Cultura e politica del liberalismo italiano

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Cultura e politica del liberalismo italiano
N o te e discu ssion i
Cultura e politica del liberalismo italiano
di Loretta R eggiani
In Italia la cultura liberale non è mai assurta ad
un ruolo egemonico, mancando, lo sottolinea­
va Giovanni Sartori in un acuto intervento
dodici anni or sono1 e lo hanno confermato
alcune belle pagine di Raffaele Romanelli2, di
radici autoctone. I liberali dell’Italia risorgi­
mentale prima, ed unitaria poi, attinsero il loro
bagaglio culturale e politico ai paesi d’oltral­
pe, la Francia soprattutto, rimanendo però di­
staccati dalla reale situazione sociale ed eco­
nomica del paese3.
In un recente studio Hartmut Ullrich si è
soffermato assai attentamente sulla connessio­
ne tra ragioni storiche e ragioni culturali che ha
impedito al liberalismo italiano, tra il 1870 ed il
1914, di organizzare un partito di massa della
modernizzazione e della industrializzazione; in­
fatti, alla vigilia della prima guerra mondiale, il
liberalismo italiano non era ancora riuscito a
superare il livello di gruppi di pressione e di
associazioni4.
Consapevole di questi limiti si mostrò Guido
De Ruggiero nella sua Storia del liberalismo
europeo, scritta nel cruciale 1924, pubblicata
l’anno seguente e ristampata varie volte dal
1941 in avanti5. Il filosofo riconosceva il ruolo
modesto del liberalismo italiano nel pili vasto
contesto europeo e ne individuava la causa
nell’incapacità delle classi medie di assumere il
compito di mediazione politica e sociale loro
spettante6. De Ruggiero si congiungeva così al
nodo centrale delle riflessioni del liberalismo
italiano nella prima metà del secolo XX: l’indi­
viduazione, sociologica ed operativa, di “qua-
1 Giovanni Sartori, La cultura liberale in Italia: difficoltà e prospettive, in Liberalismo 70. Roma — Reggio Emilia, Fondazione
Einaudi — Energie Nuove, 1970, pp. 56-64. L’intervento di Sartori sgombra definitivamente il campo da ripetute confusioni tra cultura
ed ideologia liberale.
2 Raffaele Romanelli, Italia Liberale (1860-1900). Bologna, Il Mulino, 1979. Romanelli si occupa diffusamente delle origini della
cultura liberale italiana nel periodo postunitario dei governi della Destra e della Sinistra.
3 Sull’influenza della cultura francese nell’Italia risorgimentale v. Adolfo Omodeo, Studi sull’età della Restaurazione. Torino, Einaudi,
1970. Come ricorda A. Galante Garrone nella prefazione, lo stesso Omodeo rievocando nel 1945 la sua opera, affermava che “si trattava
d’intender l’irrompere del moderno uomo europeo, laico e liberale, dotato del senso della storia e dei problemi della civiltà e già
profondamente differenziato dal filosofo umanitario del Settecento [...]”, p. XIV. La minuziosa ricerca di Omodeo nel “mondo”
francese si riallacciava così alla necessità di meglio illuminare i legami tra Risorgimento ed Europa, tra cultura italiana e cultura europea.
4 Hartmut Ullrich, L'organizzazione politica dei liberali italiani ne! Parlamento e nel Paese (1870-1914), in II liberalismo in Italia e
Germania dalla Rivoluzione del‘48 alla prima guerra mondiale, a cura di Rudolf Lili e Nicola Matteucci. Bologna, Il Mulino, 1980, pp.
403-450. In questo volume si legga anche il saggio di Roberto Ruffilli, Lo Stato Liberale in Italia, pp. 485-506, in cui è affrontato il
problema della debolezza dello Stato liberale italiano con particolare riguardo all’espansione dello Stato amministrativo tramite la
gestione burocratica e alla ricerca di un equilibrio tra decisionismo e costituzionalismo.
5 Guido De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, con prefazione di Eugenio Garin. Milano, Feltrinelli, 1966.
‘ Ivi, capp. IV-V1I, pp. 229-374; 463-473. Secondo l’autore la crisi del liberalismo italiano iniziò con l’avvento della Sinistra storica al
governo, quando alla scarsa vitalità dello spirito liberale si aggiunse l’attenuazione del sentimento giuridico e della correttezza
amministrativa. La stessa Destra non era giunta al potere per la via di uno spontaneo e cosciente sviluppo delle idee liberali, ma “quasi”
con un atto di conquista e durante il suo governo aveva finito per identificare la libertà con lo Stato, vedendo anzi nello Stato la meta
stessa del liberalismo.
“Italia contemporanea”, settembre 1982, fase. 148
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Loretta Reggiani
le” borghesia fosse in grado di accogliere e
sviluppare il messaggio liberale. Negli anni in
cui De Ruggiero scrisse la sua opera, la necessi­
tà di indicare cause e rimedi alla crisi del libera­
lismo si presentava urgente: le conseguenze del­
la mancata fusione tra l’ideologia liberale, cul­
turalmente europea, e la realtà della prassi poli­
tica italiana, già evidenti nel periodo postunita­
rio, non solo si erano acutizzate, ma erano
addirittura giunte al punto critico di rottura. La
soluzione proposta da De Ruggiero poggiava
sulla formazione di un “blocco” borghese che,
riassorbendo le diverse componenti, assumesse
un ruolo di centralità nell’ambito del sistema
politico. L’obiettivo era la realizzazione di una
democrazia liberale che, pur nel rispetto delle
esigenze della collettività, proprie dei nostri
tempi, eliminasse, col correttivo liberale, il peri­
colo della massificazione. Il partito liberale
avrebbe avuto un compito di mediazione poli­
tica parallelo a quello riservato alle classi me­
die7.
A differenza di intellettuali come Gobetti,
Dorso e Burzio che, per puntualizzare il nesso
riforma morale/rinnovamento radicale della
classe politica liberale, tentarono una nuova e
più dinamica interpretazione della struttura
delle classi sociali, l’analisi di De Ruggiero si
rivela carente proprio sul terreno della ricerca
delle radici storiche della borghesia, come os­
serva anche Manlio Di Lalla8. Tale limite si
pone, considerando l’intero percorso ideologi­
co del filosofo, in logica coerenza col rifiuto
assoluto della divisione della società in classi,
tanto che per De Ruggiero la borghesia ha
sbagliato nell’accettare il fascismo proprio per­
ché con esso ha riconosciuto la propria costitu­
zione in classe9.
Ciò nonostante, il libro del De Ruggiero fu
considerato dalle generazioni liberali del se­
condo dopoguerra un testo base, addirittura
indicatore di una precisa strategia politica10.
Ora, proprio perché i problemi presentatisi al
liberalismo italiano alla caduta del fascismo
erano gli stessi indicati dal filosofo venti anni
prima, anzi si erano accentuati, le soluzioni
proposte per affrontarli risentivano ancor più
delle insufficienze già allora manifestatesi. In­
fatti, con l’avvento dei grandi partiti di massa lo
spazio di penetrazione della cultura liberale
risultò ancor più ristretto, mentre il liberalismo
politico si rivelò spesso incapace non solo di
aderire, ma anche di comprendere le novità
sociali del dopoguerra. Ciò derivava in massi­
ma parte dalla frequente incomprensione di
quei mutamenti economici, e quindi sociali,
che, sviluppatisi nel corso della trasformazione
capitalistica del paese, erano giunti a compi­
mento durante il ventennio fascista; per molti
liberali il fascismo era stato una parentesi di
illibertà politica, tolta e dimenticata la quale
tutto sarebbe tornato a funzionare come pri­
ma. La debolezza del liberalismo si rivelò pie­
namente nel periodo del centrismo degasperiano: la tradizionale avversione e le critiche al
sistema dei partiti si trasformarono spesso in
sterile demagogismo politico, mentre l’errata
analisi della struttura sociale, fissata entro
schemi prefascisti, portò a sottovalutare per
lungo tempo la capillarità del controllo democristiano e clericale, specialmente su quei ceti
medi il cui consenso venne organizzato attra­
verso istituzioni sempre più inserite nella sfera
di potere del partito di governo.
La ricerca storica italiana, tanto versatile nel­
l’analisi politica ed economica del primo de-
7 De Ruggiero dimostrò simpatia per il gruppo di “Democrazia liberale” di G. Amendola, in cui vedeva l’unico nucleo liberale non
chiuso in rigide, antiquate e snaturanti cittadelle conservatrici. V. Guido De Ruggiero, Democrazia Liberale, “Il Tempo”, 15 gennaio
1920 ed Impressioni politiche della nuova Camera, “Rivista di Milano”, 20 gennaio 1920.
8 Manlio Di Lalla, Storia del liberalismo Italiano. Roma-Bologna, Fondazione L. Einaudi - ISML- Sansoni, 1976, pp. 331-339.
9 Sulla formazione ideologica di De Ruggiero v. il recente libro di Clementina Gily Reda, Guido De Ruggiero: un ritratto filosofico.
Napoli, Sen, 1981, che contiene una dettagliata rassegna bibliografica sul filosofo e le sue opere.
10 V. l’introduzione dello stesso De Ruggiero all’edizione del 1949 in cui l’autore accenna al successo dell’opera negli anni quaranta.
Cultura e politica del liberalismo
cennio repubblicano, non ha ancora affrontato
in maniera sistematica il tema del ruolo del
liberalismo in quel periodo, né dal punto di
vista politico, né tantomeno da quello cultura­
le. Gli aspetti da prendere in considerazione
sono certo molteplici. Tenendo conto che i
fondi archivistici ancora inesplorati potrebbero
riservare notevoli sorprese, le fonti attualmente
disponibili, di qualsiasi tipo, non sono molto
estese: ulteriore prova, questa, dell’attenzione
marginale riservata in Italia all’intera cultura
liberale.
Ed è proprio dalla cultura, intesa nel senso
più ampio, che converrebbe iniziare a sondare
il terreno tenendo ben presente che in questo
campo le possibilità di incontri ed interferenze
possono essere numerose.
Nel secondo dopoguerra la cultura liberale
presentava almeno due aspetti; quello dell’idea­
lismo crociano, con cui si era incontrata agli
inizi del secolo, e quello delle esperienze e dei
cambiamenti, a volte si era trattato di vere e
proprie rotture, avvenuti negli anni trenta e
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quaranta, nel periodo della clandestinità e della
fase più dura della lotta antifascista, attraverso
la nascita del liberalsocialismo di Guido Calo­
gero, del socialismo liberale di Carlo Rosselli e
infine del Partito d’Azione. Per quest’ultimo il
riferimento è alle formulazioni e ai programmi
elaborati dal gruppo moderato, in cui milita­
vano, tra gli altri, A. Omodeo, M. Paggi e L.
Salvatorelli; tribuna di discussione delle idee
azioniste fu la rivista “Lo stato moderno”, di
cui avremo occasione di riparlare in seguito".
Benedetto Croce, in verità, era nato come
“filosofo della libertà” soltanto nel 1924; e fu
appunto da quell’anno che il filosofo procedet­
te ad una precisa analisi dell’ideologia libera­
le1112. Ancora l’anno prima, nel 1923, in un’inter­
vista al “Giornale d’Italia”, Croce aveva spiega­
to la propria adesione al liberalismo come mos­
sa da un intimo senso di appartenenza ad un
mondo genericamente borghese13. L’identifica­
zione della fede nella libertà con la fede politica
dei liberali avvenne solo quando il fascismo gli
si rivelò non già un regime capace di restaurare
11 Sarebbe infatti estremamente opportuna un’accurata ricostruzione delle fasi di formazione e sviluppo del liberalsocialismo, ai cui
connotati ideologici — almeno in parte — si rifecero talune frange liberali degli anni ’50 spesso considerate “eretiche”. Sul
liberalsocialismo v. Riccardo Bauer, Parlilo dAzione, Liberalismo e Liberismo. “Quaderni dell’Italia Libera”, Partito d’Azione, 1944,
n. 39; Guido Calogero, Difesa del liberalsocialismo. Roma, Atlantica, 1945, ora ripubblicato in Difesa de! liberalsocialismo ed altri
saggi. Milano, Marzorati, 1972; Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia cfItalia. Attualità dei Fratelli Rosselli a
quarantanni dal loro sacrificio. Atti del Convegno Intemazionale organizzato a Firenze il 10-12 giugno 1977. Firenze, La Nuova Italia,
1978, in particolare la parte IV, pp. 415-436, cioè le relazioni di Mario Delle Piane, Rapporti tra socialismo liberale e liberalsocialismo e
di Tristano Codignola, Giustizia e Libertà e Partito dAzione. Ed anche: Elena Aga Rossi, Il movimento repubblicano. Giustizia e
Libertà e il Partito dAzione. Bologna, Cappelli, 1969; Leo Valiani-Gianfranco Bianchi-Emesto Ragionieri, Azionisti cattolici e
comunisti nella Resistenza. Milano, Angeli, 1971, pp. 13-148; Emilio Lussu, Sul Partito dAzione e gli altri. Milano, Mursia, 1968. È
infine qui opportuno citare la recente raccolta degli atti del convegno, tenutosi a Milano il 10-11 dicembre 1979, dedicato a Socialismo
liberale Liberalismo sociale. Esperienze e confronti in Europa. Bologna, Forni, 1981. È impossibile ricordare in questa sede tutti gli
interventi — ben un’ottantina — ed i contributi bibliografici, otto, relativi all’intera area europea; basti dire che per quanto concerne
l’Italia — e la tematica che ci interessa — la parte più notevole, e da non trascurare, è la prima, relativa a La storia e le idee (pp. 29-117) in
cui, accanto ai ricordi biografici di alcuni protagonisti, come G. Calogero, A. Garosci e L. Valiani, si trovano relazioni riguardanti la
lunga storia dei non sempre facili rapporti — anche sul piano dello scambio delle idee — fra socialismo e liberalismo.
12 Sull’analisi del liberalismo condotta da B. Croce dal 1924 in avanti, v. l’intervista rilasciata al “Giornale d’Italia” nel luglio 1924, ora
in: Pagine Sparse. Napoli, Ricciardi, 1943, voi. 2, p. 377; La protesta contro il “Manifesto" degli intellettualifascisti, “La critica”, 1925,
ora in: Pagine sparse, cit., voi. 2, pp. 380-383. Ed anche: Ilpresuppostofilosofico della concezione liberale, in: A tti dell’Accademia di
Scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli ( 1927); ora in: Etica e Politica, Bari, Laterza, 1956 (2 ed. 1967), pp. 291-300. (La
concezione liberate come concezione della vita). Nel suo già citato intervento G. Sartori si diceva d’accordo con Norberto Bobbio nel
ritenere che Croce “non poteva capire né accogliere la dottrina liberale nella misura (grandissima) in cui il liberalismo è una teoria
empirica sui mezzi e sui dispositivi di sicurezza della politica”. Di G. Sartori v. anche: Stato e politica nelpensiero di Benedetto Croce.
Napoli, Morano, 1966. Di Norberto Bobbio v. Benedetto Croce e il liberalismo, in: Politica e cultura. Torino, Einaudi, 1955, pp.
211-268.
13 Intervista al “Giornale d’Italia” del 27 ottobre 1923, ora in: Pagine sparse, cit., voi. 2, p. 371. V. anche la lettera a Vittorio Enzo Alfieri:
Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952). Milazzo, Nuova Sicilia Editrice, 1976, p. 5.
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Loretta Reggiani
l’ordine prebellico, bensì una dittatura abnor­
me e rozza, nemica della stessa cultura ideali­
sta14.
Michele Abbate, in Lafilosofia di Benedetto
Croce e la crisi della società italiana (in cui sono
messi in luce i nessi tra il pensiero crociano e la
realtà politica e sociale degli anni che precedo­
no il fascismo) sottolinea il rifiuto da parte di
Croce di ricercare le cause del fascismo nella
società preesistente; il fascismo entrava così
nella storiografia idealista come un fenomeno
transitorio, privo di collegamenti e richiami col
passato politico italiano15.
Qùesti accenni agli anni venti sono indispen­
sabili per affrontare il pensiero crociano nel
secondo dopoguerra, i cui addentellati col pas­
sato sono continui e decisivi. Non a caso negli
anni cinquanta ebbe varie riedizioni Etica e
politica, apparso nel 1930; in quest’opera sono
compresi Gli elem enti di politica scritti nel
1924, autentica dichiarazione di principi di
Croce, di cui vanno rilette in particolare le
pagine dedicate ai partiti politici16; negli stessi
anni il filosofo aveva tentato, in Cultura e vita
morale, di identificare il ceto culturale con un
non ben definito ceto medio, ed il partito libera­
le sarebbe potuto divenire una specie di "super
partito”, in quanto partito della cultura soste­
nuto e composto da un’astratta “intellighen­
zia”17.
Per ricostruire le fasi del pensiero crociano
nel periodo postfascista si dovrebbe inoltre risa­
lire agli scritti del 1942-44: Perché non possia­
m o non dirci cristiani, Per la storia del com u­
niSmo in quanto realtà politica, La terza via e
L ’Idea liberale contro le confusioni e gli ibridi­
sm i18. Occorre prestare molta attenzione a que­
ste pagine, di cui Sandro Setta mette in luce
aspetti del tutto inediti, osservando come per
Croce il rinnovamento del liberalismo sarebbe
dovuto passare attraverso l’accogliemento del
principio socialista della giustizia sociale19. Il
riformismo crociano degli anni 1943-44, affer­
ma Setta, giungeva ad una posizione di neutra­
lità “benevola nei confronti dei comunisti, em­
blematica e diffidente nei confronti dei cattolici
in quanto clericali”20.
Sempre Setta si è diffusamente occupato del
ruolo del crocianesimo nella cultura del secon­
do dopoguerra, cercando di ricostruire la rea­
zione negativa di cui fu oggetto sia da parte
marxista che cattolica21. In verità, un parziale
abbandono del rifiuto opposto dall’area di sini­
stra si ebbe, nel 1947, con l’inizio della pubbli­
cazione degli scritti dal carcere di Antonio
Gramsci, il quale, riconoscendo l’importanza
14 V. Affacendamemi inutili e malgraditi, in: Pagine sparse, cit., voi. 2, p. 390.
15 Michele Abbate, Lafilosofia di Benedetto Croce e la crisi della società italiana. Torino, Einaudi, 1966, p. 100; v. anche la prefazione di
B. Croce al libro di Enzo Santarelli, LIproblema della libertà politica in Italia. Pesaro, 1946, p. 9.
16 Etica e politica, cit., il libro raccoglie i Frammenti dipolitica del 1924, gli Aspetti morati della vita politica del 1928, il Contributo alla
critica di me stesso del lontano 1915, ma pubblicato per la prima volta nel 1918, con un’appendice del 1945. V. in particolare La
concezione liberale come concezione della vita in cui si trova la critica della “meccanicistica” costruzione dell’eguaglianza operata dal
democraticismo. Interessante ai fini della ricostruzione dei connotati di una stessa storiografia “liberale” v.: Di un equivoco concetto
storico: la "Borghesia", in cui Croce definisce il termine borghesia astratto, pseudoscientifico, causa di confusioni in campo economico e
sociale.
17 Benedetto Croce, Cultura e vita morale, Bari, Laterza, 1926, p. 285. A questo proposito v. Norberto Bobbio, Politica e cultura, cit., in
particolare Benedetto Croce e il liberalismo, cit., e Intellettuali e vita politica, pp. 121-138 in cui si parla appunto del sopra ricordato
tentativo crociano. Nel 1954-55 sulle pagine di “Nuovi argomenti” e di “ Rinascita” nel corso di una polemica con Bobbio sul rapporto
tra liberalismo, democrazia e comuniSmo, Togliatti contestava al liberalismo il merito storico di aver fatto da argine alla dittatura, tanto
meno in Italia ed affermava che “la storia e il presente non vanno giudicate sulla base di astratte considerazioni giuridiche e formali,
bensì su quella delle reali trasformazioni economiche e sociali”.
18 I primi due scritti, del 1943, sono ora in: Discorsi di variafilosofia. Bari, Laterza, 1959, voi. 1, pp. 11-23; 227 e sgg. Gli altri due fanno
parte di una serie di opuscoli usciti a Napoli nel 1943-45; La terza via era in appendice a: Per una storia del comuniSmo in quanto realtà
politica. Bari, Laterza, 1944, (estratto da: “La Critica” del 20 marzo 1943). L’idea liberale contro le confusioni e gli ibridismi. Scritti vari.
Bari, Laterza, 1944.
19 Sandro Setta, Croce il liberalismo e l’Italia post-fascista. Roma, Bonacci, 1979, pp. 27-40.
20 Ivi, p. 37.
21 Ivi, in particolare i capp. 13-14, pp. 157-195.
Cultura e politica del liberalismo
del pensiero crociano nella storia della cultura
italiana, giungeva a paragonarne la funzione a
quella della filosofia classica tedesca22.
Il pensiero gramsciano volto all’analisi criti­
ca, aU’assimilazione per superamento dialettico
di ciò che di vitale vi era nel messaggio crociano
ed idealista, aderiva alla politica del “partito
nuovo” e della "via italiana al socialismo” por­
tata allora avanti da Togliatti; per il marxismo
si trattava di ricollegarsi alla grande tradizione
culturale italiana, di “costruire”, partendo da
essa, una nuova cultura capace di fornire al
proletariato gli strumenti ideologici atti al rag­
giungimento della sua egemonia culturale23. Il
proletariato sarebbe stato la classe guida di tale
percorso ma non isolatamente, bensì con rap­
porto delle altre forze sociali ed intellettuali
protagoniste della storia del paese; in tale pro­
spettiva veniva a collocarsi politicamente il ri­
cupero dialettico del crocianesimo24.
In generale si rimproverava, e non a torto,
alla cultura crociana il preteso distacco dalla
politica e soprattutto quella sorta di monopo­
lio, di “assolutismo intellettuale” — come lo
definì Ranuccio Bianchi Bandinelli — esercitati
a lungo con piglio e decisione25; ciò che colpiva
forse di più era, come ha osservato Garin, la
mancata consapevolezza da parte di Croce di
quanto la sua opera fosse stata “partigiana” e
pratica e ciò mentre egli stesso invitava a non
confondere il pratico col teoretico26. Certo è
che Croce aveva indicato nuove strade a quasi
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tutte le discipline umanistiche (eccetto la peda­
gogia, che non lo interessò mai molto), e che la
sua influenza su diverse generazioni di intellet­
tuali (basti ricordare la cospicua raccolta di
scritti in suo onore apparsa nel 1950 a cura di
Raffaele Mattioli e Carlo Antoni e nella quale
si ritrovano i nomi di Federico Chabod, Luigi
Salvatorelli, Guido Calogero, Guido De Rug­
giero, Ernesto Sestan, Luigi Einaudi)27 fu tale
da riconoscergli un ruolo di maestro, spesso
anticipatore di indirizzi metodologici poi a lun­
go seguiti28.
Ma gli intellettuali “nuovi” del dopoguerra,
portavoce di un radicale rinnovamento di tutte
le forme ed espressioni culturali, dalla letteratu­
ra al cinema, Vittorini ad esempio, intendevano
diversamente il rapporto intellettuale/società.
Nel disegno culturale proposto dal “Politecni­
co”, l’autonomia della cultura che “tanto più
arricchisce la politica, e dunque la storia, quan­
to meno è politicizzata”, è sì una tesi di natura
liberale, come ha puntualizzato Alberto Asor
Rosa, ma non finisce col relegare l’attività cul­
turale in un ruolo subalterno alla politica, per­
ché è anzi nel rispetto di tale esigenza che l’intel­
lettuale può e deve svolgere il proprio compito
rivoluzionario col porre in primo piano necessi­
tà “diverse, intime, segrete, recondite” e perciò
rivoluzionarie; a ciò si aggiungano le peculiari
componenti umanitarie e sociali dell’ideologia
vittoriniana29.
Naturalmente il rilevato distacco culturale e
22 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere. Torino, Istituto Gramsci-Einaudi, 1975, a cura di Valentino Gerratana, voi. 2, quaderno 10,
1932-1935, pp. 1233-34.
23 Sandro Setta, Croce e il liberalismo, cit., p. 163.
24 A questo proposito v. anche: Paimiro Togliatti, Rileggendo ¡"‘Ordine Nuovo", “Rinascita”, 18 gennaio 1964, ricordato anche da
Setta: Croce e il liberalismo, cit., pp. 163-164.
25 Ranuccio Bianchi Bandinelli, A che serve la storia dell’arte antica?, “Società”, gennaio-giugno 1945, nn. 1-2, pp. II.
26 Eugenio Garin, Cronache difilosofia italiana. 1900-1943. In appendice "Quindici anni dopo 1945/1960”. Bari, Laterza, 1960.
27 Raffaele Mattioli-Carlo Antoni, 50 anni di vita intellettuale italiana 1896-1946. Napoli, ESI, 1950, 2 voli.
28 Esemplare il saggio di Luigi Einaudi, La scienza economica, in cui l’autore si rifà soprattutto al primo periodo crociano.
M Alberto Asor Rosa, Politica e cultura, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, voi. 4, tomo 2, cap. 7, pp. 1596-1608 in cui è ripresa la
polemica Vittorini - Pei sull’autonomia della cultura; nel nn. 31-32 del “Politecnico” del luglio-agosto 1946 apparve, nella rubrica
“Risposte ai lettori" una replica di Vittorini, appunto dal titolo Politica e cultura, alle affermazioni di Mario Alicata sul nn. 5-6 di
“ Rinascita”; Vittorini ribadiva la distinzione tra la politica che agisce sul piano della cronaca e la cultura che agisce su quello della storia.
Sul n. 10 della rivista comunista intervenne poi anche Togliatti al quale Vittorini rispose sul “Politecnico” n. 35 del gennaio-marzo 1947,
affermando: “la politica, dunque, è storia non meno della cultura. Solo che la cultura è storia che si svolge in funzione della storia e la
politica è storia che passa attraverso tutto il piano di necessità anche spicciolo della cronaca”. Ciò per ricordare l’atmosfera del dibattito
culturale in cui veniva ad inserirsi lo stesso crocianesimo.
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Loretta Reggiani
generazionale tra Croce ed il nuovo ambiente
intellettuale dei primi anni del dopoguerra, non
era sentito, ed espresso, da una sola delle parti;
gli scritti del filosofo sono testimoni del trava­
glio di Croce di fronte ad un’Italia molto diver­
sa rispetto ad un passato da lui vissuto tanto
intensamente.
Dal diario del 1943-44 emerge un Croce
ormai anziano, ma non per questo restio ad
affrontare i disagi dell’attività politica; ma ne
esce, ed è forse questo il dato più importante, il
ritratto culturale di un’intera epoca, laddove, in
data 27 luglio 1943, Croce scriveva: “il fascismo
mi appare già un passato, un ciclo chiuso, e io
non assaporo il piacere della vendetta”30.
L’interpretazione del fascismo come degene­
razione in contrapposizione ad una mitica Ita­
lia prefascista è generale nella cultura liberale
del tempo. A questo proposito è da ricordare la
polemica svoltasi su tale argomento tra Croce e
Parri nel 1945: essa pose a confronto due gene­
razioni di intellettuali e politici profondamente
— ed irreparabilmente — diverse tra loro31.
Ciò che caratterizzava la cultura liberale era
l’incapacità di comprendere fino in fondo — e
quindi di farsene carico — i mutamenti che
stavano avvenendo nel paese. Non a caso gli
scritti di Croce divennero gradatamente sem­
pre più pessimisti: nella Considerazione sul
problem a morale dei nostri tem pi (scritto nel
dicembre 1944 e pubblicato nel 1945) comincia
ad emergere l’idea di una crisi morale generata
dall’irrazionalismo, dall’“attivismo”32.
Il tema sarà ripreso nel 1946 in La fin e della
civiltà e
Anticristo, in cui l’immagine apo­
calittica si identifica con l’irrazionalismo latente
in ogni individuo33. La materializzazione del­
l’irrazionalismo in fenomeni collettivi è per
Croce il “totalitarismo”, termine che accomuna
comuniSmo, fascismo e razzismo, ossia ogni
ideologia che ponga se stessa “come un univer­
sale senza individualizzamento”34. Dopo aver
interpretato il fascismo come una temporanea
“deviazione”, il filosofo abruzzese lo considera
ora una vera e propria Weltanschauung irra­
zionalista, di cui la massa è il pulsore; l’identifica­
zione massa/irrazionalismo ricompone il di­
scorso nei suoi termini esatti: il comuniSmo è
movimento di massa e quindi appartiene alla
stessa categoria del fascismo. Ma tale identifi­
cazione rappresenta anche l’estremo tentativo
crociano di esorcizzare la paura che suscita
nella tradizione culturale in cui egli si riconosce,
la nuova società politica di massa del dopo-
30 Scrini e discorsipolitici (1943-1947). Bari, Laterza, 1963,2 voli. 11diario fa parte di Quando l’Italia era tagliata in due. Estratto di un
diario (luglio 1943-giugno 1944). Bari, Laterza, 1948. Una moltitudine di personaggi si recò in visita a Croce nella sua residenza di Capri,
tra i quali Omodeo, Tarchiani, Pavone, Max Salvadori, Cianca e parecchi membri dello Stato Maggiore Americano.
31 Sandro Setta, Croce-Parri, cronaca di una polemica, “Rivista di studi crociani”, gennaio-marzo 1970, n. 1, pp. 98-105; ora in: Croce il
liberalismo, cit., pp. 98-114.
32 In “Quaderni della critica”, marzo 1945; poi in: Pensiero politico e politica attuale. Scritti e discorsi. Bari, Laterza, 1945, pp. 139-159.
33 La fine della civiltà è una conferenza tenuta a Torino il 28 ottobre 1946; insieme a L'Anticristo che è in noi si trova in Filosofia e
storiografia. Bari, Laterza, 1949. Sul tema Croce e l’irrazionalismo oltre a Setta v. Nicola Matteucci, Benedetto Croce e la crisi
dell’Europa, “1! Mulino", gennaio 1967, n. 1, pp. 84-104.
34 Una curiosità: nello stesso anno deiTAnticristo, fu pubblicato in “Ausätze zur Zeitgeschichte” (Zurigo) Wotan di Carl Gustav Jung,
scritto nel 1936, in cui lo psicanalista sosteneva che il nazismo, movimento di massa che trova esplicazione nella politica di piazza, era
una materializzazione in fenomeni collettivi delle componenti dell’anima umana; per l’autore il nazismo era soltanto ad uno stadio
iniziale di uno sviluppo i cui risultati erano ancora inimmaginabili. La tesi di Jung metteva però in luce solo uno fra i tanti elementi che
contraddistinsero il nazismo, oltre tutto ben presto istituzionalizzato dal regime. Anche Croce prende in considerazione solo il lato
“emozionale” del fascismo, tralasciando di considerare il ruolo primario svolto dalle componenti economiche e politiche. Nella sua
analisi non vi sono coinvolgimenti pericolosi, la borghesia in quanto classe è completamente rimossa.
Cultura e politica del liberalismo
guerra; come ogni “devianza”, la massa orga­
nizzata è isolata, diremmo internata, nella sfera
dell’irrazionale, nel regno della follia35.
Negli stessi anni, è opportuno ricordarlo,
anche Guido De Ruggiero riconosceva, alla
luce degli sconvolgimenti che avevano accom­
pagnato e seguito il conflitto mondiale, l’appa­
rente assurdità di un’assoluta fiducia nel trionfo
della ragione e della libertà, da lui stesso espres­
sa nella Storia del liberalismo europeo; tutta­
via, era la stessa presenza di quei valori nel
proprio spirito ad offrire al filosofo una “sicura
testimonianza del loro diritto” e quindi di
"quella storia ideale eterna che vive nel nostro
spirito”36.
Un altro “nodo” da sciogliere sarebbe quello
dei rapporti tra liberismo e liberalismo. Intorno
a questo problema, nel 1957 furono raccolti in
volume alcuni scritti di Croce ed Einaudi; vi si
ritrovano quasi tutti gli interventi (dagli anni
venti in poi) dei due “maestri”, o meglio — e ciò
vale soprattutto per Croce — sull’intera ideolo­
67
gia liberale così come si è andata evolvendo nel
corso del secolo XX37.
Ai fini della ricostruzione di una storia del
liberalismo queste pagine non possono essere
certamente tralasciate; il dibattito liberismo/li­
beralismo fu infatti piuttosto acceso all’interno
del movimento liberale per tutto il periodo del
dopoguerra ed i referenti della discussione an­
drebbero senza dubbio estesi ad altri protago­
nisti oltre Croce ed Einaudi38. Il riproporre,
proprio negli anni cinquanta scritti come quelli
ora ricordati era forse indice di una specie di
autoanalisi da parte dello stesso movimento
liberale, teso a ricercare le origini e le risposte ad
una crisi che allora travagliava sia il momento
dell’elaborazione ideologica, sia quello dell’ini­
ziativa politica39. Dalla lettura dei brani di Cro­
ce si comprende come il liberalismo sia stato
per la maggior parte dei suoi aderenti, educati
dall’idealismo, un modo di vivere, una dottrina
etica. Per Croce esso era infatti una forma
generatrice appartenente alla sfera etica; per
35 La teoria del totalitarismo è stata poi sviluppata da studiosi liberali americani, come Hannah Arendt e J. Talmon che riunendo sotto
il medesimo marchio Stalin e Hitler, e tutto ciò che non rientra nelle tradizioni liberali — parlamentari, hanno sottovalutato l’appello
alla ragione da parte dei movimenti di sinistra, a cui si contrappongono nettamente le mistiche nazionali e le “emozioni” dei vari
fascismi. V. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo Milano, Comunità, 1967; Jacob L. Talmon, Le origini della democrazia
totalitaria. Bologna, Il Mulino, 1967.
La teoria del totalitarismo è stata oggetto di una critica particolare da parte dei nouveaux philosophes. André Glucksmann afferma che
tale teoria sbaglia non nella generalizzazione, bensì nell’esclusione, dimenticando, cioè, il totalitarismo di casa propria; il totalitarismo è
ovunque, differiscono soltanto le condizioni nelle quali si può combatterlo. V. André Glucksmann, Ipadroni de!pensiero. Milano,
Garzanti, 1981, in particolare La rifinitura della storia, pp. 261-282.
36 Guido De Ruggiero, Il ritorno della ragione, Bari, Laterza, 1946, ed. anche nel 1960. V. anche Eugenio Garin, Cronache, cit., pp.
385-388.
37 Benedetto Croce-Luigi Einaudi, Liberismo e liberalismo, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957, pp. 207.
38 Su Croce e il liberalismo v. Wilhelm Roepke, Liberismo e liberalismo, in: Omaggio a Croce, “La tribuna”, Roma, 20 dicembre 1962,
n. 24, pp. 27-29; l’economista tedesco, di cui si riparlerà più avanti e le cui teorie ebbero un notevole seguito negli ambienti liberali del
tempo, tenta un congiungimento con Croce rifacendosi alla propria teoria secondo la quale l’economia di mercato dovrebbe essere
difesa come condizione di una società libera, anche se non fosse il sistema più efficiente sotto l’aspetto puramente economico. V. i
numerosi articoli che Roepke pubblicò sul “Mondo”, soprattutto nei primi anni di vita del settimanale, ad esempio: Europa in gabbia,
19 febbraio 1949; L'economia del carnefice, 21 maggio 1949; L’arroganza degli uffici, 9 luglio 1949; L’economia incatenata, 15 ottobre
1949; Paneuropa un’utopia, 31 dicembre 1949; Verità ed errore, 10 gennaio 1953.
39 Vale forse la pena di richiamare sommariamente le vicende del Pii in questi anni. Nel 1943 il Pii fu rifondato da gruppi di diversa
provenienza ed impostazione ideologica. I contrasti ideologici raggiunsero l’apice nel 1947, quando, al IV Congresso nazionale, risultò
maggioritaria la mozione dell’ala destra e molti esponenti della linea minoritaria centrista e della corrente della cosiddetta “sinistra”
uscirono dal partito. Nel 1948 il monarchico Lucifero lasciò la segreteria al centrista Villabruna e nel 1951 rientrarono nel partito gli
scissionisti del ’47; tra i più qualificanti punti programmatici annunciati in occasione della “riunificazione liberale” figurava l’alleanza
con gli altri partiti laici, fondata sui tradizionali principi liberali, ma interpretati con una maggiore sensibilità per i problemi sociali
dell’Italia dei nuovi anni cinquanta. La collaborazione centrista fu ricercata, anche se con scarsi risultati nelle elezioni amministrative del
1951-52. In ogni caso, in quel periodo, iniziò in tutto il “mondo” liberale una ripresa sia organizzativa che di contenuti politici. Il nuovo
legame con la borghesia imprenditoriale settentrionale sarà, infatti, un elemento determinante della nuova e dinamica segreteria di
Malagodi, segnando un vero e proprio “nuovo corso” nella storia del liberalismo politico italiano.
68
Loretta Reggiani
questo, porlo in diretto rapporto di dipendenza
con particolari sistemi economici, quali appun­
to il liberismo, avrebbe significato identificare
erroneamente due ordini diversi, materializzare
la libertà “negando e corrompendo il suo carat­
tere di idealità e virtù morale”40.
Gli scritti crociani forse più significativi rac­
colti in Liberismo e liberalismo appartengono
alla Storia d’Europa nel secolo decimonono,
punto di riferimento per intere generazioni di
liberali, molti dei quali, nel dopoguerra, consi­
derarono un vero appello politico l’epilogo,
laddove Croce si diceva convinto che il libera­
lismo non avrebbe potuto tornare sic et sempliciter al passato, ma avrebbe dovuto dare vita a
nuove istituzioni, “insinuarsi attraverso classi
dirigenti e politiche del tutto nuove”41.
La parte einaudiana dell’antologia esprime
tutt’altro intendimento, rivolta com’è ad indi­
care modi e mezzi di una libertà quotidiana, da
honnêtes gens, ma allo stesso tempo più imme­
diatamente aderente all’esigenza del movimen­
to liberale di formulare concreti ed efficaci pro­
grammi politici. Einaudi non contestava affat­
to la tesi crociana della superiorità del libera­
lismo rispetto al liberismo, ma considerava
questo non un principio economico, bensì una
“soluzione concreta”, un mezzo atto a creare
una società di uomini liberi e creativi. Il contra­
sto con Croce si accentuava quando l’economi­
sta, ritenendo impensabile operare distinzioni e
scissioni tra le singole “libertà”, affermava che
‘’l’idea di libertà vive sì indipendente dal libe­
rismo economico, ma non si attua se non
quando gli uomini non creano un’organizza­
zione economica adatta alla vita libera”42.
Anche per Einaudi, come già per Croce, i
brani riportati nel volume ricordato conduco­
no il lettore ben al di là della questione
liberismo-liberalismo, finendo per introdurlo
nel più complesso edificio teorico costruito dal­
l’economista nel corso della sua lunga carriera
scientifica e politica. Il termine liberismo ben
poco spiega, in verità, dell’insieme delle teorie
einaudiane: il Ubero mercato a cui fa riferimen­
to Einaudi è, infatti, il risultato deU’incontro e
deU’incastro dei piani elaborati da ogni sogget­
to economico in quanto tale43. Per poter poi
realmente attuare la Ubera e piena concorrenza
occorre accettare certi vincoli giuridici che essa
comporta; negU anni del dopoguerra Einaudi
arricchirà il suo neoUberismo di anaUtiche pre­
cisazioni riguardo modi, tipi e Umiti di interven­
to deUo Stato, intesi ad eUminare monopoli
artificiali, e perciò iUiberaU, e a garantirne, in­
vece, altri naturaU44.
Il Uberismo è uno dei passaggi obbUgati per
ripercorrere il flusso, spesso agitato e confuso,
del liberaUsmo italiano, ed Einaudi ne rimane il
maggior esponente — ideologo e aUo stesso
tempo “propagandista”; per una meno fram­
mentaria conoscenza del Uberismo einaudiano,
oltre al citato volume Liberismo e liberalismo, è
necessario risalire direttamente aUe pagine sag­
gistiche e giomaUstiche scritte daU’economista
negU anni venti e trenta45. Inoltre, su questo
40 Benedetto Croce-Luigi Einaudi, Liberismo e liberalismo, cit., Forze ideali eforze morali. Economia, politica ed etica, pp. 82-87; è il
paragrafo 24 dei Paralipomeni del libro sulla storia, incluso in: Il carattere della filosofia moderna. Bari, Laterza, 1941.
41 Benedetto Croce, Storia dItalia nel secolo decimonono. Bari, Laterza, 1932; ristampati anche in: Filosofia, poesia e storia.
Milano-Napoli, Ricciardi, 1951; riguardo all’influenza della Storia crociana sul pensiero liberale contemporaneo v. anche: Valerio
Zanone, Intervento, in: Benedetto Croce una verifica, Roma, Edizioni l’Opinione, 1978, pp. 14-17; Vittorio Enzo Alfieri, La lezione
della “Storia", “Il Settimanale", 27 marzo 1978.
42 Luigi Einaudi, Dell’anacoretismo economico, “Rivista di storia economica”, giugno 1957, n. 2, ora in Uberismo e liberalismo, cit.,
pp. 134-150.
43 Sul complesso delle teorie einaudiane v. Luigi Einaudi, Il Buongoverno. Saggi di economia e dipolitica (1897-1954), a cura di Ernesto
Rossi, Bari, Laterza, 1955. Nel libro compaiono anche gran parte degli scritti di Uberismo e liberalismo.
44 Ivi.
45 Luigi Einaudi, Saggi. Torino, La Riforma Sociale, 1933; Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925). Torino,
Einaudi, 1959-1965,8 voli.; Scritti economici, storici e civili, a cura di R. Romano, Milano, Mondadori, 1973; v. anche Enrico Deeleva,
Uberismo efascismo nelle “Cronache"di Luigi Einaudi (1919-1925), “Il movimento di liberazione in Italia", ottobre-dicembre 1965, n.
81, pp. 75-87.
Cultura e politica del liberalismo
argomento verte un recente saggio di Roberto
Vivarelli il quale ripercorre la formazione cul­
turale e politica di Einaudi dagli inizi del secolo
agli anni trenta46.
Le tesi einaudiane, contrapposte da Vivarelli
a quelle sostenute da Croce nella Storia d’Italia
dal 1871 al 1915, sono contenute in La guerra e
il sistema tributario italiano del 192747 e in La
condotta economica e gli effetti sociali della
guerra italiana del 193348. Per Einaudi il falli­
mento della classe dirigente liberale e l’avvento
del fascismo sono l’atto finale di un lungo pro­
cesso degenerativo dello Stato italiano; la poli­
tica economica attuata dal 1876 ad esclusiva
tutela di minoranze industriali e poi, nell’età
giolittiana, anche operaie, ha minato le basi
economiche e sociali del paese. Il protezioni­
smo è, per Einaudi, responsabile dell’inefficien­
za del sistema produttivo italiano e della debo­
lezza istituzionale generatrice di corruzione. Le
classi medie, e cioè la maggioranza dei cittadini,
incapaci di porre fine a tale forma di mercato
artificiale e monopolistico, si sono estraniate
dalla vita pubblica. La crisi, già giunta a matu­
razione al tempo dell’impresa di Libia, è esa­
sperata dagli effetti del primo conflitto mondia­
le; nell’arroventato e dilaniante clima del primo
dopoguerra, la borghesia industriale ha visto
nel fascismo lo strumento per instaurare un
proprio falso ideale di “pace sociale”. Fino al
1924, è lo stesso Einaudi ad illudersi che il
fascismo possa restaurare la “dignità” dello
Stato e realizzare, tramite l’attività di De Stefa­
ni, un programma economico liberista, rove­
sciando in tal modo le decennali e rovinose
tendenze parassitane dell’economia e della so­
cietà italiana49. Ben presto le speranze dei libe­
risti cedono il passo alla delusione ed è proprio
69
nella mancanza di un’effettiva libertà economi­
ca, nel negativo ed ipocrita “paternalismo” del­
lo Stato e nel monopolio del potere, ormai
divenuto “principale fonte di ogni ricchezza”,
che Einaudi individua il carattere autoritario
del regime fascista. L’interpretazione einaudiana dell’intrinseco rapporto di implicazione tra
liberismo e liberalismo è già compiutamente
formata e la polemica con Croce trova una
prima nota d’avvio nell’allora prioritaria neces­
sità di ricercare le origini e le cause del fascismo.
Soffermarsi sull’Einaudi degli anni prece­
denti la seconda guerra mondiale è senza dub­
bio indispensabile per poter poi seguire con
maggior chiarezza questo protagonista della
storia italiana del nostro secolo che, al pari di
Benedetto Croce, svolse un ruolo di alto magi­
stero morale nei confronti della cultura liberale.
Prova ne sono, fra le altre, le sue collaborazioni
alla stampa liberale del secondo dopoguerra:
da “Risorgimento liberale” all’“Italia e il secon­
do Risorgimento”, dalla “Città libera” alla “Li­
bertà”, per non dimenticare “La democrazia
liberale” di Cremona, “Il progresso liberale” di
Brescia e lo stesso “Bollettino d’informazione
del PLI”.
Strumento preliminare per chi voglia rivol­
gere la propria attenzione ad Einaudi rimane
senza dubbio l’ottima bibliografia dei suoi scrit­
ti curata da Luigi Firpo nel 197150. L’opera,
minuziosa e corretta, è un’inesauribile fonte di
riferimenti biobibliografici; per il periodo che ci
interessa due sono le principali indicazioni di
lettura che se ne possono trarre: la prima ri­
guarda l’origine degli scritti economici di
Einaudi pubblicati dal 1947 in poi; la seconda,
invece, la possibile acquisizione di quella non
ancor sfruttata fonte storica rappresentata dal-
46 Roberto Vivarelli, Liberismo, protezionismo, fascismo. Per la storia e il significato di un trascurato giudizio di Luigi Einaudi sulle
origini de!fascismo, in: lì fallimento del liberalismo, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 163-344.
47 Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1928. Luigi Einaudi, La guerra e il sistema tributario italiano. Bari,
Laterza, 1927.
48 Luigi Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana. Bari, Laterza, 1933.
49 Einaudi espresse un giudizio complessivo su Eie Stefani in La guerra e il sistema tributario italiano, cit., soprattutto a p. 407 e sgg.
50 Luigi Firpo, Bibliografia degli scritti di Luigi Einaudi (dal 1893 al 1970), Torino, Fondazione L. Einaudi, 1971, pp. 909.
70
Loretta Reggiani
le relazioni alla Banca d’Italia scritte dallo stes­
so Einaudi negli anni del suo governatorato o
quelle dei suoi successori da lui commentate51.
Per quanto concerne la prima questione,
quella degli scritti economici, essi rivelano non
solo un’origine risalente al periodo 1942-44, ma
anche una compiutezza ed un progetto teorico
non più sostanzialmente mutati a partire da
quegli anni. Base della politica economica di
Einaudi governatore della Banca d’Italia e poi
ministro del Tesoro rimangono, a ben vedere,
quei Lineamenti per una politica economica
liberale apparsi nel 1943 nella collana degli
opuscoli del Movimento liberale52.
La svolta del 1947 è già in quelle pagine. “Lo
Stato liberale” scriveva Einaudi “non avrà da
far altro che risabre alle sue tradizioni, quando
gb eredi di Cavour avevano costruito un siste­
ma tributario duro e sempbce, che per lunghi
anni portò il vanto di essere uno dei mighori del
m ondo”. Altro vanto debo stato prefascista —
continua Einaudi — “fu l’aver dato, per la
prima ed unica volta neba storia di un lungo
periodo di tempo, e per la maggior parte dei
paesi civib, stabibtà aba moneta”5354.
Anche le famose Lezioni di politica sociale,
pubbbcate nel 1949, erano state scritte quasi per
intero nel periodo bebico; precisamente, la
prima parte era apparsa a Locamo nel 1944
con il titolo Che cosa è un mercato, mentre la
seconda è costituita dabe lezioni tenute a Lo­
sanna, sempre in quell’anno, e pubbbcate come
dispense universitarie del campus itabano col
titolo Lezioni di politica economicaM.
Solo la terza ed ultima parte era inedita, ma
in realtà si trattava debe lezioni che Einaudi
avrebbe dovuto tenere ab’Università di Ginevra
neb’inverno 1944-45. Le Lezioni di politica so­
ciale rappresentano forse b più completo tratta­
to del bberabsmo economico itabano del do­
poguerra; tra gb argomenti affrontati merita
attenzione l’ampio capitolo dedicato aba critica
anabtica del Piano Beveridge, tema di dibattito
tra i preferiti dai liberisti deb’immediato dopo­
guerra, spesso abievi più o meno eretici di
Einaudi, come è b caso di Ernesto Rossi55.
Al di là deb’elaborazione teorica di stampo
manuabstico in origine l’intento era didattico,
Einaudi diede nebe Lezioni una debe più chiare
definizioni deb’economia bberale, quando af­
fermava che “a tutti gb uomini viventi in una
società civile deve essere data la possibbità di
elevarsi da un minimo tenor di vita verso l’alto.
Possibibtà non equivale a diritto”56.
Secondo l’economista bberale, in Itaba non
esisteva la garanzia di tale diritto in quanto non
si era ancora completamente realizzata un’eco­
nomia di mercato, e ciò a causa di persistenti
vincob protezionistici e debe ambiguità intorno
ab’intervento debo Stato neba sfera economi­
ca57. Einaudi si ricobegava così abe polemiche e
abe critiche dei bberisti itabani del dopoguerra
nei confronti di un interventismo statale che
finiva per tutelare interessi monopobstici,
51 Antonio D’Aroma, litigi Einaudi banchiere, in: Luigi Einaudi nel centenario dalla nascila. Bologna, ISML, 1977, quaderno n. I,pp.
34-41; v. dello stesso autore: Luigi Einaudi economista, scrittore e bibliofilo nel secondo dopoguerra, “L’industria”, 1964, fase. 3. Ci si
riferisce alle annotazioni a margine dei fascicoli, ancora in bozze, distribuiti in occasione delle adunanze.
52 Luigi Einaudi, Lineamenti di una politica economica liberale. Roma, Movimento liberale italiano, 1943, n. 3, pp. 8; l’opuscolo fu
pubblicato anche nella collana dei Quaderni del Partito liberale, Milano, n. 9. Sempre del periodo clandestino v. La società liberale.
Quaderni del Risorgimento Liberale, Milano, 1944, n. 5 e Per una federazione economica europea. Quaderni del partito liberale,
Milano, 1944, n. 13.
53 Luigi Einaudi, Lineamenti di una politica economica liberale, cit., pp. 6-7-8.
54 Luigi Einaudi, Lezioni dipolitica sociale, Torino, Einaudi, 1949, pp. XVIII-252; Che cosa è un mercato. Locamo, Molè, 1944, pp.
44-4 nn.; Lezioni di politica economica. Losanna, Campo Universitario Italiano, Ufficio Dispense, 1944, pp. 15-84, 3 nn.
55 Ernesto Rossi, Abolire la miseria, introduzione di Paolo Sylos Labini. Bari, Laterza, 1977; in particolare il cap. Esposizione critica
delpiano Beveridge sull’assistenza sociale, pp. 198-232; il libro fu scritto in carcere nel 1942 e poi stampato nel 1946. Rossi fu allievo ed
amico di Einaudi, i suoi lavori sulla finanza pubblica e sul mercato del lavoro apparvero dal 1926 al 1930 sulla “Riforma Sociale” diretta
da L. Einaudi.
56 Luigi Einaudi, Lezioni di politica sociale, cit., pp. 57.
57 Luigi Einaudi, Il Buongoverno, cit.
Cultura e politica del liberalismo
quindi dannosi ed illiberali; si leggano a questo
proposito le dichiarazioni di Guido Carli sui
limiti del capitalismo italiano degli anni cin­
quanta, aggressivo a livello interno ma assai
poco inserito nell’ottica dell’economia di mer­
cato presente negli altri paesi europei58.
Ovviamente la cultura crociana ed il liberi­
smo einaudiano non sono che due aspetti del
liberalismo italiano nel periodo della ricostru­
zione. Non trascurabili riflessioni della cultura
liberale si ebbero, ad esempio, sui progetti co­
stituzionali, di cui si occupa Lorenzo Omaghi
nel suo saggio Iprogetti di Stato (1945-1946),
riferentesi all’intera area liberal-democratica;
dopo aver linearmente evidenziato le differenze
e le affinità degli schieramenti politici e culturali
appartenenti a tale spazio ideologico, l’autore si
sofferma in particolare sulle due direzioni as­
sunte dal liberalismo: in particolare la riaffer­
mazione da parte del crocianesimo dei fondamentali principi liberali ed il confronto, serrato
ed a tratti dirompente, con il socialismo59. Ne
nasce un giusto interesse per le problematiche
influenti poi nel lavoro in sede Costituente, dei
neoliberali, impegnati nella ridefinizione delle
principali categorie del liberalismo (libera con­
correnza, proprietà ed iniziativa privata, filoso­
fia liberale) e quindi nella rielaborazione sia di
una nuova funzione dello Stato, sia di una
nuova classe politica dai connotati rispondenti
alle caratteristiche ed alle esigenze del dopo­
guerra; detto ciò, non va sottovalutato che gli
interventi dei costituenti liberali trovarono il
loro limite nell’estrema formalizzazione, legata
71
alla logica garantista a cui si ispiravano, degli
strumenti e dei meccanismi di funzionamento
del potere60.
Infine, un ulteriore importante filone rimane
quello giornalistico, anche perché attraverso la
rilettura di riviste e quotidiani di orientamento
liberale sarebbe possibile riallacciare i fili dei
più significativi dibattiti culturali e politici che
investirono l’area laica: il liberalismo come
ideologia e come partito politico, la difesa del
laicismo, i rapporti con le altre ideologie pre­
senti nel paese.
Oltre ai quotidiani del Pii, “Risorgimento
liberale”, “La libertà” e “L’opinione”, occorre­
rebbe riandare a riviste come “La città libera”,
“La nuova Europa”, “Critica liberale” e “Lo
stato moderno”61.
Purtroppo solo “Lo stato moderno” è stato
oggetto di attenzione attraverso la ristampa
anastatica a cura di Ercole Camurani e l’anto­
logia di Mario Boneschi; quest’ultima selezione
è articolata per argomenti e riesce a far emerge­
re aspetti a tutt’oggi non completamente valo­
rizzati del laicismo postbellico62.
In verità, la rivista, diretta da Mario Paggi e
che ebbe tra i suoi numerosi collaboratori Ric­
cardo Bauer, Ernesto Rossi e Leo Valiani, ap­
partenne solo in parte all’area liberale, espri­
mendo, in particolare, l’orientamento dell’ala
destra del Partito d’Azione.
Quotidiani e riviste offrirebbero inóltre l’op­
portunità, per il genere e l’impostazione degli
argomenti affrontati, di accostarsi ai problemi
del passaggio dal liberalismo come ideologia al
58 Guido Carli, Intervista sul capitalismo italiano, a cura di Eugenio Scalfari, Bari, Latenza, 1977.
59 Lorenzo Omaghi, Iprogetti di stato (1945-1948), in Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, a cura di Roberto Ruffilli,
Bologna, Il Mulino, 1979, parte prima L'area liberal-democratica, pp. 39-102.
“ Nel citato volume Cultura politica e partiti nell'età della Costituente si leggano anche rIntroduzione di Nicola Matteucci, pp. 33-38 e
Fra Terza via e conservatorismo di Manuela Fantechi, pp. 103-144, attenta quest’ultima a porre in evidenza il fatto che il liberalismo
affrontò i problemi costituzionali privilegiando l’aspetto politico piuttosto che le caratteristiche tecnico-giuridiche.
61 Della “Città libera” erano direttori B. Croce, L. Einaudi e Giuseppe Paratore; “Critica liberale" uscì dal novembre 1953 al dicembre
1954; mensile della Gioventù liberale italiana fu diretto prima da Gian Piero Orsello, poi da Giovanni Ferrara. Non si è accennato a
“Democrazia liberale” perché appartiene a! periodo successivo, 1957-1963. “Risorgimento liberale” uscì, invece, dal 1944 al 1948 con
una lunga serie di direttori: Mario Pannunzio, Ferruccio Disnan, Ugo Pantieri, Manlio Lupinacci, Vittorio Zincone, Giovanni Mantica
ed Anna Maria Pellecani. “La libertà” fu pubblicata clandestinamente a Milano dalla fine del 1944 e divenne quotidiano agli inizi del
1945; la “Nuova Europa” fu pubblicata a partire dal 10 dicembre 1944, diretta da Luigi Salvatorelli.
62 Mario Boneschi, Lo Stato Moderno. Antologia di una rivista. Milano, Comunità, 1967; Ercole Camurani, Lo Stalo Moderno.
Roma. Pii. 1970.
72
Loretta Reggiani
liberalismo come partito politico. Affrontare
tale passaggio implica non solo la necessità di
chiarire innanzitutto su quali basi programma­
tiche fu rifondato il partito liberale, ma anche
quella di individuare a quali forze sociali inten­
desse appellarsi e raccogliere: ancora l’indiffe­
renziato “blocco” borghese vagheggiato da De
Ruggiero venti anni prima, o piuttosto deter­
minati ceti borghesi culturalmente di matrice idea­
lista, ed è qui che soccorrono riviste e quotidia­
ni, ed economicamente situati nelle fascie
medio-alte?
Quel ceto medio che, come scriveva Einaudi
“è stato e sarà di nuovo domani, grandemente
aumentato di numero e quasi universalizzato, il
fondamento più sicuro di una salda struttura
sociale63. In realtà il Pii, risentì fortemente dei
già ricordati limiti dell’ideologia liberale ri­
guardo all’analisi socio-politica e non andò mai
più in là di un generico appello ad ancor più
“generiche” classi medie, in ciò non differen­
ziandosi dagli altri partiti laici di cui nel 1950
Francesco Compagna, in un libro “a caldo”
sulle lotte politiche del secondo dopoguerra,
sottolineava appunto l’incapacità “a mobilitare
i ceti medi in senso democratico”64.
Ne conseguirono discrepanze e strozzature
non solo all’interno degli stessi partiti, ma a
livello dell’intera vita politica del paese.
Purtroppo, limitatamente al Pii, la storio­
grafia disponibile non offre chiarificazioni e
approfondimenti a tali problematiche; infatti,
la storia del Pii è stata finora riproposta da
appartenenti allo stesso partito e risente di
un’interpretazione di parte che impedisce, in
genere, di risalire ai più decisivi rapporti all’intemo del partito e fuori di esso. Molti ed impor­
tanti problemi non sono stati neppure imposta­
ti; ad esempio, nessuno ha compiuto un’analisi
della composizione politica e sociale dei vari
gruppi che nel 1943 diedero vita al Pii.
Oltre alle identità, andrebbero rilevate e
spiegate anche le differenze: infatti, se è vero
che tutti i liberali indistintamente avevano a
modello politico una restaurazione dello stato
prefascista e che uguale per tutti risultava la
formazione culturale di tipo idealista, questa
base comune conviveva con dissidi interni ed
eterogeneità d’intenti che fin da allora minaro­
no la credibilità del partito. I risultati delle
elezioni del 2 giugno 1946, a cui il Pii si presentò
nelle raffazzonate liste dell’Uniohe democratica
nazionale, confermarono parecchi timori in
questo senso.
Innanzitutto l’analisi dovrebbe soffermarsi
sui numerosi opuscoli usciti nel periodo clande­
stino per iniziativa delle varie “centrali” liberali:
i quaderni del “Risorgimento liberale” pubbli­
cati a Milano tra il 1944 ed il 1945; sempre a
Milano i "Quaderni” del partito liberale; a
Roma, tra il 1 maggio 1943 ed il 14 maggio
1944 la collana, diretta da Giovan Battista Riz­
zo, di dieci fascicoli anonimi del “Movimento
liberale”: accanto ai fascicoli furono pubblicati
anche due quaderni a firma di Carlo Antoni.
Nel sud uscì una serie di opuscoli ad opera
principalmente di Benedetto Croce; altri scritti
sono rintracciabili tra i supplementi dell’“ Opi­
nione” piemontese del periodo clandestino, tra
la fine del 1944 ed il gennaio 194565. Gli anni
63 Luigi Einaudi, Lineamenti di una politica economica liberale, cit., p. 8; sulla struttura del Pii, cosi come la vedeva ed auspicava
Einaudi a quei tempi, v. anche: 15 partiti in Italia, scritto nel 1943 e pubblicato nel 1944 in “Basler Nachrichten".
64 Francesco Compagna, La lotta politica italiana nel secondo dopoguerra e il mezzogiorno. Bari, Laterza, 1950; in particolare il
paragrafo Lo sbandamento dei ceti medi, pp. 18-25. Delle vicende del Pii Compagna si occupa nella seconda parte, cap. 2, pp. 150-181,
asserendo che dal 1947 prevalsero nel partito prassi e mentalità di tipo “salandrino”.
65 V. di B. Croce: Per la nuova vita dell’Italia. Scritti e discorsi 1943-44. Napoli, Ricciardi, 1944, La libertà italiana nella libertà del
mondo, discorso al primo congresso dei partiti tenuto a Bari il 20 gennaio 1944. Bari, s.e., 1944; L'Europa e l’Italia, discorso aIprimo
congresso de! Partito Liberale Italiano in Napoli 2 giugno 1944. Bari, Laterza, 1944: Saluto a Roma (5 giugno 1944). Bari, Laterza,
1944; L’Italia nella vita intemazionale. Discorso pronunciato in Roma il 21 settembre 1944. Bari, Laterza, 1944, Ilproblema deigiovani.
Conversazione tenuta in Roma il23 settembre 1944. Bari, Laterza, 1944, (pubblicata in “ Risorgimento liberale" del 28 settembre 1944);
nei “Quaderni del Partito Liberale” usciti a Milano vi è poi Che cosa è il liberalismo. Premessa per la ricostruzione del Partito Liberale
Italiano, quaderno n. 14.
Cultura e politica del liberalismo
1943-45 possono avvalersi anche della raccolta
della stampa clandestina e delle memorie di
personaggi di rilievo quali Bonomi, Croce,
Giovannini, Soleri66.
Vi sono, poi, i documenti conservati presso
gli archivi: quelli relativi alla sezione fiorentina,
ad esempio, sono descritti nell’inventario, già
pubblicato a cura di Rosalia Manno, del fondo
di Aldobrando Medici Tomaquinci67.
Per gli anni successivi, invece, si tratta di
compiere un lavoro ex novo; esistono infatti
solo tre testi che affrontano la storia del Pii,
dopo il 1945: Il P L I dal I al X III Congresso
Nazionale (1922-1972) di Ercole Camurani; il
P L I di Alberto Giovannini ed il Partito Libera­
le Italiano da Croce a M alagodi di A. Ciani68.
Ai tre si può forse aggiungere, soprattutto per
l’impostazione ideologica, I Partiti Italiani dal
1848 al 1955 di Mario Vinciguerra69. Giorgio
Galli, infine, ne II difficile governo affronta le
vicende del Pii unitamente a quelle degli altri
73
partiti laici, Pri e Psdi, a partire, appunto, dalla
prima legislatura repubblicana70.
Il materiale storiografico consultabile è ri­
stretto anche dal punto di vista qualitativo: i
libri di Galli e Camurani, quest’ultimo è il più
ampio per tematiche e cronologia, sono senz’al­
tro gli unici utilizzabili; quello del Ciani è infatti
privo di qualsiasi valore storiografico, mentre
per Giovannini più che di ricostruzione storica
sarebbe il caso di parlare di memorialistica71.
Nessuno, purtroppo, ha ancora provveduto
ad utilizzare oltre agli Atti congressuali del
partito, i discorsi ed i progetti di legge dei par­
lamentari liberali che pubblicati a cura del Pii
sono di facile reperibilità. Di particolare impor­
tanza quelli di Eugenio Artom, Francesco
Cocco-Ortu, Giovanni Cassandra, Guido Cor­
tese e Giuseppe Alpino72.
Del tutto in second’ordine è poi passata la
presenza liberale alla Costituente: in quella sede
i rappresentanti liberali si espressero, è vero, a
66 Ercole Camurani, La stampa clandestina liberale 1943-45. Reggio Emilia, Poligrafici, 2 voli., 1968; dello stesso autore v. La
delegazione Alta Italia del P .LI. Bologna, Forni, 1970. Vi sono poi ristampe anastatiche curate dalla Casa Editrice Forni nella collana
“Atti e Documenti del Partito Liberale Italiano”; di qualche interesse possono risultare: “L’Italia e il secondo Risorgimento”, “La
Penna”, “La Nuova Penna” e “Le Libertà — Organo del Partito Liberale” (Napoli, marzo-agosto 1944). Ivanoe Bonomi, Diario di un
anno (2 giugno 1943 - IO giugno 1944). Milano, Garzanti, 1947; Alberto Giovannini, Travaglio per la libertà 1943-47. Bologna,
Cappelli, 1962; Marcello Soleri, Memorie, con prefazione di Luigi Einaudi. Torino, Einaudi, 1949.
67 Rosalia Manno, L’archivio di Aldobrando Medici Tomaquinci conservato presso l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana.
Roma. Ministero dell’Interno, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Istituto Grafico Tiberino di Stefano De Luca, 1973. Per le vicende
della sezione liberale fiorentina andrebbero rivedute ed indagate anche due figure come quelle di Eugenio Artom e Vittorio
Fossombroni.
68 Ercole Camurani, Il P.LI. dal la i X III Congresso Nazionale (1922-1972). Roma, Pii, 1973; Alberto Giovannini, I! P.LI. Milano,
Nuova Accademia, 1958; Arnaldo Ciani, Il Partito Liberale Italiano da Croce a Malagodi, Napoli, ESI, 1968.
69 Mario Vinciguerra, Ipartiti italiani dal 1848 al 1955. Roma, Edizioni dell’Osservatore, 1955.
70 Giorgio Galli, Il difficile governo. Bologna, II Mulino, 1972; dello stesso autore v. anche il più generale Ipartitipolitici. Torino, Utet,
1974. Interessante è anche il saggio di Gabriele De Rosa, Il Partito Liberale e il blocco nazionale nell’ormai “storico" Dieci anni dopo
1945-1955. Bari, Laterza, 1955, pp. 162-190; v. anche il saggio di Fernando Bevilacqua, L’organizzazione del Partito Liberale Italiano
(1949-1958) in L’arcipelago democratico. Organizzazione e struttura deipartiti italiani negli anni del centrismo (1949-1958), a cura e con
introduzione di Carlo Vallauri. Roma, Bulzoni, 1981, voi. 1, pp. 327-395. Si tratta di una breve cronaca delle vicende interne del partito
a cui si accompagna un’appendice di documenti di vario genere: statuti, mozioni congressuali, tabelle relative al numero degli iscritti al
partito ed alla Gli.
71 Utili per iniziare una ricerca sui liberalismo italiano sono due saggi bibliografici di Camurani: Contributo alla bibliografia del
liberalismo nel mondo. Reggio Emilia, Pii, 1969 e Bibliografie de! P.LI. Reggio Emilia, Pii, 1968.
72 V. i discorsi di Giuseppe Alpino sulle finanze e la politica tributaria e quelli di Francesco Cocco-Ortu sulle regioni (in particolare
quello del 15 dicembre 1949). Nel 1950 si possono trovare vari interventi di G. Perrone Capano su svariati argomenti, dalle ferrovie
all’agricoltura. Gli interventi forse più significativi sono raccolti in 21 fascicoli della collana dei “Quaderni del Pii”, nuova serie, usciti nel
1950-52; vi si trovano, fra gli altri, i nomi di G. Alpino, P. Gentile, A. Conigliaro, E. Storoni, V. Fossombroni, G. Malagodi e F.
Compagna. Su Guido Cortese v. Amelia Cortese Ardias, Un liberale moderno: Guido Cortese, Milano, 1967 e Raffaello Franchini,
Guido Cortese e il ‘‘Giornale" (1944-1957) in II dissenso liberale. Firenze, Sansoni, 1975, pp. 217-228.
74
Loretta Reggiani
livello personale, ma senza dubbio ebbero una
non sottovalutabile influenza politica, specialmente nel settore economico. La figura di Epicarmo Corbino è emblematica in questo senso,
come si può desumere dalla lettura dei suoi
interventi e discorsi dal 1944 al 1958 e dal suo
saggio sulla politica economica nel periodo del­
la ricostruzione, apparso nel volume miscella­
neo Dieci anni dopo. 1945-195573.
Resta poi in gran parte da indagare il ruolo
svolto da Croce nelle vicende politiche e nella
formazione ideologica del Pii, di cui tenne la
presidenza fino al IV congresso nazionale del
1947. Manlio Brosio, in un volume a più mani,
Benedetto Croce una verifica, ricordava un
Croce attivissimo presidente del Pii, ad esem­
pio durante la formazione del secondo governo
Bonomi74. Tutti gli scritti e discorsi politici di
Croce dal 1943 al 1947 si trovano in un volume
dal titolo omonimo; è in queste pagine l’ormai
famoso M ovim ento liberale e partiti politici, in
cui Croce rivendicava al partito liberale la fun­
zione di prepartito volto “a fondare la libertà di
tutti i partiti”75.
Il ruolo assunto dal Pii all’interno dello
schieramento dei partiti antifascisti, si dimostrò
ben presto assai diverso da quello rivendicato
da Croce; come osservò A. Omodeo, le cui
perplessità e critiche sul ricostituito partito libe­
rale si possono ritrovare nel volume Libertà e
storia. Scritti e discorsi politici “un partito libe­
rale come prepartito avrebbe dovuto realizzarsi
non in un partito chiuso fra gli altri, ma in una
leale intesa fra i partiti del Comitato Nazionale
di Liberazione per dare la precedenza su ogni
altro problema al consolidamento e alla difesa
della libertà”76.
Motivi di riflessione sarebbero offerti anche
da due avvenimenti cruciali nella storia del Pii:
l’entrata nel partito del gruppo monarchico che
riuscì ad imporre nel 1946 la propria leader­
ship, con la susseguente scissione, nel dicembre
1947, della cosiddetta sinistra, e la successiva
riunificazione portata avanti dalla segreteria
Villabruna nel 1951.
Soprattutto mancano studi sul partito negli
anni del centrismo degasperiano (ma questo
vale anche per gli altri partiti laici, Pri e Psdi)77.
Ed è, invece, proprio allora che vennero alla
luce intenzioni, pregi e limiti del liberalismo
italiano. All’interno del Pii il problema princi­
pale rimase a lungo quello del programma, in
quanto la sua elaborazione si rivelava il mo­
mento di verifica della capacità del partito di
aderire alle nuove istanze politiche e sociali
presenti nel paese; sul piano dell’attività politi-
73 Epicarmo Corbino, Discorsi elettorale e interventi parlamentari dal 1944 al 1958. Roma-Torino-Napoli, Istituto Editorale del
Mezzogiorno, 1965; gli interventi relativi al 1953 contengono non trascurabili riferimenti alla storia dell’intera area laica. Di Corbino v.
anche: L'economia, in Dieci anni dopo, cit., Ricostruzione scritti e discorsi di un liberale. Milano, Giuffrè, 1945; Studi in onore di
Epicarmo Corbino, Milano, 1961 e Cronache economiche e politiche 1946-1980. Roma, lem, 5 voli., 1981.
Riguardo alla presenza liberale alla Costituente va ricordato che per l’art. 44 svolse un ruolo decisivo Luigi Einaudi, mentre Francesco
Colitto rimase in posizione isolata sostenendo il latifondo come dimensione “economica dell’impresa agraria” nel sud.
74 Manlio Brosio, Intervento, in Benedetto Croce una verifica, cit., pp. 7-15.
75 Benedetto Croce, Scritti e discorsi politici, cit. Sono scritti già pubblicati qua e là, v.: Per la nuova vita dell’Italia, cit.; Il dissidio
spirituale della Germania con IEuropa. Bari, Laterza, 1944; Pagine politiche. Bari, Laterza, 1945; Pensiero politico e politica attuale.
Scritti e discorsi. Bari, Laterza, 1945; Due anni di vita politica italiana (1946-47). Bari, Laterza, 1948; Quando l’Italia era tagliata in due,
cit.; lo scritto Movimento Liberale e partiti politici è a p. 85.
76 Adolfo Omodeo, Libertà e storia. Scritti e discorsi politici. Introduzione di Alessandro Galante Garrone, Torino, Einaudi, 1960, in
particolare II così detto partito liberale e la crisi del novembre 1945, pp. 357-371 e I miei dubbi difronte alpartito liberale, pp. 203-209.
Omodeo in questi scritti critica i legami tra alta finanza e Pii, ormai divenuto “una porta di scampo" per tutti gli interessi fascisti. Sul
rapporto Croce-Omodeo torneremo in seguito, per ora basti ricordare che Omodeo intendeva la libertà come espansiva, “liberatrice,
generatrice di giustizia”, ma nello stesso tempo rifiutava il liberalsocialismo in cui ravvisava un’astratta costruzione teorica. Altro testo
da leggere è quello di Filippo Burzio, Essenza e attualità del liberalismo. Torino, Unione Tipografica, edizione torinese, 1945.
77 Qualcosa è rintracciabile tra l’abbondantissima produzione storiografica, saggistica e giornalistica di Giovanni Spadolini, di cui è
stata presentata abbastanza recentemente a Firenze una completa bibliografia, curata da allievi e studenti dell’Istituto C. Alfieri, dal
titolo Spadolini storico. Firenze, Le Monnier, 1980.
Cultura e politica del liberalismo
ca, invece, il Pii, insieme agli altri partiti laici,
veniva relegato dalla De ad un ruolo subalter­
no e strumentale78.
Una verifica dell’attività parlamentare del Pii
permetterebbe forse di individuare fino a che
punto è valida una simile interpretazione. Ad
esempio, sarebbe da rivedere la posizione libe­
rale nel campo economico, luogo di frequenti
confusioni per la troppo scontata e rigida iden­
tificazione tra liberali e liberisti, o in quello
scolastico, tradizionale roccaforte del laici­
smo79.
Sarebbe, però, oltremodo limitativo circo­
scrivere la fisionomia del liberalismo italiano
entro connotati nazionali; i legami con il libera­
lismo occidentale ed europeo discendono da
una duplice comunanza di origini e di intenti.
L’indebolimento liberale in Italia dopo il 1914
si inserisce in una generale crisi del liberalismo
europeo; naturalmente il “crollo” si fece sentire
più acutamente, e drammaticamente nei paesi
in cui il liberalismo non era riuscito a compene­
trare e ad imprimere di sé istituzioni, mentalità
e culture preesistenti: l’Italia, la Germania, la
Spagna e il Portogallo.
Delle interferenze tra i vari “liberalismi”
europei si è occupato Max Salvadori néXÌEre­
sia liberale; giustamente l’autore indica come
principale riflessione del liberalismo contem­
poraneo il problema della giustizia sociale e
75
dell’uguaglianza80.
Il che significò nel secondo dopoguerra una
riproposizione, ed una nuova valutazione, del
ruolo dello Stato e dei governi nel settore della
politica economica.
Una rilettura delle deliberazioni dell’Intema­
zionale liberale, raccolte in Liberal Internatio­
nal Resolutions, contribuirebbe a collocare il
ruolo del liberalismo italiano nel contesto in­
temazionale; non solo, ma potrebbero essere
valutati gli impulsi positivi, soprattutto ideolo­
gici, che il liberalismo italiano (e si ricordi che il
Pii aderì all’Intemazionale fin dall’anno della
sua fondazione, il 1947) ricevette dalla sua atti­
va partecipazione al dibattito teorico e politico
svoltosi in quella sede81.
Certo è che al Pii e al liberalismo italiano in
genere non mancarono esponenti di calibro
internazionale, quali B. Croce, L. Einaudi e
Gaetano Martino, ministro degli Esteri dal
1954 al 1957. Purtroppo, nulla è stato ancora
scritto e documentato sull’intensa attività di
Martino, personalità che per il molo avuto
nell’ambito della politica estera dell’Italia, in
particolare di quella europea, meriterebbe sen­
za dubbio ben maggiore attenzione; nei due
volumi che raccolgono i suoi discorsi dal 1946
al 1966, si leggano anche quelli sull’istruzione di
cui, nel 1954, fu ministro per un solo trime­
stre82. Sulle pagine stesse della storiografia re-
78 Giorgio Galli, tl difficile governo, cit.; anche Carlo Pinzani, L’Italia repubblicana. Storia d’Italia, cit., voi. IV, tomo 3, pp. 2484-2511.
79 I maggiori economisti liberali furono senza dubbio Luigi Einaudi, Epicarmo Corbino e Bresciani Turroni, di cui si potrebbe rileggere
XIntroduzione alla politica economica, prefazione di Luigi Einaudi. Torino, Einaudi, 1942. Notevole influenza sull’area liberale ebbe
Wilhem Roépke, esponente della scuola di Friburgo e dal 1950 consulente economico del governo tedesco. A livello teorico vicino a
Einaudi, non ne ebbe però, la dimensione culturale e politica. Le sue opere più importanti del periodo sono: La crisi sociale del nostro
tempo (1942); Civitas Humana (1944); L’Organizzazione intemazionale e l’integrazione economica (1945) e La crisi del collettivismo
(1951). V. Armando Frumento, La vita e l’insegnamento liberale di Wilhelm Roépke, Roma, Fondazione Einaudi, 1968, pp. 45; ed
anche: Wilhelm Roepke, Scritti liberali. Bologna-Roma, ISML-Fondazione Einaudi, Sansoni, 1974.
Sempre sull’economia v. Pasquale Janaccone, Scritti e discorsi opportuni e importuni (1947-1955). Torino, Einaudi, 1956. Non va poi
dimenticata una figura come quella di Donato Menichella (soprattutto per il primo periodo del centrismo), per quanto concerne, ad
esempio, l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno.
80 Max Salvadori, L'eresia liberale. Bologna, Forni, 1980, 2 voli.; sul problema dell’eguaglianza riproposto da Salvadori e sul
pessimismo di fondo dell’autore v.: Sandro Rogari, Dissenso ed eresia: rassegna della stampa sul "Liberalismo di Max Salvadori”,
"Libro Aperto”, luglio-agosto 1980, n. 2, pp. 29-30.
81 Liberal Internationa! Resolutions, a cura di Ercole Camurani e Barbara Vono. Firenze, Sansoni, 1975.
82 Discorsi Parlamentari di Gaetano Martino. Pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati. Roma, Grafica Editrice
Romana, 1977,2voll. Di Gaetano Martino v. anche: Cultura e scuola nella società democratica. Discorso pronunciato al Senato delta
Repubblica nella seduta del 7 aprile 1954. Roma, Tip. Bardi, 1954 (altra ed.: Roma, PLI, 1956); La scuola nella vita nazionale. Firenze,
Le Monnier, 1956; Per la libertà e per la pace. Firenze, Le Monnier, 1957.
76
Loretta Reggiani
sta, ad immagine fissa, il prestigio che derivò al
Pii dall’elezione di Luigi Einaudi alla Presiden­
za della Repubblica. Ad Einaudi è stato rivolto
un notevole interesse anche perché in lui si è
cercato non solo l’uomo o il presidente, ma il
ritratto stesso di un’epoca, spesso idealizzata.
Già si è parlato della bibliografia dei suoi
scritti curata da L. Firpo; restano da ricordare
le opere appartenenti al periodo propriamente
presidenziale, cioè le Prediche inutili e Lo scrit­
toio del Presidente (1948-1955)*3.
Le prime sono scritti di vario argomento;
forse i più interessanti sono quelli sul modo di
vivere dell’“uomo liberale”, sull’applicazione
delle sue idee ai quotidiani casi economici e
culturali. Le opinioni einaudiane sulla scuola e
la didattica, ad esempio, riflettono ed aiutano a
capire la battaglia condotta dai laici dal 1949 al
1962 in difesa della scuola di Stato. Lo scrittoio
del Presidente, invece, è un’ampia raccolta di
note, articoli e lettere degli anni della presiden­
za. Tra gli altri vi si trova il Messaggio dopo il
giuramento del 12 maggio 1948, in cui Einaudi
dopo aver ricordato di aver a suo tempo votato
per la monarchia, fa atto di fede costituzionale
e repubblicana; tutto il messaggio poggia sui
massimi principi liberali, “contro l’onnipotenza
dello Stato e la prepotenza dei privati”8384.
Gli altri quattro messaggi furono appuntati
da Ferdinando Carbone, segretario generale
alla Presidenza della Repubblica, ma sono
egualmente importanti perché indicatori del­
l’attività presidenziale di Einaudi, sempre con­
scio del proprio ruolo e delle proprie responsa­
bilità; riguardano, infatti, tutti e quattro, il rin­
vio alle Camere di leggi che pur prevedendo
nuove spese, non indicavano, però, i mezzi con
cui farvi fronte85.
Venendo alle, pagine più strettamente eco­
nomiche, Einaudi applica a nuove situazioni ed
a nuovi problemi le sue ormai consolidate teo­
rie liberiste. Così avviene per le critiche rivolte
ai sindacati e per la difesa della politica econo­
mica italiana del dopoguerra; in quest’ultimo
saggio Einaudi confuta le teorie keynesiane ri­
cordando, ancora una volta, che compito dello
Stato è innanzitutto non creare disoccupazio­
ne, principio già espresso in una lettera a La
Pira del 30 luglio 195086.
Questo per quanto riguarda i testi editi.
Permane tuttavia ancora un ampissimo vuoto.
Già si è detto che merito della bibliografia di
Firpo è offrire l’indicazione della ricchezza di
materiale ancora inesplorato: è il caso delle
sopra ricordate relazioni alla Banca d’Italia. Si
aggiunga, infine, che sarebbe estremamente in­
teressante la pubblicazione dell’epistolario einaudiano, per ora, come lamentava anche Ruffini,
in massima parte inedito87. Antonio d’Aroma
che in quegli anni fu molto vicino ad Einaudi
83 Luigi Einaudi, Prediche mutili. Torino, Einaudi, 1956; Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Torino, Einaudi, 1956.
84 Luigi Einaudi, Lo scrittoio de! presidente, cit., p. 375.
85 Ivi, pp. 208-229; i messaggi recano le date del 9 aprile 1949, dell’11 gennaio 1950 e del 21 novembre 1953. Nella stessa direzione di
lettura va la lettera al ministro del Tesoro, Giuseppe Pella, del 13 dicembre 1948 Sull’interpretazione dell’art. 81 della Costituzione, pp.
207-208; la lettera fu pubblicata su “Mondo Economico”, 10 settembre 1955, n. 37, pp. 13-14.
86 Ivi, La Pira in difesa della povera gente, pp. 386-390; riguardo ai sindacati v.: Monopolisindacali e divieto di serrata, pp. 374-378; la
critica delle teorie keynesiane e la difesa della politica economica del dopoguerra sono invece in: Risparmio ed investimenti, pp. 277-318;
il saggio riunisce tre pezzi del 1950 e costituisce, forse, il paragrafo migliore dell’intero libro.
87 Renzo Ruffini, Luigi Einaudi nella ricostruzione dello Stato democratico, in: Luigi Einaudi nel centenario, cit., pp. 79-172; Ruffini in
questo ampio saggio si sofferma sugli anni 1943-1945 cercando di offrire l’immagine di un Einaudi le cui idee economiche e politiche si
adattavano via via “alla realtà delle situazioni in cui operava”; ne risulta un Einaudi progressista e conservatore allo stesso tempo,
rivisitatore continuo del proprio pensiero.
Cultura e politica del liberalismo
ha parlato di “lettere a chiose” ai reggitori della
Banca d’Italia88. Sarebbe inoltre utilissimo po­
ter sondare, oltre al rapporto con Donato Menichella, anche in altre direzioni: De Gasperi,
Pella, ecc., una buona opportunità, forse, per
rivolgersi con nuove disponibilità, per fonti e
documentazione, al problema dell’alleanza tra
laici e De durante gli anni del centrismo. Non a
caso Mario Vinciguerra, il cui carteggio con
Einaudi è stato pubblicato di recente a seguito
di quello altrettanto interessante, anche se per
altri motivi, con Mario Pannunzio, individua­
va la vitalità del quadripartito “in un duplice
rapporto politico tra De Gasperi ed Einaudi —
che significò il riassetto finanziario e la stabilità
della lira”89.
Anche per Benedetto Croce c’è da lamenta­
re, e lo rilevava anche Mario Corsi, la mancan­
za di una pubblicazione completa dei carteg­
gi90. Ancora vivo il filosofo, furono pubblicate
le lettere scambiate con Vossler in un’edizione
curata dall’allievo Vittorio De Caprariis; vi so­
no poi una selezione preparata da Croce stesso,
dal 1914 al 1935 ed il carteggio con Alessandro
Casati91. Alcuni anni fa sono stati poi raccolti
quelli con Carlo Sforza e Vittorio Enzo Alfieri;
77
di recente, infine, ha visto la luce la corrispon­
denza con Adolfo Omodeo, interessante per il
giudizio di Croce, che fu poi quello della mag­
gior parte dei liberali, sul Partito d’Azione92.
Si può infine concludere che l’attenzione ge­
nerale è stata prevalentemente attratta dal Cro­
ce “grande filosofo” ed in questo senso si può
far riferimento ad un’estesa produzione saggi­
stica di toni e livelli dissimili: si va da rievoca­
zioni più o meno personali come quella del
Benedetto Croce di Fausto Nicolini (in cui si
trovano alla rinfusa ricordi, discorsi del filoso­
fo, note biobibliografiche), al preciso e puntua­
le già citato libro di Michele Abbate La filoso­
fia di Benedetto Croce e la crisi della società
italiana; si distacca dagli altri il solo, documen­
tatissimo, Benedetto Croce e la politica italiana
di Raffaele Colapietra93.
Una ricerca sul liberalismo italiano non sa­
rebbe a questo punto completa se non si ricor­
dassero le vicende di quei dissidenti, da molti
frettolosamente definiti di sinistra, che usciti dal
partito nel 1947 vi rientrarono nel 1951, per
abbandonarlo definitivamente quattro anni
più tardi.
La dissidenza liberale, unitasi a quella d’ori-
88 Antonio D’Aroma, Luigi Einaudi banchiere, in: Luigi Einaudi nel centenario, cit., ed anche: Luigi Einaudi, memorie difamiglia e di
lavoro, Torino, Ente per gli Studi monetari, bancari e finanziari Luigi Einaudi, 1975 e Luigi Einaudi economista, lettore e bibliofilo, cit.,
Mario Vinciguerra, I partiti politici, cit., p. 249; Vinciguerra afferma che per De Gasperi “fu una fortuna essersi conquistata la stima e
l’amicizia di Luigi Einaudi; che persuase non facilmente ad assumersi il grave ed impopolare compito di risanare e disciplinare tutta la
materia (finanziaria)”, p. 180. 11 carteggio Einaudi-Vinciguerra è stato curato da E. Camurani ed è apparso negli “Annali” della
1 ondazione Einaudi di Torino, voi. 12, 1978, pp. 519-553 col titolo La Repubblica Presidenziale nelle lettere di Einaudi e Vinciguerra
(Contributo alla bibliografia di Vinciguerra); lo stesso per il carteggio Einaudi-Pannunzio, sempre a cura di Camurani, voi. 11,1977, pp.
237-281, col titolo Luigi Einaudi lettore e giornalista. La collaborazione con "Risorgimento Liberale", il" Mondo" e M. Pannunzio.
Sempre a proposito di carteggi v. G. Busino, L’esilio svizzero in un carteggio inedito con W. F. Rappard e W. Roepke, “Il Ponte”,
gennaio 1963, n. 441.
90 Mario Corsi, Lettere inedite: c’è ancora molto da leggere, in: Benedetto Croce. Una verifica cit., pp. 104-107.
91 Carteggio Croce-Vossler 1899-1949. Bari, Laterza, 1951; Epistolario II, Lettere ad Alessandro Casati (¡907-1952). Napoli, Istituto
Italiano per gli Studi Storici, l’Arte Tipografica, 1969.
92 Livio Zeno, Ritratto di Carlo Sforza col carteggio Croce-Sforza e altri documenti inediti. Firenze, Le Monnier, 1975. Lettere a
Vittorio Enzo Alfieri..., cit.; Carteggio Croce-Omodeo. A cura di Marcello Gigante. Napoli, Istituto Italiano per gli studi storici, 1978 (vi
è contenuta la risposta di Croce del 26 marzo 1944 alla lettera di Omodeo del 22 marzo, in cui il filosofo ribadiva il carattere “puro e
radicale” del Pii e le critiche rivolte al Partito d’Azione).
93 Fausto Nicolini, Benedetto Croce. Torino, Utet, 1962; Raffaele Colapietra, Benedetto Croce e lapolitica italian, Bari, Santo Spirito,
Edizioni del Centro Librario, 1969-70,2 voli. Già si è parlato dell’importante saggio di Michele Abbate Benedetto Croce e la crisi della
società italiana. A Croce fa riferimento anche il monarchico Agostino Degli Espinosa, Il Regno del Sud. 8 settembre 1943-4 giugno
1944. Prefazione di Manlio Lupinacci. Roma, Migliaresi, 1946. V. anche: Silvano Borsari, L'opera di Benedetto Croce. Napoli, Istituto
Italiano per gli studi Storici, 1964; Benedetto Croce. A cura di Francesco Flora! Milano, Malfasi, 1953; Alfredo Parente, Croceper lumi
sparsi. Problemi e ricordi. Firenze, La Nuova Italia, 1975. Alfredo Parente insieme a Raffaello Franchini e M. Leotta fondò nel 1964 la
“Rivista di studi crociani” (Napoli), a cui hanno collaborato tutti gli “esperti" crociani; una rilettura degli indici della rivista potrebbe
risultare utile per un’analisi ed una valutazione del livello degli studi e degli interessi sul crocianesimo in questi ultimi anni.
78
Loretta Reggiani
gine socialista delT“Italia socialista” di Aldo
Garosci, si raccolse per la maggior parte intor­
no al “M ondo”, settimanale diretto dal 1949 al
1966 da Mario Pannunzio. Ancora una volta il
settore giornalistico entra per incisività politica
e culturale nella storia del liberalismo italiano.
“Il M ondo” ebbe il merito di portare avanti un
programma a suo modo sempre coerente e
soprattutto innovativo rispetto a quello presen­
tato dal liberalismo alla fine della guerra. Il più
arduo tentativo operato dal settimanale fu la
mediazione del pensiero crociano con quello
salveminiano. La tesi crociana del liberalismo
come prepartito costituì la base dell’idea dell’u­
nità dei partiti laici, naufragata per la mancan­
za di reali presupposti politici.
La lezione salveminiana, invece, si esercitò
prevalentemente sul metodo politico, a volte
indulgente ad un certo libertarismo velleitario.
La linea politica — antifascista, anticomuni­
sta ed europeista — fu comunque sempre so­
stenuta da un preciso rigore giornalistico (fatto
anche di minuziose e serie indagini conoscitive)
e dall’individuazione delle resistenze e delle
strozzature conservatrici presenti nel paese. La
battaglia per la nascita di una sinistra liberaldemocratica finiva però col peccare di un ecces­
sivo illuminismo pedagogico ancorato ai vecchi
modelli della lotta politica prefascista.
La bibliografia sul “M ondo” offre alcune
possibilità di lettura. Il saggio più recente è /
radicali ed II M ondo di Manlio Del Bosco; a
parte l’azzeccata formula antologica, in attesa
della pubblicazione completa degli indici del
settimanale, il libro, trattando dei rapporti tra il
Partito radicale ed “Il M ondo” (e perciò di una
storia di grandi battaglie civili per i valori del
laicismo ma anche di travagli politici ed intellet­
tuali) esula un poco dai nostri intenti94. È però
opportuno soffermarsi sull’introduzione di Ro­
sario Romeo, in cui si tende a sottovalutare il
ruolo avuto dal pensiero crociano, dimenti­
cando, invece, l’influenza esercitata da Einaudi,
non solo a livello personale, come prova il
carteggio con M. Pannunzio, ma proprio l’a­
dozione da parte del “M ondo” di un modello
sociale già idealizzato dal Presidente, quello di
un’Italia onesta e senza furberie, di un’Italia
delle “pere indivise”, insomma95.
Un limite di questo tipo si riscontra anche in
“// M ondo 1949/66. Ragione ed illusione bor­
ghese” di Mario Bonetti, la cui pretesa di voler
dare una visione complessiva, per temi e tempi
della vita del settimanale ha finito per impedire
una riflessione meditata al di là di formule
interpretative ormai scontate e ripetitive9697.
All’ambiente del “M ondo” — e alla sua par­
ticolare atmosfera si rifà sulla scia di ricordi
personali, anche Giovanni Spadolini nell’Italia
della ragione91.
94 Manlio Del Bosco, / Radicali e il Mondo, Torino, ERI, 1979; il libro copre gli anni 1955-1962 quando ebbe fine l’appoggio del
“Mondo" al Partito radicale, sorto come espressione di un liberalismo capace di imprimere un radicale rinnovamento alla vita politica
del paese, soprattutto in prospettiva di un fronte laico non marxista. Per quanto riguarda gli indici della rivista, ricordiamo che quelli
relativi agli anni 1949-1958 sono stati pubblicati a cura di Aldo Marcovecchio nel 1962 presso lTstituto Romano Arti Grafiche
Tuminelli.
95 Ercole Camurani, Luigi Einaudi, cit.
96 Mario Bonetti, “Il Mondo” 1949/66. Ragione ed illusione borghese. Bari, Laterza, 1975.
97 Giovanni Spadolini, L’Italia della ragione. Lotta politica e cultura del Novecento. Firenze, Le Monnier, 1978; di Spadolini v. anche:
Tre maestri: Croce, Einaudi, De Gasperi. Roma, Unione Italiana per il progresso della Cultura. Sul “Mondo” sono stati pubblicati
molti articoli su riviste e quotidiani, tra cui si vedano: Valerio Castronovo, Quei lucidissimi pazzi melanconici, “La Repubblica”, 25
gennaio 1978; Cosimo Ceccuti, Quello sì che era un bel Mondo, “Il Resto del Carlino”, 19 febbraio 1979; Francesco Compagna, Tra
liberali in rivolta e socialisti fuggiaschi, “La Repubblica”, 25 gennaio 1978; Nicola Matteucci, Libertà che passione!, “Il Resto del
Carlino”, 10 febbraio 1978; Eugenio Scalfari, Pannunzio ilgiornalismo come eresia. Un viaggiatore laico alla ricerca dei suoi errori, “La
Repubblica", 25 gennaio 1978. Nicola Tranfaglia, Ragione ed illusione borghese dal Mondo all'Espresso, “Rinascita”, n. 28, 20 luglio
1979; Valerio Zanone, / 18 anni del Mondo, “Biblioteca della Libertà”, 1966, n. 2, pp. 69-85.
Sull’evoluzione della linea direttrice del giornale v. la lettera di M. Pannunzio del 16 marzo 1966 in: Antonio D’Aroma, Luigi Einaudi,
memorie, cit.
Cultura e politica del liberalismo
L’esatta dimensione dell’attività politica
svolta dai collaboratori del settimanale laico —
i suoi concreti limiti, ma anche il suo inconfu­
tabile esempio di coraggio — può essere infine
desunta dalla lettura degli Atti dei convegni che
gli “Amici del M ondo” organizzarono negli
anni cinquanta sui principali temi economici e
politici del momento: i monopoli (1953), l’ener­
gia nucleare e l’elettricità (1955), il petrolio
(1955), la scuola (1956), i rapporti Stato-Chiesa
(1957), la stampa (1958) e le condizioni delle
libertà civili e politiche in Italia (I960)98. La
lacuna maggiore è invece data dalla scarsità di
più precisi profili biografici sui singoli redattori
e collaboratori, la cui eterogenea provenienza
politica risultò spesso sfavorevole ai fini del
risultato complessivo delle iniziative del “Mon­
79
do”; ciò vale soprattutto per il direttore, Mario
Pannunzio99.
L’attenzione qui dedicata al “M ondo” può
forse apparire eccessiva, ma il liberalismo ita­
liano non può assolutamente essere visto come
un rigido blocco monolitico: al contrario deve
essere scomposto in diversi percorsi storici, fra
loro comunicanti più di quanto non appaia ad
una prima occhiata. La difficoltà è proprio in
una ricomposizione interpretativa che tenga
conto di tutte le rotture dalla comune linea
ideologica, e contemporaneamente dei naturali
processi di sintesi che tendono a realizzarsi nei
momenti di maggior corrispondenza tra la cul­
tura, l’ideologia e l’evoluzione politica liberale.
Loretta R eggian i
98 La lotta contro i monopoli, a cura di Ernesto Rossi, Bari, Laterza, 1953; Atomo ed elettricità, a cura di Eugenio Scalfari, Bari,
Laterza, 1955; Petrolio in gabbia, a cura di Eugenio Scalfari, Bari, Laterza 1955, Dibattito sulla scuola, a cura di Achille Battaglia, Bari,
Laterza, 1956; Stato e Chiesa a cura di Vittorio Gorresio, Bari, Laterza, 1957; (sui liberali del tempo ebbe indubbia influenza il pensiero
di Arturo Carlo Jemolo, di cui v. Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni. Torino, Einaudi, 1948, nuova ed. riveduta ed ampliata
nel 1963); Stampa in allarme, a cura di Achille Battaglia. Bari, Laterza, 1958; Verso il regime, a cura di Sergio Bocca, Bari, Laterza,
1960.
99 Pochissime sono le notizie su Mario Pannunzio. Sulla vastissima produzione giornalistica e politica di Ernesto Rossi (il cui sodalizio
con Pannunzio fu per anni una colonna della rivista) v. Gian Paolo Nitri, Appunti bio-bibliografici su Ernesto Rossi, “Il movimento di
liberazione in Italia”, nn. 86-87, gennaio-giugno 1967; Michele Salvati, Ernesto Rossi e l'abolizione delta miseria, “Mondoperaio”, 1977,
n. 9, Giuseppe Armarti, Ernesto Rossi. Un democratico ribelle. Parma, Guanda, 1975; Ernesto Rossi a dieci anni dalla scomparsa.
Firenze, La Nuova Italia, Quaderni del Salvemini, 1977, n. 25; Valerio Castronovo, Sorprendeva i potenti con le mani nel sacco, “La
Repubblica”, 10 marzo 1977.
IL PONTE
a. 38. n. 6
E. Enriques Agnoletti, N o n è c o m in c ia to c o n B e g in ; S. Bertocci, / "frati n e r i” d i
R o b e rto C alvi; M. Boato, il p ro c e s s o ‘7 a p rile " tra c ro n a c a e sto ria; A. Pirella,
R ip a rto n o i c a rro z z o n i d ella lo g ic a m a n ic o m ia le ; L. Ambrosoli, O ffen siva c atto lica:
p iù q u a ttrin i e in s e g n a n ti a scelta.
Marcello Dell’Omodarme, L ’Italia e L ’E u ro p a : u n a n o n -p o litic a
U o m in i sen za casa, cas e sen za uom in i.
Roberto Di Marco, L e crisi d ella
Anna Barsotti, P e r u n o stu d io
(I); Elio Veltri,
transizione.
d e i “m a g g i" d ra m m a tic i toscani;
P ro b le m a tic a d e ll’esp e rie n za e d ella letteratu ra ch ic a n a ;
Arturo Madrid,
R asseg n e
Benedetto Marzullo, S icilia m a d re d i teatro ; N ic o le M a r o g e r R a g g h ia n ti, M itte ra n d :
p a g in e d i d ia rio fra p o litic a e lette ra tu ra ; Andrea Orsucci, L e tte re d i C ro c e a G io ­
v an n i G en tile. R o b e rto M a zzu c c o , L ’a u to g e s tio n e d e lla cultura.
R itrovo
A. Tempestini, Visto da un g iu ra to p o p o la re ; L. Grande, Il p rim o m a e s tro d e l laicism o:
M a rs ilio da P ado va; F. Berlini, L e z io n i fio ren tin e; G. Favati, /p o e ti s p ie g a ti a l p o p o lo
liceale; P. Brizzi, D o d ic i p e r la sem io tica; A. Guidi, D a rio & B ario, c lo w n s livornesi.
STUDI ECONOMICI E SOCIALI
Rivista di vita economica - Centri Studi “G. Toniolo”
Comitato Scientufico: prof. Guido Menegazzi, prof. Gino Barbieri, prof. Giuseppe
Mira, prof. Vitaliano Rovigatti.
Direttore responsabile: prof. Romano Molesti.
fascicolo 1 -1982
Vincenzo Scotti, S v ilu p p o e c o n o m ic o e tutela d e i b e n i cultu rali;
Guido Menegazzi, La "terza via" s u p e ra tric e d e l m a te ria lis m o storico;
M. Raffaella Coroselli, La ric c h e zza p u b b lic a e p rivata in Italia in età ro m a n a ;
Giuseppe Conti, La p o litica a zie n d a le d i un istituto d i c re d ito im m o b iliare.
N o te e rassegne
L a fu n zio n e d e lle C asse d i R isp arm io;
Silvio Trucco, N o te a ll’ep isto lario d i G iu s e p p e T o n io lo
R e la zio n i e b ila n c i d elle a zie n d e d i c re d ito
e c o n o m ia e a m b ie n te -n o te a zie n d a li-re c in zio n i
Direzione e Amministrazione: Pisa, Piazza Giuseppe Toniolo, 2
Telef. 571181-571198
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L. 5.000, arretrato il doppio
Donne nella politica e nella stona
di P a o la Pirzio
Negli anni sessanta, quando il nuovo femmi­
nismo scosse nel profondo la vita e la coscienza
delle donne in gran parte chiuse nelle loro case
o presenti nella politica come “angeli del ciclo­
stile”, la memoria del proprio passato era com­
pletamente assente: anche la prima produzione
ebbe carattere teorico o letterario o poetico, ma
non storico.
Paola Di Cori nel saggio Storia, sentimenti,
solidarietà1 sottolinea nella storia del femmi­
nismo ottocentesco il sorgere e raffermarsi di
“una coscienza storica sull’oppressione femmi­
nile che in Italia comincia a diffondersi all’in­
domani dell’unità”.
Le donne nella seconda metà dell’Ottocento
emancipazioniste o impegnate in giornali o in
leghe operaie, si richiamano spesso al proprio
passato per rievocare le figure più rappresenta­
tive e per trovare origini e cause della condizio­
ne della servitù femminile, vista sempre come
un prodotto storico-sociale, mai come un dato
originario e naturale. Intorno agli anni venti di
questo secolo ha inizio un “blocco di memoria
storica” destinato a perpetuarsi nell’evolversi
del femminismo italiano, che ancora negli anni
settanta distingueva vecchio e nuovo femmi­
nismo solo sulla base di termini quali emanci­
pazione e rivoluzione. La cause di tale perdita
della memoria della propria storia sono indub­
biamente molto complesse e di difficile indivi­
duazione. Paola Di Cori propone una sua in­
terpretazione, indubbiamente e a suo stesso
giudizio parziale, ma che tuttavia offre uno
spunto interessante. Il sorgere e poi il dilagare
delle organizzazioni femminili cattoliche, ope­
ranti essenzialmente a livello psicologico di
formazione di mentalità, avrebbe diffuso una
interpretazione restrittiva della liberazione
femminile, attuata in modo totale dal cristiane­
simo, e una visione della naturalità del ruolo
familiare della donna.
La sovrapposizione di un modello interpre­
tativo di tipo trascendente della natura e del
ruolo della donna avrebbe cancellato la memo­
ria della storicità della propria oppressione e
alla fine avrebbe portato alla negazione di qual­
siasi antecedente tentativo di liberazione.
Difficile mettere in discussione tale esplica­
zione, decisamente documentata, in nome di
altre motivazioni di ordine storico. Forse può
essere chiarificante far riferimento ad altri
spunti, di carattere più generale. Lidia Menapace nel considerare nel suo complesso il mo­
vimento femminista italiano ne mette in luce
l’andamento carsico: “Il movimento delle don­
ne direi che emerge in modo carsico, spuntando
ogni tanto qua e là e lasciando a chi lo osserva
di ricomporre i vari momenti. Questi non sono
ancora una memoria definita, ma frammenti di
un colloquio, di un rapporto, di una sollecita-
1 Paola Di Cori, Storia, sentimenti, solidarietà nelle organizzazionifemminili cattoliche dall’età giolittiana alfascismo, “Nuova DWF”,
1979, n. 10-11.
“Italia contemporanea”, settembre 1982, fase. 148
82
Paola Pirzio
zione che non mancano tuttavia di una loro
continuità, magari sotterranea”2 Emerge quin­
di la difficoltà di ricomporre e ricostruire in una
storia unitaria momenti che tra loro hanno una
continuità non data e definita, ma da ricom­
porre.
Fra l’emancipazione della seconda metà
dell’800 e i primi del 900, le istanze libertarie
manifestatesi durante la Resistenza nei Gruppi
di difesa della donna, le organizzazioni femmi­
nili deirudi e delle A di dopo il 1945 e il nuovo
femminismo esiste una linea di continuità, qua­
si sempre negata, in quanto ogni momento
della storia delle donne nell’affermazione della
sua peculiarità ha rinnegato il precedente come
suo modello e archetipo, anche per la varietà
dei motivi via via emergenti. Solo a partire
dalla seconda metà degli anni settanta, ad una
riflessione teorica sul femminismo si è affianca­
ta una ricerca della identità femminile condotta
attrav erso la ricostruzione della storia
delle donne in una serie di studi che muovono
nella direzione di una presa di coscienza critica
del proprio passato. Sulle tracce di questi saggi
è possibile ripercorrere le tappe della “lunga
marcia” cogliendo gli elementi di continuità e di
frattura tra quei momenti, anche lontani nel
tempo, che tuttavia appaiono legati da un dop­
pio filo di somiglianza e di disparità e uniti da
una rete di collegamenti latenti nelle lunghe
durate, e poi improvvisamente emergenti nel­
l’affermazione di problematiche che non pos­
sono essere rinviate.
Nella storia delle donne affiorano temi che
pur assunti e affrontati in modo difforme, sono
termini ricorrenti di dibattito critico: il confron­
to, che può essere accettazione o conflitto, con
la società esistente e l’istituzione statale che con
il suo complesso apparato di leggi, mantiene
nella categoria della permanenza l’organizza­
zione sociale e politica, è costitutivo di ogni
teoria emancipazionista e femminista. Nella
storia del femminismo, in questo dispiegarsi
“carsico” di un movimento composito e multi­
forme, vorrei inseguire questa tematica, in ge­
nere emergente in modo deciso sia pure nel suo
consueto aspetto di continuità-discontinuità
con i momenti precedenti e successivi. È una
direzione di ricerca, largamente praticata dalla
storia della questione femminile e che oggi si va
sviluppando nel senso di una estensione del
campo di indagine alla presenza complessiva
della donna nella storia, “al carattere comples­
sivo della condizione femminile e della storia
delle donne”3.
Il periodo che va dalla fine deH’800 alla prima
guerra mondiale vede una vasta fioritura di
organizzazioni di donne, in parte indipendenti
e in parte legate al partito socialista o al movi­
mento cattolico, e una diffusa attenzione cultu­
rale e politica alla questione femminile. Sul
tema delle leggi di tutela del lavoro femminile e
sulla problematica del diritto di voto le orga­
nizzazioni socialiste e indipendenti elaborano
un dibattito estremamente vario e ricco in cui si
intrecciano motivazioni ideologiche diverse,
componendo un quadro molto vivo e parteci­
pato della presenza delle donne nella società e
nella politica. La letteratura storica su tali te­
matiche tende ad evidenziare le tracce della
presenza femminile, anche se spesso limitata ad
una élite di intellettuali, nella politica e in parti­
colare le istanze di partecipazione espresse so­
prattutto dai primi movimenti emancipazionisti. Indubbiamente tali studi hanno portato ad
una notevole accumulazione di dati e di infor­
mazioni: esili risultano però le riflessioni sulla
identità femminile, reale o progettuale, e sulle
griglie di lettura e gli schemi interpretativi che
2 Lidia Menapace, I tempi delle donne e i tempi della politica, "Rinascita", 2 dicembre 1977.
3 Maria Casalini, Dalla storia della questione femminile alta storia delle donne, “Quale storia”, febbraio 1982, n. 1, pp. 89.
Donne nella politica e nella storia
possano costituire il tessuto di una metodologia
della ricerca in generale: “l’aspetto cognitivo
progettuale”4.
Anna Maria Mozzoni ha svolto un ruolo di
primo piano nella storia dell’emancipazione
portando il proprio contributo di riflessione
critica ad ogni dibattito culturale e partecipan­
do attivamente alle più importanti battaglie
politiche del suo tempo: la sua figura è stata
oggetto di ampie e minuziose analisi. Le sue
opere sono state pubblicate da F. Pieroni Bortolotti col titolo La liberazione della donna5,
mentre la sua attività viene minutamente ana­
lizzata dalla stessa Bortolotti nel volume Alle
origini del m ovim ento fem m inile in Italia
(1848-1892)6. La lettura di queste due opere,
apparentemente complementari, non risulta
agevole per la difficoltà di reperire un’ipotesi
interpretativa di fondo e per il frequente spo­
stamento di livelli e di piani di discorso che si
intrecciano in un andamento poco omogeneo,
soprattutto nel secondo.
Mentre risulta chiara la varietà delle dimen­
sioni culturali e politiche che compongono la
ricca personalità della Mozzoni, complesso e
non ben risolto appare il legame tra emancipazionismo ottocentesco e nuovo femminismo
soprattutto in relazione alla partecipazione po­
litica.
Nell’introduzione, contraddistinta da giudizi
critici e valutativi, la Bortolotti si pronuncia
decisamente per una ripresa di motivi emancipazionisti nella Resistenza: “Fu allora che l’e­
mancipazione della donna proprio nella sua
formulazione di un tempo, arricchita di nuovi
significati per il tramite leninista, tornò ad indi­
care un’istanza solo semplicemente espressa nel
corso del primo Risorgimento”7.
Non appare invece univoco il giudizio sulle
83
posizioni della Mozzoni rispetto al femmini­
smo in quanto il movimento ottocentesco per i
diritti, di cui è l’esponente più consapevole,
ponendosi come aspetto dell’opposizione re­
pubblicana e radicale e poi operaista e socialista
è per la Bortolotti lontano da una ispirazione
femminista “estranea per sua natura alle for­
mazioni politiche”. Giudizio questo sostenibile
e sostenuto con argomentazioni precise, ma
forse poco assimilabile con l’affermazione di
poco precedente sulla posizione politica della
Mozzoni, definita marginale rispetto sia al
mazzinianesimo sia al radicalismo sia al socia­
lismo. Indubbiamente più problematica appa­
re la prospettiva in cui viene configurato il
rapporto tra la donna e la società: in una visio­
ne dialettica della realtà sociale, la donna lavo­
ratrice, e soprattutto l’operaia, è individuata
come la contraddizione di base rispetto alle
donne delle altre classi sociali e ai lavoratori in
generale, contraddizione capace di risolvere la
questione femminile e in generale la questione
sociale nella direzione di una trasformazione
radicale: “l’idea romantica che la donna sia il
termine sempre negativo del contrasto sociale,
quello che spinge a rompere l’equilibrio rag­
giunto”8.
La formazione cultural-politica della Moz­
zoni è vista in particolare in connessione con
l’interesse per il socialismo utopistico: la lettura
di Fourier e delle sue considerazioni sulla que­
stione femminile riveste un ruolo di guida, de­
stinata a non tramontare. Particolarmente
consapevole appare la contrapposizione tra il
socialismo di Proudhon, che insistendo sulla
asocialità delle donne ne vuole impedire ogni
possibile influenza nella vita politica, e la filoso­
fia del Settecento, che aveva richiamato “ogni
essere umano alla piena coscienza di sé”9.
4 Annarita Buttafuoco, Di "madri" e di "sorelle". Frammenti su donne/femminismo/storiografia, “Nuova DWF”, 1981, n. 15, p. 89.
5 Anna Maria Mozzoni, La liberazione della donna, a cura di Franca Pieroni Bortolotti, Milano, Mazzotta, 1975.
6 Franca Pieroni Bortolotti, Alle origini de! movimento femminile in Italia (¡848-1892), Torino, Einaudi, 1963.
7 Ivi, p. 15.
8 Ivi, p. 16.
9 Ivi, p. 58.
84
Paola Pirzio
Complesso e non risolto è il rapporto con le
organizzazioni femminili del tempo (il Circolo
delle sorelle Caraccciolo a Napoli e il gruppo
legato al giornale “La donna” di Gualberta
Beccali) e successivamente con il partito ope­
raio e il partito socialista.
Quasi costantemente la ricostruzione della
riflessione politica della Mozzoni sull’operai­
smo e sul socialismo, implica una valutazione
dell’attività del partito socialista tra la fine del­
l’Ottocento e i primi del Novecento. Il contra­
sto “tra le due Anne”, un po’ enfatizzato in una
sorta di duello personale, è visto dalla Bortolotti in termini decisamente negativi rispetto al
successivo sviluppo del movimento femminile,
nell’introduzione alla liberazione della donna.
L’intransigente contrapposizione politica che
portò Anna Kuliscioff a chiedere alla Mozzoni
di abbandonare ogni azione autonoma femmi­
nista all’atto di una sua eventuale iscrizione al
partito socialista, spinge l’una nell’ambito della
democrazia borghese e l’altra su posizioni ri­
formistiche: quindi in definitiva “seppellì il pa­
trimonio delle lotte passate”10. La successiva
svolta conservatrice delle organizzazioni fem­
minili, portate ad arroccarsi in attività filantro­
piche, scaturisce da questo sterile contrasto, in
modo che quando riemerge, la tematica del
suffragio, si ritrovano entrambe sole a rinfac­
ciarsi antichi torti, “l’una i limiti dell’imposta­
zione dell’altra”11.
I complessi rapporti tra emancipazionismo e
socialismo vengono analizzati dalla Bortolotti
con la consueta minuzia e scrupolo descrittivo
ne Socialismo e questione fem m inile (18921922f 2. Le prime battute del libro presentano
una osservazione di fondo che prelude a tutto il
giudizio essenzialmente svalutativo sul partito
socialista, che vede la questione femminile es­
senzialmente in termini economistici, in con­
trapposizione al futuro partito comunista: “La
fondazione del partito socialista, con la chiari­
ficazione del rapporto tra socialismo, demo­
crazia e anarchismo, e quindi lo sviluppo su
basi moderne dell’industria settentrionale e la
svolta giolittiana concorrono a creare una si­
tuazione ove non c’è posto per un motivo così
legato al ribellismo egualitario o liberitario”1314.
Secondo la Bortolotti i socialisti rinnegano il
femminismo passato in quanto astratto e in­
sieme borghese, cadendo in un errore di valuta­
zione storica nel dimenticare che la Mozzoni
aveva legato l’emancipazione femminile all’e­
mancipazione operaia. Al contrario è lo stesso
socialismo che incorpora nella propria dottrina
una larga parte della cultura borghese del tem­
po, favorevole ad un ritorno della donna al
lavoro domestico.
Un’analisi molto documentata e attenta alle
motivazioni economiche, sociologiche e ideo­
logiche presenti nell’atteggiamento del partito
socialista sulla questione femminile è condotta
da M. Casalini nel saggio Femminismo e socia­
lismo di A. Kuliscioff. 1890-1907''“'. La parte
più viva riguarda il vario intrecciarsi di temati­
che filosofico-scientifiche nella teorica sociali­
sta che assimila motivi positivistici e lombrosiani sulle dimensioni dei cervelli e la tipologia
femminile per sostenere l’inferiorità e infanti­
lismo delle donne. Sul piano sociologico viene
messa in rilievo la centralità dei valori familiari
tradizionali nella mentalità della classe operaia,
che porta il partito socialista a vedere con favo­
re un ritorno della donna al lavoro domestico
funzionale al mantenimento della famiglia e
alla riduzione della disoccupazione maschile.
All’interno di tali tematiche si colloca la rifles­
sione sulla questione femminile di A. Kuli-
10 A. M. Mozzoni, Za liberazione delia donna, cit„ p. 23.
» Ivi, p. 23.
12 Franca Pieroni Bortolotti, Socialismo e questionefemminile (1892-1922), Milano, Mazzotta, 1974.
13 Ivi, p. 23.
14 M. Casalini, Femminismo e socialismo in Anna Kuliscioff 1890-1907, “Italia contemporanea”, 1981, n. 143. p. 11.
Donne nella politica e nella storia
scioff, che elabora una tematica autonoma tra
le ambiguità vetero-positivistiche del suo parti­
to e remancipazionismo della Mozzoni, consi­
derando la condizione di inferiorità fisica e
mentale della donna come derivante da una
antica condizione di subordinazione e non da
una costituzionale infermità. Volendosi con­
trapporre al femminismo borghese sulla base di
una posizione materialistica, afferma che solo
attraverso la lotta di classe si potrà arrivare
all’emancipazione femminile, che è solo un
aspetto della più generale questione sociale.
Anche sulle leggi di tutela del lavoro, il di­
scorso di Casalini tende a collocare la posizione
della Kuliscioff all’interno del dibattito politico
del partito in cui militava e della cultura del
tempo. Mentre il partito socialista tendeva a
sottrarre il proletariato femminile ad una con­
dizione di sfruttamento esasperato anche a
prezzo di vederne il ritorno al lavoro domesti­
co, la giovane socialista rinuncia ad istanze
paritarie ed emancipazioniste pur di ottenere
una mobilitazione del partito sui problemi delle
donne lavoratrici, convinta, anche sulla base di
statistiche relative alle situazioni di altri paesi,
che le leggi di tutela non diminuiranno il volu­
me della manodopera femminile.
La battaglia per la conquista del diritto di
voto femminile in Italia nel giudizio storico è
considerata poco rilevante per il carattere
strumentale ad essa attribuito prima dalla
Mozzoni e poi dal partito socialista. Questa
strumentalità, a giudizio della Bortolotti, si giu­
stifica sulla base di motivazioni molto diverse:
per la M ozzoni15 (Alle origini, cit.), che pure
aveva cercato di formare attraverso una densa
attività di propaganda una diffusa sensibilità
suffragista, l’emancipazione è sempre l’obietti­
vo prioritario e la proposta del voto politico del
1877 ha essenzialmente la funzione di richia­
mare l’attenzione dell’opinione pubblica sui li­
85
miti dell’opera del governo e degli ordinamenti
che con l’unità hanno tolto alle donne il voto
amministrativo in vigore in molti stati preuni­
tari; per il partito socialista nel 1904 si tratta di
introdurre nella legislazione un potente mezzo
di educazione politica funzionale agli obiettivi
socialisti e non come tappa per l’emancipazione
della donna. Quindi l’incertezza dei socialisti e
la loro sostanziale acquiescenza alle direttive
giolittiane, appaiono la causa della tardiva ap­
provazione del voto femminile: solo nel 1919 la
Camera approva la legge sul voto alle donne,
con la riserva che tale diritto sarebbe stato
esercitato dalla successiva legislatura. Effica­
cemente la Bortolotti nell’attribuime la respon­
sabilità al partito socialista afferma che “aven­
do il Senato respinto il progetto di legge eletto­
rale ed essendo mutate le condizioni politiche,
quella prima conquista restò l’ultima trincea"16.
Le battaglie per l’emancipazione e per il voto
sono condotte da avanguardie e da donne intel­
lettuali legate alle organizzazioni del partito
socialista e a giornali come “La donna”. Il
saggio di Enzo Santarelli Donne e lotte di mas­
sa in Italia17 dal punto di vista storiografico
riveste un particolare interesse in quanto allar­
ga la prospettiva di analisi dalle avanguardie
intellettuali alle lotte di massa delle donne e
documenta sulla base di una ricca e accurata
ricerca una vasta partecipazione femminile alle
battaglie salariali degli ultimi anni dell’Ottocen­
to e dell’inizio del Novecento. Se le lotte per il
miglioramento delle condizioni di lavoro e del­
la retribuzione conoscono una notevole mobili­
tazione, la più generale battaglia per l’emanci­
pazione rimane pressocché ignota alle grandi
masse del proletariato femminile. A livello poli­
tico raramente la maggioranza acquisisce una
consapevolezza di sé come donna oltreché co­
me lavoratrice; difficilmente riesce ad entrare
nella dirigenza socialista. Tuttavia queste lotte
15 cfr. F. Pieroni Bortolotti, Alle origini, cit., p. 168.
16 F. Pieroni Bortolotti, Socialismo e questione femminile, cit., p. 140.
17 Enzo Santarelli, Donne e lotte di massa in Italia 1890-1915, “Critica marxista”, 1978, n. 5.
86
Paola Pirzio
di massa contribuiscono ad una presa di co­
scienza dei propri diritti nella società, nella fa­
miglia e nel lavoro.
Le organizzazioni femminili cattoliche (Fa­
scio femminile democratico-cristiano del 1901,
Unione donne cattoliche del 1909 e Gioventù
femminile del 1919) rifuggono in genere da una
partecipazione politica diretta, per orientarsi
verso una presenza cattolica nella società, ispi­
rata ad una interpretazione in senso lato della
funzione familiare, precipua della donna. In
una prospettiva essenzialmente morale e socia­
le, si colloca il “femminismo cristiano”, spesso
messo tra parentesi o addirittura negato come
fenomeno storico. A giudizio di Ida Magli18, il
termine è fortemente equivoco, in quanto tale
movimento tende a organizzare e a indirizzare
le donne verso finalità di ordine morale e reli­
gioso accantonando qualsiasi progetto di
emancipazione.
Le considerazioni della Magli sono troppo
rapide e non chiariscono certo le complesse
modalità di intervento delle organizzazioni
femminili cattoliche che dall’età giolittiana al
secondo dopoguerra, pur senza partecipare in
modo diretto alla vita politica, elaborano e
trasmettono un modello di identità femminile
dominante nella società italiana. Il volume di F.
Crescini II fem m inism o cristiano19 che racco­
glie testimonianze e interventi non facilmente
reperibili di intellettuali cattolici tra il 1898 e il
1912, analizza il porsi e i primi sviluppi della
questione femminile nel mondo cattolico.
Mentre si afferma l’esigenza di un partito di
cattolici, ma non ‘’cattolico” (sarà la prima
Democrazia cristiana di R. Murri), diretto al
superamento dell’interclassismo religioso della
Chiesa e attento ad una problematica sociale, i
problemi della condizione della donna vengo­
no affrontati in un’ottica di tipo sociologico che
muove dalla crisi della funzione educativa ed
economica della famiglia e si svolge in una
dimensione teorica di polemica con la società e
lo stato moderno che impone alla donna di
lavorare fuori casa. Nella letteratura democrati­
co-cristiana è affermata costantemente la supe­
riorità del Vangelo su qualsiasi tematica di
emancipazione della donna, che è stata liberata
definitivamente ad opera del cristianesimo dal­
la condizione di schiavitù in cui il paganesimo
l’aveva confinata. Nella prima fase (intorno al
1897 - Congresso di Zurigo) il movimento
femminile appare assorbito prevalentemente
da un dibattito teorico sui valori e il ruolo della
famiglia, destinato a dimostrare la naturalità
delle funzioni domestiche della donna, vero
centro della vita familiare, in contrapposizione
alle tesi socialiste sull’evoluzione della famiglia
e il ruolo femminile. Gradualmente però il
“femminismo teorico” (come lo definisce il
Crescini) tende a porsi come “femminismo di
fatto”20 più attento ai risultati della trasforma­
zione del ruolo femminile che alle posizioni di
principio: vengon poste in primo piano le situa­
zioni concrete in cui si esplica la presenza attiva
delle donne e le modalità di un possibile miglio­
ramento delle condizioni di lavoro. Quindi ad
un primo momento di riflessione teorica,
espressione di una situazione di disorientamen­
to, segue una fase in cui la crescente attenzione
alla realtà della donna che lavora e le analisi
sulla crisi della famiglia operaia approdano ad
un deciso superamento del paternalismo cleri­
cale e ad un progetto di intervento nella dire­
zione di una legislazione sociale di protezione
del lavoro femminile.
Tutto il discorso di Crescini è centrato sullo
sviluppo del movimento femminista cristiano
nell’ambito della prima Democrazia cristiana.
Al Congresso femminile indetto dal Consiglio
18 Ida Magli, Le mouvement féministe dans l'Eglise catholique italienne, “Concilium”, 1976, p. 121.
19 F.M. Crescini, //femminismo cristiano. La questionefemminile nella prima democrazia cristiana 1898-1912, Roma, Editori Riuniti,
1979; il termine “femminismo cristiano” viene riferito in genere a tale movimento legato alla prima democrazia cristiana.
2» Ivi.
Donne nella politica e nella storia
nazionale delle donne italiane nell’aprile del
1908, dopo l’approvazione a maggioranza di
una deliberazione contraria all’insegnamento
religioso nelle scuole elementari, le donne catto­
liche si dissociano. La frattura ha conseguenze
di rilievo in quanto determina sia la crisi del
femminismo cristiano che la costituzione del­
l’Unione donne cattoliche italiane, patrocinata
da Pio X.
Cecilia Dau Novelli nel saggio Origini dell’e­
sperienza cattolica fem m inile: rapporti con la
Chiesa e altri m ovim enti fem m inili (1908-12)2Ì
analizza sulla base di una documentazione as­
sai ricca e originale il ruolo svolto dalla Chiesa e
dall’Unione popolare di G. Tomolo nella costi­
tuzione dell’Unione donne, organizzata da Cri­
stina Giustiniani Bandini nel 1909. Lo svolgi­
mento del congresso aveva portato le donne
cattoliche a prender coscienza della rilevanza
assunta dal movimento laico e della propria
interpretazione sulla questione femminile. La
Chiesa stessa con Pio X si rende conto della
necessità di guidare la formazione di una orga­
nizzazione femminile che affermi la presenza
delle donne cattoliche nella società sulla base di
una estensione del ruolo familiare e contrap­
ponga questa nuova immagine a quella emancipazionista della cultura laica. Negli ideali del­
l’Unione, primaria è la cristianità nel suo com­
plesso rispetto alla quale l’azione femminile ha
un ruolo strumentale: “l’Unione non nasce per
difendere e migliorare la condizione femminile,
ma per difendere e migliorare la condizione
della cristianità”2122. La questione femminile è
marginale anche nei programmi di G. Tomolo,
che tenta di subordinare la nascente organizza­
zione femminile all’Unione popolare nella dire­
zione di un impegno nel sociale della Chiesa. Il
contrasto tra le finalità dell’Unione popolare e
87
dell’Unione donne è totale in quanto la Giusti­
niani Bandini, seguendo le direttive di Pio X, si
propone essenzialmente di contrastare la diffu­
sione delle organizzazioni laiche estendendo la
funzione familiare della donna senza alcun
progetto di intervento nella realtà sociale. L’af­
fermarsi della linea della Giustiniani Bandini
determina l’apoliticità dell’Unione e il prevalere
della dimensione religiosa in un’ottica di astori­
cità. I temi elaborati nella Settimana sociale di
Torino nel 1913 sembrano tuttavia preludere
ad un’apertura: si parla infatti di legislazione
sociale, di organizzazione operaia, di lavoro a
domicilio e di emigrazione. La Giustiniani in­
terviene però prontamente a chiudere la strada
a tentativi di intervento su tematiche economico-sociali e mette in guardia le aderenti da
tentazioni socialiste. La Dau Novelli tuttavia
sottolinea l’importanza dell’Unione, che pur
affermando il ruolo esclusivamente familiare
della donna, penetra nelle zone di maggiore
arretratezza attuando un’azione di risveglio e
svecchiamento del mondo cattolico: “facendo
così acquisire a questa fascia sub-emarginata di
donne una maggiore dignità di se stessa e la
possibilità di Tare storia’”2324.
Una problematica più vasta viene affrontata
da Paola Di Cori nel saggio Storia, sentimenti,
solidarietà nelle organizzazionifem m inili catto­
liche dell’età giolittiana al fascism o2*, ove il
complesso intrecciarsi di paradigmi interpreta­
tivi, dal sociologico all’antropologico al lettera­
rio, offre una immagine della realtà femminile
cattolica viva anche dopo il 1945. L’analisi sto­
rica e critica prende le mosse dalla letteratura
femminile del tempo e si svolge elaborando
tematiche ricavate da riviste femminili e da
romanzi. Rivelatrice è l’ideologia della rivista
“Azione muliebre” fondata nel 1901, lontana
21 Cecilia Dau Novelli, Alle origini deliesperienza cattolica femminile: rapporti con la Chiesa e gli altri movimenti femminili
(1908-1912), "Storia contemporanea”, 1981, n. 4-5.
22 Ivi, p. 693.
23 Ivi, p. 711.
24 P. Di Cori, cfr. Storia, sentimenti, solidarietà, cit., cfr. anche P. Di Cori-M. De Giorgio, Politica e sentimenti: te organizzazioni
femminili cattoliche dall’età giolittiana alfascismo, “Rivista di storia contemporanea”, 1980, n. 14.
88
Paola Pirzio
dalla realtà di vita della donna italiana lavora­
trice sia borghese che operaia: il ruolo femmini­
le viene definito all’interno della famiglia e in
rapporto al compimento di una missione so­
prannaturale. Nelle iniziative proposte alle let­
trici il periodico si rivelerà incapace di un’azio­
ne diversa dal femminismo caritativo soprat­
tutto per la mancata comprensione delle muta­
te condizioni di vita della società del tempo. Più
aperto verso le nuove esigenze e problematiche
appare il romanzo del gesuita Antonio Pavissich, pubblicato nel 1906 su “Civiltà Cattoli­
ca”, Donna vecchia e donna nuova, ove, nono­
stante l’acritica e continua polemica nei con­
fronti dell’emancipazionismo, la figura di don­
na centrale risulta “vera” e rappresentativa di
un modello di vita diffuso e al Circolo femmini­
le viene attribuito il ruolo di soddisfare in modo
primario o semplicemente compensatorio esi­
genze di socializzazione e affettive, spesso non
realizzate in situazioni familiari difficili.
La Di Cori sottolinea come l’Unione trovi la
sua affermazione più piena durante la prima
guerra mondiale ove, per l’assistenza psicologi­
ca e morale prestata ai soldati, risulta rafforzata
sul piano numerico e organizzativo; a livello
teorico però si allontana dalle organizzazioni
femminili dell’Ottocento, in genere pacifiste,
per la giustificazione della guerra vista come un
evento naturale e purificatore di società guaste
e corrotte. Centro propulsore del movimento
femminile cattolico è anche la Gioventù fem­
minile fondata nel 1918, che pur proseguendo
in parallelo l’attività dell’Unione donne, ne per­
feziona l’ideologia e l’azione nella direzione di
una “conquista degli spazi fisici e psicologici
della vita privata e quotidiana delle donne”25.
La Di Cori evidenzia la conoscenza profonda
della situazione di sbandamento e di solitudine
in cui vengono a trovarsi le donne italiane dopo
la guerra e come l’organizzazione Gioventù
femminile offra uno spazio di vita associata
“organizzata quasi militarmente”26 allo scopo
di colmare i vuoti di una condizione femminile,
a cui l’emancipazionismo non ha saputo pro­
spettare soluzioni esistenziali. Alle associate es­
sa offre la prospettiva di una "emancipazione”,
non come obiettivo autonomo e autogiustificantesi, ma finalizzato al ritorno della donna al
lavoro domestico e alla famiglia e solo entro le
rigide direttive della gerarchia ecclesiastica.
Nel periodo fascista le organizzazioni femmi­
nili legate ai partiti si dissolvono, mentre l’insi­
nuarsi della immagine della donna come “spo­
sa e madre esemplare” nelle organizzazioni in­
dipendenti determina il prevalere di tematiche
patriarcali focalizzate sulla centralità della
donna nella famiglia27. Il regime con la sua
legislazione sul lavoro femminile e la martellan­
te propaganda ideologica conferma la comple­
ta estromissione della donna da ogni dimen­
sione di partecipazione politica imponendole
un ruolo precostituito e cancellando così ogni
memoria storica delle battaglie emancipazioniste. Se in questi anni la passività appare la
dimensione fondamentale dell’atteggiarsi delle
donne nei confronti della politica, durante la
Resistenza esse si pongono come partecipi di
un ampio processo di trasformazione che va
dall’abbattimento del fascismo alla costruzione
di uno stato democratico.
25 P. Di Cori, Storia, sentimenti, solidarietà, cit., p. 123.
26 Ivi, p. 19.
22 In questa rassegna è stata messa tra parentesi la letteratura storica sulle ideologie antifemministe del fascismo in quanto l’indagine che
ho condotto, analizzando i due soggetti che si intrecciano e che costituiscono il rapporto donne-potere, tende ad evidenziare la
dimensione della partecipazione politica: durante il regime fascista invece le donne vengono costrette ad una posizione di passività sia
nella prassi quotidiana sia, a livello teorico, nell’elaborazione dell’immagine femminile. Fondamentali sono a questo proposito: Maria
Antonietta Macciocchi, La donna nera. “Consenso"femminile e fascismo, Milano, Feltrinelli, 1976; Piero Meldini, Sposa e madre
esemplare. Ideologia e politica della donna durante ilfascismo, Firenze, Guaraldi, 1975; Enzo Santarelli, Ilfascismo e le ideologie
antifemministe in La questione femminile in Italia dal '900 ad oggi, Milano, Angeli, 1977.
Donne nella politica e nella storia
In un clima culturale (metà degli anni set­
tanta) attento alla questione femminile e inte­
ressato al ricupero della memoria storica delle
donne, la tematica “donne e Resistenza” è
stata forse la più analizzata. La vasta lettera­
tura prodotta risente delle esigenze di colmare
i vuoti di una storia, sinora scritta solo al ma­
schile, e presenta tutti i caratteri della risco­
perta di un tema spesso rimosso e ignorato.
Numerose sono infatti le monografie che illu­
strano la varia e vasta partecipazione femmi­
nile, spesso rivolte all’esame di una singola
area geografica sulla base di una documenta­
zione ancora sconosciuta, e quindi minuziosa
e talvolta aneddottica28. Più significative sono
le opere che raccolgono testimonianze di
donne, come La Resistenza taciuta29 e Com­
pagne30, che esprimono una varietà di temati­
che difficilmente riconducibili a posizioni po­
litiche rigide e ad omogeneità. Pochi sono i
saggi, forse solo i più recenti, che hanno ela­
borato una riflessione critica sulla specificità
degli obiettivi perseguiti e sulle modalità della
partecipazione femminile.
M. Alloisio e G. Beltrami in Volontarie
della libertà31 mirano a costruire un quadro
geografico complessivo della presenza delle
donne nella Resistenza e nello stesso tempo
ad analizzarne motivazioni e modalità
Il regime fascista, oltre ad elaborare ed im­
porre alla donna un ruolo esclusivamente do­
mestico e familiare, l’aveva definitivamente
emarginata dal mondo del lavoro intellettuale
aumentando le tasse universitarie ed escluden­
dole dai concorsi a preside e insegnante di
89
liceo32, ne aveva ridotto il tenore di vita dimi­
nuendo a tutte i salari. D rifiuto delle donne
verso il fascismo diviene più deciso con l’entrata
in guerra, quando la vastità delle perdite umane
e il diffondersi della miseria colpiscono dura­
mente ogni dimensione del vivere quotidiano.
Il rifiuto si trasforma in ribellione aperta
dopo l’8 settembre, quando le donne si pro­
digano ad assistere i soldati dell’esercito ita­
liano minacciati dalla deportazione in Ger­
mania. Questa attività ha tutti i caratteri del
più netto volontariato in quanto nessuna
autorità civile e neppure morale imponeva di
esporsi a tali gravissimi pericoli. Inoltre se in
alcuni casi il coinvolgimento politico può es­
ser stato determinato da un legame affettivo,
in generale si è posto come “una scelta di rot­
tura”, una vera e propria “rivoluzione” rispet­
to all’ambiente familiare e a tutto un mondo
di consuetudini interiorizzate, che confinava­
no la donna nella casa. La partecipazione di
massa, superiore in Italia rispetto ad altri
paesi europei, appare determinante a livello
psicologico in una società patriarcale che da
una parte opprime in modo più pesante e
quindi sviluppa maggiori esigenze libertarie, e
dall’altra, con l’imposizione della separatezza,
sviluppa qualità come “l’intuito, sentimenti
materni e protettivi insieme alla tendenza alla
complicità, particolarmente necessarie alla lot­
ta clandestina”33.
Quasi tutte le analisi storiche e le testimo­
nianze dirette concordano sulla mancata rea­
lizzazione delle istanze delle donne e sulla lo­
ro persistente emarginazione dalla vita politi-
28 Le donne nella Resistenza in Liguria, a cura del Consiglio regionale della Liguria, Firenze, La Nuova Italia, 1979; Donne e resistenza
in Emilia Romagna, Milano, Vangelista, 1978.
29 La Resistenza taciuta, a cura di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, Milano, La Pietra, 1976.
30 Compagne, a cura di Bianca Guidetti Serra, Torino, Einaudi, 1977.
31 Mirella Alloisio-Giuliana Beltrami, Volontarie della libertà, Milano, Mazzotta, 1981.
32 L’incremento della scolarizzazione femminile di massa durante il regime fascista, documentato da M. Barbagli. Disoccupazione
intellettuale e sistema scolastico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1976 non contrasta con tali disposizioni destinate a colpire il livello più alto
dell’occupazione femminile.
33 M. Alloisio-G.Beltrami, Volontarie della libertà, cit., p. 31.
90
Paola Pirzio
ca. Isotta Gaeta in un intervento nel volume
L ’altra m età della R e s is te n z a analizzando
l’immagine della donna nell’ideologia resi­
stenziale, intende risalire alle cause di questo
‘’tradimento” e della conseguente apoliticità
femminile. La questione femminile nella Re­
pubblica rimane irrisolta in quanto già all’in­
terno del movimento partigiano non erano
state affrontate le contraddizioni di classe e di
sesso presenti ancora nella società italiana.
Innanzi tutto non era stato facile costruire
durante la Resistenza una organizzazione di
massa femminile, ostacolata agli inizi e poi
riconosciuta con difficoltà. Quando i Cln ri­
conoscono i Gruppi di difesa della donna,
con ritardo e non ovunque, l’intento fondamentale è quello di meglio sorvegliarli e gui­
darli in quanto l’ideale prevalente sta nel ri­
pristinare nell’Italia liberata il vecchio ordine
prefascista della società, ispirato a forme pa­
ternalistiche. In questa direzione i Gdd (Grup­
pi di difesa della donna e per l’assistenza ai
combattenti della libertà) rivelano pienamente
l’ambiguità presente anche nella loro deno­
minazione accettando un ruolo subalterno e
ponendo in secondo piano la questione fem­
minile e l’analisi delle radici di classe della su­
bordinazione delle donne. A livello politico la
Gaeta sottolinea la contraddizione tra le ri­
vendicazioni femminili (parità salariale, servi­
zi sociali ecc.) e l’interclassismo dei Cln: ma
l’alleanza tra Cln e Gdd stabilisce un accordo
di vertice destinato a mettere tra parentesi tali
rivendicazioni non solo per il periodo clande­
stino, ma a preparare il terreno per il dopo­
guerra, quando si sarebbe chiesto alle donne
di tornare alla famiglia e al ruolo domestico.
Vi erano indubbiamente difficoltà gravissime
da superare sul piano pratico, militare in par­
ticolare, e in tale situazione la questione della
donna non poteva né trovare spazio né porsi
come prioritaria: ma agivano sui dirigenti del
movimento operaio anche le posizioni della
Terza Internazionale, orientate verso una vi­
sione economicistica dei problemi della don­
na che solo nel socialismo avrebbero cono­
sciuto la piena soluzione. In questa direzione,
l’Udi costituita nel settembre del 1944, si im­
pegnerà in un ruolo di supporto al Pei su li­
nee politiche generali.
Anche S. Soglia, nel saggio D onne e resi­
stenza: i problem i dell’emancipazione fem m i­
nile nella stampa clandestina35, vede le istanze
emancipazioniste elaborate non in una di­
mensione autonoma, ma nell’ambito di un
complesso di valori generali di libertà e di
democrazia. Nell’edizione emiliana romagno­
la di “Noi donne” nel maggio del 1944 si leg­
ge: “Contribuendo alla liberazione dellTtalia
noi donne ci guadagniamo il diritto di parte­
cipare domani alla ricostruzione della Patria,
combattendo per l’indipendenza dell’Italia noi
combattiamo anche per la nostra libertà di
donne e lavoratrici”36. La questione femmini­
le potrà esser risolta solo cacciando i tedeschi
e i fascisti, quindi solo risolvendo prima le
difficoltà generali e abbattendo uno stato an­
tidemocratico. Se la questione femminile vie­
ne vista come un momento della più com­
plessa questione sociale e quindi da affrontar­
si all’interno di questa, la partecipazione atti­
va alle lotte su obiettivi generali viene vista
come momento primario ed essenziale per
una futura realizzazione di mete specifiche:
quasi che la passività fosse sentita come causa
della propria sconfitta ed oppressione. La
partecipazione attiva delle donne d’altra parte
anche nel giudizio di S. Soglia sembra esclu­
dere una subalternità di ruolo, che è invece
ampiamente documentata da molte testimo­
nianze. In genere, quindi, la specificità della
problematica femminile e degli obiettivi di li-
-14 L’altra metà della Resistenza, Milano, Mazzotta, 1978, p. 33.
35 Sergio Soglia, Donne e Resistenza: i problemi dell’emancipazione femminile nella stampa clandestina, in Donne e resistenza in
Emilia Romagna, voi. II, cit., p. 293.
36 Ivi, p. 300.
Donne nella politica e nella storia
berazione ad essa legati appare estranea alla
partecipazione attiva delle donne al movi­
mento di liberazione.
Nel periodo che va dal 1945 agli anni set­
tanta le organizzazioni femminili si muovono
in una dimensione di continuità e di perma­
nenza, quasi di una riproposizione della pro­
pria identità costruita negli anni venti e du­
rante il movimento di liberazione. Il prevalere
di tematiche politiche generali e la rimozione
dei problemi della crisi della famiglia e della
sessualità appaiono riscontrabili sia nell’Udi
che nelle organizzazioni cattoliche. Le valuta­
zioni storiche sul movimento femminile, pur
prendendo le mosse da considerazioni molto
diverse, sono in genere concordi nell’attribuirgli una scarsa incidenza sulla realtà socio­
politica e un discontinuo impegno nella tema­
tica dell’emancipazione. Paola Gaiotti in Que­
stione fem m inile e fem m inism o nel trentennio
repubblicano in Italia2,1, pur segnalando uno
sviluppo significativo della riflessione cultura­
le sulla questione femminile, ne sottolinea i
limiti presenti nell’eccessiva astrattezza delle
formule in cui vengono espressi i problemi di
fondo. Pur riferendosi alla storia e alla pro­
blematica delTUdi, focalizza il discorso sul
movimento femminile cattolico più su di un
piano valutativo che storico descrittivo.
Le organizzazioni cattoliche, dalle Acli al
Cif e Gfci si propongono un piano di conqui­
sta globale della società, anche se a livello po­
litico si impegnano su tematiche generali in
modo subalterno alla Chiesa e alla Democra­
zia cristiana. Ad un periodo di grande diffu­
sione, segue negli anni cinquanta una crisi,
solo parzialmente legata a motivazioni di ca­
rattere generale presenti anche nell’Udi. La
Gaiotti tratteggia una crescente diminuzione
di capacità di influenza, determinata essen­
zialmente dalla ambiguità della Gfci, organiz­
zazione che da una parte opera nella società
91
civile insieme o in contrapposizione ad altre
organizzazioni, ma che è nella sua più vera
natura organizzazione confessionale, legata a
direttive precise della gerarchia ecclesiastica e
quindi per definizione avulsa dal “vario, in­
certo, fluttuante mondo delle donne”3738. An­
che quando l’Udi alla metà degli anni cin­
quanta tenterà di impostare una politica auto­
noma di emancipazione e di intervento nel
sociale, le organizzazioni cattoliche rimarran­
no isolate e chiuse alla collaborazione. A tali
difficoltà la Gaiotti oppone il proprio proget­
to di una organizzazione laica, caratterizzata
da una linea di intervento concreto, credibile
per tutte le donne non solo per quelle appar­
tenenti ai ceti subalterni. Il complesso lavoro
culturale di Gfci a livello di "educazione sen­
timentale” e il ruolo svolto dalle organizza­
zioni femminili cattoliche nel periodo che at­
traverso il fascismo arriva agli anni cinquan­
ta, viene analizzato con sottili e attente cate­
gorie storiche e psicologiche da M. De Gior­
gio nel saggio M etodi e tem pi di una educa­
zione sentim entale39. Nel settembre 1948 le
centomila donne di Azione cattolica che af­
fluiscono a Roma per celebrare il trentennio
della loro organizzazione, sono una prova
dell’azione in profondità svolta da Gioventù
femminile attraverso una intensa attività di
elaborazione teorica e di propaganda condot­
ta anche tramite riviste come “Fiamma viva”
e “Squilli di resurrezione”. L’obiettivo prima­
rio delle dirigenti cattoliche appare lo svuo­
tamento del movimento emancipazionista di
fine secolo, operato assorbendone alcune di­
mensioni e sublimandone altre, in un modello
di comportamento che cancella le inquietudi­
ni e le risolve enfaticamente in un’azione rigo­
rosamente programmata e ordinata. Si tratta,
secondo la De Giorgio, di una attenta analisi
psicologica che fa leva su sentimenti e incer­
tezze della donna in un difficile periodo stori­
37 Paola Gaiotti De Biase, Questionefemminile efemminismo nel trentennio repubblicano in /fa/ia “Humanitas”, 1977, n. 8-9, p. 583.
38 Ivi, p. 602.
39 cfr. n. nota 23 e M. De Giorgio, Metodi e tempi di una educazione sentimentale, “Nuova D W P , 1979, n. 10-11.
92
Paola Pirzio
co e che su questa base prevede i possibili
meccanismi che permettono di superare le
contraddizioni in uno “stare insieme rigoro­
samente militare”40, regolato da norme preci­
se di ubbidienza. L’atteggiamento che pareva
alla Gaiotti di ambiguità tra un’associazione
civile e una associazione subordinata alla ge­
rarchia ecclesiastica, e in definitiva causa della
crisi delle organizzazioni cattoliche, appare al­
la De Giorgio garanzia di successo e di una
ampia diffusione. I termini della partecipa­
zione politica del movimento cattolico secon­
do la De Giorgio vanno ridefiniti in termini
peculiari e intesi in un significato più ampio
di quanto l’emancipazione avesse fatto ai
primi del Novecento. Formalmente Gioventù
femminile si definisce apolitica e grazie a que­
sta sua conclamata neutralità riesce a mante­
nere integra la sua organizzazione durante il
fascismo. M a è proprio in questo periodo che
viene elaborata la teoria per cui ogni cattolico
deve occuparsi di politica per affermare gli
insegnamenti cristiani in ogni luogo, dalla
famiglia al posto di lavoro. Questo nuovo
modo di fare politica praticato soprattutto
nel secondo dopoguerra, anche se formulato
a livello teorico in precedenza, è riconducibile
solo parzialmente alla concessione del diritto
di voto, obiettivo primario delle organizza­
zioni femministe del primo Novecento: più
che altro è legato alle modalità di azione delle
organizzazioni cattoliche che agiscono a livel­
lo capillare di diffusione di mentalità, più che
di presenza attiva in battaglie politiche e
sociali.
Anche il tipo di contenuti e obiettivi gioca un
ruolo essenziale nelle modalità di partecipazio­
ne politica: Margherita Repetto in M ovim ento
di emancipazione e organizzazione fem m inili
cattoliche. Spunti per un’analisi41 ne fornisce
uno studio sintetico, ma chiarificante. Innanzi
tutto, esordisce con una precisazione di fondo:
la costituzione dell’Udi da una parte e di Gfci
dall’altra non avviene su di un terreno teorico di
emancipazione, ma in un quadro di riferimento
politico generale. Solo quando si rallentano le
tensioni intemazionali provocate dalla guerra
fredda e le motivazioni politiche complessive
vengono collocate in secondo piano, è possibile
individuare gli obiettivi specifici delle organiz­
zazioni femminili del secondo dopoguerra.
L’Udi ha come “retroterra delle sue scelte poli­
tiche una idea di emancipazione”42, quindi la
consapevolezza di una generica oppressione:
anche se la società maschile non ne è indicata
come fattore causale. Per molto tempo d’altra
parte essa non ha introdotto tematiche tipiche
del nuovo femminismo e talvolta del femmi­
nismo ottocentesco, come la famiglia e la ses­
sualità: la causa è individuabile secondo la Re­
petto soprattutto a livello pratico, nella volontà
di non rompere in modo definitivo con la mas­
sa delle donne italiane — cattoliche in generale
— sulla tematica dell’unità familiare. Nelle or­
ganizzazioni cattoliche invece il termine eman­
cipazione è del tutto assente e la rivendicazione
primaria consiste nella parità di diritti vista non
come valore autonomo, ma funzionale alla
piena realizzazione del ruolo familiare e mater­
no, peculiari della donna.
G. Ascoli nel saggio L ’Udi tra emancipazio­
ne e rivoluzione43, ne documenta le origini a
livello teorico facendole derivare da un testo
destinato alla formazione dei quadri femminili
comunisti, Breve corso Zetkin del 1953. Il ma­
nuale, che appartiene alla peggiore scolastica
del marxismo, sostiene in linea con le posizioni
della Terza Intemazionale che l’emancipazione
della donna potrà realizzarsi solo con la fine
dello sfruttamento capitalistico.
Per i primi anni di vita deH’Udi, la Ascoli,
che ad un lavoro di ricostruzione storica affian-
« M. p. 131.
41 Margherita Repetto, Movimento di emancipazione e organizzazionifemminili cattoliche, “Nuova D W P , 1981, n. 16.
42 Ivi, p. 42.
43 G. Ascoli, L’Udi tra emancipazione e liberazione (1943-1964), in La questione femminile in Italia dal '900 ad oggi, cit.
Donne nella politica e nella storia
ca valutazioni politiche, si pone in un’ottica di
giustificazione approvando l’atteggiamento di
solidarietà e non di rottura verso la società
italiana: d’altra parte ricorda che l’Italia dopo il
1945 aveva compiuto una rivoluzione demo­
cratica e non socialista. Risulta però indubita­
bile dall’analisi di questi anni la scarsa capacità
di mobilitazione, dovuta in gran parte all’aver
privilegiato tematiche politiche complessive, in
accordo con la linea del Pei e la resistenza di
molte donne anche comuniste a lavorare in
organizzazioni femminili considerate, ed effet­
tivamente, subalterne al partito.
Tra il 1956 e il 1959 si afferma nell’Udi una
tendenza verso l’autonomia dai partiti e la pro­
posizione della parità giuridica e salariale come
obiettivo primario e specifico. Le considerazio­
ni che portano alla mobilitazione sulla parità
prendono le mosse dalla condizione di inferio­
rità in cui si trova la donna italiana, ancora
lontana dall’effettiva eguaglianza, e dalla con­
vinzione che tale mobilitazione avrebbe orien­
tato verso finalità più specifiche e radicali. Ma
l’illusione gradualistica viene smentita negli an­
ni sessanta quando, una volta sancita la parità
salariale nel 1960 e raggiunto un diffuso benes­
sere, è messa in discussione la stessa ragion
d’essere di una associazione femminile auto­
noma in nome di una mobilitazione più genera­
le, in sincronia con il movimento operaio. Pro­
prio in relazione a tale dibattito estremamente
complesso, la Ascoli evidenzia la limitatezza
degli obiettivi dell’Udi, troppo cauta nel pro­
porre tematiche come la crisi della famiglia e la
sessualità, in nome di un movimento femminile
unitario, mai realizzato, e di una ipotetica men­
talità retriva del movimento operaio. Nono­
stante che le tesi precongressuali del 1964 rive­
lino la consapevolezza della propria inadegua­
tezza e affermino la priorità delle esigenze di
93
liberazione della donna, l’Udi sembra rimanere
ferma ad una tematica che parte dal “pubbli­
co” anziché dal “privato” e di conseguenza non
recepisce le istanze che provengono dalle don­
ne, sulle quali continua a calare le proprie paro­
le d’ordine44. Il modo di fare politica è ancora
modellato sullo schema dei partiti e ha scarso
seguito tra le donne che preferiscono aderire
alle organizzazioni cattoliche promotrici anche
di modelli di comportamento e scelte esistenzia­
li, pur sempre ricavate dal vissuto femminile.
La distanza dell’Udi da una problematica di
liberazione della donna, diviene una vera e
propria lontananza soprattutto negli anni set­
tanta, quando si sviluppa e si diffonde in modo
dirompente il nuovo femminismo. Una conno­
tazione politica di fondo, o meglio una nuova
dimensione del politico, caratterizza questo
movimento composito e non facilmente ricon­
ducibile ad una definizione univoca. La pecu­
liarità del nuovo femminismo, derivante in
gran parte dalla proposta di un modo alterna­
tivo di fare politica a partire dal proprio vissu­
to, determina nei primi anni settanta difficoltà a
comunicare la varietà delle esperienze senza
annullarne la specificità in una sintesi fittizia.
La prima letteratura ha un carattere antologi­
co45 che ben si adatta alla esigenza di esprimere
le molte voci delle donne: “necessità di comuni­
care significa rintracciare il filo rosso che lega
tutte le diversità tra le donne ad un progetto
politico comune che faccia “vivere” e non ap­
piattisca le differenze”46.1 saggi critici vengono
elaborati in un periodo successivo quando al
momento dell’espressione succede la riflessione
critica sulle pos°ibili categorie interpretative
con cui elaborare e comprendere l’originalità
del patrimonio teorico della nuova esperienza.
L’elaborazione e la discussione di una teoria in
44 Ivi, p. 159.
45 I movimentifemministi in Italia, a cura di R. Spagnoletti, Roma, Savelli, 1971; Femminismo e lotta di classe (1970-1973), a cura di
B.M. Frabotta, Roma, Savelli, 1973; La politica delfemminismo a cura di B.M. Frabotta, Roma, Savelli, 1976.
46 Manuela Fraire, La politica delfemminismo, “Quaderni piacentini”, 1977, n. 62-63.
94
Paola Pirzio
senso forte del rapporto uomo-donna e di una
immagine progettuale della realtà femminile,
appare fondamentale in quanto il movimento
femminista si propone di agire a livello di tra­
sformazione di mentalità nella direzione di una
reimpostazione del modo di rapportarsi della
donna alla società nel suo complesso, e non
semplicemente nel senso di una conquista di
spazi politici e giuridici paritari.
Lidia Menapace nel saggio Le cause struttu­
rali delfem m inism o47 ne tenta un’analisi su basi
strutturali destinata a fornire una spiegazione
in termini storico-materialistici. Nell’ambito di
un’analisi “strutturale” della collocazióne della
donna nel processo produttivo, il dato materia­
le è costituito dal corpo che produce forza
lavoro e nell’ambito della famiglia conserva la
forza lavoro. Mentre i lavoratori hanno nella
fabbrica capitalistica il luogo di aggregazione e
di acquisizione di una identità di classe, le don­
ne raramente hanno luoghi di incontro in
quanto la casa in cui svolgono il primo e secon­
do lavoro è più che altro luogo di isolamento:
di qui la difficoltà di acquisire una identità e
organizzare un movimento di lotta senza poter
far riferimento ad un luogo fisico di incontro.
Ne deriva l’importanza dei piccoli gruppi, costi­
tuiti spesso in sedi domestiche, in cui viene
avviato un processo di autocoscienza attraver­
so l’analisi del proprio vissuto e l’identificazione
dei meccanismi di esclusione dalla società. Il
piccolo gruppo rappresenta quindi a livello
“strutturale” la possibilità di raggiungere una
dimensione politica autentica, in quanto le
esperienze di vita individuale vengono ricon­
dotte a categorie generali, a modalità di oppres­
sione di una società organizzata sulla base del
predominio dell’uomo sulla donna.
Per la Menapace, nella nascita del nuovo
femminismo una importanza non trascurabile
ha rivestito l’Udi, che muovendosi in un’ottica
riformistica ha privilegiato obiettivi economico-giuridici nella direzione della emancipazio­
ne e ha proceduto sulla base non di una mobili­
tazione autonoma, ma di forme di lotta delega­
te ai partiti. La crisi dello sviluppo capitalistico
ha vanificato gli obiettivi emancipazionisti e ha
riproposto la problematicità della condizione
femminile a cui una politica “delegata” non ha
saputo dare sufficienti risposte.
Sempre nella direzione della individuazione
dei riferimenti politici e culturali più consoni a
definire la specificità del nuovo femminismo,
M. Gramaglia nel saggio 1968: Il venir dopo e
l’andar oltre del movim ento fem m inista4748, focalizza le tematiche di fondo del ’68 per poi ana­
lizzarne la presenza e insieme lo sviluppo e il
superamento nel movimento femminista. Il
tema della famiglia nel movimento degli stu­
denti era stato oggetto di una analisi tanto
rapida quanto netta: l’unica azione politica
possibile pareva quella di liberarsene rapida­
mente o di accettarla avvertendone tutti i limiti.
Ma, sottolinea la Gramaglia, per le donne il
rapporto con la famiglia passata o che si forme­
rà, è impossibile da cancellare sia a livello socia­
le che psicologico: le tracce di un rapporto di
subordinazione sono destinate a segnare la vita
di ogni donna, in ogni forma di rapporto socia­
le. La specificità del femminismo sta proprio
nell’aver abbozzato sulla base di tale consape­
volezza una teoria materialistica della famiglia
che porta all’individuazione di un soggetto uni­
tario, la donna, sia essa lavoratrice che casalin­
ga, dalla cui realtà è possibile far emergere una
dimensione politica autentica. Il progetto poli­
tico che ne deriva appare come una “rivoluzio­
ne più lunga di quella socialista” destinata ad
abbattere la diseguaglianza di fondo, quella tra
uomo e donna49.
La difficoltà di realizzare una trasformazio­
ne così ampia determina momenti di arretra­
47 Lidia Menapace, Le cause strutturali del nuovo femminismo, La questionefemminile in Italia dal 1900 ad oggi,, cit., pp. 170 sgg.
* Mirella Gramaglia, 1968: il venir dopo e /'andar oltre del movimentofemminista, in La questionefemminile in Italia dal 1900 ad oggi,
cit.
49 Ivi, p. 190.
Donne nella politica e nella storia
mento e di incertezza: M. Fraire nel saggio II
m ovim ento fem m inista: due passi avanti e uno
indietro50, ne spiega l’andamento alterno met­
tendo in luce la non commensurabilità dei va­
lori del femminismo, spesso propri di un uni­
verso di discorso psicanalitico, rispetto alla pra­
tica politica concreta. Proprio l’estraneità di tali
tematiche al mondo della politica, provoca dif­
ficoltà di realizzazioni effettive e induce le don­
ne che ne sono portatrici alla passività, all’e­
marginazione e infine all’accettazione dell’e­
sclusione, a posizioni definite dalla Fraire di
“irrazionalismo mistico”. Parimenti nota e dif­
fusa è la posizione di “presenzialismo” tendente
a ridurre ogni progetto delle donne a lotte
pratiche. Per la Fraire questa è la dimensione in
cui si muovono le donne impegnate in battaglie
di stampo emancipazionistico per i diritti civili,
spesso riduttive rispetto ad obiettivi di libera­
zione e progettate dai partiti “secondo un pro­
gramma fatto sulle donne e non dalle donne”51.
I saggi di L. Menapace, di M. Gramaglia e di
M. Fraire, pur presentando il femminismo da
angolature diverse, ne condividono l’imposta­
zione teorica e le linee essenziali. In una posi­
zione di critica e talvolta di incomprensione, si
collocano gli studi di Adriana Seroni, dirigente
del Pei e dell’Udi e fondatrice del settimanale
“Donne e politica”. Nell’articolo Ragioni e torti
del neofem m inism o, come già in M om enti del­
la questione fem m inile in Italia51, l’influenza
culturale straniera risulta determinante in tutta
la storia della questione femminile in Italia, ma
in particolare nel neofemminismo, che sembra
non aver compiuto alcun tentativo di sintetiz­
zare l’esperienza americana con l’analisi della
concreta condizione della donna nella società
italiana. L’ipotesi di fondo, ossia la liberazione
vista come autocoscienza e revisione critica del
proprio vissuto, viene considerata dalla Seroni
95
come esclusivamente culturale e non politica,
sostanzialmente nell’ambito di “una cultura
femminile”. Anzi l’elaborazione di un nuovo
modo di fare politica a partire dalla propria
esperienza, si colloca nell’ambito di “una rivo­
luzione culturale” e di “presa di coscienza”, in
quanto la formulazione di un’ipotesi liberatoria
risulta “poco evidente”53. Un’ottica concentrata
sul privato, causa una carenza di analisi e, di
conseguenza, di obiettivi economico-sociali e
favorisce una focalizzazione sulla rivendicazio­
ne di una sessualità liberata da condizionamen­
ti. Secondo la Seroni una linea di tendenza
orientata su tali tematiche può anche porsi
come rivolta radicale, ma è indubbiamente il
segno di una sconfitta, di una inconsapevole
limitazione delle possibilità di intervento alla
sfera del privato: in totale, una accettazione
della divisione dei ruoli, che vede la donna
chiusa nel suo ambito familiare e l’uomo pro­
tagonista nel mondo del lavoro e della politica.
Estraneo alla prospettiva e alla problematica
femminista, più che in aperta polemica, è la
posizione della Gaiotti nei saggi Questione
fem m inile e fem m inism o nella storia della Re­
pubblica54.
L’analisi delle condizioni economico-sociali
emergenti negli anni sessanta, assai precisa e
attenta, è diretta a cogliere le motivazioni dell’acuirsi delle contraddizioni che portano al
prepotente imporsi della questione femminile
negli anni settanta. La Gaiotti sottolinea che,
mentre le organizzazioni cattoliche femminili,
dalle Adi al Cif alla Gfci elaborano complesse analisi della situazione e teorie esplicative, il disaddattamento femminile di massa si concentra
in una focalizzazione sui temi della moralità ses­
suale, rifuggendo da ogni ricerca di un proget­
to di partecipazione responsabile alla politica e
alla storia. La tematica della liberazione è vista
* Manuela Fraire, Il movimento delle donne: due passi avanti, uno indietro, “Quaderni piacentini”, 1976, n. 60-61, p. 76.
51 Ivi, p . 81.
52 Saggi raccolti nel volume: A. Seroni, La questione femminile in Italia (1970-1977), Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 51 e 215.
53 A. Seroni, Donna, problema globale in La questione femminile in Italia dal 1900 ad oggi, cit., p. 215.
P. Gaiotti De Biase, Questionefemminile e femminismo nella storia della repubblica, Brescia, Morcelliana, 1979, p. 66 e 238.
96
Paola Pirzio
in una prospettiva moralistica come una nuova
forma di “consumismo sessuale”: anzi ad un
“femminismo dei desideri” viene contrapposto
un “femminismo delle responsabilità”, che i
movimenti femminili storici hanno il compito
di progettare.
A livello storiografico l’interpretazione del
movimento femminista nel suo rapporto con la
politica appare quindi assai controversa e og­
getto di interventi critici non conciliati né conci­
liabili in quanto riflettono l’attuale configurarsi
e contrapporsi delle interpretazioni della con­
dizione della donna e della sua immagine pro­
gettuale proprie del patrimonio teorico delle
maggiori organizzazioni femminili.
Negli ultimi anni la letteratura storica relati­
va alla partecipazione politica femminile va
gradualmente esaurendosi anche per la limita­
tezza di una indagine ridotta di fatto all’analisi
delle ideologie e della pratica di una élite di
donne politicizzate o in genere militanti in par­
titi o movimenti: “né pensiamo che la presenza
femminile si risolva nel gioco alternato delle
variabili fortune dei movimenti delle donne”55.
Attualmente gli studi si vanno estendendo nella
direzione di una indagine sociologica dei com­
portamenti e dei ruolo femminili emergenti nel­
la vita quotidiana: “En effet, l’image de la fem­
me dans la vie publique reflète les attitudes, les
activités et les roles réservés aux hommes et aux
femmes dans la sphère privée. Pourquoi ne pas
étudier alors, les roles féminins, pour eux mê­
mes, d’autant qu’ils n’interessent pas la seule
histoire du féminisme, ni les seules femmes,
mais la société toute entière?”56.
P a o la Pirzio
55 “Memoria", n. 1, 1981, Premessa.
56 A. M. Sohn, Les rôlesféminins dans la vie privée: approche méthodologique et bilan des recherches, “Revue d’histoire moderne et
contemporaine", octobre-decembre 1981, p. 598.