Marzo - Aprile - Società Italiana Geriatria Ospedale e Territorio
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Marzo - Aprile - Società Italiana Geriatria Ospedale e Territorio
GERIATRIA BIMESTRALE - VOL. XVIII N. 2 - Marzo/Aprile 2006 – Sped. in Abb. Post. 45% art. 2 comma 20/B Legge 662/96 - Filiale di Roma ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA GERIATRI OSPEDALIERI (S.I.G.Os.) ■ SULLA DIAGNOSI DI MALATTIA DIABETICA NELL’ANZIANO ■ LA GESTIONE DELLA DISABILITÀ ■ PROBLEMI ETICI IN GERIATRIA ■ LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA ■ IL RUOLO CHIAVE DELLE CELLULE STELLATE EPATICHE NELLA PATOGENESI DELLA STEATOSI E DELLA FIBROSI EPATICA NELL’ANZIANO ■ LE SINDROMI MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE ■ INVECCHIAMENTO E POLITICA IN AMERICA ■ L’ASSETTO METABOLICO DEL PAZIENTE ANZIANO C.E.S.I. ISSN: 1122-5807 G E R I AT R I A RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 – Sped. in Abb. Postale 45% art. 2 comma 20/B Legge 662/96 - Filiale di Roma ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA GERIATRI OSPEDALIERI (S.I.G.Os.) DIRETTORE STEFANO MARIA ZUCCARO (Roma) DIRETTORE ESECUTIVO MASSIMO PALLESCHI COMITATO SCIENTIFICO Francesco M. Antonini Samuel Bravo Williams Luisa Bartorelli Pier Ugo Carbonin Tommy Cederholm Claudio Cervini Domenico Cucinotta Nuzzo Di Stefano Piergiorgio Ferretti Rodney Fisher Giovanni Gasbarrini Franco Goria Mario Impallomeni Vincenzo Marigliano Baldassarre Messina Jean-Pierre Michel (Firenze) (Mexico) (Roma) (Roma) (Stoccolma - Svezia) (Ancona) (Bologna) (Noto) (Guastalla) (Toronto - Canada) (Bologna) (Asti) (Londra) (Roma) (Roma) (Geneve - Suisse) Luciano Motta Vittorio Nicita-Mauro Filippo Nico Gian Carlo Pulliero Franco Rengo Jacques Richard Felice Romano Mario Rubegni L.Z. Rubenstein Pier Luigi Scapicchio Sergio Semeraro Italo Simeone Bertil Steen Marco Trabucchi Vincenzo Vassallo (Catania) (Messina) (Roma) (Monselice) (Napoli) (Geneve - Suisse) (Catania) (Siena) (Sepulveda - USA) (Roma) (Bologna) (Geneve - Suisse) (Göteborg - Svezia) (Roma) (Noto) SEGRETERIA SCIENTIFICA Maria Anna Cardinale Luigi Di Cioccio Filippo Fimognari Giuseppe Galetti Walter Gianni Francesco Paolo Loliva Walter Lutri (Roma) (Cassino) (Roma) (Monza) (Roma) (Putignano) (Siracusa) Massimo Marci Lorenzo Palleschi Vincenzo Pedone Stefano Ronzoni Francesco Vetta Giancarlo Stazi (Subiaco) (Roma) (Bologna) (Roma) (Monterotondo) (Roma) Direttore Responsabile ANTONIO PRIMAVERA Segreteria Scientifica Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 06.44.290.783 Editore C.E.S.I. - Via Cremona, 19 00161 Roma - Tel. 06.44.290.783 www.cesiedizioni.com E.mail: [email protected] Ufficio amministrativo e Pubblicità Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 06.44.290.783 - Fax 06.44.241.598 Fotocomposizione C.E.S.I. Stampa Litografica IRIDE - Via della Bufalotta, 224 Roma • Finito di stampare per conto della C.E.S.I. nel mese di Giugno 2006. Condizioni di abbonamento per il 2006: E 26,00 (Enti: E 52,00) da versare sul C/C N. 52202009 intestato a CESI - Estero 70 dollari • Un fascicolo singolo: E 11,00 - Estero 15 dollari. Arretrato: E 22,00 • L'abbonamento non disdetto prima del 31 dicembre si intende rinnovato • Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 201/89 del 18/04/1989. ISSN: 1122-5807 Geriatria SOMMARIO Comunicato ai Soci .............................................................................................................................. 68 AI LETTORI - Palleschi M. ................................................................................................................. 71 EDITORIALE: SULLA DIAGNOSI DI MALATTIA DIABETICA NELL’ANZIANO Motta M., Bennati E., Ferlito L., Passamonte M., Malaguarnera M., Motta L. ........................ 75 LA GESTIONE DELLA DISABILITÀ Iannacci P., Cecamore A., Ripani F., Patricelli L.......................................................................... 77 PROBLEMI ETICI IN GERIATRIA Zanatta A. .......................................................................................................................................... 85 LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA Antignani P.L. ................................................................................................................................... 89 IL RUOLO CHIAVE DELLE CELLULE STELLATE EPATICHE NELLA PATOGENESI DELLA STEATOSI E DELLA FIBROSI EPATICA NELL’ANZIANO: RECENTI ACQUISIZIONI Mancinella A., Mancinella M.......................................................................................................... 95 LE SINDROMI MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE Montefusco E., Pacilli M.................................................................................................................. 103 INVECCHIAMENTO E POLITICA IN AMERICA Antuono P. ........................................................................................................................................ 107 L’ASSETTO METABOLICO DEL PAZIENTE ANZIANO Splendiani G., Condò S., Naticchia A............................................................................................ 109 RUBRICHE GERIATRIA ONCOLOGICA Zanatta A. ............................................................................................................................................... 113 IL GERIATRA E IL MEDICO DI FAMIGLIA Mancinella A. .......................................................................................................................................... 115 VITA AGLI ANNI Sabatini D. ............................................................................................................................................... 116 NOTIZIE DALLE REGIONI Semeraro S. ............................................................................................................................................. 117 Calendario della S.I.G.Os. .................................................................................................................. 118 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 63 Geriatria 2006; XVIII; 2; 68; C.E.S.I. sas Editore, Roma COMUNICATO AI SOCI È MORTO IL DOTT. GIANCARLO PULLIERO Venerdì 17 Marzo è morto il Dott. Giancarlo Pulliero, primario geriatra fuori ruolo dell’ospedale di Monselice (Padova), revisore dei conti della nostra Società per molti anni. Era un Geriatra impegnato, che credeva molto nella nostra disciplina, anche se era stato amareggiato dall’evoluzione che aveva subito la sua divisione. Recentemente mi aveva inviato degli articoli sull’osteoporosi, utili per la rielaborazione del capitolo delle Linee Guida di terapia geriatrica, a cui aveva partecipato. Ero in contatto telefonico costante con Lui; apprezzava molto il fatto che lo mettessi al corrente di quanto succedeva nel mondo della Geriatria. Lo ricordiamo tutti come persona onesta, sensibile, sincera ed affettuosa. 68 Vol. XVIII n. 1 - Gennaio/Febbraio 2006 Geriatria 2006; XVIII; 2; 71-73; C.E.S.I. sas Editore, Roma AI LETTORI Prof. Massimo Palleschi Ricevo dal prof. Motta un contributo importante, in risposta ad una mia lettera aperta a Lui indirizzata e comparsa in questa stessa rubrica del N. 4 del 2005. Ecco la risposta del prof. Motta Prof. Luciano Motta Caro prof. Palleschi, sono lusingato e commosso: ricordi non solo le nostre conversazioni, ma addirittura le consideri meritevoli di una discussione aperta. È indispensabile sottolineare, per una corretta informazione ai lettori, che: nel 1986, dopo un lungo iter preparatorio, venne realizzato il riordino della didattica universitaria (D.P.R. n. 382/86). Per quanto riguarda il Corso di Laurea in Medicina venne istituita la Tab. XVIII nella quale, nonostante gli accesi interventi dei Professori Vecchi, Fabris e Motta, a differenza delle altre specialità mediche (Pediatria, Ematologia, Gastroenterologia, Endocrinologia, etc.) cui furono assegnate singole aree didattiche, la Geriatria fu inserita nell’area della Medicina Clinica, senza ottenere così l’autonomia concorsuale. Poteva, però, svolgere un corso di insegnamento autonomo con relativo esame finale ed istituire un Corso Integrato. Nel 1999 (Decreto 509 del 3/11/1999) venne riorganizzata ulteriormente la didattica universitaria, risultandone la eliminazione dei Corsi Integrati e la Geriatria divenne parte integrante della Medicina Interna Preclinica con la concessione di soli 2 crediti formativi e la verifica veniva condotta con esame finale unico. In compenso l’Area venne integrata: ”Medicina Interna e dell’Invecchiamento”! Anche in questa occasione, assieme al Presidente allora in carica della S.I.G.G. ed ad alcuni Geriatri abbiamo tentato, purtroppo ancora una volta con esito negativo, di modificare in sede parlamentare tale incredibile situazione. L’aspetto più grave per quanto concerne l’attività sanitaria è in rapporto al D.P.R. 483-484/1997 che stabilì l’equipollenza della Specializzazione in Geriatria con quella in Medicina Interna. Ciò ha comportato l’inserimento degli specialisti di Medicina Interna anche a livello dirigenziale nelle R.S.A., nelle U.V.G., nei Reparti di Lungo Degenza ed addirittura nelle Unità Ospedaliere. Dov’erano le Società di Geriatria? Tu ricordi il mio pressante invito ad intervenire, in particolare alla S.I.G.O., specificamente interessata agli aspetti assistenziali. Il mio consiglio fu di sostenere la incostituzionalità di tale provvedimento sulla base che la C.E.E. (75/362,363) riconosceva la specializzazione in Geriatria e quindi la sua specificità. Perché dunque Ti meravigli dell’intervento del Collegio dei Professori di Medicina Interna sulla riduzione dei posti della Loro Scuola di Specializzazione, sulla base anche dell’erronea attribuzione delle competenze nella cura e nell’assistenza ai malati anziani agli specialisti in Medicina Interna? Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 71 Geriatria Su questo gravissimo fatto,ben vengano le lettere personali di protesta, ma sarebbe stata indispensabile la doverosa presa di posizione delle Società di Geriatria, possibilmente a livello collegiale. Ti ringrazio per il Tuo apprezzamento nei miei confronti. È noto a tutti che abbiamo in comune la profonda convinzione della identità e della specificità della Geriatria, diverso è invece il significato che ne diamo. Le necessità assistenziali degli anziani sono incredibilmente aumentate in riferimento all’incremento della popolazione anziana e della loro frequente morbilità. Sostenere che la Geriatria si debba occupare di tutta l’assistenza relativa agli anziani è divenuto un aspetto oggi non più sostenibile! Il concetto di specialità non è applicabile ad un collettivo del 20% della popolazione e ad oltre il 40% delle prestazioni mediche. È questo il motivo per cui Noi dobbiamo delimitare le Nostre competenze per giustificare la Nostra specificità. Sulla base del contenuto del progetto “Tutela salute anziani”, sono convinto che Noi ci dobbiamo occupare non delle singole patologie del paziente anziano bensì dell’assistenza globale del paziente geriatrico,con particolare riferimento alle pluripatologie, alle complicanze cronico-degenerative e quindi al mantenimento dell’autosufficienza ed alla prevenzione delle disabilità. È questo il motivo per cui Io ho sostenuto e sostengo l’indispensabilità dell’Unità Geriatrica in ospedale, che però non può essere strutturata come una Unità di Medicina Interna ma costituire una struttura specialistica differenziata, capace di rispondere alle molteplici esigenze del paziente geriatrico in un unicuum continuativo con tutta la rete dei servizi intermedi e di territorio, che debbono essere di competenza coordinata ed esclusiva dei Geriatri (Geriatria, n. 1-2002). Ed ora è venuto il momento di parlare del panchetto! Ti riconosco con piacere il merito di essere tra gli antesignani della necessità della non permanenza a letto e della mobilizzazione precoce dell’anziano ricoverato. Il panchetto, però, come più volte Ti ho sostenuto, può essere ormai considerato meritevole di far parte della storia della Medicina. Debbono fare parte integrante dell’U.G.A. anche le strutture e il personale idoneo per realizzare la mobilizzazione, l’attivazione ed il recupero dei pazienti, sia a livello generale che a livello di apparato o d’organo. Come vedi, siamo pienamente d’accordo sulle motivazioni ma ci separano le modalità di realizzazione. Sono profondamente convinto della specificità e dell’identità della Geriatria, della necessità professionalizzante degli specialisti in Geriatria, della presenza di strutture differenziate ospedaliere di Geriatria e soprattutto dell’autonomia gestiona- 72 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 Geriatria le della Nostra specialità (Geriatria,....). Mi auguro che con le nuove direttive europee venga definito lo specifico ruolo della Geriatria sulla base dell’autonomia didattica ed assistenziale e quindi le ricadute che ne deriveranno per la nostra nazione. Caro Massimo Palleschi, chiudo questa “conversazione” a distanza, esprimendoTi i sensi della mia amicizia, l’apprezzamento per la Tua professionalità e per l’entusiasmo che metti nel riconoscimento dell’autonomia della Geriatria. Affettuosamente, Luciano Motta Prof. Massimo Palleschi Caro Prof. Motta Ti ringrazio di tutto cuore per quello che hai scritto e che condivido quasi interamente Ti aggiungo due brevi considerazioni: 1) Per quanto concerne il problema della prescrizione del riposo a letto, con l’esigenza di ridurre questa misura a rari casi, per ragioni ben precise e per un tempo prestabilito, sono con Te in totale accordo che si tratta solo di un aspetto tra i numerosissimi che costituiscono l’enorme tema della patologia da immobilizzazione e quello più generale della conservazione e/o del recupero dell’autonomia dei malati anziani. L’apparente mia mania ossessivo-compulsiva su questo argomento è in relazione al fatto, che la scorretta gestione di questa misura assistenziale è il dato più ecclatante, il più diffuso, vorrei dire il più osceno, presente nonostante le nostre battaglie geriatriche. 2) Per quanto riguarda la questione dell’equipollenza tra medicina e geriatria, la nostra Società fece dei passi ben precisi, rivolgendosi ad uno dei massimi esperti di diritto sanitario, il prof. Bellini, attraverso il quale intentammo causa contro il Ministero della Sanità, con un onere finanziario per la S.I.G.Os. di oltre otto milioni delle vecchie lire. Avremmo potuto fare di più? Personalmente sono del parere che dobbiamo cercare sempre di fare meglio e di più. Sono però altrettanto convinto che il pericolo di una non completa autonomia della Geriatria non debba essere riferito esclusivamente agli effetti della legge sull’equipollenza, ma ad una ancestrale sudditanza culturale e psicologica di una parte della Geriatria Accademica. Caro prof. Motta Ti sono sempre profondamente grato perché mi dai la possibilità di esprimerti il mio pensiero, senza riserve. Con grande affetto. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 73 EDITORIALE 2006; XVIII; 2; 75-76; C.E.S.I. sas Editore, Roma SULLA DIAGNOSI DI MALATTIA DIABETICA NELL’ANZIANO Motta M., Bennati E., Ferlito L., Passamonte M., Malaguarnera M., Motta L. La diagnosi precoce dei fattori di rischio responsabili delle malattie cronico-degenerative rappresenta uno degli elementi più significativi nell’ambito della prevenzione. È questo il motivo per cui negli ultimi anni le varie organizzazioni sanitarie hanno ridotto, indipendentemente dall’età, il loro range di normalità (colesterolo totale e hdl, pressione arteriosa, trigliceridi, glicemia, apobetalipoproteina, etc.). Per quanto concerne la glicemia, nel 1997 l’ADA ha abbassato il valore di riferimento per la diagnosi di malattia diabetica da 140 mg/dl a 126 mg/dl (1). Inoltre ha precisato che dovevano essere considerati con alterata glicemia a digiuno quei soggetti con valori glicemici uguali o superiori a 110 mg/dl ed inferiori a 126 mg/dl. Il WHO ha accettato queste indicazioni precisando che i soggetti con IFG dovevano praticare sempre un carico orale di glucosio per una migliore definizione della condizione glico-metabolica (2). Successivamente, sulla base dei risultati del Baltimore Longitudinal Study on Ageing (BLSA) (3), l’ADA ha ulteriormente ridotto il valore glicemico da 110 mg/dl a 100 mg/dl per il limite di normalità (4). Queste indicazioni sono di importanza fondamentale, in quanto è indiscutibile che più basso è il valore glicemico, minore è la sua influenza quale fattore di rischio. Infatti, utilizzando la casistica dello studio popolazionistico ILSA (5), abbiamo rilevato che la prevalenza di nuovi casi di malattia diabetica a distanza di 5 anni è risultata progressivamente maggiore nei Centro di ricerca “La Grande Senescenza“, Università di Catania. Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Motta Luciano Ospedale Cannizzaro Via Messina, 829 95124 – Catania, Italia. soggetti con glicemia tra 100-109 mg/dl e 110-125 mg/dl rispetto a quelli con valori glicemici inferiori a 100 mg/dl (6). È stato segnalato più volte nel passato che la glicemia di base e ancor di più quella dopo carico orale di glucosio aumenta con l’aumentare dell’età (7). Per questo motivo è ancora oggetto di discussione il cutoff differenziale di glicemia tra 100 e 110 mg/dl nel soggetto anziano. Secondo noi questo aspetto è di fondamentale rilevanza in quanto se è vero che è importante una diagnosi precoce di alterazione glico-metabolica non lo è di meno l’aspetto psicologico in rapporto all’errato inquadramento nosografico di un soggetto. Abbiamo rilevato che suddividendo la casistica dello studio epidemiologico ILSA in normali e IFG inquadrati rispettivamente da glicemie 70-99,100-126 e 70109,110-126 la classe 70-109,110-126 fornisce una migliore discriminazione tra soggetto normale e con IFG (l’overlapping glicemico al 95esimo percentile è infatti rispettivamente del 7,67 % e del 3,06 %). Ne deriva che il valore glicemico di 110 mg/dl fornisce una migliore discriminazione tra soggetto normale e con IFG. Da quanto detto sul piano teorico sarebbe corretto nell’anziano quindi come cutoff differenziale tra soggetti normali e soggetti con alterazioni glico-metaboliche (IFG ) il valore di 110 mg/dl. È evidente però che con questo criterio se da un lato aumenta la specificità di diagnosi di alterazione glico-metabolica dall’altro potrebbero essere inseriti tra i soggetti normali parecchi casi di soggetti IFG. Per contro, se invece accettiamo toutcourt il valore discriminante di 100 mg/dl, ne deriverebbe una inclusione erronea di individui normoglicemici tra soggetti IFG con le possibili gravi implicanze psicologiche che ne derivano. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 75 Geriatria In un anziano in cui è opportuno valutare la condizione metabolica, il primo esame da praticare è la glicemia a digiuno (fasting glucose, FG). Un valore < 100 mg/dl ci fa escludere alterazioni glicometaboliche (normal glycaemia, NG). Un valore ripetuto ≥ 126 mg/dl ci fa porre diagnosi di malattia diabetica. ≥ 140 manifesto (clinical type), >126 < 140 mg/dl asintomatico ( mild diabetes ). ≥ 100 < 126 mg/dl Impaired Fasting Glucose (IFG) e quindi praticare sempre in questo caso Oral Glucose Tolerance Test (OGTT) 2-h PG ≥ 200 mg/dl DGT type (diabetic glucose tolerance) 2-h PG ≥ 140 < 200 mg/dl Impaired Glucose Tolerance (IGT) 2-h PG < 140 mg/dl Normal Glucose Tolerance (NGT) L’indicazione fornita dal WHO di eseguire in tutti i soggetti IFG l’OGTT rende accettabile per tutti i soggetti il cutoff differenziale di 100 mg/dl come valore glicemico di normalità. Su tale base è possibile eliminare eventuali comportamenti erronei. La diminuzione dei valori glicemici per la diagnosi di malattia diabetica da 140 a 126 mg/dl è del tutto accettabile anche nell’anziano; gli anziani diabetici con glicemia compresa tra 126 e 139 presentano una sintomatologia modesta o addirittura assente pur restando valida l’evoluzione delle complicanze croniche. Sarebbe pertanto opportuno , come da noi proposto (6), distinguere il diabete in 2 sottoclassi: mild diabetes o asintomatico e clinical type o sintomatico (Fig. 1). In conclusione, la proposta dell’ADA e del WHO di ridurre i valori glicemici per una precoce diagnosi di alterazione glicometabolica contribuisce notevolmente alla prevenzione delle complicanze cronicodegenerative, consentendo così non solo un incremento della durata media della vita, ma anche un miglioramento della sua qualità. Naturalmente, per stabilire un corretto comportamento terapeutico è indispensabile la valutazione di numerosi altri parametri (glicemia oraria specie post-prandiale, HbA1C, età, BMI, eventuali altri fattori di rischio, etc.). Solo così sarà possibile ottenere attraverso stile di vita, attività fisica, alimentazione, farmacoterapia, un buon compenso glicometabolico ed anche la correzione degli altri fattori di rischio, realizzando in questo modo la prevenzione delle complicanze cronico-degenerative. BIBLIOGRAFIA 1. The Expert Committee on the Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus. Report of the Expert Committee on the Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus. Diabetes Care 1997, 20: 1183-1197. 2. World Health Organization. Definition, Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus and its Complications. Report of WHO Study Group. Part 1: Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus, 29, Annex 1, Geneva 1999. 3. MEIGS J.B., MULLER D.C., NATHAN D.M., BLAKE D.R., ANDRES R.: Baltimore Longitudinal Study of Aging. The natural history of progression from normal glucose tolerance to type 2 diabetes in the Baltimore Longitudinal Study of Aging. Diabetes. 2003, 52: 1475-1484. 4. GENUTH S., ALBERTI K.G., BENNETT P., BUSE J., DEFRONZO R., KAHN R., KITZMILLER J., KNOWLER W.C., LEBOVITZ H., LERNMARK A., NATHAN D., PALMER J., RIZZA R., SAUDEK C., 76 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 SHAW J., STEFFES M., STERN M., TUOMILEHTO J., ZIMMET P.: Expert Committee on the Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus. Follow-up report on the diagnosis of diabetes mellitus. Diabetes Care 2003, 26, 3160-3167. 5. The Italian Longitudinal Study on Aging (ILSA) Working Group. Prevalence of chronic diseases in older Italians: Comparing self-reported and clinical diagnoses. Int. J. Epidemiol. 1997, 26, 995-1002. 6. MOTTA M., BENNATI E., FERLITO L., MALAGUARNERA M.: Diabetes mellitus in the elderly: diagnostic features. Arch Gerontol Geriatr. 2006; 42: 101-106. 7. GOLDBERG A.P., COON P.J.: Diabetes mellitus and glucose metabolism in the elderly. In Hazzard WR et al. (eds).: Textbook Principles of Geriatric Medicine and Gerontology. New York: McGraw-Hill, 1994, 845-868. Geriatria 2006; XVIII; 2; 77-83; C.E.S.I. sas Editore, Roma LA GESTIONE DELLA DISABILITÀ Iannacci P.*, Cecamore A.**, Ripani F.***, Patricelli L.*** * Direttore f.r., U.O. Lungodegenza post-acuzie, P.O. AUSL Pescara – consulente AUSL Pescara ** Dirigente Medico, U.O. Lungodegenza post-acuzie, P.O. AUSL Pescara *** Geriatra RSA S. Maria Ausiliatrice, Montesilvano INTRODUZIONE Come noto la disabilità è correlata all’età ed è più diffusa nel sesso femminile; In Italia la prevalenza della disabilità ha un incremento esponenziale con l’età, passando dal 10% circa nei soggetti tra i 60 e 70 anni, al 40-50% negli ultraottantenni (1); l’aspettativa di vita da disabile è di 5,4 anni nell’uomo, e di 6,7 anni nella donna; se consideriamo che una donna di 65 anni ha attualmente una aspettativa di vita di circa 20 anni, si può prevedere che circa 1/3 di questo periodo di vita attesa sarà trascorsa con problemi di disabilità. Negli Stati Uniti la prevalenza della disabilità negli ultra sessantacinquenni dal 15% nel 1985 viene stimata in crescita fino al 30% nel 2060 con conseguente istituzionalizzazione del 4 % - 7% dei disabili. In Italia su 12 milioni di ultrasessantenni la percentuale di istituzionalizzati è del 2%, tra le più basse d’Europa e di questi solo un terzo risulta gravemente non autosufficiente. Il costo per il loro mantenimento è comunque alto e, senza misure per la prevenzione della disabilità, la spesa è destinata a crescere per il continuo aumento della popolazione anziana, per l’aumento percentuale delle classi di età più avanzata, ad alta comorbilità ed ad alto rischio di invalidità (Handicap sec. ICIDH) (2). Quindi la prevenzione della disabilità legata all’invecchiamento, doverosa sul piano etico, lo è anche sul piano economico. CLASSIFICAZIONE DELLA DISABILITÀ La classificazione ICIDH (International Classification of Impairments, Disabilities, and Handicaps), è stata pubblicata per la prima volta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1980 e rielaborata nel 1997 con un nuovo modello denominato ICIDH2 (3). La versione ICIDH fornisce una terminologia standardizzata per classificare l’evoluzione delle malattie, definendone gli stadi e le conseguenze: – Impairment (danno o menomazione), che si riferisce alla perdita o alterazione di qualsiasi struttura o funzione fisiologica, anatomica, psicologica; è la esteriorizzazione di una condizione patologica; – Disability (disabilità) è la riduzione parziale o totale della capacità di svolgere una attività nel modo e nei limiti giudicati “normali” per un essere umano; – Handicap infine è lo “svantaggio sociale” che insorge per disabilità e che limita o impedisce lo svolgimento di un ruolo normale per un dato individuo in funzione di età, sesso, fattori culturali e sociali. La classificazione ICIDH-2 (con la versione Beta-2), definita come (International Classification of Functioning and Disability), che si propone come strumento universale, introduce una visione delle conseguenze delle malattie centrata sulle capacità (attività); per cui a livello della persona la dimensione della disabilità è stata riconvertita ed è basata sulle effettive risorse residue e sulle capacità di partecipazione sociale del soggetto preso in esame e non sulla stima delle perdite (handicap). La risoluzione del problema richiede un’azione sociale, determina le modificazioni ambientali necessarie per la piena partecipazione dei disabili in tutte le aree della vita (4). Comunque definita la Disabilità è da considerare il passo che precede l’Handicap, e lo svantaggio sociale che accompagna Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 77 Geriatria quest’ultimo, predispone alla perdita della partecipazione nel mantenimento della persona, nel movimento, nello scambio di informazioni e nelle relazioni sociali, innescando lo scivolamento verso il declino globale: minaccia costante per le classi di età più avanzata. Per la facilità con cui nei soggetti più anziani si manifestano situazioni di disabilità, spesso causa di non autosufficienza, la gestione, a nostra esperienza, va identificata con la prevenzione della disabilità, risalendo il percorso “Impairment – Disability – Handicap” per cercare di evitare l’innesco degli eventi che, altrimenti troppo spesso portano all’handicap. STRATEGIE E PERCORSI ASSISTENZIALI Come affrontare il problema della disabilità nell’anziano? – Da una parte realizzando percorsi assistenziali e riabilitativi mirati per le patologie che, oltre ad avere una alta prevalenza nell’anziano, più facilmente realizzano la condizione di disabilità (fratture di femore, stroke, chf, disturbi cognitivi); – Dall’altra smascherando quelle piccole, iniziali variazioni, indici di decadimento funzionale, che preludono la disabilità conclamata e che vanno sotto la denominazione di “disabilità pre-clinica” ancora correggibile, anche grazie al progresso tecnologico. – In Italia sta emergendo una problematica che concerne i livelli di “appropriatezza” dei percorsi assistenziali dei soggetti affetti da malattie cronico-.degenerative e progressiva perdita dell’autosufficienza. Nella gestione della disabilità occorrono percorsi di salute: completi, adeguati al crescente numero di anziani con malattie croniche e disabilitanti (linee-guida MDS). Oltre che appropriatezza clinica (grado di utilità di una prestazione, intervento, farmaco), occorre appropriatezza generale (grado di utilità di un luogo e di una tempistica con cui viene erogata una prestazione). Le decisioni dei percorsi da assegnare all’anziano con problemi che ne possono compromettere l’autonomia (può continuare a vivere nella propria abitazione senza 78 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 rischi o deve essere assegnato ad altri setting) alcune volte sono prerogativa di commissioni senza contenuto tecnico, ma solo sociale e non delle Unità Valutative Geriatriche (U.V.G.), che finora, a nostro avviso, non hanno dimostrato, e quindi neanche imposto, la loro superiore competenza. PERCORSI ASSISTENZIALI ORIENTATI A RIDURRE LA DISABILITÀ 1a) ACUZIE/ALTA INTENSIVITÀ con bisogni riabilitativi (ictus-bpco-fratture di femore chf): – OSPEDALE: U.O.ACUTI -TERAPIA INTENSIVA/RIABILITAZIONE INTENSIVA (U.O.RRF) – TERRITORIO (Residenzialità): RSR/RSA II° LIV./RSA I° LIV (Centri Residenziali C.R.) – DOMICILIO: Ospedalizzazione Domiciliare (OD)/Dimissione Protetta (DP)/ ADI/ADP; 1b) ACUZIE/ALTA INSTABILITÀ con bisogni di diagnosi e cura: – OSPEDALE: U.O.ACUTI/LUNGODEGENZA POST-ACUZIE OSPEDALIERA (LDPAO) – TERRITORIO (Residenzialità): RSA MEDICALIZZATA – DOMICILIO: OD/DP/ADI/ADP 1c) ACUZIE/INSTABILITÀ con bisogni riabilitativi: – OSPEDALE: U.O. ACUTI/U.O. RRF/ LDPAO – TERRITORIO (Residenzialità): RSR/ RSA II°LIV./CR – DOMICILIO: OD/DP/ADI/ADP 1d) DISABILITà PERMANENTI/CONDIZIONI STABILIZZATE (demenze-psicosi/m.neurologiche/policronicità con scarsa-assente autonomia-piaghe da decubito) – TERRITORIO (Residenzialità): RSA II°LIV. (NUCLEI ALZHEIMER)/RSA PSICOGERIATRICA/CR. – DOMICILIO: ADI/ADP – L’Assistenza Domiciliare Integrata (A.D.I.) rimane la scelta strategica. Allorquando non esista un supporto familiare adeguato (criterio inscindibile per Geriatria l’A.D.I.), o in corso di moderata riacutizzazione di patologie croniche con necessità di monitoraggio e di nursing dedicato, può essere indicato un temporaneo trattamento residenziale, alternativo a quello ospedaliero, che rafforzi un modello di rete dei servizi territoriali con l’offerta di soluzioni flessibili ed appropriate ai bisogni degli anziani ed il cui costo sia sostenibile (5). – La Residenza Sanitaria Assistenziale (R.S.A.) è il fulcro “residenziale extraospedaliero” dell’assistenza alla persona non autosufficiente i cui bisogni sanitari sono inscindibili da quelli assistenziali. Le R.S.A. tradizionali non sono, a nostro avviso, in grado di rispondere in modo adeguato ai bisogni degli anziani “malati”. Già nel 1994 BURTON J.R. aveva espresso la necessità di una evoluzione qualitativa delle R.S.A.. È necessario, per l’alto grado di comorbilità dell’anziano disabile, che il potenziale diagnosticoterapeutico consenta di fronteggiare all’interno della struttura stessa la maggior parte delle richieste cliniche e riabilitative, con una organizzazione strumentale ed una formazione del personale adeguati. PERCORSI RIABILITATIVI ORIENTATI A RIDURRE LA DISABILITÀ La Riabilitazione è un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona disabile a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile delle sue scelte operative, pur nell’ambito della limitazione della sua menomazione e della qualità e quantità di risorse disponibili. (BASAGLIA N. PACE P. 1995) Livelli di attività: ATTIVITÀ DI RIABILITAZIONE INTENSIVA: diretta al recupero di disabilità complesse, importanti, che richiedono un elevato impegno terapeutico > 3 ore/die in strutture ospedaliere accreditate. ATTIVITÀ DI RIABILITAZIONE INTERMEDIA: intervento ad intensità media, diretta a pazienti in fase post-acuzie di malattia, che richiede una organizzazione adeguata ma con impegno < 3 ore > 1 ora/die. ATTIVITÀ DI RIABILITAZIONE ESTENSIVA: intervento riabilitativo limitato e di bassa complessità < 1 ora/die proprio del settore extraospedaliero, strettamente integrato con la rete delle strutture di riabilitazione sociale (Consensus Conference of Physical Medicine and Rehabilitation 1996). Tutti i livelli di intervento riabilitativo agiscono secondo il modello di una rete integrata di servizi con la necessità di una conduzione che abbia le caratteristiche della unitarietà e della continuità che può essere garantita solo attraverso l’integrazione tra: – UU.OO. per Acuti: fase iniziale di diagnosi e trattamento intensivo (critical care); – UU.OO. di Recupero - Riabilitazione Funzionale: fase di riabilitazione intensiva; – UU.OO. di Lungodegenza post-Acuzie Ospedaliera: fase di riabilitazione intermedia; – in grado, queste ultime di dare successivi interventi di recupero funzionale e riabilitazione unitamente alle misure di sorveglianza (nursing dedicato) e di continuazione del trattamento medico dopo la fase acuta di malattia, con l’obiettivo di stabilizzare il Paziente (Pz) prima dell’invio ai servizi territoriali. (linee guida MDS). FRATTURE DI FEMORE NELL’ANZIANO E DISABILITÀ Il trattamento Riabilitativo comporta nell’anziano un buon recupero funzionale tanto da sollecitare anche in questi Pz un trattamento intensivo (NURMI & coll. Arch Orthop Trauma Surg 2003). Si può ottenere un guadagno clinico e funzionale anche nei Pz “difficili”(con disturbi cognitivi ecc.), facilmente considerati non eleggibili (HUUSKO & coll. Arch Orthop Trauma Surg 2003). Alcuni centri hanno esaminato la Fattibilità e l’Efficacia della Riabilitazione a Domicilio (RD) confrontata con la Riabilitazione in Istituto (RI), in soggetti anziani con frattura di femore recente dopo VMD di: 1. capacità funzionale: ADL, IADL; Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 79 Geriatria 2. comorbilità: CIRS; 3. funzioni cognitive: SPMSQ; 4. stato affettivo: GDS-15; 5. supporto sociale. Pz precedentemente deambulanti hanno recuperato l’autonomia motoria: • a 3 mesi 91% (RD) vs 73% (RI); • a 6 mesi 96% (RD) vs 77% (RI); (p<0,01) • a12 mesi 87% (RD) vs 77% (RI) All’analisi multivariata la R.D. rimaneva una variabile significativa nella probabilità di recupero dell’autonomia motoria assieme all’assenza di gravi • deficit cognitivi (SPMSQ<8), e/o • deficit nelle attività strumentali (IADL>6) Il deficit cognitivo (SPMSQ<8) è risultato un importante fattore di rischio nella perdita dell’autonomia funzionale dopo frattura di femore (6), ma nei Pz riabilitati a Domicilio tale perdita è risultata significativamente inferiore a quelli riabilitati in Istituto. I dati riportati, così come la nostra esperienza, suggeriscono che la R.D., quando possibile, dovrebbe rappresentare il trattamento di scelta, anche nei Pz a forte rischio di perdita dell’autosufficienza (deficit cognitivi) (GIUSTI A, et al. G Geront 2004). STROKE NELL’ANZIANO E DISABILITÀ È utile una presa in carico precoce (prime 24/48h) del Pz con ictus da parte di un team Multidisciplinare; rapida attuazione di interventi riabilitativi durante la fase acuta: (precocità significa maggior recupero – minori complicanze) (SPREAD 2005). Poiché la riabilitazione intensiva può essere costosa, occorrerebbe sviluppare criteri maggiori di selezione, basandosi innanzitutto sulla prognosi di recupero delle funzioni e suddividendo i Pz in tre gruppi principali: – Pz che hanno presentato miglioramento anche senza l’utilizzo di sistemi riabilitativi; – Pz che possono presentare miglioramento solo grazie all’uso di sistemi riabilitativi; – Pz con ridotte possibilità di miglioramento, a prescindere dal tipo di riabilitazione (7). Selezione dei percorsi se non ideali, più adeguati: 80 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 Riabilitazione Intermedia: Pz non collaboranti incontinenti, con problemi di trasferimento; Domicilio: Pz lucidi, collaboranti, senza difficoltà nei trasferimenti; è fondamentale il governo clinico (leadership medica) e la gestione attiva diretta del Pz e del caregiver (educazione all’auto trattamento: selfcare); (8) È fondamentale la Valutazione all’ingresso ed alla dimissione con tre scale, da cui scaturiscono gli interventi più efficaci con un progetto riabilitativo individualizzato: – FIM: parametro funzionale(HAMILTON BB, BALTIMORE PAUL H. Brokes 1987) – CIRS: parametro clinico non specifico (PARMELEE PA, et al. Jags 1995) – NIHSS: parametro clinico specifico (WITYC RJ, et al. Stroke 1994) da parte di una EQUIPE RIABILITATIVA INTERPROFESSIONALE-INTERDISCIPLINARE (responsabile della programmazione della terapia di recupero motorio- funzionale e della sua continuità) • PROGETTO RIABILITATIVO (considerazione globale dei bisogni e degli obiettivi) • PROGRAMMA RIABILITATIVO SPECIFICO (finalizzato al raggiungimento degli obiettivi proposti nel progetto riabilitativo) DEMENZA E DISABILITÀ Numerosi studi si sono occupati del rapporto tra demenza e disabilità ed i dati della letteratura sono piuttosto significativi: da uno studio svedese (9) risulta che i soggetti dementi sviluppano nei tre anni successivi alla diagnosi un rischio di disabilità grave 25 volte maggiore rispetto ai non dementi di pari età; ed i soggetti con qualche grado di disabilità che sviluppano uno stato dementigeno mostrano un rischio doppio di peggiorare la disabilità rispetto ai disabili non dementi. È anche interessante notare che, pur essendo, nelle classi di età più avanzata, la demenza associata ad elevata comorbilità (da 3 ad 8 patologie associate), il grado di disabilità sviluppata in corso di demenza è maggiore ed indi- Geriatria pendente dalla disabilità legata alla comorbilità: circa il 56% dei pazienti ultranovantenni con demenza presentano disabilità rispetto al 39% dei soggetti depressi ed al 18% dei soggetti con malattie cardiocerebro-vascolari; si potrebbe comunque affermare che la demenza rappresenta la maggiore causa di disabilità nei soggetti anziani, indipendentemente dalla comorbilità associata (10). La gestione della disabilità e, soprattutto della disabilità associata alla comorbilità ed alla demenza, tenendo conto della dimensione del problema e delle ripercussioni socio-economiche ad esso legate, dovrebbe sviluppare interventi adeguati di informazione e di politica sanitaria per la programmazione di un sistema socio-assistenziale basato sulla continuità delle cure a lungo termine, piuttosto che su trattamenti isolati delle singole patologie, che si esauriscono, con ricaduta finale del problema sulle famiglie e sulle strutture residenziali (5). Il sistema di gestione , a nostro avviso, dovrebbe essere governato da una organizzazione aziendale sotto la guida di geriatri con esperienza sia ospedaliera che territoriale, in grado di dettare linee guida, protocolli di valutazione, e verifiche di risultati capaci di assicurare uniformità, efficienza, efficacia e, soprattutto continuità assistenziale ed integrazione socio-sanitaria. DISABILITÀ PRE-CLINICA Dall’epidemiologia della disabilità risulta come già in età adulta, si possono riscontrare, in soggetti apparentemente normodotati, delle variazioni, talora misconosciute, talora mascherate definibili come “stato di disabilità pre-clinica”, che può essere considerato come il rapporto tra una cattiva esecuzione funzionale e un successivo sviluppo di disabilità (FRIEND et al. 1991). Spesso il soggetto, per adattamento, limita impercettibilmente, ma continuativamente, i propri comportamenti e ridimensiona le aspettative con una accettazione passiva, ma forse anche inconsapevole della disabilità pre-clinica, per definizione povera di sintomi, rinunciando ad eseguire quelle attività che gli riescono difficoltose. POLIARTROSI E DISABILITÀ PRE-CLINICA L’osteoartrosi, frequentemente correlata all’età, rappresenta una condizione di disabilità pre-clinica, poiché riduce le capacità funzionali nello svolgimento delle attività quotidiane, limita le attività sociali e di relazione, riduce la possibilità di mantenere il livello socio-economico, la vita affettiva, determinando una cattiva percezione di se stessi e della qualità di vita (11). Il rischio di perdita funzionale e quindi di disabilità è correlato particolarmente ad alcune determinanti dell’osteoartrosi come l’intensità del dolore, che a sua volta condiziona la perdita di forza muscolare, specie del quadricipite femorale da cui dipende la stabilità estensoria del ginocchio durante la marcia; la riduzione dell’escursione articolare del ginocchio e dell’anca; l’obesità spesso associata; ed infine la comorbilità., che, come messo in risalto dal Longitudinal Aging Study Amsterdam, agisce con meccanismo moltiplicativo sul declino funzionale fisico (12). Quindi nei modelli di intervento della malattia artrosi le linee guida della Lega Europea contro le malattie reumatiche raccomandano di non fermarsi al trattamento farmacologico del sintomo dolore, ma di sollecitare un pari intervento non farmacologico, che comprenda educazione, esercizio, riduzione del peso e ausili mirati (solette, tutori, bastoni). Vi è evidenza scientifica che l’educazione al cammino (grado 1A) riduce il dolore e l’esercizio (grado 1B) migliora la funzione nell’osteo artrosi del ginocchio; l’uso di ausili con la riduzione del peso sono rimedi da raccomandare, anche se di debole evidenza scientifica. Certamente la scelta dei rimedi va decisa nel singolo caso nel modo più corretto (13). Bisogna tenere anche nel giusto conto il sostegno sociale rappresentato dalle interazioni amichevoli, che gioca un ruolo importante nella modulazione del rapporto fra dolore cronico, limitazione funzionale, depressione e qualità di vita, evitando lo scivolamento dalla disabilità pre-clinica verso la disabilità conclamata e l’handicap (14). Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 81 Geriatria Non trascurare in questi casi i programmi di self management education, che hanno dato un trend positivo nella gestione (selfcare) dell’osteoartrosi, anche se meno significativo rispetto ad altre patologie come il diabete, l’asma e l’ipertensione (15). RISCHIO CADUTE NELLA DISABILITÀ PRE-CLINICA Le cadute sono molto frequenti nella popolazione geriatrica con disabilità pre-clinica, presentano molti punti di connessione con la sincope, sia in termini epidemiologici che eziologici e di trattamento. In quanto ad incidenza si può dire che circa il 34% degli ultrasessantacinquenni non istituzionalizzati, il 26% dei ricoverati in Ospedale ed il 43% in R.S.A., presenta almeno una caduta per anno (16). Tale dato è probabilmente sottostimato per la difficoltà nella ricostruzione anamnestica e per l’associazione ad amnesia retrograda (17). Nel 5-10% dei pazienti anziani che subiscono cadute si presentano fratture e traumi con aumento del rischio di ospedalizzazione.(18) In circa l’1% la caduta si associa a frattura di femore con mortalità ad un anno del 20-30% ed importanti ripercussioni sulla capacità funzionale.(19) Infine una percentuale variabile dal 30% al 73% di anziani sviluppano, dopo una caduta, uno stato ansioso-depressivo, limitazione nelle ADL per il timore di recidive e conseguente disabilità che talvolta diventa handicap, istituzionalizzazione e drammatiche conseguenze sulla qualità e sull’aspettativa di vita (20). Tra i fattori di rischio di cadute, oltre alle sincopi, sono stati inclusi: la debolezza muscolare associata con disturbi dell’andatura, i disturbi dell’equilibrio e della postura, l’uso di ausili per la deambulazione, la demenza, i disturbi visivi, le barriere architettoniche, l’uso di psicofarmaci (17). La diagnostica delle cadute va impostata in sede di Valutazione Multidimensionale, 82 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 che, oltre ad analizzare le cause ambientali e iatrogene, “dovrebbe” dare le indicazioni mirate agli esami strumentali nel caso di fondato sospetto di cause neurologiche, cardiovascolari ed autonomiche; è auspicabile infine che, nell’ambito dei dipartimenti di emergenza, così come nel Regno Unito, si istituiscano moduli che si occupino della diagnostica cardiovascolare e neuroautonomica delle sincopi e delle cadute (21). Un intervento mirato su questi fattori, associato ad un trattamento riabilitativo specifico ed alla correzione delle barriere architettoniche ambientali domiciliari può ridurre il rischio di caduta del 20% (22). STILE DI VITA E DISABILITÀ In un recente studio su 772 soggetti anziani con coronaropatia la pratica di un’attività fisica regolare di moderata intensità è risultata associata ad una significativa riduzione del rischio di morte (WANNAMETHEE SG, SHAPER AG, WALKER M. Circulation 2000). Nel National Exercise and Heart Disease Project l’incremento della “capacità lavorativa” rispetto al valore basale è risultato associato ad una riduzione del rischio di morte con un beneficio pari a circa il 10% per ciascun MET in più (DORN J et al: NEHDP; Circulation 1999). Per questi fondati motivi, oltre che per la prevenzione primaria e secondaria della disabilità, l’attività fisica del soggetto anziano, soprattutto se portatore di disabilità preclinica, va incoraggiata con programmi di self management del proprio disagio motorio suggerendo uno stile di vita adeguato in cui l’attività fisica regolare sia mirata ad ottenere un recupero o quantomeno l’esaltazione delle attività funzionali residue (23). Relazione presentata al Congresso Interregionale SIGOs, Lazio-Abruzzo-Marche – Subiaco 16-17 Febbraio 2006. Geriatria BIBLIOGRAFIA 1. SENIN U.: Paziente anziano e paziente geriatrico. Fondamenti di gerontologia e geriatria. Edises 1999. 2. FRIED L.P., BANDEEN-ROCHE K., KASPER J.D., GURALNIK J.M.: Association of comorbidity with disability in older women: the Women’s Health and Aging Study. J. Clin. Epidemiology 1999; 52: 27-37. 3. dai testi sull’ICIDH2 dell’OMS. 4. trasferibili dal website di WHO (http://www.who.int/icidh); 5. SENIN U., CHERUBINI A., MECOCCI P.: Impatto dell’invecchiamento della popolazione sull’organizzazione socio-sanitaria: necessità di un nuovo modello di assistenza continuativa. Ann. Ital. Med. Int. 2003; 18: 6-15. 6. HARDY S.E., GILL T.M.: Recovery from disability among community-dwelling holder persons. J. Am. Ass. 2004; 291: 1596-1602. 7. AHCPR N°95 May 1995; pag 31-0662. 8. MELIS RJE. BMJ 2004; 329: 360-361. 9. 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Gerontol. 2002; 50: 286-293. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 83 Geriatria 2006; XVIII; 2; 85-88; C.E.S.I. sas Editore, Roma PROBLEMI ETICI IN GERIATRIA Zanatta A. “Agli uomini non importa quanto nobilmente vivano, ma solo quanto a lungo, benché sia nella possibilità di tutti vivere nobilmente e invece nelle possibilità di nessuno allungare la propria vita” Lucio Anneo Seneca Per affrontare i problemi etici bisogna fare una considerazione preliminare; non ci si può riferire a dei valori immutabili rispetto alle influenze culturali, antropologiche e al sentire religioso. La medicina moderna è, infatti, una scienza applicata che richiede una visione del mondo, della vita umana, del suo senso e del suo destino ultimo. È in questo contesto che possiamo analizzare il significato dei progressi del sapere scientifico e soprattutto delle sue applicazioni (eugenetica, fecondazione assistita, eutanasia). Il progresso tecnico e scientifico, per una eterogenesi dei fini, sta portando ad una crescente incertezza circa i criteri di valutazione del bene e del male. Soprattutto per quanto riguarda gli ultimi momenti della vita si sta proponendo una valutazione discorde sulle sue modalità; sono diventati di comune dominio termini come accanimento terapeutico, proporzionalità dei mezzi, qualità della vita, eutanasia. Il rapporto medico-paziente ha perciò subito una progressiva modificazione a causa dei mutamenti sociali e culturali che hanno creato nuovi bisogni e nuove attese Primario U.O. di Geriatria, A.S.L.21, Legnago Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Zanatta Alfredo Divisione di Geriatria Ospedale Civile Via Carlo Gianella, 1 – 37045 Legnago di risposte da una Medicina sempre più tecnologica. È necessario fare una serie di valutazioni. Quale vecchiaia oggi? Quali significati ha assunto la morte? Che rapporto si è instaurato tra il medico e il paziente? Con quali norme la Medicina risponde alla sofferenza estrema e al trapasso? Quale vecchiaia oggi? Siamo in presenza di un fenomeno sociale di dimensioni inaspettate. Si vive di più ma sempre meno inseriti in un contesto che privilegia i valori giovanili e la produttività, che rifiuta la tradizione, l’esperienza tramandata nel tempo dalle precedenti generazioni. Il riconoscimento del ruolo dell’anziano è molto mutato nel tempo. In greco il termine “geros” significa vecchiaia ma anche privilegio, distinzione, onore e per questo il “geron”(vecchio), è “geraros”, venerando. Il “vecchio” rappresenta la continuità tra il passato ed il futuro, il luogo incarnato della memoria con una contrazione del futuro e una dilatazione del passato; il tempo diventa interiore e c’è modo di comprendere in altro modo la vita. “Il mondo dei vecchi, di tutti i vecchi è quello della memoria. Si dice alla fine tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. Aggiungerei tu sei quello che ricordi” (N. Bobbio). C’è uno spazio per una diversa valutazione del vivere e quindi la capacità di una testimonianza critica all’interno di una civiltà minacciata dalla tecnocrazia e dal consumismo; ci sono dei valori non calcolabili in moneta e questo differenzia gli uomini dalle macchine. Non esiste la vecchiaia ma ci sono singole Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 85 Geriatria persone che invecchiano con i loro bisogni e le loro potenzialità. riesce a cogliere e a ridefinire il senso del suo passato. Quale significato assume la morte? In Occidente la morte è in via di rimozione dalla coscienza collettiva, è sempre più una emozione virtuale da fiction televisiva, fa spettacolo. In un epoca dominata dall’edonismo, la vera morte sta per essere confinata in uno spazio tabù, affidata alla tecnica e perciò medicalizzata; la fine della vita è diventato un fatto privato, addirittura da taluni interpretata come un fallimento della scienza medica. C’è sempre il sospetto che si poteva fare di più e meglio e questo crea sensi di colpa tra i famigliari e talora conflitti con il personale sanitario. Il sofferente, tramutato genericamente in paziente, rischia di diventare anonimo nella malattia e nella morte e valutabile sotto il profilo della possibilità o meno della cura, addirittura in termini di rapporto costo-beneficio. Se il benessere diventa l’unico criterio per valutare la qualità di vita ed il suo valore c’è il rischio che la terapia come volontà di potenza si risolva nell’accanimento o nel suo rovescio, l’eutanasia. Gli uomini hanno dimenticato che la morte ha in sé un significato che lo trascende e che non si muore solo perché ci si ammala bensì ci si ammala perché la morte è parte finale del ciclo vitale; sono abitatori del tempo. “Gli occhi dello spirito non cominciano ad essere penetranti che quando quelli del corpo cominciano ad affievolirsi” (Platone). Il rapporto medico-paziente Il medico, ed il geriatra in primis, non possono prescindere dalla consapevolezza della speciale dignità di ogni essere umano, anche in una condizione disperata o di vita vegetativa. Non esiste sofferenza senza riscatto e non esiste la morte per se stessi bensì per il qualcuno che resta; a ben vedere la morte è paradossalmente un’esperienza di legame, un sigillo di vita, una testimonianza e spesso un passaggio di testimone. Viene da pensare al bellissimo racconto di Tolstoj “La morte di Ivan Illich” in cui il protagonista, negli ultimi attimi di vita, 86 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 Siamo altresì consapevoli che la maggior parte delle persone è preoccupata non tanto del momento della morte quanto del modo ed ha più paura del soffrire che della morte stessa. Talora la fase di premorienza è caratterizzata da il dolore “totale”, condizione in cui, oltre alla componente somatica, si associano stati d’animo come irritabilità, impotenza, ansia e depressione. In questa condizione estrema si crea uno spazio per il prendersi cura dell’uomo malato nella sua globalità; la terapia del dolore evita sofferenze inutili specie se unita ad un rapporto empatico che trasmetta protezione, rassicurazione (anche dei famigliari) e rispetto della dignità. Il medico ha il dovere di saper colloquiare con persone che vivono nell’angoscia e nella totale insicurezza del proprio futuro. Quando ci viene richiesto di esprimere una prognosi sull’aspettativa di vita dobbiamo comprendere i motivi reali per i quali viene fatta la domanda; spesso è una richiesta di ascolto , di aiuto e di accoglienza. Ciò presuppone che il rapporto terapeutico non si svolga nell’anonimato, e che non sia sostituito da specialisti nell’ambito di un apparato tecnologico, bensì che ci sia una alleanza terapeutica rispettosa dell’autonomia del malato. Quindi un incontro tra una fiducia e una coscienza. Quale deontologia per l’ultima fase di vita? Ippocrate ha posto come fondamento dell’arte medica il “primum non nocere”. Un adagio inglese medioevale così recita “curare quando è possibile, lenire il dolore per quanto possibile, consolare sempre”. La deontologia medica ha posto delle norme che prendono vita e si applicano all’interno di una sensibilità umana e professionale. Geriatria A proposito del DIRITTO ALL’INFORMAZIONE il codice di Deontologia medica afferma che “il medico ha il dovere di dare al paziente, tenendo conto del suo livello di cultura e di emotività e delle sue capacità di discernimento, la più serena ed idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive terapeutiche e sulle verosimili conseguenze della terapia e della mancata terapia, nella consapevolezza dei limiti delle conoscenze mediche, anche al fine di promuovere la migliore adesione alle proposte diagnostiche terapeutiche”. “Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter dare preoccupazioni o sofferenze particolari al paziente, devono essere fornite con circospezione, usando terminologie non traumatizzanti senza escludere mai elementi di speranza (art.29 Codice di Deontologia medica 1995)”. L’alleanza terapeutica presuppone il CONSENSO INFORMATO. “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica o terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente “(art. 31 CDM). “Nel caso di incapacità ad esprimere il consenso (es. anziani dementi) quando il trattamento risulti urgente, per scongiurare gravi rischi di danni, il medico è tenuto ad intervenire. Allorché sussistano condizioni di necessità ed urgenza e in casi implicanti pericolo per la vita di un paziente, che non possa esprimere al momento una volontà contraria, il medico deve prestare l’assistenza e le cure indispensabili” (Art. 34 C.D.M.). L’attività medica trova il suo fondamento e giustificazione non tanto nel consenso del paziente, il quale in ogni caso non potrà mai permettere atti che disponendo del proprio corpo possano in qualche modo cagionare una diminuzione permanente della sua attività fisica (art. 5 Codice Civile), bensì nella tutela del bene della salute (che di per se stesso è espressamente garantito dalla nostra Costituzione). Perciò il medico, anche se richiesto dal paziente, non deve effettuare trattamenti diretti a menomare l’integrità psichica e fisica e ad abbreviarne la vita o provocarne la morte (Art. 35 C.D.M.-EUTANASIADIVIETO). Quindi riconoscimento del primato della vita a prescindere dalla sua qualità, vera o supposta. Il principio del benessere fisico come unico valore potrebbe infatti portare, più o meno consapevolmente, a negare all’anziano, menomato nella propria autonomia, le cure e l’assistenza necessaria. Si deve rifuggire altresì dall’ACCANIMENTO TERAPEUTICO, corrispondente all’applicazione sproporzionata di mezzi diagnostico - terapeutici straordinari. L’accanimento si verifica se sussiste: 1. L’inutilità o inefficacia sotto il profilo della terapia 2. La penosità o gravosità per il malato, che rischia di esser posto in condizioni di ulteriore sofferenza o di umiliazione profonda 3. L’eccezionalità o straordinarietà degli interventi L’accanimento tende a procrastinare la morte, così come l’eutanasia vuole accelerarla, è un atto di Hybris medica. Ad esempio dopo un arresto respiratorio, se ci troviamo di fronte ad un evento terminale della malattia di base e in presenza di fattori che pregiudichino seriamente il successo della manovra, la rianimazione non sembra indicata. Talora il medico può essere indotto all’accanimento terapeutico dalle pressanti richieste dei famigliari o dall’eccesso di zelo, ledendo il diritto ad una morte dignitosa. Comunque la sospensione dei trattamenti inutili e penosi non potrà e non dovrà mai significare l’abbandono del malato: gli si dovranno sempre somministrare le cure ordinarie garantendo un adeguato conforto umano e spirituale. Ciò significa presenza e assistenza caritatevole del personale e dei famigliari. Per il morente, invece, deve valere il principio della PROPORZIONALITÀ DEI MEZZI ADEGUATI. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 87 Geriatria Si intende come proporzionato un mezzo, ordinario o straordinario, che, in relazione allo stato del paziente, offra significative speranze di successo. Quindi sono indicati mezzi straordinari di fronte a quadri clinici che, pur iscrivendosi nella patologia di base, ne costituiscono però una complicanza (ad esempio una broncopolmonite in un neoplastico). Nel caso di una manifestazione clinica corrispondente alla fine della malattia di fondo, sarebbero invece leciti solo quei provvedimenti ordinari di tipo palliativo. I mezzi ordinari, ad esempio nutrizione, idratazione o cura del dolore rientrano tra le cure normali, dovute sempre al malato; sospenderli può avere il significato di eutanasia. Se è possibile concludere in un campo così vasto, che interessa tutti da vicino (chi non teme il degrado irreversibile della vecchiaia?), è giusto richiamare l’immagine della grande nave e della piccola bussola. La Medicina Moderna, col suo grande apparato tecnologico è la grande nave gui- 88 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 data con una piccola bussola, spesso inadeguata di fronte a problemi più ampi del sapere scientifico. Per ben orientarsi è necessario che la rotta non sia lasciata solo ai tecnici, ma sia cercata attraverso una approfondita riflessione che affronti i problemi in termini di valori. Si deve accettare la limitatezza della scienza e delle nostre capacità di intervento a causa della finitezza della natura umana. Ciò nonostante in ogni singola situazione si deve osservare un’etica della responsabilità che rispetti la forma del vivere di ogni persona soprattutto nelle fasi estreme della malattia. È necessario espletare l’arte medica come delicata sintesi fra scienza, tecnologia, esperienza sapiente ed identità personale del medico. Il Geriatra non deve essere un tecnico della patologia, bensì un “guaritore ferito”, persona che capisce, al di là dei ruoli, come la sua condizione umana sia prossima a quella del malato. Geriatria 2006; XVIII; 2; 89-94; C.E.S.I. sas Editore, Roma LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA Antignani P.L. U.O.C di Angiologia, Ospedale S. Giovanni, A.O. S. Giovanni Addolorata, Roma La trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare rappresentano differenti manifestazioni di una stessa entità clinica: il tromboembolismo venoso. Esso costituisce una delle cause principali di mortalità e morbilità nei pazienti ospedalizzati: ogni anno negli USA l’embolia polmonare è responsabile di oltre centomila decessi. L’incidenza annuale nella popolazione generale è stimata intorno ad 1 soggetto per 1000 abitanti. Nell’età avanzata tale incidenza aumenta di 2-3 volte. Tab. 1 - TEV e incidenza in relazione all’età Età (anni) Popolazione generale 0-14 15-24 25-39 40-54 54-65 > 65 Persone/anno% 0.1 0.0006 0.0202 0.0393 0.07 42 0.1 0.25 La patogenesi del TEV è multifattoriale, coinvolgendo sia fattori acquisiti che ereditari. Alcuni dei fattori acquisiti sono ben noti (chirurgia, gravidanza, puerperio, contraccettivi orali, terapia ormonale sostitutiva, neoplasie, chemioterapia, sindrome da anticorpi antifosfolipidi, infarto del miocardio, ictus cerebrale ischemico, scompenso cardiaco congestizio, insufficienza respiratoria, malattie croniche infiammatorie intestinali, immobilizzazione prolungata soprattutto nell’anziano, sindrome nefrosica, sindromi mieloproliferative), altri sono ancora in via di definizione. Riguardo le condizioni ereditarie predisponenti sono ben definiti i deficit di proteina C, di proteina S, di Antitrombina III, la mutazione del fattore V di Leiden e del gene della protrombina G20210A. Nei pazienti con patologie mediche, così come nei pazienti chirurgici, il rischio di TEV dipende dalla coesistenza dei vari fattori predisponenti, come ad esempio l’età avanzata, un pregresso episodio di TEV o una trombofilia ereditaria. Pur molto più noto il rischio di TEV in chirurgia, in realtà i 2/3 dei pazienti che muoiono per EP vengono ricoverati per patologie a carattere internistico. La mancanza di dati riguardanti le condizioni mediche a rischio di TEV, rispetto alla chirurgia, dipende probabilmente da una ridotta conoscenza della reale incidenza del TEV nei pazienti ospedalizzati e ad una conseguente minor attenzione al problema. L’EP può complicare il decorso dell’infarto miocardico o di uno scompenso cardiaco. L’incidenza della TVP documentata flebograficamente viene stimata intorno al 25% nei pazienti non trattati con fibrinolisi. In realtà, gli ultimi dati dimostrano una notevole riduzione del TEV in seguito alla precoce mobilizzazione, alle terapie più specifiche per l’insufficienza cardiaca e al trattamento fibrinolitico ed eparinico. L’uso poi della profilassi antitrombotica ha ridotto di molto anche altre complicanze come la formazione di trombosi murali cardiaci e l’embolizzazione periferica. In particolare l’uso di eparina non frazionata a basse dosi in pazienti con infarto miocardio (5000 UI 2-3 volte al giorno) ha dimostrato di ridurre il rischio di TEV del 71%. Studi con fibrinogeno marcato in pazienti con ictus cerebrale acuto con emiplegia hanno dimostrato che, in assenza di profilassi eparinica, l’incidenza della TVP è di circa il 50% entro 2 settimane e di TEV in generale, senza profilassi fino al 60%. Da notare che il più delle volte l’arto interessato dalla TVP è lo stesso arto emiplegico e che si tratta di forme asintomatiche. Inoltre il TEV può presentarsi anche durante il periodo di riabilitazione: seconVol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 89 Geriatria Tab. 2 - TEV in chirurgia Livello di rischio A basso rischio Chirurgia minore Pazienti < 40 anni Senza altri fattori di rischio TVP distali % TVP prossimali % 2 0,4 0,2 0,002 A medio rischio - Chirurgia minore in pazienti con altri fattori di rischio - Chirurgia non maggiore in pazienti di 40-60 anni senza altri fattori di rischio - Chirurgia maggiore in pazienti > 40 anni senza altri fattori di rischio 10-20 2-4 1-2 0,1-0,4 Ad alto rischio - Chirurgia non maggiore in pazienti > 60 anni con altri fattori di rischio - Chirurgia maggiore in pazienti > 40 anni con fattori di rischio aggiuntivi 20-40 4-8 2-4 0,4-1,0 Ad altissimo rischio - Chirurgia maggiore in pazienti > 40 anni con pregresso TEV, neoplasie, stati trombofilici, - Chirurgia ortopedica - Traumi - Lesioni midollari 40-80 10-20 4-10 1,2-5,0 di alcuni studi il 4% dei pazienti hanno una EP dopo 10 giorni dall’ingresso in reparto di riabilitazione. Sia l’eparina non frazionata che quella a basso peso molecolare hanno dimostrato di essere efficaci nella profilassi, con maggior effetto delle eparine a basso peso molecolare senza incremento del rischio emorragico: si può raggiungere infatti il Tab. 3 - Frequenza di TVP in pazienti 2medici” e “chirurgici” senza profilassi Reparto/patologia Frequenza di TVP*% Ictus 55 Terapia intensiva 30 Infarto del miocardio 24 Pazienti medici 16 Chirurgia ortopedica maggiore48-64 Chirurgia traumatologica 58 Chirurgia urologica 41 Chirurgia generale 25 Chirurgia ginecologica 16 * dati ottenuti con flebografia e fibrinogeno marcato 90 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 EP % EP fatale % 70% di riduzione del rischio ed è quindi raccomandato l’uso di tali eparine almeno per 2 settimane dopo l’evento acuto ma il trattamento va proseguito a lungo se sono presenti altri fattori di rischio come una prolungata immobilizzazione, una cardiopatia congestizia, una fibrillazione atriale. Il paziente ricoverato in reparto di medicina interna può essere considerato a rischio intermedio di TEV, ad eccezione dei soggetti con ictus cerebrale acuto e infarto miocardio di cui si è appena parlato, che sono ad alto rischio. Data l’eterogeneità delle patologie che portano al ricovero, non esistono al momento linee guida definitive riguardo la profilassi del TEV. Sicuramente la protratta immobilizzazione, la presenza di infezioni o di insufficienza venosa, la storia di pregresso TEV, l’obesità, il deterioramento delle condizioni generali, i traumi aumentano il rischio di TEV spostando il paziente verso la categoria ad alto rischio. Anche in questo caso i vari studi hanno Geriatria dimostrato l’efficacia delle eparine, sia non frazionata che a basso peso molecolare, nella profilassi del paziente internistico con modeste complicanze emorragiche. Il paziente ricoverato in reparto di terapia intensiva ha un rischio di TEV che va dal 28% al 31% e la profilassi va assolutamente instaurata considerando che tali pazienti presentano in genere molteplici fattori di rischio tromboembolico. La malattia neoplastica costituisce di per sé una condizione di trombofilia acquisita e si associa ad alto rischio di tromboembolismo. Infatti il TEV rappresenta la seconda causa di morte di questi pazienti dopo le metastasi. È stato visto che in circa la metà dei pazienti con neoplasia localizzata e in oltre il 90% di quelli con metastasi sono presenti anomalie dei parametri coagulativi che configurano un quadro di ipercoagulabilità. Tale condizione sarebbe favorita sia dalle capacità intrinseche della cellula neoplastica di produrre fattori procoagulanti e fibrinolitici sia dalla capacità di questa di interagire con alcune cellule ematiche stimolandone le capacità protrombotiche. Inoltre è stato dimostrato che un TEV idiopatico può essere la prima manifestazione di una neoplasia occulta e pertanto tali pazienti hanno un rischio significativamente più elevato di avere una neoplasia rispetto a pazienti con TEV secondario a causa nota. Per valutare il rischio trombotico in questa popolazione vanno presi in considerazione non solo la sede e lo stadio della neoplasia ma anche la terapia alla quale il paziente è sottoposto e gli eventuali fattori di rischio aggiuntivi. È stata dimostrata una maggior incidenza di TEV nel carcinoma del pancreas, dello stomaco, del colon, del polmone, della prostata, dell’ovaio. Riguardo lo stadio, si va dall’1% nei tumori della mammella al I stadio fino al 18% nelle pazienti al IV stadio. In tali casi si associa l’effetto della chemioterapia che incrementa di per sé il rischio trombotico che, però, sembra limitato al periodo di trattamento. Circa altri trattamenti attuati in presenza di neoplasia, sembra che il tamoxifene, usato nella prevenzione e nella terapia del carcinoma mammario, riducendo i livelli di Antitrombina III e di proteina C anticoagulante, aumenti il rischio trombotico di 3-4 volte rispetto alla chemioterapia standard. Da non dimenticare altri fattori aggiuntivi come l’età, la ridotta mobilità, gli eventuali interventi chirurgici, la radioterapia, l’utilizzo di cateteri venosi centrali, che presentano una incidenza di trombosi delle vene succlavia e ascellare valutabile dal 27 al 62%. Dalle risultanze della letteratura emerge che l’eparina a basso peso molecolare e il warfarin, alle dosi di 1 mg, risultano essere efficaci nel ridurre l’incidenza di TEV nei pazienti neoplastici da valori intorno al 37% dei pazienti non trattati al 9% dei pazienti in profilassi. La chirurgia oncologica viene considerata comunque ad alto rischio e tale rischio si incrementa qualora l’intervento venga effettuato in urgenza, rispetto all’elezione, e dipende dal grado di invasività, dal tipo di anestesia utilizzata, dalla presenza o meno di complicanze settiche. Nel caso specifico dei pazienti neoplastici è possibile stratificare il rischio in tre categorie: – medio rischio: soggetti che non hanno precedenti di TEV e non attuano chemioterapia. – alto rischio: soggetti sottoposti a chirurgia, a chemioterapia, a cateterismo venoso centrale, a radioterapia. – rischio molto alto: pazienti della categoria precedenti con pregresso o recente episodio di TEV. Riguardo il tipo e la durata della profilassi, emerge dalla letteratura la raccomandazione di adottare nel paziente chirurgico oncologico una strategia terapeutica simile a quella utilizzata nel paziente sottoposto a chirurgia ortopedica maggiore, usando dosi di eparina a basso peso molecolare elevate (5000 U anti X a rispetto alle 2500 U anti Xa). La profilassi andrebbe condotta almeno per 4 settimane soprattutto nei soggetti sottoposti ad intervento per neoplasia addominale o pelvica. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 91 Geriatria L’invecchiamento rappresenta un fattore di rischio di TEV e la prevalenza di fattori di rischio aggiuntivi in età avanzata è aumentata. Studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di una forte correlazione tra invecchiamento e rischio di TEV. Il tasso di TVP raggiunge livelli di 2-3 soggetti per 1000 e di EP di 1-3 soggetti per 1000 dopo 65 anni. Diversi fattori predisponenti contribuiscono all’alta incidenza di TEV nell’anziano. Essi includono condizioni mediche associate all’età, procedure chirurgiche ad alto rischio trombotico come quelle ortopediche, alterazioni del sistema emostatico proprie dell’età. Inoltre i cambiamenti del sistema coagulativo dovuti all’invecchiamento, l’aumentato rischio emorragico, la comorbilità e la polifarmacoterapia rendono più complicato l’uso di farmaci anticoagulanti. Non si è raggiunto un consenso unanime riguardo la strategia ottimale per la profilassi del TEV nei pazienti medici geriatrici non solo perché l’agente antitrombotico ideale rimane difficile da identificare ma anche perché le linee guida ufficiali non forniscono dati definitivi per tale categoria di pazienti. Comunque vengono raccomandate da numerosi studi basse dosi di eparina non frazionata o di eparina a basso peso molecolare nei pazienti medici anziani con fattori di rischio come neoplasie, degenza protratta a letto, scompenso cardiaco o patologie polmonari, dosi più elevate qualora si associno più fattori di rischio o sia necessario un trattamento chirurgico, soprattutto ortopedico, come spesso avviene in questi soggetti. Anche il trattamento del TEV negli anziani è particolarmente problematico a causa della eccessiva sensibilità alla terapia anticoagulante orale di questa popolazione e alle difficoltà oggettive della sua gestione. Alcuni dati della letteratura sembrano 92 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 dimostrare che le eparine a basso peso molecolare abbiamo lo stesso effetto terapeutico degli anticoagulanti orali, con rischio emorragico similare. Complicanza specifica rilevata negli anziani in trattamento a lungo termine con eparina a basso peso molecolare è stato un tasso di complicanze osteoporotiche (4%) e di fratture vertebrali (15%) rilevante. La chirurgia ortopedica maggiore dell’anca e del ginocchio si associa di per sé ad un alto rischio di TEV incrementato nei soggetti anziani. A ciò bisogna aggiungere il trattamento per frattura del bacino molto frequente nel paziente anziano. La prevenzione viene effettuata con eparina a basso peso molecolare o con dosi aggiustate di warfarin. Salvo alcune eccezioni la maggior parte degli studi riferisce che l’età avanzata rappresenta un fattore di rischio per complicanze emorragiche in corso di terapia antitrombotica. Sembrerebbe che vi sia un accumulo di attività anti Xa correlato alla diminuzione della clearance della creatinina associata all’invecchiamento. Altro aspetto da valutare è la associazione con altri farmaci che possono inibire o esaltare gli effetti dei farmaci antitrombotici. È ben noto che l’ASA e i FANS possono potenziare l’effetto emorragico del warfarin; anche alcuni antibatterici aumentano l’attività anticoagulante con aumentato rischio relativo di emorragia. Un peggioramento della funzionalità renale può contribuire alla tendenza al sanguinamento in soggetti anziani in trattamento anticoagulante e ciò è stato dimostrato sia con eparina non frazionata che con le eparine a basso peso molecolare, ma maggiormente con queste ultime che sono metabolizzate a livello renale. Relazione presentata al Congresso Interregionale SIGOs, Lazio-Abruzzo-Marche – Subiaco 16-17 Febbraio 2006. Geriatria BIBLIOGRAFIA 1. HIRSH J., LEE A.Y.: How we diagnose and treat deep vein thrombosis. Blood 2002; 99: 3102-3110. 2. MARTINELLI I.: Risk factors in venous thromboembolism. Thromb Haemost 2001; 86: 395-403. 3. 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The Authors describe the most recent acquisitions on the crucial role of the hepatic stellate cells in the pathogenesis of steatosis and fibrosis of the liver. The dietetical measures and a moderate physical activity are also Key words: Hepatic stellate cells, matrix metalloproteinases, fibrosis. L’evento-cardine che porta all’inizio del processo fibrotico perisinusoidale è rappresentato dall’attivazione di numerosi fattori di trascrizione come il KLTF (Kruppel-like transcription factor), l’AP1 ed il NF-kB (Nuclear Factor kB), regolatore dell’espressione delle citochine e chemochine infiammatorie, sulle cellule stellate epatiche (HSC) e dalle conseguenti modificazioni di tali cellule. Queste possono essere attivate anche dalla fagocitosi di corpi apoptoici e di epatociti necrotici provocati dall’azione della citochina TNFα (Tumor necrosis factor), fenomeno che induce l’attivazione di NADPH-ossidasi su tali cellule (1). La produzione del superossido, poi, e l’attivazione dell’espressione del gene del collagene, marker della fibrogenesi, contribuisce ad aumentare la loro attivazione concorrendo a dare inizio alla fibrogenesi epatica. La persistenza, quindi, delle cellule stellate epatiche “attivate” in un fegato sottoposto cronicamente a noxae patologiche porta all’avvio del processo fibrotico e richiede una completa riprogrammazione dell’espressione genica che è governata dalla modulazione di fattori attivatori o repressori della transcrizione. Nel fegato normale, le cellule stellate che rappresentano il 15% di tutte le cellule residenti nel fegato, sono cellule non-parenchimali “quiescenti” che hanno la funzione di immagazzinare i retinoidi (metaboliti della vitamina A) e di regolarne l’omeostasi, di regolare il turnover della matrice extracellulare, il flusso ematico sinusoidale e di mantenere la normale matrice della membrana basale (2-3). Sono dette “stellate” per le loro protrusioni citoplasmatiche che si irradiano dallo spazio perisinusoidale e prendono contatto con le cellule endoteliali da una parte e con quelle parenchimali (epatociti) dall’altra (4). Esse sono collegate tra di loro con giunzioni intercellulari (5). Le protrusioni coesistono con la matrice extracellulare tridimensionale (ECM) all’interno dello spazio perisinusoidale o di Disse. I componenti dell’ECM e delle lunghe e numerose protrusioni delle cellule stellate epatiche formano insieme una complessa struttura. La matrice extracellulare è essenziale per la sopravvivenza, la migrazione, la proliferazione cellulare e la determinazione del fenotipo delle cellule stellate epatiche. Fornisce un microambiente per sostenere l’alloggiamento delle cellule e da loro segnali per rispondere alle modificazioni ambientali. Direttore inc. Div. Geriatria, Azienda Ospedaliera S.Giovanni Addolorata, Roma Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Mancinella A. Via Tito Omboni 49 00147 Roma Tel. e Fax 06/5137284 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 95 Geriatria (Farnesoid-X-Receptor) è un sensore endogeno per gli acidi biliari, è espresso dalle cellule stellate epatiche e modula la loro sintesi del collagene. I leganti di FXR regolano l’espressione di PPAR-γ sulle cellule stellate epatiche e sinergizzano con i leganti del PPAR nella modulazione dell’attività delle cellule stellate. Pertanto, la regolazione transcrizionale adipogenica gioca un ruolo importante nel mantenimento delle cellule stellate epatiche allo stato quiescente (9). Nella steatosi, aumentano le cellule progenitrici residenti (Oval cells, cellule ovali) ed aumenta l’attività di differenziazione delle cellule stellate epatiche (da attive a quiescenti) per contribuire alla riparazione del danno epatico cronico (10). Persistendo, però, l’azione della noxa epatolesiva queste cellule stellate epatiche, svuotate del loro contenuto in vitamina A, passano da un fenotipo “quiescente” ad uno “attivato” e si trasformano gradualmente in cellule simili ai miofibroblasti, dette cellule transizionali o myofibroblastlike. Le cellule stellate epatiche attivate esprimono elevati livelli di Mrp1, Mrp3, Mdr1a e Mdr1b e questi trasportatori tipo Mrp sono estremamente importanti per la loro sopravvivenza (11). Questi processi di attivazione implicano complesse modificazioni morfologiche e biochimiche.Non sono ancora ben conosciute le alterazioni nella regolazione di geni specifici ed i segnali intracellulari che regolano la trasformazione delle cellule stellate epatiche in cellule simil-miofibroblastiche; tuttavia alcuni membri della COUP-famiglia di fattori di trascrizione (Chicken Ovoalbumin Upstream Promoter Transciption (Factors) sono richiesti per l’attivazione delle cellule stellate epatiche, sono coinvolti nelle loro risposte mitogeniche (proliferazione) e motogeniche (migrazione) e a mitogeni come PDGF e EGF. Inoltre, modulano l’attività di alcuni recettori nucleari come quelli dell’acido retinoico (RAR e RXR) e degli estrogeni (ERs) (12). Nelle cellule stellate epatiche attivate, infatti, sono molto ridotti i metaboliti biologicamente attivi della vitamina A. RXR interagisce con i membri della superfamiglia dei recettori degli ormoni 96 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 tiroidei/steroidei come il recettore della vitamina D, PPAR-γ e LXR (Liver X Receptor). Infine, sono indispensabili per l’attivazione di fattori di trascrizione e per la modulazione della risposta profibrogenetica di queste cellule stellate attivate. Gli oppiodi endogeni modulano l’accrescimento delle cellule nervose e di quelle non-nervose. I precursori degli oppioidi sono massimamente espressi sulle cellule parenchimali nelle malattie croniche del fegato.Le cellule stellate epatiche, che sono il principale fenotipo cellulare coinvolto nella fibrogenesi epatica, mostrano markers molecolari di cellule nervose e rispondono ai neurotrasmettitori. I recettori degli oppioidi DOR (Delta opioid receptor) sono stati trovati espressi in modo elevato nelle cellule stellate epatiche allo stato “quiescente” ma erano ancora presenti in quelle “attivate” mentre quelli degli oppioidi MOR (mu opioid receptor) sono espressi solo sulle cellule attivate. Pertanto, questi oppioidi endogeni rilasciati dalle cellule parenchimali partecipano al processo di fibrogenesi epatica agendo come fattori paracrini che modulano gli eventi che portano alla loro proliferazione (13). Inoltre, l’espressione di SCG10, gene membro della famiglia Stathmin/ OP18 presente nelle cellule nervose, aumenta significativamente durante il processo di fibrosi epatica: infatti, i livelli di SCG10 mRNA sono oltre cento volte maggiori nelle cellule stellate attivate rispetto a quelle quiescenti.Le cellule stellate epatiche, quindi, rappresentano la maggior sorgente cellulare di questa molecola nel fegato. Questo marker si trova nei tratti portali, nei setti fibrosi e nel parenchima epatico, oltre che nelle cellule stellate e gioca un ruolo importante nella differenziazione delle cellule stellate epatiche, specialmente nello sviluppo dell’accrescimento durante l’attivazione (15). Le proteine SMAD, mediatori intracellulari del TGF-β hanno un ruolo importante nella stimolazione del gene della trascrizione del collagene. Smad-1 è una proteina-segnale intracellulare, recettore attivata che media il segnale di trasduzione di proteine morfogeneti- Geriatria Durante l’insulto epatico l’aumentata espressione sulle cellule stellate epatiche di PDGF-B (Platelet-derived growth factor), il più potente mitogeno per le cellule mesenchimali, porta all’attivazione ed alla moltiplicazione delle cellule stellate epatiche mediata dal TGF-β e IL-1, al rimodellamento della matrice extracellulare, ad una significativa secrezione e deposizione di collagene di tipo I. Questa citochina attrae le cellule stellate nel luogo dell’insulto dove media la risposta alla lesione e stimola la loro proliferazione. Poiché le cellule stellate rispondono rapidamente alla noxa epatolesiva e risiedono in un calmo spazio fluido, si può ipotizzare che le loro protrusioni agiscano come sensori-guida per la chemiotassi. Pertanto, la chemiotassi delle HSC può essere svelata da uno specifico legame del PDGF al suo affine recettore trovato sulla cima delle protrusioni. Questa abilità a percepire segnali molecolari lontani dal corpo cellulare ha un considerevole significato fisiologico poiché le HSC risiedono nello spazio perisinusoidale in un calmo strato fluido dove i movimenti dei soluti hanno una modesta diffusione. Le MMPs (Matrix metalloproteinases) che mediano la controllata degradazione della matrice extracellulare, partecipano alla transdifferenziazione delle cellule stellate epatiche e MMP-9, una collagenasi del tipo IV, è implicata, tra l’altro, nella cicatrizzazione delle lesioni epatiche. IL-1 (Interleukine1) e TNF-α promuovono l’attivazione del pro-MMP-9 e la produzione di MMP-9 da parte di queste cellule stellate. Anche uno dei fattori della fase acuta, prodotti dal fegato in risposta all’insulto epatolesivo, come l’α-antichimotripsina inibisce efficacemente la proteolitica attivazione di proMMP-9 attraverso il blocco dell’enzima di conversione (6-7). Quali sono i meccanismi molecolari che controllano l’attivazione e la persistenza delle cellule stellate epatiche nel fegato cronicamente sottoposto ad insulti? La metilazione del DNA di queste cellule è riconosciuta come l’evento-chiave che controlla la differenziazione cellulare ed il loro destino. La riprogrammazione dell’espressione di IKb-β è riconosciuta essere importante per l’istituzione del fenotipo proinfiammatorio e profibrogenico delle cellule stellate epatiche attivate. TNF-α induce la degradazione di Ikb-β che si risolve nell’attivazione transcrizionale di NFK-β. Questi riduce la produzione di MMP-9 e l’avvio del processo fibrotico da parte delle cellule stellate epatiche e, grazie all’intervento del PDGF, il più potente stimolatore della loro migrazione e proliferazione, stimola le cellule stellate epatiche a dividersi. PPAR-α (α-recettore attivato dai proliferatori del perissosoma), membro della superfamiglia dei recettori nucleari, è un fattore di trascrizione legante-dipendente, principalmente espresso nel tessuto adiposo dove riveste un ruolo fondamentale nell’adipogenesi e nel metabolismo dei grassi ed energetico. Esistono almeno tre isoforme di PPAR-α (α-1, α-2, α-3). PPAR-α 2 è prevalentemente espresso nel tessuto adiposo mentre PPAR-α 1 si ritrova in vari tessuti compreso il fegato. Il PPARα attivato regola la trascrizione di svariati geni dopo essersi legato ad un elemento specifico della risposta di PPAR detto PPRE (8). Dunque, il livello e l’attività transcrizionale del PPAR-γ sono drammaticamente diminuiti durante la trandifferenziazione (passagio delle cellule stellate epatiche da uno stato “quiescente” ad uno “attivato”) mentre la sua espressione o attivazione rovescia le caratteristiche biochimiche e le modificazioni dell’attivazione delle cellule stellate epatiche e le riporta al fenotipo “quiescente”. Anche le espressioni di altri fattori di transcrizione adipogenica (ATF) sono ridotte nelle cellule stellate epatiche attivate. L’attivazione del PPAR-γ riduce, invece, molti markers dell’attivazione delle cellule stellate epatiche come l’espressione del collagene e dell’α-SMA (α-smooth muscle actin); inoltre, diminuisce la produzione della matrice extracellulare da parte delle cellule stellate epatiche e la loro proliferazione e migrazione. Di per sé l’espressione di PPAR-γ diminuisce, come già accennato, l’attivazione delle cellule stellate epatiche. FXR Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 97 Geriatria che dell’osso BMPs (Bone morphogenetic proteins), che fanno parte della superfamiglia del TGF-β (Trasforming Growth Factor) ed il loro ruolo nelle cellule stellate è quello di essere coinvolte nella differenziazione cellulare. L’espressione di Smad-1 è stata documentata nelle cellule stellate epatiche “quiescenti” mentre l’attività transcrizionale di Smad-1 sulla proliferazione e transdifferenziazione è incrementata durante l’attivazione delle cellule stellate epatiche. SMAD2 e SMAD3, invece, hanno differenti effetti biologici, mediati da TGF-β, sulle cellule stellate epatiche. SMAD2, infatti, inibisce la crescita delle cellule stellate epatiche in transdifferenziazione mentre SMAD3 si oppone all’espressione di α-SMA (16). Le cellule stellate “attivate” derivano in parte da una popolazione cellulare che si origina dal midollo osseo, migra nei siti delle lesioni e si differenzia nelle cellule stellate attivate contribuendo alla loro espansione. Queste cellule miofibroblastosimili che derivano dal midollo osseo e che producono collagene nel fegato danneggiato, non risultano essere derivate dalla fusione di cellule del midollo osseo con le celllule di Ito(17). Le cellule stellate epatiche sono la principale sorgente di leptina, adipocitochina indispensabile per l’avvio del processo di fibrosi (18), e questa induce su tali cellule lo stress ossidativo con aumentata formazione di superossido che si segnala attraverso p38 e la chinasi 1/2 V (ERK 1/2) segnale-regolatore extracellulare, stimolando la produzione di TIMP-1 (tissue inhibitor matrix metalloproteinase), inibitore tissutale di MMP-1 con conseguente stimolo alla produzione del collagene (19). L’adiponectina, invece, che può proteggere il fegato dagli insulti tossici e dalla fibrosi, è presente solo nel fenotipo quiescente. La leptina protegge le cellule stellate epatiche dall’apoptosi indotta dai FANS-leganti ed aumenta, poi, la produzione di TNF-α LPS-indotto (Lipopolisaccaride, potente fattore attivante i macrofagi e capace di aumentare la secrezione di MCP-1) sulle cellule del Kuppfer attraverso i segnali di trascrizione p38 e JNK MAPK. 98 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 Inoltre, aumenta l’espressione del gene di citochine pro-angiogeniche come il VEGF (Vascular endothelian growth factor) e l’angiopoietina1 (20-21). La trasformazione delle cellule stellate epatiche è accompagnata da molteplici, complesse modificazioni di queste cellule, dalla degradazione e dal rimodellamento della matrice extracellulare con aumentata produzione e deposizione di proteine (specie collagene di tipo I che passa dal 20% nel soggetto normale al 50% nel cirrotico), all’aumentata sintesi di Endotelina-1 (ET-1), all’espressione di α-SMA (α-smooth muscle actin) ed alla produzione di MCP-1. Il TGF-β (Transforming growth factor) è il critico mediatore di questo processo. Il rimodellamento della matrice extracellulare è un momento fondamentale per il processo fibrotico ed è quindi indispensabile l’aumentata espressione di MMP-14, complesso formato da una proteasi della matrice, citochine, TGF e molecole facilitanti l’adesività cellulare, capace di attivare MMP-2 e MMP-13 (22). TGF-β 1 induce l’espressione di ADAM12 sulle cellule stellate epatiche attivate attraverso PI3K (Fosfatidil-inositolo-chinasi 3) e p70 (S6K) (Serina/treonina p70) (23). Queste cellule, inoltre, sono le maggiori produttrici di ADAMTS-13 metalloproteinasi-disintegrino-simile e con trombospondina-tipo 1 (24). La fibronectina (FN) è una delle più abbondanti proteine extracellulari presenti nel fegato alterato che stimola la sintesi di ET-1. La secrezione di questa nelle cellule stellate epatiche è regolata dalla matrice extracellulare attraverso una cascata di segnali MAPK (Mitogen-activated proteinkinase). Il recettore della fibronectina (integrina -α 5 -β1), presente durante l’attivazione delle cellule stellate epatiche e solamente nelle cellule “attivate” ma non in quelle “quiescenti”, ne perpetua lo stato di attivazione mediante l’incremento di anormali componenti della matrice extracellulare. La stimolazione di α2 β1-integrina, recettore del collagene, porta alla formazione di reti multicellulari per facilitare la migrazione cellulare (25). Geriatria FTS (Trans-Farnesyl-salycilic acid) inibisce la proliferazione, l’attivazione e la differenziazione delle cellule stellate epatiche indotte da PDGF, effetti dimostrati dalla riduzione dell’espressione di α-SMA (α-smooth muscle actin); inoltre, da solo o in combinazione con PDGF aumenta da due a tre volte il numero delle cellule stellate epatiche apoptoiche.Incrementa, poi, di due, tre volte da solo o in combinazione con PDGF o TGF-β l’attività della collagenasi del tipo IV MMP-2 (Matrix metalloproteases) mentre non ha effetti sull’espressione di MMP-13 (26). Lo stress ossidativo stimola la proliferazione e l’invasività delle cellule stellate epatiche mediante l’attivazione di MMP-2 che rimodella la matrice extracellulare provocando gravi alterazioni dell’architettura epatica nel corso del processo di fibrogenesi. Anche la Zinco-proteina ZNF 267 è membro della famiglia Kruppel-simile e funziona come regolatore transcrizionale in negativo di MMP-10, che reprime l’espressione genica, promuove la fibrogenesi epatica attraverso la degradazione della matrice extracellulare ed è indotta durante il processo di attivazione delle cellule stellate epatiche (27). La concentrazione di ferro nel lobulo epatico e lo stress ossidativo che ne consegue, determina attivazione delle cellule stellate epatiche con accelerata progressione del danno epatocellulare. Inoltre, la ferritina regola l’espressione della proteina contrattile αsmooth muscle actin (α-SMA) sulle cellule epatiche attivate che esprimono per essa uno specifico recettore. Anche la transferrina sembra regolare l’espressione del collagene di tipo I da parte delle cellule stellate epatiche (28). Quindi, sia la ferririna che la transfertina giocano un ruolo nell’attivazione, ferro-indotta, delle cellule stellate epatiche. Infine, l’esposizione alla ferritina provoca l’attivazione e la traslocazione del NFkB al nucleo delle cellule stellate epatiche.La ferritina ha un ruolo significativo sulla regolazione dell’attività, DNA-legata, di NFKB e sull’ aumentata trascrizione dei geni responsabili di NFKB associati con l’attivazione delle cel- lule stellate epatiche. Gli effetti, ferritinaindotti sull’attivazione di tali cellule possono esplicarsi attraverso un segnale della ferritina, recettore-mediato, che coinvolge PKC-z e MAPK fosforilati (29). L’angiotensina II ed il sistema reninaangiotensina giocano un ruolo non secondario nella patogenesi della fibrosi epatica legandosi a recettori posti sulle cellule stellate epatiche attivate.Agendo, infatti, sui recettori del tipo AT1 espressi su tali cellule, l’angiotensina II induce contrazione e replicazione delle cellule stellate epatiche. È certo, inoltre, che l’angiotensina II moduli il reclutamento di cellule infiammatorie stimolando l’induzione di MCP1, da parte delle cellule stellate epatiche, attraverso il segnale intracellulare Rho/ Rho-chinasi (30). Infine, l’angiotensina II ha un ruolo importante nell’aumento delle resistenze portali intraepatiche. L’adesività cellulare e la migrazione sono essenziali nei processi di cicatrizzazione. Il FAP (Fibroblast activation protein) che possiede attività collagenasiche e dipeptidil-peptidasiche IV (DPIV) è selettivamente espresso dalle cellule stellate epatiche e dai miofibroblasti che producono e degradano la matrice extracellulare. Oltre a queste azioni enzimatiche pro-fibrogeniche, poi, il FAP media importanti funzioni non-enzimatiche che facilitano, nel fegato cronicamente esposto a noxae patologiche, il rimodellamento tessutale attraverso l’aumento dell’adesività, della migrazione e dell’apoptosi da parte delle cellule stellate epatiche (31). Queste, una volta trasformate, sotto la stimolazione delle cellule del Kupffer, presenti diffusamente all’interno dei lobuli, e delle cellule endoteliali dei sinusoidi (SEC), espresse specialmente nelle zone periportali, in cellule miofibroblasto-simili ed acquisite le loro caratteristiche proliferative e fibrogeniche, si portano nella zona danneggiata (32). C’è, allora, grande incremento della loro capacità proliferativa, migratoria, contrattile e di quella di sintetizzare collagene (specie il tipo I e III) e di altre componenti della matrice extracellulare, grazie alla secrezione di TGF-β 1 che agisce in feedback con le cellule del Kupffer, insieme ad Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 99 Geriatria una ridotta capacità di degradazione e di rimodellamento della matrice stessa.Tre proteine FAK (Focal adhesion kinase), P13-chinasi e AKT sono coinvolte nella trascrizione del segnale che comanda alle cellule stellate epatiche di proliferare. Questo accumulo di proteine della matrice extracellulare nel parenchima epatico e la formazione di fibrosi alterano, come già ricordato, la normale citoarchitettonica del fegato. Ne consegue insufficienza della funzionalità epatocellulare, aumento delle resistenze intraepatiche al flusso sanguigno, ipertensione portale (33). Infine c’è, da parte delle cellule stellate epatiche, aumento della capacità di rispondere a numerosi mediatori solubili ed incremento del rilascio di citochine, di fattori di crescita e di agenti chemiotattici per i leucociti (chemochine). Queste cellule, infatti, sono in grado di regolare il reclutamento leucocitario negli stati flogistici del lobulo epatico. Se rimangono attive ci si avvia verso la cronicizzazione della flogosi epatica e la formazione di fibrosi. La perpetuazione dell’attivazione delle cellule stellate epatiche necessita di almeno otto importanti modificazioni del comportamento di queste cellule, come abbiamo già visto, che possono verificarsi simultaneamente e senza alcuna coordinazione: proliferazione, chemiotassi, fibrogenesi, contrattilità, degradazione della matrice extracellulare, perdita dei retinoidi, chemoattrazione leucocitaria, rilascio di citochine. Gli effetti di tutte queste modificazioni sono l’incremento dell’accumulo di matrice extracellulare i cui componenti regolano reversibilmente la morfologia, le funzioni e la proliferazione delle cellule stellate epatiche. Lo stress ossidativo è indispensabile per scatenare il processo flogistico epatocellulare (34) e NAD (P) H-ossidasi, espressa nelle cellule stellate epatiche, gioca un ruolo cruciale nella proliferazione PDGFindotta di tali cellule attraverso la produzione intracellulare di ROS (Reactive oxygen species). ROS, poi, inducono la proliferazione delle cellule stellate epatiche attraverso la fosforilazione di p38 MAPK (35) e l’invasività attraverso un meccani- 100 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 smo MMP2 mediato (36). Esistono diretti legami tra alterazioni metaboliche e fibrogenesi. L’iperglicemia e l’iperinsulinemia, per esempio, stimolano l’induzione sulle cellule stellate epatiche di una citochina fibrogenica, il CTGF (Connective tissue growth factor) (37); l’alcool aumenta l’assorbimento nel sangue portale di endotossine prodotte da batteri Gram negativi ed il suo metabolismo genera ROS che attivano TGF-β, la maggior citochina profibrogenetica. Questa attiva le cellule del Kupffer e provoca modifiche nella sintesi e nei livelli ematici di specifiche citochine, come IL-8, ad azione chemoattraenti e favorisce l’azione di linfociti citotossici che, in assenza dell’azione protettiva di IL-6, determinano apoptosi dei leucociti (specie B linfociti). IL-6 è il più importante fattore protettivo del fegato per l’azione antiossidante, antiapoptoica e pro-rigenerativa. Questa sua azione protettiva è accompagnata dall’azione antiossidante ed antiproteasica della ceruloplasmina, αantitripsina e transferrina (38). La cronica assunzione di alcool è associata ad una risposta immunitaria sbilanciata ed è responsabile dell’esistenza di uno stato immunodepressivo che espone tali pazienti ad alto rischio di gravi infezioni (39). L’immunorisposta epatica indotta dall’etanolo è prevalentemente cellulare come è provato dal ridotto rapporto Thelper (CD4+)/T-citotossico (CD8+) nel sangue periferico.Queste significative modificazioni immunologiche appaiono prima che inizino segni clinici o paraclinici di insufficienza epatica. L’etanolo, poi, aumenta nella vena porta i livelli del LPS, potente fattore attivante i macrofagi e stimolante la produzione di TNF-α che incrementa la secrezione di MCP-1 insieme a IL-1 e IL-8 ed altre chemochine che, a loro volta, facilitano lo sviluppo della flogosi epatica mediante l’apoptosi e la necrosi degli epatociti. Questa citochina (TNF-α) provoca modifiche nella sintesi e nei livelli ematici di specifiche citochine e di linfociti citotossici (39), incrementa il reclutamento delle cellule infiammatorie nel lobulo epatico ed è capace di esercita- Geriatria re azioni biologiche sulle cellule stellate epatiche: è responsabile per oltre l’80% della loro attività chemiotattica, ne stimola la migrazione e determina l’attivazione di vie di segnalazione intracellulare.Altre citochine come IL-8, IL-1 e IL-6, diverse chemochine ed eicosanoidi, capaci di veicolare i leucociti al fegato, sono infine attivate dalle cellule del Kuppfer. A loro volta le cellule stellate epatiche attivano ICAM-1 (Intracellular adhesion molecole1), PAF (Platelet activating factor), SCF-1 (Stem cell factor-1), MCP-2 (Monocyte chemotactic protein) e MIP-2 (Monocyte inhibition protein) oltre ad esprimere anche la fractalkine, chemochina appartenente al sottogruppo CX3C, che rivestono un ruolo fondamentale nell’adesione leucocitaria e nella migrazione di queste cellule verso il fegato. L’anziano con steatosi deve quindi evitare l’assunzione di alcool, ridurre il peso o meglio il BMI (e questo aumenta la sensibilità all’insulina), praticare un’attività fisica moderata, controllare la glicemia e la dislipidemia per evitare l’evoluzione silenziosa della malattia verso la fibrosi (40). L’obesità deve essere considerata come uno sta- to infiammatorio e gli adipociti un organo endocrino in grado di secernere numerose sostanze potenzialmente tossiche capaci di provocare flogosi, insulino-resistenza, diabete di tipo 2 e NAFLD (Nonalcoholic fatty liver disease) (41). Gli adipociti sono la sorgente di alcune importanti citochine (adipochine) come la leptina, resistina e adiponectina (42). La leptina è un mediatore importante della flogosi epatica e della fibrosi nella NAFLD. La resistina e la adiponectina modulano l’insulino-resistenza, fattore centrale nella patogenesi della NAFLD (43). Anche la NASH (Nonalcoholic steato-hepatitis) è associata con elevati livelli di leptina e resistina se comparata alla semplice steatosi (44). Nell’anziano sono state documentate modificazioni dei sinusoidi epatici dette pseudocapillarizzazioni che possono essere implicate nella patogenesi di molte malattie legate all’età. 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Seconda Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi “La Sapienza” Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma Le sindromi mieloproliferative croniche (SMC) costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie tutte caratterizzate dalla trasformazione neoplastica della cellula staminale totipotente che si esprime a livello ematologico con l’aumento dei granulociti neutrofili, prevalente nella Leucemia Mieloide Cronica (LMC) e/o delle piastrine, prevalente nella Trombocitemia Essenziale (TE) e/o dei globuli rossi, prevalente nella Policitemia Vera (PV) e/o con incremento della fibrosi midollare, prevalente nella Mielofibrosi Idiopatica (MI). Sono tutte patologie ad andamento cronico tipiche del paziente anziano per l’elevata incidenza al di sopra dei 55-60 anni. In particolare, la LMC si caratterizza dal punto di vista biologico per la presenza di un “marcatore” cromosomico specifico, il cromosoma Filadelfia (Cr.Ph’) derivato dalla traslocazione reciproca fra il Cr. 9 ed il Cr. 22 (t(9;22)) (1) e la cui base molecolare è rappresentata dalla formazione di un gene ibrido BCR-ABL. Il gene patologico BCR-ABL sintetizza una proteina ad elevata attività tirosin chinasica (P-210) responsabile della malattia. Grazie alla presenza di questo ”marcatore”, la diagnosi è semplice e sicura con la ricerca del Cr.Ph’ mediante aspirato midollare (esame citogenetico) o mettendo in evidenza la presenza della relativa alterazione molecolare mediante prelievo ematico (esame di biologia molecolare per BCRABL). La terapia orale con inibitori delle tirosin chinasi (Imatinib, AMN 107) ha rivoluzionato la prognosi di questa patologia che è diventata curabile e guaribile nella maggioranza dei casi, relegando il trapianto midollare e l’Interferone alfa a terapie di seconda linea da effettuarsi solo in casi selezionati (2). La TE, caratterizzata soprattutto da un aumento di piastrine > 650.000 > 6 mesi, è tra le SMC quella ad andamento più benigno con una sopravvivenza paragonabile a quella di una popolazione normale confrontabile per sesso e per età. La principale causa di morte in questi pazienti è costituita dalle trombosi, dalle emorragie e (più raramente) dall’evoluzione in fibrosi o leucemia acuta mieloide. La diagnosi si esegue con esami ematologici (aspirato midollare e biopsia ossea) e soprattutto effettuando tutti gli accertamenti necessari per escludere le trombocitosi secondarie ad altre cause (principalmente infezioni, neoplasie, perdite ematiche). Per quanto concerne la terapia, è importante tracciare un profilo di rischio trombofilico dei pazienti al fine di individuare quei casi in cui è indicato iniziare precocemente oltre alla terapia antiaggregante un trattamento citostatico. La terapia antiproliferativa prevede l’impiego dell’idrossiurea (0.75 gr/die come dose media) mentre l’interferone alfa (3MU/m2 x 3 volte la settimana) è riservato per casi selezionati (pazienti molto giovani, donne in gravidanza). Il ruolo dell’anagrelide (Agrylin), un derivato imidazolico che inibisce la maturazione dei megacariociti, è stato invece ridimensionato per una più elevata incidenza, rispetto all’idrossiurea, di trombosi e fibrosi nei pazienti trattati e per una elevata frequenza di effetti collaterali non trascurabili (3). La piastrinoaferesi è una procedura da impiegarsi nelle trombocitosi gravissime con segni clinici di stasi cerebrale da iperviscosità (in genere le piastrine sono>1,5-2x10 9/L) e permette rapidamente di separare ed eliminare dal sangue un elevato numero di piastrine in attesa che si producano gli effetti della terapia citoriduttiva. Anche la PV, caratterizzata da un progressivo incremento dei Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 103 Geriatria globuli rossi (4), è una emopatia benigna se diagnosticata in tempo, soprattutto con lo studio della massa eritrocitaria mediante emazie marcate con Cr.51 (patologica=>36ml/Kg nell’uomo; >32ml/Kg nella donna) al fine di escludere tutte le forme secondarie (ipossia, disidratazione, stenosi dell’arteria renale ecc.). Uno studio Europeo ha dimostrato l’importanza di un trattamento precoce con aspirina 100mg/ die al fine di prevenire le trombosi (5) La terapia principale per ridurre l’aumento della massa eritrocitaria (di scelta nei pazienti più giovani), è la flebotomia periodica che può essere associata o sostituita dalla terapia citostatica nei pazienti in cui è presente splenomegalia e/o trombocitosi ingravescenti. Il trattamento con interferone alfa è preferibile nei casi in cui è controindicato l’uso di un farmaco citostatico (gravidanza, pazienti giovani) o in alcune particolari situazioni cliniche (prurito persistente). I dosaggi sono uguali a quelli impiegati nella TE. La MI è la più rara SMC (0.7 casi /100.000 abitanti/anno) e , forse per questo, la meno curabile e più grave tra le SMC. La malattia è caratterizzata da fibrosi midollare progressiva con conseguente anemizzazione e splenomegalia di grado elevato. Non esiste una terapia specifica e sono necessarie periodiche emotrasfusioni con conseguente sovraccarico di ferro e trattamento ferrochelante. Utile l’impiego di prednisone ed un tentativo con la chemioterapia (melfalan a basse dosi) nei casi con grave splenomegalia (6). Recentemente, i risultati di numerosi protocolli terapeutici hanno dimostrato che la terapia di associazione Talidomide (farmaco antiangiogenetico) e prednisone (7), è in grado di ridurre il fabbisogno trasfusionale mediamente in circa il 40% dei casi. Inoltre numerosi gruppi scientifici hanno da pochi mesi confermato l’identificazione di una nuova mutazione (V617F) associata ed un marcatore molecolare (JAK2) (8). L’identificazione di questa molecola (che è una tirosin chinasi) renderà più agevole e rapida la diagnosi e, cosa anco- 104 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 ra più importante, prelude alla sintesi di nuovi farmaci (inibitori dell’attività tirosin chinasica di JAK2) che, al pari dell’Imatinib nella LMC, renderanno le SMC malattie guaribili. Nell’ambito dell’attività diagnostica e terapeutica correlata alle sindromi mieloproliferative croniche, importante è il ruolo di una adeguata preparazione teorico-pratica da parte del team infermieristico. Le indagini diagnostiche comprendono infatti l’esecuzione routinaria di alcune manovre di “piccola chirurgia” come l’aspirato midollare e/o la biopsia osteomidollare, indispensabili per lo studio citologico e/o istologico del midollo osseo. Questi esami si effettuano preferibilmente prelevando il midollo osseo nella cresta iliaca posteriore previa anestesia locale (lidocaina e derivati) o in sedazione generale (Diprivan), durano pochi minuti e richiedono un ricovero in “ospedale diurno“. Nell’ambito della terapia delle SMC, l’attività di tipo infermieristico riveste altresì un ruolo centrale nell’attuare tutte le procedure relative all’esecuzione della flebotomia (impiego di materiale sterile, preparazione del paziente ecc.), e nel coadiuvare il tecnico del Centro Trasfusionale nell’esecuzione delle procedure di tipo aferetico con l’impiego di macchinari ad elevata tecnologia. Inoltre, soprattutto nei pazienti affetti da MI e quindi con anemia cronica, l’opera dell’infermiere è prevalente nell’attuazione delle terapie emotrasfusionali e nella corretta gestione del trattamento ferrochelante dove l’idonea applicazione del cronoinfusore comporta specifiche conoscenze. Le sindromi mieloproliferative croniche sono pertanto malattie tipiche dell’anziano dove è mandataria una gestione multidisciplinare che preveda il lavoro del medico supportato da laboratori biologici ad elevata specializzazione (soprattutto citogenetica e biologia molecolare) strettamente coadiuvato da quello dell’infermiere sia in ambito diagnostico che terapeutico. Relazione presentata al Congresso Interregionale SIGOs, Lazio-Abruzzo-Marche – Subiaco 16-17 Febbraio 2006. Geriatria BIBLIOGRAFIA 1. FADERL S., TALPAZ M., ESTROV Z. et al.: Chronic myelogenous leukemia: biology and therapy. Ann. Intern. Med. 1999; 131: 207-219. 2. THE ITALIAN COOPERATIVE STUDY GROUP ON CHRONIC MYELOID LEUKEMIA: STUDY AND WRITING COMMITTEE: BACCARANI M., ROSTI G., DE VIVO A., BONIFAZI F., RUSSO D., MARTINELLI G., TESTONI N., AMABILE M., MONTEFUSCO E., SAGLIO G., TURA S.: A randomized study of interferon vs interferon and low dose arabinosyl cytosine in chronic myeloid leukemia. 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Come in tutti i paesi sviluppati – ha spiegato Paul Hodges direttore del progetto Generation Policy Program di Harvard – l’invecchiamento della popolazione americana è una rivoluzione demografica che rappresenta l’elemento più critico della politica sociale dei nostri tempi. Questo fenomeno porterà trasformazioni profonde nella politica, nel welfare e nel sistema pensionistico così come nel mercato del lavoro e nel mondo finanziario. Il paese dovrebbe essere preparato ad affrontare questa trasformazione, positiva o negativa che sia. “Purtroppo non è così – ammette Davis Walker responsabile del budget federale –. Difatti l’entità del debito federale impedisce di avviare programmi capaci di affrontare i problemi degli anziani”. Uno dei motivi per cui il budget ha un deficit così elevato - il debito attuale di 43 miliardi di dollari corrisponde a circa 350.000 dollari per ogni lavoratore – è la crescente spesa per anziani, in particolare quella dovuta alla sanità e al cambiamento demografico. Nel 1984 le spese per Medicare e per disabilità ammontavano al 30 per cento del budget federale. Nel 2004 avevano già raggiunto il 41 per cento. Alla luce di tutto ciò, la conferenza aveva lo scopo di dare raccomandazioni e indiIndirizzo per la corrispondenza: Prof. Antuono Piero [email protected] cazioni programmatiche al governo e al congresso su temi destinati a diventare sempre più pressanti. Pur nella drammaticità dei dati, una nota positiva è stato lo sforzo di considerare gli anziani non come un onere per il paese ma come una risorsa, con il loro bagaglio di esperienze da utilizzare nel mondo del lavoro, nel volontariato e nella società. Le raccomandazioni e le linee guida saranno ora esaminate dal congresso dello Stato della California, che tenterà di tradurle in obiettivi concreti. Vista la notevole autonomia dei singoli Stati in materia sociale ci si augura che l’esempio della California si estenda ad altri Stati, ponendo con forza i temi dell’invecchiamento della società americana all’attenzione di Washington. Difatti, non partecipando alla conferenza, Bush non solo ha interrotto una tradizione che aveva sempre assicurato la presenza del presidente Usa ma ha anche messo in evidenza il fatto che il problema degli anziani non è considerato prioritario dall’attuale amministrazione. Mentre la conferenza era in corso è giunta inoltre notizia che un gruppo di lavoro del congresso ha deciso di tagliare i fondi governativi per le scuole di specializzazione in geriatria. Con un colpo di penna sono stati così cancellati dal prossimo anno fiscale ben 30 milioni di dollari. Questi fondi avrebbero aiutato 50 centri ospedalieri e universitari a mantenere in funzione i centri di specializzazione in geriatria. Eppure il bisogno di geriatri negli Usa è evidente. Su 650.000 medici nel paese meno di 9000 sono geriatri, pari a 2,5 geriatri per 10.000 anziani. Meno del 3 per cento degli studenti di medicina hanno qualificazione universitaria o esperienza in geriatria. E solo 3 Università su 145 hanno un dipartimento indipendente di Geriatria. Se non cambia l’atteggiamento dell’amministrazione, dunque, il futuro è destinato a peggiorare. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 107 Geriatria 2006; XVIII; 2; 109-112; C.E.S.I. sas Editore, Roma L’ASSETTO METABOLICO DEL PAZIENTE ANZIANO Splendiani G., Condò S., Naticchia A. SUMMARY Con l’avanzare dell’età l’organismo umano, come è noto, è più fragile e suscettibile a diversi squilibri poichè va incontro ad una serie di cambiamenti del sistema ormonale, del controllo dell’equilibrio idroelettrolitico ed acido-base. Per quanto riguarda il flusso ematico renale e la clearance della cretinina si riscontra una riduzione anche senza patologie dovuta ad una modificazione strutturale sia dei vasi renali che vanno incontro a sclerosi, sia delle unità morfofunzionali del rene stesso, i nefroni. Nell’anziano i livelli di renina basale sono diminuiti dal 30 al 50% rispetto ai livelli normali, di conseguenza si ha una ugual riduzione percentuale dei valori di aldosterone con aumentato rischio di alterazioni idroelettrolitiche. L’invecchiamento si associa ad un’alterazione dei meccanismi di regolazione del bilancio idrico e di quello del sodio, che sono i determinanti del volume extracellulare (VEC) e dell’osmolarità. La composizione corporea con l’età si modifica e si assi- Con l’avanzare dell’età, il sistema ormonale, il controllo dell’equilibrio idroelettrolitico ed acido-base subiscono un cambiamento rendendo l’anziano più fragile e suscettibile a diversi squilibri. Il flusso ematico renale dopo i 40 anni progressivamente diminuisce da 1200 mL/minuto sino a 600 ml/minuto all’età di 80 anni, con conseguente riduzione della clearance della creatinina che è stabile fino all’età di 40 anni dopo di ché diminuisce di circa 8 ml/minuto/1.73 2 m /decade anche senza patologie renali. Circa 1/3 delle persone anziane non mostrano una diminuzione del filtrato glomerulare il che lascia presupporre che alIndirizzo per la corrispondenza: Prof. Splendiani G. Policlinico Tor Vergata, Servizio Nefrologia e Dialisi Viale Oxford 81 - 00133 Roma Tel. 06/20902194 - Fax 06/20902185 E-mail: [email protected] ste progressivamente ad una diminuzione dell’acqua corporea totale a causa di un incremento del grasso e a una diminuzione della massa magra oltre ad un diabete insipido nefrogenico acquisito. La sindrome metabolica (definita dalla presenza di almeno tre dei seguenti tratti: obesità addominale, ridotta tolleranza al glucosio (insulino resistenza), ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia e bassi livelli di HDL), ha una elevata prevalenza in età avanzata ed è un fattore di rischio indipendente di morbilità e mortalità cardiovascolare. Concludendo dobbiamo ricordare che la concentrazione ematica di sodio, potassio, fosforo, magnesio diminuisce con l’avanzare dell’età, mentre a livello urinario si riscontra un aumento della calciuria, sodiuria, fosfaturia, uricuria, del peso specifico ed una diminuzione dei citrati, fattori favorenti la calcolosi delle vie urinarie. Key words: Età avanzata, alterazioni metaboliche, alterazioni ormonali, alterazioni della composizione corporea. tri fattori oltre l’età entrino in gioco (ipertensione, diabete mellito, etc.). Con l’età la massa renale, il peso ed il flusso ematico corticale renale progressivamente diminuiscono mentre è preservato il flusso midollare. Le pareti dei grossi vasi renali vanno incontro a sclerosi. I glomeruli divengono meno lobulati, il numero delle cellule mesangiali aumenta mentre il numero delle cellule epiteliali diminuisce in questa maniera si riduce la superficie filtrante. Comunque la permeabilità glomerulare non cambia con l’età. Per quanto riguarda il sistema tubulare abbiamo anche qui diversi cambiamenti microscopici. Sono molto frequenti nell’anziano delle cisti da ritenzione forse dovute a dei diverticoli che si riscontrano nei nefroni distali. Diverse funzioni dei tubuli vengono perse con l’età come ad esempio la massima escrezione del p-aminoippurico ed iodopiraceti, l’assorbimento massimo di glucosio, la capacità di diluire e concentrare le urine Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 109 Geriatria Modificazioni dell’azione dell’ADH nell’anziano Risposta periferica all’ADH ↓ Risposta dell’ADH a stimoli osmotici ↓ Risposta dell’ADH alla deplezione di volume ↑ Risposta allo stimolo della sete (per una relativa incapacità tubulare di mantenere il gradiente osmotico nella porzione midollare), di espellere acidi. Per quanto riguarda il sistema reninaangiotensiona- aldosterone, nell’anziano i livelli di renina basale sono diminuiti dal 30 al 50% rispetto ai livelli normali, di conseguenza si ha una ugual riduzione percentuale dei valori di aldosterone. Tale riduzioni contribuiscono allo sviluppo di alterazioni idroelettrolitiche come ad esempio le persone anziane con una dieta povera di sodio hanno una ridotta capacità di conservare il sodio, una ridotta produzione di renina ed angiotensina II contribuiscono ad aumentare il rischio di iperkaliemia etc.. L’invecchiamento si associa ad un’alterazione dei meccanismi di regolazione del bilancio idrico e di quello del sodio, che sono i determinanti del volume extracellulare (VEC) e dell’osmolarità. La sete e la secrezione di ormone antidiuretico (ADH) sono i sistemi deputati al controllo del bilancio idrico. Nel rene di un soggetto anziano, i meccanismi di controllo che regolano il bilancio del sodio, il cui controllo fisiologico è attuato per mezzo della filtrazione glomerulare di sodio ed acqua, del riassorbimento tubulare di sodio e di ormoni o peptidi natriuretici quali il peptide natriuretico atriale (ANP) e le prostaglandine renali sono alterati. Oltre ai fattori elencati sopra ve ne sono degli altri quali la gittata cardiaca, la pressione arteriosa sistemica, il flusso plasmatico renale, la velocità di filtrazione glomerulare e l’attività del sistema simpatico intrarenale, che spesso risultano alterati nell’anziano affetto da una polipatologia. La composizione corporea con l’età si modifica e si assiste progressivamente ad 110 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 o = → Facile rischio di disidratazione una diminuzione dell’acqua corporea totale a causa di un incremento del grasso e a una diminuzione della massa magra (dal 60% circa del peso corporeo in un adulto sano al 45% del peso corporeo di un anziano). La quantità di grasso corporeo totale, aumenta fino all’età di 40 anni negli uomini e di 50 anni nelle donne per poi rimanere stazionario fino ai 70 anni, e quindi diminuire. La capacità di concentrazione delle urine diminuisce con il progredire dell’età in parte per la senescenza tubulare ed in parte per una resistenza all’azione renale dell’ADH, una forma di diabete insipido nefrogenico acquisito. La ridotta capacità di regolare l’escrezione renale del sodio può essere correlata: 1) alla perdita di nefroni dovuta all’invecchiamento; 2) alla diminuzione dei livelli circolanti di renina ed aldosterone; 3) alla iporesponsività agli stimoli acuti. Infatti in caso di patologie acute, l’anziano va incontro ad un bilancio negativo del sodio in modo molto più veloce rispetto ad un giovane adulto. I livelli basali di ANP sono aumentati e questo inibisce la secrezione di aldosterone, potendo così instaurarsi un ipoaldosteronismo. La concentrazione ematica di sodio diminuisce di circa 1 mEq/L/decade dopo i 40 anni di età, ma di solito questi cambiamenti non danno luogo ad una sintomatologia clinicamente evidente. Anche il contenuto di potassio corporeo totale diminuisce con l’età, fatto che rilette la diminuzione di massa muscolare che ne contiene circa il 75% di quello intracellulare. L’ipokaliemia è un disturbo frequente negli anziani, e riconosce tra le cause più frequenti l’uso di diuretici. Nell’anziano si può avere anche una lieve Geriatria ipofosforemia dovuta probabilmente ad un minor intake e ad un diminuito assorbimento intestinale. La soglia renale di riassorbimento tubulare di fosforo può essere abbassata dall’aumentata funzionalità delle paratiroidi età correlata. In genere una ipofosforemia severa è dovuta o ad una drastica riduzione dell’introito di nutrienti contenenti fosforo o ad una disfunzione tubulare renale. L’ipomagnesemia può essere comune in età geriatrica e tra le cause più frequenti si riconoscono un ridotto apporto con la dieta o la perdita renale o gastroenterica. Circa il 45% del calcio sierico è legato alle proteine, il 5% è legato agli anioni quali bicarbonato, fosfato e citrato, ed il 50% si trova in forma ionizzata (vn 4.8-5.2 mg/dl; 1.2-1.3 mmol/l), che è la forma attiva. Un valore costante di calcio ionizzato ematico è mantenuto tale da un sistema in cui interagiscono il paratormone (PTH), la vitamina D (1,25 (OH)2-colecalciferolo e la calcitonina. Con l’avanzare dell’età, i livelli ematici di PTH necessari a mantenere una normale concentrazione di calcio, aumentano, forse per un relativo deficit di calcio: inoltre le capacità dell’intestino di assorbire calcio diminuiscono e si riduce la risposta alla vitamina D attivata. Anche la sintesi renale di (1,25 (OH)2-colecalciferolo PTH mediata può essere alterata per una diminuzione della massa nefronica, così come si può avere una riduzione di intake di calcio e vitamina D con la dieta, che uniti ad una diminuzione dei livelli di estrogeni, possono contribuire alla carenza di calcio. Non ci sono però evidenze che nell’anziano siano alterati i meccanismi di aumento dell’assorbimento tubulare di calcio, la riduzione dell’assorbimento tubulare di fosforo e la stimolazione di riassorbimento osseo da parte del PTH. Inoltre le concentrazioni di 25-1drossicalciferolo tendono a diminuire con l’età, probabilmente per un ridotto intake alimentare ed una minore esposizione alla luce solare. L’obesità si associa ad aumento del rischio cardiovascolare, ipertensione, diabete mellito e morte improvvisa. Al contrario un basso rapporto vita fianchi, che significa un ridotto grasso viscerale, svolge un ruolo protettivo nei confronti di alcune di queste complicanze. Nell’anziano di sesso maschile l’obesità pare sia associata ad una riduzione dell’attività fisica, nella donna, invece, ad una diminuzione degli estrogeni ed in entrambe i sessi ad una riduzione del GH. La causa più frequente di obesità è però l’alimentazione eccessiva associata ad una ridotta attività fisica e ad una riduzione del metabolismo basale (la spesa energetica totale si riduce di circa il 20% nell’uomo e del 13% nelle donne). Nell’anziano abbiamo una lieve diminuzione della triiodiotironina, della sensibilità alla noradrenalina, una riduzione del tono e della forza di contrazione muscolare ed una riduzione dell’attività della Na-K ATPasi. Le dislipidemie, quali l’ipercolesterolemia e l’ipoalfalipoproteinemia, non sono così prevalenti negli anziani rispetto alla popolazione generale poiché il rischio di mortalità è così elevato che i pazienti con questi disordini non arrivano all’età senile. La causa più frequente di ipercolesterolemia è una dieta ricca di grassi saturi o colesterolo. L’ipotiroidismo occulto (normale T4 e TSH elevato) è una causa relativamente comune dell’aumento del colesterolo totale ed LDL. Tra le cause più frequenti di ipertrigliceridemia abbiamo: il consumo eccessivo di alcool, la terapia sostitutiva con estrogeni, il diabete mellito scompensato, l’uremia, la terapia con steroidi e β-bloccanti. L’obesità nell’anziano è la causa più frequente di diabete mellito di tipo II poiché si può riscontrare una insulino-resistenza periferica ed una alterazione nella secrezione di insulina. L’iperglicemia può essere lieve e di solito asintomatica. Può durare diversi anni prima di essere diagnosticata e questo può comportare l’insorgenza di complicanze severe quali: stroke, infarto del miocardio, retinopatia nefropatia neuropatia periferica etc. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 111 Geriatria Tab. 2 Fattore di rischio Obesità addominale uomini donne Trigliceridi HDL uomini donne PA Glicemia a digiuno Valori circonferenza vita >102 cm >88 ≥150 mg/dl <40 mg/dl <50 >130/85 mmHg ≥ 110 mg/dl La sindrome metabolica è definita dalla presenza di almeno tre dei seguenti tratti (Tab. 2): 1) obesità addominale 2) ridotta tolleranza al glucosio (insulino resistenza) 3) ipertensione 4) ipertrigliceridemia, 5) bassi livelli di HDL; Tale quadro ha una elevata prevalenza in età avanzata, ed è un fattore di rischio indipendente di morbilità e mortalità cardiovascolare. Questa sindrome è strettamente associata all’iperuricemia; alcuni studi rilevano che oltre il 76% dei pazienti gottosi presenta anche la sindrome metabolica. Negli USA, la prevalenza di gotta nella popolazione di ultrasettantacinquenni è raddoppiata dal 1990 al 1999 passando dal 2,1% al 4,1%. L’insulinoresistenza influenzerebbe il riassorbimento tubulare di urati; il BMI correla direttamente con i livelli di uricemia e la leptina sembra avere un ruolo come cofattore nel regolare i livelli di acido urico. L’iperuricemia stessa oggi è considerata un fattore di rischio cardiovascolare indi- pendente. A livello renale è ben noto il quadro della nefropatia gottosa e la calcolosi da acido urico che conta circa il 5% -10% dei casi di litiasi renale. La nefropatia cronica da acido urico è un quadro di IRC dovuta alla deposizione di cristalli di acido urico nell’interstizio della midollare renale. Esiste poi una forma di insufficienza renale acuta da acido urico, caratterizzata da oligo-anuria, dovuta alla precipitazione di acido urico all’interno dei tubuli renali. La sua presentazione più classica è la sindrome da lisi tumorale secondaria a chemioterapia, ed in particolare praticata per il trattamento di patologie ematologiche frequenti in età senile quali linfomi, leucemie croniche e malattie mieloproliferative (es. mieloma multiplo). In conclusione, dobbiamo ricordare che la calcolosi renale si presenta con maggior frequenza dalla quarta decade di età colpendo maggiormente gli uomini delle donne ed in particolar modo gli obesi ed i sedentari, con significativa familiarità e che le cause più frequenti di calcolosi urinaria nell’anziano sono: una ipocitraturia; una ipercalciuria idiopatica, soprattutto nei maschi, che si accompagna ad osteoporosi; l’iperparatiroidismo primario, più frequente nella donna in età presenile, in cui la nefrolitiasi è caratterizzata da ipercalcemia; l’iperaparatiroidismo secondario in età senile legato alla carenza vitamino-calcica ed al declino della funzione renale conseguenti all’invecchiamento. Relazione presentata al Convegno sulle problematiche urologiche ed andrologiche nell’anziano – Roma 10-11 Aprile 2006. BIBLIOGRAFIA 1. BRENNER & RECTOR. Il rene. Vernici editore. 2. SPLENDIANI G., et al.: Treatment of idiopathic glomerulonephritis in the elderly. Personal data. Contrib. Nephrol. 1993; 105: 139-143. 112 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 3. The Merck Manual of Geriatrics, Quadri sinottici. Linee guida Società Italiana di Geriatri Ospedalieri. Geriatria 2006; XVIII; 2; 113-114; C.E.S.I. sas Editore, Roma GERIATRIA ONCOLOGICA a cura di: Zanatta A. INDIPENDENZA DALLE TRASFUSIONI IN PAZIENTI CON SINDROME MIELODISPLASTICA Impatto su outcomes e qualità di vita Lodovico Balducci, MD Department of Interdisciplinary Oncology, Geriatric Section, H. Lee Moffitt Cancer Center and Research Institute, Tampa, Florida. Cancer May 2006 Vol 106 Number 10 2087-94 Le sindromi mielodisplastiche sono un gruppo di disordini del sistema ematopoietico di tipo clonale, caratterizzate da elementi cellulari displasici e da cronica citopenia periferica. Benché l’anemia sia la caratteristica più comune non sono rare la neutropenia e la trobocitopenia, variamente associate. In modo approssimativo si può dire che circa il 39% ha anemia isolata, il 27% ha anemia con neutro o piastrinopenia, il 15% ha pancitopenia. Le sindromi mielodisplastiche sono clinicamente eterogenee e possono essere di modesta gravità e stabili per anni o possono progredire rapidamente a leucemia mieloide acuta. Perciò, la sopravvivenza media varia notevolmente, da 6 anni in pazienti a basso rischio a solo 4 mesi nei casi più gravi. La prognosi varia secondo le caratteristiche della patologia come la percentuale di mieloblasti nel midollo osseo, il numero e la severità delle linee ematopoietiche interessate dalla citopenia, la presenza di anomalie cromosomiche. Tuttavia la cronicità della citopenia associata alla mielodisplasia causa morbilità e mortalità indipendentemente dalla progressione a leucosi mieloide acuta. Più dell’80% dei pazienti con mielodisplasia presenta anemia e spesso richiede emotrasfusione per un periodo prolungato con dipendenza e necessità di misure correlate come terapia chelante per il ferro. La dipendenza dalla trasfusione consiste nel ricevere 3 o più trasfusioni di 2 unità di globuli rossi ad intervalli di 2 o 4 setti- mane per mantenere i livelli di emoglobina. Tale situazione, pregiudica la sopravvivenza e la qualità di vita per le complicanze correlate. GESTIONE CLINICA delle anemie associate a mielodisplasia: Poiché la gravità della citopenia varia dai singoli pazienti le terapie di supporto sono adattate ai singoli casi. C’è consenso sulla necessità di trasfondere quei pazienti che presentano segni o sintomi di anemia, come dispnea da sforzo o tachicardia, indipendentemente dai loro livelli di emoglobina. Una pratica comune è quella di trasfondere con livelli di Hb < 8 g/dl (o < 10 g/dl per pazienti coronaropatici). Prodotti privati dei leucociti sono usati per diminuire le reazioni febbrili non emolitiche e per evitare l’alloimmunizzazione da antigeni umani leucocitari (HLA). L’alloimmunizzazione può pregiudicare il trapianto midollare e può pregiudicare l’efficacia delle trasfusioni di piastrine aumentando il rischio di sanguinamento. CONSEGUENZE della dipendenza dalle trasfusioni – Sul decorso clinico: Frequenti emotrasfusioni causano reazioni trasfusionali, infezioni e sovraccarico di ferro. In uno studio su 50 pazienti mielodisplastici circa l’80% ha presentato complicanze. Più del 50% ha sviluppato reazioni trasfusionali o ha richiesto l’uso di premedicazioni, il 33% ha sviluppato anticorpi a GR, piastrine e GB. Il 27% ha richiesto speciali unità di globuli rossi antigene negativo a causa della presenza di anticorpi contro i globuli rossi o ha richiesto riduzione dei leucociti e delle piastrine attraverso la filtrazione. Una complicanza seria ed inevitabile è determinata dall’accumulo di ferro con disfunzione del cuore, del fegato e del Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 113 Geriatria sistema endocrino. La terapia chelante per il ferro è indicata per quasi tutti i pazienti che hanno ricevuto più di 20 trasfusioni, per quelli che hanno livelli di ferritina di circa 1500 microgrammi/litro e per quei pazienti, dipendenti dalle trasfusioni, che hanno un’ aspettativa di vita superiore ad 1 anno. Tuttavia la difficoltà a praticare tale terapia (infusione sottocutanea) è un fattore limitante. È certo che la dipendenza dalle trasfusioni pregiudica la prognosi di questi pazienti, che spesso hanno un’età superiore ai 65 anni, non solo per l’insufficienza midollare in se stessa ma anche per i rischi da accumulo di ferro. – Sulla QUALITÀ di vita: L’aumento dei valori di emoglobina migliora la qualità di vita in paziente mielodisplastici come in altre neoplasie. Tuttavia, a differenza che in altri pazienti neoplastici, l’uso di eritropoietina non ha prodotto simili benefici nei pazienti con mielodisplasia suggerendo che oltre ai valori di Hb ci sono altri fattori determinanti la qualità di vita. – ECONOMICHE: Negli Stati Uniti il costo di una emotrasfusione è tra i 500 e i 550 US Dollars ed è in aumento nel tempo. Questi dati sono inerenti al valore di 2 unità di sangue senza includere i costi della terapia chelante il ferro o altri aspetti come trasporto dei pazienti, attesa ed osservazione clinica. Le strategie per ridurre la dipendenza da emotrasfusione si possono dividere in due tipi: 1. Trattamento con fattori di crescita eritropoietici 2. Trattamenti che modificano il corso della mielodisplasia: l’immunosoppressione, l’immunomodulazione, la terapia della differenziazione cellulare ERITROPOIETINE Dai dati di una recente meta-analisi solo il 33% dei pazienti trattati con EPO ha avuto una risposta significativa, probabilmente in relazione a diversi fattori quali il sottotipo della malattia. I casi con sideroblasti ad anello rispondono nel 37,5% e quelli con eccesso di blasti nel 16,7%. L’a-darbepoietina può essere, in una 114 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 minoranza di pazienti, un’alternativa all’Epo se associata a fattori di crescita leucocitari. AGENTI IMMUNOSOPPRESSORI Sono una categoria di farmaci già usati per trattare l’anemia aplastica. Trattando 61 pazienti con ATG (globulina anti timocita) il 34% è diventato indipendente dalla trasfusione. I pazienti con sottotipo di anemia refrattaria hanno risposto nel 62% dei casi, per 15,5 mesi, gli altri sottotipi nel 50%. Sono attualmente in fase di studio terapia con ciclosporina, steroidi, anticorpi monoclonali e TNF-α. AGENTI SULLA DIFFERENZIAZIONE L’acido valproico ha dimostrato di agire sia in pazienti con mielodisplasia sia in pazienti con leucosi mieloide acuta secondaria a mielodisplasia; sarebbe utile anche per ridurre la dipendenza da trasfusione di piastrine. L’acido valproico avrebbe determinato però tossicità neurocorticale in 4 dei 20 pazienti arruolati in questo studio. AGENTI IMMUNOMODULATORI Talidomide: l’uso della talidomide in pazienti a basso rischio, dipendendenti dalla trasfusione, ha migliorato l’eritropoiesi nel 28% dei pazienti, con anemia refrattaria, con bassa risposta però dei neutrofili e delle piastrine. Tuttavia la tollerabilità è problematica. LENALIDUMIDE: la terapia con questo farmaco ha ridotto significativamente la dipendenza dalle trasfusioni e ha ripristinato la normale citogenetica in pazienti con mielodisplasia, specie quelli con delezione del cromosoma 5. È stata inoltre efficace nel 63% dei pazienti che non hanno risposto all’Epo. CONCLUSIONI La dipendenza dalle trasfusioni determina nei pazienti con mielodisplasia un problema clinico, economico e di qualità di vita. I nuovi approcci terapeutici hanno la potenzialità di determinare indipendenza dalle trasfusioni in una certa tipologia di questi pazienti migliorando sia la prognosi che il benessere. Geriatria 2006; XVIII; 2; 115; C.E.S.I. sas Editore, Roma VITA AGLI ANNI a cura di: Sabatini D. I VECCHI MALTRATTATI Come tutti conosco l’esistenza dei maltrattamenti agli anziani, ma come tutti ho sempre collocato il fenomeno dentro fatti di cronaca rarissimi, e sempre lontano da me. Finché non vidi un giorno nel mio luogo di lavoro un figlio schiaffeggiare il padre, che gli faceva resistenza ad inghiottire una pasticca. Un amico magistrato mi consolò lo sdegno, e mi spiegò col tono delle cose risapute che i delitti più efferati avvengono sempre dentro le mura domestiche. Gli anziani non denunciano gli abusi che subiscono, perché hanno paura o perché proprio non possono. E non parlo di furti, scippi, violenze da strada, che pure in qualche modo emergono alla cronaca, ma proprio delle violenze nel chiuso delle case. Il National Center on Elder Abuse classifica l’abuso in sette tipi differenti, come i peccati capitali: fisico, sessuale, psicologico, sfruttamento finanziario, negligenza, abbandono e trascuratezza. A leggere certi dati, ammesso che il fenomeno possa avere una sua epidemiologia, i più colpiti sono gli anziani con più di 80 anni, quelli fragili, non autosufficienti, con scarse risorse finanziarie, e più spesso di sesso femminile; la forma più frequente è la negligenza, seguita dai maltrattamenti psicologici e dallo sfruttamento finanziario. I perpetuatori del reato sono più spesso i membri della famiglia dell’anziano o gli amici o coloro di lui dovrebbero occuparsi e curare. Il medico dovrebbe riconosce l’abuso e prevenirlo, anche perché egli può essere il più spesso l’unica fonte di aiuto possibile. Il medico dovrebbe conoscere i tratti della personalità delle vittime più a rischio, dovrebbe cogliere i comportamenti sospetti: certi segni fisici non spiegati, o in sedi del corpo protette; i vestiti sporchi o non appropriati, la difficoltà al colloquio in presenza di accompagnatori, ecc.. Ma abusi e negligenze si esercitano anche all’interno di istituti, residenze sanitarie, ospedali. E siccome le persone serie rivolgono verso se stesse le critiche più intransigenti, i medici dovrebbero guardare il problema dalla parte della loro responsabilità; voglio dire, rivedere come maltrattamento il vasto capitolo della iatrogenesi, parola tanto dotta che per sé non sembra neppure minimamente sottendere una colpa. Molti errori e molte omissioni assistenziali sono in vario modo forme di maltrattamento. Penso innanzi tutto agli effetti psicologici negativi determinati dal ricovero ospedaliero non condiviso e dal distacco dall’ambiente familiare. E poi alla comunicazione che non si sforza né di capire né di farsi capire; alla visita che non rispetta né il corpo né la mente del vecchio, fino all’offesa della sua persona, quando accettiamo i consensi a fare anche dalle badanti, pur sapendo che la salute è l’unico bene non delegabile. FONTI GARITSON S.H.: Ethical decision making patterns. J. Psychosoc.Nurs., 26, 23-29, 1988. R. PASQUALINI, C. MUSSI: Come riconoscere e prevenire l’abuso degli anziani, Giorn. Geront. Geriatria 2001; 49: 42 - 47. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 115 Geriatria 2006; XVIII; 2; 116; C.E.S.I. sas Editore, Roma GERIATRIA NEL MONDO a cura di: Zanatta A. L’ESERCIZIO È ASSOCIATO CON LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI DEMENZA TRA PERSONE DI ETÀ SUPERIORE A 65 ANNI Un esercizio fisico, anche moderato, ma svolto più volte nella settimana, potrebbe contrastare l’insorgenza di demenza. La base biologica di questo processo potrebbe risiedere nel miglioramento della circolazione cerebrale con aumento della cessione di ossigeno e della crescita di fibroblasti nell’ippocampo. La letteratura internazionale non è unanime, specie sui dati riguardanti la stimolazione dei fibroblasti. MATERIALI E METODI È stato praticato uno studio di Coorte su 1740 pazienti, di età superiore ai 65 anni, non compromessi nella funzione cognitiva (allo screening per la memoria punteggio superiore al 25° percentile) Queste persone, arruolate all’interno di uno studio longitudinale più ampio (Adult Changes in Thought – ACT) sono state osservate in media per 6,2 anni, con 116 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 più visite di controllo all’anno. Sono state valutati nel tempo sia i fattori di rischio per demenza, le condizioni psico-fisiche e le modalità dell’esercizio fisico (almeno 15 minuti per tre volte la settimana). RISULTATI In 6,2 anni (SD +/- 2,0) hanno sviluppato demenza 158 persone su 1740 (di cui 107 di tipo Alzheimer). L’incidenza annuale è stata di 19,7/1000 all’anno nei pazienti inattivi e di 13/1000 all’anno nei partecipanti che svolgevano regolare attività fisica. La riduzione del rischio di demenza è stata del 32%, anche includendo variabili quali età e sesso. LIMITI Questo studio è stato praticato su persone di classe sociale medio – alta e la frequenza dell’esercizio fisico si basa sulla esclusiva dichiarazione dei partecipanti. ANN INTERN MED 2006; 144 73 - 81 Geriatria 2006; XVIII; 1; 117; C.E.S.I. sas Editore, Roma NOTIZIE DA E PER LE REGIONI a cura di: Semeraro S. CONGRESSO REGIONALE S.I.G.OS EMILIA-ROMAGNA Nei giorni 13 e 14 ottobre 2006 si terrà a Piacenza presso il Park Hotel il Congresso Regionale della nostra Società. Il Congresso si articolerà su tre argomenti che riguarderanno 1) Esperienza e confronto. 2)Le parole agli esperti. 3) L’anziano e lo specialista d’organo. Nella stessa occasione si terranno le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale. Presidente ed organizzatore del Congresso è il dott. F. Franchi direttore della unità Operativa Geriatrica dell’Ospedale di Piacenza e attualmente segretario della Sezione Regionale della nostra Società. Un programma dettagliato del Congresso verrà sollecitamente comunicato. Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 117 Geriatria 2006; XVIII; 2; 118; C.E.S.I. sas Editore, Roma CALENDARIO DELLA S.I.G.OS. Incontri, Riunioni, Notizie Dal 18 al 23 Giugno 2006 avrà luogo un viaggio studio a Copenhagen con una visita alle strutture geriatriche della città ed un confronto con i colleghi Geriatri danesi. Siete invitati a prenotarvi in tempo. Per informazioni rivolgersi al Prof. Palleschi. È stato pubblicato, con l’Editoriale Cinquanta & Più srl il libro del Prof. Massimo Palleschi: “Impariamo a vivere, impariamo ad invecchiare”. È stato possibile donare una copia del volume a tutti i Consiglieri Nazionale della nostra Società. Congressi I Congresso Ispano-americano di psicogeriatria Buenos Aires, 3-5 Novembre 2005 Per informazioni: http://weblog.maimonides.edu/gerontologia/congreso Quarte Giornate Geriatriche Novaresi. Invecchiamento cerebrale tra normalità e patologia: il modello di cura della medicina della complessità. Una proposta della Geriatria per il SSN. Novara 15-17 Dicembre 2005 Per informazioni: Segreteria Scientifica: S.C. Geriatria Novara Tel. e Fax 03213734814 E.mail: [email protected] Segreteria Organizzativa: Aima Novara Tel. e Fax 0321442084 E.mail: [email protected] Simposio Internazionale “Obesity in the elderly” Istituto di Scienza dell’Alimentazione dell’Università degli Studi “La Sapienza” L’International Academy of Nutrition and Aging Roma, 26-28 Gennaio 2006 Per informazioni: http://www.uniroma1.it/scialim [email protected] Geriatric Clinical Management in Europe Ostend, 16-18 Febbraio 2006 Per informazioni: E.mail: www.iag-er.org 3° Corso di Cardiogeriatria. L’intensità di cardiogeriatria Bagni di Tivoli (RM), 7-8 Aprile 2006 Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] 118 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006 3° Congresso Nazionale AGE “Il Geriatra Territoriale ed il 3° Millennio: tendenza per una nuova cultura” Selva di Fasano (BR), 11-14 Maggio 2006 Per informazioni: Concerto srl Events of Destination Management Company Calata San Marco, 13 – 80133 Napoli Tel. 08119569195 Fax 0812140448 Corso Residenziale “Contempo in geriatria e gerontologia Roma 15-16 Maggio 2006 Accademia Nazionale di Medicina Per informazioni: Tel. 010/83794238 Le nuove frontiere della geriatria: etica e ricerca per una educazione alla terza età San Giovanni Rotondo 19 Maggio 2006 Per informazioni: Regia Congressi Firenze Tel. 055271171 Fax 0552711780 E.mail: infoçregiacongressi.it XVIII Congresso Nazionale S.I.G.Os. “L’instabilità nell’anziano” Catania, 25-27 Maggio 2006 Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] 4th Bologna International Meeting “Affective, behaviour and cognitive disorders in the elderly – ABCDE” Bologna, 15-17 Giugno 2006 Per informazioni: G&G International Congress srl Via G. Squarcina, 3 – 00143 Roma Tel. 065043441 Fax 065033071 E.mail: [email protected] www.gegcongressi.com www.gegcongressi.com/abcde VI European Congress of Gerontology Saint Petersburg, Russia, July 5-8 2007 Per informazioni: St. Petersburg Institute of Bioregulation and Gerontology 3, Dynamo Prospect - 197110 St. Petersburg, Russia VIII Convegno Nazionale Geriatrico “Dottore Angelico” Il buon governo della complessità e della criticità dell’anziano in acuzie per ridurre disabilità e cronicità Aquino, 13-15 Settembre 2006 Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] S. I. G. OS . SOCIETÀ ITALIANA GERIATRI OSPEDALIERI CONGRESSO REGIONALE TROPPI VECCHI NEGLI OSPEDALI O OSPEDALI TROPPO VECCHI PER GLI ANZIANI? Appropriatezza delle cure ospedaliere per l’anziano fragile PROGRAMMA Con il Patrocinio della CISL-FNP Roma 20 Ottobre 2006 Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata Corsia delle Donne Segreteria Organizzativa CONGRESS LINE Via Cremona, 19 – 00161 Roma Tel. 0644290783 – 0644241343 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] www.congressline.net Geriatria Geriatria 122 Vol. XVIII n. 2 - Marzo/Aprile 2006
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