Vestire gli ignudi
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Vestire gli ignudi
4 “Vestire gli ignudi” 1. Papa Francesco “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina... Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, accogliere i forestieri, vestire gli ignudi…” (Misericordiae vultus, 15). In obbedienza alla parola del Papa, umilmente accogliamo nella riflessione questa opera di misericordia, attingendo dalla Parola di Dio la luce necessaria. Chiediamo allo Spirito Santo di riempierci di luce e di amore, e ci prenda per mano per immergerci nella Verità tutta intera, in Gesù, il Misericordioso. Raccogliamoci e mettiamoci in contatto con Gesù, che è qui, adesso. Meditiamo: Vestire gli ignudi con le parole di Giacomo 2, 14-17. 2. Ascoltiamo la Parola 14A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? 15Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano 16e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? 17Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. 3. Approfondiamo un po’ Il libro di Giacomo, inserito nel canone della Scrittura verso la fine del IV secolo, si presenta all’inizio come una lettera e poi assume il carattere di un’omelia di stile sapienzale e profetico. Vi ricorrono ben 43 imperativi; il nome di Gesù è menzionato solo due volte. Il tema centrale della lettera di Giacomo è quello della vera sapienza (3,1318), dono di Dio, capace di elevare tutta la vita del credente. Questa sapienza cristiana ispira alcuni comportamenti: tradurre in atto la Parola ascoltata, evitare i favoritismi, compiere buone opere come prova di una fede viva, saper frenare la lingua e rifiutare l'uso ingiusto della ricchezza (cf CEI, La Sacra Bibbia, Intro-duzione). L’autore della lettera è un giudeo-cristiano che ripropone in modo originale gli insegnamenti della sapienza ebraica. Egli si presenta come “Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo” (1,1). È stato comunemente identificato con quel “Giacomo fratello del Signore”, che viene ricordato in Matteo 13,55; Atti 12,17; Galati 1,19 e che è una figura di primo piano nella Chiesa di Gerusalemme (Atti 21,18), una delle “colonne”, come scrive Paolo in Galati 2,9. Di lui si sa che venne ucciso nell’anno 62 per iniziativa del sommo sacerdote Anania II. La liturgia latina e non pochi esegeti hanno invece identificato questo Giacomo con l’apostolo Giacomo, figlio di Alfeo. Giacomo, in sintesi, viene a dirci: “Se dici di amare Gesù, non puoi non amare il prossimo. Sarebbe pura ipocrisia! La nostra libertà implica anche responsabilità. Devi essere libero, ma responsabile! Ama con tutta la tua forza, ma in modo vero”, con fatti concreti (cf. La Bibbia - ed. Ancora), con-forme a quanto ricorda S. Giovanni: “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18). Il nostro brano proviene da un contesto in cui Giacomo evidenzia le troppe discriminazioni nella comunità cristiana, per cui vengono favoriti i ricchi e umiliati i poveri. Ben diverse sono le esigenze della carità, le cui opere soltanto sono in grado di attestare la coerenza della fede e la sua concretezza. 4. Incontriamo dal vivo Gesù vivo Provo a confondermi con i cristiani che entrano alla spicciolata nella casa di questo “fratello Giacomo” per celebrare l’eucaristia. É il mattino presto e incontro persone vestite lussuosamente e poveri, straccioni. É bello che tutti possono entrare, ma è brutto lo sguardo con cui alcuni si compiacciono dei ben vestiti e non degnano di alcuna attenzione i poveri e i mal vestiti. Allontano ogni pensiero di critica e di giudizio, e cerco Gesù. Dov’è Gesù? Ho bisogno di mettermi vicino a lui per sentire la sua parola, per accogliere il suo messaggio. Ecco, egli è là, sta parlando. Lo ascolto con gioia e umiltà. * “Se uno dice di avere fede” Giacomo, come capita anche a noi oggi, sentiva tante persone che ribadivano la loro fede, riferendosi soprattutto alla partecipazione alla liturgia o a qualche gesto sporadico di carità o a qualche promessa di donazione alla Chiesa. Ma tu cosa intendi dire, quando affermi di avere fede? Meditando questa affermazione, mi viene da evidenziare particolarmente questi tre aspetti: 1) “Ho fede in quanto mi fido di Dio grazie a Gesù”: Lui porta nel mondo la misericordia del Padre e, con la potenza del suo sangue, mi salva liberandomi dal peccato e facendomi entrare nella sua famiglia come figlio adottivo; so che il suo amore misericordioso compie in me le sue meraviglie e mi fa dire con Maria: “Grandi cose ha fatto per 1 me l’Onnipotente e Santo è il suo nome” (Lc 1,49), o come Pietro: “Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati” (At 15,11), o come Paolo: “So in chi ho posto la mia fede” (2Tm 1,12). 2) “Ho fede nel senso che conosco i contenuti della fede”: e cioè quelle espressioni sintetiche che professiamo quando, per esempio, recitiamo il Credo nella Messa o in altri momenti, come fa S. Paolo, quando dice: “Ri-cordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide” (2Tm 2,8). 3) “Ho fede nel senso che compio le opere della fede”, dimostro di aver fede compiendo nella vita quotidiana ciò che la Parola di Dio mi chiede; e proprio su queste opere di amore saremo giudicati e ci sarà donato il paradiso; come risponde Gesù al dottore della legge: “Hai risposto bene, fa’ questo e vivrai” (Lc 10,28); “Ero nudo e mi avete vestito…” e “i giusti alla vita eterna” (Mt 25,31-46). Quando affermo: “Io ho fede”, che cosa intendo dire? In che modo la mia fede comprende anche l’amore al prossimo? * “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti” Giacomo “fa entrare in scena un fratello o una sorella, personaggi ipotetici appartenenti ad una qualsiasi comunità che versano in una condizione di completo bisogno: nudi e mancanti di mezzi di sussistenza quotidiana. Nel linguaggio biblico la nudità è simbolo di mancanza di dignità e di ruolo sociale, attesta la situazione di assoluta vulnerabilità e di profonda umiliazione, causate da uno stato di povertà che richiede la solidarietà concreta dei fratelli” (R. Chiarazzo, Lettera di Giacomo, pg.75). Poco prima Giacomo aveva fatto l’esempio dell’uomo ricchissimo, lussuosamente vestito, accolto con attenzione e rispetto da parte dei capi della comunità, mentre nessuna attenzione era stata riservata al povero malvestito, anzi gli era stata richiesta una posizione umiliante (2,2-4). Discriminazioni si verificavano allora e si verificano anche oggi. Tutti critichiamo il troppo lusso di certuni nel vestire (a volte indecoroso e indecente) e magari restiamo meravigliati per il vestito “quotidiano” di altri… Oggi tra i profughi ed anche tra gli immigrati ci sono tanti che abbisognano di vestiti. Quanti, soprattutto bambini, patiscono il freddo per vestiti inadeguati. Ma ancor di più è da notare la scarsa considerazione della dignità delle persone: quante offese alla vita, ai poveri, ai malati, alle persone deboli e fragili (donne e bambini) ed anche alla creazione. Più degli ignudi fisicamente, si moltiplicano i nudi nella dignità. Vestire gli ignudi è sì donare vestiti a chi ne è privo, ma soprattutto è rispettare e far rispettare la dignità dell’altro, di chiunque altro, della creazione intera. Papa Francesco, afferma che Dio non è indifferente, ma responsabile verso ciascuno di noi. E ci invita ad imitare in questo il nostro Padre celeste, il quale veste i fiori dei campi e premia con il paradiso chi veste gli ignudi di abiti e di dignità. Santa Faustina pregava: “Aiutami, o Signore, a far sì che i miei occhi siano misericordiosi, in modo che io non nutra mai sospetti e non giudichi sulla base di apparenze esteriori, ma sappia scorgere ciò che c’è di bello nell’anima del mio prossimo e gli sia di aiuto” (Diario 163). Quando sono in mezzo agli altri, come “guardo” le persone? * “Andatevene in pace, riscaldatevi, … ma non date loro il necessario” La ipotetica comunità immaginata da Giacomo di fronte al povero, alla persona nuda (senza vestiti, senza dignità) si comporta con gentilezza e apparente rispetto, ma di fatto dimostra una totale indifferenza, anzi menefreghismo e irresponsabilità. Anche se vengono presentati come “fratello o sorella”, di fatto la comunità verso di loro non ha nessun senso di fratellanza e di amore: li giudica e li tratta da estranei, da disturbatori, da presenze irriverenti e irritanti (“Dove ha trovato il coraggio di presentarsi in quello stato davanti a tutti?”, “Non aveva almeno uno straccio con cui coprirsi?”). Delicatamente vengono mandati via e invitati a provvedersi altrove. Immagino il Padre don Paolo davanti a questo brano: lo avrebbe colto di certo un moto di rabbia, che lo avrebbe fatto gridare allo scandalo, alla vergogna, e poi all’urgenza di provvedere subito (“Non si possono fare belle Messe in Chiesa, mentre c’è gente che soffre il freddo, che è privata di ogni dignità!”). Non solo perché quel fratello o sorella fa parte della mia famiglia cristiana, ma perché è membro della famiglia di Dio, immagine e somiglianza del Signore, presenza, sacramento di Gesù. Da qui è nato il FAC negli anni ‘40/’50. Non hanno senso le liturgie se contemporaneamente non ci si preoccupa dei poveri, se non si provvede concretamente alle loro necessità. Da queste righe applaudo ai giovani della mia parrocchia che hanno dato inizio ad una iniziativa di raccolta, riordino e distribuzione di indumenti seminuovi. Oggi si parla di carità, di aiuti, di vestiti. Per agire cristianamente dobbiamo tenere conto del vangelo che ci sollecita, della dignità delle persone (donare vestiti e non stracci), del mettere in gioco il nostro necessario e non il superfluo, della intenzione di raggiungere Gesù, della umiltà nel compiere il gesto… Come compio l’opera di misericordia del vestire gli ignudi? 5. Per concludere e passare all’oggi Sono nella casa di Giacomo, raccolto in questi profondi pensieri. Particolarmente mi risuonano nella mente due parole: indifferente e responsabile. Come è facile parlare di queste cose! Quanto mi chiede di lavorare questa parola di Dio! Gesù, chiedo aiuto. E penso a S. Martino. Lui ha dato al povero mezzo mantello. Ho bisogno di aiuto per imparare a condividere il necessario e non soltanto il superfluo, a cominciare dal vestito. Amare a fatti e nella verità. Amare a fatti con amore, con tenerezza. Voglio pregare il Salmo 112(111) per ravvivare la mia speranza nel Signore e nel suo amore. 2 MANDAMI QUALCUNO DA AMARE Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo, quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro; quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento; quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno da lodare; quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare; quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi; quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona. Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli Che in tutto il mondo vivono e muoiono poveri ed affamati. Dà loro oggi, usando le nostre mani, il loro pane quotidiano, e dà loro, per mezzo del nostro amore comprensivo, pace e gioia. (Madre Teresa di Calcutta) “Vestire gli ignudi” “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti...” (Giacomo 2, 14-17). Riflettendo sulle opere di misericordia corporale nel rapporto fra sposi, ci soffermiamo sulla terza: “Vestire gli ignudi”. Marito e moglie “nel giorno più bello” si sono anche vestiti al meglio: tutto doveva essere bello e sprizzante gioia in quel giorno a significare il peso umano, morale e spirituale delle due persone. Un bel vestito per esprimere una bella dignità. Vestire gli ignudi, al di là dell’opera di carità verso chi è sprovvisto di vestiti, richiama alcuni aspetti: Anzitutto c’è il VESTITO PERSONALE. A volte mi sorprendo a pensare, osservando il modo di vestire di oggi. Cosa è meglio: un vestito alla moda, o un vestito bello da vedere, o un vestito che fa bella la persona? Questa opera di misericordia chiama la nostra attenzione sul modo di vestirci. Una persona vestita con cattivo gusto, o secondo una moda esagerata, o in maniera non appropriata, sembra davvero nuda! Vestire gli ignudi è provvedersi di vestiti decorosi, piacevoli, ben adatti alla persona, in una felice combinazione di colori, che ben si addicono al momento che si vive. Non sempre la moda è una saggia consigliera in ordine al bello e al comodo e soprattutto alla dignità della persona! Vestire gli ignudi chiama la coppia di sposi a fare il giro dei negozi, soprattutto per vivere quel momento insieme. Vestire gli ignudi invita, infine, ad usare moderazione nell’acquisto, pensando ai poveri ed evitando di riempire gli armadi di capi mai usati! Poi c’è da considerare il VESTITO DELLA DIGNITÀ. Sì, il vestito materiale richiama la dignità della persona. Si è nudi quando uno dei coniugi disprezza l’altro e lo priva di ogni considerazione, stima, fiducia (“Per me è come se non contasse niente!”). Vestire gli ignudi richiama gli sposi a darsi la massima reputazione, godendo per gli aspetti positivi del coniuge, mettendo in evidenza le capacità, i meriti, le cose belle che compie, i risultati che ottiene al lavoro o in società… Vestire gli ignudi tra sposi significa anche non calcare su un eventuale errore, pasticcio combinato… Vestire gli ignudi è difendere il proprio sposo/a, stare comunque dalla sua parte, aiutarlo/a a superare un momento difficile, ad affrontare una situazione problematica, assicurando fiducia e donando sicurezza. 3 Infine c’è da tenere presente il VESTITO DELL’UMORE. Credo che il buon umore di una persona ne faccia la bellezza, la simpatia, l’attrattiva. Nudo è chi presenta il volto senza espressione, o triste, scoraggiato, depresso, deluso, oppure si esprime con atteggiamenti avviliti, senza entusiasmo, pienamente scoraggiati … Vestito è chi tiene il suo volto sempre al bello (senza esagerare nei cosmetici o nei “rifacimenti”!) e nel suo modo di fare sa esprimersi in modo simpatico, allegro, scherzoso, ricco di speranza. Vestire gli ignudi chiama gli sposi a farsi sostegno l’uno dell’altro per uscire da situazioni deprimenti, da stati d’animo angoscianti, studiando insieme iniziative adeguate (una serata loro soli? Una piccola gita? Una visita ad amici veramente fidati?)… Dopo queste umili considerazioni, c’è qualcosa in cui io devo rivedere il modo con cui considero mia moglie/marito e gli offro o non offro stima e considerazione? “Vestire gli ignudi” è un’opera di misericordia che chiama gli sposi a unire le loro forze, il loro cuore, il loro amore, perché ognuno dei due sia attento a donare il vestito che rende bella e piacevole la persona che amo. Come una gara, per aiutarsi a crescere nella gioia dell’amore. Auguri carissimi a tutti di Buon Anno. Vi porto nella preghiera. Pregate per me! Gennaio 2016 Don Piero Movimento Fac - Centro Nazareth - Via Portuense, 1019 - 00148 Roma - tel. 06/65000247 4
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