I Quaderni dall`Isola-IX
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I Quaderni dall`Isola-IX
I Quaderni dall'Isola-SALEGROSSO IX Quaderno dall'Isola La rinuncia. Ecco l'istintivo, elementare gesto in grado di restituirti una dignità. Io l'ho persa. Eppure, alla fine, nella pozzanghera stagnante della vitalità, emerge l'idea della purezza. Dettata dalla non azione, dal gelo invernale che restituisce alla pozza il livellamento con il resto del terreno, un fatidico tranello per gli sprovveduti. Sto tagliando i ponti con tutto. Assisto distaccato alle ultime rappresentazioni. Anche i buoni nella loro immensa bontà sanno essere immensamente cattivi. E gli umili nella loro cara umiltà arroganti e presuntuosi. Andate avanti voi. Io nel ***** non ci torno. Sto con il mio sudore, con le mie poche, povere solitudini. Se devo analizzare tutto con estremo distacco, devo dire che mi tolgo di mezzo volentieri. Oggi ho visto per un attimo Iseo. Bella cittadina o paese o semplice mareggiata. Costola portuale del lago che trasborda sulla banchina del porticciolo. Lago mosso come i quadri di qualcuno. Ma si, ho imparato quanto è buona la cioccolata calda con il rhum. Ero con un mio amico di cui non ricordo il nome, ma solo la cortesia, l'eskimo verde, una barba spinosa fuori moda e una solitudine spietata. Il manifesto della solitudine è una riga di luce che contorna la gobba delle colline, più il gelo che sale dalla terra al crepuscolo, dopo una falsa giornata di sole. Anche per me non ci sarà il duemila. Non riesco ad accontentarmi della cioccolata al rhum, né di Iseo, bella città, fianco bruciato dalle mani gelide del lago. Non so accontentarmi più di nulla, cerco un lavoro che non esiste, come non esiste un vero nome da dare all'amico sconosciuto, e tanto meno a te: vita a forma di donna che ti tuffi negli occhi di tutti. Ho introdotto il tema del dolore non per fare la piattola, ma perché si soffre in modo boia! E intanto il treno corre come un guru che ha capito: correre intorno alla prigione, correre sempre e non fermarsi mai. Un idiota seduto vicino a me tiene troppo alto il suo walkman. Mi tocca sorbirmi tutta quella spazzatura raucedinosa e rocchettara; avrei voglia di …Un altro mi guarda intimidito perché sto scrivendo. Scopare, scopare sempre, ma non legarsi mai. Tanto, questa merda di vita dovrà pur finire, e finirà. Io, idiota, buffone, ormai spalancato come una puttana alle critiche di tutti. Io, puttana tra le puttane. Ma perché, perché sono così nauseato di tutto? Perché mi sputtano in questo modo infame? Perché non faccio il serio? Ma io sono serio, sono corroso dalla serietà, non riesco mai a godere senza innamorarmi, o a innamorarmi senza godere. Devo a tutti i costi consumare la vita rapidamente. Ormai tutti mi vedono come un puro deficiente e mi deridono. Ma cosa mi deridete se io voglio amarmi? Mamma, non lasciarmi mai più andare fuori da solo! Frequento davvero cattive compagnie, gente perbene che non sa amare in alcun modo, e nemmeno odiare con sincerità. Quanto hai pagato per farmi nascere? E quanto può costare un cane bastonato? E tu, pirla, che mi hai fatto vedere il tuo documentario, credi davvero di essere così bravo? E' una cagata il tuo documentario. Ma perché sui muri di questa città non si legge mai la scritta TI AMO CHIUNQUE TU SIA ? Non crediate di farmi fuori così, di cancellarmi, senza lasciarmi il tempo di dire ciò che ho da dire. Sono fragile, ma ho chiesto tempo al tempo: il tempo per scrivere un paio di poesie e una storia d'amore. Poi, con un gran balzo raggiungerò Augusto, Lucio e gli altri, e assieme spiccheremo un volo ancor più alto con le ali di Icaro aggiornate con una lega speciale che resiste alle alte temperature. E' come una gran febbre che non attecchisce a nulla e si spegne fasulla. Le parole sono soltanto dei corpi che afferri per rendere tangibile un pensiero. Esse scorrono davanti al pensiero con velocità indescrivibile; è pertanto difficile prendere quelle giuste, ma poi, si sa, sulla pagina si cerca in qualche modo di sistemarle. Ma come si fa a prendere sul serio l'insegnamento? Ci sarà pur un modo. Forse l'impegno, la dedizione, la rinuncia, l'entusiasmo. Scarsa memoria ha l'Epoca. O la televisione ha sostituito la scuola con più durevole successo? Insegno quattro ore la settimana in una scuola privata. Quattro ore di disagi in cui mi sforzo di vedere bella un'architettura orrenda. Le poesie: che ostico compendio della lingua, che barba più noiosa di una barba nera, che torbido fossato pieno di detersivi e di escrementi, che inciampi, eppure… persino i versi dei “semantici” hanno uno scopo. In quell' intricato retrobottega della lingua c'è il senso o almeno uno dei sensi della vita. Almeno lì, nascosti in cantina, nel tugurio del sottoscala, almeno lì, davanti alla televisione accesa o spenta, lontano dal bancone delle vendite, i poeti reinventano la vita. Bruciano, grattando fiammiferi umidi, i vocabolari della lingua, per amore della lingua ed in odio ai linguaggi. La mia casa è l'automobile, e qui non si può far altro che scrivere. La mia residenza è in ogni via percorribile, il mio riscaldamento è la ventola del motore, i miei occhi i fari, la coda dell'occhio gli specchietti retrovisori. E quando piove, su queste pagine o su quelle degli ormai rari libri, l'ombra di luce scende in mille fantastici giochi. Le indicazioni più significative della relazione tra arte e società non le abbiamo, come si potrebbe presumere, dalle opere d'autore, ma da alcuni esempi di cinema commerciale americano, specie quello di genere fantastico. Basta citarne due: Terminator 2 e Alien 3. Queste due pregevoli opere rappresentano la pelle del nostro tempo, ne rivestono cioè la fisicità. L'orizzonte dell'eroe, rispetto ai tempi del pragmatismo positivista dei decenni passati, si è ribaltato: ora l'eroe non distrugge più il male fuori di sé, ma dentro di sé. Un tempo l'eroe uccideva il cattivo dopo una lotta all'ultimo sangue, e riceveva come premio la principessa. Adesso uccide innanzitutto se stesso. Il male è il se medesimo. L'Eroe si suicida. E' il caso del Terminator come della donna affetta da Alien. Finalmente l'uomo riconosce la stupidità del manicheismo ideologico e affonda in senso psicanalitico e metastorico nell'abisso di tutte le sue contraddizioni, le spinte, controspinte, lacerazioni. Entrambi questi eroi, dopo il fallimento di ogni tecnologia (ricordiamo che in Alien c'è addirittura un automa antropomorfizzato che chiede di essere disattivato perché soffre), si lanciano nel crogiolo purificatore della fornace. La cremazione, la sparizione del corpo, l'induismo, in linea di massima sostituiscono lo schema binario vita vs morte cattolicoprotestante. L'oriente si affaccia sopra le macerie del consumismo tecnologico, sopra duemila anni di pedissequi, perpetui errori. L'eroe basta a se stesso, non ha compagno/compagna, non rinnova il mondo, non ha speranze, ma al pari di un monaco della dinastia Ming manifesta la propria estranierà al prosieguo della barbarie uccidendo prima di tutto il male che è in lui. La linea ******, il fuoco dal profondo, la libertà dell'individuo si presentano per la prima volta come specchio interrogativo del mondo, e non come movimenti di pensiero o isolate fratture con il sistema. E' il sistema, corroso dall'acido muriatico, che si scioglie davanti ai nostri occhi portandoci via l'ultima base di appoggio, lasciandoci soli e nudi di fronte all'infinito. Qualcuno potrebbe obiettare che Terminator non è un uomo, ma una creatura cibernetica: obiezione respinta. Sono stanco, agitato, ma qualcosa dentro di me si sta scrollando. Dei nervi atrofizzati, da posizioni compresse, lentamente, con dolore si stanno svolgendo, ritornano ad avere la loro funzione originaria, ritornano a sentire. Da uno stato di ibernazione, questi tessuti si risvegliano e rifioriscono in una loro vitalità. Vorrei mollare tutto e andarmene. Ogni volta che cerco di spiccare il volo afferri le mie ali di cartone, me le togli dalle spalle come fossero giocattoli e mi parli dei soldi che non abbiamo. Probabilmente vivrò senza il tuo caldo materno abbraccio, e con le mie ali di cartone volerò sulla città. L'altoforno, un diploma mancato, il rapporto con un amico laureato e con una famiglia tradizionale di una campagna urbanizzata. Il padre: assente, anziano, monolitico, siede non davanti alla porta come i vecchi, ma protetto da quella verandina d'ingresso. Ormai fa piccoli lavoretti. La madre: donna di casa, laboriosissima ai fornelli, riassetta, apre le finestre. Graziano ha una propria stanza, un rifugio. Il fratello: sposato, mostra moglie e prole come un trofeo, automobile, lavoro. Questi sono i personaggi, adesso manca la storia. Ma perché la storia non esiste, la storia è lo svolgersi di questi personaggi. Ma Graziano, ad un certo punto, rompe la continuità circolare di questa routine. Cerca di colmare i vuoti, cerca di portare faticosamente avanti gli studi in modo goffo, approssimativo. Si licenzia con una scusa dal lavoro, Si rinchiude in se stesso. Parla con l'amico “più colto”. Aspira ad un amore liberatorio che tarda ad arrivare. Si innamora di una ragazza che lavora in un bar del centro. Ma è un'infatuazione esteriore. Il bar è per una clientela benestante. Spende i soldi in molteplici consumazioni. Sua madre gli parla della sistemazione, suo padre annuisce. La casa è una “pentola a pressione”. Suo fratello, “velatamente”, essendo tra l'altro più giovane, spinge verso gli stessi argomenti. Graziano si sente con le spalle al muro. Si isola nel suo piccolo laboratorio dove tenta di mettere assieme una radio trasmittente e ricevente, copiando gli schemi dal manuale. Non dimentichiamo che non è riuscito a conseguire il diploma. La storia con la ragazza finisce male. Scopre, dopo un opportuno appostamento, che è già fidanzata con un teenager. Riesce a terminare la costruzione del suo apparecchio radio amatoriale. Discute con l'amico sull'opportunità o meno di acquisire la licenza per trasmettere. Ma la tassa da pagare è salata. Capta tra le onde sonore la rete di frequenza di alcune imbarcazioni, sente le conversazioni via radio tra i marinai e le loro mogli. Ascolta dai marinai tutte le rotte di bordo. Guarda su di una piantina il percorso della nave, la sua ubicazione. L'amico laureato ha trovato lavoro, insegna in una scuola. Un bel mattino Graziano prende l'auto. Se ne va da solo lungo la spiaggia deserta, poi percorre un lungo molo che si insinua tra le acque del lido, aspetta tra le nebbie: l'evento. All'improvviso dalle nebbie appare, possente, straordinaria, l'enorme imbarcazione commerciale, come una nave spaziale. Il radar si muove. Graziano resta lì, felice, preso da questo evento misterioso che nulla risolve ma che restituisce qualcosa di inconoscibile, di cui è difficile parlare, ma che si può sentire. Hai visto come sono strane queste macchine agricole? Sembrano animali della preistoria… E' vero. Negli anni 70 non si poteva vedere a colori perché la TV era in bianco e nero. La vita è una salita probabilmente verso il nulla. Chi muore giovane muore salendo o muore rannicchiato in un anfratto, o precipita nel vuoto. Chi muore vecchio, muore in discesa sull'altro versante, inciampa, rotola oppure arriva alla base esausto, non ha la forza di risalire, cade supino ed esala le ultime volontà. I santi muoiono sempre sulla vetta, loro stessi sanno lanciarsi nel vuoto, perché non il precipizio li attende, ma l'ascensione. Redivivi transumano l'anima a folgore celeste. Lasciano il capo in terra, trafitto dalla luce, e diventano loro stessi luce. Non imboccarmi di dolci, lasciami ritornare al mio peso forma. L'unico modo per tenere buoni gli allievi è essere seri e convincenti nelle spiegazioni, e quindi conoscere a fondo la materia. In tutto questo, però, vi è la perversione, la falsità di un sistema che immola delle fertili menti all'altare del potere. Questi giovani cervelli non sono semplici spugne, ma muscoli: non atrofizziamoli lasciandoli imballati per vent'anni. Scrivere liberamente. L'acqua del canale è ritornata trasparente; qualcuno l'ha lavata. Devo sottrarre materia alla storia e amplificarne le parti. Devo cioè restringere il mio campo visivo e zoomare in profondità. Attraverso lo zoom entrare ed uscire dal mondo; dal dettaglio al totale del senso. La società mi rifiuta? E io rifiuto la società. Le poesie del “Figlio” sono solo dei chiodi fissati al muro. Adesso, mancano i quadri. Sono esausto. Ho visionato per ore e ore i materiali della postazione per la memoria. Sono per ora giunto a una conclusione provvisoria: siamo di fronte a qualcosa di nuovo. Si tratta di un atto d'amore nei confronti del mondo; un materiale fluttuante, come se le immagini danzassero indifese nel corpo della vita. Come lo scafo di una vela sull'onda. E' una ricchezza e un dono possedere dentro a molte ampolle di vario colore lo spirito della vita. Ma nulla ha a che fare, tutto questo, con il cinema. Il cinema è secco e duro come un bastone spezzato e rigiuntato in mille modi diversi. Questa osservazione del mondo della vita, invece, è l'onda dell'udito, della percezione. Certo, il cinema potrà imparare da questa nuova esperienza. Ma soprattutto noi possiamo imparare, perché in questo caso si ha per davvero una comunicazione diretta. E' una proiezione del mondo o come guardare da una finestra che si trova in ogni luogo. Pertanto, la postazione per la memoria copre una delle ragioni del “fare”: questo fare è utile perché mostra universi sinora inesplorati; mette in crisi tutte le posizioni rigide, e dà la sensazione che la necessità di comunicare è, senza alcuna retorica, necessità di amare. C'è una cosa sorprendente e inquietante nella vita: se la notte andando a dormire ti cade dalla tasca una manciata di monetine, la mattina le ritrovi là, ferme ad aspettarti. La loro ineluttabile presenza ti rinvia al ricordo della sera precedente di cui ti eri già dimenticato. Allora, non puoi fare altro che inginocchiarti e raccoglierle. Quanti appuntamenti di questo tipo noi abbiamo già in sospeso nella nostra vita? Il dolore è il modo con cui si dischiude il fiore della coscienza, e l'amore è quello con cui si dischiude quello della conoscenza. Stanotte ho sognato che qualcuno leggeva le note informative a piè pagina della mia opera principale: la mia vita. Un giorno racconterò ciò che accade, o meglio non accade, dentro a questa “sala professori”, dove ognuno dorme un sonno-lento: il letargo perenne, ravvivato di tanto in tanto dal tetro battito della pioggia sui vetri. Amo questo quaderno scritto in nero per la sua solidità, per la sua solidarietà con ogni paralitico che ha smesso di chiedere la grazia, e con ogni donna che cercando la fede fuori dal tetto coniugale, mi lascia libero accesso alle sue tasche. E' nero! Vecchio paralitico: ogni notte si spera sempre che sia l'ultima, ma si spera sempre che sia anche la prima. Per quanto l'eutanasia sia controversa e dibattuta, non si può applicare ai malati di cuore, ma non a coloro che hanno sistole e diastole al rovescio, ma coloro che nella passione della vita hanno contratto il virus del dolore che scava e scava la propria tana proprio là e non oltre: nel cuore, nell'anima e in quel Dio che noi chiamiamo il Padre. Nel buco, nel nulla, nell'assenza di tutto c'è l'ultima, assoluta speranza. Sarebbe bello essere ancora tutti assieme, ma molti di noi sono morti, e molti altri si dilaniano in questa vita, persi nel vuoto. Ma per fortuna c'è sempre chi riesce a trovare una qualche occupazione: o nel gioco delle bocce, o nel toccare donne e uomini, o nel formare una famiglia, o nell'acquisto di un nuovo modello di auto, oppure di un televisore a cristalli liquidi. Io, ad esempio, ho quasi del tutto deciso di comperarmi un computer. Sono mille anni che lancio messaggi, sono peggio di una catena di S.Antonio, ma per carità no, non un'invadenza così eccessiva. Se non volete leggere deliri, ire, frustrazioni, verità, canzoni, fate pure a meno. Non è di vitale importanza leggere, ma è di vitale importanza vivere, con un briciolo di sensibilità. L'ignoto vi prende, l'ignoto vi ama, e alla fine vi mangerà. Annuso nella mia merda, cercando di indovinare cosa ho mangiato ieri: tutto questo è occidente. Strappare alla stanchezza un attimo di riposo: mettere tra parentesi un sogno dentro al pieno giorno. Potrei provare, a titolo del tutto sperimentale, a tenere un comportamento normale, consono al quieto vivere, piatto, modulato a tratti, ma solo a tratti vivace, senza eccessi o recessi. Non criptica introversione, tantomeno chiassosa estroversione. Restare lì, modulato nella gamma dei “grigi”. Potrei esprimere pareri medi, mani e testa a posto; utilizzare il voyeurismo e non il tatto, l'olfatto e non la lingua. D'altronde, anche adesso, così come sono, stento ad inoltrarmi in ogni radicale approfondimento. Come una poiana o un'anguilla padana, tocco e scivolo via nella tana, nel buco di questo cielo in atterraggio al I piano di un palazzaccio senza edera. Sono tante scatole messe a caso, al catasto soltanto numeri, qui soltanto case, custodie senza strumenti. Ombre nella notte e ossa in pieno giorno. Case senza uomini, vuoti a rendere del sole (che sgretola e divora pietre, volti, tralicci dell'alta tensione) e dell'amico gelo, che la notte va a dormire nelle crepe dei muri e li fa saltare. Rita è un fiorellino sbocciato in facoltà. Studia ostici volumi di pedagogia, di psicologia sociale e altre cose ancora, ma in quel suo sorriso che rifiorisce ogni tre secondi assieme ai suoi occhi c'è un'intera collana di saggi che ruota a spirale nell'aria e che legge il mondo sotto una luce divina. Non ho coraggio di alcuna azione radicale, sono pertanto in balìa degli umori dei miei “tutori”. Non voglio questa cosa, meglio la nebbia impalpabile del delirio. Potrei chiamare questi quaderni “Il libro dei tempi morti”. Visto che ogniqualvolta mi capita un lavoro trascuro queste pagine, che in questi giorni appaiono come lapidi senza nome. Ecco, allora, che ho associato alla scrittura e allo scrivere il rischio di perdere la vita. Corro in automobile e scrivo tentando di far combaciare la strada alla pagina che pericolosamente conduco a una associazione concreta e non metaforica, e il paesaggio non è altro che tutto ciò che vi sta attorno. Queste interruzioni del dialogo interiore sono sintomo di decadenza. Non è ammissibile una giornata dedicata esclusivamente alla caccia dei mezzi di sostentamento. Se potessi cacciare davvero per mangiare, e non essere cacciato e mangiato da questo sistema! D'altronde, ogniqualvolta mi ritrovo da solo e nessuno mi chiama, mi cerca o mi vuole, quel telefono muto sale come un'angoscia dentro di me. Il rumore di fondo del nulla sopravanza sull'esile sentimento di libertà. Allora la casa si popola di disperazione, e persino la voglia di leggere e di scrivere cade come polvere calpestata nei tappeti. Tutto tace, senti soltanto il sibilo della paura. Fai di tutto per cercare un'occupazione finta per non essere fuori posto al pari di un sacco di immondezza dimenticato in un angolo da un inquilino distratto. Il dormiveglia è la dimora della coscienza o, meglio, l'attimo in cui la coscienza esce di casa per respirare una boccata d'aria. Non è sonno e nemmeno risveglio, è consapevolezza. La coscienza chiede risarcimento per i danni commessi dall'Io cosciente e il risarcimento dovremmo pagarlo noi, ma spesso firmiamo assegni scoperti e cambiali scadute. Piuttosto che esaurire il nostro debito, preferiamo addormentarci o essere sempre troppo svegli e attivi. Ma non sono i giorni come noi stessi? Il pigro occhio dell'alba? La pesante palpebra del tramonto?. Non è l'ombra (al pari del sole) a scavare profondi solchi sul nostro viso e nel nostro cuore? La luce e le tenebre, ecco l'incessante dialettica del cosmo che muovendosi crea l'infinita gamma dei grigi, e quel tepore è esalato dal fuoco caduto nel gelo. L'equilibrio non è allusione di un tacito accordo tra le forze avverse, ma una lotta interminabile in cui istinto e ragione si accapigliano cercando soluzioni via via meno compromettenti per entrambi. La pazzia è la mancanza di adeguati sistemi di protezione rispetto a tale condizione: in tal senso è la reale e nuda verità, è l'organismo nudo e crudo dell'essere umano, è l'ammissione di sé. Il sistema di protezione, infatti, è solo uno scafandro o, tutt'al più un conduttore capace di assorbire l'innalzamento improvviso della marea esistenziale. Ma dighe e fusibili sono impianti destinati a subire inevitabilmente l'erosione della vita, anche se contornati da sabbie silicee o da altri mezzi inerti che dovrebbero impedire l'inondazione elettrica. L'inconscio è tutto ciò che abbiamo in noi e non conosciamo. In realtà, di noi non conosciamo proprio nulla. Tutto ciò che potremmo conoscere lo rifiutiamo, lo respingiamo con il calcagno nel buco più profondo di noi stessi, e lo rifuggiamo come la morte. Un lettore, con costanza e assiduità, acquisisce milioni di accostamenti lessicali, che poi riutilizza, anche inconsapevolmente, nella vita comune. Ma l'essenzialità, la durezza della voce dei pastori delle Dolomiti (e delle altre montagne che di uguale fama non hanno goduto) veicola spesso una sostanza lessicale ben più durevole e creativa di quella dei poeti. Questo, perché le parole di roccia pesano di più di quelle di carta. Ecco perché la solidità morale è l'unica vera pietra filosofale dei poeti, e fa di loro dei veri pastori. La pietra in luogo della coscienza, e viceversa. L'aderenza tra noi e i nostri comportamenti. Individuazione del quarzo, della ******, della selce, dell'ambra, di tutti quei materiali di cui si compone il verbo. Pensate cosa accadrebbe se noi potessimo rimontare la vita scegliendo le parti migliori. Chi di noi rinuncerebbe ad un solo attimo, a un solo passo, all'avvistamento di una sola cimice che a testa in giù cammina sul soffitto della nostra stanza? Chi di noi accorcerebbe di un solo fotogramma il flusso cosmico di ciò che siamo stati? Chi di noi selezionerebbe tra i baci ricevuti e quelli dati il bacio più rappresentativo? E quella pozza gelata intravista con la coda dell'occhio e lo sguardo fuggitivo da un finestrino, e il suono di una campanella, e tutto quel tempo perso restituito come materia prima al tempo. Ritorno alla mia tana inquieta come il solito cane azzoppato, mutilato. Davvero non sono libero? Quanta pena dentro a questi giorni devastati, e quanta nostalgia di te, anima mia, e quante puttane sotto la pioggia. Magari tutta la vita può essere cantata assieme alle scarpe consumate. Quante paia? Caro Olmi, io non sono un poeta, ma sono un minatore: conosco l'arte dello scavo e so maneggiare i detonatori! Avremmo dovuto far saltare il mondo intero, ma la dinamite è rimasta sotto il livello del parquet. Nessuna vittima, nessun morto, noi siamo brava gente. Non abbiamo fabbriche, ma solo un pezzetto di terreno prenotato al camposanto. Quando ti hanno calato laggiù, Lucio mio, ho cosparso il mio corpo con tutte le unità che il dolore conosce. Fratello mio, sei tornato a casa (tante volte avevi preannunciato la tua partenza). Avremmo dovuto far saltare il mondo, e invece te ne sei andato come un pugno di cenere, come un'ala bianca, come una lepre fuggitiva, come un leggendario lupo delle montagne incantate, come tuo padre. Ma io sono qui che ti aspetto, non so come ne perché, ai limiti di questo fiume che mi scorre dentro: detritico flusso di memorie, che mi fanno soffrire come quelle del lago in cui siamo entrati e usciti, immissari ed emissari, io, Lucia, tu e chi ancora con freddo amore ricordo nel tagliente gelo del nord del mondo.