Di recente un mio collega, durante la guardia notturna, è stato

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Di recente un mio collega, durante la guardia notturna, è stato
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OGGETTO
TURNI DI GUARDIA E PRONTA DISPONIBILITÀ
QUESITO
(posto in data 4 gennaio 2014)
Lavoro in una struttura complessa di Cardiologia con unità di terapia
intensiva coronarica in un'Azienda Ospedaliera di rilievo nazionale.
Nel nostro ospedale, a parte la nostra struttura con 9 posti di degenza
ordinaria e 12 di UTIC, sono presenti vari reparti di area chirurgica e
medica, nonché il pronto soccorso con annesso reparto di medicina e
chirurgia di urgenza per l'osservazione breve, la Rianimazione ed una
Medicina annessa al dipartimento di emergenza. Di recente un mio
collega, durante la guardia notturna, è stato chiamato per un'urgenza
presso il reparto di ortopedia dall'infermiere di turno in tale reparto
(dove non è presente guardia attiva ma solo pronta disponibilità) su
indicazione dell'ortopedico reperibile che, pur essendo stato allertato,
era rimasto al proprio domicilio suggerendo telefonicamente
all'infermiere di richiedere l'intervento del cardiologo di guardia.
Il collega cardiologo si è posto il triplice quesito:
1) abbandonare il proprio reparto di Terapia Intensiva Coronarica (con
malati estremamente instabili) e recarsi in ortopedia per una urgenza
che non era stata valutata tale dal collega ortopedico (comodamente
a casa) bensì dall'infermiere di turno, con il rischio che durante la
sua assenza uno o più pazienti ricoverati in UTIC andassero incontro
a complicanze gravi se non all'exitus e conseguentemente essere
denunciato per abbandono del proprio posto di lavoro;
2) non andare subito in ortopedia ma pretendere l'intervento
dell'ortopedico reperibile per valutare l'urgenza o meno del caso
clinico e quindi richiedere, a ragion veduta, l'intervento del
cardiologo, con il rischio però di denuncia per omissione di soccorso.
3) richiedere l'intervento del cardiologo in pronta disponibilità perché
valutasse l'urgenza in ortopedia con i tempi della pronta disponibilità
(30 min) ed il rischio che, qualora le condizioni del paziente
ortopedico fossero veramente gravi, scattasse anche in questo caso
la denuncia di omissione di soccorso.
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Purtroppo il caso si è concluso, ancor prima che fosse allertato
il cardiologo in pronta disponibilità ed intervenisse l'ortopedico
reperibile di reparto, con la morte del paziente subito dopo l'arrivo del
rianimatore chiamato anch'esso in urgenza.
Abbiamo a questo punto posto i tre sopra citati quesiti alla nostra
direzione sanitaria ed al direttore del dipartimento di emergenza,
chiedendo altresì se fossero già stati emanati dei protocolli operativi
aziendali al riguardo. i direttori interpellati ci hanno risposto che,
nelle more di approntare dei protocolli operativi in merito alla gestione
delle urgenze specialistiche interne, noi dovevamo uniformarci a quanto
da loro disposto in seguito alla nostra richiesta, ovvero (riporto
testualmente):
1) l'infermiere del reparto non dotato di medico di guardia attiva,
effettuata la valutazione del paziente per il quale ritiene di dover
prestare assistenza diversa dalla routine, avvisa prontamente
il medico reperibile di reparto
2) il medico reperibile di reparto valutato il caso decide se intervenire
direttamente e se nelle more del proprio intervento attivo
(venti/trenta minuti dalla chiamata) allertare le altre figure
specialistiche di riferimento per la patologia valutata
3) nel caso in cui l'intervento per cui viene richiesta l'assistenza o
l'opera dopo opportuna valutazione dei parametri vitali è classificato
quale codice rosso, lo specialista di riferimento a cui viene richiesto
di intervenire (internista, cardiologo, rianimatore), valutate
le condizioni in atto nell'assistenza ai pazienti a lui affidati, è
autorizzato ad assegnare i propri ricoverati al personale
infermieristico di reparto previa allerta del medico reperibile interno.
Quindi sostanzialmente ci viene imposto dal direttore sanitario e dal
direttore del dipartimento di emergenza (nel caso l'infermiere di un
reparto dove non è presente guardia media attiva valuti come codice
rosso un'urgenza insorta nel proprio reparto e ancor prima
dell'intervento del medico di reparto reperibile o del cardiologo
reperibile), di abbandonare la nostra terapia intensiva coronarica (dove,
per definizione stessa, sono ricoverati malati altamente instabili sul
piano clinico ed emodinamico che richiedono un monitoraggio continuo
dei parametri vitali nonché un'assistenza ed una sorveglianza clinica e
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terapeutica continue) e di lasciare i ricoverati all'assistenza dei nostri
Infermieri, a quanto pare più capaci degli infermieri degli altri reparti
di affrontare e risolvere le urgenze che potrebbero incorrere durante
l'assenza del cardiologo di guardia.
È possibile tutto questo? Le risposte che ci sono state date non creano
ulteriore confusione e soprattutto contribuiscono ad elevare la soglia
di rischio per lo stato di salute dei ricoverati presso la nostra UTIC
nonché di denuncie e di problematiche medico-legali per il cardiologo
di guardia? Non sarebbe invece auspicabile la creazione di una guardia
interdivisionale di area chirurgica (attualmente nel nostro ospedale è
presente solo una guardia interdivisionale di area medica ) considerato
che la struttura del nostro ospedale è per padiglioni, distanti tra loro
anche centinaia di metri, e che nel reparto di chirurgia allocato al piano
superiore a quello di ortopedia esiste già una guardia attiva h24?
Esiste qualche spunto nella normativa contrattuale che possa venirci
incontro?
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RISPOSTA
(inviata in data 10 gennaio 2014)
La normativa contrattuale in quanto tale non dà risposta ai quesiti
posti, che chiamano invece in causa linee guida e protocolli operativi
che ogni azienda deve obbligatoriamente adottare, tenendo a tal fine
conto delle linee guida emanate dalle società medico scientifiche .
Il processo di riordino del servizio sanitario nazionale, avviato con
la legge delega 23 ottobre 1992 e che trova nel decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502 il quadro normativo di riferimento generale, è
stato purtroppo interpretato enfatizzandone l’attenzione all’efficienza
ed all’economicità (pur ineludibili al fine di una sostenibilità di lungo
periodo) e trascurando le disposizioni, che pur nel decreto 502 sono
formulate con assoluta chiarezza, che indicano la verifica e revisione
della qualità delle cure come metodo ordinario di governo del sistema.
L’articolo 8 del citato decreto 502 avvia di fatto un processo (che non
è stato ancora compiutamente realizzato) che pone l’accreditamento
istituzionale come prerequisito per l’esercizio delle attività sanitarie
tanto per le strutture private quanto per le strutture pubbliche.
Soltanto quattro anni dopo la data prevista (31 dicembre 1993), è
stato approvato, con il DPR 14 gennaio 1997, l’atto di indirizzo e
coordinamento con il quale si definiscono requisiti strutturali,
tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività
sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private. Tra questi
particolare rilievo rivestono i requisiti organizzativi minimi generali,
che prevedono tra l’altro che In tutte le articolazioni organizzativo
funzionali siano predisposte con gli operatori, linee guida, regolamenti
interni che indichino il processo assistenziale con cui devono essere
gestite le evenienze cliniche più frequenti o di maggiore gravità.
L’adozione di tali linee guida si configura oggi ancor più importante
visto quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 3 del decreto legge 13
settembre 2013, n. 158 (noto come decreto Balduzzi), secondo il quale
l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria
attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.
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Questa è la strada da seguire, con un coinvolgimento diretto del
collegio di direzione, al quale il recente decreto 13 settembre 2012,
n. 158, conferisce lo status di organo aziendale, riformulando
l’articolo 17 del decreto legislativo 502, che nella versione previgente
attribuiva al collegio di direzione funzioni meramente consultive.
Ed in questa direzione può essere molto opportuno un coinvolgimento
delle società medico scientifiche di appartenenza, per dare spessore e
contenuti ad un protocollo di comportamento che deve essere messo
a punto con il più ampio coinvolgimento possibile dei professionisti,
partendo da una analisi delle diverse soluzioni possibili, e valutando
il livello di sicurezza che ciascuna di queste assicura.
In ogni caso il medico di guardia in una unità di terapia intensiva non
può e non deve per nessun motivo abbandonare la propria unità
operativa. Questo si configura come un vincolo ineludibile dal quale
non è possibile prescindere, e dal quale si deve partire per trovare una
soluzione organizzativa che assicuri l’intervento più tempestivo e
qualificato possibile.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
Articolo 8.
Disciplina dei rapporti per l'erogazione delle prestazioni assistenziali
4. Ferma restando la competenza delle regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private, con atto
di indirizzo e coordinamento, emanato d'intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome, sentito il Consiglio superiore di sanità, sono definiti
i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per
l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche
e private e la periodicità dei controlli sulla permanenza dei requisiti
stessi. L'atto di indirizzo e coordinamento è emanato entro il 31
dicembre 1993.
articolo. 10.
Controllo di qualità
1. Allo scopo di garantire la qualità dell'assistenza nei confronti
della generalità dei cittadini, é adottato in via ordinaria il metodo
della verifica e revisione della qualità e della quantità
delle prestazioni, nonché del loro costo, al cui sviluppo devono
risultare funzionali i modelli organizzativi ed i flussi informativi
dei soggetti erogatori e gli istituti normativi regolanti il rapporto
di lavoro del personale dipendente, nonché i rapporti tra soggetti
erogatori, pubblici e privati, ed il Servizio sanitario nazionale.
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Decreto del presidente della repubblica 14 gennaio 1997
Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni
e alle province autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti
strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio
delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private
5) GESTIONE, VALUTAZIONE E MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ,
LINEE GUIDA E REGOLAMENTI INTERNI
La Direzione è responsabile della creazione delle condizioni
organizzative che facilitino e consentano la promozione e il supporto
ad attività valutative e di miglioramento dei processi di erogazione
dei servizi e delle prestazioni, secondo le indicazioni contenute
n questo stesso documento o nella normativa già emanata a livello
nazionale o locale.
In tutti i presidi devono essere attivati programmi di valutazione e
miglioramento delle attività. I programmi vengono selezionati in rapporto alle priorità individuate.
In ogni azienda deve esistere una struttura organizzativa (o un
responsabile in relazione alla complessità della stessa) che presiede
alle attività di valutazione e miglioramento della qualità.
Annualmente ogni struttura organizzativa effettua al proprio interno o
partecipa ad almeno un progetto di valutazione e verifica di qualità
favorendo il coinvolgimento di tutto il personale. Tale attività sarà
utilizzata anche per lo studio dell’appropriatezza nell’utilizzo
delle risorse, con particolare riferimento agli episodi di ricovero e
all’utilizzo di tecnologie complesse.
In tutte le articolazioni organizzativo funzionali è favorito l’utilizzo
delle linee guida predisposte dalle Società scientifiche o da gruppi
di esperti per una buona pratica clinica nelle varie branche specialistiche. Inoltre devono essere predisposte con gli operatori, linee guida,
regolamenti interni che indichino il processo assistenziale con cui
devono essere gestite le evenienze cliniche più frequenti o di maggiore
gravità.
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Ogni struttura organizzativa predispone una raccolta di regolamenti
interni, linee guida, aggiornati per lo svolgimento delle procedure
tecniche più rilevanti (selezionate per rischio, frequenza, costo).
Il personale deve essere informato sull’esistenza di tali documenti, che
sono facilmente accessibili, e che vanno confermati o aggiornati
almeno ogni tre anni.
Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
Articolo 17.
Collegio di direzione
1. Le regioni prevedono l'istituzione, nelle aziende e negli enti del
Servizio sanitario regionale, del collegio di direzione, quale organo
dell'azienda, individuandone la composizione in modo da garantire
la partecipazione di tutte le figure professionali presenti nell’
azienda o nell'ente e disciplinandone le competenze e i criteri
di funzionamento, nonché le relazioni con gli altri organi aziendali.
Il collegio di direzione, in particolare, concorre al governo
delle attività cliniche, partecipa alla pianificazione delle attività,
incluse la ricerca, la didattica, i programmi di formazione e
le soluzioni organizzative per l'attuazione dell'attività liberoprofessionale intramuraria. Nelle aziende ospedaliero universitarie
il collegio di direzione partecipa alla pianificazione delle attività
di ricerca e didattica nell'ambito di quanto definito dall'università;
concorre inoltre allo sviluppo organizzativo e gestionale
delle aziende, con particolare riferimento all'individuazione
di indicatori di risultato clinico assistenziale e di efficienza, nonché
dei requisiti di appropriatezza e di qualità delle prestazioni.
Partecipa altresì alla valutazione interna dei risultati conseguiti
in relazione agli obiettivi prefissati ed é consultato obbligatoriamente dal direttore generale su tutte le questioni attinenti al
governo delle attività cliniche. Ai componenti del predetto collegio
non é corrisposto alcun emolumento, compenso, indennità o
rimborso spese.
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decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158
articolo 3
responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie
1. L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della
propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.
In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043
del codice civile: Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad
altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto
a risarcire il danno. Il giudice, anche nella determinazione del
risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta
di cui al primo periodo.
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