La Spina Bifida - Le Ragioni del Cuore
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La Spina Bifida - Le Ragioni del Cuore
La Spina Bifida La spina bifida è una delle più frequenti malformazioni congenite e causa disabilità permanente. Appartiene al gruppo delle anomalie secondarie a difetti di chiusura del tubo neurale. Tra questi la forma più frequente è il mielomeningocele (80-90%), che si caratterizza per l'erniazione delle meningi e del tessuto nervoso displasico attraverso una apertura degli archi posteriori delle vertebre e dei tessuti molli sovrastanti. La frequenza di questa malformazione si è ridotta notevolmente negli ultimi anni, ma permane ancora elevata, soprattutto in alcuni paesi dell'Europa del Nord, quali Inghilterra e Manda. Studi recenti in Italia hanno stimato l'incidenza di tale malformazione nello 0,4 per mille nati. Ancora oggi il mielomeningocele rappresenta una delle maggiori cause di handicap nell'infanzia. Negli ultimi anni il miglioramento delle tecniche chirurgiche, la possibilità di una diagnosi precoce in gravidanza, la migliorata assistenza neonatale e un follow-up attento hanno ridotto il rischio di mortalità dei bambini con questa patologia dal 70% degli anni '50, al 5% degli anni '80. Tuttavia il mielomeningocele rappresenta ancora oggi una delle malformazioni congenite più complesse e, per tale motivo, l'approccio alla malattia deve essere multidisciplinare, coinvolgendo diversi specialisti legati da uno stretto rapporto di cooperazione. E' importante sottolineare come questa stretta cooperazione abbia ottenuto che oltre il 90% dei bambini con mielomeningocele sopravviva, che più dell'80% abbia un quoziente intellettivo normale, che circa l'85% cammini e che soltanto l’1% soffra di insufficienza renale cronica. È ormai accertato che l'eziologia di questa patologia è multifattoriale e chiama in causa fattori "ambientali" e predisposizione genetica, pur non essendo ancora ben dimostrata alcuna correlazione tra un determinato fattore di rischio e la malformazione. Tra le cause ambientali sembra che sia un importante fattore di rischio la relativa carenza di acido folico nel periodo immediatamente precedente il concepimento e nel primo trimestre di gravidanza. Per quanto riguarda i fattori genetici, sono stati condotti importanti studi familiari dai quali sembra evidenziarsi un difetto a carico del gene o dei geni preposti al ciclo metabolico dell'acido folico (deficit di tetraidrofolatoreduttasi?). Infine, è stato calcolato che il rischio di ricorrenza dopo un primo figlio con spina bifida è del 2% nei paesi dell'Europa meridionale e del 5% in quelli Anglosassoni. Questi dati hanno suscitato l'interesse dei ricercatori sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce di questa malformazione. La scoperta che la somministrazione alle future madri di acido folico nel periodo preconcezionale riduce di circa il 70% la ricorrenza dei difetti di chiusura del tubo neurale, costituisce un significativo passo in avanti nella prevenzione. LA DIAGNOSI Nella quasi totalità dei casi, la diagnosi può essere posta già in epoca prenatale, grazie soprattutto all'esame ultrasonografico. Tuttavia l'attendibilità della diagnosi deve tener conto di tre variabili: la storia naturale della malformazione, l'utilizzo di strumenti ad alta risoluzione e sonde diversificate (transaddominale e transvaginale) e l'esperienza dell'operatore. Sulla base di queste variabili, la precisione diagnostica è differente nei vari trimestri della gravidanza. Nel primo trimestre, già a 12-14 settimane, si possono cogliere segni diretti, come l'erniazione delle meningi e/o del midollo, con l'immagine del tipico "sacchetto" di dimensioni varie e a livelli diversi della colonna. Contemporaneamente è possibile rilevare segni indiretti, come la dilatazione dei ventricoli cerebrali, l'asimmetria del "binario" vertebrale o l'atteggiamento di cifo-scoliosi, che accompagna in genere il difetto. Nel secondo trimestre, oltre ai segni appena descritti, è possibile cogliere altri due aspetti. Il primo, denominato "lemon sign", è caratterizzato dallo spostamento delle ossa frontali, che configurano una silhouette a "limone" nella valutazione del diametro biparietale. Il secondo, chiamato "banana sign", presenta lo spostamento all'indietro degli emisferi cerebellari, quasi fossero stirati, con conseguente obliterazione della cisterna magna. Sul piano morfologico e dinamico si può effettuare uno studio della minzione fetale e dei patterns motori degli arti inferiori. Un ulteriore accertamento possibile per sospettare il mielomeningocele è la ricerca dell'alfafetoproteina nel sangue materno. Nel terzo trimestre, la semeiotica fondamentale rimane quella rilevata nei precedenti trimestri a carico dell'anatomia endocranica, questo perché la posizione del feto e la frequente apposizione della colonna vertebrale alla parete uterina non permettono uno studio adeguato. Anche l'osservazione della motilità degli arti inferiori in questa fase è, seppur fattibile, meno quantificabile rispetto al trimestre precedente. L'osservazione della minzione fetale, invece, resta relativamente semplice da eseguire. In epoca postnatale, la diagnosi è relativamente facile, perché è evidente una tumefazione rosso-violacea sul dorso, di grandezza varia, da una noce ad un arancio, di consistenza molle, rappresentata dalle meningi e, al centro, dal tessuto nervoso displasico. Importante è, inoltre, la misurazione della circonferenza cranica e la valutazione delle dimensioni e della tensione della fontanella anteriore, per evidenziare precocemente l'insorgenza dell'idrocefalo, che accompagna la lesione spinale in oltre lo 85% dei casi. E' necessario controllare la diuresi e la minzione, per la presenza pressoché costante di un danno neurologico vescicale. L'esecuzione dell'esame obiettivo deve evidenziare eventuali malformazioni associate e deve fare un bilancio della reale situazione neurologica e motoria, in rapporto al livello lesionale. Per quanto riguarda gli esami strumentali certamente è utile eseguire una ecografia cerebrale per valutare le dimensioni dei ventricoli e le eventuali anomalie associate. Durante il primo mese di vita e dopo l'iniziale intervento neurochirurgico è necessario che tutti gli specialisti coinvolti controllino il bambino e stilino un protocollo di trattamento e di follow-up, che va iniziato già in questa epoca della vita. Il neurochirurgo deve controllare lo stato del midollo e dell'encefalo, valutare i rischi della malformazione di Chiari e stabilire le tappe del successivo follow-up. L'urologo deve valutare lo stato della vescica, l'eventuale interessamento renale e prescrivere un trattamento, che andrà rivisto nel tempo. Il fisiatra deve stabilire un programma di riabilitazione, che deve essere iniziato dal primo mese di vita. L'ortopedico deve trattare le eventuali deformità scheletriche e programmare il successivo follow-up. L'oculista deve fare un bilancio degli eventuali deficit e delle anomalie per ricontrollarle successivamente. Lo psicologo deve aiutare la famiglia ad accettare la nascita di un bambino problemi. Nelle epoche successive, tutti gli specialisti devono seguire il follow-up previsto, facendo eseguire tutti gli esami richiesti per un buon controllo della situazione e per la prevenzione delle complicanze. Queste ultime possono interessare in particolare il sistema nervoso centrale (malformazione di Chiari II, siringomielia, midollo ancorato, ecc.) e l'apparato urinario. Nel primo caso è necessario eseguire ad intervalli precisi una risonanza magnetico- nucleare del cranio e del midollo ed una valutazione clinica attenta per evidenziare i primi segni di interessamento di queste strutture. Nel caso delle complicanze a carico del sistema urinario si ha un progressivo peggioramento della funzionalità vescicale, l'insorgenza di reflusso vescicoureterale e di infezioni recidivanti delle vie urinarie con conseguente insufficienza renale cronica. Importante in questi casi eseguire un controllo annuale dello stato delle vie urinarie e mensile delle infezioni. IL QUADRO CLINICO Alla nascita la lesione si presenta, nella maggior parte dei casi, come una tumefazione rosso-violacea, a volte ulcerata con conseguente perdita di liquido cefalorachidiano, oppure è ricoperta da cute integra o assottigliata. La lesione può interessare diverse zone della colonna vertebrale per una lunghezza varia da una a più vertebre; nella maggior parte dei casi colpisce due o tre segmenti. Infatti, può localizzarsi a livello cervicale, tora-cico, torace-lombare, lombare e, più frequentemente, lombosacrale e sacrale. Secondo il livello della lesione, le patologie più frequentemente riscontrate sono: neurologiche: paralisi periferiche a carico degli arti inferiori e degli sfinteri, anestesia periferica, sindromi comiziali, epilessia; malformazione neurochirurgiche: idrocefalia, di Chiari, Tethered Cord (midollo ancorato), siringomielia; ortopediche: deformità dei piedi, lussazione congenita dell'anca, malformazioni a carico del bacino e del rachide (scoliosi, lordosi, cifosi); - Nefro-urologiche: vescica neurogena, idronefrosi, reflusso vescico-ureterale, infezioni recidivanti delle vie urinarie, insufficienza renale cronica; problematiche sessuali; - gastroenteriche: incontinenza o ritenzione fecale; - oculistiche: strabismo, deficit visivi endocrino-metaboliche: pubertà precoce, obesità, bassa statura, patologia metabolica dell'osso (osteoporosi), anomalie del metabolismo lipidico. - Capacità neurocognitive: raramente ritardo mentale; più frequentemente, problemi di apprendimento di alcune discipline o difficoltà a mantenere a lungo l'attenzione. La delicatezza e la molteplicità delle strutture interessate (midollo spinale, radici nervose, meningi) porta a far sì che fin dalla nascita il neonato debba essere accolto e assistito da personale medico ed infermieristico altamente qualificato. Successivamente, il normale accrescimento corporeo provoca delle variazioni della situazione neurologica, ortopedica ed uro-nefrologica, che richiedono un'attenta sorveglianza, una precocità degli interventi ed una corretta individuazione delle problematiche legate alla sede della lesione. L'equipe multidisciplinare deve promuovere, quindi, un corretto "outcome" del bambino a distanza. PROGNOSI La prognosi della spina bifida è nettamente migliorata negli ultimi anni; infatti, è nettamente migliorata la qualità di vita di questi soggetti, grazie alle migliorate condizioni di assistenza a questi bambini. Dipende soprattutto dal livello e dall'estensione della lesione, ma anche dalla tempestività e dalla accuratezza degli interventi terapeutici. E' ormai dimostrato che una corretta e precoce assistenza fin dalla nascita riduce in maniera rilevante la frequenza e l'entità delle complicanze a distanza. Infatti, è da tutti accettato che se l'intervento di chiusura del difetto del tubo neurale viene effettuato nelle prime 24 ore di vita, migliorano le condizioni neurologiche a carico degli arti inferiori, e diminuisce significativamente la probabilità di infezioni del sistema nervoso centrale con conseguente riduzione del rischio di danno delle capacità neurocognitive ed intellettive. Dal punto di vista neuromotorio vi deve essere una continua sinergia tra i medici, ortopedici e fisiatri, ed i genitori. Infatti, dopo aver corretto le deformità scheletriche proprie di questa patologia ed aver seguito un attento follow-up riabilitativo, i bambini devono essere stimolati con ogni modo e con ogni mezzo, anche con tutori, grucce o sedie a rotelle, ad acquisire una motilità, che li metta in grado di poter risolvere le proprie necessità quotidiane. Ciò è valido anche per la gestione delle problematiche vesci-cali ed intestinali. A questo programma devono aderire anche le altre figure, come i maestri, che vengono continuamente in contatto con il bambino. Anche dal punto di vista intellettivo e dell'apprendimento è necessaria un'opera di stimolazione e di preparazione, che renda il bambino il più normale possibile. Seguendo un programma globale si otterrà la promozione di uno sviluppo fisico e psicologico del bambino, che gli permetterà di essere indipendente e di saper affrontare le difficoltà ed i problemi, che incontrerà nella sua vita. MIELOMENINGOCELE: ASPETTI CLINICI Sempre più frequentemente la diagnosi di MMC viene posta in epoca prenatale nel corso dello screening volto a riconoscere precocemente le malformazioni fetali. Nella nostra esperienza all'Università Cattolica, l'accuratezza di tale indagine raggiunge il 75%; in un altro 18% dei casi la diagnosi di "spina bifida" è corretta in termini di riconoscimento del difetto, ma imprecisa nell'esatta definizione del tipo di lesione; infine, nel restante 7% dei casi la malformazione non è stata riconosciuta. Questi dati impongono cautela nell'affrontare con la famiglia del feto malformato il problema della prognosi e dell'eventuale interruzione della gravidanza. Nel caso in cui la famiglia decida per la continuazione della gravidanza, il feto viene monitorizzato periodicamente per controllare l'evoluzione dell'idrocefalo associato. Il parto viene abitualmente espletato mediante taglio cesareo per evitare possibili danni al tessuto nervoso esposto (che potrebbero invece realizzarsi in caso di parto per via vaginale). Non è abitualmente necessario anticipare il termine della gravidanza, a meno che non coesista un idrocefalo di grado elevato. Sulla base di quanto detto, la nascita di un neonato affetto da MMC dovrebbe rappresentare attualmente un evento programmato nella maggioranza dei casi. In effetti ancora oggi un terzo circa dei casi trattati giungono in ospedale da altri centri in condizioni di emergenza, per la mancanza di un corretto riconoscimento della malformazione in epoca prenatale. Dopo il parto il neonato deve essere mantenuto in culla termica, in posizione prona; la lesione spinale deve essere mantenuta pulita, coperta da una garza imbevuta di soluzione fisiologica per evitarne l'essiccamento. La prima valutazione da parte del pediatra è volta ad inquadrare correttamente la forma clinica di spina bifida nonché ad individuare eventuali malformazioni associate a livello di altri organi o apparati. L'esame iniziale deve inoltre individuare eventuali malformazioni della colonna (cifosi, scoliosi) e degli arti inferiori, espressione del danno neurologico. Una scoliosi o cifosi presente già alla nascita (circa in un terzo dei neonati affetti da spina bifida) è espressione di anomalie strutturali della colonna. Il compito del neurochirurgo è anzitutto quello di definire mediante 1' esame neurologico il "livello lesionale". A tale proposito va precisato che spesso l'esame iniziale può risultare peggiore di quanto dimostrabile in controlli successivi. Questa discrepanza può essere attribuita agli effetti della anestesia somministrata alla madre in caso di parto cesareo, o allo shock spinale conseguente a microtraumatismi eventualmente inflitti al tessuto nervoso nel corso del parto. Subito dopo l'inquadramento iniziale il neonato affetto da spina bifida deve essere sottoposto all'intervento chirurgico di riparazione della malformazione (plastica del MMC); quest'ultimo deve essere effettuato entro le prime 48 ore di vita per minimizzare i rischi infettivi (conseguenti alla comunicazione tra spazi liquorali ed ambiente esterno) e per evitare ulteriori danni al tessuto nervoso esposto. E' molto importante minimizzare le perdite caloriche nel corso dell'intervento in considerazione degli effetti deleteri del raffreddamento sull'omeostasi del neonato. L'intervento inizia con la separazione del tessuto nervoso malformato (placode) dai circostanti tessuti molli. Si procede quindi all'avvicinamento dei bordi del "placode " in modo da ricostituire una sorta di "tubo neurale"; nella nostra esperienza, questa manovra riduce sensibilmente il rischio di successivi fenomeni di "ancoraggio" del cono midollare ( cosiddetto "tethe-red cord"). Si ricostituisce quindi il sacco durale utilizzando le meningi giustapposte alla fascia muscolare, e si suturano i piani superficiali. L'IDROCEFALO ASSOCIATO AL MIELOMENINGOCELE Una dilatazione del sistema ventricolare è pressoché costantemente associata al MMC, anche se modesta nel 15%-20% dei casi. La patogenesi dell'idrocefalo che accompagna il MMC non è ben chiara. Sicuramente l'insorgenza dell'idrocefalo non può essere ricondotta semplicisticamente alla riparazione del MMC in quanto i dati dell'ecografia prenatale ne documentano precocemente la presenza. Recenti osservazioni sperimentali hanno attirato l'attenzione sul ruolo esercitato nella genesi della dilatazione ventricolare dalle anomalie di sviluppo dell'osso occipitale (che accompagnano costantemente il MMC costituendo la base anatomica della malformazione di Chiari). E' da sottolineare che la porzione basilare di quest'osso deriva dalla fusione del 3°, 4° e 5° somite che avviene nell'uomo tra il 24° ed il 28° giorno del concepimento, nello stesso periodo cioè in cui può realizzarsi l'anomalia di sviluppo che porta alla spina bifida. Alcuni ricercatori, infatti, somministrando vitamina A ad hamster gravide, hanno ottenuto un difetto di sviluppo del basicondrocranio, con la conseguente riduzione di volume della fossa cranica posteriore, tale da rendere questa cavità del tutto inadeguata a contenere lo sviluppo delle strutture nervose e degli spazi liquorali. Risultati simili sono stati osservati dopo iniezioni sottocutanee di Tripan Blue a ratte durante la gravidanza, che hanno determinato la comparsa nei feti di quadri malformativi del tutto sovrapponibili a quelli riscontrabili nell'uomo in caso di malformazione di Chiari di tipo II. Tuttavia in questi ultimi animali, oltre ad ipotizzare come causa dell'idrocefalo l'effetto meccanico dell'ostacolo alla circolazione liquorale dovuto al difetto di sviluppo delle strutture ossee della tossa cranica posteriore, è stato possibile individuare alterazioni biochimiche a livello delle pareti dei ventricoli cerebrali sufficienti di per sé a spiegare l'insorgenza precoce di una dilatazione ventricolare. Se il meccanismo dell'idrocefalo che accompagna il MMC non è del tutto chiaro, anche le sue manifestazioni cliniche presentano alcuni aspetti di difficile interpretazio-ne rispetto ad altri tipi di idrocefalo. Sebbene, infatti, l'idrocefalo sia già presente alla nascita nella quasi totalità dei casi, le manifestazioni cliniche della dilatazione ventricolare (aumento della circonferenza cranica, tensione delle fontanelle, diastasi delle suture craniche) sono evidenti solo nel 15%-20% dei soggetti; questa percentuale aumenta fino al 35%-50% alla fine del primo mese di vita, per raggiungere poi un valore dell'80%-85% alla fine del sesto mese. L'incidenza dell'idrocefalo è funzione oltre che dell'età, della sede del MMC; esso, infatti, è presente nel 75% dei bambini con MMC della regione toraco-lombare e, rispettivamente, nel 50% e nel 36% di quelli con MMC delle regioni lombare e sacrale. Quando l'idrocefalo è riconoscibile nel periodo neonatale e la sua progressione è costante l'indicazione chirurgica non presenta difficoltà particolari. Sfortunatamente, la circonferenza cranica media nei bambini con spina bifida alla nascita è inferiore al normale e la curva del suo accrescimento può restare al di sotto del 50° percentile anche in quei casi in cui la dilatazione ventricolare tenda ad aumentare in maniera significativa. Anche nei bambini in cui si osserva un rapido incremento della circonferenza cranica, non sono rare fasi di apparente arresto della crescita del cranio, che rendono difficile la decisione circa la necessità di una correzione chirurgica, qualora ci si basi sui soli crite-ri clinici. La decisione può oggi essere facilitata dall'applicazione di esami strumentali (ecografia cerebrale, TAC, RMN); nei casi dubbi può essere risolutivo uno studio dell’assorbimento liquorale mediante un test di infusione lombare. Particolarmente caratteristica, infatti, è la risposta che con questo test si ottiene in alcuni soggetti, i quali appaiono capaci di assorbire una quantità sufficiente di liquor cerebrospinale quando la pressione endocranica raggiunge valori elevati, mentre si dimostrano incapaci di un assorbimento adeguato alle necessità, quando quest'ultima rimane su valori bassi o normali. Questa particolare dinamica liquorale giustifica l'assenza di segni clinici di ipertensione endocranica in condizioni basali e nello stesso tempo può spiegare l'insidiosa progressione della dilatazione ventricolare. Il trattamento dell'idrocefalo consiste quasi esclusivamente nell'intervento di derivazione liquorale ventricoloperitoneale; in tal modo l'eccesso di liquor viene drenato all'esterno della teca cranica, nel cavo peritoneale, dove verrà riassorbito e trasferito nel circolo ematico. L'intervento di derivazione segue quasi sempre quello di plastica del MMC; solo nel 15% circa dei casi, quando cioè è già presente alla nascita un idrocefalo di grado elevato, i due interventi vengono effettuati contemporaneamente. Nonostante l'indubbia efficacia nel correggere la dilatazione ventricolare, l'intervento di derivazione è gravato da un'alta incidenza di complicazioni, variabile dal 30% al 66% nelle varie casistiche. Nella nostra esperienza l'incidenza di complicazioni è stata del 46%; più specificamente sono state "meccaniche" nel 34% dei casi ed "infettive" nel restante 12%. Il grado di dilatazione ventricolare, il livello del MMC, l'ordine degli interventi, le caratteristiche chimiche del liquor al momento dell'intervento, sono tutti fattori correlati all'insorgenza delle suddette complicazioni. In particolare, la contemporaneità degli interventi di derivazione e di plastica del MMC e la presenza di un liquor iperproteico ed ipercellulare sono risultati i principali fattori di rischio di complicazioni, soprattutto di quelle infettive. In conseguenza di questo elevato rischio di complicazioni, negli ultimi anni alcuni autori hanno proposto, in alternativa alla derivazione liquorale, l'intervento di 3° ventricolo-cisternostomia endoscopica. Con questo intervento viene creata una via di uscita al liquor dal 3° ventricolo agli spazi sub-aracnoidei della base cranica, evitando il passaggio attraverso l'acquedotto di Silvio ed il 4° ventricolo. Sfortunatamente, però, la possibilità di successo di questo intervento, quando venga effettuato in epoca neonatale in pazienti affetti da MMC, è solo del 33%. Cause principali di questa elevata percentuale di insuccessi sono l'alterata anatomia del pavimento del 3° ventricolo e la particolare caratteristica dell'idrocefalo associato al MMC che associa una componente ostruttiva ad un alterato assorbimento liquorale. LA MALFORMAZIONE DI CHIARI DI TIPO II Nel 1891 Chiari descriveva una serie di quadri malformativi della fossa cranica posteriore e delle strutture nervose in essa contenute. Nelle forma più lieve (tipo I), il complesso delle malformazioni appariva caratterizzato da un allungamento delle tonsille cerebellari e da una loro dislocazione, insieme alla porzione mediale dei lobi inferiori del cervelletto, nella parte superiore del canale cervicale; nelle forme più gravi da un'erniazione in un encefalocele cervicale del cervelletto (tipo III) o da una trasformazione di questa formazione in una specie di cavità cistica (tipo IV). Era tuttavia la forma intermedia (tipo II), che doveva soprattutto attrarre l'attenzione dei vari studiosi, per una serie di motivi, tra i quali la relativa frequenza, rispetto alle altre forme descritte, le possibilità terapeutiche (il tipo III è solo eccezionalmente compatibile con la vita extrauterina) ed infine la pressoché costante associazione con una spina bifida e con un idrocefalo. La malformazione di Chiari di tipo II è caratterizzata da una dislocazione verso il basso del verme inferiore del cervelletto, del IV ventricolo, deformato ed allungato, del ponte e del bulbo nel canale cervicale superiore, che, secondo l'interpretazione originale di Chiari, dipendeva dalla pressione esercitata dall'alto dal concomitante idrocefalo. La spiegazione di Chiari, tuttavia, non doveva essere condivisa unanimemente. Infatti, negli anni successivi, venivano proposte differenti interpretazioni patogenetiche dell’associazione "idrocefalo - malformazioni multiple della fossa cranica posteriore -difetto di fusione spinale" interpretazioni tuttora aperte alla discussione. I diversi meccanismi proposti possono essere suddivisi in tre gruppi principali: 1) l'idrocefalo è l'evento primario, che condiziona le anomalie della fossa cranica posteriore (Chiari, Gardner); 2) l'idrocefalo è un evento secondario, che dipende dalla malformazione spinale, attraverso uno squilibrio pressorio tra gli spazi endocranici e quelle spinali (Cameron, van Hoytema, Williams) o per un effetto meccanico (van "Houweninge,Penfield); 3) sia l'idrocefalo che il difetto di fusione spinale risultano dalla stessa alterazione dell'organogenesi, che coinvolge ad un tempo le strutture ossee vertebrali e della fossa cranica posteriore e le strutture nervose spinali e cerebrali (Cleland, List, Russell, Kapsenberg, Daniel, Peach, Di Rocco). A favore dell'ultimo gruppo di interpretazioni sta l'osservazione della complessità delle anomalie che possono essere riscontrate nella malformazione di Chiari, tipo II. Queste infatti interessano il telencefalo (microgiria, eterotopie ependimarie); il diencefalo (ingrandimento della massa intermedia), il mesencefalo (malformazioni del tetto e dell'acquedotto), il rombencefalo (allungamento caudale del ponte e del bulbo, displasia del verme inferiore), il midollo spinale (mielomeningocele) ed il mesoderma (craniolacunie, ipoplasia del tentorio, fenestrazione della falce, malformazione della porzione occipitale dell'osso basilare, che determina una fossa cranica posteriore appiattita o di ridotte dimensioni. MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE Le manifestazioni neurologiche, che caratterizzano alcuni pazienti portatori di una malformazione di Chiari di tipo II derivano dall'effetto combinato di diversi fattori che concorrono a creare fenomeni ischemici ed emorragici a carico di centri e vie nervose di alto significato funzionale: 1) la relativa incapacità della fossa cranica posteriore iposviluppata a contenere l'accrescimento delle strutture nervose; 2) l'impatto dell'erniazione delle strutture nervose della fossa cranica posteriore, nel canale cervicale superiore, sul midollo allungato e sul midollo spinale cervicale; 3) l'effetto compressivo dei processi malformativi e dinamici di cui ad 1) e 2) sulla circolazione liquorale; 4) lo sviluppo di una dilatazione ventricolare ed, in numero significativi di casi, di un'idromielia a carattere progressivo. Le lesioni tipiche consistono in emorragie ed infarti, che interessano il cervelletto, il ponte, il bulbo ed il midollo spinale ed in lesioni da stiramento e compressioni, che conducono ad atrofia e demielinizzazione. Un ruolo particolare sarebbe giocato dai piccoli vasi perforanti che originano dalle arterie vertebrali e che irrorano i segmenti inferiori del midollo allungato; vasi che risulterebbero stirati e/o interrotti dallo spostamento verso il basso delle strutture nervose della fossa cranica posteriore. La compromissione degli ultimi nervi cranici porta ad un'ipomotilità o ad una paralisi delle corde vocali, ad incapacità della deglutizione, del pianto, del respiro. Le difficoltà respiratorie possono tradursi in apnea ed in attacchi cianotici e possono anche determinare crisi di bradicardia. Frequenti sono le anomalie del tono muscolare e della postura, con fenomeni di opistotono associati a spasticità o, più raramente ad ipotonia, ed anche le manifestazioni oculari (diplopia, nistagmo). La labilità dello stato clinico è sottolineata dalla possibilità di una sintomatologia intermittente, quale cefalea accessuale, sincopi da tosse, arresto respiratorio acuto. In alcuni casi le manifestazioni cliniche possono progredire fino alla morte, in altri, invece, diventano progressivamente meno marcate e tendono a scomparire tra il secondo ed il terzo anno di vita . Sebbene le anomalie morfologiche della malformazione di Chiari, tipo II, possano essere riscontrate in quasi tutti i bambini, portatori di un difetto di fusione del tubo neurale, le manifestazioni cliniche sono presenti solo in circa un terzo dei casi. In generale, i primi segni neurologici sono manifesti nei primi giorni o nelle prime settimane di vita. In questo periodo si ritrova anche la mortalità più elevata, sia spontanea che dopo correzione chirurgica. Non è però raro che le prime manifestazioni cliniche si possano presentare solo verso il 4° - 5° anno di vita. CORRELAZIONE CON ALTRI FATTORI 1) Infezioni: anche se i processi infettivi sono stati indicati come fattore favorente la comparsa dei sintomi della malformazione di Chiari, l'analisi delle casistiche non conferma tale impressione. Le infezioni giocano invece un ruolo significativo nell'aumentare il rischio di morte in caso di intervento. 2) Presenza di ipertensione endocranica: un idrocefalo con pressione liquorale aumentata costituisce un indubbio fattore predisponente, anche se non condizionante; non è rara nel periodo iieonatale l'associazione dei deficit neurologica focolaio tipici della condizione con una fontanella anteriore tesa, con irritabilità o letargia; nei bambini più grandi è frequente l'esordio con una cefalea, prevalente nella regione occipitale. SINTOMI INIZIALI 1) Disturbi respiratori: spesso sono quelli di esordio, per lo più sotto la forma di stridore laringeo, che progressivamente evolve verso fasi di apnea transitoria, verso un distress respiratorio od anche verso un'apnea prolungata; quest'ultima invece è rara come sintomo di esordio. La paresi o la paralisi delle corde vocali è relativamente frequente; a volte è necessaria una tracheostomia (che solo in rari casi può essere rimossa). 2) Disturbi della deglutizione: un'incoordinazione faringe-esofagea (impropriamente definita acalasia) e l'assenza o la depressione del riflesso della tosse, sono responsabili di rigurgito e difficoltà nell'alimentazione; se progressivi, possono condurre ad un'insufficiente crescita stature-ponderale. Nei casi più gravi è possibile una polmoni te "ab ingestis". 3) Deficit piramidali: limitati agli arti superiori, spesso ad andamento progressivo, in soggetti con malformazione di Chiari, rappresentano una rara ma caratteristica manifestazione clinica, che esprime l'interessamento diretto dei segmenti cervicali del midollo spinale. TRATTAMENTO CHIRURGICO Nel trattamento della malformazione di Chiari di tipo II, possono essere utilizzati due tipi principali di operazioni chirurgiche: interventi di derivazione liquorale, per correggere l'idrocefalo associato, nell'ipotesi che l'aggravamento e la progressione dei sintomi dipendano da una pressione anormale del liquido cerebro-spinale; ed interventi decompressivi, quali la rimozione della squama occipitale e delle lamine delle prime vertebre cervicali, la cui logica riposa sull'ipotesi meccanica della condizione. Che il trattamento sia risolutivo in molti casi appare evidente dall'analisi della letteratura, che concerne le esperienze dei diversi autori. Il reale valore delle differenti procedure utilizzate non. è però facile a valutarsi. In alcuni soggetti, infatti, il momento dell’intervento sembra condizionare il risultato finale più del tipo di operazione utilizzata. C'è tuttavia un generale consenso sulla necessità di effettuare la correzione chirurgica il più precocemente possibile, rispetto all'inizio della sintomatologia; si è visto infatti che interventi tardivi non sono in grado di modificare un decorso sfavorevole delle manifestazioni cliniche. COMPLICAZIONI TARDIVE In complicazioni tardive del MMC, correggibili dal neurochirurgo, sono essenzialmente due: "Tancoramento" cicatriziale del cono midollare e lo sviluppo di una siringomielia. Il midollo ancorato ("tethered cord") è considerato dipendere dalla formazione di aderenze tra il midollo spinale o il cono midollare ed i tessuti cicatriziali circostanti a variabile distanza di tempo dalla riparazione chirurgica della malformazione spinale. Escludendo i rari casi di bambini con MMC non operati alla nascita in cui c'è stato un anormale processo di cicatrizzazione con conseguente ancoramento del midollo ai tessuti cutanei (tethered cord primario), i casi che si veri-ficano dopo un intervento elettivo (tethered cord secondario) sono relativamente rari, in assenza di infezioni locali. Tuttavia anche con le tecniche più moderne di microchirurgia non è possibile escludere che una cicatrice miclo-durale limiti i fisiologici movimenti del midollo spinale all'interno del sacco durale, determinandone uno stiramento cronico, con un'alterazione della microcircolazione locale e comparsa di deficit neurologici a carattere progressivo. Uri intervento di lisi delle aderenze è perciò richiesto in un certo numero di pazienti, la cui efficacia è in diretta relazione con la precocità delle diagnosi e del trattamento. La risonanza magnetica è l'esame di elezione per la dimostrazione morfologica di questo tipo di complicazione. Poiché tutti i pazienti operati per MMC presentano un cono midollare in una posizione più bassa della norma (sotto L2) e mostrano frequentemente aderenze tra la sua superficie dorsale e le strutture di rivestimento, la diagnosi di midollo ancorato risiede essenzialmente nella valutazione clinica. Le manifestazioni cliniche più tipiche sono la comparsa di dolori alle estremità, il peggioramento del deficit motorio, l'aggravamento di una cifoscoliosi, il deterioramento delle funzioni sfinteriche (suggerito da un aumento degli episodi di infezioni delle vie urinarie). Nella nostra casistica, l'insorgenza di una sindrome da ancoramento del midollo è stata riscontrata in circa il 10% dei pazienti; nella maggior parte dei casi è stato possibile ottenere con l'intervento la scomparsa del dolore e un miglioramento delle funzioni motorie. CONCLUSIONI La maggior disponibilità di osservazioni prolungate nel corso di decenni di pazienti operati alla nascita per MMC ha permesso di riconoscere l'estrema importanza di un'attenta e completa sorveglianza postoperatoria. Se infatti un adeguato trattamento chirurgico nel periodo perinatale è associato a una migliore prognosi funzionale ed a una riduzione del numero delle complicazioni che tradizionalmente aggravavano gli esiti a distanza, è solo attraverso un'accurata valutazione neurologica e attraverso ripetuti controlli strumentali possibile prevenire o almeno curare tempestivamente il deterioramento funzionale che in passato era considerato parte della storia naturale di molti pazienti affetti da MMC. Infatti, in gran parte dei casi, la comparsa di nuovi deficit o l'aggravamento di deficit preesistenti traduce l'insorgenza di complicazioni che possono essere trattati dal neurochirurgo con risultati estremamente soddisfacenti.
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