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Si chiamarono Cacciatori delle Alpi, ma il popolo....chiamolli garibaldini.
La spina nel fianco dell’armata austriaca.
Antonio Tantari
La creazione di un corpo di volontari da affidare a Giuseppe Garibaldi e impiegare nella
guerra del 1859 fu concessa, ma allo stesso tempo ostacolata, da Cavour. Il primo ministro, infatti,
desiderava sfruttare la popolarità dell’eroe dei due mondi per accendere l’entusiasmo della
popolazione e per dimostrare che la guerra era veramente una guerra di liberazione promossa dal
Piemonte perchè desiderata da tutti gli italiani; dall’altro, però, era stato costretto a promettere a
Napoleone III, nella convenzione militare firmata nel dicembre 1858, la costituzione di corpi
franchi: temeva quindi che la situazione gli sfuggisse di mano e che fossero favorite tendenze
democratiche e repubblicane.
Il Corpo dei Cacciatori delle Alpi venne creato a seguito del Regio Decreto del 17
marzo1859, con volontari che dall’inizio dell’anno avevano raggiunto il Piemonte provenienti dal
Lombardo-Veneto, dall’Emilia Romagna e dai Ducati1. Con un successivo decreto reale, il 24 aprile
fu previsto che facesse parte dell’Armata Sarda sotto l’autorità del Ministero della Guerra. Dato il
gran numero dei volontari, il corpo assunse l'organico di una brigata. Inizialmente venne inquadrata
su due reggimenti formati, rispettivamente, nei deposito di Cuneo e di Savigliano2, che ben presto,
dal 7 aprile, divennero tre (quest'ultimo formato anch’esso a Savigliano), grazie all’opera del
generale Cialdini, il quale si avvalse anche della collaborazione del capitano Barone. I reggimenti
erano formati ognuno da due battaglioni (anziché i quattro previsti per il resto dell’esercito
piemontese3) per un totale di 3.200 uomini con l’uniforme dell’esercito sardo. Vennero affidati alla
guida di Garibaldi, inquadrato col grado di maggiore generale4, il quale in un suo proclama affermò
fin dall’inizio che non aveva «né spalline, né onori da offrire: io offro battaglie e 100 cartucce per
ciascun milite. Per tenda il cielo, per letto la terra, per testimonio Iddio».
I Cacciatori avevano il compito di penetrare nel territorio Lombardo-Veneto da rendere
libero, molestare il lato destro dell’armata austriaca e accendere il sentimento patriottico delle
popolazioni, incoraggiando l’afflusso di nuovi volontari. I mezzi a disposizione di Garibaldi erano
scarsi e inadeguati. Lo stesso ricordò nelle sue Memorie5 le difficoltà incontrate nell’organizzare i
volontari, Gli uomini ritenuti più validi, dai 18 ai 26 anni, erano stati riservati all’esercito6, alla sua
brigata restarono i giovanissimi e gli anziani; inoltre, l’armamento era vecchio e insufficiente:
«senza cannoni, senza materiali, senza cavalleria, male armata, male equipaggiata, doveva
rappresentare la rivoluzione italiana e precedere i grandi eserciti sui fianchi del nemico»7. Tuttavia
le difficoltà non impedirono al corpo di svolgere i compiti assegnati, incrementando via via gli
arruolamenti e suscitando una calda accoglienza tra la popolazione.
«Nel primo pensiero i Volontari italiani dovevano chiamarsi, dal fiume che bagna Cuneo,
luogo del loro primo deposito, Cacciatori della Stura; in appresso pensando al teatro della loro
1
"La Sentinella delle Alpi" dal 19 febbraio 1859 in avanti riporta frequentemente notizie dell’afflusso quotidiano dei
giovano volontari. Cfr. anche PINNACOLI ALESSANDRO, Gabriele Camozzi nel 1859: storia di una brigata di Cacciatori
delle Alpi, Anno Accademico 1965-1966, p. 32. Vedi anche la "Gazzetta di Bergamo" del 25 febbraio 1859; 4, 15, 22,
29 e 25 marzo 1859; 1 e 12 aprile 1859.
2
Il primo volontario arruolato a Cuneo fu Tommaso Bettini, in totale furono 1104. Gli arruolamenti nel deposito di
Savigliano partirono dal numero 1104 e proseguirono fino al 2417. Cfr. BESANA DAVIDE, La guerra d' Italia. 18591860: due anni di storia italiana narrata al popolo, Milano, 1861.
3
L’Armata Sarda comprendeva cinque divisioni di fanteria (comandate dai generali Durando, Fanti, Mollard, Cialdini e
Cucchiari) e una divisione di cavalleria (comandata dal generale Bertone di Sambuy). Ciascuna delle divisioni di
fanteria era ordinata su due brigate, ognuna di due reggimenti composti da quattro battaglioni.
4
Regio Decreto del 25 aprile 1859. Il giorno precedente un altro R. Decreto aveva dichiarato i Cacciatori delle Alpi
parte integrante dell’esercito regolare.
5
GIUSEPPE GARIBALDI, Memorie, Roma, 1968, vol. II, p. 318.
6
GIUSEPPE GARIBALDI, op. cit., p. 319.
7
GIUSEPPE GUERZONI, Garibaldi: con documenti editi e inediti, Firenze, 1889, vol. I, p. 425.
1
probabile azione, furono, battezzati col fiero nome di Cacciatori delle Alpi. Dovevano essere tre
reggimenti... forti tutt’al più di mille cento uomini ciascuno. Ordinamento, disciplina, istruzione
rigorosamente piemontesi, quindi buone; i quadri scelti dagli avanzi di Venezia, di Roma e del
Tirolo, frammisti a pochi ufficiali licenziati dall’esercito sardo, quindi eccellenti. Nello Stato
Maggiore il maggiore Carrano, dei difensori di Venezia; il capitano Corte, della Legione angloitaliana; il capitano Cenni, dei difensori di Roma. Al comando del primo Reggimento, il tenente
colonnello Enrico Cosenz, allievo della Scuola d’artiglieria di Napoli, emulo di Rossarol a
Malghera; a quello del secondo, il tenente colonnello Giacomo Medici, l’eroe del Vascello; a
quello del terzo, il colonnello Arduino, veterano del ’21, soldato valoroso in Ispagna, comandante
un reggimento della brigata Fanti nel ’49. Sotto di loro poi, a capi di battaglione, Sacchi,
Marocchetti, Bixio, Quintini; e ufficiali nelle compagnie Bronzetti, De Cristoforis, Ferrari, Gorini,
Alfieri, Susini Millelire, Chiassi, Cairoli, Migliavaca, Cadolini, Landi, Airoldi, Fanti, tutti nomi
noti, o che lo diverranno tra poco. Finalmente, disseminato nelle file, un vivaio di studenti, di
medici, di avvocati, di poeti, di patrizi, di patriotti; il fiore dell’intelligenza, del cuore, e del valore
italiano. Circa alle armi poi, mediocrissime, e circa all’assisa, sgraziatissima. Prendete un bel
giovanotto dalle spalle quadre, dalle membra snelle, dal viso intelligente, insaccatelo nel
cappottone turchino e nei pantaloni grigi del fantaccino regolare infilati entro le ghette di cuoio;
calcategli sull’orecchio un gramo berrettuccio blù colla croce sabauda proprio di fino; cingetegli
sulla schiena uno zaino a pelo, e attorno ai fianchi un cinturone nero colla sua brava giberna;
girategli a tracolla il sacco a pane, la boraccia e la gamella di munizione; infine buttategli sulle
spalle un vecchio fucilaccio a percussione che diverrà ben presto nelle sue mani un catenaccio
irriconoscibile, e, per chiudere, se amaste i contrasti, mettetegli negli occhi l’allegria, nel cuore
l’entusiasmo, nello stomaco l’appetito, e sulle labbra la perpetua canzone: Addio mia bella, addio;
e avrete il Cacciatore delle Alpi. Nel rimanente, punto l’Artiglieria, punto Genio, punto, fino a
campagna inoltrata, Intendenza. S’aggiunga un’ambulanza sceltissima, guidata dal dottor Bertani;
una squadra di cinquanta cavalieri decorati del nome di Guide, capitanati da Francesco Simonetta,
montati la più parte su cavalli propri; un manipolo di quaranta Carabinieri genovesi, tanto pochi
quanto valenti, armati delle loro carabine svizzere, ed ecco rassegnata tutta quanta la così detta
brigata dei Cacciatori delle Alpi»8.
Dopo aver fornito in territorio piemontese, tra aprile e maggio, appoggi tattici al Generale
Cialdini prima e poi al Generale De Sonnaz9, durante i quali vennero impegnati in combattimento i
soli reggimenti Cosenz e Medici (Casale, 8 maggio), la brigata si completò il 12 maggio a Chivasso
con i due battaglioni del Reggimento Ardoino giunti da Savigliano10. Successivamente, dopo essere
stata impegnata nel vercellese, la brigata ebbe l’ordine di portarsi sul lago Maggiore e da lì passare
in territorio lombardo, che per molti dei Cacciatori era il suolo natìo. Nel pomeriggio del 22
maggio, sotto una pioggia battente, dopo aver simulato una diversione su Arona, la brigata si spostò
a Castelletto Ticino.
Qui durante la notte, imbarcata presso il parco della villa Visconti su natanti procurati dal
capitano Simonetta pratico dei luoghi, passò il Ticino, «compagnia per compagnia, in profondo
silenzio e in ordine mirabile». Toccata la sponda lombarda a Sesto Calende, la compagnia del
milanese De Cristoforis (la terza del secondo reggimento), che era in avanguardia, fece subito
prigionieri più di quaranta austriaci. Garibaldi lanciò immediatamente un proclama con cui
chiamava i Lombardi alle armi; inviò il battaglione Bixio ad Angera per predarvi il battello Ticino
che vi era ancorato, raccogliere informazioni sulle forze presenti a Laveno e successivamente
convergere su Brebbia, quindi accamparsi sulla strada Laveno-Varese. Ordinò, poi, alla compagnia
8
GIUSEPPE GUERZONI, op. cit, p. 423-425.
Il percorso è stato tratto da Ministero della Guerra - Ufficio Storico, Garibaldi Condottiero, Roma 1932, pag. 171.
10
Alla brigata vennero aggregate anche 50 guide e una compagnia di carabinieri (cioè volontari armati di carabine),
quasi tutti genovesi e abili tiratori, che si erano uniti al corpo dal primo maggio; il dottore Agostino Bertani, infine,
comandava il corpo d’ambulanza provvisto di tutto l’occorrente.
9
2
De Cristoforis di restare a Sesto Calende e sorvegliare il passo del Ticino onde coprire le spalle al
grosso della brigata.
Garibaldi sapeva benissimo che lontano da ogni base sicura, con pochissime vie libere dal
nemico, o riusciva a riportare vittorie immediate oppure, in caso contrario, non gli sarebbe rimasto
che rifugiarsi in Svizzera attraverso i monti. Egli decise quindi, percorrendo strade secondarie per
Corgeno, Varano e Bodio, di marciare su Varese, nel territorio tra Verbano e Lario, cosa che già
aveva fatto nel 1848. Senza incontrare resistenza, sotto una pioggia battente, tra le scene
d’entusiasmo indescrivibile con cui lo accolse la popolazione, alle ore 23 del 24 maggio prese
possesso della città in nome di Vittorio Emanuele II.
Il pericolo di una sollevazione generale, che si propagasse a tutto il Lombardo-Veneto,
indusse il generale ungherese Ferenc Gyulai, dal suo quartier generale di Garlasco, a mandare
contro Garibaldi un distaccamento della guarnigione di Milano, agli ordini del tenente maresciallo
Karl Urban. A Varese giungevano quattro vie principali e sembrava che l’attacco nemico potesse
arrivare attraverso la via di Como, sempre che l'Urban non avesse in animo di aggirare i garibaldini
con un movimento proveniente da Induno.
Altri interventi nemici erano possibili attraverso Gallarate e Laveno. Così Garibaldi, aiutato
dalle popolazioni civili, avviò la costruzione di molte barricate in Varese, provvedendo a realizzare
una seconda linea di difesa e aspettò gli austriaci segnalati in arrivo fin dalla sera del 25 ad Olgiate.
In quello stesso giorno De Cristoforis, ancora a Sesto Calende, con la sua compagnia sostenne un
attacco da parte di 300 austriaci, forti di 130 cavalli e due pezzi di artiglieria, provenienti da
Gallarate; li respinse facendo dei prigionieri. Più tardi si ritirò a Varese attraverso le colline,
riunendosi così alla brigata11.
A Varese, intanto, tutti erano pronti in attesa e infatti il 26 maggio, alle prime ore del giorno,
il nemico apparve e lo scontro cominciò. Urban aveva al suo seguito circa quattromila uomini,
duecento cavalli e quattro cannoni12. Un intero battaglione era stato lasciato di riserva e un altro
stava compiendo la manovra aggirante prevista dal Garibaldi. La resistenza incontrata fu superiore
alle aspettative austriache. I Cacciatori delle Alpi respinsero le colonne nemiche con scariche ben
assestate e a bruciapelo; poi, passati al contrattacco, le costrinsero dopo due ore a retrocedere,
inseguendole fin oltre Malnate, dove le affrontarono in nuovo scontro13. I garibaldini ebbero
ventisette morti, tra cui il pavese Ernesto Cairoli, cinquantaquattro feriti e un prigioniero, un certo
Casarotti, diciassettenne milanese.
Con la vittoria di Varese14, l’agitazione patriottica delle popolazioni circostanti, che ancora
non poteva dirsi insurrezione, si era rinfocolata ed estesa: i patrioti di Como avevano comunicato a
Garibaldi che la città lo aspettava fremente, che molti paesi del lago si erano sollevati e che alcune
centinaia di giovani armati avevano occupato i vaporetti.
Intanto, fin dal giorno 24, il capitano garibaldino Montanari si recò da Varese a Magadino,
per incarico di Garibaldi, a conferire con diversi emigrati e patrioti lombardi onde spronarli a
insorgere ovunque fosse possibile. In seguito a ciò, nei giorni 25, 26 e 27 maggio parecchi paeselli
del lago di Como insorsero, facendo prigionieri gendarmi e poliziotti, aiutati dai capitani dei battelli
11
Cfr. Bollettino della guerra, n. 51, del 26 maggio 1859. Vedo anche G. GUTTIEREZ, Il Capitano Decristoforis,
Milano, 1860, p. 240-241.
12
Cfr. CARLO FRANCHI, Notizie storiche della città di Como, l’anno 1859, Como, 1860, p. 28.
13
GIUSEPPE DELLA VALLE, Varese, Garibaldi ed Urban nel 1859, Varese, 1863. Si veda anche MARCO FORMENTINI, Le
cinque giornate di prigionia nelle mani del tenente maresciallo Urban e il bombardamento di Varese, Milano, 1859.
14
Garibaldi il 4 giugno inviò al Comando Generale dell’Esercito Sardo un rapporto sulle operazioni del corpo dalla sua
entrata in Lombardia. Cfr. MASSIMO DE LEONARDIS (A CURA), Epistolario, vol. IV (1859), p. 59-62, n. 1073, Roma,
1982.
3
a vapore (l’Unione, la Forza, il Lario, l’Adda), che ad onta degli ordini severi del generale Urban
percorrevano il lago servendo gli insorti15.
All’alba del 27 maggio, lasciati i feriti e un drappello a difesa di Varese, col primo
reggimento in testa, la brigata si incamminò alla volta della città lariana. Urban che, ricevuti rinforzi
ora poteva contare su settemila uomini, ottantotto cavalli e dodici cannoni, si era appostato presso la
collina di San Fermo, dove dislocò ottocento uomini, pronto a dare battaglia. Un reparto venne
posto nel giardino che si trovava posteriormente al coro della chiesa, nascosto dietro ai muri di
cinta. Un altro, più numeroso, salì il monticello a sinistra della chiesa, detto il roccolo del prevosto,
e spinse le vedette fino ai monti di Giasca e di Brono. Un altro drappello si pose in agguato sul
fiume Seveso nel castagneto di Grandola; un altro, ancora, si annidò sul colle di Camerano e lungo
le siepi che da quello discendono al Seveso. Il grosso della forza si fermò sul sagrato della chiesa,
nel trivio posto di fronte a questa e nel campo della fiera.
Garibaldi, giunto ad Olgiate, con una mossa a sorpresa divise in due colonne la brigata: il
reggimento Medici fu inviato a sinistra lungo la strada che, attraverso le colline di Vergosa,
conduceva a Como, passando per il valico dell’altopiano di San Fermo e Borgo Vico; gli altri due
reggimenti proseguirono la marcia sulla via che conduce a Camerlata. A mezzogiorno Garibaldi
era a Cavallasca di fronte a San Fermo. Dal campanile, spiate le posizioni nemiche, ordinò a Medici
di avanzare su San Fermo “a tenaglia” lungo tre direttrici; alla sinistra, lungo la strada che
conduceva al roccolo del prevosto, inviò la compagnia Susini-Millelire; la compagnia del capitano
Vacchieri fu fatta avanzare sulla destra per portarsi alla cascina Grandola; riservò, infine, al
capitano De Cristoforis il compito più pericoloso: avrebbe dovuto avanzare al centro e portare
l’attacco frontalmente. Le altre compagnie del reggimento agli ordini del capitano Gorini avrebbero
dovuto contrastare l’eventuale ritirata nemica. Il reggimento Cosenz doveva garantire la copertura.
Ordinato l’attacco, le compagnie, rinforzate da altre due del terzo reggimento e comandate
dal maggiore Quintini, sbaragliarono gli austriaci, costretti a una precipitosa ritirata su Como. Nello
scontro persero la vita, tra gli altri, il capitano De Cristoforis16, il tenente pavese Pedotti, il
sottotenente Cartellieri di Milano17; rimasero feriti il tenente Guerzoni, due caporali, Coluccini e
Barasciuti, e diversi volontari. Garibaldi, intuendo che la vittoria non poteva sfuggirgli, incalzò il
nemico senza tregua fino al tramonto; dopo un nuovo scontro sul Moncucco, dove rimase ferito il
milanese capitano Alfieri, indusse gli austriaci ad abbandonare anche la città lariana.
I Cacciatori delle Alpi «furono tutti lodati, e specialmente quelli i cui nomi sono scritti
nell’ordine del giorno del quartier generale principale per le ricompense»18.
Durante la notte, inviato un gruppo di armati al comando di Medici a controllare la strada
per Camerlata e lasciate alcune retroguardie a proteggere San Fermo, la brigata fece il suo ingresso
a Como da porta Sala. Alla notizia dell’arrivo di Garibaldi, la città si destò come di soprassalto da
un lungo torpore: «Le armi nascoste uscivano come per miracolo dagli armadi segreti; gli uomini
sembravano uscire dalla terra e si riversavano nelle strade. Un’ora dopo diecimila persone si
accalcavano al passaggio di Garibaldi. Egli ha attraversato la strada al galoppo: io non sono
riuscito a vederlo, ma ho ammirato dietro di lui i suoi uomini, i suoi diavoli neri, con la pesante
15
Cfr. G.VISCONTI-VENOSTA, Ricordi di gioventù: cose vedute o sapute, 1847-1860, Milano, 1904, p. 474. Giovanni
Visconti Venosta (Milano 1831-1906) venne nominato Regio Commissario Straordinario della Provincia di Valtellina
dal 31 maggio al 20 giugno 1859.
16
De Cristoforis venne soccorso dal caporale Ferrabini di Pavia, che riuscì a prenderlo in braccio mentre cadeva da
cavallo.
17
Carlo Franchi afferma che i morti tra i cacciatori furono dodici. Oltre ai tre citati: il caporale Battaglia Giacomo di
Milano, Bignami Enea di Maleo, Dell’Orto Agostino di Cernobbio, il tenente Ferreni Giovanni di Salò, Fioravanti
Giuseppe di Brescia, Mantelotici Giuseppe di Venezia, Masotti Giuseppe di Mantova, il caporale Pedrocchi Antonio di
Roma, Riboni Carlo di Castel-Pusterlengo. I cadaveri radunati con religiosa cura dal municipio vennero deposti nella
cappella del cimitero. Franchi afferma anche che i feriti furono novantaquattro. Cfr. FRANCHI, op. cit., p. 72.
18
Cfr. FRANCESCO CARRANO, I Cacciatori delle Alpi comandati dal Generale Garibaldi nella guerra del 1859 in Italia.
Racconto popolare,Torino, 1860, p. 315.
4
carabina a tracolla; correvano con una rapidità che non ti saresti aspettato da uomini così stanchi,
dopo un combattimento di sei ore.
La lotta è ricominciata al capolinea della ferrovia di Milano. Non c’è stato bisogno di molte
fucilate. Gli Austriaci si sono ritirati quasi subito.
Alle sei il generale rientrava solennemente con cinquemila eroi. Che spettacolo! I cannoni nemici
erano coperti di fiori; i feriti, portati nelle nostre case, erano curati come se fossero figli nostri. Io
ho solo intravisto Garibaldi. Mi assicurano che è un vero gentiluomo, molto galante con le donne,
severissimo con i suoi uomini, ancor più severo con se stesso, sobrio all’eccesso, esaltato e freddo
allo stesso tempo. Ispira ai suoi uomini una fiducia pari soltanto al terrore che ispira ai suoi
nemici. Sempre primo in battaglia, lancia il cavallo nel cuore della mischia, lotta corpo a corpo
come l’ultimo dei soldati, dà l’esempio del coraggio più raro e del sangue freddo più
stupefacente»19.
Il giorno successivo, 28 maggio, risultò chiaro che gli austriaci si erano ritirati anche da
Camerlata, per raggiungere Monza e quindi Milano. Frattanto, da Como, Garibaldi estese il grido
dell’insurrezione fino alla più lontana Valtellina, così che molti intrepidi e coraggiosi valligiani
scesero ad arruolarsi.
Nello stesso giorno Garibaldi pubblicò un ordine del giorno in cui, tra l’altro, dichiarava
«che i Cacciatori delle Alpi sono pervenuti colla loro bravura ad incutere spavento agli Austriaci e
quando un corpo è stato innalzato a tanto, esso può tentare ogni impresa»20.
Approfittando della breve tregua seguita all’occupazione di Como, Garibaldi lasciò in città
Gabriele Camozzi, promosso maggiore, perché si occupasse dell’organizzazione militare e la
compagnia Fanti a protezione, col compito di arruolare volontari («in due giorni accorsero più di
400 volontari»21), inviò a Lecco la compagnia Ferrari con lo stesso incarico (l’ufficio venne aperto
in Contrada Larga) e il 29 maggio si diresse col resto della brigata22 verso il lago Maggiore,
nell'intento di prendere in consegna alcuni pezzi di artiglieria ma, soprattutto, di impadronirsi del
forte di Laveno. Il controllo di questa cittadina, porto militare austriaco sul lago, avrebbe reso più
facili le comunicazioni con la sponda piemontese e assicurato un’agevole via di ritirata in caso di
insuccesso.
Il colpo di mano, sferrato nella piovosa notte del 31 maggio, purtroppo non riuscì: il
capitano Bronzetti fu abbandonato dalle guide locali e non giunse sul posto prefissato con la propria
compagnia; il capitano Landi, che con un’altra compagnia doveva arrivare per una diversa via, si
incontrò invece con il nemico, affrontando un combattimento di un’ora, durante il quale trovarono
la morte sei volontari, tra cui il milanese Antonio Sala, e vennero feriti i luogotenenti Gastaldi e
Sprovieri e altri sedici uomini, mentre rimasero prigionieri degli austriaci sei garibaldini.
Anche il compito affidato a Bixio e a Simonetta, cioè di portarsi ad Intra e raccogliere i volontari
che volevano contribuire all’azione, fallì per l’intervento di piroscafi austriaci. Garibaldi, pertanto,
constatata l’inutilità di proseguire l’azione, ordinò la ritirata delle sue truppe23.
In quello stesso giorno, da Varese giunsero cattive notizie: Urban, riorganizzate le forze e
ricevuti rinforzi, aveva puntato con due colonne, una da Tradate e l’altra da Gallarate, di nuovo
sulla città. Stavolta però Garibaldi non poté inviare nessun aiuto e consigliò a tutti gli uomini validi
19
EMILIO DE LA BÉDOLLIÈRE, Histoire de la guerre d'Italie: Solferino, Montebello, Palestro, Magenta, Marignan,
Parigi, 1859, p. 82.
20
CARRANO, op. cit., p. 323.
21
Cfr. GIOVANNI CADOLINI, I Cacciatori delle Alpi. Ricordi del 1859. Estratto da "Nuova Antologia", 1 luglio 1907, p.
29
22
«A Varese la brigata aveva perduto tra morti e feriti circa ottantaquattro uomini, e a San Fermo trentacinque; per
cui sottraendo ancora le compagnie lasciate a Como e a Lecco, la squadra rimasta a Varese e i malati (in tutti
quattrocento uomini), si può con certezza affermare che la colonna in quel giorno (28) non arrivava a duemila
novecento combattenti». Cfr. GIUSEPPE GUERZONI, Garibaldi: con documenti editi e inediti, Firenze, 1889, vol. I, p.
458 in nota.
23
RINA CORTI, I Cacciatori delle Alpi in Lombardia nel 1859: episodio di Laveno, Intra, 1907.
5
di ritirarsi con le armi sui monti. Urban giunse in città nelle prime ore pomeridiane con 15.000
uomini, si accampò nelle colline intorno e la sottopose ad una dura ritorsione, con bombardamento
e saccheggio: «D’ordine di S. E. il sig. T. M. Urban, la città di Varese, per giusta punizione del suo
contegno politico, viene castigata colla seguente contribuzione... La contribuzione consiste in tre
milioni di lire austriache: debbono essere pagate, il primo milione entro due ore, il terzo entro 24
ore, sempre dalla pubblicazione del presente. Inoltre dovranno essere forniti n. 300 buoi, tutto il
tabacco ed i sigari che si trovano nel paese e tutto il corame per l’uso della truppa. Infine saranno
consegnati dieci possidenti del luogo onde servire in qualità di ostaggio e garanzia dell’esecuzione
di quanto sopra è ordinato e della pubblica tranquillità...»24.
La momentanea perdita di Varese fu un duro colpo per Garibaldi, che si trovava così isolato
dal Piemonte e di fronte a forze nettamente superiori alle sue. In un primo momento era
intenzionato ad attaccare gli austriaci, ma resosi che quelli erano in forze preponderanti, decise, con
una mossa ardita, di avventurarsi con i suoi uomini attraverso impervi sentieri di montagna in
direzione di Como. Con questa mossa intese divincolarsi dall’accerchiamento a cui era sottoposto, e
sostenere, con la sua presenza, la popolazione di quella città che, temendo di soffrire la stessa sorte
di Varese, stava fuggendo sui monti circostanti. Dopo sette ore di faticoso cammino e sotto una
pioggia dirotta, l’azione fu portata a termine alle dieci della sera del 2 giugno senza essere mai
disturbata dal nemico. In quelle stesse ore Urban era stato richiamato da Gyulai, che prevedeva un
nuovo scontro sulle rive del Ticino dopo la vittoria di pochi giorni prima dei Franco-piemontesi a
Palestro 25.
Durante la seconda permanenza a Como, Garibaldi riordinò le sue forze, fece occupare le
principali alture intorno alla città per garantirsi un’adeguata difesa e inviò perlustrazioni alla ricerca
del nemico e di volontari da arruolare. Lasciò, quindi, alcune compagnie a tutela della città sotto il
comando del maggiore Ceroni, nominato comandante della piazza, al quale venne anche ordinato di
istituire una compagnia del genio. Lo stesso avrebbe dovuto occuparsi energicamente
dell’armamento e del vestiario (cappotti, scarpe, pantaloni, camicie, berretti, selle e buffetterie).
Inoltre, ordinò al tenente Montanari di portarsi in Valtellina per organizzare i volontari che avesse
trovato e scacciare dai punti strategici le forze austriache.
Infine, informato che dopo la battaglia di Magenta le prime truppe francesi erano entrate a
Milano, nella notte tra il 5 e il 6 giugno diede ordine alla brigata di imbarcarsi per battaglioni su
quattro piroscafi con destinazione Lecco; venti guide a cavallo, al comando del capitano Simonetta,
vi giunsero, invece, via terra. La brigata da Lecco, dove rimase il capitano Ferrari coll’ordine di
proteggere la città e di proseguire gli arruolamenti, marciò in direzione di Caprino, priva di viveri.
Due giorni più tardi, il 7 giugno, la truppa garibaldina era ad Almenno S. Salvatore, dove fu
raggiunta dagli ufficiali ungheresi Türr e Teleki che, per espresso ordine di Cavour, vennero
aggregati allo stato maggiore. Garibaldi inviò a Bergamo le guide Curò e Nullo, entrambi
bergamaschi, adeguatamente camuffati: raccolte più informazioni possibili, essi riferirono al loro
rientro che la città era difesa da circa ottomila austriaci. Garibaldi, quindi, credeva di dover
sostenere una nuova battaglia. Invece al suo ingresso in Bergamo la mattina dell'8 giugno trovò la
città pronta ad accogliere la brigata con grande entusiasmo, poiché nella notte il presidio nemico
l'aveva abbandonata, portando con se anche otto cannoni e raggiungendo Urban acquartierato a
Vaprio sull’Adda.
24
COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE, La guerra del 1859 per l’indipendenza d’Italia, voll. II, Roma 1912,
Documenti, I, p. 817.
25
L’esercito austriaco verrà, infatti, impegnato e sconfitto il 4 giugno a Magenta. Questa vittoria aprì agli alleati francopiemontesi la via per Milano. Tornata libera Varese, vi venne aperto un ufficio arruolamenti per formare il terzo
battaglione del primo reggimento «e al caldo appello che il comandante militare, per ordine di Garibaldi, indirizzava
alla gioventù, rispondevano accorrendo i volontarj della città e dintorni, sì che numerosi ebbero a figurare i nomi de’
Varesini nell’elenco de’ prodi che pugnarono per l’Indipendenza della Patria». Cfr. GIUSEPPE DELLA VALLE, Varese,
Garibaldi ed Urban nel 1859, Varese, 1863, p. 152-153.
6
Garibaldi inviò Medici ad occupare la rocca nella città alta, dove si impossessò di
quattordici cannoni abbandonati dal nemico. Venne quindi informato che forze austriache di
rinforzo stavano sopraggiungendo per ferrovia e fece allora circondare la stazione dai suoi uomini.
Una spia, però, riuscì ad avvisare il nemico di cosa lo attendesse, cosicché il treno venne fatto
fermare a Seriate e le truppe furono silenziosamente fatte scendere. Intercettate dalla compagnia del
capitano Bronzetti, che si trovava sulla strada di Seriate26, dopo un furioso combattimento vennero
costrette a ritirarsi. In questo scontro tutto il terzo reggimento si fece molto onore: «con uomini di
tanta prodezza si può tentare ogni impresa. E l’Italia deve ricordarli eternamente» (Ordine del
giorno del 10 giugno). I feriti furono dieci, tra cui il veneto sottotenente Gualdo, che ebbe amputata
la gamba sinistra; il caporale Cannetta e il cacciatore Decò morirono a seguito delle ferite.
Durante la sosta di qualche giorno a Bergamo si provvide a rifornire con scarpe e munizioni
la truppa garibaldina; venne pubblicato il proclama con cui Garibaldi chiamava a raccolta tutti i
giovani in grado di imbracciare un fucile; il maggiore Gabriele Camozzi, nominato al comando
della Commissione d’arruolamento, emanava un avviso in cui rendeva noto che era stato aperto in
città l'ufficio di arruolamento dei volontari nel locale delle Scuole dei Tre Passi; infine, si organizzò
la difesa.
Come venne già fatto a Como e a Lecco, anche da Bergamo piccoli drappelli vennero spediti
nei territori circostanti, spingendosi fino in Valcamonica27, con l’ordine di sollecitare le popolazioni
alla rivolta contro il dominatore straniero e fare arruolamenti di volontari. «Il 10 giugno ebbi
l’ordine di partire per Sarnico con venti uomini, alla dipendenza del Commissario regio maggiore
Camozzi, il quale mi incaricò di colà stabilirmi, per propagare la insurrezione in quei paesi, e per
arruolare volontari...Il tenente Pisani si recava con 47 uomini a occupare il ponte sull’Oglio a
Palazzolo...»28.
Garibaldi, quindi, andò a Milano ad incontrare Vittorio Emanuele, che vi era entrato il
giorno 8 giugno, per concertare le operazioni militari ulteriori. Credeva di poter concordare
un’azione tra gli eserciti alleati destinata a schiacciare definitivamente l’Urban, invece costui fu
lasciato indisturbato e poté ritirarsi per la via di Crema.
Tornato Garibaldi a Bergamo, la mattina dell’11 riunì la brigata e distribuì le onorificenze
decretate dal Re Vittorio Emanuele per i combattimenti di Varese, S. Fermo e Laveno; ordinò, poi,
la partenza per la sera di quello stesso giorno. La brigata, quindi, rimessasi in marcia, transitando
per Martinengo, giunse a Palazzolo; passando poi alle spalle del monte Orfano marciò su Brescia.
Fu una marcia non senza pericoli, dovendo percorrere una strada parallela a quella del nemico
numericamente più forte, che occupava Pontoglio e Coccaglio e più avanti Leno e Bagnolo. Nel
frattempo, la sera del 12 era giunta a Brescia l’avanguardia guidata dal tenente Pisani. Appena
questa comparve, la popolazione si strinse intorno all’audace drappello, atterrando gli stemmi della
signoria straniera e inalberando i vessilli della redenzione nazionale. Venne immediatamente aperto
un ufficio di arruolamento nel palazzo del Ginnasio Liceale29.
La brigata vi entrò la mattina successiva accolta dal popolo festante con alla testa Zanardelli.
Lo stesso giorno fu dato l’allarme per l’avvicinarsi alla città dalla parte di San Zeno di un reparto
austriaco, proveniente proprio da Bagnolo. Ma quello, accortosi della presenza garibaldina in città,
ripiegò in ritirata. Durante la breve permanenza a Brescia venne emanato il seguente ordine del
giorno 14 giugno 1859 del Comando Generale dei Cacciatori delle Alpi, a firma del Maggiore di
Stato Maggiore Clemente Corte: «I volontari arruolati in Milano e dintorni saranno senza indugio
26
GIUSEPPE LOCATELLI MILESI, Garibaldi a Bergamo nel 1859 e il combattimento di Seriate, in "Rassegna storica del
Risorgimento italiano", anno 1920, fasc. II-III, aprile-settembre, p. 441-450.
27
I gendarmi austriaci avevano lasciato Edolo fin dal 30 maggio. Cfr. VITTORIO ADAMI, Documenti relativi alle vicende
dell’anno 1859 in Valcamonica, in "Rassegna storica del Risorgimento Italiano", anno 1923, fasc. III, luglio-settembre
(numero doppio), pp. 508-534. L’articolo elenca numerosi nominativi di volontari camuni.
28
Cfr. GIOVANNI CADOLINI, I Cacciatori delle Alpi. Ricordi del 1859. Estratto da "Nuova Antologia", 1 luglio 1907, p.
33.
29
FEDERICO ODORICI, Storie Bresciane, vol. XI, 1865, p. 299.
7
diretti a Como dove si stabilisce un deposito generale di Caccatori delle Alpi. Il Maggiore
Marocchetti è nominato Luogotenente Colonnello e comanderà il Deposito di Como. Ogni
Reggimento spedirà entro domani a Como un capitano (a essere promosso maggiore), quattro
subalterni, 14 bassi ufficiali o caporali, un trombettiere. Ogni seicento uomini del Deposito verrà
formato un battaglione. Questi saranno uniti ai Reggimenti in modo che ogni Reggimento diventi di
quattro battaglioni. Verranno scelti tra i nuovi arruolati 250 uomini atti al servizio dei Bersaglieri,
50 infermieri, 100 artiglieri, 120 zappatori del genio. Il Commissario di Governo in Capo ultimate
le sue faccende a Bergamo si recherà a Como dove si occuperà del vestiario, calzature, biancheria
per tremila uomini»30.
Nella notte tra il 14 e il 15 giugno, stando il Generale Garibaldi a Sant’Eufemia della Fonte
sulla strada Brescia-Verona, dove si era spostato per far posto in città alle sopraggiungenti forze
alleate31, riceveva dal Capo dello Stato Maggiore dell’esercito sabaudo, generale Della Rocca,
l’ordine di portarsi la mattina successiva su Lonato, dove avrebbe dovuto congiungersi con la
divisione di cavalleria del generale Sambuy, composta da quattro reggimenti di cavalleria di linea,
con due batterie a cavallo. Lungo la strada avrebbe anche dovuto ripristinare il ponte del Bettoletto
sul Chiese, posto a nord di Ponte San Marco.
All’alba del 15 la brigata si mise in marcia verso la meta designata. Ma giunta a Rezzato, le
pattuglie delle guide, sguinzagliate in avanscoperta, annunciarono che tra Castenedolo32 e
Montichiari si trovava un forte reparto austriaco: era la retroguardia di Urban accampato a
Montichiari. Garibaldi fece posizionare a protezione del fianco destro il primo reggimento e un
battaglione del secondo; ordinò poi al colonnello Türr di portarsi con due compagnie del primo
reggimento all’incrocio della strada che da Treponti va a Castenedolo; quindi proseguì col resto
della brigata al Bettoletto. Non passò mezz’ora che le compagnie vennero impegnate in
combattimento da almeno sette battaglioni con artiglierie della divisione Urban. Queste in un primo
momento, incalzate a Treponti su tutta la linea da brillanti cariche alla baionetta, cedettero e
indietreggiarono, inseguite imprudentemente dai garibaldini al comando del colonnello Türr fino a
Castenedolo; qui, rinforzate da truppe accorse da Montichiari, portarono un nuovo e terribile
attacco che sopraffece i garibaldini e li costrinse ad un confuso ripiegamento. Chiamato
ripetutamente da Cosenz, accorse Garibaldi, che con l’aiuto dei suoi fidati comandanti di
reggimento, riuscì a ristabilire la calma e l’ordine nelle file scompigliate dei fuggitivi, arrestando la
foga dell’incalzante nemico, finché questo si ritirò al comparire delle avanguardie dell’esercito
regolare del generale Cialdini.
Garibaldi nelle sue Memorie si dolse di non aver mai incontrato le forze del generale
Sambuy con cui avrebbe potuto combattere ad armi pari contro gli austriaci; ma queste erano state
trattenute da un contrordine emanato direttamente dall’imperatore francese, che giudicò eccessiva la
distanza che separava gli alleati l’uno dall’altro e quindi diede disposizione perché i piemontesi
rimanessero sul fiume Mella in attesa della ricongiunzione. Il contrordine, inviato all’alba del 15,
giunse in tempo alla divisione di cavalleria, che infatti non si mosse, ma non pervenne in tempo a
Garibaldi.
Nello scontro di Treponti persero la vita numerosi volontari, tra cui Narciso Bronzetti,33 il
quale, due volte ferito sul Roccolo di Castenedolo, continuò a combattere, ma, colpito da un terzo
30
ASTO, Ministero della Guerra, Regno di Sardegna, Corpi diversi, Cacciatori delle Alpi, Corrispondenza, vol. 1.
Per approfondimenti sugli avvenimenti nella città di Brescia si rimanda all’esauriente articolo di MAURIZIO MONDINI,
A Brescia prima di Solferino. Le cronache, le memorie, le testimonianze figurative, in Napoleone III a Brescia e a
Solferino. La Vittoria celebrata 1859-2009, a cura di Elena Lucchesi Ragni, Maurizio Mondini e Francesca Morandini,
Brescia 2009, p. 27-43.
32
Cfr. il capitolo Castenedolo nel risorgimento nazionale contenuto in IDA ZANOLINI , La storia di Castenedolo, 1979.
33
Garibaldi lo chiamò «prode fra i prodi» in una lettera scritta da Nuvolento il 17 giugno. Le perdite di ambo le parti
furono le seguenti: Cacciatori delle Alpi. Morti sul campo: ufficiali 1 (tenente Gradenigo), sottufficiali 1, truppa 18;
morti in seguito per ferite: ufficiali 1 (capitano Bronzetti), truppa 6; feriti: ufficiali 5 (colonnello Türr, tenenti Specchi e
Pea, sottotenente Aporti, dottor Maestri); prigionieri 10: totale 154. Imperiali: Brigata Rupprecht: morti 12,feriti 36 (tra
31
8
proiettile al petto, fu trasportato a Brescia, dove tre giorni più tardi morì; vi rimase ferito anche
Türr. Garibaldì fu molto amareggiato, anche, per il comportamento dei suoi uomini che a Treponti
non erano stati all’altezza della reputazione e manifestò il suo malumore in un duro proclama del 16
giugno: «Ieri il 1° reggimento, da me non visto, pare si sia comportato con molta bravura, condotto
dai prodi colonnelli Cosenz e Türr, perseguendo e fugando il nemico per molto spazio di terreno.
Visto da me poi nella ritirata, il comportamento è stato tutt’altro. Egli, meno alcuni singoli atti di
bravura, si è ritirato come una turba impaurita, quando privo di alcuni bravi ufficiali morti e feriti.
Se io potessi cancellare tale ritirata dal giornale militare dei cacciatori delle Alpi lo farei
volentieri.
Acciò serva nell’avvenire, io accennerò ai cacciatori gli errori commessi nella ritirata. Il primo è
quello di ritirarsi ammucchiati, e non in catena, con minor probabilità di essere feriti.
Il secondo, che i più lontani al combattimento devono colla loro buona contenenza sostenere i più
impegnati nella ritirata.
Il terzo sono gl’immensi tiri sprecati, non solo troppo lontani, ma anche senza vedere il nemico...
Il quarto si è il gran numero di militi che fuggono col pretesto di accompagnare feriti.
Infine i cacciatori delle Alpi, che sì giustamente meritarono il titolo di valorosi negli scontri
antecedenti, non solo non vorrei che fossero stati veduti in tale ritirata dai prodi degli eserciti
francese e italiano, ma nemmeno dalle donne.
L’anzidetto non toglie che molti ufficiali e militi, di cui si farà menzione, hanno mostrato
quell’intrepido sangue freddo che io spero di ottenere dai nostri cacciatori tutti»34.
Terminato il combattimento, la brigata passò il resto della giornata scaglionata tra Treponti,
Virle e Bettoletto. La mattina successiva il primo reggimento venne posto a Mazzano, il secondo a
Nuvolera, mentre il quartier generale della brigata e il terzo reggimento furono collocati a
Nuvolento.
Da qui il 16 giugno Garibaldi scrisse una lettera al conte di Cavour con cui lo informava
che «in esecuzione degli ordini datimi da S.M. ho aperto uffici d’arruolamento nelle principali città
lombarde sgombrate dal nemico. Queste misure mi hanno procacciato un notevole numero di
arruolati, che io diressi in Como e concentrai a Lecco, a Varese, a Bergamo, a Brescia. Ma questi
volontari non hanno puranco ricevuto armi, nè vestiario. Questa mancanza potrebbe produrre tra
essi un raffreddamento fatale alla causa nostra, per cui ho l’onore di raccomandarmi alla E.V.,
affinché i miei depositi ricevano armi, munizioni, cappotti, scarpe, berretti, camicie»35.
Quindi nelle ore vespertine del giorno 17 la brigata entrò a Gavardo, dove venne accolta con
esultanza e la sera stessa attraversò il Chiese sul ponte che, fatto saltare dagli austriaci in ritirata, era
stato riattivato dagli abitanti. A notte giunse sul colle della chiesa di San Pietro di Liano che domina
il golfo di Salò. Garibaldi ordinò quindi a Bixio, comandante del secondo battaglione del 3°
reggimento, di avvicinarsi con circospezione a questa cittadina e occuparla.
Il mattino successivo lo stesso Garibaldi alla testa della brigata entrò a Salò, dove venne
accolto con tripudio. Durante la breve sosta il pomeriggio del 19 giugno, con l’ausilio di quattro
pezzi dell’artiglieria piemontese della quarta divisione giunta nella città lacustre, venne colpito il
piroscafo armato austriaco Taxis, uscito a perlustrare il golfo, che affondò a largo della punta S.
Vigilio.
Poco più tardi, un ordine improvviso venne comunicato da Cialdini a Garibaldi: la brigata
avrebbe dovuto portarsi in Valtellina perchè un corpo di trentamila austriaci era stato segnalato in
marcia dal Tirolo su quella valle, mentre la quarta divisione avrebbe dovuto occupare le valli
bresciane impadronendosi della Rocca d’Anfo in Val Sabbia e facendo propri i passi in Val
Trompia e in Val Camonica. In quest’ultima valle fin dal 15 giugno era stato inviato il colonnello
cui due ufficiali), dispersi 8. Brigata Eckert: feriti 53: totale 109. Cfr COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE, La
guerra del 1859 per l’indipendenza italiana, Roma 1910-1912, vol. II, pag. 92.
34
Sul combattimento di Treponti vedi anche ODORICI, op .cit., pp. 308-310.
35
Cfr. MASSIMO DE LEONARDIS (a cura di), op. cit., Roma, 1982, lettera n. 1099.
9
Brignone, comandante del 9° reggimento fanteria, per opporsi ad un’eventuale offensiva degli
imperiali dal Tirolo.
A seguito di quell’ordine, il 20 giugno la brigata, lasciato a presidio di Salò un battaglione di
nuova formazione appena giunto da Bergamo, comandato dal Maggiore Ruffini e destinato ad
essere il terzo del terzo reggimento36, si rimise in marcia. Garibaldi ordinò quindi al colonnello
Medici di precederlo il più velocemente possibile con un distaccamento e, passando per S. Eusebio,
Caino, Ospitaletto, Palazzolo, Bergamo e Lecco, di raccogliere i diversi reparti in formazione che in
quelle città si andavano organizzando, riunirli ai volontari valtellinesi e di inoltrarsi quindi nella
valle. Lì avrebbe dovuto contrapporsi agli avamposti nemici, trincerarsi in forti posizioni e
attendere il grosso della brigata. Medici, giunto a Lecco, si imbarcò con circa mille uomini37 e
sbarcò a Colico; da qui proseguì per Morbegno, Sondrio e Tresenda, dove giunse il 24 giugno.
Garibaldi, lasciata la brigata al comando di Cosenz, con due ufficiali del suo stato maggiore andò a
Brescia per parlamentare col re, che nel frattempo vi aveva fatto ingresso il giorno 17.
La notizia della battaglia di San Martino e Solferino (24 giugno) raggiunse la brigata mentre
era acquartierata a Bergamo. Da questa città il maggiore Bixio, scrivendo una lettera alla moglie,
affermava: «noi ci fermiamo qui fino tutto il 25 e poi seguitiamo per Lecco e credo dopo per la
Valtellina. ... temo che ci aspetta una guerra insidiosa e misera nelle montagne nevose dello Stelvio
e del Tonale! Eppure il corpo aumenta favolosamente e oggi siamo già almeno 12.000 uomini e
promette di aumentare a maggior numero, se a tutta questa truppa sapranno dare armi e vestiti che
non hanno ancora che in 2.000 in tutto!»
La sera del 26 giugno la brigata, rimessasi in marcia, giunse a Lecco; raggiunta da Garibaldi
proveniente da Como, dove era stato per controllare di persona gli arruolamenti dei nuovi volontari,
con battelli a vapore venne trasportata a Colico. Il 28 giunse a Sondrio, dove incorporò un
battaglione di adolescenti valtellinesi e venne raggiunta da una compagnia del genio formata a
Como da capitano ing. Ravioli e composta da 40 ingegneri laureati; il giorno 30 la brigata si portò a
Tirano dove, dovendo il generale Cialdini ripiegare con la sua divisione su Brescia, Garibaldi venne
incaricato della difesa delle valli bresciane. Medici, nei giorni successivi, impegnò le sue truppe in
alcuni combattimenti (3 e 8 luglio) e riuscì a rincalzare i nemici fino allo Stelvio38.
Aggiunti, verso la metà di luglio, ai primi sei battaglioni gli undici di nuova formazione,
nonché il reggimento dei Cacciatori degli Appennini39, Garibaldi si trovò ad avere al suo comando
cinque reggimenti ordinati su quattro battaglioni ciascuno. Il generale, pertanto, con ben combinate
mosse li fece convergere a occupare e custodire il territorio che gli era stato affidato fin oltre
l’armistizio di Villafranca; il quartier generale venne posto a Lovere; un sottocomando fu affidato a
Medici in Valtellina e un altro a Cosenz in Valle Sabbia; la riserva venne inviata a Como; gli
avamposti furono collocati allo Stelvio, al Tonale, al passo di Maniva e a Rocca d’Anfo.
36
Aiutante maggiore venne nominato il sottotenente Eduardo Mortier, e lo rimase fino a tutto agosto. Il Capitano
anziano era Fabrizi. Il Mortier fu messo agli arresti di rigore ad Iseo per aver effettuato la vendita di un bue per
affrontare le spese necessarie al buon andamento del battaglione di volontari e alla tenuta e pulizia del soldato. Cfr.
MUSEO CENTRALE RISORGIMENTO ROMA, Fondo Coltelletti, b. 575/1(6).
37
Si trattava di 800 uomini coi quali venne formato il 3° Battaglione del 2° Reggimento affidato al Capitano Fanti; di
ulteriori 150 uomini arruolati a Lecco e affidati al Tenente Bottini e, infine, di 110 uomini affidati al Capitano Bossini.
38
Per il dettaglio delle operazioni della brigata in Valtellina cfr. la Relazione del tenente-colonnello Medici sui fatti di
guerra per lui operati in Valtellina in FRANCESCO CARRANO, op. cit., parte III, capitoli II-V. Per la formazione e
l’attività operativa del quarto battaglione del reggimento Medici di nuova formazione cfr. ANTONIO TANTARI, Un
esempio di volontarismo nel Reggimento Medici durante le operazioni in Valtellina nel 1859. Giovanni Pietro
Scarpellini, in "Camicia Rossa", anno XXIX, n. 2-3, aprile-settembre 2009, pp. 25-27. Utili anche ETTORE MAZZALI –
GIULIO SPINI, Storia della Valtellina e della Valchiavenna, vol. III, Sondrio, 1973. Giovanni Visconti Venosta (Milano
1831-1906) venne nominato Regio Commissario Straordinario della Provincia di Valtellina dal 31 maggio al 20 giugno
1859.
39
Istituito il 17 aprile 1859 con R. Decreto, al comando di Boldoni, formato con il Deposito di Acqui: un Reggimento
di 4 battaglioni.
10
Il 12 luglio con Ordine del giorno numero 14 del Comando Generale dell’Armata Sarda
venivano concesse numerose ricompense ai Cacciatori delle Alpi per i fatti d’armi occorsi nei mesi
di maggio, giugno e luglio.
Il giorno precedente Napoleone III aveva firmato a Villafranca l’armistizio con l’imperatore
austriaco Francesco Giuseppe. L’imperatore francese agì senza informare il re Vittorio Emanuele e
neanche il primo ministro Cavour. La delusione per la fine della guerra e per la mancata liberazione
del Veneto fu molto forte e diffusa.
Il volontario lombardo Carlo Sacchi nel duo diario fa emergere chiaramente l’amarezza e la
delusione dei soldati alla notizia dell’armistizio: «allora fu scena di desolazione in tutto il corpo. I
giovani Veneti, quelli dei ducati, il mio Isola, il buon Marchiò, sdegnati e quasi privi di senno,
giravano per la caserma bestemmiando tutte le potenze della terra; non valeva la voce degli amici
che cercavano di consolarli, essi erano disperati. E chi infatti avrebbe potuto consolar quei
giovani, che nel bollore di lor gioventù, sospinti dal patrio amore aveano abbandonati gli agi della
loro esistenza e impugnato un fucile s’erano sobbarcati a quella vita di stenti per liberare la loro
patria da un giogo aborrito, chi dico avrebbe potuto consolarli, ora che dopo tanti sacrificj e tanti
patimenti, al momento in cui si vedevano schiuso il ridente orizzonte a cui aveano sognato, si
trovavano ripiombati ancora sotto l’aborrito giogo, in preda a quei ladroni stessi ch’essi avean
voluto abbattere a scacciare? Oh, la loro desolazione muoveva a pietà, e tutti piangevamo al loro
pianto, facevamo eco alle loro imprecazioni.
Da questo punto la vita del soldato divenne per noi tutti insopportabile, sembrava che un giogo di
ferro ci fosse stato posto sul collo, e ciò che prima facevamo con diletto, ora ci tornava insoffribile.
Angherie ci sembravano i continui appelli, soprusi i mattutini esercizi, insopportabili le guardie, e
tutti i servigi obbligatorii. Da quel punto la demoralizzazione entrò nelle nostre file; più non
eravamo quei soldati vispi ed obbedienti al superiore comando; ad ogni ordine rispondeva
un’imprecazione; i soldati volontari eransi mutati in soldati forzati. A null’altro quindi aspiravamo
che al veder spezzati quei ceppi che tutti avevamo cinti volontariamente; e così coloro che alla voce
della patria erano accorsi volonterosi alle armi, allora non altro sospiravano che un ordine
superiore il quale loro dicesse: ‘Andatevene alle vostre case, non abbiamo più bisogno di voi’.
La disciplina da quel giorno fu messa in non cale, ed i nostri superiori, anche lamentandosi, pur
doveano convenire che noi avevamo ragione»40.
A ciò si aggiunse che, ai primi del mese di agosto, Garibaldi ottenne la dimissione
dall’esercito (decreto reale firmato La Marmora del 7 agosto) e si portò nell’Italia centrale41 per
assumervi il comando delle truppe toscane, seguito da numerosi dei suoi ufficiali.
I Cacciatori delle Alpi furono affidati, quindi, al comando del generale Luigi Bianchis di
Pomarè. Da quel momento numerose si succedettero lo domande di congedo. Il 6 settembre i
Cacciatori delle Alpi furono ridotti ad una brigata di soli due reggimenti che dal maggio1860
assunse il nome di Brigata Alpi.
40
CARLO SACCHI, Diario, in Antologia del Risorgimento italiano, Roma, 1961, p. 448 s.
Le vittorie contro l’Austria avevano infatti provocato una serie di insurrezioni nell’Italia centrale. Le truppe pontificie
repressero le sollevazioni nelle Marche e in Umbria; miglior fortuna ebbero, invece, i moti di liberazione nei ducati
(Parma, Piacenza, Modena, Reggio Emilia governati da duchi e duchesse imparentati con gli Asburgo) a Bologna e in
Toscana. Le sollevazioni si caratterizzarono per una forte corrente politica favorevole all’annessione al Piemonte.
41
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13