Tristi giorni di gloria
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Tristi giorni di gloria
BOSSI I 90 anni di Monza Tristi giorni di gloria ei paesi anglosassoni sui biglietti me accertate, che in questo racconto a e, tre giorni più tardi, una gara per vettud'ingresso ad un evento moto- capitoli delle vicende dell'impianto lom- re sport denominata Gran Premio Supercortemaggiore in onore dello ristico è stampato in maniera bardo non potevano essere ignorate. sponsor petrolifero. Proprio lì, a Monza. chiara che lo "spettacolo" a cui si va ad Sulle strade del principato monegasco assistere è pericoloso. Anche Monza non Il nome simbolo, Alberto Ascari ha avuto uno dei rari incipoteva prescindere da questo concetto Alberto Ascari e quindi nei suoi novant'anni di vita le Tanto si è detto, scritto, ipotizzato e an- denti della sua carriera volando in mare tragedie sono andate di pari passo con la che fantasticato, su quel 26 maggio del con la sua Lancia D50. Tornato a casa per ricerca della vittoria ma, soprattutto su 1955. Tutto sommato un anonimo gio- lui i dottori hanno prescritto il riposo, alquesta pista, con lo sviluppo della sicu- vedì compresso fra due corse internazio- meno fino al successivo Gran Premio del rezza dei suoi partecipanti. Siano essi gli nali importanti. La domenica prima con il Belgio di quindici giorni dopo. Invece attori principali come i piloti, oppure ritorno della Formula Uno a Montecarlo Ascari non resiste e, in tarda mattinata di quel fatidico giovedì, arriva protagonisti dietro le in Autodromo per seguire quinte quali meccanici e Nella sua lunga storia, l'autodromo la preparazione della rivacommissari o gli stessi brianzolo ha conosciuto giorni di tragedia. le Ferrari per l'imminente semplici spettatori. Un gara monzese. Con lui l'atriste conto che elenca Ecco la loro cronaca. mico Gigi Villoresi e, ai poco più di novanta vitti- N 48 LA NOSTRA STORIA box, trova il suo "erede" Eugenio Castellotti, appena sceso dalla 750 Monza di 3 litri che il lodigiano sta provando per l'imminente maratona. Un saluto, un invito, la partenza. Dopo un paio di passaggi davanti ai box la Ferrari ha un sussulto all'altezza della Curva del Vialone. Il motore si ammutolisce e i rumori cessano. Così come, improvvisamente, cessa la vita del più grande pilota italiano del dopoguerra. Molto si è detto di quell'attimo, all'ora di pranzo di un giovedì primaverile, dove tragedia e leggenda si sono mischiate. La più probabile fra le versioni ci racconta di un operaio impegnato nella costruzione della vicina Sopraelevata Nord che, con evidente imprudenza, ha attraversato la sede stradale di quel lungo curvone a sinistra. Proprio mentre arrivava la 750 Monza, ancor grezza nel color alluminio in attesa di essere verniciata nel già famoso rosso Ferrari. Due giorni dopo, mentre i vari Hawthorn, La drammatica partenza del Gran Premio del 1978, subito interrotto per l’incidente che causerà poi la morte di Ronnie Peterson. Sotto, Ascari sorridente dopo una vittoria. Musso, lo stesso fresco vincitore di Monaco, Trintignant, provano a Monza, nella vicina Milano la città si fermava per rendere omaggio al suo campione. Ancora oggi, nei documenti ufficiali, quella piega a sinistra si chiama Curva del Vialone, ma da quel giorno a furor di popolo ha preso il nome di Ascari, ribadito un ventennio più tardi quando al suo interno è stata creata la prima celebre variante. I primi tragici Gran Premi Il tragico incidente di Ascari riportava un velo nero sulla pista monzese dopo sedici anni dall'ultima vittima a quattro ruote, Emilio Villoresi, fratello di quel Gigi che era stato proprio il miglior amico dello stesso Ascari. Come spesso succedeva in quegli anni, le cause reali di un incidente non erano facili da decifrare. Anche nel caso di Villoresi spuntarono varie versioni, da un'improvvisa congestione del pilota alla rottura dello sterzo della sua Alfa 159, per l'improvviso scarto a sinistra all'uscita del Curvone che lancia le auto verso le successive curve di Lesmo. Inoltre, l'incidente era avvenuto durante una sessio- 49 LA NOSTRA STORIA In alto, gli inutili soccorsi a Ugo Sivocci. Sopra, Giuseppe Campari. In basso, il tedesco della Ferrari, Taffy Von Trips, ed un fotogramma della carambola che costò la vita a lui ed a quindici spettatori. 50 ne di prove private in tempi in cui, in queste occasioni, non erano previsti commissari lungo il percorso. Erano gli stessi uomini ai box che, nel non vedere passare l'auto davanti a loro, intuivano che si era verificato un problema, spesso di natura tecnica e con nessuna conseguenza drammatica. A volte, purtroppo, la situazione si presentava nella sua drammaticità agli occhi dei primi soccorritori. Lo stesso Enzo Ferrari lo sperimentò in prima persona sabato 8 settembre del 1923, giorno di prove in vista del Gran Premio d'Italia previsto il giorno dopo. Infatti, ci fu anche Ferrari fra coloro che portarono le prime inutili cure all'amico Ugo Sivocci che si era schiantato contro un albero. L'incidente dell'italiano avveniva un anno esatto dopo la morte, sempre il sabato del Gran Premio, del pilota della Austro Daimler, il tedesco Gregor "Fritz" Kuhn. Quindi, ad una sola settimana dall'inaugurazione del circuito, celebrata con la gara delle Vetturette del 3 settembre, Monza richiedeva già il suo tributo in termine di vite umane. Due settimane prima del tragico evento di Sivocci del '23 c'era stato, proprio in preparazione del Gran Premio d'Italia, il decesso al vicino ospedale monzese del pilota della Fiat Enrico Giaccone, uscito di pista mentre stava percorrendo alcuni giri di pista seduto al fianco dell'altro pilota ufficiale della squadra torinese, Pietro Bordino. Dopo Khun nel '22, Giaccone e Sivocci l'anno dopo, ecco che anche il Gran Premio del 1924 è offuscato da una tra- Tanta paura e poco più La lista delle vittime in Autodromo avrebbe potuto essere più lunga perchè, oltre agli eventi mortali successi, un gran numero incidenti si sono risolti solo con danni ai mezzi o agli stessi piloti. Difficile, se non impossibile, elencare tutti questi avvenimenti, ma alcuni sono famosi sia per la dinamica avuta sia per i loro protagonisti. Schiere di piloti, ma anche di commissari di pista, hanno fatto ricorso alle cure mediche per incidenti più o meno gravi, causati a volta per imperizia loro o per mancanza di elementari norme di sicurezza. Per questo partiamo da una banale uscita di pista, l'8 giugno del 1952, che però ebbe come conseguenza di fermare per un anno la stagione del Campione del Mondo in carica Juan Manuel Fangio (a destra). Arrivato in circuito alle due del pomeriggio, dopo un estenuante viaggio notturno in auto da Parigi a Monza, salì sulla sua Maserati da Gran Prix per una gara minore. Al secondo giro, per un errore dovuto alla stanchezza, volò letteralmente negli alberi di Lesmo con il risultato di tre mesi di gesso e stagione finita. Molti altri piloti sono planati contro le piante del Parco di Monza, soprattutto a Lesmo. Ha fatto storia l'uscita di pista del neozelandese Chris Amon con la Ferrari durante il Gran Premio del 1968 (in basso), anche perché mentre era in volo ebbe la freddezza di staccare il condotto della benzina per evitare ulteriori drammi. Sorte peggiore, nello stesso punto, era capitata una decina d'anni prima, quando il milanese Dino Montevago subì l'amputazione di un piede dopo essersi accartocciato con la sua F.Junior attorno ad un albero. Sorte più dura per l'argentino Adrian Hang, durante una gara di SuperFormula del 1996, quando, a poche centinaia di metri dalla prima variante, una toccata lo spedì contro le barriere ai lati della pista con il risultato di subire la perdita di una gamba e di un piede. Sia Montevago che Hang erano sconosciuti al grande pubblico, esattamente come il bergamasco Michele Speciale, rimasto paralizzato in seguito ad un volo durante una gara del Trofeo Cadetti nel 1969. Altro pilota della categoria formativa dell'AC Milano a subire gravi conseguenze, che ne decretano la fine all'ancor giovane carriera, è il monzese Andrea Carpani protagonista di una serie impressionante di ribaltamenti in prima variante nel settembre 2002, a cui è seguita una lunga serie di operazioni mediche per ristabilirsi. Negli anni Sessanta il maggior nemico dei piloti però era il fuoco e il 1968 fu un anno particolare sotto questo aspetto. Si cominciò con l'incendio improvviso della Alfa Gta del tedesco Schultze alla 4 Ore, con il pilota che riuscì a salvarsi uscendo dal parabrezza esploso un attimo prima di essere divorato dalle fiamme. Sorte capitata invece alla sua Alfa perché l'autopompa inviata sul luogo dell'incidente trovò la strada di servizio sbarrata da quelle del folto pubblico. Altri due suoi connazionali, Willy Kausen e Karl Von Wendt, hanno visto impotenti a bordo pista le proprie Porsche prototipo andare completamente distrutte dalle fiamme in due distinti incidenti durante una lunga sessione di test a dicembre. Ma di quell'anno così famoso, il Sessantotto, restano impressi i fotogrammi del tremendo incidente a sette, fra cui tre Ferrari ufficiali, all'uscita della Parabolica con il volo del francese Jean Pierre Jaussaud sbalzato a bordo pista dall'abitacolo della sua Tecno. La colonna di fuoco alzatasi subito creò panico anche fra i telespettatori di quel Gran Premio Lotteria di F2 che la Rai stava trasmettendo in diretta. Una ventina d'anni dopo, stesso punto e ancora diretta televisiva per lo spettacolare ribaltamento della Lotus di Derek Warwick al termine del primo giro del Gran Premio. Nessuna conseguenza per l'inglese, che subito chiese ai medici l'ok per riprendere il nuovo via con il muletto. Chiudiamo questo elenco, chiaramente incompleto, con il tremendo incidente alla 1000 Chilometri del 1971, quando, durante le prime fasi di gara, un'incomprensione fra la Porsche dello svizzero Willy Meier e la Ferrari 512 privata di Arturo Merzario scatena l'inferno. La vettura tedesca vola contro le reti di protezione esplodendo subito con i suoi serbatoi ancora ben carichi. Nell'incidente resta coinvolta anche l'unica Ferrari ufficiale presente, affidata in quel momento al belga Jacky Ickx. Meier se la caverà con alcune fratture mentre anche alcuni spettatori, investiti dalle fiamme della sua vettura, saranno costretti a ricorrere alle cure dei sanitari. 51 LA NOSTRA STORIA Particolari gli incidenti di cui sono stati vittime il bresciano Norberto Bagnalasta e l'inglese Boley Pittard, entrambi accaduti alla via delle gare, con l'italiano ribaltatosi dopo un contatto con una vettura ferma, mentre Pittard spirò in seguito alle ustioni subite nell'incendio della sua Formula 3. gedia con la morte del conte inglese Louis Zborowski, uscito di pista a Lesmo con la sua Mercedes ufficiale, durante le fasi centrali della gara. Tragedie da tempi eroici Sicurezza che non c’è ancora Purtroppo quella di Marrazza è una beffa che il 5 maggio 1961 si ripete, pur con dinamiche diverse, per il trentaseienne Glicerio Barbolini, al termine della 12 Ore di Turismo Coppa Ascari. Mentre mancavano poche centinaia di metri al traguardo la sua Lancia Appia restava in SCANDROGLIO A lato leggete il resoconto dell'immane tragedia del Gran Premio del 1928 con l'incidente di Materassi, mentre in molte fonti è possibile trovare informazioni sul- l'altra giornata segnata dalla tragedia nel primo periodo di attività dell'Autodromo. Quel Gran Premio di Monza disputato il pomeriggio del 10 settembre 1933, ironia dalla sorte con la pista ancora calda per la disputa del Gran Premio d'Italia vinto da Luigi Fagioli, in cui hanno trovato la morte tre assi di quegli anni. I nostri Giuseppe Campari e Baconin Borzacchini, usciti lungo un tratto del curvone so- praelevato sud, mentre poco dopo anche il polacco Stanislao Czaikowsky era vittima della stessa sorte pochi metri più in là. Ma di quel periodo definito da molti "eroico" il caso più strano è riferito alla scomparsa della promessa Aldo Marrazza. Anche per lui il giorno del Gran Premio d'Italia, l'11 settembre 1938, fu l'ultimo della sua giovane vita. In predicato di passare in breve tempo alle più potenti vetture da Gran Prix, viene schierato in mattinata con una Maserati per la gara riservata alle Vetturette. All'ultimo giro, transitando sul traguardo, non si avvede della bandiera a scacchi a causa del fumo sprigionato a bordo pista da una vettura che sta bruciando. Prosegue quindi la sua folle corsa e dopo il Curvone esce di pista schiantandosi contro un albero. Successive lesioni interne lo porteranno in serata alla morte, mentre per gli organizzatori è suo il quinto posto nella sua ultima, tragica corsa. 52 LA NOSTRA STORIA Materassi ed il fosso fatale Sono ben ventidue le macchine che si schierano al via dell'ottavo Gran Premio d'Italia. Fra loro anche le Talbot della scuderia privata, la prima nata in Italia, gestita dal pilota toscano Emilio Materassi. Gli organizzatori non volevano accettare queste quattro auto francesi ormai datate, per questioni di soprappeso, ma una modifica dell'ultim'ora al regolamento ha concesso al campione italiano in carica di schierarle. Un bel sole accoglie i piloti sullo schieramento che, per sorteggio, assegna alla Talbot di Brilli Peri e alle Maserati Borzacchini e Maggi l'onore della prima fila. Materassi scatta dalla terza fila portandosi subito nel gruppo dei migliori ma già al terzo giro il motore evidenzia di problemi. Mentre Nuvolari inizia un duello con altri piloti, fra cui uno dei primi con il futuro rivale Varzi, Materassi si ferma ai box per una sosta di controllo. Ripartito inizia una furibonda rincorsa alle posizioni di testa che lo vede compiere alcune manovre estreme. Forse fu proprio questa la causa dell'improvvisa deviazione a sinistra per evitare, all'uscita della curva sud, la Bugatti di Foresti. L'auto come impazzita punta dritta verso il fossato ai bordi della sede stradale. Strappato il semplice reticolato che separava il pubblico, la pesante vettura francese compie un volteggio mortale sugli spettatori ammassati per seguire la gara. Materassi viene scaraventato lontano morendo sul colpo e con lui altri ventun corpi vengono raccolti senza vita. Due giorni più tardi morirà anche il tredicenne figlio del podestà della vicina Biassono. La gara continua fra il caos generale, con gli organizzatori che non sospendono la corsa per consentire alle poche ambupanne e allora il pilota modenese scendeva per spingerla fino alla linea d'arrivo. Purtoppo un avversario che sopraggiungeva alle sue spalle lo fece volare in aria procurandogli ferite mortali. Pochi mesi dopo Monza era protagonista di un altro grave incidente dalla risonanza ben maggiore, che vide scomparire il tedesco della Ferrari Taffy Von Trips, e con lui un totale di quindici spettatori, durante la disputa del Gran Premio d'Italia. Anche su questo incidente sono state scritte tante parole, ma a rendere più chiara la vicenda, da un paio d'anni, è visibile in rete un filmato che riprendere frontalmente la scena nella sua completa dinamica. In quegli anni di corse ancora lontane da un accettabile livello di sicurezza non poteva non essere tragica protagonista, suo malgrado, anche la neonata F.Junior. Sono state addirittura due le vittime dello stesso incidente, accaduto alla Curva del lanze presenti di portare soccorso alle decine di feriti e trasportare i più gravi nei vicini ospedali. Anche questa mancata decisione fu un atto di accusa usato contro di loro per aver mal gestito la situazione, acuendo i richiami sulla pericolosità insita, fin dagli inizi, nella pista monzese. Le conseguenze furono pesanti e lo stessa Sias, che già allora gestiva l'impianto, fu costretta, per far fronte ai danni economici verso le famiglie delle vittime, a ridurre il proprio capitale a una lira e cedere le azioni a una nuova realtà, denominata Società Autodromo di Monza, di proprietà del Reale Automobil Club d'Italia. Vialone il 28 giugno del 1959. Sia Alfredo Tinazzo che Nino Crivellari erano veneti d'origine, ma il secondo da tempo abitava proprio a Monza e, un mese prima, lì aveva vinto la precedente gara di F.Junior. A rendere ancor più drammatica la vicenda purtroppo ci ha pensato la televisione che agli ignari parenti del primo ha recapitato in diretta la tremenda notizia. Tre anni più tardi un'altra gara di F.Junior ha avuto un epilogo amaro con la morte del fiorentino Marcello De Luca le cui ferite, al momento dell'incidente, sembravano poca cosa. Purtrop-po in serata un'emoraggia interna lo condannò per sempre. Un ultimo periodo triste Quegli anni Sessanta sono segnati da una serie di lutti che fra il '64 e il '67 si sono portati via sei piloti. Per il primo e l'ultimo di questa triste serie, il bresciano Norberto Bagnalasta e l'inglese Boley Pittard, la sorte avversa si materializzò al momento del via, con l'italiano ribaltatosi dopo un contatto con una vettura ferma, mentre il secondo spirò una settimana più tardi in seguito alle bruciature subite nell'incendio della sua Lola di F3. Di quei tragici eventi resta nella memoria di molti la tremenda fine dello svizzero Tommy Spychiger, durante lo svolgimento della prima 1000 Chilometri, il 25 aprile del 1965, con il parabrezza in plexiglass della sua Ferrari 365 P2 che gli tagliò la testa nella violenta uscita di pista alla Parabolica. Con l'aumento delle misure di sicurezza, attive e passive, sono diminuite le conseguenze degli incidenti e anche Monza, per fortuna, ne ha usufruito dei benefici in termini di risultati. Dopo quel triste periodo culminato con il rogo di Pittard sono state quattro le vittime in pista. Le prove del Gran Premio d'Italia del 1970 si sono portate via il leader di quel mondiale, l'austriaco Jochen Rindt. 53 LA NOSTRA STORIA Caduti su due ruote Il tributo in termini umani della Monza a due ruote è inferiore di quello derivante dagli incidenti automobilistici, soprattutto per il minor utilizzo in termini di gare e test da parte delle moto. Tuttavia la pericolosità insista in questa pista fra le più veloci al mondo ha sempre creato una sorta di timore maggiore da parte dei piloti motociclistici nei confronti di altri impianti. C'è una data, il 20 maggio 1973 con la tragedia al Curvone di Pasolini e Saarinen, che segna un punto focale nella storia di Monza. Un episodio drammatico che, un mese e mezzo più tardi, diventa una sorta di non ritorno. Quel periodo di quarant'anni fa vide morire sull'asfalto monzese due campioni celebrati come il romagnolo e il finlandese durante la corsa italiana del mondiale 250. Si accesero i fari sulla pericolosità della pista, unita alla dinamica mai chiarita completamente dell'accaduto. Questo non bastò a comprendere appieno la situazione tanto che, il seguente 8 luglio, furono tre le vittime nel medesimo punto, con più o meno le stesse modalità precedenti. Carlo Chionio, Renato Galtrucco e Renzo Colombini morirono durante lo svolgimento di una gara di campionato italiano juniores, e per un certo periodo Monza fu bandita dalle due ruote. Eppure, a confronto con le quattro ruote, la pista brianzola sembrava meno "vorace" con i motociclisti, al punto che nel lungo periodo anteguerra solo un pilota, l'ufficiale della Garelli, Luigi Galli, morì il 19 settembre del 1926. Il suo incidente avvenne a Lesmo, punto della pista al pari del famigerato Curvone, dove molti altri sfortunati centauri chiusero la loro vita. Il più famoso di loro fu Rupert Hollaus, giunto a Monza con il titolo delle 125 conquistato nella gara precedente e morto durante le prove del sabato come, anni più tardi capitò ad un suo connazionale austriaco in Formula 1, Jochen Rindt, anche lui insignito del titolo mondiale dopo la scomparsa. Lesmo si portò via anche una promessa del motociclismo italiano, il fresco vincitore del Gran Premio di Svezia Gianni Degli Antoni, morto il 7 agosto del 1956 durante una solitaria sessione di prove con la Ducati 125 ufficiale. Il modenese stava preparando l'imminente Gran Premio delle Nazioni di settembre, l'evento principe che però ha anche segnato la 54 Renzo Pasolini e, sotto, Jarno Saarinen ed un’immagine dell’incidente che, il 20 maggio del 1973, costò la vita dei due grandi campioni. storia luttuosa di Monza, sia che in pista scendessero le moto titolate che quelle impegnate con i propri piloti nelle gare di contorno. Anche l'ultima volta che Monza ospitò il Motomondiale, nel maggio del 1987, il tributo venne pagato con la scomparsa di un giovane genovese, Mauro Ceccoli, perito durante una gara monomarca alla sua seconda corsa in assoluto su due ruote. Via le moto da Gran Premio, a Monza inizia l'era delle SuperBike, che dal 1990 ad oggi ha registrato una sola vittima, durante le prove delle SuperSport del 1998, con il francese ufficiale Honda Michel Paquay travolto in piena velocità mentre con un gruppo di rivali si stava avvicinando alla prima variante. Dalla dinamica sconcertante la tragedia accaduta ad una delle ultime vittime della pista di Monza. Il bolognese Wilmer Marsigli era impegnato nella gara dell'italiano 250 quando, in seguito ad una carambola con altri piloti, veniva investito dalla benzina uscita dal suo serbatoio che prendeva subito fuoco. Per lo sfortunato ventitreenne passarono troppi istanti preziosi prima di spegnare le fiamme che gli procurarono ustioni che, una decina di giorni dopo, lo hanno condannato per sempre. LA NOSTRA STORIA Jochen Rindt mentre sale in vettura per le prove del Gran Premio d'Italia del 1970 e, sotto, Ronnie Peterson, l’altro pilota della Lotus a cui la gara di Monza è stata fatale. Gran Premio d'Italia, il suo giorno più triste, fin dall'edizione d'apertura, con la morte del pilota tedesco Fritz Khun, passando per le tragedie del '28 e del '61, costate un totale di trentasette spettatori, fino al dramma del via nel GP del '78. D’ALESSIO La sua Lotus scartò all'improvviso in prossimità della Parabolica e le conseguenze furono fatali fin da subito per l'austriaco. Del suo incidente si è scritto molto, così come altrettanto si è fatto per un altro pilota della squadra di Colin Chapman, Ronnie Peterson, morto nella notte seguente al tremendo incidente al via del Gran Premio del 1978. Diverse fra loro, per evento e dinamica, le altre due vittime degli anni settanta. Durante una tentativo di record nel febbraio del 1973 da parte della Ford, con vetture stradali, usciva di strada nel pieno di un turno notturno il pilota britannico di turismo William Bartropp. L'urto contro le barriere era violento tanto che lo sfortunato trentenne londinese veniva sbalzato fuori dalla sua Escort attraverso il parabrezza. Un anno dopo era la volta di Silvio Moser, morto in seguito alle ferite riportate per un'uscita di pista. Purtroppo la sua era una fine evitabile in quanto il pilota svizzero, nel finale della 1000 Chilometri, andò a sbattere all'uscita dell'Ascari contro una vettura ritiratasi nelle prime fasi di gara e lasciata in zona pericolosa dai commissari. Ricoverato con danni alla testa nel vicino ospedale, il giorno seguente veniva trasferito in una clinica svizzera ma, ad un mese esatto dall'incidente, cessava di vivere senza aver ripreso conoscenza. Poi, per fortuna, oltre all'accresciuta sicurezza e capacità organizzativa, più nulla fino al maledetto 10 settembre del 2000. In quel caso a chiudere la lista dei morti a Monza un valoroso "Leone della Cea", Paolo Gislimberti, colpito in pieno petto da una ruota staccatasi dalla Jordan del tedesco Frentzen mentre il gruppone stava arrivando alla staccata della Variante della Roggia. Per ora, e speriamo per sempre, quella domenica è stata l'ultima giornata fatale di un impianto che nella sua lunga storia è ai primi posti di una triste graduatoria, sopravvanzato solo da Le Mans, teatro della catastrofe più famosa del mondo delle corse. Enrico Mapelli Ultimo tributo, un Leone Cea Di questa triste contabilità purtroppo è proprio l'evento cardine di Monza, il 55
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