Programma - Società del Quartetto di Milano

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Programma - Società del Quartetto di Milano
STAGIONE
2008-09
Sabato
28 marzo 2009
ore 20.30
Sala Verdi
del Conservatorio
Radu Lupu pianoforte
16
Filarmonica George Enescu
Cristian Mandeal direttore
Consiglieri di turno
Direttore Artistico
Marco Bisceglia
Luciano Martini
Paolo Arcà
Con il contributo di
Con il contributo di
Con la partecipazione di
Sponsor istituzionali
Con il patrocinio e il contributo di
Con il patrocinio di
È vietato prendere fotografie o fare registrazioni, audio o video, in sala
con qualsiasi apparecchio, anche cellulare.
Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo dopo la fine di ogni composizione,
durante gli applausi.
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico
il clima più favorevole all’ascolto, si invita a:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse…);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Radu Lupu pianoforte
Filarmonica George Enescu
Cristian Mandeal direttore
Ludwig van Beethoven
(Bonn 1770 – Vienna 1827)
Egmont, Ouverture in fa minore op. 84 (10’)
Concerto per pianoforte e orchestra in do minore n. 3 op. 37 (40’)
Intervallo
Louis-Hector Berlioz
(La Côte-St-André, Isère 1803 – Parigi 1869)
Symphonie fantastique op. 14 (50’)
Il concerto è organizzato in collaborazione con l’Ambasciata di Romania in Italia
nell’ambito degli scambi culturali tra Italia e Romania.
Ludwig van Beethoven
Egmont, Ouverture in fa minore op. 84
Concerto per pianoforte e orchestra
in do minore n. 3 op. 37
Allegro con brio
Largo
Rondò. Allegro
Goethe e Beethoven rappresentano le maggiori personalità della cultura tedesca del primo Ottocento. I loro rapporti personali purtroppo rimasero sporadici, benché il musicista avvertisse in maniera profonda il carisma del grande
poeta. «Se scrive a Goethe di me – recita una lettera di Beethoven a Bettina
Brentano del 10 febbraio 1811 – scelga con cura ogni parola per esprimergli
tutta la mia più profonda venerazione e ammirazione. Sono anch’io in procinto di
scrivergli a proposito di Egmont: l’ho messo in musica unicamente per amore
delle sue poesie che mi fanno sentire felice. Ma si potrà mai ringraziare abbastanza un grande poeta, il gioiello più prezioso di una nazione?».
Le musiche di scena per la tragedia Egmont, scritte in occasione di una ripresa
del lavoro a Vienna, rappresentano il punto di maggior contatto artistico tra le
due grandi personalità. L’intervento di Beethoven consisteva in una Ouverture
e nove numeri musicali, che includono due Lieder per soprano e orchestra, vari
episodi strumentali, una musica di accompagnamento alla recitazione (melodramma) e infine la cosiddetta Siegessymphonie (Sinfonia della vittoria). La
rappresentazione di Egmont con le musiche di scena di Beethoven avvenne alla
Wiener Hofbühne il 24 maggio 1810. Goethe ringraziò Beethoven per aver
espresso i valori del testo “con rimarchevole genio”, ma rimase sempre distante dalla sua musica, malgrado i musicisti più giovani, come Mendelssohn, si sforzassero di metterne in risalto il valore ai suoi occhi.
L’Ouverture passa dalle oscure profondità della lugubre tonalità di fa minore
alla luminosa affermazione del modo maggiore, che esplode alla fine con la massima enfasi portando con sé un sentimento di sollievo. La musica esprime a
fondo il carattere e l’atmosfera del dramma, ma conserva la forma della sonata.
L’architettura dell’Ouverture segue le proporzioni della struttura classica, con
un senso vitale della forma e una forza espressiva degna dei lavori migliori dell’autore. Il lavoro sviluppa la consueta tripartizione (esposizione – sviluppo –
ripresa), alla quale si aggiungono un’introduzione lenta di carattere doloroso e
una trionfale coda conclusiva, che cita un tema dell’ultimo numero, la cosiddetta Sinfonia della vittoria. La sezione dello sviluppo è contenuta e meno elaborata rispetto alle sinfonie di quegli anni, la Quinta e la Sesta. Trattandosi di un
lavoro per il teatro di poesia, Beethoven non conferiva all’ouverture l’importanza spirituale riservata alle grandi forme della musica strumentale, come le
sinfonie e i concerti. L’introduzione discende dal sentimento di oppressione e di
solitudine espressa nella grande pagina sinfonica che apriva l’Atto II di Fidelio.
Egmont e Florestano appartengono entrambi alla stirpe delle anime infelici, che
sperano di trovare salvezza nella pietà e nella virtù degli uomini giusti.
Beethoven aveva trent’anni quando scrisse il Terzo Concerto per pianoforte. In
realtà si trattava del quarto, dal momento che il musicista non volle mai pubblicare un concerto composto a 14 anni. In questo nuovo lavoro, dettato come i precedenti dalla necessità di affermarsi a Vienna come interprete, Beethoven usa
la tonalità di do minore come base dell’opera. Anche Mozart aveva impiegato il
do minore in uno dei suoi concerti di carattere più drammatico. Proprio su questa strada Beethoven intende riallacciarsi al modello di Mozart, conferendo al
rapporto tra il solista e l’orchestra una tensione drammatica ancor più esasperata e travolgente. Le turbolente emozioni espresse in questo Concerto richiedevano una scrittura viva e all’erta, che fino al momento della prima esecuzione,
il 5 aprile 1803, rimase quasi nella penna del musicista. Dalla testimonianza dell’amico che voltava le pagine, sappiamo come la parte del pianoforte, suonata da
Beethoven, fosse appena abbozzata e riempita con indicazioni per l’improvvisazione. Il testo fu steso per intero soltanto l’anno successivo, a vantaggio dell’allievo e pianista Ferdinand Ries. Nel corso di quella memorabile serata del 1803,
il pubblico viennese ascoltò anche la Prima e la Seconda Sinfonia, oltre all’oratorio Cristo sul Monte degli Olivi.
Il pianoforte usato da Beethoven nel 1803 era molto differente da quelli a cui
sono abituati gli interpreti d’oggi. I fortepiani del primo Ottocento disponevano
di una voce molto più morbida e leggera, mentre la tastiera più delicata non
avrebbe sopportato la maniera robusta di suonare oggi del tutto normale nelle
sale da concerto. Beethoven invece non amava molto lo stile delicato richiesto da
quel genere di strumenti, molto più adatti a un tipo di virtuosismo agile e leggero, basato sulla rapidità e sulla varietà degli abbellimenti. Lo sapevano bene i
padroni di casa, costretti spesso a far sostituire le corde rotte degli strumenti
quando Beethoven esibiva la sua impetuosa maniera di suonare. L’irruenza dell’ingresso del pianoforte, nell’“Allegro con brio”, iniziale, testimonia la maniera
nuova di affrontare il confronto tra solista e orchestra. Il magnifico “Largo”
seguente, nella lontanissima tonalità di mi maggiore, si esprime in maniera più
lirica, ma non per questo meno appassionata del precedente. L’orchestra si fa da
parte nel movimento centrale, ma riprende il vigore dell’inizio con il “Rondò.
Allegro” conclusivo. In questo pirotecnico finale il pianoforte gareggia fino
all’ultimo con gli altri strumenti, sprigionando un’energia e una vitalità assolutamente sconosciute agli interpreti del suo tempo.
Louis-Hector Berlioz
Symphonie fantastique op. 14
Rêveries et Passions
Un bal
Scène aux champs
Marche au supplice
Songe d’une nuit de sabbat
Un quadro del 1844 di Turner, Rain, steam and speed (Pioggia, vapore e velocità), destò un grande scalpore. Raffigurava una locomotiva a vapore che percorre un ponte sul fiume. Federico Zeri spiegava le ragioni dello scandalo:
«Come protagonista del dipinto non c’è più un eroe dell’antichità o un fatto mitologico, non c’è più un soggetto sacro relativo ai Vangeli, alle storie dei Santi o alla
storia religiosa dei tempi passati; non abbiamo più un quadro con intenti patriottici e neppure abbiamo più nemmeno un paesaggio puro. Qui c’è la celebrazione
della locomotiva a vapore, prodotta nel 1825 diciannove anni prima dell’esecuzione del dipinto». La locomotiva, invece, rappresentava per i giovani un oggetto forse infernale, ma affascinante. «Sento il battito del cuore, le sue pulsazioni
mi scuotono come i pistoni martellanti di una macchina a vapore – scriveva
Berlioz all’amico Humbert Ferrand agli inizi del 1830 – Ogni muscolo del corpo
trema dal dolore». La metafora usata dall’artista, in procinto di dare al mondo
la Symphonie fantastique, rivela fino a che punto la sensibilità dei giovani
romantici fosse legata allo sviluppo della città moderna. Nella stessa lettera,
inoltre, Berlioz annunciava all’amico di aver iniziato un grande lavoro sinfonico,
“concepito in un nuovo genere”.
La crisi era il culmine di un periodo d’instabilità emotiva, legato alla passione
per l’attrice Harriet Smithson. Una lettera al padre, scritta pochi giorni dopo
quella a Ferrand, recita: «Questo mondo immaginario (ce monde fantastique) fa
ancora parte di me, ed è cresciuto grazie all’aggiunta di tutte le nuove impressioni sperimentate man mano che procede la vita; è divenuta una vera malattia.
Qualche volta riesco appena a sopportare questo dolore fisico o mentale (non
posso separare i due aspetti), specie nelle belle giornate estive quando mi trovo,
da solo, in luoghi all’aperto come i giardini delle Tuilleries (…) Guardo quel
vasto orizzonte e il sole, e soffro così tanto, così tanto, che se non mi contenessi
mi metterei a urlare e a rotolarmi per terra. Ho trovato soltanto una maniera di
soddisfare completamente quest’immensa fame d’emozioni, e questa è la musica. Senza di essa, sono certo che non riuscirei a sopravvivere».
Berlioz terminò nel giro di tre mesi la Symphonie fantastique. Il lavoro fu eseguito il 5 dicembre 1830 nella sala del Conservatorio, con l’orchestra diretta da
Habeneck, riscuotendo un clamoroso successo. La partitura subì una sostanziale revisione negli anni successivi e raggiunse la forma definitiva all’epoca della
trascrizione per pianoforte di Liszt, nell’estate del 1833. La prima edizione fu
pubblicata nel 1845 e una seconda, con qualche modifica minore, comparve l’anno successivo.
Una delle novità più clamorose consisteva nella presenza di un programma letterario, che nel tempo si è trasformato in modo consistente. L’autografo della
Sinfonia riporta due citazioni, aggiunte durante la revisione del 1831/1832. La
prima consiste in un ampio estratto dal poema Feuilles d’automne di Victor
Hugo, la seconda in una battuta di Gloucester da Re Lear (IV, I 36): «Noi siamo
per gli dèi quel che sono le mosche pei fanciulli spensierati: ci ammazzano per
loro svago». Fino al 1846 Berlioz non modificò la struttura narrativa, ma in
seguito stravolse completamente il testo originale. In origine soltanto le due
scene finali, ovvero la Marche au supplice e Songe d’un nuit de sabbat, costituivano le visioni procurate dall’oppio, mentre nella versione finale l’intera
Sinfonia rappresenta il sogno delirante dell’eroe. Nella versione del 1846,
Berlioz descriveva in questi termini il primo movimento, Rêveries – Passions:
«Il compositore immagina che un giovane musicista, turbato da quella malattia
spirituale che un famoso scrittore ha chiamato le vague des passions veda per
la prima volta una donna in possesso di tutte le qualità della creatura ideale che
ha sempre sognato, e s’innamora disperatamente di lei». Lo scrittore era
Chateaubriand, che parlava del vague des passions in René. Anche la famosa
idée fixe, che si ripresenta in varie forme nel corso di tutto il lavoro, trova delle
corrispondenze precise nella lettaratura del primo Ottocento, in particolare nel
racconto di E.T.A. Hoffmann Automata. Shakespeare, Hugo, Chateaubriand,
Hoffmann, ma anche De Quincey attraverso Musset (l’oppio) e la sterminata
schiera di scrittori romantici dediti alla confessione autobiografica: una folla di
letterati si affaccia dalla partitura di Berlioz, che manifestava una spiccata tendenza a mescolare il teatro e la letteratura al linguaggio musicale. Occorre tener
presente, infatti, che Berlioz aveva immaginato a un certo punto anche una
forma drammatica per la Sinfonia fantastica, concepita come una sorta di prologo musicale, suonato da un’orchestra nascosta dietro una tenda, al monodramma Lélio ou Le retour à la vie, con il quale si concludeva l’Episodio della vita
d’un artista.
Vita e letteratura si mescolavano in maniera indissolubile nella Sinfonia fantastica. In ciò consisteva il “genere nuovo” di cui parlava l’autore. La forma e il linguaggio della Sinfonia, infatti, non si discostavano in maniera sostanziale dal
modello di Beethoven. Lo schema dei movimenti, che in origine erano quattro,
senza il secondo episodio, Un bal, mostra un disegno simile a quello della sinfonia classica:
Largo (do minore) – Allegro (do maggiore)
Adagio (fa maggiore)
Marcia, Allegretto ( sol minore)
Finale (do maggiore)
La necessità di sovrapporre un programma narrativo alla musica nasceva piuttosto dal desiderio di esprimere quel monde fantastique che la musica, da sola,
non era in grado di restituire. La confessione autobiografica, esplosa negli anni
Trenta con la generazione di scrittori romantici, è un elemento indispensabile
per comprendere la portata rivoluzionaria del lavoro di Berlioz. Il carattere bizzarro, anticonformista e visionario della musica si esprimeva soprattutto nella
dimensione fisica del suono. Nell’orchestra di Berlioz trovarono posto strumenti provenienti dal teatro d’opera e dalle bande militari. La novità sconvolgente
del lavoro consisteva nel raffigurare un mondo nuovo all’interno della cornice
tradizionale. Il Sabbath delle streghe stravolge in maniera grottesca la sequenza del Dies irae e l’immagine stessa della donna amata. La violenza espressiva
di questa scena musicale è paragonabile alla devastante corsa del treno di
Turner. Dietro le immagini di un monde fantastique c’era la confessione di un
subbuglio d’origine oscura, che si esprimeva nella forma tradizionale di una storia d’amore. Ma nella poesia del mondo moderno amore non faceva più rima con
cuore, bensì con macchina a vapore.
Oreste Bossini
RADU LUPU pianoforte
Nato in Romania nel 1945, Radu Lupu ha iniziato lo studio del pianoforte a sei
anni con Lia Busuioceanu, Florica Muzicescu (maestra di Dinu Lipatti) e Cella
Delavranca. A dodici anni ha debuttato con un programma costituito esclusivamente da musiche di sua composizione.
Nel 1961 è entrato con una borsa di studio al Conservatorio di Mosca, dove ha studiato fino al 1969 con Galina Eghyazarova, Heinrich Neuhaus e, in seguito, con
Stanislav Neuhaus.
Vincitore di tre importanti concorsi (Van Cliburn 1966, Enescu e concorso di Leeds
1969), nel 1989 ha ricevuto il prestigioso premio “Abbiati” dell’Associazione dei
Critici Italiani. Nel 2006 il Premio Arturo Bendetti Michelangeli e, per la seconda
volta, il Premio Abbiati, per le sue interpretazioni di Schumann.
Considerato uno dei più grandi pianisti della sua generazione, ha suonato per i
maggiori centri musicali e festival in Europa (in particolare a Salisburgo e
Lucerna), negli Stati Uniti e in Estremo Oriente sia in recital che in concerto con
orchestre di primo piano quali Berliner Philharmoniker con cui ha debuttato nel
1978 al Festival di Salisburgo diretto da Herbert von Karajan, Wiener
Philharmoniker, Concertgebouw di Amsterdam, le maggiori orchestre londinesi e
tutte le grandi orchestre americane in collaborazione con direttori quali Daniel
Barenboim, Carlo Maria Giulini, Riccardo Muti, Georg Solti.
Tra le numerose resgistrazioni discografiche ricordiamo i recital dedicati a
Beethoven, Schubert e Brahms, il ciclo dei concerti beethoveniani con la Israel
Philharmonic e Zubin Mehta, le Sonate per pianoforte e violino di Mozart con
Szymon Goldberg, la registrazione delle Sonate D 664 e D 960 di Schubert che ha
meritato il Grammy Award nel 1995, Kinderszenen, Kreisleriana e Humoresque di
Schumann (Premio Edison 1995), due dischi con Murray Perahia, due raccolte di
Lieder di Schubert con Barbara Hendricks e le composizioni per pianoforte a quattro mani di Schubert con Daniel Barenboim.
È stato ospite della nostra Società nel 1973, 1988, 1990, 1994, 1996, 1999, nel 2001
per il ciclo “Grandi pianisti alla Scala” e nel 2005.
CRISTIAN MANDEAL direttore
Nato nel 1946, Cristian Mandeal ha studiato pianoforte, composizione e direzione
d’orchestra a Brasov e Bucarest. Ha inoltre preso parte a corsi di perfezionamento
tenuti da Herbert von Karajan a Berlino e da Sergiu Celibidache a Monaco. Fino al
1990 la sua carriera internazionale si è svolta principalmente nell’Europa dell’est,
ma dopo gli eventi politici del 1989 le sue prestazioni artistiche nell’Europa occidentale sono divenute sempre più frequenti. Mandeal ha diretto orchestre di grande prestigio (Staatskapelle di Dresda, Royal Liverpool Symphony, RIAS di Berlino,
Israel Philharmonic, City of Birmingham Symphony Orchestra, Orchestra di
S. Cecilia) nel mondo intero, con importanti solisti ospiti.
Dal 1991 è direttore stabile e general manager della Filarmonica Goerge Enescu
di Bucarest che ha portato in oltre 20 paesi, dal Portogallo al Giappone, alla Corea
del Sud a Singapore.
Cristian Mandeal è anche direttore artistico della Orchestra Sinfonica Euskadi in
Spagna e dal 2005 è principale direttore ospite della Hallé Orchestra di
Manchester. Nel 2001 e 2003 è stato direttore artistico del Festival e Concorso
Internazionale George Enescu.
Cristian Mandeal è un infaticabile promotore della musica di George Enescu; ha
eseguito Oedipe, il capolavoro del grande compositore romeno a Bucarest, alla
Deutsche Oper di Berlino e al Teatro Lirico di Cagliari oltre che in una versione
concertistica a Edimburgo.
Ha al suo attivo numerose registrazioni. Ricordiamo le Sinfonie di Bruckner con
l’Orchestra Filarmonica della Transilvania, tutte le Sinfonie e le opere sinfoniche
per orchestra e voci di Brahms e per Arte Nova l’integrale delle composizioni sinfoniche di Enescu, con la Filarmonica George Enescu.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
FILARMONICA GEORGE ENESCU
Nel 1868 fu fondata la Società Filarmonica Romena, che in seguito prese il nome
di Filarmonica George Enescu, la più prestigiosa istituzione musicale in
Romania. All’epoca la Società Filarmonica era diretta da Eduard Wachman, che
ambiva a creare un’orchestra sinfonica stabile, in grado di promuovere la cultura
musicale e divulgare il grande repertorio classico. Fin dall’inizio (5 marzo 1889),
i concerti dell’orchestra furono ospitati nel Palazzo dell’Athenaeum, che ben presto
divenne la sede della Filarmonica e un simbolo della città di Bucarest. Durante la
gestione di George Enescu, dal 1920, il repertorio si modernizzò e la Filarmonica
debuttò in ambito internazionale in collaborazione con direttori e solisti quali
Jacques Thibaud, Pablo Casals, Igor Stravinskij, Enrico Mainardi, Alfred Cortot,
Maurice Ravel, Richard Strauss e Herbert von Karajan.
Al termine della guerra la Filarmonica estese la sua attività; venne fondato il coro
accademico e si formarono diversi complessi cameristici. Alla morte di George
Enescu, nel 1955, la Filarmonica ne prese il nome.
L’orchestra collabora stabilmente con grandi personalità musicali quali Georges
Prêtre, Ghenadi Rojdestvensky, Zubin Mehta, Shura Cherkassky, Aldo Ciccolini,
Alicia de Larrocha e Radu Lupu.
Attualmente Cristian Mandeal è direttore stabile e general manager dell’orchestra
– in precedenza diretta da Constantin Silvestri, Mircea Basarab, Dumitru
Capoianu, Ion Voicu e Mihai Brediceanu – e Nicolae Licaret ricopre il ruolo di
direttore artistico. Con i suoi complessi la Filarmonica esegue circa 300 concerti
l’anno; ha inciso numerosi LP e CD ed ha effettuato importanti tournée in
Europa, Asia ed Estremo Oriente.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Prossimi concerti:
martedì 31 marzo 2009, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Angelika Kirchschlager mezzosoprano
Helmut Deutsch pianoforte
Angelika Kirchschlager, nata a Salisburgo e cresciuta musicalmente a Vienna, è
una delle voci di mezzosoprano più apprezzate a livello internazionale nel
repertorio classico e del Novecento, in particolare per le opere di Mozart e di
Strauss. Come altri interpreti della sua generazione, Angelika Kirchschlager ha
coltivato la passione per il mondo del Lied in parallelo con la carriera teatrale,
accostando con gusto raffinato autori in apparenza molto lontani uno dall’altro.
Assieme al pianista Helmut Deutsch, con il quale forma un duo da parecchi anni,
il mezzosoprano austriaco torna al Quartetto con un programma che mescola il
mondo di Schubert alla musica di due autori di origine ebrea, Kurt Weill e Erich
Wolfgang Korngold, che hanno trovato rifugio e popolarità negli Stati Uniti.
Programma (Discografia minima)
F. Schubert
The complete songs
A cura di Graham Johnson
(Hyperion 44201/40)
E.W. Korngold
Lieder op. 38
(Kirchschlager / Deutsch, Sony 68344)
K. Weill
Je ne t’aime pas
Complainte de la Seine
(Coro Radio Svizzera, Assai 207192)
Der Abschiedsbrief
(Pamela Alexander, Laurel)
martedì 7 aprile 2009, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
La Risonanza
Fabio Bonizzoni direttore
Maria Grazia Schiavo, Gabriele Hierdeis, Gabriella
Martellacci, Makoto Sakurada, Sergio Foresti solisti
Händel – La Resurrezione, Oratorio HWV 47
Società del Quartetto di Milano
via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it
e-mail: [email protected]
SCONTO PER I SOCI AL MASCAGNI PARKING
La Società del Quartetto ha definito un accordo con l’APCOA, titolare della gestione del Mascagni Parking, per riservare ai nostri Soci, nelle sere di concerto, una
consistente agevolazione: tre ore di parcheggio (da utilizzare tre le 19.30 e le 23.30)
al prezzo di 5 anziché 9 Euro.
I buoni sono acquistabili nel foyer durante l'intervallo o comunque presso la
sede di via Durini, previa prenotazione telefonica (02 795.393) o via e-mail
([email protected]).