metodi intergovernativi, metodi “comunitari”

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metodi intergovernativi, metodi “comunitari”
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Strumenti e criticità del governo degli ordinamenti sopranazionali: metodi
intergovernativi, metodi “comunitari” e multilevel governance
Introduzione di Eugenio De Marco
SOMMARIO: 1. L’Unione europea tra “metodi comunitari” e “metodi intergovernativi” – 2. Metodo
comunitario e ruolo degli Stati – 3. (segue): momento “intergovernativo” e momento “comunitario” a
confronto – 4. La multilevel governance nell’ambito dell’Unione europea: profili problematici e nodi da
sciogliere.
1. L’Unione europea tra “metodi comunitari” e “metodi intergovernativi” – Il dibattito sul
tema della mattinata, come si evince dallo stesso titolo, si preannuncia ampio e complesso per gli
argomenti su cui si svilupperà e nello stesso tempo di alto interesse e stimolante.
Mi limiterò, in questa introduzione, a richiamare per rapidi cenni l’attenzione su taluni aspetti
del governo sopranazionale, con specifico riferimento all’ordinamento dell’Unione europea: un
ordinamento che si caratterizza – come è noto – per la coeva esistenza di “metodi intergovernativi”
e “metodi comunitari” di decisione: una coesistenza che riflette, del resto la particolare natura
dell’Unione, il suo carattere “ibrido” che ne fa una entità sui generis in cui gli ordinamenti statali
coesistono con l’ordinamento soprannazionale comunitario, senza però avere dato vita ad un
sistema federale1.
Nei percorsi del processo di integrazione comunitaria e dello stesso processo costituente europeo
(processo che attualmente attraversa un periodo di crisi, ma di cui non si può disconoscere il
significato e le cui ultime vicende non rappresentano certo una novità nell’ormai più che
cinquantennale cammino verso l’integrazione europea) un dato indiscutibile è quello del perdurante
ruolo degli Stati-nazione. Ruolo che si manifesta nella sua pienezza in presenza di scelte e decisioni
da adottare normalmente all’unanimità con metodo intergovernativo, finalizzato al raggiungimento
di accordi e intese su posizioni comuni2.
Al metodo intergovernativo sono demandate la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la
materia della giustizia e degli affari interni (GAI). In questi ambiti l’Unione agisce per lo più
all’unanimità, con azioni comuni e assumendo posizioni comuni. Ma procedure intergovernative,
che comportano decisioni che necessitano del consenso unanime degli Stati membri e nelle quali le
istituzioni comunitarie sono coinvolte soltanto a livello consultivo, sono anche quelle relative alle
1
Pur essendosi a volte parlato, per la “costruzione giuridica” europea, di processo federativo o di “quasi-federalismo” o
anche di “confederazione di nuovo tipo”, sembrano delinearsi percorsi per diversi aspetti divergenti. Le classiche
confederazioni di Stati e gli Stati federali cui esse hanno dato origine hanno messo anzitutto in comune le politiche
estera e di difesa. Le prime Confederazioni, anzi, non avevano nemmeno un ordinamento giuridico al di sopra di quello
degli Stati membri. Il processo di integrazione comunitaria ha imboccato invece una via diversa: si è proceduto cioè ad
una progressiva integrazione economica via via estesa ad altri settori della legislazione; si è creato un ordinamento
giuridico comunitario che prevale su quello degli Stati nei campi passati alla competenza comunitaria; ma proprio nei
settori della politica estera e della difesa si è mantenuta (almeno in ambito comunitario, prescindendo cioè da alleanze
militari come la NATO) una maggiore autonomia degli Stati: al punto che in una crisi come quella irakena si sono
evidenziate divergenze profondo che hanno visto alcuni Stati prestare un proprio contributo militare (o addirittura
partecipare alla guerra, come la Gran Bretagna), altri invece mantenere una posizione di rigido non interventismo o
addirittura di netta ostilità all’intervento.
2
Nel senso, anzi, della ripresa di un grande spazio, specie dopo Maastricht, del metodo intergovernativo accanto al
metodo comunitario, cfr. S. Niccolai, Tra Costituzione e amministrazione: la produzione del diritto in ambito
comunitario, in Il Filangieri, 2004, n. 4, p. 587.
2
modificazioni dei Trattati (art. 48 TUE) o all’ammissione di nuovi Stati nell’Unione (art. 49 TUE).
E carattere intergovernativo presentano ancora varie procedure di cooperazione rafforzata tra un
numero più limitato di Stati membri, ammesse alle condizioni di cui all’art. 43 TUE.
Attengono invece al metodo comunitario quelle procedure decisionali, previste e disciplinate dai
Trattati negli ambiti di competenza comunitaria, che vedono la partecipazione delle istituzioni
comunitarie, secondo le rispettive competenze, e che sono rivolte ad esprimere la volontà
sopranazionale: con la Commissione che assolve i suoi ruoli propositivi ed esecutivi; il Consiglio
dei ministri che svolge la funzione legislativa con il supporto, seppure ancora limitato del
Parlamento europeo; il Parlamento che esercita le sue competenze in materia di bilancio; la Corte di
giustizia che garantisce il rispetto del principio di legalità3 4.
2. Metodo comunitario e ruolo degli Stati – Nell’Unione convivono, come è noto, istituzioni che
sono immediata espressione degli Stati, della cui volontà i loro componenti sono i portatori, ed
istituzioni che invece esprimono una volontà anche sostanzialmente comunitaria, vuoi per
l’indipendenza funzionale dei loro componenti dai governi degli Stati membri, vuoi (come nel caso
del Parlamento europeo) per l’essere diretta espressione dei cittadini dell’Unione. Un carattere
ibrido, invero, non certo superato (è inutile dirlo) nel progetto di Trattato costituzionale europeo (a
prescindere da quelle che potranno essere le sue sorti)5.
Risultano anzitutto espressione di una volontà intergovernativa le scelte e le decisioni demandate
al Consiglio europeo, tipico organo di cooperazione intergovernativa che riunisce i Capi di Stato o
di Governo degli Stati membri dell’Unione e che dà all’Unione stessa l’impulso necessario al suo
sviluppo e ne definisce gli orientamenti politici generali (art. 4 TUE), con decisioni unanimi,
formalmente non vincolanti ma comportanti accordi e intese che costituiscono “la materia prima
che dà forma al destino della Comunità e dell’Unione”6. Attraverso il Consiglio europeo sono
quindi ancora oggi gli Stati che determinano l’indirizzo politico dell’Unione. E dove manca un
accordo tra gli Stati, manca anche una politica dell’Unione, anche nei settori di competenza
comunitaria.
Ed anche nello stesso progetto di Trattato costituzionale europeo (a prescindere da quelle che ne
saranno le sorti), il Consiglio europeo, pur pienamente istituzionalizzato e rafforzato nel suo ruolo
di massima istituzione di indirizzo politico dell’Unione7 (con la previsione, oltre tutto, di una
presidenza stabile ed investita di funzioni di rappresentanza esterna) viene assunto come organo che
“si pronuncia per consenso, salvo i casi in cui la Costituzione disponga diversamente” (art. I-21,
par.4). Viene così confermata la regola del carattere intergovernativo della decisione nelle scelte di
indirizzo politico del Consiglio europeo (al quale è invece precluso l’esercizio di funzioni
legislative: art. I-21, par. 1).
3
Il “metodo comunitario”, si legge nel Libro bianco sulla Governance europea, “garantisce nel contempo il rispetto
delle diversità e l’efficacia dell’Unione. Esso assicura un trattamento equo di tutti gli Stati membri, dal più grande al più
piccolo, e consente di conciliare interessi diversi attraverso due filtri successivi: il filtro dell’interesse generale, a livello
della Commissione; il filtro della rappresentanza democratica, europea e nazionale, a livello del Consiglio e del
Parlamento europeo, che sono gli organi legislativi dell’Unione” (p. 8).
4
La distinzione tra « metodi comunitari » e « metodi intergovernativi » riflette, del resto, a livello funzionale, il
carattere “plurimodulare” impresso all’Unione europea così come prevista dal Trattato di Maastricht: un “pilastro
comunitario”, comprensivo delle preesistenti tre Comunità CE, CECA fino alla sua scadenza nel 2002, EURATOM); un
pilastro intergovernativo rappresentato dalla politica estera e di sicurezza comune (PESC); e un pilastro, anch’esso
intergovernativo”, rappresentato dalla giustizia e dagli affari interni (GAI). Al riguardo cfr., di recente, P. Bilancia, Lo
spazio di libertà, sicurezza e giustizia tra realtà intergovernativa e prospettiva comunitaria, in Rivista italiana di diritto
pubblico comunitario, 2004, n. 2, p. 345 ss.
5
Cfr. al riguardo, J. Ziller, La ratification des traités européens après des référendums négatifs: que nous disent les
précédents danois et irlandais?, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2005, n. 2, p. 365 ss.
6
Cfr. M. Cartabia, J.H.H. Weiler, L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, p. 41.
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A differenza di quel che avviene negli Stati ove la funzione di indirizzo politico presenta carattere “trasversale” e
“diffuso”.
3
Ma anche nell’ambito del “metodo comunitario” un “momento intergovernativo” si potrà
ravvisare nella formazione della volontà di qualche istituzione, oltre che nei procedimenti
interistituzionali di decisione e di governo.
Il riferimento è, in particolare, al Consiglio dei ministri, che può definirsi organo legislativo per
eccellenza dell’Unione, ma che è anche istituzione strettamente “legata” agli Stati membri, in
quanto formata da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale ed abilitata ad
impegnare il governo di detto Stato membro (art. 203 TUE).
Il Consiglio, infatti, assolve alcune funzioni come organo intergovernativo e opera quindi in tali
casi in un’ottica intergovernativa8. Assolve invece una serie di altre funzioni come istituzione
comunitaria, decidendo in alcuni casi a maggioranza semplice, il più delle volte a maggioranza
qualificata e su poche ma importanti questioni (quali l’armonizzazione fiscale e sociale, la libertà di
movimento, ecc.) all’unanimità.
Non sembra, peraltro, fuori luogo domandarsi se il Consiglio, che è pur sempre – ripetiamo –
l’espressione “intergovernativa” o statale del governo della Comunità, anche nell’assolvimento delle
funzioni del secondo tipo, non operi (al di là delle procedure formali) in modo sostanzialmente
intergovernativo.
Anzi, nelle materie (poche ma rilevanti, come si è visto) in cui il Consiglio deve decidere
all’unanimità, raggiungendo il consenso del Governo di ciascuno Stato membro attraverso il proprio
rappresentante in Consiglio, potrebbe perfino apparire non agevole, al di là – ripetiamo – delle
procedure formali di decisione, distinguere una volontà comunitaria e quindi “sopranazionale”
(diversa e superiore a quella degli Stati) dalla volontà collettiva degli stessi Stati dell’Unione.
Ma si è anche rilevato, seppure sul piano della prassi, che, per le stesse principali decisioni del
Consiglio da adottare a maggioranza, la regola fino ad ora quasi sempre seguita, sia pure per ragioni
di opportunità politica, è stata quelle delle trattative tra i Governi degli Stati membri fino al
raggiungimento di un accordo unanime9. Un sostanziale frequente prevalere, quindi, seppure di
fatto, di una sorta di modo intergovernativo di decisione in seno al Consiglio, o quanto meno di una
dialettica intergovernativa, anche in casi in cui la normativa CE prevede la regola della decisione
comunitaria a maggioranza, che fungerà poi da “suggello formale” delle intese raggiunte, e la
decisione consiliare si colloca nell’ambito del “metodo comunitario”.
Le considerazioni svolte non debbono però certo fare passare in secondo piano – sempre
dall’angolo visuale delle istituzioni comunitarie e del loro modo di funzionare – i modi anche
sostanzialmente comunitari di decisione che sono già esclusivi del funzionamento di alcune
fondamentali istituzioni comunitarie e in prospettiva dovrebbero sempre più caratterizzare l’agire
delle istituzioni dell’Unione in concomitanza ovviamente con il progredire del processo di
integrazione.
Anzitutto, riallacciandoci a quanto sopra detto con riguardo al Consiglio dei ministri, se dal
punto di vista sostanziale le sue decisioni si collocano in un’ottica “intergovernativa”, si pongono
come esito di “dialettiche intergovernative”, le stesse decisioni sono il risultato di procedure
giuridiche dell’istituzione dettagliatamente disciplinate ed anche diversificate10, formalmente
riconducibili quindi alla procedura comunitaria, e si traducono in atti formali, quali in primis i
regolamenti e le direttive, tipiche fonti normative comunitarie.
L’istituzionalizzazione dei modi comunitari di decisione risulta poi di tutta evidenza, non solo
dal punto di vista formale-procedimentale ma anche da quello sostanziale, quando le decisioni sono
imputabili ad istituzioni che operano in posizione di indipendenza dagli Stati membri, alle
istituzioni cioè a più spiccata connotazione “sopranazionale”.
Così è, anzitutto, per il Parlamento europeo, la cui indipendenza dagli Stati è non soltanto
“funzionale” ma anche “genetica”, essendo il Parlamento istituzione rappresentativa dei popoli
8
Così, nell’attuazione delle politiche dell’Unione in materia di relazioni esterne, di sicurezza ecc.
Cfr. G.U. Rescigno, Corso di diritto pubblico, Bologna, 2005, p. 123.
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Basti pensare alle complesse procedure prescritte per le deliberazioni che richiedono una maggioranza qualificata (art.
205 Trattato CE).
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d’Europa, con i parlamentari eletti a suffragio universale diretto (art. 190 TUE). Alla forte
caratterizzazione di stampo “democratico” del Parlamento europeo, non corrisponde però un ruolo
altrettanto incisivo della stessa istituzione. Il ruolo che esso svolge nel campo della legislazione
resta pur sempre infatti (a parte pochi casi come quelli in cui sono previste procedure di codecisione
e nonostante un progressivo ampliamento di competenze del Parlamento medesimo) un ruolo
collaterale a quello del Consiglio dei ministri nel campo della legislazione. Maggiormente
significativo, invece, è il potere del Parlamento di presentare e votare una mozione di sfiducia alla
Commissione (art. 201).
Benché geneticamente “legata” ai governi degli Stati membri (che ne designano il presidente e i
componenti, pur essendo necessaria la successiva approvazione del Parlamento europeo) (art. 214),
una istituzione che opera in posizione di indipendenza è la Commissione, organo esecutivo
dell’Unione i cui membri sono esplicitamente tenuti ad esercitare “le loro funzioni in piena
indipendenza nell’interesse generale della Comunità” (art. 213, punto 2, comma 1). Si ricorda che,
non senza una certa contraddizione, il progetto di Trattato costituzionale europeo se da una parte
tende a rafforzare il ruolo politico del presidente della Commissione, introducendo tra l’altro la sua
elezione diretta da parte del Parlamento europeo, d’altra parte ne affievolisce le competenze
prevedendo il rafforzamento di altre istituzioni e contemplando la figura del tutto nuova del
ministro degli Affari esteri dell’Unione.
Di piena indipendenza funzionale gode altresì la Corte di giustizia comunitaria, della quale è
inutile ricordare il ruolo essenziale svolto nell’affermare la preminenza del diritto comunitario e la
sua diretta applicazione negli Stati membri.
Una istituzione settoriale ma che svolge in posizione di elevata indipendenza un ruolo decisivo
in tema di politica monetaria è la Banca centrale europea.
3. (segue): momento “intergovernativo” e momento “comunitario” a confronto – Le decisioni
comunitarie, viste ora dal punto di vista interistituzionale (e non più meramente intraistituzionale
come sopra), sono, come è noto, il risultato di procedimenti articolati e anche diversificati. Così, per
fare uno degli esempi più significativi, nell’attività di produzione normativa, il potere di iniziativa è
riservato alla Commissione, organo decisionale tipico è il Consiglio ed il Parlamento interviene a
vario titolo a seconda dell’ambito materiale: in particolare, nei casi in cui è prevista la codecisione,
il Parlamento, benché privo di un potere positivo di decisione finale contro la volontà del Consiglio
dei ministri, può bloccare un procedimento legislativo a maggioranza assoluta e attraverso
procedure previste dall’art. 251 Trattato CE; nella cooperazione, invece, l’eventuale opposizione del
Parlamento, a termini dell’art. 252 Trattato CE, può essere superata solo con voto unanime del
Consiglio; e vi è infine la consultazione, che può comportare un parere anche obbligatorio, ma non
vincolante, del Parlamento stesso11 12.
Più in generale le attività, le scelte e le decisioni che vengono prese pur nell’ambito del “metodo
comunitario” registrano il coinvolgimento, a vario titolo e a diversi livelli, di più istituzioni, alcune
sopranazionali nel senso più compiuto dell’espressione, altre, come il Consiglio dei ministri,
parimenti sopranazionali ma portatrici in realtà della volontà degli Stati a livello di Comunità e di
Unione. Quando poi non è previsto un ruolo diretto degli stessi Stati13.
11
Cfr. G. Ress, Parlamentarismo e democrazia in Europa, Napoli, 1999, p. 118 ss.
Sensibilmente ampliato risulta, nel progetto di Trattato costituzionale europeo, il ruolo del Parlamento non solo nella
partecipazione all’attività di produzione legislativa comunitaria (con accrescimento del ruolo di codecisione con il
Consiglio), ma anche nei confronti della Commissione, con l’attribuzione del potere di eleggerne direttamente il
presidente, su proposta del Consiglio europeo che deve tener conto delle elezioni del Parlamento medesimo, oltre che
del potere di esprimere un voto di approvazione collettiva del presidente e degli altri componenti la Commissione (come
anche attualmente previsto), nonché della nuova figura del ministro degli Affari esteri prevista dal progetto di Trattato
costituzionale (art. I-27, parr. 1 e 2).
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Emblematico è il caso (pur non trattandosi di una procedura finalizzata all’adozione di un atto comunitario, bensì alla
formazione di una istituzione di governo) della procedura di formazione della Commissione europea: procedura che
vede il coinvolgimento dei governi degli Stati membri, che designano la persona che intendono nominare presidente
12
5
In realtà, anche nell’ambito dei “metodi comunitari” di decisione, non manca mai il “confronto”
(che può essere dialettico ma può portare anche allo stallo se non all’impossibilità di decidere) tra il
“momento intergovernativo” e il “momento “comunitario”, tra il ruolo degli Stati e il ruolo della
Comunità: confronto a volte di non agevole soluzione con il mero ricorso agli strumenti stricto
sensu giuridici, mancando pur sempre quei raccordi che caratterizzano invece i sistemi degli Stati
federali14.
4. La multilevel governance nell’ambito dell’Unione europea: profili problematici e nodi da
sciogliere – Le considerazioni svolte aprono la via a talune riflessioni sul tema della multilevel
governance nell’ambito dell’Unione europea, che peraltro mi limiterò soltanto a introdurre per
lasciare la parola ai successivi illustri relatori.
Occorre premettere che il concetto stesso di governance è usato in più di una accezione e non è
quindi facilmente definibile.
Nel rapporto del 1995 della “Commissione sulla governance globale”, in sede ONU, la
governance era così definita: “Gouvernance is the sum of the many ways individuals and
institutions, public and private, manage their common affairs. It is a continuing process through
which conflicting or diverse interest may be accommodated and co-operative action may be taken.
It includes formal institutions and regimes empowered to enforce compliance, as well as informal
arrangements that people and institutions either have agreed to or perceive to be in their
interest”15.
Nel Libro bianco sulla governance europea del 2001, invece, “Il concetto di governance designa
le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono
esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione,
responsabilità, efficacia e coerenza”16.
Una visione della governance, quella delineata nel Libro bianco, di cui si è sottolineata la
valenza amministrativa, “di una procedura di governo improntata al diretto rapporto contrattuale e
concertativo, in un quadro elasticamente procedimentalizzato, tra una istituzione amministrativa e i
gruppi esponenziali della società organizzata”17.
Senza volere indulgere a definizioni concettuali e a problematiche che richiederebbero spazi ben
maggiori18, si ritiene, in questo intervento introduttivo, di poter spendere soltanto qualche parola sul
della Commissione e, d’accordo con il presidente designato, le altre persone che intendono nominare membri della
Commissione; quindi il duplice intervento del Parlamento europeo, che approva la scelta sia del presidente della
Commissione sia la Commissione collettivamente; infine, di nuovo i governi degli Stati membri, chiamati a nominare di
comune accordo il presidente e gli altri membri della Commissione (art. 214 Trattato CE).
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D’altro canto, nello stesso testo del progetto di Trattato costituzionale europeo, secondo quanto osservato in dottrina,
pur essendo emersa una tendenza a creare un sistema istituzionale maggioritario, non se ne sarebbero garantite le
condizioni costituzionali di funzionalità, fino a lasciare intravedere da taluni i rischi della creazione di un
“maggioritarismo inter-governativo”. Cfr., al riguardo, M. Poiares Maduro, Il rischio del “maggioritarismo intergovernativo”, in Quaderni costituzionali, 2003, n. 3, p. 657 ss., il quale osserva tra l’altro che “si è verificata una
tendenza a promuovere la rappresentanza proporzionale sia rivalutando il ruolo del Parlamento Europeo sia nel
Consiglio. Ma nel far ciò non si è considerato che la natura della deliberazione nel Consiglio (con l’aggregazione di
blocchi di voti da parte degli Stati e il ruolo centrale dei pochi Stati che hanno tuttora una notevole capacità di blocco)
dà origine al grave rischio di creare permanenti e isolate minoranze di singoli Stati” (p. 659).
15
Sulla global governance, in generale, cfr.: Global Governance: Critical Perspectives,ed. by R. Wilkinson – S.
Hughes, London, 2002; J.A. Scholte, Civil Society and Democracy in Global Governance, in Global Governance, vol.
8, n. 3, p. 281 ss.
16
Cfr. p. 8, nota 3, del Libro bianco. Già nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000 era peraltro stata prospettata la
strategia del Metodo Aperto di Coordinazione.
17
Cfr. Niccolai, Tra Costituzione e amministrazione: la produzione del diritto in ambito comunitario, cit., p. 580.
18
Tra le molte opinioni emerse nella nostra dottrina, ricordiamo in particolare quella secondo cui, in un’ottica moderna,
“la questione della governance riguarda nel suo complesso tutto il sistema dei rapporti tra i diversi soggetti istituzionali,
indipendentemente dal piano istituzionale in cui essi operano” e si è posto altresì l’accento sul moltiplicarsi delle
relazioni interistituzionali e sull’evoluzione “sempre più evidente verso forme di governance come modalità “normali”
di collegamento tra i diversi livelli territoriali e settoriali in cui si distribuisce il potere pubblico nelle moderne
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concetto di multilevel governance, quale sistema delle “interazioni fra i diversi livelli”, su
quell’accezione cioè della “tematica legata alla governance…che fa…perno sulla necessità di
cooperazione e interdipendenza decisionale e operativa nell’ambito degli ordinamenti a più livelli”;
senza ovviamente tralasciare di considerare i profili settoriali e il ruolo che anche altre formazioni
sociali possono assolvere nell’ottica della multilevel governance 19.
Il concetto di multilevel governance va distinto anzitutto da quello di multilevel
constitutionalism: di quel costituzionalismo cioè che, proiettando il concetto stesso di costituzione
in dimensioni del tutto nuove, tende ormai a configurare lo Stato non più come ordinamento
costituzionale per antonomasia, ma come un ordinamento costituzionale tra altri ordinamenti
costituzionali.
Ed invero, in un’ottica di multilevel constitutionalism, nel quadro europeo al di sopra del livello
costituzionale statale potrebbe fino da ora ravvisarsi un livello costituzionale comunitario, anche a
prescindere dalle vicende dell’odierno progetto di Trattato costituzionale europeo (stando almeno
alle tesi – avallate dalla stessa Corte di giustizia comunitaria – che considerano i vigenti Trattati
come vera e propria “costituzione europea”). Mentre, al di sotto dei livelli costituzionali almeno di
alcuni Stati (quelli federali e anche quelli spesso etichettati come “federal-regionali” o a
“regionalismo forte”) si possono ravvisare gli ordinamenti costituzionali (o anche statutari, nella
misura almeno in cui si tratti di statuti che presentino spiccate analogie con costituzioni) di entità
sub-statali seppure reciprocamente differenziate (Laender, Comunidaded autonomas, Regioni,
ecc.).
Anche a prescindere però dall’obiezione secondo cui nel multilevel constitutionalism la
legittimazione dei diversi livelli di governo non deriverebbe l’uno dall’altro, avendo ciascuno la
propria legittimazione20, il concetto di multilevel governance differisce profondamente da quello del
costituzionalismo multilivello e per certi aspetti ne rappresenta la negazione.
In realtà, seppure in un’ottica amministrativistica come quella che emerge dal Libro bianco della
Commissione europea, la governance è intesa ad instaurare un rapporto concertativo tra la
Comunità, essenzialmente impersonata nella Commissione come istituzione di governo, e la società
civile nel suo complesso: non solo quindi con le Regioni e le autonomie territoriali in genere, che
come è noto trovano ben poca “udienza ufficiale” a livello di istituzioni comunitarie21, ma anche
organizzazioni statali e sovrastatali”. Cfr. F. Pizzetti, L’evoluzione del sistema italiano fra “prove tecniche di
governance” e nuovi elementi unificanti. Le interconnessioni con la riforma dell’Unione europea, in Le Regioni, 2002,
n. 4, pp. 664, 666. Sempre con riferimento al contesto europeo si vedano: L. Hooghe, G. Marks, Multi-level
Governance and European Integration, New York, Oxford, 2001; C. Scott, The Governance of the European Union:
the Potential of Multi-Level Control, in European Law Journal, 2002, 8, p. 59 ss.; A. Landuyt, D. Pasquinucci,
L’Unione europea tra Costituzione e governance, Bari, 2004.
19
Cfr. F. Pizzetti, La tutela dei diritti nei livelli substatuali, in La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi
aperti, momenti di stabilizzazione, a cura di P. Bilancia, E. De Marco, Milano, 2004, p. 189.
20
Cfr. I. Pernice, Multilevel Constitutionalism in the European Union, in European Law Review, 2002. Nella nostra
dottrina si vedano: P. Bilancia e F.G. Pizzetti, Aspetti e problemi del costituzionalismo multilivello, Milano, 2004; E.
De Marco, Percorsi del “nuovo costituzionalismo”, Milano, 2005.
21
Pur essendo previsto infatti nel Trattato CE un Comitato delle Regioni, il suo ruolo è notevolmente limitato: deve
essere consultato soprattutto in tema di cooperazione transfrontaliera. La scarsa “visibilità” delle Regioni (per tali
intendendosi sia le entità federate sia quelle regionali) dipende non solo dal fatto che gli Stati tendono a porsi come
interlocutori pressoché esclusivi al livello di governo dell’Unione, ma anche dal fatto che tali entità sono realtà che
variano anche notevolmente tra di loro e quindi molto disomogenee tra Stato e Stato. Il ruolo “comunitario” delle entità
substatali (e quindi dei livelli substatali di governo) finisce quindi per per lo più esaurirsi nell’ambito statale, con
partecipazione ad esempio delle Regioni, nelle materie di loro competenza, alle decisioni dirette alla formazione degli
atti normativi comunitari, nonché con il provvedere, da parte delle stesse Regioni, all’attuazione ed esecuzione degli atti
dell’Unione europea. Anche nel progetto di Trattato costituzionale europeo non appare soddisfacente, anche dal punto
di vista di una chiara definizione, l’impostazione del rapporto con i livelli di governo infrastatale. Non si può non
rilevare infatti, anche a prescindere dallo scarso rilievo attribuito nel progetto di Trattato al Comitato delle Regioni,
l’indeterminatezza delle norme relative al tipo di composizione, al quale riguardo si parla genericamente solo di
rappresentanti di collettività regionali e locali, e allo stesso numero di membri del Comitato, per il quale è previsto
soltanto il tetto massimo, con rinvio per il resto ad una decisione europea adottata all’unanimità dal Consiglio dei
ministri dell’Unione.
7
con le varie formazioni sociali (sindacati, imprese, associazioni professionali ecc.), in una parola
con la “società civile organizzata”22.
Si potrebbe quindi instaurare, ben oltre i passi fino a qui compiuti23, una specie di raccordo
privilegiato informale tra l’esecutivo comunitario e la base sociale, scavalcando istituzioni di
democrazia rappresentativa come il Parlamento europeo e gli stessi Stati, privilegiando lo strumento
amministrativo rispetto a quello legislativo.
E’ difficile dire se, fatte le debite proporzioni, sia possibile operare un raffronto con quel
fenomeno partecipativo tipico delle democrazie contemporanee che vede il Governo nel ruolo di
interlocutore primario delle autonomie territoriali e delle formazioni sociali della società civile.
Non poche appaiono comunque le differenze anche sostanziali e forse determinanti dell’esito di
una multilevel governance europea così concepita. I raccordi tra istituzione comunitaria e società
civile resterebbero anzitutto di carattere amministrativo, mentre, negli Stati, quelli tra governo e
parti sociali o autonomie territoriali riguardano anche e in primo luogo la legislazione24. Ma
soprattutto, in termini di “fattibilità”, nell’ambito comunitario il ruolo della Commissione è pur
sempre condizionato dal forte peso degli Stati-nazione. E il progetto di governance, se portato
avanti così come prefigurato dalla Commissione, proprio perché inteso alla “costruzione di una rete
di relazioni con i governi locali e regionali, società civile, industrie sia nella fase preparatoria che
nella fase dell’esecuzione, una rete al centro della quale sta la Commissione”25, finirebbe
inevitabilmente per togliere spazio al ruolo degli Stati-nazione.
Questo non significa peraltro voler disconoscere l’impellente necessità di ridurre, per lo meno,
quel deficit democratico che ha sempre rappresentato un “punto debole”, un “difetto d’origine” di
cui la costruzione comunitaria, nonostante i passi compiuti sulla via del rafforzamento del ruolo del
Parlamento europeo, non è riuscita a liberarsi26.
Ma, ci si può domandare: anche se si è convinti (come chi scrive) della bontà dell’idea delle
concertazioni, dei raccordi e delle intese con la “società civile” nella sua più ampia accezione27,
quali mezzi per realizzare quanto più compiutamente possibile il principio di una partecipazione
democratica forse più ardua, perché nella specie coinvolgerebbe una molteplicità di Stati, ma non
certo da respingere, è possibile tutto questo in una situazione di deficit democratico che è prima di
tutto di democrazia rappresentativa? Non sarebbe, prima di tutto, necessario percorrere la via di un
rafforzamento del Parlamento europeo, una via resa ancor più necessaria dalla “settorializzazione”
delle politiche di governance portate avanti con procedimentalizzazioni di tipo amministrativo, ma
che proprio per questo dovrebbero trovare adeguato bilanciamento nel ruolo di un “luogo
rappresentativo di raccordo e mediazione” quale potrebbe essere soltanto un Parlamento europeo
adeguatamente rafforzato? Una via, quella del rafforzamento del Parlamento europeo, che nello
stesso progetto di Trattato costituzionale europeo è stata imboccata ma non percorsa fino in fondo.
22
Cfr. Niccolai, Tra Costituzione e amministrazione cit. p. 579 s., che sottolinea come un elemento centrale di questa
procedura di governo si trovi “nel proporre un ampio ricorso a forme di co-regolazione, la creazione di agenzie europee
di regolazione, una applicazione estesa del Metodo Aperto di Coordinazione e la stipulazione di contratti-obiettivo
tripartiti tra autorità regionali e statali”.
23
Tanto che si è distinta una fase dell’integrazione, prima di Maastricht, dominata “da direttive e regolamenti come
forme di un dialogo tra Comunità e Stati strutturato intorno a un ruolo di supporto della Corte di giustizia quale tramite
con le giurisdizioni e gli ordinamenti nazionali” e una fase, dopo Maastricht, “di più aperta interlocuzione Comunitàsocietà intorno a un ruolo di supporto della Commissione e destinato a vedere crescere lo spazio del diritto negoziale
prodotto attraverso le forme del procedimento amministrativo” (Cfr. Niccolai, Tra Costituzione e amministrazione cit.
p. 589).
24
Al riguardo sia consentito rinviare a E. De Marco, La “negoziazione legislativa”, Padova, 1984.
25
Cfr. Niccolai, Tra Costituzione e amministrazione cit. p. 583.
26
Al riguardo cfr. diffusamente Ress, Parlamentarismo e democrazia in Europa, cit.
27
E comprensiva quindi del ruolo dei partiti nazionali, nei loro raccordi con analoghe o affini formazioni partitiche
presenti nel Parlamento europeo. Più in generale, sulle necessità di comunicazione tra le istituzioni europee e i cittadini
cfr. P. Bilancia, The European Constitutional Process: a new step, in Il processo costituente europeo, Milano, 2002, p.
7 s.