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Il fattore Renzi spariglia le carte
Pubblicato il 12/09/2012 @ 10:20 in Giornali,Il Sole 24 Ore
Ma insomma, con quale programma ti presenterai?
Avvicinandosi le primarie aumenta il numero di coloro che
cercano di sospingere Matteo Renzi nell’angolo: hic Rhodus,
hic salta. È destino degli sfidanti che a loro si chieda di dare
risposte precise e impegnative, e agli incumbent si consentano risposte ambigue e vaghe. Il
fatto è che di questi tutto è già noto e pesato.
Del programma di Renzi si sa che vuole che i “mostri sacri”, coloro che da decenni occupano i
posti chiave del partito, non siano più ricandidati, detto in modo da fare il titolo, “rottamati”.
Troppo per alcuni, troppo poco per altri.
Ad esempio, Antonio Polito in un editoriale di sabato scorso chiede a Renzi di dire se si alleerà
con Casini o con Vendola. A Bersani la domanda manco la fa, tanto sa già cosa
risponderebbe: che lui l’alleanza con Vendola l’ha fatta, ben sapendo che questi proclama
l’incompatibilità di Sel a stare insieme all’Udc in una coalizione di governo, ma che ritiene,
anzi ne è sicuro, che, dopo le elezioni, di fronte alle necessità del Paese, l’Europa, Draghi e/o
lo spread, la disoccupazione etc. etc.: «il resto nol dico, già ognuno lo sa».
Non c’è neppure da attendere le risposte, già dalle domande appare in tutta la sua radicalità
la differenza dei programmi. Di Renzi si dà per certo che taglierà il nodo, o di qua o di là,
neppure si fa l’ipotesi che voglia mediare. Di Bersani è scontato che lasci bene aperto l’uscio
per la versione 5.0 del compromesso su cui Prodi è caduto due volte, e D’Alema ha vissuto
due volte. Con Bersani, già si sa che i giornali continueranno a pubblicare l’intervista del
dirigente per cui è essenziale il rapporto con Casini, affiancata a quella del funzionario per cui
quell’alleanza è incompatibile: si sa che quel dualismo non solo è tollerato, ma che è l’essenza
stessa del Pd storicamente dato. “Coniugare” è la parola magica: come si celebri il coniugio
tra fedeltà montiana e referendum anti-Fornero solo per qualche crucco richiede spiegazioni,
per gli italiani fa parte della tradizione.
A chi è abituato a quella tradizione, la proposta di Renzi appare insufficiente già per motivi
dimensionali: dove sono le tesi d’antan, dove le 281 pagine della Fabbrica del programma di
Prodi? Alle altre forze politiche invece basta e avanza. Ad esempio, con Renzi vincitore alle
primarie, per Berlusconi è più difficile candidarsi: a parte il confronto di età, come fa a fare
campagna elettorale se gli manca il “comunista”? Parallelamente anche l’antiberlusconismo,
con Renzi cessa di essere strumento di lotta politica. E Casini, dove finirebbero le sue
speranze di fare l’ago della bilancia? Per non parlare di quell’area politica in cui molte sono le
braccia levate, molti gli incoraggiamenti, ma non si scorge la forza aggregante. Forse si
modificherebbe la geografia, certamente si chiuderebbe un periodo della storia politica
dell’Italia.
Perché l’essenza del Pd sta in questa sua compattezza, nella forza coesiva che ne è il
“capitale sociale”. Istituzionalizzato alla Costituente, forgiato negli anni della guerra fredda,
protetto nell’isolamento all’opposizione, questa forza resiste come elemento identitario anche
dopo la caduta del muro, la Bolognina, Mani Pulite. Quando il Pci era excludendum, la
convivenza tra miglioristi e carristi era un fatto interno, senza sostanziali conseguenze. Oggi,
scomparsi o mutati gli altri partiti, il Pd rimane il testimone del compromesso da cui nacque la
nostra costituzione e degli assetti politici durati oltre mezzo secolo. Mentre tutt’intorno la
geografia politica è irriconoscibile, all’interno di quel blocco, ridimensionato ma ancora
probabilmente il maggiore partito italiano, restano come contrapposizioni le vestigia di quei
compromessi. Non solo tra politologi ed economisti, anche tra gli elettori è diffusa l’opinione
che quei compromessi siano diventati contraddizioni: lo stesso successo di Berlusconi nel ’94
è in gran parte dovuto al desiderio di voltar pagina.
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Renzi sembra aver capito che oggi quel blocco coeso, piantato al centro-sinistra dello
schieramento, è troppo debole per costituire un ancoraggio stabilizzante e abbastanza forte
da impedire il formarsi di posizioni, una chiaramente liberale e una esplicitamente socialista.
E pensa che per sciogliere quei legami identitari si debba non ricandidare i personaggi che
sono testimonianza di una cultura politica degli anni ’70. Il programme non sarà vaste, ma
l’obiettivo è essenziale.
Gli elettori del Pd sostengono “lealmente” il Governo Monti, nonostante (o forse proprio per
questo?) i provvedimenti che Monti ha fatto passare; abituati come sono agli ossimori, oggi
vedrebbero bene l’elezione di un governo tecnico. Ma con l’Omt la situazione è cambiata.
Mario Draghi, riuscito a far passare le misure antispread, dovrà, almeno all’inizio, dimostrare
di essere severo sul rispetto delle condizionalità. I mercati, per ora calmati, riprenderanno ad
esprimere i loro giudizi, valutando la differenza tra lealtà e convinzione. «L’euro non è stato
un pieno successo quanto a polis», è Draghi ad averlo detto nell’intervista a Die Zeit. Se
vogliamo non passare la nostra vita sotto lo scudo, abbiamo bisogno che le riforme subite
diventino comportamenti condivisi, che il controllo di spese e entrate nel bilancio pubblico
smetta di essere esibita virtù e sia solamente buona gestione. Non ci si riuscirà, senza scelte
limpide.
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