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I. SAGGI
Crisi finanziarie, banche e giochi di potere in Italia.
Analogie e differenze tra passato e presente
di
Giuseppe Telesca
Introduzione
Nell'estate del 2007, a partire da un segmento minore del mercato immobiliare statunitense, quello dei mutui subprime, ha preso le mosse «the largest financial shock since the Great Depression» o, se si preferisce, «the largest financial
crisis of its kind in human history» 1.
L'obiettivo di questo lavoro non eÁ quello di analizzare le cause della crisi, neÂ
di discuterne le possibili exit strategies. PiuÁ semplicemente, alla luce delle analogie
che si possono ricavare dalle vicende affini, benche distanti nel tempo, di Giuseppe Toeplitz, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana (Bci)
dal 28 marzo 1917 al 25 marzo 1933 2, e Alessandro Profumo, Ceo di UniCredit
banca dal 29 aprile 1997 al 21 settembre 2010 3, questo articolo si propone di
1
La prima affermazione eÁ del Fondo Monetario Internazionale (riportata da N. Ferguson,
The Ascent of Money. A Financial History of the World, London, Penguin, 2008, p. 273), la
seconda di Charles Bean, vice governatore della Bank of England (riportata da H. James, The
Creation and Destruction of Value. The Globalisation Cycle, Cambridge (Massachusetts)-London,
Harvard University Press, 2009, p. 258).
2
JoÂzef Leopold Toeplitz nacque a Zychlin, nei pressi di Varsavia, il 10 dicembre 1866, da
una delle famiglie piuÁ affluenti dell'alta borghesia ebraica polacca. Nel suo foglio matricola si
legge che entroÁ presso la sede di Milano della Bci nel giugno 1895 con il grado di procuratore. Il
1 o marzo 1897 fu nominato vicedirettore; il 20 dicembre 1898 fu trasferito a Napoli con il grado
di direttore; il 10 dicembre 1900 fu spostato a Venezia con lo stesso grado; il 28 dicembre 1903
ritornoÁ a Milano come condirettore centrale; il 3 novembre 1906 fu promosso direttore centrale;
il 28 marzo 1917 fu nominato amministratore delegato. Dimessosi dalla guida della banca il 25
marzo 1933, rimase nel suo Cda come vicepresidente unico ancora per un altro anno (cfr.
Archivio Storico di Intesa Sanpaolo ± patrimonio Banca commerciale italiana (d'ora in avanti
ASI-BCI), Servizio del personale, fascicoli matricola, Giuseppe Toeplitz).
3
Nato a Genova il 17 febbraio 1957, ultimo di cinque figli, Profumo dopo un'infanzia
trascorsa a Palermo si eÁ trasferito a Milano negli anni Settanta e ha conseguito la laurea presso
l'UniversitaÁ Bocconi mentre lavorava agli sportelli del Credito lariano. Nel 1987 dal settore
bancario eÁ approdato alla consulenza aziendale: prima in McKinsey, dove dal 1987 al 1989 eÁ
7
riflettere su alcuni caratteri del sistema bancario nazionale e sulle sue capacitaÁ di
reazione a due «tempeste perfette»: quella del 1931-1933 e quella iniziata nel 2007
e, purtroppo, ancora in corso.
Nei primi anni Trenta la Grande Depressione favorõÁ l'ascesa di movimenti e
regimi autoritari, su tutti quello nazista in Germania; negli anni Ottanta, al contrario, la crisi finanziaria latino- americana sembroÁ aprire le porte di quel continente alla democrazia 4. Se eÁ difficile prevedere la direzione di marcia che una crisi
finanziaria imprime al sistema politico che ne eÁ investito, eÁ pacifico che essa
determini tensioni e squilibri a causa delle sue ricadute sull'economia reale. Per
questa ragione, e per superare il senso di impotenza che si prova di fronte a
fenomeni che, data la loro dimensione transnazionale, sfuggono al proprio controllo, uomini politici e opinion leaders di diversa estrazione non esitano ad identificare dei capri espiatori cui addossare le colpe della crisi, lanciando al loro indirizzo dei veementi crucifige. Tra i «cattivi», a banchieri e finanzieri spetta di diritto
il posto d'onore. Quando Charles Mitchell della National City Bank, Albert Wiggin della Chase National Bank, William Potter della Guaranty Trust Company,
Steward Prosser della Bankers Trust Company e Thomas Lamont, socio anziano
della Morgan, pur incontrandosi a piuÁ riprese alla fine di ottobre del 1929 fallirono
nell'intento di ripetere il miracolo di John Pierpont Morgan, che secondo la leggenda aveva arrestato la caduta di Wall Street nel 1907, i banchieri statunitensi
furono fatti oggetto di un disprezzo che li espose al severo scrutinio della stampa,
delle commissioni parlamentari e dei tribunali d'America 5. Il fenomeno si sta
ripetendo dopo i fatti del 2007, e non si puoÁ negare che agli avversari della finanza
siano mancati degli ottimi argomenti. Senza evocare il criminale Ponzi scheme
messo in piedi dall'ineffabile Bernie Madoff ± un «cattivo» dal phisyque du roÃle
adatto per vestire i panni di «Joker» 6 ± basti pensare a Dick Fuld, della Lehman
stato responsabile dei progetti strategici, e poi alla Bain & Cuneo, come capo delle relazioni
istituzionali. Diventato direttore centrale del gruppo Ras nel 1991, tre anni piuÁ tardi eÁ tornato
all'attivitaÁ bancaria nel Credito italiano, dove ha inizialmente rivestito la carica di condirettore
centrale, diventando direttore generale nel 1995 e amministratore delegato due anni piuÁ tardi
(cfr. G. Galli, Nella giungla degli gnomi. Politica, economia & finanza dall'era Fazio al ``grande
crac'', Milano, Garzanti, 2008, pp. 186-190).
4
Cfr. James, The Creation and Destruction, cit., pp. 174-78.
5
Cfr. J. K. Galbraith, Il grande crollo, Milano, BUR, 2009, pp. 95-109 (ed. originale, The
Great Crash, Boston, Houghton Mifflin, 1954).
6 Á
E stata la copertina del «New York Magazine» del 23 febbraio 2009, uscita con il titolo
di Bernie Madoff monster, a giocare sulla somiglianza dell'ex presidente del Nasdaq al nemico di
Batman. Il Bernard Madoff Investment Securities investiva il denaro dei suoi clienti in hedge
founds con la promessa di tassi di interesse elevatissimi. Quando i ritorni degli hedge non erano
all'altezza, Madoff utilizzava i soldi dei nuovi investitori, richiamati dai rendimenti del suo
fondo, per continuare a pagare ai vecchi clienti dei tassi superiori alla media. La crisi finanziaria
ha scoperto il gioco di Madoff che, l'11 dicembre 2008, eÁ stato arrestato dall'Fbi con l'accusa di
aver organizzato una truffa da 50 miliardi di euro. Sei mesi dopo, Madoff eÁ stato condannato
dalla corte federale di Manhattan a 150 anni di carcere (cfr. P. Krugman, The Madoff Economy,
«New York Times», 19.12.2008; Bernard Madoff condannato a 150 anni di carcere, «Il Sole 24
ore», 27.6.2009).
8
Brothers 7, e a SeaÂn FitzPatrick, della Anglo-Irish Bank 8, che con la loro condotta
hanno provocato un danno agli istituti che guidavano e ai sistemi economici in cui
operavano.
La leggenda nera di una finanza cosmopolita e speculativa intenta a depredare
un supposto capitalismo industriale virtuoso, affonda le sue radici in episodi come
quelli appena ricordati 9. In Italia questa lettura manichea della realtaÁ economica,
venuta alla ribalta alla vigilia e dopo la Grande Guerra con le campagne di stampa
dirette soprattutto contro la Bci 10, eÁ riemersa come un fiume carsico in etaÁ repub7
Fuld eÁ stato il Ceo della Lehman dal 1994 al 2008. Questo ex marine, detto il «gorilla»
per il suo spirito competitivo negli ambienti di Wall Street, eÁ stato collocato al nono posto della
classifica dei maggiori colpevoli della crisi stilata dalla rete televisiva americana Cnn. Memorabile una sua dichiarazione del dicembre 2007, a commento di un'ipotesi di vendita della Lehman
per salvarla dal crollo: «as long as I am alive this firm will never be sold. And if it is sold after I
die, I will reach back from the grave and prevent it» (riportata da S. Craig, The Weekend that
Wall Street died, «Wall Street Journal», 29.12.2008).
8
Nel 2003, mentre cominciava a gonfiarsi la bolla immobiliare, la Anglo-Irish Bank eÁ stata
tra i pionieri di un modello di business fondato sull'elargizione di mutui finanziati con il ricorso
al mercato internazionale. Nel 2007 le principali sei banche irlandesi hanno emesso obbligazioni
all'estero per oltre il 50% del prodotto interno lordo (Pil) del paese, moltiplicando per sei i
volumi del 2003. FitzPatrick, dopo essere stato costretto a dimettersi nel dicembre 2008,
quando si eÁ scoperto che aveva occultato 80 milioni di euro di prestiti agli azionisti dell'istituto
di credito, eÁ stato condannato per bancarotta agli inizi del 2010. Il dissesto della Anglo-Irish eÁ
costato all'erario irlandese oltre 30 miliardi di euro, contribuendo a far toccare al deficit per il
2010 dell'ex «Tigre celtica» uno stratosferico 32%. L'intervento per il salvataggio delle banche
ha portato il debito pubblico irlandese oltre la soglia del 100% del Pil (cfr. K. Whelan, Ireland's
Sovereign Debt Crisis, in Live in The Eurozone with or without Sovereign Default, a cura di F. Allen
e E. Carletti e G. Corsetti, Fic Press, Philadelphia, 2011).
9
In realtaÁ questa tradizione risale alle sacre scritture. Nel Vangelo secondo Matteo eÁ
scritto che «nessuno puoÁ servire a due padroni; perche o odieraÁ l'uno e ameraÁ l'altro o avraÁ
riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro (...) non potete servire a Dio e a Mammona» (Matteo 6,
24). Nella tarda letteratura rabbinica Mammona simboleggiava il denaro e la ricchezza iniqua.
Jacques Le Goff ricorda come, con l'affermazione dell'economia monetaria a partire dal XIIIXIV secolo, comincioÁ un lungo e controverso dibattito sull'usura: un tema ricorrente nella
societaÁ medievale, doppiamente rilevante dal momento che la figura dell'usuraio coincideva
spesso con quella dell'ebreo «deicida e profanatore dell'ostia». Questa discussione risultoÁ decisiva per il superamento degli anatemi che l'Antico e il Nuovo Testamento facevano gravare sul
prestito a interesse e, piuÁ in generale, per la ricerca di un compromesso tra le esigenze della
religione e le spinte innovative dell'economia (cfr. J. Le Goff, La borsa e la vita. Dall'usuraio al
banchiere, Roma-Bari, Laterza, 1987). Il pregiudizio tuttavia rimase e la grande letteratura, da
Shakespeare a Zola, passando per Balzac, ne colse gli elementi di fondo abbozzando delle figure
di banchieri tragiche e maestose.
10
Il riferimento eÁ agli scritti di Giovanni Preziosi, autore del notissimo pamphlet La
Germania alla conquista dell'Italia, pubblicato nella primavera del 1915, nonche colonna portante
de «L'Idea Nazionale» e fondatore de «La vita italiana all'estero» (su Preziosi si vedano R. de
Felice, Giovanni Preziosi e le origini del fascismo, «Rivista storica del socialismo», 1962, pp. 493555 e P. Hertner, Il capitale straniero in Italia (1883-1914), «Studi storici», n. 4, anno XXII
(1981), pp. 676-795). Negli anni Venti ci pensarono «L'Impero» di Emilio Settimelli e «Il
Regime Fascista» di Roberto Farinacci a dipingere la Bci come la quintessenza dell'alta banca
plutocratica. L'antisemitismo costituõÁ il denominatore comune di tutte queste campagne (cfr. R.
9
blicana, assumendo forme e proponendo contenuti piuÁ presentabili rispetto ai
primi decenni del Novecento e trovando numerose sponde politiche, soprattutto
a destra. Non a caso, la cifra narrativa adottata da Giulio Tremonti per spiegare le
origini della crisi finanziaria ha affondato a piene mani nell'invettiva contro i
«bankers». In alcune occasioni, come quando ha sostenuto la superioritaÁ morale
di una Fiat 500 rispetto a un strumento derivato di Goldman Sachs, l'ex ministro
dell'Economia non ha esitato a giocare con i calembour rivisitati di un'icona del
pensiero reazionario come Ezra Pound 11.
Volendo riflettere in un'ottica comparata sulle uscite di scena di Toeplitz e
Profumo, l'abusato ricorso alla retorica anti-finanziaria ci ha inizialmente indotto a
scegliere una chiave eminentemente politica per motivarle. I due banchieri ci sono
allora sembrati le vittime (politiche) sacrificali della crisi del 1931-1933 e di quella
in corso. Ma eÁ andata davvero cosõÁ? Mentre nel primo paragrafo del saggio ripercorreremo una vicenda che agli inizi dell'autunno 2010 ha attirato l'interesse dei
quotidiani italiani e della stampa estera, il quarto paragrafo rivisiteraÁ la caduta di
Toeplitz, cercando di analizzarne le cause. Al netto di marcate differenze, di cui
daremo conto nel secondo paragrafo, esistono forti analogie tra questi due episodi
che tratteremo nella terza sezione. A conclusione dell'articolo sottolineeremo che,
diversamente dalla nostra convinzione di partenza, se un parallelo tra la storia
professionale di Toeplitz e quella di Profumo ci sembra pienamente giustificato,
alla base delle loro dimissioni ci sono ragioni profondamente differenti che paiono
tanto evidenti per il primo, quanto nebulose per il secondo.
1. La repentina caduta di «Mr. Arrogance» 12
Il 21 settembre 2010 Alessandro Profumo eÁ stato sfiduciato dal consiglio di
amministrazione (Cda) di UniCredit dopo tredici anni di direzione e dopo aver
trasformato il Credito italiano, una delle banche di interesse nazionale privatizzate
all'inizio degli anni Novanta, in un gruppo multinazionale presente in 22 paesi, con
una struttura forte di quasi 9 mila sportelli e 165 mila dipendenti 13. Al termine di
Di Figlia, Farinacci: il radicalismo fascista al potere, Roma, Donzelli, 2007, pp. 108-12, 135-38 e
164-71).
11
Il riferimento di Tremonti alla Goldman Sachs aveva un intento polemico nei confronti
dell'ex governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, numero uno della Banca centrale europea
dal 1 o novembre 2011 ma, dal 2002 al 2005, vicepresidente della banca d'affari statunitense (cfr.
D. Bellasio, Perche tra Tremonti e Draghi c'eÁ la guerra dei due mondi, «Il Foglio», 26.12.2008).
12 Á
E l'epiteto che Profumo si eÁ guadagnato sin dai tempi della sua esperienza in McKinsey
(cfr. G. Meletti, Da ``arrogance'' a ``il Grande'', l'ascesa di Alessandro Profumo, «Il Fatto Quotidiano», 21.9.2010).
13
Il gruppo UniCredit eÁ nato nel 1998 dall'integrazione del Credito italiano, di Rolo
banca 1473, di Cariverona, di Banca Crt, di Cassamarca, della Cassa di risparmio di Trento e
Rovereto e della Cassa di risparmio di Trieste. Nel 1999 UniCredit ha acquistato la polacca
Banck Pekao; nel 2000 la bulgara Bulbank e la slovacca Unibanka; nel 2002 la croata Zagrebacka
10
alcune giornate convulse, le deleghe operative del gruppo sono state assunte pro
tempore dal presidente dell'istituto Dieter Rampl. Sfumata l'ipotesi del ricorso a un
esterno ± il banchiere d'affari Andrea Orcel ± a contendersi la poltrona di Profumo
sono stati i suoi quattro vice: lo svizzero Sergio Ermotti (dal settembre 2011 Ceo
di Ubs) e gli italiani Roberto Nicastro, Paolo Fiorentino e Federico Ghizzoni.
Quest'ultimo, un piacentino impiegato al Credito italiano dal 1980 e da circa un
anno alla guida della divisione Europa centro-orientale, ha avuto la meglio un po' a
sorpresa sui concorrenti 14. A suscitare perplessitaÁ tra gli addetti ai lavori sono state
innanzitutto le modalitaÁ dell'allontanamento di Profumo. Violando ogni elementare regola di corretto funzionamento del governo societario, uno dei maggiori
istituti bancari europei per attivi eÁ stato decapitato senza che si fosse preventivamente provveduto a designare il nuovo Ceo. Lo stesso Tremonti, ministro dell'Economia all'epoca dei fatti, generalmente non tenero verso Profumo, ha definito «maldestra» l'operazione e ha tentato invano di sventarla con un'azione di
moral suasion su alcuni azionisti di peso della banca 15.
Stando al comunicato ufficiale di UniCredit, il dimissionamento di Profumo eÁ
stato motivato da divergenze insorte tra il top manager e gli azionisti circa la
corporate governance della banca. Agli inizi del 2010 l'istituto di piazza Cordusio
aveva messo all'ordine del giorno un'imponente riforma della propria struttura
mirante all'inglobamento, nella capogruppo UniCredit spa, delle 7 banche che
ne componevano l'ossatura 16. Dal 1 o novembre 2010, UniCredit spa eÁ diventata
una «banca unica» operante in quattro diversi settori: famiglie (privati con patrimonio fino a 500 mila euro), private banking (privati con patrimonio superiore ai
500 mila euro), piccole e medie imprese (aziende con fatturato annuo fino a 50
milioni di euro) e corporate banking (aziende con fatturato annuo oltre i 50 milioni
di euro). Nella fase di discussione del progetto di «banca unica», numerosi esponenti della Lega Nord, tra cui il sindaco di Verona Flavio Tosi e il governatore del
Veneto Luca Zaia, avevano caldeggiato un «modello federale» per UniCredit. Tali
Banka, la rumena Demirbank e la ceca Zivnostenka Banka. Nel 2005 si eÁ realizzata sia l'acquisizione di Bank of Austria, ex Oesterreisches Creditanstalt, sia la fusione per acquisizione con la
tedesca Hypovereins Bank, nata nel 1998 dall'aggregazione di due banche bavaresi. Nel 2007 ±
anno in cui il gruppo si eÁ impiantato in Kazakistan, Tagikistan e Kirghisistan ± si eÁ concretizzato
il merger con Capitalia (www.unicredit.eu).
14
Cfr. A. Graziani, UniCredit, testa a testa tra Ghizzoni e Nicastro, «Il Sole 24 ore»,
29.9.2010; P. Pica, UniCredit, la scelta di Varsavia. Nicastro e Ghizzoni al vertice, «Corriere della
Sera», 30.9.2010; G. Pons, CosõÁ Rampl media tra tedeschi e fondazioni, «Repubblica», 1.10.2010.
15
Oltre che da preoccupazioni di tenuta del sistema bancario, tale difesa d'ufficio, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe stata il frutto di un avvicinamento di Tremonti a Profumo,
con il primo a caldeggiare la vendita del Mediocredito centrale ± di proprietaÁ UniCredit ± alle
Poste in vista della nascita della Banca del Mezzogiorno (cfr. S. Bocconi, Tremonti e l'ultima
difesa, «Corriere della Sera», 21.9.2010).
16
Le banche in questione erano UniCredit Banca, UniCredit Banca di Roma, Banco di
Sicilia, UniCredit corporate banking, UniCredit private banking, UniCredit family financing
bank e UniCredit bancassurance management and administration (cfr. P. Pica, UniCredit e
l'affondo sulle deleghe al country manager, «Corriere della Sera», 1.4.2010).
11
schermaglie, unite alle resistenze delle fondazioni, che temevano di uscire ridimensionate dalla riforma, avevano aperto un altro fronte all'interno della banca, accendendo il dibattito sulla necessitaÁ di nominare un country manager per l'Italia
± figura giaÁ esistente in Polonia, Austria e Germania ± chiamato a controbilanciare
lo strapotere di Profumo. Nella primavera del 2010, con la nomina di Gabriele
Piccini a country manager e il via libera al cosiddetto «bancone», le fibrillazioni
all'interno dell'istituto di credito sembravano superate e la posizione di Profumo
nuovamente assestata 17. Secondo la vulgata, a far precipitare le cose nel corso
dell'estate, accelerando un redde rationem forse inevitabile, sarebbe stato l'aumento della presenza libica nel capitale della banca, un incremento del quale
Profumo non avrebbe informato ne il presidente ne i consiglieri di UniCredit 18.
Quest'atteggiamento avrebbe coagulato contro il banchiere un'inedita alleanza,
ribattezzata dalla stampa «asse del Brennero», una coalizione che ha unito al
malcontento del presidente e dei consiglieri tedeschi, maturato negli ultimi mesi
di fronte all'autoreferenzialitaÁ del Ceo, il risentimento di alcune fondazioni dell'Italia settentrionale sensibili alle istanze identitarie della Lega Nord, sempre piuÁ
rappresentata negli enti locali di cui le fondazioni stesse sono espressione e sempre
piuÁ insofferente rispetto alla dimensione internazionale di UniCredit 19.
Ne la lettura della defenestrazione proposta da chi ha visto nell'uscita di scena
di Profumo la sconfitta di un campione del capitalismo at arms lenght di stampo
anglosassone giubilato dal «capitalismo di relazione» all'italiana, ne quella apparentemente asettica di chi ha sostenuto che il Ceo di UniCredit eÁ stato estromesso
Cfr. V. Carlini, Piccini eÁ il country manager per l'Italia in UniCredit, «Il Sole 24 ore»,
13.4.2010.
18
Cfr. R. Sanderson and P. Jenkins, UniCredit chief exits after board power struggle, «Financial Times», 22.9.2010. Alla fine del 2008 UniCredit ha varato delle misure di rafforzamento
patrimoniale per fronteggiare gli effetti della crisi legata ai subprime che aveva ridotto al 5,7% il
suo Core Tier 1, ossia il rapporto tra il patrimonio della banca e le sue attivitaÁ ponderate in base
al rischio, considerando nel patrimonio soltanto il capitale azionario e le riserve di bilancio
provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte, ed escludendo gli strumenti finanziari
ibridi. EÁ stato cosõÁ deciso un aumento di capitale da 3 miliardi di euro, insieme alla trasformazione del dividendo 2008 in azioni della banca. Grazie a tali provvedimenti e alla dismissione di
alcune partecipazioni, l'istituto milanese nel 2009 ha riportato il suo Core Tier 1 sopra la soglia
minima del 6%. In quella circostanza, nell'assetto azionario di UniCredit, accanto ai soci
tradizionali hanno fatto il loro ingresso i capitali libici, sottoscrivendo una quota iniziale del
4,3% (cfr. G. Oddo, UniCredit vara un aumento di capitale da 3 miliardi, «Il Sole 24 ore»,
5.10.2008). Alla data del 31 agosto 2010, grazie a partecipazioni pari rispettivamente al
4,98% e al 2,59%, la Central Bank of Libya e il fondo sovrano di quel paese, la Libyan
Investment Authorithy, che nel luglio precedente aveva rafforzato la sua posizione all'interno
della banca, hanno raggiunto il 7,5% diventando i principali azionisti dell'istituto (cfr. UniCredit, i libici a quota 7,5%, «La Stampa», 21.9.2010).
19
Cfr. O. Carabini, Cercasi leader e governance, «Il Sole 24 ore», 23.9.2010. Non a caso, il
principale avversario di Profumo eÁ stato Paolo Biasi, presidente della fondazione Cariverona i
cui rappresentanti sono espressione del comune, della provincia e dell'ateneo scaligeri (cfr. G.
Pons, Il banchiere si sfoga con i suoi, «Repubblica», 21.9.2010 e Galapagos, Assalto alla cassa, «Il
Manifesto», 22.9.2010).
17
12
solo perche non si eÁ piuÁ mostrato in grado di assicurare ai suoi azionisti i risultati
lusinghieri ottenuti all'inizio del nuovo millennio, sono riuscite a dissipare i dubbi
creatisi attorno a questa repentina uscita di scena 20. Sul perche Profumo ± considerato il golden boy della banca italiana, stimato dalla business community internazionale, intervistato con deferenza dal «Financial Times» o dalla «Frankfurter
Allgemeine Zeitung» ± sia stato cacciato in tutta fretta da UniCredit torneremo
ad interrogarci nella parte finale del saggio.
Per adesso basti ricordare che tutti i commentatori, nel riconoscere le qualitaÁ
del banchiere licenziato, non hanno mancato di sottolinearne gli errori: da quello
tattico, relativo alla gestione poco trasparente dell'incremento della quota azionaria libica, a quelli strategici legati a una politica delle acquisizioni che si eÁ dimostrata molto costosa 21. In tanti, inoltre, hanno rimproverato a Profumo una certa
propensione verso quei prodotti derivati che si sono rivelati una fonte consistente
di perdite, risultando come attivi «tossici» in bilancio dopo che in passato erano
stati alla base di profitti altissimi. In altre parole, la predilezione per scelte arrischiate e ambiziose, che in un momento di buona congiuntura ha rappresentato il
valore aggiunto del manager genovese nominato da «Business Week» banchiere
europeo piuÁ dinamico del 2001, dopo il 2007 ha esposto UniCredit alle incertezze
della crisi 22.
Eppure, se si considerano i dati di bilancio relativi agli esercizi 2006-2009, si
puoÁ osservare come la performance di UniCredit durante il quadriennio non sia
stata peggiore di quella delle altre grandi banche italiane 23. EÁ fuori questione che i
costi della politica delle acquisizioni abbiano contribuito alla crisi di capitalizzazione del 2008, gestita peraltro in maniera opinabile da Profumo che, dopo aver
reiteratamente smentito il ricorso a un aumento di capitale, ha dovuto effettuare
una precipitosa marcia indietro 24. Grazie alla scelta di rivolgersi al mercato per
Per la lettura politica della vicenda segnaliamo soprattutto M. Giannini, Da Geronzi ai
re delle fondazioni i nemici dell'ultimo dei Mohicani, «Repubblica», 21.9.2010 e Id., La vittoria
dell'asse Berlusconi-Geronzi, «Repubblica», 22.9.2010. Per quella minimalista si veda invece N.
Porro, Gheddafi licenzia Profumo, «Il Giornale», 21.9.2010 e F. Debenedetti, Le impronte? Degli
azionisti, «Il Sole 24 ore», 23.9.2010.
21
Proprio alla vigilia della «tempesta perfetta» UniCredit aveva pagato 17,6 miliardi di
euro per l'acquisizione di Capitalia il cui valore, al momento dell'uscita di scena di Profumo, era
pari a 1/4 circa di quello originario (cfr. A. Penati, Geronzi, le banche e i poveri azionisti,
«Repubblica», 27.9.2010).
22
Cfr. Alessandro Profumo: Chief Executive UniCredito, «Business Week», 11.6.2001.
23
Il return on equity medio di UniCredit, per esempio, si eÁ aggirato sul 5%, attestandosi
sugli stessi valori di Intesa Sanpaolo e su livelli superiori a quelli delle altre banche benchmark.
Lo stesso discorso vale se si confrontano altri indicatori di bilancio di UniCredit, Intesa, Banco
popolare, Ubi banca e Monte dei paschi (cfr. T. Boeri e L. Guiso, Come affondare l'unica banca
multinazionale italiana, «LaVoce.info», 24.9.2010).
24
I dati sulla capitalizzazione di UniCredit, riferiti al mese di gennaio di ogni anno, sono i
seguenti: 34.068 milioni di dollari nel 2005; 72.624 milioni nel 2006; 94.370 milioni nel 2007;
109.588 milioni nel 2008; 15.389 milioni nel 2009; 44.681 milioni nel 2010 (cfr. The Banker,
February 2008, 2009 and 2010). Ovviamente il crollo di UniCredit non eÁ stato un fatto isolato,
sicuramente si eÁ trattato peroÁ di uno dei tonfi piuÁ clamorosi fatti registrare nel 2008.
20
13
irrobustire il patrimonio della banca, tuttavia, UniCredit ha evitato di dover in
seguito sottoscrivere gli esosi «Tremonti bond» 25. In definitiva, gli errori di Profumo non bastano a comprendere le ragioni del suo esautoramento.
2. Due banchieri allo specchio tra passato e presente: le differenze
Per affrontare quello che sul piano storiografico si presenta come un parallelo
ardito, occorre in primo luogo evidenziare la distanza che intercorre tra il contesto in
cui si consuma la defenestrazione appena descritta e quello in cui si verifica la destituzione di cui tratteremo nel quarto paragrafo. Sulle differenze tra l'Italia odierna e
quella fascista ci sembra inutile indugiare, mentre al radicale mutamento della struttura creditizia intervenuto in 7-8 decenni di storia bancaria ci limiteremo ad accennare, tanto piuÁ che a coglierne tutte le sfumature ci ha giaÁ pensato un'ampia letteratura.
La distanza che separa il mondo bancario attuale da quello dell'era Toeplitz puoÁ essere
misurata nei termini di un viaggio di andata e ritorno, durato oltre mezzo secolo, nel
quale si eÁ passati dalla logica della banca mista a quella degli istituti di credito speciale,
per poi proporre nuovamente uno universal banking riveduto e corretto.
Al termine di un decennio di novitaÁ legislative, la riforma del 1936 decretoÁ la
scomparsa della banca mista di ispirazione tedesca e il passaggio da un modello di free
banking, per la veritaÁ giaÁ in affanno sullo scorcio dell'era Toeplitz, ad uno di central
banking in cui la banca centrale cessava di essere considerata la guardiana dell'emissione cartacea e una «banca tra le banche», per trasformarsi in soggetto attivo della
politica monetaria e in «banca delle banche» 26. Gli effetti di tale rivolgimento, «appaltato» dal fascismo a un gruppo di tecnocrati di alto profilo i cui trascorsi politici non
erano in linea con i dettami del regime ± si pensi ad Alberto Beneduce o a Donato
Menichella ±, si sarebbero proiettati ben oltre il 1945 27. Le novitaÁ degli anni Trenta,
Emettere queste «obbligazioni bancarie speciali» avrebbe significato per UniCredit
dover sottoscrivere un protocollo d'intesa con il Ministero, con l'impegno di fornire credito
alle piccole e medie imprese e di adottare un codice etico comprensivo della previsione di un
tetto agli emolumenti del management. La cedola da pagare per tali obbligazioni sarebbe stata
del 7,5% nell'ipotesi di una sottoscrizione di lungo periodo; in tal caso, la scelta di rimborsare
anticipatamente i bond avrebbe implicato per la banca l'esborso di un sovrapprezzo rispetto al
nominale. Nell'ipotesi di restituzione entro quattro anni il rimborso delle obbligazioni sarebbe
stato invece alla pari, la cedola da pagare sarebbe stata tuttavia dell'8,5% (cfr. I dieci punti chiave
per capire i Tremonti bond, www.ilsole24ore.com/st/tremonti-bond/1.shtml, ultimo accesso
12.8.2011).
26
Il passaggio dal free al central banking eÁ ricostruito dettagliatamente dai lavori di G.
Toniolo, La Banca d'Italia e il sistema bancario 1919-1936, in La Banca d'Italia. Sintesi della ricerca
storica 1893-1960, a cura di F. Cotula e M. De Cecco e G. Toniolo, Roma-Bari, Laterza, 2003,
pp. 311-352 e di G. Conti, Banca centrale e politica monetaria tra le due guerre, in Storia d'Italia,
Annali, Volume 23, La banca, a cura di A. Cova e S. La Francesca e A. Moioli e C. Bermond,
Torino, Einaudi, 2008, pp. 423-453.
27
Sulla valenza periodizzante delle riforme dei primi anni Trenta, dalla nascita dell'Imi e
dell'Iri alla pubblicizzazione delle banche universali e alla riforma bancaria del 1936, si rimanda
25
14
pur segnando una notevole discontinuitaÁ rispetto al sistema tedesco, un modello bankoriented che per oltre un trentennio aveva fatto scuola in Italia, non operarono con la
profonditaÁ delle coeve riforme finanziarie statunitensi all'origine di un archetipo
market-oriented. EÁ stato a partire dai primi anni Novanta che il sistema bancario
italiano, complice un processo di convergenza e integrazione tra differenti modelli
nazionali, ha percorso il suo viaggio a ritroso, aprendosi a una progressiva liberalizzazione-privatizzazione e riavvicinandosi al modello degli anni Venti, se non altro a
causa della ricomparsa della banca universale 28.
A prescindere da queste differenze di contesto politico e normativo, il distacco che separa Toeplitz da Profumo si puoÁ cogliere nella sua enorme portata solo
se si considera la rivoluzione finanziaria degli ultimi decenni. Negli anni della
cosiddetta «prima globalizzazione» furono i settori dell'elettricitaÁ, della chimica
e del motore a scoppio a dar vita a quella seconda rivoluzione industriale che
permise all'Italia giolittiana di sfuggire alla «trappola mediterranea» e di realizzare
il suo «vero miracolo economico» 29. In quel frangente l'innovazione finanziaria, di
cui la banca mista di stampo tedesco fu uno dei frutti migliori, mise a disposizione
di settori ad alta intensitaÁ di capitale i risparmi della borghesia europea, svolgendo
una funzione tutt'altro che trascurabile 30.
alla lettura di M. De Cecco, Splendore e crisi del sistema Beneduce: note sulla struttura finanziaria e
industriale dell'Italia dagli anni venti agli anni sessanta, in Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, a cura di F. Barca, Roma, Donzelli, 1997, pp. 389-404.
28
L'esito del percorso avviato nei primi anni Novanta ha condotto a un modello bancario
ispirato all'idea di «despecializzazione», stabilendo che ciascun istituto di credito potesse scegliere se organizzarsi come banca universale, a vocazione specialistica o gruppo bancario (cfr. P.
Ciocca, La nuova finanza in Italia. Una difficile metamorfosi (1980-2000), Torino, Bollati Boringhieri, 2000, pp. 98-104).
29
Sull'etaÁ giolittiana si veda G. Carocci, Giolitti e l'etaÁ giolittiana, Torino, Einaudi, 1971 e
E. Gentile, L'etaÁ giolittiana, Roma-Bari, Laterza, 2003. L'espressione «vero miracolo economico» si deve a Giorgio Mori, L'economia italiana dagli anni Ottanta alla prima guerra mondiale,
in Storia dell'industria elettrica in Italia, Volume I, Le origini: 1882-1914, tomo I, Roma-Bari,
Laterza, 1992, p. 77.
30
Sulla forza di rottura delle istituzioni finanziarie sorte nella seconda metaÁ del XIX
secolo, in particolare sul carattere innovativo della banca mista, fattore sostitutivo decisivo
per favorire l'industrializzazione di paesi late comers, ha molto insistito A. Gerschenkron, Il
problema storico dell'arretratezza economica, Torino, Einaudi, 1965 (ed. originale, Economic
Backwardness in Historical Perspective, Cambridge, Harvard University Press, 1962). Con riferimento al caso italiano, i lavori di Cohen si sono ispirati a una stretta ortodossia gerschenkroniana (cfr. J. S. Cohen, Financing Industrialisation in Italy, 1894-1914: the Partial Transformation
of a Late-Comer, «Journal of Economic History», 1967, pp. 363-382 e Id. Italia: 1861-1914, in Le
banche e lo sviluppo del sistema industriale, a cura di R. Cameron, Bologna, Il Mulino, 1975).
Antonio Confalonieri ha insistito invece sull'originalitaÁ della esperienza della banca mista italiana che prese corpo sulla scorta degli errori del passato, oltre che sulla base di una tradizione
bancaria europea in via di formazione (cfr. A. Confalonieri, Banca e industria in Italia, 18941906, Volume I, Le premesse: dall'abolizione del corso forzoso alla caduta del Credito Mobiliare,
Bologna, Il Mulino, 1979). Peter Hertner ha puntato sul fatto che i consiglieri di amministrazione e i dirigenti esteri delle banche miste italiane, chiamati ad assumere le strategic decisions,
misero a disposizione di banche outsider, operanti in un paese ritardatario, la forza delle loro reti,
15
Ma la seconda globalizzazione eÁ stata alimentata dalla finanza in maniera decisiva e negli ultimi decenni sono apparsi tanti nuovi prodotti finanziari sullo sfondo di
una radicale trasformazione dei processi produttivi. I progressi dell'informatica
hanno posto le premesse di un mutamento di paradigma rafforzato, sul piano teoretico, dall'applicazione alla finanza di modelli matematici sofisticati chiamati a
misurare il rischio e a distribuirlo attraverso strumenti sempre piuÁ complessi 31. Il
combinato disposto del pensiero economico e della innovazione tecnologica ha finito
per rendere quasi obsoleta la figura del banchiere chiamato a valutare il merito di
credito della propria clientela. Un contesto reso volatile dalle vicissitudini degli anni
Settanta ± in primo luogo dalla decisione di Nixon di svalutare il dollaro, chiudendo
la stagione di Bretton Woods e un quarto di secolo di stabilitaÁ finanziaria 32 ± ha
fornito alle banche e ai grandi operatori internazionali lo stimolo a coprirsi in misura
crescente dai rischi connessi alle variazioni del tasso di cambio o del prezzo delle
materie prime. Quando dai derivati sulle merci si eÁ passati ai derivati sul credito,
quando le banche hanno intravisto l'opportunitaÁ di cedere ad altri creditori di ultima
istanza il rischio di insolvenza dei propri debitori, pagando in cambio una sorta di
premio assicurativo, la caccia ai nuovi prodotti finanziari ha subito una drammatica
accelerazione, sospinta dal processo di integrazione informatica, dallo spirito competitivo, dalle difficoltaÁ di proteggere le innovazioni del settore e dalla deregulation 33. Nell'ultimo quindicennio, combinando il talento di economisti e matematici,
mettendo insieme il gusto del rischio dei banchieri e la passione per la ricerca degli
scienziati, le banche hanno lanciato sul mercato degli strumenti finanziari sempre
piuÁ raffinati, dando l'impressione di aver ideato un win-win game per tutti gli
investitori, quasi si trattasse di distribuire «calorie-free chocolate» 34. CosõÁ, i bandella loro esperienza e del loro know how, dandogli un netto vantaggio competitivo rispetto alla
concorrenza (cfr. P. Hertner, Il capitale tedesco in Italia dall'unitaÁ alla prima guerra mondiale,
Bologna, Il Mulino, 1984).
31
Il conflitto teorico tra economisti che sostenevano l'irriducibilitaÁ delle incertezze a un
mero calcolo probabilistico e studiosi che invece ritenevano vero il contrario prese le mosse sin
dagli anni Trenta. La disputa oppose in un primo tempo John Maynard Keynes e Frank Knight a
Thomas Bayes. Fu Paul Samuelson, negli anni Settanta, a dare un contributo teorico decisivo al
trionfo della «mathematical economics» (su questi aspetti si veda A. BhideÂ, In Praise of More
Primitive Finance, «Barkeley Electronic Press, Economists' Voice», February, 2, 2009).
32
Martin Wolf ha sottolineato come, numeri alla mano, «the age of financial liberalisation
was, in short, an age of crisis». Secondo uno studio della World Bank del 2001, tra la fine degli
anni Settanta e la fine del secolo scorso si sono verificate 112 crisi bancarie sistemiche in 93
paesi, un dato che contrasta con quello del quarto di secolo precedente: «between 1945 and
1971, there had been only thirty-eight crises in all, with just seven twin crises [banking and
currency crises, n.d.r., g.t.]. Emerging market economies experienced no banking crises, sixteen
currency crises, and just one twin crises in this period» (cfr. M. Wolf, Fixing Global Finance.
How to Curb Financial Crises in the 21st Century, New Haven and London, Yale University Press,
2009, p. 31).
33
Cfr. S. Strange, Denaro impazzito. I mercati finanziari: presente e futuro, Torino, Edizioni
di ComunitaÁ, 1999, pp. 33-62 (ed. originale, Mad Money, Manchester, Manchester University
Press, 1998).
34 Á
E l'immagine che la giornalista Gillian Tett utilizza per descrivere la proliferazione degli
16
chieri del nuovo millennio hanno persino pensato di poter garantire la casa di
proprietaÁ ai Ninja ± acronimo di No Job No Income or Assets ± sostituendosi a una
(presunta) «reliquia» del Novecento come il welfare 35.
3. Due banchieri allo specchio tra passato e presente: le analogie
Perche vale la pena di confrontare le storie di Toeplitz e Profumo a dispetto di
quel che si eÁ detto nel paragrafo precedente? L'opportunitaÁ di un raffronto non
risiede tanto nel profilo caratteriale dei due banchieri, che pure presenta alcuni
punti di contatto, quanto nel fatto che la Bci degli anni Venti-Trenta e il gruppo
UniCredit di oggi condividono, mutatis mutandis, caratteristiche simili sotto l'aspetto della governance, dell'espansione estera e dei rapporti con il potere politico.
Sul piano della governance la prima affinitaÁ eÁ data dal fatto che entrambe le
banche risentono delle lunghe leadership del «padrone» e di «Mr. Arrogance» 36.
Com'eÁ noto alla fine della Grande Guerra il gruppo Ansaldo provoÁ a impossessarsi
della Bci. Nel corso del conflitto il colosso industriale genovese aveva assunto
dimensioni ipertrofiche e la banca milanese rappresentava un bastione finanziario
da espugnare a tutti i costi per consentire ai fratelli Perrone una transizione senza
traumi all'economia di pace. Che ci fosse una ragione strutturale alla base dell'assalto che si consumoÁ in due riprese, nel 1918 e nel 1920, lo dimostrano gli altri
hostile takeover di quella fase: quello della «strana coppia» Giovanni Agnelli-Riccardo Gualino, che tentoÁ una scalata al Credit gemella nei tempi e nelle modalitaÁ
rispetto a quella dei Perrone ma coronata da risultati piuÁ lusinghieri (anche se solo
per il gruppo Fiat); quelli di Max Bondi che, dopo aver scalzato Attilio Odero e
Giuseppe Orlando dalla guida dell'Ilva nel 1917, l'anno successivo scaloÁ la Bastogi
e, in un secondo tempo, tentoÁ invano la conquista dell'Edison 37.
strumenti derivati nella seconda metaÁ degli anni Novanta, a partire dal Broad Index Secured
Trust Offering (Bistro), messo a punto nel 1997 dal celebre «swaps team» o «dream team» della
J. P. Morgan (cfr. G. Tett,. The Dream Machine: The Invention of Credit Derivatives, «Financial
Times», 24.3.2006).
35
Su questi temi si veda Ferguson, The Ascent of Money, cit., pp. 241-267 e P. Jorion,
L'implosion. La finance contre l'eÂconomie: ce que reÂveÁle et annonce la «crise des subprimes», Parigi,
Fayard, 2008, pp. 19-29.
36
Del soprannome di Profumo si eÁ giaÁ detto. Nel marzo 1920 Pietro Fenoglio si dimise da
amministratore delegato della Bci e Toeplitz rimase la guida unica della banca milanese. A
partire da quel momento i suoi piuÁ stretti collaboratori cominciarono a chiamarlo «il padrone»
(cfr. G. Malagodi, Mattioli banchiere, in La figura e l'opera di Raffaele Mattioli, Milano-Napoli,
Ricciardi editore, 1999, p. 73).
37
Sulle scalate alla Bci e al Credit si vedano: Archivio Centrale dello Stato (d'ora in avanti
ACS), Scalate bancarie, Relazione del comitato d'inchiesta su accaparramenti di azioni e aumenti
di capitale di societaÁ anonime, pp. 1-158; A. M. Falchero, La Banca Italiana di Sconto (1914-1921).
Sette anni di guerra, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 130-32 e 186-200; L. Segreto, L'Ansaldo e le
guerre economiche parallele, in Storia dell'Ansaldo, Volume IV, L'Ansaldo e la Grande Guerra 19151918, a cura di V. Castronovo, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 191-216. La SocietaÁ italiana per le
17
Per scongiurare gli esiti dell'inaudita minaccia proveniente da colossi industriali determinati a invertire il rapporto di tradizionale dipendenza dagli istituti di
credito, il gruppo dirigente della Bci dovette costituire il Consorzio mobiliare
finanziario (Comofin), una holding il cui capitale iniziale, pari a 150 milioni di
lire, fu sottoscritto dagli amministratori e dai funzionari dell'istituto di piazza
della Scala ma, soprattutto, da aziende partecipate e finanziate dalla Bci 38. Concepiti come strumenti difensivi, il Comofin e la Compagnia finanziaria nazionale
(Cfn) ± holding di controllo che stava al Credit come il Comofin stava alla Bci ±
permisero alle due banche di diventare padrone di se stesse mediante un intreccio
reso ancor piuÁ inestricabile dallo scambio dei rispettivi pacchetti azionari 39. CosõÁ
facendo, la Bci e il Credit optarono per il male minore che, peroÁ, oltre a configurare profili di illiceitaÁ 40, avrebbe creato i presupposti di un governo societario
strade ferrate meridionali, fondata nel 1862 dall'ex ministro delle Finanze Piero Bastogi, dopo
essersi occupata per oltre 40 anni della costruzione e della gestione della rete ferroviaria meridionale e di quella adriatica, in seguito alla statizzazione delle ferrovie, potendo contare per 60 anni su
un cospicuo indennizzo annuo, diventoÁ una cassaforte decisiva negli equilibri del capitalismo
italiano (cfr. G. Piluso, Lo speculatore, i banchieri e lo stato: la Bastogi da Max Bondi ad Alberto
Beneduce, «Annali di storia dell'impresa», Volume VII, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 319-373).
Quanto al tentativo di Bondi di scalare l'Edison, esso ebbe luogo nell'estate-autunno del 1918
sotto l'egida della Bci. Scopo di Toeplitz era quello di conservare il controllo del gigante milanese
e, nel contempo, fonderlo con l'impresa elettrica guidata da Ettore Conti, il vero regista dell'operazione. Entrambi gli obiettivi furono vanificati dalla resistenza del neo consigliere delegato
dell'Edison Giacinto Motta, subentrato al defunto Carlo Esterle, che in quell'occasione si avvalse
dell'appoggio finanziario della Banca italiana di sconto (cfr. L. Segreto, Giacinto Motta. Un ingegnere alla testa del capitalismo industriale italiano, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 110-117).
38
Cfr. Falchero, La Banca Italiana di Sconto, cit., pp. 194-197. Fondato il 25 marzo 1920,
il Comofin effettuoÁ un primo aumento di capitale a 210 milioni nel 1924. Nell'ottobre 1931, in
concomitanza alla firma della convenzione di cui si parleraÁ in seguito, il suo capitale passoÁ da 210
a 630 milioni di lire (cfr. A. Confalonieri, Banche miste e grande industria in Italia (1914-1933),
Volume I, L'esperienza della Banca Commerciale e del Credito Italiano, Milano, Banca Commerciale Italiana, 1994, pp. 539-542).
39
Al Comofin e alla Cfn furono conferite rispettivamente le azioni della Bci e del Credit
ma, siccome la somma necessaria per l'acquisto dei titoli delle due banche era eccedente rispetto
al capitale dei consorzi, il Credit prestoÁ al Comofin i soldi necessari affinche potesse comperare
le azioni della Bci nelle mani dei Perrone e la Bci prestoÁ il danaro alla Cfn per il riacquisto delle
azioni del Credit possedute da Agnelli e Gualino. A garanzia del mutuo scambio di prestiti, il
Comofin e la Cfn offrirono rispettivamente i titoli della Bci e quelli del Credit. In altre parole,
per riacquistare la loro autonomia le due banche principali del paese misero in piedi uno scambio
di pacchetti azionari comprando di fatto, anche se indirettamente, azioni proprie, con il risultato
di provocare una diminuzione reale del loro capitale (cfr. P. Sraffa, La crisi bancaria in Italia,
Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 222-23).
40
Le scalate ebbero una coda giudiziaria. Il Tribunale di Milano, dopo aver disposto una
serie di perizie contabili e aver ascoltato i protagonisti della vicenda, dispose il rinvio a giudizio
degli assaltatori e dei difensori delle banche, con capi di imputazione che andavano dall'aggiotaggio all'accusa di acquisto di azioni proprie. Dal momento che alcuni degli imputati erano
senatori del Regno, gli atti del procedimento furono trasmessi al Senato costituitosi in Alta
Corte di Giustizia. Tutti gli imputati furono assolti il 19 dicembre 1922 (cfr. ACS, Alta Corte di
Giustizia, Sentenza assolutoria nel processo della scalata alle banche, pp. 1-52).
18
fragile 41. Inoltre, l'esigenza di tutelare l'indipendenza gestionale degli istituti di credito spinse il sistema bancario italiano ad adottare una serie di escamotages ± partecipazioni incrociate, sindacati di blocco, impiego di controllate ± verso cui giaÁ in
passato aveva mostrato una certa inclinazione 42. In questo quadro il mercato azionario finõÁ per diventare il luogo in cui blindare gli assetti proprietari piuttosto che la
sede nella quale implementare un mercato secondario liquido, in grado di «influenzare l'allocazione dei diritti di proprietaÁ» 43. Date tali premesse, i tentativi della Bci di
liberarsi nel corso degli anni Venti dai suoi legami «incestuosi» con il Comofin,
accreditandone le azioni tra i risparmiatori, risultarono contraddittori e non portarono agli esiti sperati, soprattutto quando nella seconda metaÁ del decennio la borsa
italiana andoÁ incontro a un ridimensionamento di lungo periodo 44.
Il secondo tentativo di integrazione tra banca mista e mercato azionario
italiano prese corpo tra il 1923 e il 1926 e si infranse, come il primo ± prodottosi
in etaÁ giolittiana e interrotto dalla contrazione di liquiditaÁ internazionale del 19061907 ± sugli scogli del «vincolo macroeconomico esterno», cioeÁ della necessitaÁ di
una politica monetaria restrittiva imposta all'epoca dal ritorno all'oro. La quasi
coeva affermazione del modello di sviluppo dell'economia proposto da Beneduce,
di cui parleremo in seguito, giunse a suggellare quello che sarebbe diventato il
«lungo letargo» della borsa italiana, da allora in poi condannata alla marginalitaÁ e
all'opacitaÁ. Solo il processo di convergenza e integrazione finanziaria dell'ultimo
ventennio richiamato in precedenza avrebbe posto le premesse di una radicale
riforma del mercato azionario che, tra le altre cose, avrebbe riammesso le banche
alle negoziazioni dopo circa un settantennio di ostracismo 45.
All'inizio degli anni Novanta, tuttavia, la borsa italiana si presentava ancora in
Secondo Stefano Battilossi furono proprio i limiti della governance, all'interno delle
singole banche e nel sistema bancario, a rendere gli istituti di credito italiani vulnerabili rispetto
alle difficoltaÁ degli anni Venti che sarebbero sfociate nella crisi sistemica del 1931 (cfr. S.
Battilossi, Did governance fail universal banks? Moral hazard, risk taking and banking crises in
interwar Italy, «The Economic History Review», 2009, 62, August, pp. 101-34). Sulle conseguenze delle operazioni Comofin e Cfn rispetto agli azionisti e ai risparmiatori della Bci e del
Credit scrisse un celebre articolo Luigi Einaudi, La nuova scalata alle banche e i suoi insegnamenti,
«Corriere della Sera», 12.3.1920. Non si puoÁ ignorare il fatto che le due holding ebbero un
percorso diverso nel corso degli anni Venti: quella della Bci garantõÁ che la banca e i suoi manager
fossero padroni di se stessi, quella del Credit designoÁ il primo e l'unico padrone che l'istituto di
piazza Cordusio ebbe nella sua lunga storia: Carlo Feltrinelli (cfr. L. Segreto, I Feltrinelli. Storia
di una dinastia imprenditoriale (1854-1942), Milano, Feltrinelli, 2011, pp. 291-97).
42
Cfr. Confalonieri, Banche miste e grande industria, cit., pp. 112-115.
43
Fu proprio Toeplitz, in un Cda del luglio 1924, a dichiararsi favorevole alle azioni a voto
plurimo, considerandole un fattore di stabilizzazione degli assetti proprietari (cfr. G. Nardozzi e
G. Piluso, Il sistema finanziario e la borsa, in Tra imprese e istituzioni. 100 anni di Assonime,
Volume II, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 27-28).
44
Cfr. E. Cianci, Nascita dello stato imprenditore in Italia, Milano, Mursia, 1977, p. 31 e
Confalonieri, Banche miste e grande industria, cit., pp. 542-548.
45
Per queste considerazioni impressionistiche sulla storia della borsa italiana ci siamo
rifatti al recente lavoro di Nardozzi e Piluso, Il sistema finanziario e la borsa, cit., al quale si
rinvia per la bibliografia aggiornata sul tema.
41
19
condizioni di arretratezza e questo dato incise non poco sulle modalitaÁ attraverso cui
si addivenne alle privatizzazioni. Se gli enti pubblici economici furono trasformati in
societaÁ per azioni attraverso il conferimento del proprio capitale sociale al Ministero
del tesoro, per la privatizzazione delle banche la legge delega Amato-Carli n. 461, del
30 luglio 1990, creoÁ degli appositi «enti conferenti» chiamati ad assumere le partecipazioni di controllo delle banche trasformate in societaÁ per azioni 46. Tali enti ± dal
1998 si parleraÁ di fondazioni ± pur essendo chiamati a perseguire degli «scopi di
interesse generale» ed essendo per questa ragione investiti di un ruolo di pubblica
utilitaÁ, presentavano l'ambigua natura di istituzioni no profit chiamate ad esercitare
il controllo su banche che avrebbero dovuto agire secondo una logica di mercato. Per
ovviare a tale paradosso si stabilõÁ che gli «enti conferenti» dovessero dismettere le
proprie partecipazioni nelle «banche conferitarie», passando cosõÁ dalla fase della
cosiddetta «privatizzazione fredda» a quella della «privatizzazione calda». Tuttavia,
una serie di interventi legislativi contraddittori non ha mai sciolto questo nodo in
maniera definitiva 47, anche se molti progressi sono stati compiuti negli ultimi anni 48.
In seguito all'affaire Profumo, il dibattito sulle fondazioni eÁ tornato a infiammarsi e a contrapporre i difensori di queste istituzioni a coloro che ne auspicano un
ridimensionamento 49.
46
La legge Amato-Carli prese spunto dal libro bianco della Banca d'Italia: Ordinamento
degli enti pubblici creditizi. L'adozione del modello della societaÁ per azioni. Curiosamente questo
documento del 1988, finalizzato a impedire l'intervento del legislatore, sortõÁ l'effetto contrario
(cfr. F. Merusi, Dalla banca pubblica alla fondazione privata. Cronaca di una riforma decennale,
Torino, Giappichelli, 2000, pp. 1-15).
47
La legge Ciampi n. 461, del 23 dicembre 1998, ha rimediato alle distorsioni piuÁ evidenti
della normativa precedente in due modi: 1) incoraggiando le fondazioni a cedere la maggioranza
azionaria detenuta nelle banche con la leva fiscale; 2) definendo le funzioni di utilitaÁ sociale delle
fondazioni da esplicare in 6 settori: ricerca scientifica, arte, assistenza, beni culturali e ambientali, istruzione e sanitaÁ. La cosiddetta legge Tremonti n. 448, del 28 dicembre 2001, stabilendo
che il 90% dell'attivitaÁ delle fondazioni dovesse essere concentrato nelle rispettive regioni di
appartenenza, ha aperto la strada alla soverchiante ingerenza degli enti territoriali in queste
istituzioni. La portata di tale provvedimento eÁ stata parzialmente depotenziata dalla sentenza
301/2003 della Corte Costituzionale (cfr. F. Galgano, Le fondazioni bancarie a vent'anni dalla
loro origine, «Italianieuropei», 2010, n. 3, pp. 123-25 e F. Corsico e P. Messa, Da Frankenstein a
principe azzurro. Le fondazioni bancarie fra passato e futuro, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 27-42).
48
Nella postfazione al libro citato nella nota precedente Giuseppe Guzzetti, presidente
dell'associazione delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di risparmio (e della Fondazione Cariplo) ha ricordato che, «a fine settembre 2010, delle 88 fondazioni di origine bancaria
18 non avevano piuÁ partecipazioni dirette nelle rispettive banche conferitarie; 55 ne detenevano
una quota minoritaria; le altre 15 ± che nel loro complesso rappresentano solo il 4,5% del totale
dei patrimoni delle fondazioni ± avevano piuÁ del 50%, compatibilmente a una specifica deroga
introdotta nel 2003 per le fondazioni piccole e medie» (cfr. ivi, pp. 126-27).
49
Non si puoÁ negare che le fondazioni ± che traggono le loro origini dalla tradizione
medievale dei monti di pietaÁ e delle casse di risparmio rappresentative della vitalitaÁ dei corpi
intermedi e della societaÁ civile ± abbiano svolto un ruolo cruciale nella fase di transizione dal
vecchio al nuovo ordinamento bancario, dotando l'Italia di un tessuto di promozione e finanziamento di iniziative di solidarietaÁ, sottraendo le ex banche pubbliche alla lottizzazione partitica e permettendo al sistema bancario un efficiente processo di ristrutturazione (cfr. F. Bassa-
20
Quel che interessa rilevare in questa sede eÁ che l'ottenimento del pacchetto di
controllo delle banche senza esborso di capitali rende, per certi versi, la condizione
delle fondazioni simile a quella delle holding degli anni Venti in cui ci siamo
precedentemente imbattuti. In entrambi i casi abbiamo a che fare con operazioni
di ingegneria finanziaria che portano al consolidamento delle leadership di cui
stiamo discutendo: il Comofin consentõÁ alla Bci di Toeplitz la riconquista di se
stessa attraverso l'uso del capitale proprio e del denaro dei risparmiatori; le neonate
fondazioni hanno permesso a Profumo, nel corso degli anni Novanta, di disporre di
un potere assoluto, per certi versi incontrollato. Recentemente, dovendo far fronte
alla riduzione delle risorse da distribuire sul territorio e sentendosi «incalzate da
una classe politica che eÁ tornata a reclamare il suo potere di gestione occulta delle
banche», le fondazioni sono peroÁ diventate una spina nel fianco per il banchiere 50.
Che lo siano state fino al punto di costringerlo alle dimissioni eÁ un aspetto sul quale
cercheremo di fare chiarezza a conclusione del saggio 51.
Un'altra caratteristica che accomuna la Bci e UniCredit negli anni che ci
interessano, specchiandosi nella personalitaÁ di Toeplitz e Profumo, eÁ la forte
vocazione internazionale di entrambe le banche. La dimensione internazionale eÁ
la cifra originaria di Toeplitz, i cui legami familiari e la condivisione di una fitta
rete di contatti formali e informali costituiscono un «vantaggio competitivo» in
grado di metterlo spesso su un piano di superioritaÁ rispetto a colleghi e interlocutori 52. Se Toeplitz eÁ il figlio privilegiato di una prima globalizzazione «per molti ma
non per tutti», Profumo eÁ il frutto di una seconda globalizzazione aperta al punto
nini, intervento al 21 o Congresso nazionale delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di
risparmio, IdentitaÁ, radici del futuro, Siena, 10-11 giugno 2009, pp. 134-141). La necessitaÁ di
provvedere nei prossimi anni a una significativa ricapitalizzazione delle banche e la conseguente
prospettiva di una riduzione degli utili da distribuire sul territorio, tuttavia, rischia di rendere le
fondazioni un ostacolo allo sviluppo dimensionale degli istituti di credito italiani, minandone la
competitivitaÁ (cfr. T. Boeri e L. Guiso, Rifondazione capitalista, «LaVoce.info», 2.11.2010).
50
Cfr. L. La Spina, Il pericolo del ritorno al passato, «La Stampa», 22.9.2010.
51
A sostenere con forza questa tesi eÁ stato Francesco Giavazzi. L'economista, che ha
giudicato la vicenda libica come un mero pretesto, ha sostenuto che l'eliminazione di Profumo
eÁ stata decisa dalle fondazioni italiane e dai grandi azionisti tedeschi, preoccupati dalla prospettiva della «banca unica», destinata a spazzar via il potere di interdizione delle piccole consorterie
locali a Torino, Milano e Verona, cosõÁ come a Monaco di Baviera (cfr. F. Giavazzi, Un errore
grave, «Corriere della Sera», 22.9.2010).
52
Il padre di Toeplitz, Bonawentura, era un dirigente della casa Rau di Varsavia, una
banca privata legata al circuito Rothschild; suo zio Henryk fu tra i fondatori della Bank Handlowy, il principale istituto di credito privato di Varsavia. Toeplitz studioÁ a Mitau, nell'attuale
Lettonia, a Gand e ad Aquisgrana, e pur non conseguendo la laurea le sue origini, la conoscenza
delle lingue e la parentela con un dirigente bancario del calibro di Otto Joel, fondatore e primo
amministratore delegato della Bci, lo agevolarono nella carriera bancaria intrapresa al suo arrivo
a Genova nel 1890 (una descrizione della formazione di Toeplitz eÁ in G. Montanari, Introduzione, in Segreteria dell'amministratore delegato Giuseppe Toeplitz (1916-34), a cura di A. Gottarelli, G. Montanari, Milano, Banca Commerciale Italiana, 1995, pp. IV-XVIII e G. Telesca, Il
mercante di Varsavia. Giuseppe Toeplitz: un cosmopolita alla guida della Banca Commerciale Italiana, tesi di dottorato non pubblicata, UniversitaÁ degli studi di Firenze, 2010, pp. 1-57).
21
da permettere a un giovane studente-lavoratore dotato di talento di approdare alla
plancia di comando di uno dei colossi del credito europeo previa esperienza in
McKinsey, una sorta di fermata obbligata per chi voleva scalare i vertici della
finanza globale negli anni Novanta del secolo scorso.
All'apertura internazionale di UniCredit sotto la gestione Profumo si eÁ giaÁ fatto
cenno. Quanto alla Bci, nel 1933 il suo portafoglio titoli bancari rappresentava la
miglior testimonianza dell'alto grado di internazionalizzazione raggiunto dall'istituto
di piazza della Scala, presente in venti paesi in virtuÁ di una struttura composta da
quattro filiali 53, quattro associate 54 e undici affiliazioni 55, cui andava aggiunto l'ufficio di rappresentanza berlinese aperto nel 1928 56. Questa articolazione era il frutto
di un trentennio di espansione, un processo che era cominciato nel 1905, ma aveva
subito un'accelerazione decisiva nel dopoguerra sotto il regno dei fratelli Toeplitz 57.
Senza scendere nei dettagli, l'internazionalizzazione della Bci e di UniCredit
avvicina ancora una volta due esperienze distanti nel tempo. EÁ il Drang nach Osten
una delle principali direttrici lungo le quali prende piede l'espansione estera della Bci e
quella di UniCredit, ed eÁ l'apertura di una finestra di opportunitaÁ a sospingere entrambi
53
(1928).
Si trattava di Londra, fondata nel 1911, New York (1918), Istambul (1919) e Smirne
54
Erano la Banca della Svizzera Italiana di Lugano, fondata nel 1873 e di cui era stato
assunto il controllo nel 1910; la Banque FrancËaise et Italienne pour l'AmeÂrique du Sud di Parigi
(Sudameris), fondata con Paribas nel 1910; il Banco Italiano de Lima, fondato nel 1889 e di cui
era stata assunta una partecipazione nel 1919; la Banca polacca Handlowy y Warsawie (Handlobank), fondata nel 1870 e partecipata a partire dal 1927.
55
Si trattava, in ordine di costituzione, della Banca commerciale italiana France (ComitFrance, 1918); della Banca commerciale italiana e bulgara (Bulcomit, 1919); della Banca commerciale italiana e romena (Romcomit, 1920); della Banca ungaro-italiana (Bankunit, 1920); del
Banco italiano di Guayaquil (1923); della Banca commerciale per l'Egitto (Comegit, 1924); della
Banca commerciale italiana Trust Company di New York (Bicitrust New York, 1924); della
Banca commerciale italiana e greca (Comit-Hellas, 1929); della Bancomit Corporation e delle
Bicitrust di Boston e Philadelphia (1929).
56
Erano considerate affiliate le banche di cui la Bci possedeva la maggioranza del capitale
esercitando sulla loro gestione un controllo continuativo e diretto, mentre erano definiti associati quegli istituti di credito la cui conduzione era condivisa con altri gruppi e sui quali la Bci
non esercitava il pieno controllo, pur possedendo talvolta ± come nel caso di Sudameris e della
Banca della Svizzera Italiana ± i pacchetti azionari di maggioranza (cfr. ASI-BCI, Carte Mattioli
(d'ora in avanti CM), cart. 3, fasc. 2, parte II.a, sezione I, L'estero, p. 1).
57
Dal 1919 al 1933 il fratello del consigliere delegato, Lodovico, diresse il servizio estero
di piazza della Scala. La costruzione della rete estera della Bci dal 1905 al 1933 eÁ descritta dai
lavori di G. Piluso, Le banche miste sui mercati esteri: strategie e geografie di una espansione
multinazionale, in La formazione della Banca Centrale in Italia. Atti della giornata in onore di
Antonio Confalonieri, Torino, Giappichelli, 1994; R. Di Quirico, Il sistema Comit. Le partecipazioni estere della Banca Commerciale Italiana tra il 1918 e il 1931, «Rivista di storia economica»,
1995, n. 2, giugno, pp. 175-217; M. D'Alessandro, L'organizzazione delle reti estere. Comit e
Credit nei centri finanziari internazionali (1910-35), «Archivi e Imprese», 1998, n. 18, pp. 35-69.
Sull'espansione della Bci in Polonia vedi M. D'Alessandro e G. Montanari, BCI and International
Capital Transfers to Poland between the Wars, intervento allo European Colloquium on Bank
Archives, European Association for Banking History, Varsavia, 2000.
22
gli istituti di credito verso Oriente. Negli anni Venti e nel quadro della dissoluzione
degli Imperi, in particolare di quello austro-ungarico, il nuovo assetto geopolitico del
Vecchio continente scaturito da quella che Keynes definõÁ la «Pace cartaginese» 58, oltre a
provocare frustrazione e a scatenare tensioni politiche, aprõÁ nuovi varchi di mercato
fornendo interessanti occasioni di investimento. La spinta verso Est delle banche
italiane fu correlata all'indebolimento temporaneo degli istituti di credito tedeschi e
austriaci e alle ridotte capacitaÁ di esportare capitali di Inghilterra e Francia 59. Gli anni
Novanta hanno visto il crollo di un altro Impero. La dissoluzione del blocco sovietico ha
offerto alle banche della Penisola la possibilitaÁ di tornare sul mercato dell'Est, superando quel basso grado di internazionalizzazione che aveva rappresentato il frutto
avvelenato dell'immobilismo di un sistema sclerotizzatosi progressivamente dopo le
riforme degli anni Trenta e trasformatosi in una desolante «foresta pietrificata» 60. Nel
ritorno delle banche italiane sui mercati esteri l'UniCredit di Profumo ha fatto da
battistrada, ereditando il medesimo ruolo appartenuto 70 anni prima alla Bci e ripercorrendo le stesse rotte d'Europa centro-orientale, Polonia in testa 61.
Uno studio interno, datato 1933, presentava un consuntivo della «politica
estera» della Bci dei Toeplitz che si condensava nel quadro riassuntivo relativo
alla somma dei singoli bilanci delle banche affiliate e in quello relativo alla somma
dei bilanci delle associate. Mettendo insieme i dati al 30 giugno 1933 si otteneva
un totale aggregato degli attivi di 2,1 miliardi di lire per le banche associate e di 1,6
miliardi circa per le affiliate. Sommando queste cifre si sfioravano i 3,7 miliardi, a
fronte di un totale di bilancio in quel momento pari a 12,7 miliardi. Questo
elemento misurava il peso assunto dalle partecipazioni estere dell'istituto di piazza
della Scala 62. Dal momento che il credito delle banche estere affiliate e associate e
Cfr. J. M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Torino, Rosemberg e Sellier,
1983, p. 49 (ed. originale, The Economic Consequences of the Peace, London, MacMillan and Co,
1920).
59
Cfr. G. Hardach, La prima guerra mondiale 1914-18, Milano, Etas libri, 1982, pp. 113114 (ed. originale, The First World War, 1914-1919, London, Allen Lane, 1977).
60
Utilizzata due decenni fa da Giuliano Amato, uno dei protagonisti della riforma bancaria dei primi anni Novanta, l'immagine fotografoÁ icasticamente le caratteristiche di un sistema
bancario ostile nei riguardi della concorrenza interna, chiuso nei confronti delle concorrenza
estera e incapace di inserirsi nel nascente spazio comune europeo.
61
Cfr. G. De Arcangelis e G. Ferri, Il vento dell'Est sulle banche italiane, «LaVoce.info»,
8.4.2009.
62
Lo studio suddivideva le filiali, affiliate e associate Bci in «datrici» e «prenditrici»: le filiali
di Londra e New York, le affiliate Bicitrust statunitensi e Comit-France, le associate Banca della
Svizzera Italiana e Sudameris (Parigi) facevano parte del gruppo delle banche «datrici» di fondi alla
Bci che, per il resto, era costretta a fornire denaro sia alle filiali sudamericane di Sudameris sia alle
banche operanti nei Balcani e nell'Europa centro-orientale. Al 30 giugno 1933 solo Comegit, a
causa di un'esuberanza stagionale di fondi, risultava creditrice di una somma equivalente a 30
milioni di lire. Le altre dipendenze «prenditrici» erano debitrici della Bci per le seguenti cifre:
Handlobank 50 milioni; Bulcomit 22 milioni; Bankunit 11 milioni; Costantinopoli 10 milioni;
Comit-Hellas 8 milioni; Romcomit 4 milioni. Al debito complessivo, pari a 105 milioni di lire,
andavano aggiunti i debiti legati alla Polonia che, esclusa Handlobank, equivalevano a 165 milioni
(cfr. Cfr. ASI-BCI, CM, cart. 3, fasc. 2, parte II.a, sezione III, L'estero, cit., pp. 131-141).
58
23
quello della Bci erano talmente legati che non si sarebbe potuta «immaginare una
ferita seria in un punto senza che tutto l'organismo ne [risentisse]» 63, il livello di
internazionalizzazione raggiunto dall'istituto milanese fece sõÁ che la Grande Depressione avesse effetti pesanti sui suoi conti, fungendo da moltiplicatore delle
criticitaÁ accumulatesi nell'espansione estera perseguita dai Toeplitz 64.
Nella fase successiva al tracollo della Lehman, anche per UniCredit alcuni dei
grattacapi piuÁ seri sono arrivati dall'Europa centro-orientale dove, fino al 2007, la
banca aveva realizzato un quarto dei suoi ricavi. D'altronde, se eÁ vero che un istituto
di credito risente degli choc esogeni in relazione al grado della sua apertura, eÁ
evidente come sia la Bci di Toeplitz sia la UniCredit di Profumo erano destinate
a pagare il prezzo piuÁ alto in caso di crisi e questo perche ± per dirla con la sferzante
(e un po' demagogica) accusa dell'ex ministro Tremonti ± entrambe le banche
avevano commesso l'imprudenza di «parlare troppo l'inglese» o, se si preferisce, le
lingue slave. In realtaÁ, a testimonianza del fatto che la storia non si ripete mai
secondo le stesse modalitaÁ, il bilancio dell'espansione «oltre cortina» condotta da
Profumo eÁ piuÁ edificante di quello prodotto dalla Bci di Toeplitz. Passato il momento piuÁ difficile della crisi finanziaria, infatti, eÁ stata proprio quest'area geografica a garantire ad UniCredit un ritorno a ricavi e profitti piuÁ consistenti 65. Gli
affanni ungheresi delle ultime settimane, tuttavia, sembrano mettere nuovamente in
discussione questa affermazione.
Venendo, infine, al tema del rapporto tra i banchieri e il mondo politico potremmo, con molta approssimazione e riferendoci all'Italia, individuare tre modelli:
1) quello del banchiere «di sistema», che oltre agli obiettivi del proprio istituto di
credito guarda al benessere del territorio in cui opera, avendo come stella polare
l'«interesse nazionale»; 2) quello del banchiere «di palazzo», piuÁ propenso a tener
conto delle esigenze della politique politicienne; 3) quello del banchiere «indipenCfr. ivi, p. 136.
Un giudizio molto critico sulla «politica estera» dei Toeplitz eÁ in L. Stanciu, Italian
multinational bankig in interwar east central Europe, «Financial History Review», 2000, n. 7, pp.
45-66. Per un bilancio meno polemico della grandeur toeplitziana si veda G. Telesca, Il mercante
di Varsavia, cit., pp. 207-50.
65
Nel primo trimestre del 2010 UniCredit ha realizzato il 22% dei suoi ricavi ± 1,5
miliardi di euro ± in Europa centro-orientale. I profitti prima delle imposte generati nello stesso
periodo in quest'area, equivalenti a 438 milioni di euro, sono stati pari al 42% dei profitti ante
imposta realizzati dall'intero gruppo. Esso in Italia, Germania ed Austria, a fronte di ricavi per
2,3 miliardi di euro, ha realizzato profitti per 91 milioni di euro (cfr. G. Oddo, UniCredit e Intesa
Sanpaolo, ecco l'esposizione nell'Europa dell'est delle due maggiori banche italiane, «Il Sole 24 ore»,
2.7.2010). Una delle ragioni che hanno favorito il neo Ceo Ghizzoni nella successione eÁ stata il
fatto che questi, dopo aver guidato il ramo corporate della polacca Bank Pekao dal 2000, e aver
fatto sbarcare l'istituto milanese in Turchia nel 2003 ± prima attraverso la compartecipata Koc
Financial Services e, in seguito, con la scalata al colosso del credito Yapi Kredi ±, ha diretto dal
2009 la divisione Europa centro-orientale (cfr. M. D'Ascenzo e M. Mangano, Il centrocampista
della bassa con Istambul nel cuore, «Il Sole 24 ore», 1.10.2010; A. Greco, Il grande salto di Federico
``il turco'': un outsider sul trono di piazza Cordusio, «Repubblica», 1.10.2010; R. Sanderson,
UniCredit appoints successor to Profumo, «Financial Times», 1.10.2010).
63
64
24
dente», il cui orizzonte eÁ il mercato e la cui attenzione eÁ rivolta piuÁ alle ragioni degli
shareholders che a quelle degli stakeholders. Va detto che questa classificazione eÁ
alquanto rozza, non tenendo conto di alcune non secondarie sfumature. Innanzitutto
eÁ difficile discernere tra le prime due tipologie di banchiere: in entrambi i casi la
propensione al dialogo con la politica dovrebbe indirizzare le scelte piuÁ importanti,
ma un compromesso puoÁ concludersi al ribasso o declinarsi in termini alti, e spesso
non eÁ facile operare tale distinzione. L'ex numero uno di Capitalia Cesare Geronzi,
dall'aprile 2011 anche ex presidente delle Assicurazioni Generali, nelle sue uscite
pubbliche si eÁ sempre presentato come un uomo «di sistema», auto-definizione che
non ha impedito a molti addetti ai lavori di considerarlo l'emblema del banchiere «di
palazzo». D'altra parte, anche il confine che separa i primi due archetipi dal terzo eÁ
meno netto di quanto si possa immaginare.
Nonostante un profilo da «indipendente», Profumo in occasione dell'acquisizione di Capitalia ha dovuto mettere in piedi una partnership proprio con Geronzi
e, poco dopo, ha dovuto acconciarsi alla compagnia di un azionista sui generis come
il colonnello Gheddafi. Anche a Toeplitz, dati i difficili rapporti con Mussolini,
spetta un posto nella schiera degli «indipendenti». Questo profilo non impedõÁ
tuttavia al banchiere italo-polacco, nel perseguimento della «politica estera» del
suo istituto, di saldare su certi dossier gli interessi della Bci a quelli del regime,
incassando il sostegno politico di quest'ultimo talvolta a discapito dello stesso
istituto d'emissione. A proposito di certi prestiti esteri realizzati intorno alla
metaÁ degli anni Venti, Pier Francesco Asso si eÁ spinto a parlare di un'«alleanza»
tra il governo e il sistema bancario privato nazionale, con la Bci in prima linea:
«un'alleanza non scritta, limitata, non priva di lacerazioni, e molto spesso «zoppa» (nel
senso che vi fu alleanza tra due giocatori ± governo e sistema bancario privato ± nonostante
l'opposizione del terzo ± Banca d'Italia)» 66.
Fu proprio la garanzia fornita a Toeplitz da Mussolini a convincere il ban66
Cfr. P. F. Asso, Finanza internazionale, vincolo esterno e cambi. 1919-1939, in Ricerche per
la storia della Banca d'Italia, Volume III, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 120-123, la citazione eÁ a p.
120. Nella seconda metaÁ degli anni Venti l'arrivo di Dino Grandi al Ministero degli esteri segnoÁ
una svolta importante nella politica balcanica dell'Italia che comportoÁ un peggioramento dei
rapporti con la Jugoslavia, un rafforzamento in senso revisionista delle relazioni con l'Ungheria
e la Bulgaria e un ulteriore avvicinamento alla Romania e alla Grecia. Si venne cosõÁ a stabilire un
forte legame tra politica finanziaria e obiettivi di politica estera del regime, con conseguente
rafforzamento della coesione tra l'esecutivo e la banca privata a discapito di una Banca d'Italia
impegnata nella difesa della nuova paritaÁ della lira e nel contenimento degli esborsi di valuta
pregiata. Partecipando alla stabilizzazione della leva in Bulgaria e del lei in Romania, fondando
Comit-Hellas, assumendo la quasi totalitaÁ delle azioni della Harvatska Banka di Zagabria, la Bci
giocoÁ un ruolo importante in quest'alleanza (cfr. S. Lavacchini, L'Europa centro-orientale nella
politica dell'Italia fascista, «Italia contemporanea», 2003, n. 230, marzo, pp. 58-63). Va aggiunto
che l'impegno della Bci sul terreno dei grandi prestiti internazionali nell'ultimo scorcio degli anni
Venti fu motivato anche dal duplice obiettivo di «ottenere degli utili sotto forma di commissioni
(...) e dar luogo al rifinanziamento delle affiliate [Bulcomit, Romcomit] mettendole in grado di
sostenersi senza ricorrere ai fondi della Comit» (cfr. Di Quirico, Il sistema, cit., pp. 207-208).
25
chiere polacco a concludere nel 1924 un consistente prestito da 400 milioni al suo
paese d'origine 67, un'operazione che irritoÁ Bonaldo Stringher e dispiacque sia a
Montagu Norman, numero uno della Banca d'Inghilterra, sia a Russell Leffingwell,
plenipotenziario della House of Morgan per i prestiti ai governi europei 68.
Appare evidente, dunque, che i tre modelli delineati attengono molto alla
proiezione di se che ciascun banchiere decide di trasmettere all'esterno, cercando
piuÁ o meno consapevolmente di costruirsi un'immagine sia mediante dichiarazioni
e gesti simbolici sia attraverso la scelta di partecipare o restare fuori da certe
operazioni. Ebbene, sotto entrambi gli aspetti Toeplitz e Profumo sembrano somigliarsi. Sul primo punto, se la celebre dichiarazione del secondo ± «mi compro la
libertaÁ distribuendo molti soldi agli azionisti» 69 ± eÁ diventata una sorta di manifesto del suo modo di rapportarsi alla politica, non eÁ difficile rintracciare un repertorio simile nei documenti del primo. In entrambi i casi, eÁ bene ribadirlo, ci
troviamo di fronte a schermaglie dialettiche che nascondono comportamenti piuÁ
articolati nella sostanza; cionondimeno, la forza delle parole non puoÁ essere sottovalutata. Nel giugno 1916 Toeplitz, numero uno in pectore della Bci, incontroÁ
l'ambasciatore britannico a Roma con l'obiettivo di rassicurare gli inglesi circa la
stabilitaÁ della sua banca compromessa dall'uscita di scena dei consiglieri esteri (2
febbraio 1915) 70, dell'amministratore delegato Otto Joel (5 giugno 1915) 71 e del
Nella primavera del 1924 la Bci negozioÁ un prestito con la Polonia destinato a finanziare la
costituzione del monopolio tabacchi. Il governo polacco si impegnoÁ a restituire in 20 anni i 400
milioni ottenuti dalla Bci, assicurando che avrebbe acquistato in Italia il 60% del tabacco importato. L'emissione del prestito sarebbe avvenuta in due soluzioni: 300 milioni il 18 aprile e la
restante parte entro la fine di ottobre del 1924. La Bci non avrebbe mai potuto assumersi quest'onere senza la garanzia che il governo italiano sarebbe subentrato all'esecutivo polacco nel
pagamento del capitale e degli interessi alla Bci in caso di guerra. La prima tranche del prestito
raccolse i favori dei risparmiatori facendo registrare una domanda dieci volte superiore all'offerta.
Nonostante tali premesse, il deterioramento della situazione finanziaria polacca a partire dall'autunno del 1924 cambioÁ le prospettive dell'emissione. Confermando perplessitaÁ avanzate da piuÁ
parti, il governo polacco disattese l'articolo 7 del protocollo d'intesa con il governo italiano che
vincolava il risultato finanziario dell'operazione alla costituzione del monopolio dei tabacchi. I
proventi della prima tranche del prestito furono cosõÁ utilizzati per la difesa dello zloty. Ciononostante, il 21 ottobre 1924 Toeplitz decise di esercitare il diritto d'opzione sui restanti 100 milioni
del prestito. La nuova emissione restoÁ peroÁ largamente invenduta, mentre le quotazioni della prima
tranche subirono una flessione significativa (cfr. Asso, Finanza internazionale, cit., pp. 123-142 e
D'Alessandro e Montanari, BCI and International Capital Transfers to Poland, cit., pp. 9-12).
68
Entrambi non mettevano certo lo zloty in cima alla lista delle valute da stabilizzare (cfr.
M. De Cecco, Introduzione, in L'Italia e il sistema finanziario internazionale, 1919-1936, a cura di
Id., Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 36).
69
Cfr. A. Greco, UniCredit, tre scommesse per Profumo: redditivitaÁ, territori e organizzazione,
«Affari e Finanza», 13.9.2010.
70
In quell'occasione si dimisero dal Cda della Bci 6 consiglieri tedeschi, 4 francesi e 3
austriaci (cfr. ASI-BCI, Verbali del Consiglio di Amministrazione (d'ora in avanti VCA), vol. 3 o,
ff. 248-256, 2 febbraio 1915).
71
Il Cda chiamato a ratificare le dimissioni di Joel non nominoÁ il nuovo consigliere
delegato, limitandosi a chiedere un maggior raccordo tra la presidenza dell'istituto e la direzione
centrale. A Toeplitz e Fenoglio furono peroÁ riconosciuti i poteri di amministratore delegato de
67
26
presidente Cesare Mangili (25 marzo 1916) 72. Tali fibrillazioni erano state il portato
di diversi fattori convergenti: le pressioni della stampa; i sospetti e le manovre di
disturbo di alcune cancellerie europee; le esigenze del mondo politico italiano che si
era progressivamente orientato a favore dell'intervento al fianco dell'Intesa e la
frattura interna ai vertici dell'istituto di piazza della Scala 73. Al cospetto di Sir
James Rennel Rodd, Toeplitz tenne a ribadire la sua netta contrarietaÁ alle «political
banks» e a difendere l'idea di una banca che, lungi dalla ricerca di relazioni preferenziali con il potere, dovesse limitarsi a perseguire i propri «business affairs» 74. Tale
visione, ancora condizionata dai miti ottocenteschi dello stato minimo e del laissez
faire, nel decennio successivo si sarebbe scontrata con uno scenario sempre piuÁ
dominato dalla affermazione del principio dell'intervento pubblico in economia e
dalla costruzione di uno Stato autoritario dalle marcate venature totalitarie.
Quanto alla scelta di partecipare o meno a certe operazioni, il Ceo di UniCredit si eÁ concesso il lusso di abbandonare nell'estate del 2004 il patto di sindacato della Rcs-Mediagroup 75, ovvero del salotto buono del «capitalismo di relazione» all'italiana e, in seguito, si eÁ disinteressato di due operazioni «di sistema»
messe in piedi sotto l'abile regia della principale concorrente di piazza Cordusio:
una dai contorni sfumati a difesa della italianitaÁ di Telecom 76, l'altra piuÁ invasiva a
salvaguardia di un (boccheggiante) campione nazionale del trasporto aereo 77.
Anche negli anni Venti non mancarono le operazioni «di sistema», basti pensare
ai salvataggi e alle ristrutturazioni dell'Ilva, dell'Ansaldo, della Banca italiana di
sconto (Bis) e del Banco di Roma, che videro la partecipazione a vario titolo della
Bci e del Credit al fianco della Banca d'Italia e delle autoritaÁ governative. Tuttavia,
l'operazione «di sistema» lato sensu piuÁ importante realizzata dal regime fascista in
quegli anni fu la stabilizzazione della lira 78. Ebbene, pur potendo contare su margini
facto (cfr. ASI-BCI, VCA, vol. 3 o, f. 276, 5 giugno 1915). Nel marzo 1917 Toeplitz e Fenoglio
furono ufficialmente designati alla guida della Bci (cfr. ivi, vol. 4 o, f. 92, 28 marzo 1917).
72
Mangili fu presidente della Bci dal 25 maggio 1907 al 25 marzo 1916 (cfr. G. Piluso,
Cesare Mangili, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume LXIX, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007, pp. 12-15).
73
Per approfondire questi temi si rinvia alla lettura di B. Vigezzi, Da Giolitti a Salandra,
Firenze, Vallechi editore, 1969, pp. 203-62 e Segreto, L'Ansaldo e le guerre economiche parallele,
cit., pp. 191-98.
74
Cfr. National Archives, Foreign Office 368/1540, memorandum di James Rennel Rodd
al ministro degli Esteri Edward Gray, 1 o giugno 1916, p. 2.
75
Nel giugno 2004 l'uscita della famiglia Romiti dal patto di sindacato del gruppo Rcs eÁ
diventata l'occasione per rivedere gli assetti azionari della casa editrice del «Corriere della Sera».
In quella circostanza Profumo ha deciso di cedere la partecipazione di UniCredit, pari all'1% del
capitale, proprio mentre all'interno del patto facevano il loro ingresso Cesare Geronzi, per conto
di Capitalia, Jonella Ligresti e Diego della Valle (cfr. G. Pons, I petrodollari di Gheddafi e la tela
di Geronzi, «Affari e Finanza», 13.9.2010).
76
Cfr. M. Mucchetti, La mossa messicana di Slim e la pista di Piazzetta Cuccia, «Corriere
della Sera», 18.4.2007 e M. Monti, Telefonia e polizze, «Corriere della Sera», 30.4.2007.
77
Cfr. F. Giavazzi, Le insidie di un percorso, «Corriere della Sera», 27.8.2008 e G. Dragoni, Alitalia: perche il piano Air France era migliore del piano Fenice, «Il Sole 24 ore», 6.9.2008.
78
Su questo tema vedi P. Baffi, La rivalutazione del 1926-27, gli interventi sul mercato e
27
di libertaÁ e di manovra politica ben piuÁ risicati di quelli di Profumo, Toeplitz cercoÁ di
contrastare «quota 90» con tutti i mezzi, dovendovi poi aderire obtorto collo. La Bci
uscõÁ ufficialmente allo scoperto nel novembre 1926, a circa tre mesi dal discorso di
Pesaro, quando furono inviati a Giacomo Paulucci di Calboli, capo di gabinetto
presso il Ministero degli esteri e tradizionale trait d'union tra Toeplitz e il duce, i
famosi «Appunti sulla situazione monetaria» 79. Lo stesso documento fu recapitato al
ministro delle Finanze Giuseppe Volpi, cui Toeplitz aggiunse una lettera di accompagnamento auspicando l'adesione dell'amico di vecchia data alla sua causa 80. Ci
furono poi i tentativi dell'allora vice presidente della Bci Ettore Conti, che nella
primavera del 1927 cercoÁ di far cambiare idea a Mussolini sulle sue scelte di politica
monetaria, dapprima con un colloquio privato svoltosi al Viminale e in seguito con
un intervento in Senato interpretato come un'altra presa di posizione della banca
milanese contro «quota 90» 81. L'atteggiamento del banchiere polacco e della Bci eÁ
tanto piuÁ degno di nota in quanto sullo snodo della stabilizzazione della lira il resto
del mondo bancario, sebbene contrariato dalle scelte mussolinane, rimase silente,
con l'eccezione della «Relazione sulla situazione economico-finanziaria del 1925»
presentata all'assemblea generale dell'Associazione bancaria italiana (Abi) nell'aprile
dell'anno successivo: un documento di critica alla politica monetaria del regime in
veritaÁ molto circospetto 82.
4. La misteriosa resilienza di un capro espiatorio
La morte di Toeplitz, avvenuta nel gennaio 1938, fu ignorata dai quotidiani
italiani. Tra le carte della polizia politica custodite presso l'Archivio Centrale dello
l'opinione pubblica, in Nuovi studi sulla moneta, a cura di Id., Milano, GiuffreÂ, 1973; J. S. Cohen,
La rivalutazione della lira del 1927: uno studio sulla politica economica fascista, in Lo sviluppo
economico italiano1861-1940, a cura di G. Toniolo, Roma-Bari, Laterza, 1973; G. G. Migone,
La stabilizzazione della lira: la finanza americana e Mussolini, «Rivista di Storia Contemporanea»,
1973, n. 2, pp. 145-185; G. Falco e M. Storaci, Fluttuazioni monetarie alla metaÁ degli anni venti:
Belgio, Francia e Italia, «Studi Storici», 1975, anno XVI, pp. 57-101.
79
Cfr. ASI-BCI, Copialettere Toeplitz (d'ora in avanti CpT) 51, ff. 433-439, lettera a di
Calboli, 14 novembre 1926.
80
Cfr. ivi, f. 440, lettera a Volpi, 14 novembre 1926. Volpi rimase al Ministero delle
finanze dal 1925 al 1928 quando fu sostituito da Antonio Mosconi (cfr. R. De Felice, Mussolini il
fascista, Volume II, L'organizzazione dello stato fascista 1925-1929, Torino, Einaudi, 1995, p. 447,
la prima edizione eÁ del 1968). Toeplitz aveva conosciuto Volpi a Napoli alla fine dell'Ottocento.
I legami personali e di affari tra i due si rafforzarono agli inizi del Novecento, quando l'allora
direttore della filiale veneziana della Bci si fece garante presso Joel delle iniziative del giovane e
suadente brasseur d'affaires (cfr. S. Romano, Giuseppe Volpi. Industria e finanza tra Giolitti e
Mussolini, Venezia, Marsilio, 1997, pp. 8-18, la prima edizione eÁ del 1979).
81
Conti diede testimonianza dei suoi interventi in tre lunghi appunti del 22 maggio, 10 e
24 giugno 1927 (cfr. E. Conti, Dal taccuino di un borghese, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 243252, la prima edizione eÁ del 1946).
82
Sui contenuti di questo documento si veda De Felice, L'organizzazione dello stato fascista,
cit., pp. 247-249.
28
Stato figura un rapporto anonimo nel quale si giustifica il black out nei termini di
un «silenzio imposto alla stampa» dal regime 83. All'estero la notizia della scomparsa
del banchiere fu riportata con rilievo. Il «New York Times», riconoscendo a
Toeplitz il merito di aver dato una caratura internazionale alla Bci, scrisse:
«as managing director of the Banca Commerciale [Toeplitz, n.d.r., g.t.] had his finger on
the pulse of three-quarters of the nation's largest firms. The bank then owned outright
what has been estimated as one-seventh of all Italian industry. Premier Mussolini broke its
grip, however (...) and Signor Toeplitz retired from active banking in 1933» 84.
Il prestigioso quotidiano newyorchese, dunque, in articulo mortis di Toeplitz
diede una lettura tutta politica della sua defenestrazione avvenuta anni prima, un
giudizio condiviso da molti osservatori del tempo, giustificato dalla «congiura del
silenzio» che accompagnoÁ gli ultimi anni di vita del banchiere e rilanciato, sul
finire degli anni Settanta, da due saggi di Giorgio Mori 85.
GiaÁ nei mesi successivi alla marcia su Roma il duce aveva detto senza mezzi
termini che Toeplitz, pur essendo in Italia «una delle teste piuÁ quadre in materia
finanziaria» ed essendo «un galantuomo e un patriota» nei cui confronti erano
fuori luogo le polemiche sollevate da certi ambienti del Partito nazionale fascista,
andava evitato cosõÁ come don Luigi Sturzo e il direttore del «Corriere della Sera»
Luigi Albertini 86. Il proposito mussoliniano di stare alla larga da don Sturzo, dal
senatore Albertini e da Toeplitz obbediva a una logica precisa: personalitaÁ di quel
calibro, al di laÁ di ruoli, idee politiche e gradi di estraneitaÁ/ostilitaÁ al regime
differenti, non si sarebbero mai sottoposte a un processo di «fascistizzazione»
integrale 87. Per quanto gli fu possibile il duce tenne fede al suo impegno. Gli
incontri tra il numero uno della Bci e il Capo del Governo negli anni Venti si
possono contare sulle dita di una mano: Toeplitz si recoÁ a Palazzo Venezia nel
83
Cfr. Montanari, Introduzione, cit., p. XLII. Della notizia non vi eÁ traccia sui giornali
italiani, se non negli appositi spazi dedicati ai necrologi.
84
Cfr. Giuseppe Toeplitz, financier, is dead, «The New York Times», 30.1.1938.
85
Cfr. G. Mori, Nuovi documenti sulle origini dello «stato industriale» in Italia. Di un
episodio ignorato (e forse non irrilevante) nello smobilizzo pubblico delle banche miste (1930-31),
in Il capitalismo industriale in Italia, a cura di Id., Roma, Editori riuniti, 1977 e G. Mori,
Metamorfosi o reincarnazione? Industria, banca e regime fascista in Italia fra il 1923 ed il 1933, in
Studi in onore di Antonio Petino, Volume I, Catania, UniversitaÁ di Catania, 1986 (giaÁ pubblicato
sulla Revue d'histoire moderne et contemporaine, 1978, XXV, pp. 235-274).
86
Tale giudizio sarebbe stato espresso da Mussolini a suo fratello Arnaldo, che intratteneva dei buoni rapporti con il numero uno della Bci e aveva sollecitato un incontro tra il
banchiere e il duce (cfr. ASI-BCI, Segreteria dell'amministratore delegato Giuseppe Toeplitz
(d'ora in avanti ST), cartella 82, fascicolo 4, documento senza data).
87
Non a caso Antonio Gramsci, che sul fascismo elaboroÁ un'analisi piuÁ articolata e originale di quella piuttosto grossolana della III Internazionale, riconobbe che alcune componenti
della borghesia italiana dopo la marcia su Roma avevano mostrato una certa ostilitaÁ, o almeno
uno scarso entusiasmo, nei confronti dell'ascesa di Mussolini. Tra di esse Gramsci annoverava
«Il Corriere», «La Stampa» e alcune banche (cfr. R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo,
Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 177-178, la prima edizione eÁ del 1969).
29
1924, in occasione del prestito polacco di cui si eÁ detto in precedenza; egli chiese
inoltre udienza a Mussolini in altre due circostanze, nel dicembre 1922 e nel
febbraio 1927, ma in entrambe le occasioni le sue sollecitazioni rimasero inascoltate 88. Quanto alla corrispondenza tra i due, dal carteggio conservato presso l'Archivio Storico di Intesa Sanpaolo emerge un rapporto epistolare episodico 89.
La distanza tra il duce e il banchiere si spiega in virtuÁ di vari elementi. Sin
dagli inizi del Novecento la dirigenza di piazza della Scala si era mossa con maestria nei corridoi ministeriali, nelle coulisses parlamentari, negli uffici della pubblica amministrazione e nelle stanze della burocrazia militare, potendo fare inoltre
assegnamento su una ben assortita schiera di quotidiani e settimanali fiancheggiatori. Si eÁ molto parlato della simbiosi tra Giolitti e la Bci prima della Grande
Guerra 90 ma, senza voler prendere per buone tutte le dicerie che si raccontavano
sulla forza di persuasione dell'istituto di piazza della Scala, era la natura di «corpo
intermedio» dell'economia a fare della Bci un ostacolo alla costruzione dello stato
totalitario. Da cioÁ scaturiva un primo elemento di avversione da parte di Mussolini, che aveva l'esigenza di ostentare una straordinaria inflessibilitaÁ nei confronti
dei poteri tradizionali del paese.
Su un piano piuÁ soggettivo, la formazione e il percorso umano di Toeplitz e
Mussolini non creavano i presupposti ideali per impostare un buon rapporto interpersonale. I due si conoscevano da prima della marcia su Roma e avevano
condiviso almeno un'iniziativa pubblica, nel giugno 1918, a supporto di un comitato pro-studenti serbi finanziato dalla Bci. Il 20 ottobre 1920 l'allora direttore de
«Il Popolo d'Italia», reduce dalla severa sconfitta del suo movimento alle elezioni
politiche del 1919, si rivolse al numero uno della Bci per chiedergli una sovvenzione in favore di un suo conoscente in difficoltaÁ, ricevendo in cambio la somma di
20 lire: «una cifra modesta (...) addirittura insultante» 91. Questo episodio la dice
lunga sulla sufficienza con la quale, sulle prime, il raffinato banchiere cosmopolita
dovette considerare il tribuno romagnolo.
Per descrivere compiutamente i rapporti di Toeplitz con il regime occorrerebbe
ribaltare la celebre massima di Giovanni Agnelli secondo cui, in epoca fascista,
industriali e finanzieri furono filo-governativi per antonomasia 92. Il banchiere ci
appare, al contrario, una sorta di «antifascista preterintenzionale», la cui avversitaÁ
Cfr. Montanari, Introduzione, cit., p. XXXV.
Il copialettere di Toeplitz contiene solo diciotto documenti. Nella maggior parte dei casi
si tratta di telegrammi spediti dal banchiere, come atto dovuto, in circostanze di particolare
rilievo.
90
In realtaÁ, il progetto giolittiano prefigurava un salto culturale nella concezione del ruolo
dello stato in economia e, pur non rifiutando le grandi concentrazioni finanziarie e industriali,
postulava che occorresse evitare che il governo finisse ostaggio delle lobbies monopolistiche (cfr.
Gentile, L'etaÁ giolittiana, cit., pp. 228-232).
91
Cfr. G. Fabre, Mussolini e le sovvenzioni alla Comit, «Quaderni di storia», 2003, n. 57,
pp. 281-299, la citazione eÁ a p. 286.
92
Cfr. F. Guarneri, Battaglie economiche tra le due grandi guerre, Volume I, 1918-1935,
Milano, Garzanti, 1953, p. 54.
88
89
30
al regime fu piuÁ percepita dall'esterno che reale. Egli non va certo annoverato tra i
sostenitori di Mussolini, ne tra coloro che stabilirono un rapporto di affinitaÁ ed
empatia con il duce. Sicuramente fece di tutto per ostacolare i provvedimenti che
considerava deleteri per la Bci e i vasti interessi da essa rappresentati, lo si eÁ giaÁ
visto a proposito di «quota 90». Faremmo fatica, tuttavia, a scorgere negli atteggiamenti o negli scritti del consigliere delegato della banca milanese i segni di una
ostilitaÁ di principio al regime. Con il fascismo Toeplitz cercoÁ di percorrere realisticamente la via del dialogo, senza entusiasmo e nei limiti di una formazione poco
avvezza alla frequentazione del mondo politico, soprattutto di quello in gran parte
gretto e provinciale dei nuovi potenti. Anche per questo motivo, se Don Sturzo fu
liquidato giaÁ nell'estate del 1923 con il placet della Santa Sede 93, se Luigi Albertini
fu costretto a congedarsi dai lettori alla fine del 1925 94 e se altri «irriducibili» del
vecchio establishment furono rimossi dai posti di responsabilitaÁ in tempi brevi e
senza andare troppo per il sottile, per assistere alla defenestrazione di Toeplitz
occorreraÁ attendere la crisi sistemica delle banche miste italiane nel 1931 e, due
anni dopo, la deÂbaÃcle del capitalismo mondiale.
Per questa ragione evocare la politica per motivare il tramonto di Toeplitz nel
1933, nonostante i buoni argomenti invocati da chi ha sostenuto questa tesi, non ci
convince fino in fondo. Pur non sottovalutando il ruolo che aveva giocato la
prossimitaÁ dei vertici del Credit a Mussolini ± un elemento chiave della ricostruzione di Mori ± nello spiegare il diverso trattamento cui furono sottoposte le due
banche miste piuÁ importanti del paese occorre rifuggire da una lettura esclusivamente «politicista» ed evidenziare altri aspetti decisivi per la conclusione di quella
partita, primo tra tutti l'abilitaÁ e la tempestivitaÁ del gruppo dirigente del Credit
che, sin dai primi mesi del 1930, si preoccupoÁ del crescente squilibrio tra le
disponibilitaÁ a breve e gli impieghi immobilizzati della banca, riuscendo a scongiurare lo slittamento verso una struttura di bilancio da holding che fu molto piuÁ
marcato nel caso della Comit 95. Grazie alla possibilitaÁ di accesso a documenti
d'archivio non ancora disponibili sul finire degli anni Settanta, questa seconda
interpretazione delle convenzioni appare oggi prevalente tra gli studiosi che si sono
occupati del tema.
Nel corso degli anni Venti prese corpo uno straordinario mutamento del
Nel luglio 1923 Don Sturzo fu invitato dalla Santa Sede ad abbandonare la segreteria
del Partito popolare italiano (Ppi). Nel novembre di quello stesso anno il Ppi fu obbligato a non
ostacolare il varo della nuova legge elettorale, la famigerata legge Acerbo, che prevedeva per la
lista o il gruppo di liste che superava il 25% dei voti una maggioranza del 65% dei seggi (cfr. R.
De Felice, Mussolini il fascista, Volume I, La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, pp.
498-501 e 527-311996, la prima edizione eÁ del 1966).
94
Pochi giorni prima, utilizzando un cavillo legale, la famiglia Crespi aveva chiesto lo
scioglimento dell'accomandita semplice L. Albertini & Co. liquidando i fratelli Albertini (cfr. P.
Murialdi, Storia del giornalismo, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 136). Il direttore salutoÁ i suoi
lettori con un Commiato, «Corriere della Sera», 28.11.1925.
95
Su questo punto insiste G. Toniolo, Crisi bancarie e salvataggi: il Credito Italiano dal 1930
al 1934, in Il Credito Italiano e la fondazione dell'Iri, Milano, Scheiwiller, 1990.
93
31
quadro politico, normativo ed economico della Penisola. L'impossibilitaÁ di un
ritorno alla formula giolittiana, il tramonto dello Stato liberale, l'avvento di Mussolini, i provvedimenti sulla borsa emanati nel marzo 1925 96, la legge di tutela del
risparmio e la stabilizzazione della lira realizzati nel corso del biennio successivo,
furono le tappe del progressivo sgretolarsi di un modello che aveva accompagnato
lo sviluppo dell'economia italiana per un trentennio e mostrava ormai i suoi limiti.
Tale modello si era imperniato sulla banca mista, difesa fino in fondo dal numero
uno della Bci che, cosõÁ facendo, finõÁ per inimicarsi non tanto gli esponenti di un
regime con cui i rapporti erano stati critici sin dal principio, quanto interlocutori
decisivi quali Beneduce 97 e Stringher 98.
Il futuro «dittatore dell'economia italiana» aveva maturato una visione circa il
nuovo assetto da dare allo sviluppo della Penisola che collideva nettamente con
quella di Toeplitz. Animato da una profonda sfiducia nei confronti del mercato,
dominato secondo lui dai grandi potentati finanziari e industriali, persuaso della
necessitaÁ di una moneta solida, utile al paese per cercare di rafforzare i suoi legami
economico-finanziari con gli Stati Uniti, Beneduce era convinto che occorresse
archiviare la banca mista per lasciare spazio alla logica che aveva animato l'esperienza dei suoi istituti ± il Crediop, l'Icipu e l'Icn ± collocati a cuscinetto tra i
risparmiatori italiani, notoriamente poco propensi al rischio, e le imprese industriali bisognose di capitali 99.
Quanto alle incomprensioni con Stringher, esse avevano sia un fondamento
personale sia delle ragioni oggettive, da inquadrare nella temperie del passaggio al
Il regio decreto legge n. 222, varato il 7 marzo, impose il numero chiuso agli agenti di
cambio, gli conferõÁ la qualifica di pubblici ufficiali obbligandoli a iscriversi a un'apposita corporazione e aumentoÁ la cauzione da versare per poter lavorare in borsa. All'attivitaÁ di formazione
dei listini fu imposto un drastico giro di vite, riducendo la discrezionalitaÁ riconosciuta alle
singole piazze finanziarie fino a quel momento. Al centro del provvedimento c'erano l'obbligo
di versare una cauzione sugli acquisti a termine (uno scarto di garanzia pari al 25% del prezzo
corrente del titolo contrattato) e l'esclusione delle banche miste dalle grida. La stretta governativa sul mercato azionario, oltre a provocare una levata di scudi da parte degli agenti di cambio,
causoÁ una forte ondata ribassista. Le difficoltaÁ di borsa dei primi mesi del 1925 furono slegate
dai fondamentali economici ed ebbero motivazioni psicologiche contingenti, tuttavia esse anticiparono gli effetti della deflazione del 1926-27 (cfr. S. Baia Curioni, Sull'evoluzione istituzionale
della borsa valori di Milano, «Rivista di storia economica», n.s., 8, 1991, pp. 61-71).
97
Antifascista e massone, Beneduce collaboroÁ con il suo maestro Francesco Saverio Nitti,
nel 1912, all'istituzione di un ente di diritto pubblico chiamato a gestire le assicurazioni sulla
vita in regime di monopolio. Dell'Ina Beneduce fu dapprima consigliere e dal 1916 amministratore delegato. Dopo la guerra ideoÁ e diresse il Consorzio di credito per le opere pubbliche (1919),
l'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilitaÁ (1924) e l'Istituto di credito navale (1928),
senza negarsi una breve esperienza al Ministero del lavoro nella compagine guidata dal suo
compagno di partito Ivanoe Bonomi (cfr. M. Franzinelli e M. Magnani, Beneduce. Il finanziere
di Mussolini, Milano, Mondadori, 2009, pp. 3-12).
98
Stringher guidoÁ la Banca d'Italia dal 1900 al 1930, fino al 1928 come direttore generale,
dopo quella data come governatore.
99
Cfr. De Cecco, Splendore e crisi del sistema Beneduce, cit., pp. 392-94 e Cianci, Nascita
dello stato imprenditore, cit., pp. 113-119.
96
32
central banking di cui si eÁ detto in precedenza. Sul piano soggettivo Toeplitz
riteneva di poter trattare con il direttore generale della Banca d'Italia da pari a
pari, senza doversi sottoporre a qualsivoglia forma di controllo o dipendenza
gerarchica. D'altra parte, dopo la liquidazione della Bis e il ridimensionamento
del Banco di Roma, il sistema creditizio italiano aveva accentuato il proprio carattere oligopolistico, perdendo quell'assetto policentrico che proprio Stringher
aveva cercato di coltivare sin dagli inizi del secolo battendosi per la sopravvivenza
di un terzo polo bancario, e quindi salvando la SocietaÁ bancaria italiana (Sbi) dalla
crisi del 1907 100, favorendo la nascita della Bis alla vigilia della Grande Guerra 101 e
tentando di far sopravvivere la banca «italianissima» nel dopoguerra. Proprio la
liquidazione della Bis e la gestione del suo portafoglio industriale per il tramite
della Banca nazionale di credito (Bnc) offrõÁ a Stringher per un po' di tempo la
possibilitaÁ di fare l'azionista di riferimento dell'Ansaldo, mettendolo «piuÁ di una
volta nella duplice (e in veritaÁ comoda) posizione di arbitro e giocatore», facendo
cioeÁ venir meno la neutralitaÁ allocativa della Banca d'Italia nel momento in cui,
come si eÁ visto, essa si candidava a diventare banca centrale nel senso piuÁ pieno del
termine 102. Tale paradosso creoÁ tensioni di non poco momento con la Bci che,
peraltro, tra il 1925 e il 1926 soffrõÁ di una crisi di liquiditaÁ che la obbligoÁ a
ricorrere al risconto di portafoglio presso la Banca d'Italia per una cifra ± 2 miliardi
di lire al 30 giugno 1925 ± equivalente al 30% della sua raccolta 103.
Alla luce delle considerazioni svolte fin qui, sarebbe logico ipotizzare che nel
1933 il cambio della guardia alla Bci fosse non solo inevitabile per ragioni anagrafiche, Toeplitz stava per compiere 67 anni, ma persino benefico dal momento
che, a partire dalla metaÁ degli anni Venti, per il banchiere italo-polacco era cominciata la parabola discendente che toccoÁ il punto piuÁ basso con la firma della
convenzione del 31 ottobre 1931 104. In quella circostanza, che coincise di fatto con
Sul salvataggio della Sbi si veda F. Bonelli, La crisi del 1907. Una tappa dello sviluppo
industriale in Italia, Torino, Einaudi, 1971.
101
Sulla nascita della Bis si veda E. Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e
nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale, «Rivista storica italiana», 1970,
LXXXII, fasc. 4, pp. 824-871 e A. M. Falchero, Banchieri e politici. Nitti e il gruppo AnsaldoBanca di Sconto, «Italia contemporanea», 1982, fasc. 146-147, pp. 67-91.
102
Sulla nascita della Bnc e sulle vicissitudini dell'Ansaldo fino alla sua riprivatizzazione si
veda L. Segreto, La nuova Ansaldo tra pubblico e privato, in Storia dell'Ansaldo, Volume V, Dal
crollo alla ricostruzione 1919-1929, a cura di G. De Rosa, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 41-71 (la
citazione eÁ a p. 43).
103
Cfr. G. Toniolo, Il profilo economico, in La Banca d'Italia e il sistema bancario: 19191936, a cura di G. Guarino e G. Toniolo, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 45-46. Questa crisi fu la
conseguenza della scelta effettuata da Toeplitz, nell'ottobre 1924, di spostare una parte consistente dell'attivo della Bci dai crediti denominati in lire, a rischio di svalutazione, ai titoli e alle
partecipazioni. La crisi di borsa del 1925-1926 segnoÁ il fallimento strategico di tale prospettiva
(cfr. Nardozzi e Piluso, Il sistema finanziario e la borsa, cit., pp. 28-30).
104
La convenzione del 31 ottobre 1931, firmata a Roma da Mussolini, dal ministro delle
Finanze Antonio Mosconi e dal governatore della Banca d'Italia Vincenzo Azzolini in rappresentanza del governo, e da Toeplitz, Ettore Conti e Ugo Baracchi per conto della Bci, decretoÁ il
passaggio del portafoglio dei valori industriali della Bci alla SocietaÁ finanziaria industriale italiana
100
33
la fine della banca mista in Italia, Toeplitz abbandonoÁ definitivamente lo status di
«padrone» della Bci per approdare nella scomoda posizione di «problema» dell'istituto di credito in cui brillava da tempo la stella di Mattioli, piuÁ consapevole dei
nodi da affrontare rispetto al predecessore-mentore e piuÁ propenso al dialogo con
Beneduce, plenipotenziario del regime in materia finanziaria. Non a caso, la disparitaÁ di trattamento tra la Bci e il Credit andoÁ attenuandosi dopo il 1931 105. Essa
peroÁ non scomparve mai del tutto perche affondava le sue radici nella diversa
natura dei gruppi dirigenti delle due banche: il primo dominato da un banchiere
puro, lontano dal fascismo e non disposto a scendere a patti con il «dittatore
dell'economia italiana», anche se l'arrivo di Mattioli miglioroÁ la posizione della
Bci sotto quest'ultimo, non irrilevante aspetto; il secondo affidato a un gruppo di
influenti capitalisti «manager delle proprie fortune» 106 ± il presidente del Credit
era Carlo Feltrinelli, il suo vice Giovan Battista Pirelli ± certamente vicini al
regime ma, soprattutto, leader di colossi industriali in grado di conferire maggior
forza contrattuale alle loro rivendicazioni 107.
(Sofindit), il cui capitale per l'occasione fu aumentato a 300 milioni di lire e, almeno formalmente,
sottratto al controllo della Bci. La Sofindit acquistoÁ una quota del capitale del Comofin arrivando
a controllarne circa la metaÁ (300 milioni su 630 milioni di lire); la parte restante del capitale della
holding di controllo della Bci fu sottoscritta dal sindacato «amici della Comit» che possedeva per
intero il capitale della Sofindit. A finanziare gli «amici della Comit» ± una serie di imprese
industriali vicine all'istituto di piazza della Scala ± fu la SocietaÁ commerciale d'Oriente (Comor),
controllata dalla Bci. CosõÁ la Bci, detentrice della maggioranza delle azioni del Comofin, si
sbarazzoÁ di esse solo formalmente, mentre sostanzialmente la partecipazione incrociata non fu
sciolta poiche gli «amici della Bci» erano finanziati da una controllata della Bci stessa. Le partecipazioni industriali della Bci, ad eccezione di quelle bancarie, dei titoli di Stato o garantiti dallo
Stato e delle obbligazioni industriali, furono cedute alla Sofindit per una cifra di poco superiore ai
4 miliardi di lire. La Sofindit, per il tramite dell'Istituto di Liquidazioni, versoÁ subito un miliardo
alla Bci, restando debitrice verso la banca milanese di circa 3 miliardi di lire. La liquiditaÁ cosõÁ
ottenuta servõÁ alla Bci per ridurre le sue esposizioni nei confronti della Banca d'Italia (cfr.
Confalonieri, Banche miste e grande industria, cit., pp. 639-643; G. Toniolo, Crisi economica e
smobilizzo pubblico delle banche miste (1930-1934), in Industria e banca nella grande crisi 1929-1934,
a cura di Id., Milano, Etas, 1978, pp. 303-308; R. Garruccio, La dissoluzione della banca mista. Il
caso della Comit 1931-1933, «Italia contemporanea», 1991, n. 185, pp. 601-624).
105
La convenzione aggiuntiva firmata dalla Bci il 19 novembre 1932 segnaloÁ una decisa
schiarita nelle relazioni tra il Ministero delle finanze, la Banca d'Italia e l'istituto di piazza della
Scala. Rispetto all'accordo dell'anno precedente essa fece lievitare considerevolmente, a quota
4.635.907.720 lire per l'esattezza, il portafoglio dei valori industriali trasmessi dalla Bci alla
Sofindit e stabilõÁ condizioni migliorative per la Bci. Il nuovo clima fu forse dovuto all'approdo
dell'ex presidente della Sofindit Guido Jung alle Finanze, ma fu sicuramente favorito dal processo di erosione del potere di Toeplitz all'interno di una banca sempre piuÁ affidata alle sapienti
cure di Raffaele Mattioli (per i dettagli sulla convenzione aggiuntiva si rinvia a Toniolo, Crisi
economica e smobilizzo, cit., pp. 313-316; su Jung cfr. N. De Ianni, Il ministro soldato. Vita di
Guido Jung, Soveria Mannelli, Rubettino, 2009).
106
L'espressione eÁ di Segreto, I Feltrinelli, cit., p. 335.
107
Franco Amatori ha scritto che molte imprese italiane, in tutte le epoche e sotto tutti i
regimi, si sono distinte per una tendenza a crescere «non tanto al fine di sfruttare le economie di
scala e di diversificazione» come avveniva negli altri paesi industriali avanzati, «quanto per
34
Ciononostante, quando nella primavera del 1931 gli uomini del Credit, approfittando della scadenza del sindacato che nel 1926 aveva portato Beneduce ai
vertici della Bastogi, tentarono una scalata alla finanziaria fiorentina con l'obiettivo di fonderla con l'Elettrofinanziaria, il veto congiunto del governo, della Banca
d'Italia e della presidenza Bastogi fu immediato. Altrettanto netto fu il rifiuto
opposto dalle autoritaÁ politiche alle proposte contenute in una «memoria riservatissima» che Carlo Feltrinelli fece pervenire a Mussolini il 1 o maggio 1932. Se
l'iniziativa del 1931 ± che vide Pirelli e Feltrinelli in posizione defilata e che fu
invece caldeggiata soprattutto da Carlo Orsi, amministratore delegato del Credit, e
da Giacinto Motta, che oltre a guidare l'Edison ricopriva la carica di presidente
dell'holding «Bnc Nuova», nata in seguito alla fusione tra il Credito Italiano e la
Bnc del 1930 ± avrebbe conferito alla galassia di interessi gravitante attorno a
piazza Cordusio un dominio indiscutibile in un settore trainante dell'economia
italiana come quello elettrico, quella del 1932 avrebbe consegnato agli «amici del
Credit» non solo le perle dell'Elettrofinanziaria, ma anche una banca finalmente
libera dal fardello della «pattumiera» Sfi 108.
Entrambe le opzioni, oltre a configurarsi come esempio da manuale di «socializzazione delle perdite» e «privatizzazione dei guadagni», presentavano il limite di
restare ancorate alla logica della banca mista, un modello che per Beneduce andava
abbandonato a tutti i costi, prescindendo dal fatto che a perorarne la causa fosse
un gruppo in ascesa come quello di piazza Cordusio, o uno in declino come quello
di piazza della Scala. La nuova spinta propulsiva all'economia italiana sarebbe
dovuta arrivare dalla «mano pubblica», coadiuvata dalla grande impresa privata
che non intendeva tirare i remi in barca e che aveva ancora tante carte da giocare,
come dimostroÁ la lucrosa retrocessione dell'Edison al suo vecchio gruppo di comando 109.
raggiungere posizioni dalle quali poter meglio contrattare col potere politico» (cfr. F. Amatori,
La grande impresa, in Storia d'Italia, Annale 15, L'industria, a cura di R. Giannetti e L. Segreto,
Torino, Einaudi, 1999, pp. 691-753; la citazione eÁ a pagina 702).
108
Sul tentativo di scalata alla Bastogi si rimanda a L. Segreto, Gli assetti proprietari, in
Storia dell'industria elettrica in Italia, Volume III, Espansione e oligopolio, 1926-1945, Roma-Bari,
Laterza, 1993, pp. 146-148; circa i dettagli della «memoria» si veda Toniolo, Crisi bancarie e
salvataggi, cit., pp. 126-131. Fondata il 27 gennaio 1931, la SocietaÁ Finanziaria Italiana (Sfi) fu
chiamata a raccogliere tutti i titoli manifatturieri della «Bnc Nuova» la quale, nell'estate di
quello stesso anno, alleggerita dai suoi titoli meno appetibili, sarebbe stata ribattezzata Elettrofinanziaria (cfr. Toniolo, Crisi economica e smobilizzo, cit., pp. 308-310).
109
A proposito di «socializzazione delle perdite» e «privatizzazione dei guadagni», nel
1933 l'Iri assorbõÁ il portafoglio titoli delle holding di smobilizzo della Bci e del Credit, compreso
un consistente pacchetto di azioni Edison, equivalente al 22 per cento circa del suo capitale. Due
anni piuÁ tardi un sindacato guidato dalla Banca Unione dei Feltrinelli riacquistoÁ 550 delle 600
mila azioni Edison in mano all'Iri, pagandole 398.750.000 lire. CosõÁ la societaÁ di Beneduce
vendette a 725 lire l'una azioni prese in carico a 640 lire, facendo registrare sulla carta una
plusvalenza di 46.750.000 lire, ma incassando in realtaÁ soltanto i 2/5 dell'intera somma in
contanti. La restante quota, infatti, fu pagata dall'Edison al Credit ± ormai nelle mani dell'Iri
± con obbligazioni del suo stesso gruppo (cfr. Segreto, Gli assetti proprietari, cit., pp. 153-157 e
Id., Giacinto Motta, cit., pp. 228-232).
35
5. CosõÁ vicini cosõÁ lontani, ovvero una comparazione che non regge fino in fondo
Tra gli anni Venti-Trenta e a cavallo del XXI secolo Toeplitz e Profumo hanno
condiviso e interpretato una filosofia del fare banca che si puoÁ riassumere nella triade
internazionalizzazione, distacco dalla politica, concezione della banca come impresa
chiamata prima di tutto a generare profitti o, per usare un'espressione oggi in voga, a
«creare valore» per gli azionisti. Quest'ultimo elemento chiarisce che la distanza dalla
politica, per Toeplitz come per Profumo, non eÁ consistita soltanto nel rifiuto del
compromesso al ribasso tipico dei banchieri «di palazzo», ma anche nella difficoltaÁ di
accettare la logica della banca «di sistema» cui si sarebbe ispirato il successore del
banchiere italo-polacco, Raffaele Mattioli, e che, per venire ai nostri giorni, sembra
aver dettato le scelte piuÁ importanti del gruppo dirigente di Intesa Sanpaolo.
Questa considerazione ci ha indotto a credere che alla prova della crisi, quella
degli anni Trenta cosõÁ come quella attuale, il modello Toeplitz-Profumo si fosse
rivelato perdente non tanto sul piano economico-finanziario quanto in termini piuÁ
generali; avevamo pensato che, ancor prima degli errori di gestione commessi guidando i rispettivi istituti, a condannare Toeplitz e Profumo fosse stata la loro
immagine di «indipendenti» costruita in una stagione che sembrava arridere a questo
archetipo. Costretti, in condizioni di avversitaÁ, a convertirsi alla mai rivendicata
banca «di sistema», Toeplitz e Profumo sarebbero apparsi poco credibili.
Sebbene questo argomento contenga alcuni elementi di veritaÁ, c'eÁ un fatto che
non si puoÁ ignorare se si vuol concludere correttamente il nostro parallelo. Nonostante il peggioramento dei conti seguito alla crisi del 2007, i fondamentali di
bilancio di UniCredit restano buoni, anche se condizionati dal drammatico deterioramento dello scenario macroeconomico verificatosi nel 2011, quando la crisi del
debito greco si eÁ allargata ai debiti sovrani di altri paesi, Italia compresa, ripercuotendosi sui loro sistemi bancari, compromettendo i conti di UniCredit, esposta nei
confronti dei titoli italiani come le altre banche della penisola, e correndo il rischio di
innescare una crisi di liquiditaÁ 110. La sommatoria di questi elementi ha ridimensionato la capitalizzazione di UniCredit chiamata, nel gennaio 2012, ad un aumento di
capitale da 7,5 miliardi di euro che si preannuncia particolarmente delicato, viste le
attuali condizioni del mercato.
Nel caso della Bci e del sistema bancario italiano degli anni Trenta, letteralmente colati a picco dalla crisi del 1931 e salvati da un articolato intervento di
pubblicizzazione durato circa tre anni, il discorso si pone in termini diversi. Quando
Toeplitz fu «congedato» dalla guida della Bci, la sua lunga e proficua parabola era
ormai definitivamente conclusa non riuscendo ad adattarsi alle rinnovate esigenze di
un sistema in trasformazione. Le condizioni per la sua uscita di scena erano mature,
110
Al giugno 2011 il debito pubblico italiano pesava per circa 40 miliardi di euro nei
bilanci di UniCredit, mentre il portafoglio di Intesa era gravato da titoli di stato italiani per
64,5 miliardi. Per questa ragione nell'ultima parte del 2011 le agenzie di rating hanno penalizzato le banche italiane, riducendone a piuÁ riprese l'affidabilitaÁ e peggiorandone l'outlook (cfr.
M. Mangano, S&P declassa sette banche italiane, «Il Sole 24 ore», 22.9.2011).
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anche se non puoÁ dirsi altrettanto della damnatio memoriae, ne del giudizio liquidatorio che lo avrebbe accompagnato a lungo in sede storiografica ± aspetti sui quali
incise sicuramente l'estraneitaÁ del banchiere al regime fascista. Al contrario, le
spiegazioni «ufficiose» del dimissionamento di Profumo richiamate nel primo paragrafo non appaiono soddisfacenti.
L'ipotesi che sia stato il mercato, deluso dai risultati ottenuti dal Ceo, a defenestrare il banchiere genovese contrasta con l'opacitaÁ e la precipitazione con cui la
rimozione eÁ stata portata a termine, proprio mentre Profumo stava seguendo dei
dossier delicatissimi per il futuro di UniCredit, su tutti la messa a regime della
«banca unica» 111. Persino negli Stati Uniti, paese il cui sistema bancario ha pesantemente risentito della crisi, le sostituzioni dei dirigenti rei di aver condotto gli istituti
di credito sull'orlo della bancarotta sono state sempre anticipate dalla nomina dei
successori, evitando di aggiungere al danno di gestioni disastrose, la beffa di cambi
della guardia convulsi e poco trasparenti.
Ma anche la seconda ipotesi sul tappeto, per quanto piuÁ fondata della prima,
presenta delle incongruenze. Sostenere che a far cadere Profumo siano state le
rivendicazioni della Lega sulla banca dei territori significa da un lato ingigantire la
forza di quel movimento sul tavolo della finanza 112 e dall'altro ignorare la valenza
propagandistica di molti dei suoi roboanti proclami, seguiti spesso da atteggiamenti
di stampo neo-doroteo. Quanto alle polemiche, sempre di impronta leghista, contro
la presenza libica nell'azionariato di UniCredit, sulla loro serietaÁ eÁ lecito avanzare
piuÁ di un dubbio dal momento che l'esecutivo di cui la Lega stessa era, all'epoca dei
fatti, un azionista di peso, ha costruito ponti d'oro a Gheddafi prima della sua
drammatica fine 113. Per concludere, e restando nell'alveo della lettura politica, chi
ha imputato la caduta di Profumo al «capitalismo di rito berlusconiano-geronziano» 114 ha dovuto fare i conti pochi mesi dopo con l'uscita di scena dello stesso
Geronzi, «licenziato» inaspettatamente dalla presidenza delle Generali a meno di un
anno di distanza dalla sua trionfale elezione. Ironicamente, anche per giustificare la
caduta del banchiere «di sistema» per antonomasia si eÁ parlato di non meglio precisati contrasti sulla corporate governance delle Generali. In un curioso capovolgimento di fronte, i giornali che avevano proposto un'interpretazione asettica della
fine di Profumo, hanno dato una lettura smaccatamente politica dell'uscita di scena
di Geronzi 115. Non eÁ questa la sede per approfondire un episodio legato al difficile
Cfr. P. Bricco, Chi ha paura di una banca autonoma?, «Il Sole 24 ore», 22.9.2010.
Nell'autunno del 2010 i leghisti non avevano ancora fatto il loro ingresso ufficiale in
Cariverona, fondazione decisiva nella partita contro Profumo (cfr. O. Giannino, I veri giubilatori
di Profumo, 22.9.2010, www.chicago-blog.it).
113
Si ricorderaÁ la famigerata visita ufficiale del leader della Jamaria in Italia ± era l'estate
2009 ± con tanto di tenda beduina impiantata nel centro di Roma. Una visita ancor meno
commendevole alla luce delle drammatiche vicende dell'ultimo anno e della guerra civile che
ha posto fine al quarantennale regime dispotico del leader libico.
114
L'espressione eÁ di Giannini, La vittoria dell'asse Berlusconi-Geronzi, cit.
115
La caduta di Geronzi eÁ stata collegata ai possibili movimenti nel patto di sindacato del
gruppo Rcs ± la casa editrice del «Corriere della Sera» ± di cui le Generali sono parte integrante (cfr.
111
112
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rinnovo del patto di sindacato di Mediobanca 116. In un'ottica generale si puoÁ arguire
che la caduta di Profumo e quella di Geronzi vadano inquadrate in un processo di
ridefinizione degli equilibri di potere all'interno della finanza italiana. Tale processo
eÁ reso ancor piuÁ turbolento, e imprevedibile negli esiti finali, dalla delicatezza della
congiuntura economica e dalla fragilitaÁ del quadro politico in cui eÁ destinato a
svolgersi. Giulio Tremonti, che dopo la partita giocata a Trieste nella primavera
scorsa pareva candidarsi al ruolo di novello Beneduce in grado di ridisegnare gli
equilibri del capitalismo italiano 117, al termine di un'estate difficile ± trascorsa tra le
imbarazzanti vicende giudiziarie di un suo stretto collaboratore e l'insostenibile
aumento dello spread tra Bund e Btp ± eÁ stato costretto alle dimissioni insieme al
governo di cui faceva parte. Il maõÃtre aÁ penser che si vantava di aver previsto la crisi
prima degli altri, l'acerrimo nemico del «mercatismo», brutto neologismo che ha
conosciuto una certa fama nel Belpaese, eÁ stato brutalmente archiviato dai mercati,
subendo l'onta di vedere arrivare nei posti chiave proprio i vituperati bankers: Mario
Draghi all'Eurotower e Mario Monti a Palazzo Chigi. Per converso, il nome di
Alessandro Profumo eÁ tornato a circolare quando, nel «toto-ministri» per il governo
tecnico in formazione, il banchiere eÁ stato indicato come un potenziale candidato
alla guida di un dicastero economico toccato in dote al collega Corrado Passera,
nuovo «uomo forte» della finanza nazionale.
Tornando al nostro lavoro, a distanza di oltre un anno dalla fine della sua
esperienza in piazza Cordusio, il mistero sull'uscita di scena di Profumo resta fitto.
All'indomani della conferenza stampa di presentazione di Federico Ghizzoni, nella
quale il neo Ceo di UniCredit si era limitato a confermare su tutta la linea l'impostazione del suo predecessore, sul quotidiano della Confindustria eÁ stato scritto:
«sui motivi del blitz resta il mistero. Un mistero che a detta degli ambienti finanziari eÁ
protetto da un impegno: la consegna del silenzio da parte di tutti i consiglieri. Con buona
pace del mercato che non troveraÁ mai risposta ai tanti dubbi sulla vicenda» 118.
ToccheraÁ agli storici del futuro dissipare i dubbi creatisi attorno a questa caduta.
Noi ci auguriamo che il nostro lavoro, con l'ausilio della storia, sia servito a evidenziare l'insufficienza delle spiegazioni offerte. Aggiungiamo che, sebbene la finanza sia da
sempre intrisa di un elemento romanzesco senza cui altro non sarebbe che una faccenda da contabili, questa vicenda dimostra ancora una volta che quello italiano resta
un capitalismo poco trasparente. Tra patti di sindacato e commistioni con la politica
esso rischieraÁ sempre di trasformare in congiure di palazzo e spietate guerre sotterranee quelli che altrove sarebbero considerati dei normali e fisiologici avvicendamenti.
F. Forte, Ponderata e puntuta difesa del banchiere di sistema che combatteva il sistema annidato in Rcs,
«Il Foglio», 8.4.2011; A. Sallusti, Il Corriere, Geronzi e Berlusconi, «Il Giornale», 8.4.2011).
116
Cfr. M. Mucchetti, Trieste, la svolta del capitalismo italiano e i nuovi equilibri di Piazzetta
Cuccia, «Corriere della Sera», 7.4.2011.
117
Cfr. S. Cingolani, Con Galateri eÁ completata la rivoluzione Generali che piace a Mediobanca, «Il Foglio», 9.4.2011.
118
Cfr. La consegna del silenzio, «Il Sole 24 ore», 2.10.2010 (corsivo siglato A. Ol.).
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