Tempesta Renzi a Strasburgo scontro duro con i tedeschi
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Tempesta Renzi a Strasburgo scontro duro con i tedeschi
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46) ART.1, COMMA 1, DCB ROMA GIOVEDÌ 3 LUGLIO 2014 ANNO XII • N°130 € 1,00 RIFORMA R SENATO CINQUE STELLE C C CASO SARKOZY D Berlusconi il «quasi sì». Da S Stamattina il summit ccol premier A PAGINA 2 T Toni morbidi dagli euro-M5S, lla priorità è il dialogo sulla llegge elettorale A PAGINA 2 1 ore di fermo, poi l’ex 15 p presidente accusa: è tutta una sstrumentalizzazione A PAGINA 2 PARTE IL SEMESTRE UE ■ ■ IL DISCORSO GIORNATA MOVIMENTATA AL PARLAMENTO EUROPEO Ritrovare l’anima dell’Europa Semestre di lotta e di governo MATTEO RENZI STEFANO MENICHINI M embri del parlamento europeo, avete una grande responsabilità, riportare fiducia e speranza nelle istituzioni europee. Sono felice e onorato di rappresentare il mio paese. Che cos’è oggi il dibattito sulla politica europea dopo la crisi che tutti abbiamo vissuto, e anche la crisi politica che stiamo vivendo? Lasciatemelo dire con una battuta. Se oggi l’Europa facesse un selfie che immagine verrebbe fuori? Emergerebbe il volto della stanchezza e della rassegnazione. U SEGUE A PAGINA 3 ■ ■ IL DISCORSO/2 Stavolta forse era meglio se lo scriveva SOFIA VENTURA C osa non mi è piaciuto del discorso di Renzi a Strasburgo? Innanzitutto che ho dovuto attendere l’ultima parte del suo intervento per ascoltare qualcosa che mi toccasse davvero. Renzi ha scelto di lasciare a un documento scritto, non letto, le sue intenzioni più specifiche in merito al semestre di presidenza italiana. E ha deciso di parlare, come è sua abitudine, a braccio, anche se la scaletta e vari riferimenti, metafore, erano stati chiaramente preparati. SEGUE A PAGINA 3 ■ ■ ISRAELE L’America che vorremmo e che non c’è più GUIDO MOLTEDO S e Bush era il presidente della fede illimitata nel potere americano, Obama riflette la consapevolezza dei suoi limiti, e agisce di conseguenza. La tragedia dei tre ragazzi rapiti e uccisi in Cisgiordania riporta in primo piano la differenza tra le due presidenze, l’ultima, repubblicana, dell’America che si considerava “imperiale”, e la prima, democratica, di un’America, ancora potente, ma non più e mai più un omnipower o un’iperpotenza, come diceva il francese Vedrine. SEGUE A PAGINA 4 EDITORIALE Tempesta Renzi a Strasburgo scontro duro con i tedeschi Il metodo del premier applicato alla politica dell’Unione. Un discorso sull’orgoglio, poi si accende la polemica coi popolari della Merkel. In difesa dell’Italia e della flessibilità RAFFAELLA CASCIOLI A distanza di undici anni nell’Europarlamento è ancora ItaliaGermania. Dal Berlusconi che diede del kapò all’eurodeputato Martin Schulz, decretandone la fortuna politica, al Renzi di oggi che ha preso di petto il capogruppo Ppe Manfred Weber, dopo essere stato attaccato, e pesantemente. E se l’arte dello scontro, oltre che del compromesso, è il sale della democrazia europea, il botta e risposta di ieri – in occasione della presentazione del semestre italiano di presenza Ue davanti all’assemblea di Strasburgo – rischia di lasciare il segno. Soprattutto perché la tensione tra i due paesi è lo scontro tra due modi di concepire l’Europa, più che una divisione tra due grandi famiglie europee (il Ppe e il Pse), che compongono l’ossatura della maggioranza di questa legislatura e tra due settimane, insieme all’Alde, dovranno votare chi guiderà la nuova Europa. Anche se il capogruppo del Pse (dove la delegazione più folta è quella del Pd), Gianni Pittella, ha paventato che ci potrebbe essere qualche sorpresa nell’elezione di Jean-Claude Juncker alla presidenza dell’Ue: «Non firmeremo assegni in bianco». In un parlamento europeo in cui gli eurofobici – seppure divisi e polverizzati – promettono una legislatura quantomeno agitata, il discorso a braccio di Renzi è stato oggetto di critiche, anche se gli attacchi concentrici arrivano da più lontano. Da Amsterdam, dove il premier olandese Rutte spiega che all’ultimo vertice Ue Olanda e Germania hanno stoppato il tentativo franco-italiano di ammorbidire le regole, e da Berlino dove il ministro dell’economia Schaeuble ha bocciato la richiesta di nuovi fondi contro la disoccupazione. Tuttavia la linea del Rubicone l’ha superata nell’europarlamento il capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber, che a freddo e con durezza inusitata ha lanciato un’accusa pesante all’Italia di Renzi ammonendo che «i debiti non creano futuro, lo distruggono»; che la flessibilità per fare le riforme chiesta da Roma, che ha un debito al 130 per cento del Pil, va valutata; che le regole ci sono e vanno rispettate. La replica di Renzi, che dopo un tira e molla ha annullato la tradizionale conferenza stampa, non si è fatta attendere e non è stata indolore per il deputato della Cdu della Merkel, la quale appena quattro giorni fa era tutta sorrisi per il premier italiano. «Non accetteremo – ha tuonato Renzi – che verso l’Italia si brandisca l’arma del pregiudizio, perché è vero che abbiamo un debito molto alto, ma è anche vero che abbiamo una ricchezza privata quattro volte superiore». Nell’ammonire di non accettare lezioni di morale da nessuno, Renzi ha ricordato a Weber che «proprio nella scorsa presidenza italiana» alla Germania «non solo fu concessa flessibilità, ma anche di violare i limiti per essere oggi un paese che cresce». In serata a Porta a porta Renzi rincara la dose: «No alle maestrine con la matita rossa e blu». A distanza di pochi giorni dal Consiglio Ue, quella che era apparsa una questione semantica sulla flessibilità si risolve in uno scontro: Italia e Francia chiedono più fondi per la crescita e non di cambiare le regole del gioco, ma il Nord Europa fa più di qualche resistenza. «Si è visto il primo atto di un braccio di ferro», dice Sandro Gozi. Questo peserà sulla composizione della Commissione che ) P OL I T IC A E C I TA Z ION I _ Ma Telemaco non finì male? cco, nell’ideologia della rottamazione, io vedo due cose, se vuoi diverse tra loro: una luce e un’ombra. L’ombra ai miei occhi è evidente, ed è il rischio di riprodurre una conflittualità di tipo edipico, sebbene rovesciata di segno. La vecchia generazione non molla il posto, non vuole tramontare, non vuole uscire di scena, non vuole passare il testimone e uccide i figli, secondo un’inversione paradossale ■ ■ ROBIN Mondiali Niente, neanche stavolta si può tifare Germania. ■ ■ MARIO LAVIA ■ ■ «E non potrà essere solo a trazione tedesca e spetterà a Juncker operare una sintesi equilibrata. E lo scontro Italia-Germania fa passare in secondo piano un discorso di Renzi che, lasciando i lidi sicuri di un testo scritto, ha parlato a braccio. Un azzardo che gli riesce a metà. Perché al di là delle suggestioni evocate – dal coraggio all’orgoglio – il rischio di cadere nell’euroretorica è stato a portata di mano. Dal selfie di un’Europa che avrebbe il volto della stanchezza e della noia a un continente che deve affrontare la sfida di ritrovare l’anima per non essere un puntino su Google Maps. Dalla costruzione di una Smart Europe, che strizza l’occhio alle richieste britanniche, alla generazione Telemaco, che deve meritare l’eredità dei padri. Temi che finiscono in secondo piano per il braccio di ferro Roma-Berlino. @raffacascioli del legame edipico: per cui non sono i figli che esprimono un voto di morte per il padre, ma sono i padri che occupano tutti i posti di potere e non sanno tramontare, sono i padri che uccidono i figli». Citatissimo ieri sui social, Massimo Recalcati ha probabilmente “suggerito” a Matteo Renzi l’utilizzo della figura di Telemaco come “testimonial” della «nuova generazione». SEGUE A PAGINA 2 no dei motivi per i quali i cittadini non capiscono e non apprezzano l’Europa è il clima rarefatto e la prassi consociativa della politica di Bruxelles e Strasburgo. Senza pretendere che i risultati siano gli stessi conseguiti in Italia, può darsi che su questo l’avvento di Renzi cambi un po’ il verso anche nei palazzi dell’Unione. Di sicuro, gli europarlamentari hanno vissuto poche giornate così movimentate. Non regge neanche il confronto con l’analogo insediamento del presidente di turno Berlusconi nel 2003 (la volta dello scontro con Schulz). Perché allora c’era un esuberante isolato che riuscì a inimicarsi gente di tutti i partiti e tutti i paesi. Mentre ieri, alternando al solito improvvisazione e premeditazione, Renzi ha compiuto gesti destinati a definire lo scenario e i rapporti di forza della stagione europea, rafforzando alcune antipatie ma anche molte recenti simpatie e alleanze. La prima parte della giornata ha visto la trasposizione su scala continentale dello schema usato sulla scena domestica. Cancellare le categorie del vittimismo e dello sconfittismo (ieri della sinistra italiana, oggi della nazione italiana), caricarsi dell’onere delle riforme, richiamare per primi se stessi al rispetto delle regole, rivendicare non il diritto ma il dovere di una generazione a farsi avanti e a farsi valere. Il tutto saccheggiando epica, filosofia, pop: un discorso “di visione”, diciamo, apprezzato come tale da gran parte dell’assemblea. Poi si è acceso lo scontro. Non la scaramuccia, prevista ma infine irrilevante, con gli euroscettici leghisti e grillini, bensì il contrasto bello duro con un vero potere forte, oltretutto teoricamente alleato nelle larghe intese europee, cioè i popolari tedeschi, e dietro di loro l’intero blocco nordeuropeo. Il fatto che Renzi abbia accettato e amplificato il duello con Weber è un segnale per tutti, dalla Francia in giù. Davvero l’Italia si mette a capo di un partito trasversale che intende battersi per cambiare le politiche dell’austerità fine a se stessa. Non sarà guerra con Merkel (Renzi può essere bullo ma non scemo), né rischia il compromesso raggiunto su Juncker. Però il compromesso devono rispettarlo tutti. E tutti ora sanno che il semestre non avrà nulla di burocratico ma sarà una stagione di lotta. A condizione che a Roma, per Renzi, funzioni la fase di governo, cioè che si facciano le riforme che propone e che, uniche, gli danno credibilità. E questa non è una responsabilità solo sua. @smenichini Chiuso in redazione alle 20,30 giovedì 3 luglio 2014 2 < N E W S A N A L Y S I S > RIFORME Da Berlusconi il «quasi sì» sul nuovo senato. Oggi il summit col premier FRANCESCO LO SARDO D ovrebbe essere il giorno buono, oggi: il giorno della pronuncia del fatidico «sì» alla riforma del senato, con opportuni correttivi, targata Renzi-Boschi. Possibile che il suggello dell’intesa verrà posto nell’incontro di stamane fra Renzi e l’ex Cavaliere. Doveva essere il giorno della «parola definitiva» di Forza Italia, che ieri mattina però, con passetto del gambero, è diventato il giorno della parola «quasi definitiva» si cautelava Paolo Romani, capogruppo forzista a palazzo Madama, prima di infilarsi in una riunione fiume a palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi e Denis Verdini, plenipotenziario dell’ex Cavaliere per le riforme e am- basciatore presso il Pd. Cortina fumogena tattica alla vigilia dell’assemblea dei deputati, senatori ed europarlamentari di Forza Italia che si riuniranno dopopranzo nella sala della Regina a Montecitorio per fare il punto sulle riforme istituzionali e l’Italicum insieme a Berlusconi? I segnali che arrivano continuano ad essere positivi. I voti di Forza Italia, se permarranno le defezioni dei dissidenti del Pd di Chiti, Casson e Mineo – martedì è convocata l’assemblea del gruppo – sono determinanti per il varo della riforma. Le trattative tra le diplomazie Pd-FI sui punti di merito del dissenso non si sono mai interrotte: il criterio di proporzionalità della rappresentanza rispetto alla popolazione regionale e ai gruppi, il numero dei sindaci membri del nuovo senato, infine il nodo della non elettività dei componenti dell’assemblea da parte dei cittadini. Nell’ultima assemblea del gruppo tra i forzisti si erano levate più di una voce, invece, a favore dell’elezione diretta: Augusto Minzolini, tra queste, fa presente che i senatori dissidenti sarebbero una quarantina. Quasi tutti rientreranno nei ranghi quando Berlusconi tirerà le somme, questione di ore. Oggi torna a riunirsi la commissione affari costituzionali del senato dove prosegue l’esame degli emendamenti, lasciando da parte i punti controversi, poi pausa fino a martedì: vigilia del previsto approdo in aula della riforma. In serata il ministro Boschi ha fatto il punto con Ncd: Alfano da un lato promette senso di responsabilità, dall’altro Alfano ricorda che a eventuali elezioni anticipate si andrebbe col proporzionale puro disegnato dalla sentenza della Consulta: ultime fasi del tiro alla fune prima del fine partita sul senato. Modifiche in aula sulle immunità sono possibili in aula, dice- vano ieri la Boschi e il vicesegretario Pd Serracchiani alla vigilia di un probabile incontro con M5S. Dettagli, mentre Berlusconi pensa già al dopo: ad approvare presto in senato anche l’Italicum messo a punto con Renzi. Nonostante l’incubo del processo Ruby, nonostante il secco richiamo del tribunale di sorveglianza – o a maggior ragione anche per le sue pesanti tegole giudiziarie – il Berlusconi versione “padre della patria” non ha alternative alla linea della responsabilità e dell’intesa col premiersegretario Pd: elogiato ieri da un clamoroso endorsement del figlio Pier Silvio: «Renzi la fiducia se la merita, ha fatto un gran lavoro. Penso che mio padre abbia tutto l’interesse a cambiare in meglio il paese». @francelosardo STRASBURGO Toni morbidi dagli euro-Cinquestelle, la priorità è il dialogo sulla legge elettorale FRANCESCO MAESANO D a Nigel Farage ha strappato un sei e mezzo. Voto velenoso, certo, tutto girato sullo stile, sulla performance comunicativa al debutto come presidente di turno dell’Unione. Per il resto il giudizio del leader nazionalista inglese su Matteo Renzi è tutto in quel «poco preparato sull’economia», algido e tutto sommato misurato. E se l’alleato britannico, che martedì aveva girato le spalle all’inno e alla bandiera europea, ieri ha mantenuto un basso profilo, anche dalla pattuglia di europarlamentari eletti dal M5S non si sono registrati particolari picchi di conflittualità. A Roma c’è un tavolo che assomiglia molto Un po’ ha prevalso la decisione di non voa quelli che si usano per i pic-nic, pieghevole e lersi segnalare dal primo giorno di scuola come pronto ad essere chiuso e riposto in il gruppo dei discoli dell’aula, etichetta cantina al primo scroscio di pioggia. facile da guadagnarsi all’europarlamenMeglio dunque non sfidare troppo to e pressoché impossibile da scrollarsi Meglio non il maltempo col rischio di comprodi dosso. Un po’ ha pesato la necessità di distinguersi da subito dai colleghi di compromettere mettere il tentativo di mediazione portato avanti da Luigi Di Maio. gruppo dello Ukip, evitando di imbar- il tavolo E così i Cinquestelle sono rimacarsi in una gara a chi la fa più grossa mentre il giudizio dell’elettorato sulla aperto a Roma sti nei binari, evitando gesti plateali e affidandosi all’intervento del loose association con gli inglesi è ancora da Di Maio capodelegazione M5S Ignazio Corsospeso. Ma è la terza ragione, quella più politica, ad aver consigliato i dicias- con il premier rao che ha parlato di «social compact, nel quale si prediligono reddisette Cinquestelle di stanza a Strasburto, lavoro e dignità per i cittadini, go un atteggiamento, che, nei toni, è da sostituire al fiscal compact». stato sorprendentemente morbido. Poco Renzi, molta Europa matrigna. E per ottemperare alle necessità dialettica di individuare con chiarezza un avversario collocato in un altrove inafferrabile, meglio se colluso con degli imprecisati poteri economici internazionali, i Cinquestelle hanno preso di mira il Ttip, o trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, stipulato tra Ue e Stati Uniti. Su quello Corrao ha annunciato che i suoi promuoveranno un «processo di trasparenza in tutte le commissioni, perché i cittadini devono poter dire la loro». Una versione europea del nuovo corso romano dei Cinquestelle: pochi obiettivi e, sperano sull’asse Genova-Milano, raggiungibili. @unodelosBuendia FRANCIA Sarkozy, 15 ore di fermo. Poi attacca i giudici: è tutta una strumentalizzazione VALENTINA LONGO «C ’è una parte della giustizia che è strumentalizza politicamente»». Eccolo il dito puntato di Sarkozy, che dopo una notte di quindici ore in stato di fermo si dichiara «scioccato». Eccolo il cuore dell’accusa che l’ex presidente francese rivolge alla magistratura, dopo che lunedì i giudici lo hanno trattenuto per poi rilasciarlo dopo quindici ore, libero ma con le accuse di corruzione, traffico di influenze e violazione del segreto istruttorio. In ballo ci sono diversi casi (dall’affaire Bettencourt al dossier Tapie) che rischiano di compromettere tutto il suo futuro. Infastidito su alcune domande, Sarkozy non chiede privilegi quando interviene dopo lunghe ore in televisione, fermo, deciso, dopo essere stato senza commentare per ore l’ex presidente, finché alle 17.30 non ha fatto ingresso negli studi tv (intervistato da Tf1 e Europe 1) per registrare l’intervista andata in onda alle 20. «La situazione è sufficientemente grave nel nostro paese», «il paese dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto», e i cittadini devono sapere che«ci sono cose che vengono organizzate», «tutto questo punta a offrire una mia immagine non confor- me alla verità». Sarkozy, apparso visibilmente stanco già dalla mattina, accusa chi lavora per « dare un’immagine di me che non risponde alla realtà». E si difende: «Non ho mai commesso un atto contrario ai principi repubblicani o allo stato di diritto», dice alle telecamere, dopo una notte da guardato a vista, un’esperienza che «mi ha convinto a parlare. Sono profondamente scioccato», assicura l’ex capo dell’Eliseo, pronto, se avesse «commesso degli errori» a risponderne. Cita casi specifici, dettagli della campagna, denuncia una «scandalosa» campagna e precisa che non intende fare la vittima. Eppure oggi accusa la ventina di giudici che si occupano di lui e «che non troveranno niente», perché è «sicuro della sua innocenza». E si prenderà un tempo per riflettere. Resta da vedere cosa ne sarà di questo «ultimo colpo di una lunga serie», come lo definisce Le monde, il «nuovo ostacolo sulla via del ritorno», un evento dalla «forte portata simbolica». Magari calibrando subito l’effetto della presenza tv dell’ex presidente-futuro candidato, costretto a giustificarsi davanti ai francesi. Intanto gli effetti tangibili sono già almeno due nell’agenda di Sarkozy ormai “disturbata”: la presidenza dell’Ump e il suo ipotetico ritorno all’Eliseo oggi sembrano lontanissimi. E potrebbe anche essere quanto c’è di meglio, visti i rischi che corre. Per ora si chiude qui, con un «non farò agli altri quello che hanno fatto a me». @valelongo • • • P OL I T IC A E C I TA Z ION I • • • Ma Telemaco non finì male? SEGUE DALLA PRIMA MARIO LAVIA G ià, il mito della “nuova generazione” (magari Renzi non lo sa ma fu uno degli slogan di qualche dozzina di organizzazioni giovanili degli anni Settanta) occupa un ottimo posto, nel firmamento linguistico-ideologico del presidente del consiglio: e forse è quello che sinora ha avuto maggiore impatto – e successo anche: è di questo épos giovanilistico che si nutre la mistica della rottamazione. D’altra parte, è un fatto che la generazione R (Renzi) ha preso/sta prendendo il bastone del comando in Italia e in Europa ed è dunque legittimo che si intesti una vocazione parricida che forse sarebbe piaciuta a Dostojevskij e Camus. Ora, le parole che abbiamo riportato all’inizio, tratte da Patria senza padri (Minimum Fax), un colloquio con Christian Raimo, di cui il sito di Europa pubblicò tempo addietro uno stralcio, spiegano bene il senso di quello che il premier italiano ha voluto comunicare nel suo discorso di Strasburgo: attenti, o padri che non volete tramontare, qui ora ci siamo noi, chiamati a restituire un senso e una missione al Vecchio continente, giacché questo è ammalato di noia, e se faceste un selfie con l’Europa vedreste il suo volto annoiato: gioco abile di mescolanza di alto e basso. Già, la noia, altra parola magica che nel discorso renziano non rimanda alla decadenza di inizio Novecento e neppure alla moraviana noia del boom-anni Sessanta, ma a qualcosa di antico e di nuovo insieme: anche se è sorprendente il ritorno in auge di una parola in un’epoca che diremmo più nevrotica che annoiata. A meno di non figurarsi un Renzi quasi esistenzialista, in questo senso, anche se sap- piamo bene che ciò confligge con la sua naturale inclinazione all’ottimismo e persino al vitalismo. Ma ritornando a Telemaco, mito della giovinezza, c’è da osservare che la citazione rimanda a studi lontani e confusi dai quali tuttavia emerge il ricordo di un personaggio-non personaggio, una figura che non germoglia, non cresce, e anzi finisce male (almeno in tante varianti dell’originario mito omerico), lasciando nella memoria imperitura dell’umanità piuttosto il padre Ulisse come il vero grande eroe dell’avventura umana: il Padre, non il Figlio. Ecco perché parlare di “generazione Telemaco”, come ha fatto il giovane presidente del consiglio ieri a Strasburgo, può suonare evocativo di cose forti e belle ma, a pensarci bene, anche di cose esattamente contrarie: il che può benissimo succedere, nella retorica. Speriamo non nella politica. @mariolavia primo piano 3 giovedì 3 luglio 2014 «Ritrovare l’anima dell’Europa» Il discorso L’ambizione di guidare l’Ue verso il cambiamento, il rapporto con le aree calde del mondo, il ruolo dei giovani: ecco cosa ha detto il premier ieri a Strasburgo SEGUE DALLA PRIMA MATTEO RENZI L ’Europa oggi mostrerebbe il volto della noia. Eppure, il mondo fuori di qui corre veloce. Non vogliamo cambiare le regole, ma vogliamo anche la crescita, così come previsto dal patto fondativo firmato dai nostri padri. Non ci interessa giudicare il passato ma iniziare il futuro. Le regole e l’obiettivo della crescita Non vogliamo sottovalutare la questione finanziaria. Esiste un grande tema finanziario, ma l’Italia sostiene che la grande sfida del semestre non sia solo elencare una serie di appuntamenti, che pure ci saranno e spero con la partecipazione delle parlamentari e dei parlamentari, ma la grande sfida è ritrovare l’anima dell’Europa, il senso profondo del nostro stare insieme. Se dobbiamo unire burocrazie, a noi in Italia basta e avanza la nostra. C’è un’identità da ritrovare. L’Italia non viene qui per chiedere all’Europa i cambiamenti che lei non è in grado di fare. L’Italia viene qui per dire che lei per prima ha voglia di cambiare. E lo fa con il coraggio di chi va nelle istituzioni europee non per chiedere ma per dare. Come sarà il semestre italiano Rappresento un paese fondatore che dà ogni anno un contributo importante alle istituzioni europee: diamo di più di quello che prendiamo, e ne siamo felici e orgogliosi. Ma rappresento anche il partito che ha preso più voti di tutti: e li abbiamo presi non dicendo che è colpa dell’Europa, ma che i nostri problemi nascono in Italia, che noi dobbiamo cambiare le istituzioni, la giustizia, la pubblica amministrazione. Sappiamo che prima di tutto dobbiamo chiedere a noi la forza di cambiare se vogliamo essere credibili. Il nostro semestre può essere un semestre in cui non abbiamo paura di dire che la politica ha una sua dignità. Qui ritroviamo il senso del nostro essere qui. Qui c’è un’Italia che con coraggio e con orgoglio si offre per fare la propria parte. La questione economica e la discussione dell’ultimo Consiglio non si riduce alla richiesta di alcuni paesi di cambiare le regole. Noi vogliamo rispettarle, ma le rispetta chi ricorda che abbiamo firmato insieme il patto di stabilità e crescita. Non solo di stabilità. E la richiesta non è di un singolo paese, ma per tutta l’Europa. Non chiediamo un giudizio sul passato, ma vogliamo cominciare il futuro, subito. Il mondo corre al doppio: vogliamo recuperare questo gap o no? Su Ict, su climate change, sul capitale umano. Non ci sarà un’Europa degna di questo nome finché non ci sarà il servizio civile europeo. Non ci sarà nessuno spazio per l’Europa se accetteremo di restare soltanto un puntino su Google maps, se resteremo solo un’espressione geografica. L’Europa deve tornare ad essere una frontiera. Se guardiamo alle carte geografiche vediamo un paese che ha il maggior numero di coste rispetto all’estensione territoriale: siamo una frontiera geograficamente. Nel nostro semestre dovremo essere capaci di affrontare con forza la questione della semplicità delle nostre istituzioni. Se in questa Smart Europe che vogliamo costruire tutti insieme saremo al fianco di chi ha idee politiche diverse, questo dovrà essere un fatto che ci inorgoglisce. Un’Europa senza il Regno Unito non sarebbe meno ricca ma sarebbe meno Europa, meno se stessa. Noi e gli altri L’Italia vuole vivere questo semestre immergendosi in uno spirito europeo con determinazione, in una cornice in cui dobbiamo dire con forza che non si può non ascoltare la voce che chiede libertà all’Europa e che viene dall’Ucraina e contemporaneamente vogliamo dire con decisione che non si costruisce l’Europa contro il nostro maggior vicino. L’Europa può e deve fare di più per affermare il diritto alla patria del popolo palestinese e per dire che Israele non solo ha il diritto ma ha il dovere di esistere per ricordare a tutti noi il valore della memoria. Le difficoltà che ci sono in Libia stanno portando a una serie di stragi nel mare nostrum. Stiamo cercando di far fronte ai flussi migratori con operazioni italiane ma riusciremo a far meglio attraverso Frontex plus. Dobbiamo provare a rovesciare l’approccio: l’Africa deve vedere un’Europa protagonista non solo con gli investimenti economici o con la questione energetica, ma anche nella dimensione umana. Generazione Telemaco La generazione nuova che abita oggi l’Europa ha il dovere di riscoprirsi Telemaco, di meritare l’eredità dei padri dell’Europa. Io non ero nemmeno maggiorenne quando c’è stata Maastricht. Noi non vediamo il frutto dei nostri padri come un dono dato per sempre, ma una conquista da rinnovare ogni giorno. Vi invito non solo a ragionare sulle questioni economiche, sui cui ci faremo sentire, ma a riscoprirsi eredi e il diritto di chiamarci eredi e dire che assicureremo un domani a questa tradizione. Non sono l’Italia e la Francia a chiedere diverse regole del gioco, a noi vanno bene. Diciamo che, continuando a stare fermi negli slogan, non difenderemo neanche i singoli paesi. Si può voltare le spalle all’inno ma non ai problemi reali. IL DISCORSO/2 Stavolta forse era meglio se lo scriveva SEGUE DALLA PRIMA SOFIA VENTURA M a per gran parte del suo discorso è stato molto generico, ripetendo cose a noi italiani già arcinote e soprattutto esprimendosi con un linguaggio molto piatto e forse poco adeguato alla solennità del momento (si può parlare di un volto stanco dell’Europa senza riferirsi al selfie). L’Italia che è lì per dare, non chiedere; l’Europa che deve ritrovare la sua anima; il Patto che non è solo stabilità, ma anche crescita; la semplificazione delle istituzioni: titoli troppo fumosi anche solo per indicare obiettivi, ma obiettivi reali. Unico passaggio politicamente degno di nota, la mano tesa a Cameron e il significato della presenza britannica per una Europa che non sia monca. Ma non si è sentito alcuno spunto degno di attenzione per una Europa economica e politica da ripensare. Poi è arrivata l’ultima parte del suo discorso e allora un raggio di luce è filtrato attraverso le nubi grigie di un intervento piuttosto noioso. Renzi, accennandoli, gettandoli lì un po’ frettolosamente, ha richiamato principi importantissimi, sui quali non è certo scontato che via sia consenso tra tutte le forze politiche europee, ma che se dovessero del tutto evaporare, evaporerebbe con essi l’idea di Europa. Il presidente del consiglio italiano ha osato – e non uso il termine casualmente – parlare di civilizzazione e faro di civiltà. Chapeau! Se non fosse il leader del maggior partito di sinistra per parole come queste gli sarebbero già arrivate sulla testa accuse di razzismo, neo-colonialismo e simili. Ma ha ragione, mille volte ragione. Che Europa può essere la nostra se non rivendica la forza e il valore della propria civiltà? E che Europa può essere se forte di quella consapevolezza non riesce ad avere una voce, e una voce che pesa, sui tanti scenari che coinvolgono i nostri interessi, ma dai quali anche si alzano le voci che invocano quelle libertà e quei diritti per noi considerati essenziali? E, a modo suo, Renzi lo ha detto, con coraggio, e non era scontato. E nemmeno scontato (non tanto per le sue personali convinzioni, quanto per la platea) era che ricordasse, accanto al diritto dei palestinesi di avere una propria patria, il diritto e il dovere di esistere di Israele. Il dovere! Il dovere, perché è la nostra memoria. E qui Renzi ha sfiorato un tema che troppe volte noi europei tendiamo a rimuovere: Israele esiste perché noi abbiamo reso l’Europa un luogo ostile per gli appartenenti al popolo ebraico, e così poco ce lo ricordiamo che continuiamo ad essere disattenti ai mai sopiti, e talvolta nuovi e rinnovati, istinti antisemiti che ancor oggi portano ebrei europei a prendere la strada per Israele. Con questo finale di discorso Renzi ha dunque riscattato il suo lungo cincischiare iniziale. Ma, ci sono dei ma. Almeno due. Innanzitutto, rivendicando l’importanza di una politica estera europea non è andato al di là del richiamo della sua necessità, senza indicare una strada, i passaggi essenziali, anche se proiettati nel lungo periodo, ma sui quali l’Europa dovrebbe più seriamente lavorare. In secondo luogo, e qui torniamo alla riflessione sulla comunicazione, che però è strettamente legata al punto precedente, il linguaggio, la costruzione e quindi la forza del discorso non sono stati all’altezza della rilevanza dei temi evocati. Renzi si ostina a non leggere gli interventi. Pensa forse che così la sua comunicazione appaia più diretta. Ma in molti casi è semplicemente più sciatta. I grandi discorsi, quelli che emozionano e creano condivisione, sono accuratamente preparati da fior di addetti ai lavori e poi letti o mandati a memoria e interpretati. E non è solo questione di parole e frasi ad effetto. Nella scrittura è possibile far fiorire idee e concetti, con il tempo della scrittura è possibile mostrarli in tutte le loro potenzialità e renderli più chiari ed evidenti e dunque “forti”. L’improvvisazione della parola difficilmente consente altrettanto. Anche in questa occasione, dunque, anche di fronte alla platea del Parlamento europeo, l’approssimazione dei contenuti e del linguaggio hanno caratterizzato l’esercizio della leadership di Matteo Renzi. Ma per essere all’altezza delle proprie ambizioni non è sufficiente essere ambiziosi. Bisogna studiare e lavorare, non da soli, in modo adeguato. Tanto più quando anche l’Europa ti guarda. giovedì 3 luglio 2014 commenti 4 ••• CRISI UCRAINA ••• Nuova vita per l’Osce EMMA FATTORINI C on diversi parlamentari siamo a Baku nell’Arzerbaijan per l’assemblea annuale dell’ Osce, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea, che non è la sigla di improbabili comitati, sconosciuti ai più. Non deve diventare l’ennesima associazione che promuove giuste quanto inconcludenti battaglie di principio. Non è stato così e non lo deve diventare. L’origine dell’Osce affonda in una grande tradizione perché discende dai trattati di Helsinki del 1975, di cui il primo agosto del 2015 si celebrano i 40 anni. Nella risoluzione finale sottoscritta da 35 paesi tra cui tutti gli stati dell’Europa, gli Stati Uniti, il Canada e l’Urss, venivano affermati i principi della coesistenza pacifica, del disarmo controllato e una più profonda cooperazione in campo umanitario, culturale e sociale. Diritti umani, inviolabilità delle frontiere, non ingerenza negli affari interni, sovranità degli stati. La madre di questi principi, la ra- tio che ne faceva la loro ragion d’essere, e che ne consacrò l’efficacia e l’importanza “storica” era la volontà di superare la guerra fredda. Cuore di Helsinki infatti era il disgelo dei blocchi, il dialogo dell’Ost-politik. E, allora, non potrebbe esserci ragione più attuale e stringente per l’intervento dell’Osce oggi che ha svolto un ruolo molto importante nella crisi Ucraina: l’Osce è stata l’unico ponte di dialogo riconosciuto da tutte le parti. Nelle discussioni di questi giorni qui a Baku, però si è caduti molte volte nelle categorie e nello schema della guerra fredda, con tanto di riferimenti a comunisti e fascisti una vera regressione. Durante il monitoraggio a Kiev, in occasione delle elezioni che hanno portato Poroshenko al governo, come delegazione italiana abbiamo accolto i genitori giunti per riportare a casa la salma del loro figlio, il reporter Andrea Rocchelli ucciso in un posto di blocco a Lugansk. Andrea era un professionista di alto livello, serio e non alla ricerca di vuota visibilità e di estremo vitalismo. Era un giovane italiano di neanche negli anni più bui della guerra fredda c’è talento e di grande passione. I genitori distrutti stato un avvicinamento tanto stretto tra Russia e dal dolore, dignitosissimi. Un incontro che in me Cina, pericoloso e sbagliato, da un punto di vista ha lasciato un segno profondo. Una famiglia di economico e geopolitico. grande spessore umano, impegnata e aperta Rilanciare il ruolo dell’Osce significa tornare all’altro, la sorella di Andrea sui casi estremi di alle sua ragioni primarie, quelle di un confronto violenza, la moglie madre di un bimbo piccolo, la sulle ragioni di entrambe le parti, ragiomadre una valente docente di storia conni che ci sono: la Crimea è una regione temporanea dell’Università di Pavia. russa da sempre, da secoli e non solo Chi era Andrea? Un filo-comunista? Garantire per la donazione di un Krusciov alticUn simpatizzante neo-nazista? No. Era l’effettiva cio, e però il referendum in Crimea è un giovane come i nostri figli, giovani stato illegale. Come si fa allora a onoraappassionati e curiosi che non solo non applicazione re i principi di sovranità dei popoli e dei ricordano ma neppure sanno cosa sia dei pricipi diritti umani fondativi della storica trastata la guerra fredda. dizione dei trattati di Helsinki? Lo si fa È vero, l’acutizzarsi dei nazionalismi dei trattati garantendo la loro effettiva applicabilità esasperati ci ricorda la Prima guerra di Helsinki e non attraverso la declamazione astratmondiale, lo scontro bipolare ci riporta ta e dimostrativa di principi giusti ma alla Seconda guerra. Così come è finita, che mai si confrontano con la realtà deldopo il 2004, la speranza di un unico la storia. L’ingenuo e sempre in agguato politically grande polo che vedesse uniti l’Europa e la Ruscorrect diventa drammatico e irresponsabile di sia. Eppure dobbiamo tornare alle loro radici cofronte alla delicatissima crisi internazionale che si muni, l’Europa deve respirare con i due polmoni è ormai aperta sulla crisi ucraina. quello orientale e quello occidentale. E, invece, ••• ISRAELE ••• matica è un imbelle, se solo minaccia il ricorso alle armi diventa peggio di Bush. GUIDO Ma si può davvero pensare che quella di Obama MOLTEDO (diplomazia e massimo contenimento del ricorso alle armi) non sia ormai la via obbligata per l’America, n gendarme globale che, dopo il crollo dell’Urss e chiunque sia e sarà alla Casa Bianca, anche dopo di del sistema bipolare, avrebbe presidiato ogni anlui? golo del pianeta e imposto la propria legge e visione del Si pensi a Hillary Clinton, allo stato attuale il prosmondo. simo presidente degli Stati Uniti. Da segretario di staLa vicenda Gil-Ad, Eyal e Naftali è stata anche vito si è guardata bene dal cimentarsi con il negoziato sta come l’ennesima riprova di questo passaggio epoisraelo-palestinese. Quando John Kerry, il suo succescale, con un evidente, anzi spesso dichiarato, atto d’acsore, ha preso in mano il dossier, con l’aiuto di un vetecusa all’attuale presidente. Il ritornello è ormai risapurano come Martin Indyk, con l’idea di portare avanti il to: l’aver ammesso i limiti del potere americano, l’aver processo di pace, è stato trattato alla stregua di un velposto l’accento sulla diplomazia, sulla necessità di leitario con qualche valvola fuori posto. Hillary non parlare con il nemico, piuttosto che sulla forza delle araveva voluto scottarsi, ben sapendo che poi avrebbe mi, sono stati interpretati come segni di debolezza. dovuto chiedere il sostegno e i voti dell’eletChe hanno incoraggiato i nemici dell’Ameritorato ebraico. Ciò nonostante, il fatto stesso ca e i terroristi a varcare ogni linea rossa. che nelle sue memorie, da poco in pubblicaA questa percezione, s’aggiunge in Israe- Gli Usa non zione, abbia fatto cenno alla vita dei palestile un evidente fastidio per qualsiasi accento nesi «sotto occupazione, ai quali è negata la considerato fuori posto e ostile nelle dichia- hanno più dignità e l’autodeterminazione che gli amerirazioni di Obama. Non gli è stato perdonato, leve reali per cani danno per scontate» è stata considerata per esempio, di avere chiesto agli israeliani e intervenire una dichiarazione di grave inimicizia verso ai palestinesi “restraint”, facendo pressione Israele, che le organizzazioni di destra ebrai«su tutte le parti affinché si astengano dal nelle crisi che hanno promesso gliela faranno pagare compiere passi che potrebbero ulteriormente mediorientali nelle presidenziali. Stessa sorte era capitata destabilizzare la situazione». Vergogna, coal repubblicano Chris Cristie per aver usato me si fa a metterli sullo stesso piano, israela parola “occupazione” in un discorso di liani e palestinesi, dopo quello che è succesfronte a un gruppo di sostenitori ebrei del Partito reso? Il rapimento e l’uccisione di un ragazzo palestinese, pubblicano. ieri, in ritorsione per l’omicidio dei tre ragazzi israeliaIl fatto è che è sempre più difficile, per un presini, confermano che erano, le sue, parole di saggezza. dente americano, e per un aspirante alla presidenza Ai nostalgici di un’America muscolare, che comundegli Usa, affrontare la vicenda mediorientale senza que non tornerà mai, l’episodio dei tre ragazzi appare che essa si trasformi in una questione di politica intercome la conseguenza di una concatenazione e un crena dai contorni spesso intrattabili. Obama ha provato scendo di errori commessi dall’amministrazione demoa usare un altro registro, rivolgendosi, come mai nessucratica in Medio Oriente. A partire dall’ormai famoso no aveva fatto prima, innanzitutto alle platee arabe e discorso di Obama al Cairo, del 2009, che è consideraislamiche, senza mai rinunciare alla relazione speciale to il punto d’avvio delle primavere arabe. Quel che sucdell’America con Israele. Non ci è riuscito, a tenere una cede nella regione – dicono i suoi critici – con il protaposizione equilibrata che potesse poi trasformarsi in gonismo delle formazioni dell’estremismo sunnita, non un ponte di conversazione tra i due mondi. Ma non sisolo nega le aspirazioni di libertà e democrazia dei pognifica che abbia sbagliato. O che ci sia un’altra strada. poli della regione, ma pone immensi rischi di destabiSemplicemente l’America, nel mondo d’oggi, non dilizzazione nell’area, che adesso insidiano anche Israele. spone più di leve reali per intervenire efficacemente Gli ultimi sondaggi sono micidiali per Obama. Per nelle crisi, tanto meno in quelle mediorientali, specie un cittadino americano su tre è il peggiore presidente dopo la sciagura irachena. Ha bisogno degli altri, degli Stati Uniti dalla fine della Seconda guerra mondell’Europa, delle potenze emergenti. Delle Nazioni diale, secondo i dati di un sondaggio della Quinnipiac Unite. Paradossalmente di questo sono consapevoli gli University. Peggio anche di Bush. E di Carter, diventato americani stessi, e lo dimostrano anche con il loro isol’emblema della presidenza debole e incapace. Sempre lazionismo, più degli europei e di tutti i popoli che più spesso accostato a Obama. All’estero il primo precontinuano a chiedere l’intervento risolutorio dell’Asidente nero era osannato, anche quando a casa gli damerica, anche quando la odiano. vano addosso. Ora non è più così. Se cerca la via diplo- LI UT BR UN ERPER O E L’America che vorremmo e non c’è più 7 luglio 2014 SC SEGUE DALLA PRIMA INFORMAZIONI E ANALISI www.europaquotidiano.it Direttore responsabile Stefano Menichini Condirettore Federico Orlando Vicedirettore Mario Lavia Segreteria di redazione [email protected] Redazione e Amministrazione via di Ripetta, 142 – 00186 Roma Tel 06 684331 – Fax 06 6843341/40 Presentazione del libro Stamina. Una storia italiana Editori Riuniti di Donata Lenzi e Paola Benedetta Manca Donata Lenzi e Paola Benedetta Manca discutono con: Amedeo Bianco Paolo Bianco Pierpaolo Vargiu modera Paolo Russo Ore 17.00 - Sala del Refettorio Roma, Palazzo San Macuto, Via del Seminario, 76 EDIZIONI DLM EUROPA Srl Distribuzione Prestampa Abbonamenti con socio unico Sede legale via di Ripetta, 142 00186 – Roma SEDI 2003 SRL Via D.A.Azuni,9 – Roma Direzione tel. 06-50917341 Telefono e fax : 06-30363998 333-4222055 COMPUTIME Srl – via Caserta, 1 – Roma Annuale Italia 180,00 euro Sostenitore 1000,00 euro Simpatizzante 500,00 euro Semestrale Italia 100,00 euro Trimestrale Italia 55,00 euro Estero (Europa) posta aerea 433,00 euro ● Versamento in c/c postale n. 39783097 ● Bonifico bancario: BANCA UNICREDIT SpA Coordinate Bancarie Internazionali (IBAN) IT18Q0200805240000000815505 intestato a Edizioni DLM Europa Srl Via di Ripetta, 142 -00186 Roma. 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