 81
tonnellate. Installati il 21 aprile 1933,
alla presenza di Benito Mussolini, i motori a due tempi avevano una potenza totale pari a 15.000 HP e furono costruiti dalla Ditta Franco Tosi di Legnano. Tra questi eccezionali pezzi di antiquariato industriale (nella Sala è posta anche una turbina a vapore), costituisce un incredibile contrasto una serie di sculture di varia provenienza,
copie fedeli di famosi originali dell’arte greca e opere rielaborate da modelli greci secondo il gusto dei committenti romani.
Sopra, statua nella Sala Macchine.
Sotto, visione panoramica della Sala
Caldaie.
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Tra queste, due statue femminili in pietra scura di grande qualità artistica
provenienti dall’area dell’Ospedale Militare sul Celio, rinvenute alla fine dell’Ottocento all’interno di muri tardo-antichi dove erano riutilizzate in minuti frammenti. Sono la statua femminile acefala nota come «Vittoria dei Simmaci», da originale di età ellenistica, che rappresenta la dea con panneggio in bigio antico,
e la statua di orante in basanite, del I secolo d.C., raffigurante Agrippina Minore
come offerente, probabilmente situata nel tempio del Divo Claudio sul Celio.
Altre aree archeologiche di Roma hanno apportato il loro contributo in questa Sala: il Campidoglio, cuore religioso della città antica, presente con alcuni resti dei monumenti sacri e civili eretti nelle sue vicinanze e frammenti di grandi
statue di culto femminili, ricollegabili ad alcuni dei numerosi edifici di culto che
sorgevano sul colle. Sono: la testa colossale di Ercole della metà II secolo a.C.;
la statua di Aristogitone, copia del I secolo a.C. da originale greco del V secolo
a.C.; il «monumento di Bocco», fregio con scudo e trofei del I secolo a.C.
Dall’Area Sacra di Largo Argentina provengono invece i frammenti di un colossale acrolito femminile (statua di culto di uno dei quattro templi di età repubblicana che occupano il centro dell’area) di circa 8 metri di altezza e una statua di Musa
seduta, che doveva invece decorare la scena del vicino teatro di Pompeo (101 a.C.).
Al giardino di Villa Rivaldi si riferisce gran parte della decorazione scultorea.
Era questa una sontuosa residenza privata – costruita alla metà del I sec. d.C. e
restaurata tra la metà del II e la prima metà del III sec. d.C. – messa in luce durante gli scavi per l’apertura di Via dei Fori Imperiali. È presente in questa sala
una galleria di ritratti di imperatori, imperatrici e illustri personaggi proveniente da questa ricca residenza e splendide copie e rielaborazioni romane di originali greci, a testimonianza dell’importanza degli abitanti della Villa. Sono: la testa di Apollo ‘Tipo Kassel’ da originale bronzeo (460-455 a.C.) attribuito a Fidia;
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Il motore diesel con ritratti provenienti da una
domus scoperta a Villa Rivaldi e statua di
Achille che sostiene Pentesilea morente.
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la statua di Antinoo di età adrianea; la statua di Icaro, da originale del V secolo
a.C.; un «Ritratto femminile» della fine II-prima metà III secolo d.C.
Dopo aver percorso tutta la Sala, nella parete di fondo risaltano le sculture
marmoree che decoravano il frontone del tempio di Apollo Sosiano, edificio di
culto i cui resti sono tuttora visibili vicino al Teatro di Marcello. Sono splendidi
originali greci portati a Roma in età augustea che raffigurano la battaglia tra Greci e Amazzoni con Eracle e Teseo alla presenza di Atena e Nike.
Sono esposti i fregi con processione trionfale e scene di combattimento e
l’ipotesi ricostruttiva di un’edicola, ed è stato in parte ricomposto anche un piccolo monumento circolare dall’area tra il tempio e il teatro di Marcello, forse
identificabile con un bacino d’acqua lustrale ricordato dalle fonti.
Sala Caldaie
Attigua alla Sala Macchine, e in comunicazione con essa, l’altro ambiente del primo piano della Centrale è denominato Sala Caldaie per la presenza di una grande caldaia a vapore, unica sopravvissuta delle tre originarie. Con il suo intreccio
di tubi, mattoni e passerelle in metallo occupa dal pavimento al soffitto uno dei
lati minori dell’ampio salone rettangolare di oltre 1000 mq.
Qui sono esposte opere provenienti soprattutto da complessi residenziali
come gli Horti Sallustiani, forse il più celebre fra i grandi parchi di Roma antica, comprendente tre grandi terrazze verdi in corrispondenza dell’attuale quartiere Ludovisi. Nati per volontà dello storico Sallustio, furono lasciati in eredità
a Tiberio nel 21 d.C. e rimasero di proprietà imperiale sino al V secolo. L’eccezionale abbondanza dei rinvenimenti scultorei riscontrata in questa area è documentata, nella Sala, da alcune sculture originali greche di altissima qualità, come la statua marmorea di Amazzone inginocchiata, decorazione frontonale del
tempio di Apollo Daphnephóros a Eretria, databile a fine VI secolo a.C. Si possono ammirare inoltre fregi a girali di acanto con sfingi della prima età augustea
che, insieme al frammento di una colossale statua di Apollo, alludono alla vittoria di Augusto ad Azio su Antonio e Cleopatra e sull’Egitto.
Dagli Horti Liciniani – grande residenza appartenuta alla potente famiglia aristocratica dei Licinii nei pressi dell’attuale Stazione Termini – provengono invece
la magnifica statua marmorea della Musa Polimnia (da originale di età ellenistica)
e quelle di due personaggi (fine IV-inizio V secolo a.C.) che danno l’avvio alle gare del circo, identificabili probabilmente con magistrati di rilievo della Roma della fine del IV sec. d.C., Quinto Aurelio Simmaco e suo figlio Memmio Simmaco.
Dai paraggi, vicinanze chiesa di S. Bibiana, provengono i resti di un grande
mosaico policromo (inizio IV secolo d.C.) con scene di caccia e di cattura di
animali selvatici destinati a spettacoli circensi.
Nel corso degli scavi per la realizzazione del Traforo sotto al Quirinale, agli
inizi del 1900, sono emersi i resti di una casa al cui interno sono stati ritrovati
elementi della decorazione scultorea: statue, busti, lastre a rilievo, ritratti. La dimora, pavimentata in mosaico e in marmo, è stata attribuita al prefetto del pretorio di Settimio Severo, Fulvio Plauziano, in base alle iscrizioni leggibili sulle
condutture in piombo dell’acqua. Da questo sito provengono due busti in marmo, uno maschile della metà III secolo d.C., l’altro femminile, il busto di Lucilla. Stessa provenienza ha un rilievo con maschere teatrali.
La vasca di fontana decorata con girali di acanto e tralci di vite, della seconda metà del I secolo a.C., è giunta in questa sala dagli Horti dell’Esquilino (odierna zona tra piazza Dante e via Ariosto). La maggior parte delle sculture qui rinvenute durante gli scavi ottocenteschi erano in frantumi, riutilizzati come materiale da costruzione nelle murature di edifici tardoantichi.
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Statua di Atena Lemnia.
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Altre Domus, di Via Cavour e di Porta San Lorenzo, sono i luoghi di provenienza di notevoli statue esposte nella Sala caldaie: due di Pothos (copia di età
adrianea da originale del IV secolo a.C.), una di satiro in riposo di età adrianea,
un’altra di generale romano in nudità eroica. Dalla Domus di San Lorenzo provengono i resti di un gruppo di satiri in lotta contro i giganti e altre sculture di
valore decorativo.
Infine, nel settore dedicato all’arte funeraria sono esposti il monumento sepolcrale del giovanissimo poeta Sulpicio Massimo, vincitore di una gara musicale nel
94 d.C., e il cippo del ricco calzolaio Giulio Elio Iulo, raffigurato in nudità eroica
(ultimo ventennio del I secolo d.C.). Sono inoltre illustrate le fasi principali della
vasta necropoli nei pressi della Basilica di S. Paolo fuori le mura (in uso dalla fine
della tarda età repubblicana al IV secolo d.C. e in parte ancora visibile), con ritratti di defunti, altari funerari, urne cinerarie, cippi sepolcrali e sarcofagi.
La didattica
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Statua di Igea, a sinistra e statua di Hestia,
a destra, davanti al quadro di manovra
del motore diesel.
Questo particolare spazio museale dall’iniziale carattere temporaneo, nel 2005, in
occasione del rientro di una parte delle sculture in Campidoglio alla conclusione
dei lavori di ristrutturazione, è stato confermato come sede permanente. Nei suoi
spazi, il lavoro di accostamento di opere provenienti da uno stesso contesto consente anche di ripristinare il vincolo tra il museo e il tessuto urbano antico circostante. La Centrale stessa è inserita all’interno di un più ampio progetto di riqualificazione della zona Ostiense-Marconi, che prevede la riconversione in polo culturale dell’area comprendente la Montemartini, il Mattatoio, il Gazometro, le strutture portuali, l’ex Mira Lanza e gli ex Mercati Generali, con il definitivo assetto delle sedi universitarie di Roma Tre e la realizzazione della Città della Scienza.
In questo contesto, il Comune di Roma Sovraintendenza ai Beni Culturali in
collaborazione con Zètema Progetto Cultura organizza per gli istituti scolastici,
elementari e superiori, visite guidate sia al Museo sia al quartiere, con diverse
modalità a seconda delle età dei partecipanti. Per i più piccoli – Scuola dell’infanzia e primo ciclo delle elementari – la conoscenza della Centrale è stimolata tramite visite interattive, «Gli Dèi e le Macchine», in cui i bambini, aiutati dagli operatori, scoprono tracce della storia del Museo con una “caccia ai cartigli” nascosti tra le statue e le valvole
dei motori. Per gli studenti delle medie e delle superiori è compito degli
archeologi presentare la Centrale e la
sua magnifica collezione.
Più specificamente, per la terza
classe delle medie inferiori e per le
scuole superiori sono proposte due tipologie diverse di visite. La prima, «Dalla Centrale Termoelettrica al Museo Archeologico, storia e fenomenologia del
riuso e riqualificazione architettonica»,
ha il fine di illustrare la duplice offerta del Museo, quella relativa al patrimonio archeo-industriale (ciclo produttivo, macchina, edificio), e quella delle
collezioni archeologiche: la Sala Caldaie con i suoi enormi tubi e le meravigliose statue degli horti e delle ville
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d’epoca imperiale; la Sala Macchine con i meccanismi di trasformazione dell’energia termica e le stupende decorazioni; la Sala Colonne con i pannelli descrittivi di altre macchine (bombole con aria compressa per accensione diesel,
centrifughe per la depurazione dei liquidi, condensatore della turbina) e i diversi aspetti della produzione artistica di Roma repubblicana con ritrattistica, momenti di vita privata, arte funeraria.
Nell’altra visita, «La Centrale Montemartini e il patrimonio di archeologia industriale del territorio Ostiense», dopo una prima parte all’interno del Museo, le
classi lasciano la Centrale, percorrendo la via Ostiense verso Piramide.Viene preso in esame dunque il tessuto urbanistico del quartiere di più antica industrializzazione della città di Roma, caratterizzato da una consistente presenza di emergenze archeologiche e di archeologia industriale. Una parte della città non più
periferica che vede la presenza di luoghi ricchi di memoria storica – i Mercati
Generali, l’Officina del Gas e il grande Gazometro in via del Commercio – e di
valore architettonico – gli ex Magazzini Generali di Tullio Passerelli, oggi Istituto
Superiore Antincendi –, fino ad arrivare sulle sponde del fiume Tevere, seguendo
i lacerti dei binari, raccordo tra le industrie e la stazione da cui provenivano le
materie prime. Un punto d’osservazione generale sugli edifici e le strutture che
ancora oggi caratterizzano l’area come singolare universo post-industriale nella
città di Roma – Ponte di Ferro, ex Mulini Biondi, ex Mira Lanza, ex Granaio dell’Urbe, Dogana Fluviale, ex Capitaneria del Porto Fluviale.
Il contesto urbanistico
Fin dal 1870 il quartiere Ostiense fu riconosciuto territorio idoneo allo sviluppo di
attività industriali. La grande area entro le mura aureliane – delimitata a ovest dal
fiume Tevere e ad est dalle vie Marmorata e Ostiense – occupata prevalentemente
da vigne e scarsamente abitata, si prestava molto bene alla realizzazione di un insediamento industriale. Anche il Tevere poteva diventare, con la ferrovia e la via
Ostiense, una fondamentale via di comunicazione. A partire dal 1909, con la politica industriale della giunta Nathan, la zona iniziò ad assumere la connotazione di
prima vera area industriale di Roma. Nel 1911 venne realizzata la nuova stazione
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A destra, parte di una statua di Antinoo
raffigurato come Apollo.
A sinistra, statua in basonite di Agrippina
Minore raffigurata come orante.
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Fregio della decorazione interna del Tempio
di Apollo Sosiano.
di Roma Trastevere e l’attuale Ponte dell’Industria venne riconvertito per il traffico veicolare. Negli anni Venti il potenziamento industriale del quartiere si attuò con
l’Azienda Elettrica Municipale, lo Stabilimento del Gas, la costruzione dei Mercati
Generali e del Consorzio Agrario e si insediarono ulteriori attività, come la Società
Colla e Concimi – poi Mira Lanza – che, partendo dall’impiego di scarti della macellazione, produrrà candele e saponi da bucato. Gli edifici di questa fabbrica vennero costruiti su un’area di circa 9 ettari compresa fra via Papareschi, via di Pietra
Papa e il fiume. Sono corpi a prevalente sviluppo orizzontale, su uno o due livelli,
organizzati in capannoni distinti secondo le esigenze produttive, con spazi per magazzini e depositi, generalmente edificati in muratura con coperture a due falde su
capriate lignee. I fronti dei diversi corpi si caratterizzano per la serialità dei prospetti, ritmati dal succedersi delle aperture e da partiti di semplici paraste. Ubicati
nei pressi di viale Marconi, sono stati abbandonati nei primi anni Cinquanta, e in
seguito sono stati adibiti a sede dei magazzini della ditta Rancati, società di attrezzistica teatrale e cinematografica. Nel 1999, dalla ristrutturazione di alcuni ex capannoni, l’amministrazione comunale di Roma ha voluto ricavare una struttura, il
Teatro India di Roma, allo scopo di rendere funzionale a fini culturali e conservare
la memoria dell’architettura industriale dell’area. Il teatro offre altresì una seconda
sede al Teatro di Roma – dopo quella storica del Teatro Argentina – ed è una struttura molto semplice, con posti per gli spettatori sistemati su gradoni.
Anche l’importante complesso dei Magazzini Generali nacque nei primi anni del secolo scorso: alla loro progettazione, commissionata nel 1909 dal Comune di Roma all’ingegner Tullio Passarelli, fece seguito la realizzazione, compiuta
negli anni immediatamente successivi. Gli edifici si conservano ancora oggi in
discrete condizioni, e su un’area di circa 24.000 mq si articolano secondo uno
schema simmetrico lungo un asse perpendicolare al Tevere. Una palazzina posta
al centro del muro di cinta è l’unico edificio recante tracce di una decorazione
classicheggiante, bugnato rustico e volute che, all’attico, incorniciano la grande
scritta «Magazzini Generali».All’interno dell’area recintata, ai lati di un ampio piazzale, due bassi capannoni simmetrici
sono adibiti alla sistemazione delle merci destinate al carico. Oltre il piazzale
sorgono i due edifici principali di cinque piani, che si compongono di due
corpi affiancati e contrapposti tra loro.
Sono affacciati a una sorta di corte longitudinale comune, servita da un carro
ponte a struttura reticolare metallica
che si estende fino a due pontili sulla
banchina del Tevere, direttamente raggiunta dai binari che portavano i vagoni merci provenienti dalla vicina stazione Ostiense. Gli edifici sono costruiti
con strutture intelaiate di cemento armato, con tamponature in muratura mista di tufo e mattoni “alla romana”. I Magazzini Generali sono attualmente di
proprietà del Ministero degli Interni e
vengono utilizzati come scuola per il
corpo dei Vigili del Fuoco, dopo essere stati restaurati e adattati alle nuove
esigenze.
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La storia degli ex Mercati Generali è
più complessa. Nonostante l’approvazione della Commissione dell’Ispettorato
Edilizio del 1912 e l’avvio della costruzione l’anno successivo, i lavori procedettero molto lentamente, anche a causa degli eventi bellici. Il primo lotto venne concluso solo nel 1922. La realizzazione si discostò dal progetto iniziale con alcune
modifiche all’assetto funzionale e, soprattutto, con una semplificazione dell’apparato decorativo liberty. Nel 1924 venne
ampliato il progetto con un padiglione
per gli erbaggi e un altro per la vendita
del pesce e, ancora nel 1942, vennero redatti progetti per la modifica e l’ammodernamento delle strutture, rimasti però
inattuati. In quegli stessi anni furono demoliti stucchi e decorazioni che ornavano il fronte sulla via Ostiense. Si tratta di
una vasta area, di circa 85.000 mq, sul lato sinistro di via Ostiense, che ha ospitato dagli anni Venti del ’900 fino a pochi
anni fa i mercati generali della Capitale.
Quando nacquero, queste strutture dovevano fornire un mercato cittadino di
circa 600.000 abitanti, ampliatosi fino agli oltre 4 milioni in epoche più recenti. Il
grande complesso ha conservato il suo fascino peculiare per molti decenni, con vasti padiglioni pieni di merci di ogni genere riposte in file di cassette colorate.
Altra silhouette peculiare del quartiere Ostiense è il grande Gazometro, visibile a chilometri di distanza da varie zone della città. È alto 90 metri e formato alla base da pannelli di lamiera di ferro uniti da bulloni. Anche la struttura a
maglia reticolare e la copertura, su guide scorrevoli, sono in ferro. La sostituzione del gas di città con il metano – che non passa più per i gazometri ma proviene dalla Russia e dall’Algeria tramite un complesso sistema di tubature – ha reso obsoleti questi impianti fin dagli anni Ottanta del Novecento.
Un altro elemento distintivo della zona è il Ponte dell’Industria, anch’esso
realizzato in ferro. Collega via del Porto Fluviale con via Pacinotti, e un tempo
era ferroviario e mobile per consentire il passaggio delle imbarcazioni sul Tevere. Nel 1911 fu trasformato in ponte stradale e, ad oggi, appare ancora costituito dai piloni originari al di sotto di due campate maggiori, di circa 45 metri, e di
una centrale, più piccola, di circa 15 metri. La travatura metallica non è più quella originaria, sostituita nel 1924.
Informazioni
Dove
Roma, Musei Capitolini - Centrale Montemartini (Via Ostiense, 106)
Organizzazione e Servizi Museali Zètema Progetto Cultura
www.centralemontemartini.org
www.museiincomuneroma.it
www.zetema.it
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Vittoria dei Simmaci.