Scarica il PDF - Settimanale Tempi

Transcript

Scarica il PDF - Settimanale Tempi
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
numero 30 | 30 luglio 2014 |  2,00
EDITORIALE
La tragedia di gaza e degli infiniti lutti
Solo leader che esaminano l’esperienza
possono salvare due popoli dall’abisso
C
aratteristico della follia è continuare a ripetere le stesse azioni aspettandosi un risultato diverso. Questa definizione dell’infermità mentale, spesso citata da Einstein, descrive perfettamente quello che sta
succedendo fra Israele e Gaza da tre settimane, fra israeliani e palestinesi
da quasi ottant’anni. Né il terrorismo né la sua repressione indiscriminata producono la resa dell’avversario e quindi la vittoria definitiva. Producono invece i risultati che, nel conflitto israelo-palestinese, ricorrono ormai
da 80 anni: lutti, dolore, rabbia, odio, desiderio di vendetta, frustrazione,
angoscia, depressione, nuova violenza. L’eterno ritorno del medesimo orrore, solo con vittime sacrificali sempre nuove. Anche se per ipotesi, grazie a
questa operazione militare voluta dal governo Netanyahu, Israele riuscisse
a schiacciare la testa del serpente Hamas, la fiaccola della lotta armata verrebbe ripresa da altri soggetti politico-militari che capitalizzerebbero l’umiliazione e la rabbia di centinaia di migliaia di palestinesi che hanno perso
case e parenti a causa della guerra. Anche se ottenesse la riapertura del valico di Rafah e dei tunnel sul versante egiziano attraverso i quali si rifornisce di armi, infliggesse perdite significative all’esercito israeliano e riuscisse Né israele, né i palestinesi
a colpire coi suoi razzi Tel Aviv e altre hanno il potere di piegare
la resistenza dell’altro.
città, Hamas non piegherebbe di un
È evidente che servirebbe
millimetro l’istinto e la forza di autodiun modo nuovo di pensare
fesa che dai giorni dell’Olocausto detta i comportamenti dello Stato ebraico e prima di esso dei suoi fondatori.
Con tutta evidenza, servirebbe un modo nuovo di pensare, da una parte e dall’altra. Una discontinuità con la coazione a ripetere. Un popolo palestinese che lotta per i suoi diritti solo con metodi non violenti e un popolo
israeliano che crede talmente nelle sue ragioni da assumersi il rischio di dare fiducia ai palestinesi con gesti politici coraggiosi sono oggi solo immagini ideali, etichettabili come utopia, ma apparirebbero opzioni di puro realismo se gli uni e gli altri decidessero di intraprendere una revisione critica
ciascuno della propria storia. Fino a quando israeliani e palestinesi continueranno in prima battuta a giustificare i propri comportamenti, e non a
giudicarli alla luce delle loro conseguenze nel tempo, nessuna soluzione reciprocamente accettabile sarà possibile: questo lo sanno bene tutti coloro
che, per molti anni, hanno inutilmente cercato di favorire trattative fra le
parti. Il cambiamento di prospettiva deve venire dai protagonisti del conflitto: il ruolo di chi sta fuori deve essere quello di incoraggiare e favorire tutte
le leadership e le figure morali, nei due campi, che incarnano un approccio
diverso. Come Izzeldin Abuelaish, il medico e padre palestinese che perse
tre figlie e una nipote a causa dell’Operazione Piombo Fuso, autore del libro
Io non odierò e promotore della fondazione Daughters for Life per l’educazione delle ragazze arabe. È lui che ha scritto su un giornale britannico, a commento degli orrori di Gaza, «La follia, come diceva Einstein,
è continuare a rifare la stessa cosa aspettandosi un risultato diverso».
MINUTI
Che benedizione
è il lavoro
Una casa di cure per malattie nervose. Nella sala di soggiorno già di
mattina è accesa una tv: un malato
le sta davanti senza guardarla. Due
pazienti in pigiama affacciati a un
balconcino fumano, aspirando avidamente. Una bella donna col viso devastato da un ignoto dolore se ne sta seduta in un angolo, come ripiegata su
se stessa, assente. Tutti si trascinano
con passi pigri, strascicando le scarpe, come gente che non ha alcun luogo in cui andare. Dalla cucina arriva
rumore di piatti, e odore di minestra
di verdura. Sull’orologio sul muro le
lancette avanzano con esasperante
lentezza.
Improvvisamente nella sala entra
uno sconosciuto e svelto la traversa, con una cassetta degli attrezzi
in mano. A un infermiere chiede dove si trova il locale caldaia: è un operaio, addetto a una qualche riparazione. Ma in questo luogo di destini
sospesi, di passi spenti che tornano
sempre nel medesimo punto, la rapida andatura di un uomo che va a lavorare sembra un evento eccezionale.
Gli sguardi dei malati lo seguono con
un’ombra di nostalgia: anche loro, in
un tempo che adesso sembra remoto,
andando a lavorare camminavano a
quel modo.
Che benedizione è, pensi, per gli uomini il lavoro, che li trae fuori da sé,
che li costringe ad alzarsi e a fare e a
essere insieme agli altri. E che benedizione è averlo, un lavoro, anche uno
qualunque: nei passi certi di un operaio in mezzo all’andirivieni opaco
dei malati, lo ho riconosciuto.
Marina Corradi
|
| 30 luglio 2014 |
3
SOMMARIO
08 PRIMALINEA L’OGGI E IL DOMANI DELL’ARCINEMICO | AMICONE
NUMERO
numero 30 | 30 luglio 2014 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
30
Può non piacere ma
l’assoluzione di Silvio
Berlusconi rafforza
un’alleanza riformatrice
di cui l’Italia ha bisogno
LA SETTIMANA
22 SOCIETà PERIFERIE. LE “MOHICANE” DI EBOLI | RINALDI
Minuti
Marina Corradi............................3
Foglietto
Alfredo Mantovano...........7
L’ascia nel cuore
Emanuele Boffi....................... 15
Mamma Oca
Annalena Valenti................41
Acta Martyrum
C. Martini Grimaldi..... 44
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 46
16 ESTERI IL CALIFFATO AVANZA E
OBAMA TACE | CASADEI
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano.................. 47
Mischia ordinata
Annalisa Teggi........................50
RUBRICHE
30 CULTURA LA SCUOLA DI FABRIANO | MOJANA
36 CULTURA SUL MATRIMONIO | SPAEMANN
Stili di vita.......................................... 40
Per Piacere.........................................41
Motorpedia........................................42
Lettere al direttore.......... 46
Taz&Bao................................................48
Foto: Ansa; AP/LaPresse; Sintesi
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 20 – N. 30 dal 24 al 30 luglio 2014
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
IN COPERTINA: Foto Ansa
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò
FOTOLITO E STAMPA: Elcograf
Via Mondadori 15 – 37131 Verona
DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl
SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel.
02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it
EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano
La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui
alla legge 7 agosto 1990, n. 250
CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà:
Editoriale Tempi Duri Srl
tel. 02/3192371, fax 02/31923799
GESTIONE ABBONAMENTI:
Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13
tel. 02/31923730, fax 02/34538074
[email protected]
Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro.
Abbonamento annuale digitale 42,99 euro. Per abbonarti: www.settimanale.tempi.it
GARANZIA DI RISERVATEZZA
PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima
riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso
Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite
nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa
verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati
la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse
pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali).
FOGLIETTO
NUOVA INDAGINE PRELIMINARE CONTRO L’ITALIA
L’Europa ci ricorda le
priorità e il Pd si allinea.
«Rispettate gli uccelli»
|
DI ALFREDO MANTOVANO
Foto: Ansa
Q
(Tempi del 2 luglio), in avvio di
presidenza italiana del semestre europeo, auspicavamo che le nostre
istituzioni facessero occupare l’Unione Europea di questioni serie, non immaginavamo che la faccenda avesse un profilo ben
poco paradossale. Un mese fa la riflessione era concentrata sull’allargamento delle gabbie per l’allevamento delle galline da
uova: una sentenza della Corte di giustizia
europea aveva dichiarato l’Italia inadempiente per non avervi provveduto per tempo e la Commissione aveva aperto una procedura di infrazione; il governo italiano
era corso ai ripari, e la Commissione aveva arcignamente garantito che avrebbe vigilato perché i pennuti avessero maggiori
spazi a disposizione.
Neanche il tempo
DOPO LE GABBIE PER GALLINE, ARRIVA
di prendere fiato. Il 16
LA PROCEDURA CONTRO LA CATTURA DI
luglio la senatrice del
PENNUTI
PER FARNE RICHIAMI VIVI. «UNA
Pd Monica Cirinnà inPRATICA ABERRANTE. QUESTO SEMESTRE
forma che nei confronti dell’Italia vi è una inDEVE ESSERE UN’OCCASIONE DI CIVILTà»
chiesta
preliminare
all’avvio di una nuova procedura di infra- no»; ciò in quanto «i richiami vivi sono vezione perché sul patrio suolo è in atto «da ramente una pratica aberrante e inaccettaanni (la) cattura (di) uccelli selvatici per bile. Futile, superflua e veramente violenta
farne richiami vivi»; «una pratica vietata nei confronti di animali selvatici che vivodalla direttiva Uccelli» (maiuscola inclusa) no viaggiando per decine di migliaia di chispiega la parlamentare, secondo cui «l’Eu- lometri. Io penso che (…) l’Italia, nel semeropa ci dice che si può fare a meno dei ri- stre della sua presidenza europea, possa
chiami vivi, ad esempio cacciando senza ri- cogliere una importante occasione di civilchiami o con richiami a bocca, o al limite tà attesa da decenni».
La senatrice Pd non è un personaggio
con richiami di allevamento». Per questo il
governo Renzi sul punto ha «abbandona- marginale: con una lunga esperienza al
to il testo della legge Europea prevedendo, consiglio comunale di Roma, è relatrice del
nel decreto 91, il cosiddetto Dl competiti- disegno di legge sulle unioni civili, e da cirvità, un nuovo testo, che vieta la cattura»; ca un mese ha elaborato un testo-base che,
l’auspicio di Cirinnà è che il Senato voglia esclusa solo la possibilità di adottare, indi«attenersi rigorosamente al testo del gover- vidua un regime paramatrimoniale per le
uando
Monica Cirinnà ha informato
il Parlamento della nuova
indagine europea.
La senatrice Pd è relatrice
del ddl sulle civil partnership
coppie dello stesso sesso. Alla direzione Pd
di giugno, Renzi ha congelato (per il momento?) il ddl Scalfarotto, e ha puntato
sul ddl Cirinnà sulle civil partnership, da
mandare avanti con priorità. Ella è dunque una esponente Pd così qualificata da
essere incaricata di condurre all’approvazione una legge ritenuta importante dal
suo partito; per lei non sono «aberranti e
inaccettabili» i cadaveri accumulati in una
carrozza ferroviaria nella campagna ucraina, esito della follia del conflitto fra Kiev e
Mosca e della ritrosia dell’Unione Europea
a chiamarla col nome di guerra; e neanche
la merce umana pestata mortalmente in
un fondale di imbarcazione nell’illusione
di arrivare a Lampedusa, nell’indifferenza
europea e con Mare nostrum a garantire
la tranquillità della coscienza nazionale; e
nemmeno i missili di Hamas e le centinaia di vittime civili di Gaza.
Nessuna generalizzazione, ma è questa la sensibilità media della Commissione europea e del nostro Parlamento. Impegnati a distruggere quel poco che resta
di famiglia, non curanti delle tragedie che
colpiscono i propri figli o vicino casa propria, attenti alle galline ovaiole e agli uccelli da richiamo. È una ragione per rassegnarsi, o perché con decisione ancora più
forte chi ha a cuore la centralità dell’uomo cambi verso realmente, nella cultura e
nell’azione politica?
|
| 30 luglio 2014 |
7
Chi ha fatto caso che nel collegio che ha assolto Berlusconi c’era
una “toga rossa”? Chi ha saputo che qualche sera prima della sentenza
il leader di Fi ha confidato di voler mollare tutto? Ed ecco il domani
|
DI LUIGI AMICONE
Ketty salva l
8
| 30 luglio 2014 |
| Foto: Ansa
COPERTINA
a l’Arcinemico
|
| 30 luglio 2014 |
9
10
| 30 luglio 2014 |
|
che Renzi ha visto giusto. «Con Forza Italia che rappresenta milioni di voti non c’è
un accordo di governo ma istituzionale
perché in un paese civile le regole si fanno insieme. Dal punto di vista istituzionale mantenevo la parola anche se Berlusconi fosse stato condannato», dice commentando il verdetto the boss, lo Springsteen fiorentino. Risultato? Le riforme vanno avanti. Un certo spirito di unità nazionale può prendere corpo. La maggioranza
trasversale tiene. M5S è costretto a rincorrere. Gli sfascisti a rosicare. E così, anche
il centrodestra riprende a respirare sotto
il solleone del 40,8 per cento del rottamatore. Un processo che ha dunque scritto
la parola fine sulla guerra dei vent’anni,
come ha titolato in prima pagina il quotidiano torinese perbene? È così.
C’è un giudice (rosso) a Berlino
Non solo. Nessuno ad esempio ha colto il dettaglio minuscolo, ma di simbolica fascinazione, consistente nel fatto che
accanto al presidente Enrico Tranfa, il
secondo giudice di Corte che ha mandato assolto l’ex Cavaliere, c’è una cosiddetta “toga rossa” come la mitica Ilda Boccassini, regina dell’accusa. Accanto al “galantuomo” Tranfa, che al Palazzo di Giustizia di Milano gode di reputazione per il
suo equilibrio e idiosincrasia al protagonismo da riflettori, a sentenziare che la
concussione non sussiste (e non costituisce reato neppure l’ipotesi che una ragazza che all’epoca dei fatti era minorenne
ma si spacciava come 24-25enne sia stata ospite consenziente in villa ad Arcore),
c’era infatti il giudice Ketty Locurto, tessera di Magistratura Democratica e facente capo alla medesima corrente della folta schiera togata che, con o senza Ilda la
Rossa, da Milano a Palermo, da Napoli a
Bari, si contendono fin dal 1994 anche
solo momenti di gloria di inchieste sul
Re leone della politica italiana di Seconda Repubblica. Altra noticina in margine
a una storica sentenza: nessuno ha notato
Foto: Fotogramma
P
uò piacere o no. Ma anche se
l’anagrafe è lì a certificare
che il futuro non si chiamerà Silvio Berlusconi, oggi
l’Italia ha ancora bisogno di
lui e del suo spirito pugnace. Matteo Renzi, che di Berlusconi ha il
carattere, trent’anni in meno e il vantaggio di essere dalla “parte giusta”, si è preso un bel rischio convocandolo al tavolo
delle riforme e scegliendolo come partner nell’impresa di cambiare le carte fino
ad oggi distribuite nelle segrete stanze
delle procure e dei gazzettini di complemento. Da venerdì 18 luglio, data della
sentenza di assoluzione che dopo anni di
ordalia giudiziaria (e chi ripaga il malcapitato? E l’Italia dal bombardamento speculativo in grazia della pessima reputazione del malcapitato? E gli italiani scippati del voto e dal governo del malcapitato?) restituisce al leader di Forza Italia le
redini della politica attiva, i giudici della
Corte di Appello di Milano confermano
COPERTINA PRIMALINEA
Nel processo d’appello
sul caso Ruby, Silvio
Berlusconi è stato
giudicato non colpevole
per entrambi i capi di
imputazione. Nella foto,
i giudici durante la
lettura della sentenza.
Al centro, Enrico Tranfa
se il verdetto ha risposto alle richieste della difesa
il capo della procura non ha mai spiegato perché
ha dato un caso di concussione al capo dell’antimafia
Foto: Fotogramma
stata la delusione dei bastian contrari a
una sentenza che concettualmente libera
il paese dai tutori delle manette e dai parrucconi di palazzo.
che, visto il sorprendente cappotto rispetto al verdetto di primo giudizio, e considerato che la difesa degli avvocati Coppi e
Dinacci ha ottenuto dai giudici di secondo grado risposta oltre ogni aspettativa,
nessuna risposta è invece venuta dal capo
della Procura di Milano all’accusa – una
delle tante – mossagli da un suo sostituto di avergli sottratto fascicoli di sua pertinenza. Nel caso, Edmondo Bruti Liberati non ha ancora detto una parola sul
perché ha girato il faldone riguardante la concussione del caso Ruby (capitolo
che in primo grado ha pesato per sei anni
sui sette di pena comminati all’imputato B.) a Ilda Boccassini, direttrice dell’ufficio distrettuale antimafia, invece che a
Alfredo Robledo, responsabile dell’ufficio
per i reati contro la pubblica amministrazione. Come buon senso e regola che si è
data la stessa Procura di Milano avrebbero esigito, essendo appunto la concussione un reato contro la pubblica amministrazione. Ma insomma, comprensibile è
L’addio all’Italia dei poveri Scalfari
E infatti, per maramaldeggiare su un affare che dopo tutto riguarda solo i fanti, c’è
stato addirittura uno che ha scomodato i
santi. «Nessuno è infallibile, papa Bergoglio sa che non lo è neppure il papa». Se
la presunzione fosse dio, Eugenio Scalfari sarebbe l’Altissimo. Come si fa ad avere il dono della lingua retorica biforcuta e disprezzarlo al punto da farsi accecare dal più gretto dei sentimenti umani, il pregiudizio per la persona? O odioso errore, figlio della malinconia, perché
mostri agli impressionabili pensieri degli
uomini le cose che non sono? Avesse evocato il drammatico dilemma shakespeariano, perfino Scalfari avrebbe avuto un
lampo di genio. E invece, neghittoso e avaro oltre ogni Narciso quale egli è, scrive e
fa titolare l’omelia domenicale “Sentenza forse giusta ma che disonora il paese”.
Ora, a parte lo sbilenco non senso dell’affermazione (poiché è evidente che ristabilire giustizia è per definizione un rendere onore), con questo suo patente rachitismo interiore incapace di riconoscere
l’onore delle armi anche all’avversario
più ostico da atterrare nella polvere e perfino dinnanzi alla legge di cui lo ScalfariRepubblica pensiero mena vanto di essere
sommo baluardo, il Fondatore non solo
riesce a fallire l’incredibile opportunità
di tre, dicasi tre colloqui a tu per tu con
il Sommo Pontefice, ma si candida a fallire anche l’ultimo miglio della sua predica terrena. Ma passando dal mal di vivere che si nutre del vissuto altrui, all’altro
capo del mondo dove il mondo si specchia nel tipo venuto dalla imprenditoria
alla politica a miracolo mostrare, la sentenza di Milano fa ritrovare uno che con
tutta la somma dei suoi difetti, dei suoi
errori, delle sue follie, della sua condanna passata in giudicato e perfino delle
miserie che condivide con tutti noi mortali, sussiste in una misura civilmente e
umanamente superiore a quella di questi presunti gesuiti della Repubblica dalle
mani pulite e i guanti prensili. Prendi un
altro papa alla Scalfari. L’abbiamo davanti come se fosse qui, adesso, con il suo
profilo aquilino, il naso adunco, la mansuetudine che muta improvvisamente in
ira, Mr. Hyde in Dr. Jekyll.
«Guai alla chiesa se appoggerà Berlusconi». Così disse Norberto Bobbio e lo
scrivemmo in tempi non sospetti, di ritorno dalla sua casa torinese dove fummo
suoi graditi ospiti agli inizi del ’94, quando l’uomo di Arcore aveva annunciato la
sua discesa in campo. Allora il filosofo della politica si interrogava sul male dell’universo, sembrava un Socrate, ma dentro di
sé rosicava per l’inquilino privo del supposto pedigree istituzionale, da cui in seguito scaturì il famoso giudizio di “Unfit”
sentenziato su Berlusconi da quei così tanto fit e fighi dell’Economist che finirono
con la loro corrispondente da Roma – tale
Tana de Zolueta – a farsi rappresentare in
parlamento italiano nella lista di quel fine
esponente di pedigree istituzionale, common low e diritto britannico, che fu Tonino Di Pietro da Montenero della Bisaccia.
Ecco, i vent’anni della persecuzione giudiziaria su mandato dell’antiberlusconismo
da regimetto dei parrucconi e della lunga lista dei Picone da complemento, sta
dentro quest’arco tra il Bobbio del ’94 e lo
Scalfari di domenica 20 luglio 2014. L’arco
che va dall’avviso di garanzia consegnato dal Corriere della Sera con un titolo a
nove colonne nel luglio del 1994 a Silvio
Berlusconi presidente del Consiglio e scintillante capotavola al summit dei grandi a
Napoli, al titolo più sommesso, ma chirurgicamente devastante con cui lo scriba del
Corriere della Sera del giugno 2013 rifaceva i conti della prescrizione e, sbaglian|
| 30 luglio 2014 |
11
PRIMALINEA COPERTINA
Maria Elena Boschi,
ministro per le Riforme
costituzionali
e i rapporti con
il Parlamento
seguì, per quei paradossi e nemesi della
Storia, oggi tocca a un giudice e perfino
militante di Md, sentenziare che non solo
la gloria di un passato, ma che il presente
è ancora lì, politicamente a disposizione
di colui che solo due settimane or sono fu
a un passo al darsi per vinto.
Quella tentazione di mollare tutto
«L’ho invitata a cena, caro direttore, per
regalarle una notizia in esclusiva: Berlu-
«l’ho invitata per darle una notizia in esclusiva».
ora ci sono le basi perché renzi, berlusconi e chi
ci sta, compiano l’impresa del riscatto nazionale
alla sopravvivenza anche solo in laticlavio
del leader che nel suo quarto mandato da
premier aveva ottenuto il plebiscito degli
italiani. Si fa presto a dire promesse non
mantenute. In tutti gli altri casi, miriadi
nell’arco dei due sopra citati, forse perché
ben tre presidenti della Repubblica hanno giocato contro o si sono sempre voltati dall’altra parte quando c’è stato di mezzo Berlusconi, il sistema delle corporazioni e dello Stato profondo gli hanno mosso
guerra usando ogni leva. Altro che Commissione di inchiesta. Toccherà agli storici misurare l’infinita pochezza di un regimetto e la grandezza di un carisma controverso ma autentico. D’accordo, se nel
1997 ci fu almeno un Paolo Mieli a fare
mea culpa su quel primo titolo (di cui
mai ha voluto rivelare la fonte) e sull’accanimento mediatico-giudiziario che ne
12
| 30 luglio 2014 |
|
sconi si ritira dalla scena politica». Succedeva quindici giorni fa, la sentenza
non era alle viste, men che meno il sette a uno della Germania sul Brasile. Ebbene sì, quella sera ci parve che l’inquilino
di Arcore ne avesse abbastanza. Tanto gli
sembravano soverchianti le forze avverse
e gli anni addosso, sembrava volesse mollare il colpo. Così, seduto al desco di un
tardo lunedì in cui la mestizia si mescola al vuoto di prospettiva di un’altra settimana divisa tra Roma e Cesano, Berlusconi passava e ripassava per le mani le
agenzie di giornata. «Sì, perché leggi qui,
Renzi dice le cose bene, le dice meglio di
me, ed è più giovane di me». Naturalmente la malinconia era per farsi dire che no
– sono testimoni al tavolo una deputata e
una collaboratrice della comunicazione
– è impossibile immaginare un centrode-
Ce la faranno a compiere l’impresa?
Il resto è storia del week-end più felice a
casa Arcore. E del capo di Forza Italia che
raccomanda ai suoi di non attestarsi nelle
grida di giubilo e di cortigianeria, rimettersi a fare politica, togliersi dai binari a
far da massi in compagnia dei frenatori
del treno Renzi. E del tam tam, pepe sulla sciapita cronaca politica estiva, intorno
alle telefonate ad Alfano e agli altri di Ncd
che restano sulla difensiva ma capiscono
che alternativa non c’è al tornare insieme o al marciare separati con le stampelle sotto il solleone. Molti sostengono che
Berlusconi sia il suo doppio. Invece Berlusconi è, almeno nel punto sorgivo, sempre e solo Berlusconi. Libertà. Adesso, in
piena continuità con l’Italia dei liberi, e
perciò veramente laici, da De Gasperi a
Einaudi a Craxi, da Amendola a Giussani
a Ferrara, il resuscitato anche grazie a Ketty la Rossa può e deve offrire l’ultima parte della sua impressionante durata politica a cause impossibili e perciò degne. La
causa delle riforme condivise col Pd di
Renzi e con chiunque ci sta. La causa della
rimessa in carreggiata dell’Italia di fronte
alla disintegrazione del mondo europeo.
La causa di un nuovo centrodestra. Ce la
farà? Ce la farà, se si farà almeno sui fondamentali, la “grosse koalition” all’italiana? Ce la farà il giovane alla Boschi e Toti
a dar torto ai menagramo? Non lo sappiamo. Sappiamo però che l’Italia ha bisogno di loro, e non dei gufi. n
Foto: Ansa
doli, sottraeva Silvio Berlusconi al suo
giudice naturale per consegnarlo in fretta
e furia alla condanna del famoso giudice
feriale Ferdinando Esposito. In entrambi i
casi le veline hanno avuto effetti pesantemente distorsivi nel gioco della democrazia. In entrambi i casi non si conoscono gli
architetti dell’operazione che, nella prima circostanza minò e quindi ribaltò gli
esiti del primo trionfo elettorale di Berlusconi. Nella secondamise una pietra sopra
stra senza Berlusconi. Più semplicemente, gli consigli, «Presidente, non le conviene. Fare politica è l’unico modo che
lei ha per difendersi e per difendere una
grande azienda che dà lavoro. Quanti italiani sono? Cinquantacinque, sessantamila? Ecco. Naturalmente la serata si concluse con un «naturalmente caro direttore scherzavo». E da copione burlesque
come si conviene a un genio burlone, «…
ma non troppo».
l’ascia
nel cuore
I
n un testo di Flannery O’Connor (Il mi-
stero di Mary Ann) si riporta un passo
di un racconto di Nathaniel Hawthorne, intitolato La voglia. Alymer, dopo anni di matrimonio, per la prima volta, nota
sulla faccia della moglie Giorgiana un leggero segno. «Hai mai pensato che la macchia che hai sulla guancia potrebbe essere
tolta?». Da quell’osservazione, lei capisce
che lui non l’ama più. L’amore che, fino
a quel momento, l’ha preservato dal ritenere degna di nota quell’imperfezione, è
svanito. Alymer non le dice che non l’ama.
Le dice di rimuovere quella voglia, così da
essere «perfetta». Ma, appunto, Giorgiana,
con intuito, diciamo così, assai femminile, comprende anche il non detto. Amore
e perfezione sono nemici. Non stanno assieme. Cozzano.
Il passo di Hawthorne mi è tornato alla mente settimana scorsa quando la mia
amica Susanna Campus mi ha comunicato che la Dinamo Sassari, squadra di basket sarda che quest’anno ha strabiliato
tutti per i suoi risultati sul campo, la prossima stagione porterà sulla maglia il logo di Aisla, l’associazione dei malati di Sla
(sclerosi laterale amiotrofica).
Susanna l’ho conosciuta nell’estate
del 2007. Ero in Sardegna per occuparmi
del caso di Giovanni Nuvoli, un ex arbitro
di calcio, malato di Sla che aveva chiesto
l’eutanasia. A un certo punto, Demetrio
Vidili, il primario del reparto di anestesia
di Sassari, mi portò a casa di un’altra malata di Sla, sua paziente e amica. Susanna
aveva fatto posizionare un vaso di fiori sotto la finestra, «in modo tale che posso vederli crescere», mi disse dettando con gli
occhi un pensiero sul cartello delle lettere. Chi è costretto a letto e non può nemmeno muovere una mano, deglutire, grattarsi il naso quando più ne ha voglia, ha
un senso del tempo assai diverso da chi
può muoversi liberamente. Susanna vede
crescere le piante, non so se capite. È una
sorta di privilegio divino, se ci pensate. Susanna percepisce ogni istante come definitivo, assapora ogni secondo come quello
conclusivo. Ogni respiro è una battaglia,
letteralmente. Per tutti è così. Ma solo chi
è sul ciglio del burrone sa che non è solo
un pensierino della sera.
In verità, quella fu solo la prima lezione che mi impartì quel giorno. Infatti la
seconda frase che mi rivolse fu un rimprovero perché la madre mi aveva offerto un
caffè e io lo stavo sorseggiando in piedi.
«Siediti!», mi ordinò dettando con gli occhi. «È maleducazione bere il caffè in pie-
la pretesa dell’amicizia
Cosa si vede
quando si guarda
in faccia Susanna
|
DI EMANUELE BOFFI
Susanna Campus, malata di Sla (sclerosi
laterale amiotrofica) circondata a casa
sua dallo staff e dai giocatori della Dinamo
Sassari, che quest’anno ha vinto la Coppa
Italia di basket. Susanna ha un blog
su tempi.it, “Scritto con gli occhi”
di a casa di amici». E due. Ero lì da cinque
minuti e già m’aveva dato due belle lezioni. Così siamo diventati amici.
Due anni fa, Tempi le ha chiesto di
tenere un blog sul sito. Si chiama “Scritto con gli occhi” ed è un diario non piagnucoloso né edulcorato di quella che è
la quotidianità di un malato di Sla. È piena di cose la giornata di Susanna. Ci sono
le rondini alla finestra che ballano per lei,
le rare passeggiate all’aria aperta, le visite
di amici e infermieri, il quotidiano e ammirevole sacrificio della madre e della sorella Immacolata, il “cambio cannula”, la
sbobba sorbita tramite Peg, i guai di una
malattia che non lascia tregua, le impre-
cazioni da querela per il montascale rotto.
Ci sono, soprattutto, le passioni sportive per la Torres Calcio e la Dinamo Sassari Basket. Susanna è talmente cocciuta
che, non solo è riuscita ad andare a vedere qualche partita delle due squadre, stressando oltremodo presidenti, dirigenti e
giocatori, ma è anche riuscita a portarli a
casa sua. Non uno o due giocatori: tutte e
due le squadre al gran completo. La Dinamo quest’anno ha vinto la Coppa Italia e
la prima uscita ufficiale è stata a casa di
Susanna. Una dozzina di marcantoni hanno invaso la sua stanzetta per consegnare simbolicamente la coppa alla loro «tifosa numero uno». La passione di Susanna
per i suoi beniamini non ha nulla di composto e accomodante. È esagerata, selvaggia, cieca, importuna, come solo i grandi
amori sanno esserlo. Non ho mai visto nessuno essere così fedele alla propria pretesa di amicizia. È una pretesa viscerale, che
non ammette ritirate e sotterfugi. Se bevi il caffè in piedi a casa mia dai già l’idea
che sei sulla porta. Invece, se sei un amico, devi “stare”.
Impressiona vedere quanta frenesia si
crei attorno a un motore immobile. E si
potrebbe quasi dire che tutta questa gente
che le si avvicina e la vuole conoscere, intuisca dal contraccolpo con una vita tanto
fisicamente ammaccata, quanto sia simile
alla propria vita apparentemente intonsa.
Soprattutto, a differenza dell’Alymer di
Hawthorne, tutta questa gente quando la
guarda in faccia non vede più la macchia
della Sla. Vede Susanna.
|
| 30 luglio 2014 |
15
ESTERI
LO STATO ISLAMICO
L’espansione
indisturbata
Il califfato avanza, l’America tace. I jihadisti
hanno sottratto armi e munizioni all’esercito
iracheno e ora tornano in Siria per riconquistare
Aleppo. Qual è la strategia di Obama? Qualche
ragionevole dubbio sul suo silenzio interessato
|
DI RODOLFO CASADEI
ESTERI LO STATO ISLAMICO
L’
Isil cresce e avanza,
l’America non fa nulla.
Si riassume così quello
che è accaduto nel vasto
campo di battaglia che
va da Aleppo nel nord
della Siria a Tikrit nel centro dell’Iraq sei
settimane dopo la presa di Mosul e di altre
località irachene da parte degli uomini
di Abu Bakr al Baghdadi e di altri gruppi armati antigovernativi. E il dubbio che
all’amministrazione Obama la deriva verso l’instabilità permanente di due paesi
retti da governi centrali in ottimi rapporti
con l’Iran non dispiaccia affatto si fa sempre più forte.
I notiziari hanno dato l’impressione
che, a parte l’enfatica dichiarazione con
cui è stata annunciata la rinascita del califfato il 12 luglio scorso sotto forma di Stato islamico governato dall’emiro dell’Isil,
niente di rilevante dal punto di vista militare sia accaduto negli ultimi tempi e che
l’offensiva jihadista si sia arrestata a rispettabile distanza da Baghdad. Non è affatto così. Mentre il fronte iracheno è quasi
immobile, quello siriano risuona di battaglie. I jihadisti hanno spostato uomini e mezzi da ovest verso est, riattraversato la vecchia frontiera fra Iraq e Siria carichi delle armi leggere e pesanti che hanno sottratto alle truppe irachene in fuga,
e stanno combattendo per riportarsi su
Aleppo, da dove erano stati cacciati nel
gennaio scorso non dalle truppe governative, ma da una coalizione di forze ribelli. In questo momento stanno combattendo contro le milizie armate curde del
Pyd nella regione di Ain al Arab al confine con la Turchia, dopo avere strappato la
città di Der Ezzor (tranne alcuni quartieri e un aeroporto militare ancora controllati dalle forze di Damasco) e l’intera omonima provincia agli alqaedisti di Jabhat al
Nusra che da due anni le avevano occupate in grandissima parte. L’obiettivo sembra essere quello di creare una continuità
logistica che permetta di muovere le forze dell’organizzazione lungo una direttrice est-ovest da Mosul fino ad Aleppo. Il Pyd
è il principale partito curdo siriano dotato
di un’ala armata, e politicamente si mantiene in equilibrio non essendo schierato con nessuno dei protagonisti del conflitto siriano: né col governo, né coi ribelli. Jabhat al Nusra è la filiale locale di Al
Qaeda, riconosciuta da Ayman al Zawahiri in persona. Inizialmente in Siria operava in sintonia con Isil, ma la pretesa di al
Baghdadi, nell’aprile del 2013, di fondere
le due organizzazioni, il rifiuto di Jabhat
al Nusra di sottomettersi e il sostegno di
al Zawahiri alla linea di quest’ultima han-
18
| 30 luglio 2014 |
|
no creato fra i due gruppi terroristici un Qualche dubbio che
antagonismo che dall’inizio di quest’an- la deriva verso
no si è trasformato in scontro armato per l’instabilità permanente
di due paesi (Siria
la supremazia. Nonostante tutti gli altri e Iraq) retti da governi
gruppi della ribellione (principalmente il in ottimi rapporti con
fatiscente Libero esercito siriano e i sala- l’Iran non dispiaccia
fiti del Fronte Islamico) si siano schiera- affatto ad Obama si
ti con Jabhat al Nusra, Isil sta avendo la fa sempre più forte.
Sotto, il presidente
meglio. Da gennaio ad oggi 8 mila ribel- iracheno al Maliki.
li sono caduti in battaglie fra gli uomini Nella foto grande,
di al Baghdadi e combattenti di tutti gli la città di Aleppo,
altri gruppi, per la grande soddisfazione devastata dalla guerra
del governo di Damasco. Che ha facilitato di questi anni
il compito di Isil continuando a contrattaccare le posizioni del Libero esercito siriano
(Les), di Jabhat al Nusra e del Fronte islamico, ma non quelle dello Stato islamico
in Iraq e Levante. Tattica politico-militare
molto facile da comprendere: Isil è l’unico
gruppo armato di oppositori del regime
stabilmente impegnato a combattere gli altri gruppi ribelli
PER GODERE DEL SOSTEGNO
per sottrarre loro territorio e
DEGLI STATI UNITI
risorse; non c’è bisogno di nessuna ipotesi complottistica per
Baghdad DEVE cambiARE
spiegare la reticenza delle forze governative a colpire i più
le politiche DI al Maliki,
estremisti dei jihadisti: il nemiA partire dalla vicinanza
co del mio nemico è il mio amico. Fino a quando non divencon l’Iran, nemico giurato
ta troppo forte. L’aviazione di
del governo americano
Damasco ha dedicato alcuni
dei suoi più recenti raid alle
postazioni dell’Isil nella provincia di Der
Ezzor dopo la caduta di Mosul.
Un’attrazione irresistibile
Non c’è bisogno di ipotesi complottistiche
nemmeno per spiegare la guerra pendolare di Isil, prima in Iraq e adesso in Siria.
Fermo restando che l’obiettivo dell’organizzazione è uno Stato islamico che
abbracci i due paesi, Isil ha bisogno di dare
la priorità al rafforzamento del suo insediamento in Siria, dove ha ampi margini
di espansione. Con le forze attuali non è in
grado di impadronirsi di Baghdad, anche
se potrebbe da subito precipitare la capitale in una condizione di anarchia. Il problema di Isil in Iraq sono le alleanze: le hanno permesso di cacciare le forze governative da molte località del paese, ma non
le permetterebbero di vincere e dominare incontrastata. I successi iracheni di Isil
sono stati resi possibili dall’esasperazione della minoranza sunnita, emarginata,
oppressa e mal governata dagli esecutivi a
egemonia sciita di Nouri al Maliki soprattutto dopo il ritiro delle truppe americane
nel 2011. L’antenato dell’Isil, che dopo aver
cambiato vari nomi si chiamava Al Qaeda
in Mesopotamia, fu messo alle corde nel
2006-2008 dal movimento del Risveglio
sunnita, chiamato anche Figli dell’Iraq,
coltivato dagli americani che fornirono
armi, addestramento e denaro a decine di
migliaia di elementi delle tribù della provincia di Anbar e poi delle altre province
a forte presenza sunnita. Al momento del
ritiro degli americani, al Maliki si è trovato
con 100 mila civili sunniti in armi da stipendiare. Ha deciso di assorbirne 20 mila
nella funzione pubblica e di mandare gli
altri al diavolo. Nello stesso periodo sono
iniziate le manifestazioni di piazza e gli
accampamenti di protesta dei sunniti contro il governo centrale: repressi con la violenza e gli arresti. Assieme all’Isil hanno
Foto: AP/LaPresse; Sintesi/Photoshot; Pete Souza/White House
Jabhat al Nusra è la filiale
locale di Al Qaeda IN SIRIA.
Inizialmente operava in
sintonia con Isil MA NEGLI
ULTIMI TEMPI fra i due
gruppi terroristici SI è
CREATO UN antagonismo che
si è trasformato in scontro
armato per la supremazia
ripreso vitalità tutte le guerriglie sunnite che avevano sfidato gli americani dopo
l’occupazione del 2003: l’Esercito islamico dell’Iraq, l’Esercito dei Mujaheddin
dell’Iraq, i nostalgici di Saddam Hussein
riuniti negli Uomini dell’esercito dell’Ordine di Naqshbandia… Tutti costoro e una
parte dei ricostituiti tribali Consigli del
Risveglio sunnita hanno dato vita a un’alleanza tattica con Isil che ha permesso
di mettere in crisi il controllo delle forze
armate governative sull’insieme del territorio nazionale nel giugno scorso. Gli stessi gruppi sunniti che in passato avevano
disarticolato l’Isil, oggi appoggiano la sua
sfida al governo di Baghdad. Ma gli uni e
gli altri sanno che si tratta di un’alleanza
fragile e opportunistica, già esposta a tensioni a Mosul e altrove.
In Siria è diverso, l’Isil sembra esercitare un’attrazione irresistibile: un anno fa
i suoi combattenti sul posto erano circa 3
mila, oggi sono stimati in 10 mila, risultato non solo della campagna di reclutamento mondiale lanciata sui social media, ma
di migliaia di defezioni dagli altri gruppi ribelli verso quello che appare meglio
dotato di armi e denaro in contanti. Mentre i 500 milioni di dollari che Obama
ha decretato di spendere per alimenta-
re ribelli “filo-occidentali” contro il regime di Bashar el Assad non si sa se e quando saranno erogati: il Pentagono ha fatto sapere al Congresso (che deve approvare l’iniziativa presidenziale) che con quella cifra può addestrare al massimo 2.300
uomini nell’arco di 18 mesi, che ci vorrà
molto tempo a trovare aspiranti guerriglieri sicuramente refrattari alle sirene jihadiste e che la Giordania non è più disponibile a ospitare campi di addestramento americani per ribelli siriani da quando Jabhat
al Nusra si è insediata nella regione di confine. Tutti sono d’accordo che per un anno
almeno non succederà niente.
|
| 30 luglio 2014 |
19
ESTERI LO STATO ISLAMICO
Se tattica e strategia dell’Isil sono chiare, quelle degli Stati Uniti sono oggetto di
speculazioni. A sei settimane dalla conquista di Mosul e altre località da parte
dell’Isil e compagni, i droni americani che
potrebbero colpire le piazzeforti ribelli
restano nei loro hangar. In precedenza le
autorità irachene avevano chiesto più volte a quelle americane di intervenire con
bombardamenti mirati delle forze ribelli.
La prima volta era stata nel dicembre scorso, l’ultima, per bocca del premier al Maliki in persona, l’11 maggio scorso. Obama,
che nel corso dei suoi due mandati ha ordinato circa 450 attacchi di droni che hanno
causato 2.400 vittime in Pakistan, Yemen
e Somalia (paesi che non sono in guerra
con gli Stati Uniti), aveva fatto rispondere
che l’intervento diretto americano in Iraq
doveva considerarsi esaurito e che i droni vengono utilizzati contro gruppi ter-
se per giustificare la loro inazione. Che si
affacciano sulla pubblica piazza attraverso
le colonne del New York Times: il 14 luglio
in un articolo di prima pagina si poteva leggere che «senza un controllo aereo
avanzato americano sul terreno, attacchi
aerei potrebbero accidentalmente uccidere i leader tribali di cui ci potrebbe esser
bisogno» per arrivare a una soluzione politica della crisi; il giorno dopo un altro articolo di prima pagina spiegava che «Un
documento riservato sulle forze di sicurezza irachene conclude che molte unità sono
così profondamente infiltrate da informatori dei gruppi sunniti estremisti o da personale sciita al soldo dell’Iran, che consiglieri americani incaricati di assistere le
forze di Baghdad potrebbero correre rischi
per la loro sicurezza». Sarebbero queste le
ragioni per le quali l’amministrazione ha
inviato finora soltanto 500 uomini in due
SE L’IRAN INTERVENISSE IN IRAQ SI IMPANTANEREBBE
IN UN CONFLITTO SENZA VIE D’USCITA E SI RITROVEREBBE
CONTRO TUTTI I PAESI ARABI A MAGGIORANZA SUNNITA
roristici che complottano contro gli Stati
Uniti. Che era un po’ come inviare all’Isis
il messaggio che non doveva temere nulla dagli Stati Uniti finché si concentrava a
colpire obiettivi iracheni. Discorso speculare ha tenuto l’Isil quando, dopo la presa
di Mosul, commentatori ed esponenti politici americani hanno cominciato a invocare un intervento muscolare da parte di
Washington contro i jihadisti vittoriosi: i
social media si sono riempiti di messaggi
che avvertivano che l’Isil avrebbe reagito a
un intervento diretto in Iraq contro le sue
posizioni con attacchi terroristici sul suolo americano. Che è come dire: continuate
a non fare niente contro di noi come avete fatto finora, e non vi succederà niente.
Dopo la presa di Mosul e le voci di un
imminente assalto a Baghdad, gli Stati Uniti hanno dovuto architettare nuove scu20
| 30 luglio 2014 |
|
tranches, sei elicotteri, alcuni droni da sorveglianza e qualche missile Hellfire. Ma i
veri motivi sono di natura politica: gli Stati Uniti non interverranno seriamente in
difesa del governo di Baghdad fino a quando esso non cambierà le politiche decise da
al Maliki negli ultimi anni. E cioè: il rifiuto di un’alleanza strategica con Washington, l’avvicinamento all’Iran (grande sponsor del primo ministro sciita), l’emarginazione dei sunniti dai posti di potere e la
repressione delle loro proteste.
Quest’ultimo punto gli Stati Uniti
l’hanno in comune coi capi delle tribù
sunnite che avevano dato vita ai Consigli del Risveglio. Costoro sono disposti a
rompere le loro recenti alleanze con l’Isil
o a uscire dalla neutralità e combattere
contro i terroristi, ma non prima che il
governo centrale di Baghdad abbia accol-
to le principali richieste dei partiti sunniti: federalismo, autonomie regionali, posti
di potere nella pubblica amministrazione
e nell’esercito. Né gli americani né le tribù
sunnite chiedono ufficialmente la testa di
al Maliki, ma lasciano intendere che la sua
uscita di scena faciliterebbe le cose.
Chi farà la prima mossa?
La risposta del primo ministro uscente
non si è fatta attendere: il 16 luglio attraverso un portavoce ha fatto sapere che non
accettava che un intervento aereo americano fosse condizionato alle sue dimissioni. Tre giorni prima sempre sul New York
Times l’ex ambasciatore americano in Iraq
Zalmay Khalilzad aveva scritto: «Da ambasciatore ho avuto rapporti diretti con al
Maliki, e so che resisterà ostinatamente a
ogni tentativo di rimozione. (…) Washington non deve abbandonare i suoi sforzi per
aiutare l’Iraq a formare un governo di unità nazionale, ma deve anche lavorare ad
alternative realistiche nel caso che l’Iraq
si disintegri». Da come si stanno muovendo, gli americani sembrano essersi convinti che al Maliki e i suoi non cambieranno
politica. Danno per finito l’Iraq e si ingegnano di trasformarlo in una trappola per
gli iraniani. Agiscono in modo da precipitare un intervento militare di Teheran in
Iraq in soccorso del governo ultrasciita di
al Maliki. I contraccolpi per l’Iran sarebbero tutti negativi: si impantanerebbe in un
conflitto senza vie di uscita e si ritroverebbe contro tutti i paesi arabi a maggioranza
sunnita. La Repubblica islamica è consapevole di queste prospettive, e infatti fino
ad ora ha inviato in Iraq solo un numero
limitato di consiglieri militari presi dalla
Forza Qods, l’unità delle forze speciali iraniane incaricata delle missioni all’estero.
In questo momento America e Iran ricordano due ciclisti su pista impegnati in un
surplace, il gesto tecnico che vede le biciclette immobili in equilibrio. Il primo che
si muove perde di sicuro la volata. n
Campagna Meeting 2014
MISSIONE TEMPI
RADDOPPIAMO GLI ABBONAMENTI
Sottoscrivi o rinnova un abbonamento dal 1 agosto al 15 settembre
ne riceverai uno digitale in omaggio per un nuovo amico
v e r s i one
i
www.
.it
www.
.it
le
T e mp
i
in
gita
p l i caz i on
r t abl et e
di
Cartaceo
pe
a r t phone
Abbonamento annuale
30
sm
Digitale
Tutti gli abbonamenti comprendono:
Ap
Abbonamento annuale
Ti aspettiamo al Meeting dal 24 al 30 agosto PADIGLIONE A3
società
22
| 30 luglio 2014 |
periferie/8
|
|
DI PEPPE RINALDI
Quelle che
si fermano
a Eboli
Sveglia alle tre di mattina, sui campi dall’alba fino
all’una. Poi di nuovo sul pulmino per tornare a casa.
Dove le aspetta l’altro lavoro. Quello per mandare
avanti la famiglia. Una giornata con le contadine
della Piana del Sele. Donne così non ne fanno più
Foto: Sintesi
N
per bisticcia- ne normali, più normali di altre che
re col marito che si rifiuta di pure portano sulle spalle il peso di mezaccompagnarle all’Ikea. E neppu- za nazione. Donne in carne e ossa, miliore con figli o nipoti perché in ludoteca la ni di anni luce distanti e distinte dai patetorta di compleanno non aveva la statu- mi mainstream sul corpo delle donne e i
ina zuccherosa di Minnie uguale a quel- vari #senonoraquando. Oggi sono poche,
ma un tempo furono tanla vista in tv o sull’iPad
tissime, l’Italia è in gran
dell’amichetto più fortuin viaggio
parte scolpita nel sudore
nato. Nelle loro case, tra
Seguendo l’invito
di queste coraggiose femun camino in pietra d’aldi papa Francesco
mine piegate nei campi
tri tempi e una cristallieContinua il viaggio di
sin da quando le otto ore
ra in arte povera, cucine
Tempi nelle periferie
esistenziali. Le tappe
in fabbrica rappresentalaccate e stanze da letto
precedenti: la tribù dei
vano un miraggio o perancora inviolabili, magatupurì africani (Rodolfo
fino un privilegio. Com’è
ri spunta pure il televisoCasadei), la borgata di
ancora oggi, in un cerre a cristalli liquidi, tanRoma (Monica Mondo),
la missione di padre
to senso, perché c’è semti pollici di ultima geneBelcredi in Amazzonia
pre qualcuno più “periferazione, ma la sensazio(Piero Gheddo), il ghetto
rico” di te.
ne che si riceve è di non
dei profughi a Tripoli
Benvenuti a Eboessere in mezzo a gente
(Gian Micalessin), Oxford
(Antonio Gurrado), il
li, nella sua sterminata
che ha tempo che avanza
kibbutz Sasa in Israele
piana – quella del fiume
per la depressione, maga(Angelica Calò Livné), le
Sele, già Sylarus al temri post parto e magari a
township del Sudafrica
po di chi, tra una guerra
cinquant’anni, o ha appe(Lorella Beretta).
e l’altra, fondava la civiltà
na presentato un ricoroccidentale – che a nord
so al Tar contro la scuola incapace di apprezzare quel genio del sfiora Salerno tagliando Battipaglia e a
figlio, appena bocciato. Sono ben altri sud chiude con Paestum. Davanti, circa
gli àmbiti frequentati da queste ultime trenta chilometri di costa che fa da spar“mohicane” della terra: donne vere, don- tifuoco tra il Cilento e la “Divina” amalon hanno molto tempo
|
| 30 luglio 2014 |
23
società periferie/8
fitana; in mezzo, migliaia e migliaia di
ettari zeppi di periferie esistenziali che
neppure immagini.
Sono femmine, sono italiane, la media
è sui 40 anni, la più anziana è vicina alla
pensione anche se «’u guvern’ m’ha fatt’
fess’», sostiene alludendo alla cosiddetta
riforma Fornero. «Ma ’u guvern’ nunn o’
sap’ che signific’ faticà miezz’a terr’», il
governo non sa cosa significhi lavorare
la terra, aggiunge in un misto linguistico
irresistibile per simpatia e sonorità. Infatti, chi può saperlo cosa significhi se non le
frotte di romene, ucraine, moldave e bulgare che hanno spazzato via le “nostre”
donne dai campi, e non solo per colpa
della globalizzazione? Come dar torto a
Rosetta Palmieri, 51 anni, da San Pietro
al Tanagro, mezza vita nella terra, l’altra
mezza a curare i genitori anziani, tutte e
due le metà in attesa della giornata che
finisce nei campi ed è «sempre una buona giornata», perché significa che il pane
a casa ci sarà anche oggi? È un pane di cui
ha bisogno per davvero Rosetta, altrimenti perché andare a spaccarsi la schiena,
bruciarsi la pelle, i capelli e le mani per
trenta miseri euro, tre giorni di sigarette
di un “fumatore medio-alto”? Intanto alla
radio, verso le 4,40 del mattino, lungo il
tragitto che dalle montagne porta giù
nella piana e mentre il chiarore del sole
nascente inizia a farsi luce vera, scorro24
| 30 luglio 2014 |
|
no già programmi sulle difficili scelte della nostra vita quotidiana, a partire dalla
nazionalità della manicure: meglio cinese, meglio l’estetista di scuola di formazione professionale o quella fai-da-te? Per una
donna che sta per farsi sei-otto ore piegata
sotto il sole a tirar su meloni o fragole non
è esattamente una priorità.
Per strada con il “caporale”
L’esistenza in questa periferia comincia
sul finire di maggio (dopo alcune semine di marzo) e si intensifica dal giorno
di Sant’Antonio, quando parte la raccolta dei meloni e mancano appena quindici giorni alla fine di quella delle albicocche, sebbene arrampicarsi sugli alberi sia
più roba per uomini (lo ammettono tutti
qui, senza problemi né birignao contro il
“sessismo”).
Il “caporale” che ogni notte raccoglie
le lavoratrici nei punti di raccordo per chi
scende da San Gregorio Magno, Buccino,
Colliano, Valva, Petina, San Rufo, Teggiano, Sant’Arsenio, Palomonte, Sicignano
degli Alburni, Acquara, Casaletto Spartano, Sanza, Sacco, Piaggine (piccoli paesi
che coprono tre vaste aree a sud di Salerno), ha rinviato più volte l’appuntamento con Tempi: è diffidente, tentenna, un
giornalista è sempre una rogna, non sia
mai che si tiri dietro l’ispettorato del lavoro o altre diavolerie statali. Non che non
sia in regola, il caporalato come ce l’hanno sempre raccontato è più una suggestione sindacal-letteraria che non l’essenza dello schiavismo (quello vero si scorge
meglio altrove). Sul rispetto delle leggi il
discorso sarebbe lungo, siamo pur sempre al Sud. Il guaio invece è che nonostante le aziende agricole si sforzino di fronteggiare la tirannia fiscale e burocratica,
«quelli se vogliono qualcosa fuori posto
te la trovano sempre». E addio giornata,
addio ai trenta euro di Rosetta e delle sue
colleghe, che per l’imprenditore di turno
sono già diventati sessanta se non di più,
tra balzelli, contributi e tasse.
A bordo del pulmino, un gruppetto di
donne di nazionalità straniera (maggioranza schiacciante, in un rapporto di 8 su
10) protesta con l’autista e dice che il viaggio con loro è meglio non farlo: avranno
le loro ragioni, forse paura, magari vergogna, chissà. Giù nella piana il giro è lungo. C’è chi ci mette un’ora, chi due, chi
addirittura tre prima di sbarcare nei campi. Idem per il rientro.
Una buona colazione, spesso un quartino di vino, fazzoletto in testa (il mitico
“maccaturo”), zainetto in spalla: sveglia
dalle 3,30 in poi, partenza poco più tardi,
arrivo a seconda della provenienza. Alle 6
si mette mano agli attrezzi, all’una si stacca, altre iniziano alle 7,15 e finiscono alle
14,30 ma non in agosto, quando è umana-
Foto: Peppe Rinaldi
«Lavoro da quando avevo 15
anni, Oggi ne ho 52. volevo
pure andare in pensione,
ma la legge è cambiata».
Antonietta sa che di donne
come lei non ce ne sono più
in giro. È l’unica italiana
TRa I 250 operai Dell’azienda
gorio Magno, 52 anni di cui 37 passati nei
campi, a portare due figli fino alla laurea,
a curare un marito, a gestire una casa, i
genitori e le poche relazioni sociali che
restano a chi sa solo andare avanti e non
ha tempo di guardare indietro. Prima di
lei ha fatto così sua madre e prima ancora sua nonna. Invece sua figlia, ingegnere, probabilmente non sarà della partita.
La stagione sui
campi coltivati a
meloni comincia
sul finire di maggio
(dopo le semine
di marzo) e si fa
più intensa
dal giorno di
Sant’Antonio,
quando parte
la raccolta
mente impossibile continuare con il sole
che ti frigge, il sudore che gocciola incessante e le mosche ti dicono che è ora di
andare, tanto domani si ricomincia. Si torna verso casa, la testa appoggiata sul cuscino del sedile per un pisolino, mentre sotto
il sole del pomeriggio fa sempre più caldo.
Foto: Peppe Rinaldi
Di generazione in generazione
Le donne tornano là dove continueranno a lavorare, Assunta Verdoliva, Maria
Rita Pisano, Lucia Pia Robertazzi, Filomena Cuocolo, Anna Parente ed Enzina Russolillo, autentiche rarità in questo oceano
di straniere che si preparano a dare vita a
un nuovo ciclo storico ed esistenziale in
questa periferia. Tornano nelle loro abitazioni, case di campagna lungo le strade
provinciali e interpoderali che tagliano in
lungo e in largo la Piana del Sele, perché
hanno figli da accudire, genitori da curare, mariti che attendono, chi il pranzo chi
la cena. Non ci si fa il problema della parità da queste parti: c’è roba più seria cui
pensare, il papà lavora la terra anche lui,
magari il pezzettino che gli lasciò il nonno (se la banca non se l’è mangiato), ci
sono i ragazzi da mantenere all’università, le medicine da ritirare in farmacia giù
in città, la scuola del nipotino che quasi
mai è vicina, gli animali cui badare.
Intanto, a furia di conquiste sociali, a
forza di sfornare figli medici, ingegneri e
avvocati, non è rimasto più nessuno a perpetuare la tradizione e la terra rischia di
andare in malora. È un problema serio,
anche perché di solito compaiono strani acquirenti all’orizzonte (ma questa è
un’altra storia). Non ce n’è uno sotto i 30
anni (neppure sotto i 40, a dire il vero) tra
i lavoratori della terra. Eccezion fatta per
gli stranieri: e questo è un gran problema per tutto il resto della nazione. Trenta euro al giorno per tre mesi, domeniche
comprese, fanno circa 2.700 euro, più o
meno netti, una miseria secondo i nostri
parametri “cittadini”. Che però è servita a
donne come Antonietta Perna, di San Gre-
a furia di sfornare figli medici, ingegneri
e avvocati, non è rimasto più nessuno
a perpetuare la tradizione. Non ce n’è uno
sotto i trent’anni tra i lavoratori della
terra. Eccezion fatta per gli stranieri
Croce e delizia per l’Inps
«Il 7 settembre di ogni anno – dice a Tempi Antonietta – vado a piedi in pellegrinaggio al santuario di San Gerardo (provincia di Avellino, ndr). Passiamo tutta
la notte in strada, ci mettiamo circa nove
ore ma ci divertiamo, preghiamo e recitiamo il rosario durante il tragitto». Ecco,
trovatela una così a Milano, a Firenze o
anche a Salerno, Napoli e persino a Eboli. Una donna che si fa nove ore a piedi, di
notte, magari dopo sei ore faticate sulla
terra, e non per andare al centro Messegué ma al santuario di San Gerardo.
«Lavoro da quando avevo 15 anni»,
confida l’unica che riesce a rompere la
naturale e dignitosa ritrosia di queste
persone semplici. «Oggi ne ho 52, volevo
pure andare in pensione, ma la legge è
cambiata, purtroppo». Antonietta sa che
di donne come lei non ce ne sono più in
giro. È l’unica italiana su circa 250 operai
in forze nell’azienda della famiglia Rago
di Battipaglia, una delle più importanti e
moderne, che a differenza di altre non ha
avuto difficoltà a farci entrare per vedere
tutto “sul campo”. «Sì, ora nella terra ci
sono rimasta solo io», dice. E fino a quando intende lavorare? «Fino alle pensione,
per ora mi pagano e mi mettono i contributi, così prendo la disoccupazione».
Eccola la parola magica, “indennità
di disoccupazione agricola”, croce e delizia per l’Inps e per le casse pubbliche.
Qualche migliaio di euro tutti insieme e
l’inverno passa, forse si potranno perfino
mettere da parte un po’ di spiccioli. n
|
| 30 luglio 2014 |
25
ECONOMIA
|
il VALORE DEL NO PROFIT
DI MATTEO RIGAMONTI
Una boccata
d’ossigeno al
volontariato
L
il
terzo settore resiste. E oggi c’è chi gli
darà un aiuto in più. In attesa che
il Governo lo stabilizzi come promesso,
il Banco Popolare ha deciso di anticipare alle organizzazioni di volontariato e
a tutto il terzo settore il 5 per mille. C’è
una consistente fetta dell’economia reale dove, nonostante la congiuntura economica, otto imprese su dieci chiudono l’anno fiscale senza che il bilancio sia
negativo. È il terzo settore. Nel 2013 l’81,5
per cento delle organizzazioni ha concluso l’ultimo esercizio in pareggio (48,2) o
in leggero utile (33,3). Mentre solo il 13,4
per cento lo ha fatto in passivo. Un dato
importante se si considera che, secondo
la Banca d’Italia, la quota di imprese con
almeno venti addetti che ha conseguito un utile nell’anno che avrebbe dovuto
segnare l’inizio della ripresa ma non l’ha
fatto, si è fermata al 56 per cento.
26
a crisi morde, le imprese chiudono,
| 30 luglio 2014 |
|
Il dato è contenuto nella ricerca “Le
organizzazioni di volontariato in Italia.
Tra performances economiche, caratteri
strutturali e questioni di credito”, curata dalla Fondazione volontariato e partecipazione, dal Centro nazionale per il
volontariato e dal Banco Popolare e condotta su un campione di 1.897 presidenti di organizzazioni di volontariato, rappresentative di un universo composto
da 26.300 realtà. Un campione rilevante, visto che, come riporta l’ultimo censimento Istat, il terzo settore in Italia, tra
organizzazioni no profit, associazioni di
promozione sociale, onlus, enti di ricerca scientifica, sanitaria e università, conta
oltre 300 mila istituzioni, 680 mila lavoratori (il 3,4 per cento della forza lavoro italiana) e coinvolge qualcosa come 3 milioni di volontari. Tra i numerosi dati contenuti nella ricerca, che è stata presentata a Palazzo Altieri a Roma in occasio-
Foto: Sintesi
La crisi morde, le imprese chiudono, il terzo settore
resiste. Nonostante i ritardi dello Stato. Da oggi il 5
per mille verrà anticipato dal Banco Popolare. «Così
aiutiamo chi risponde ai bisogni reali del territorio»
Al convegno “Diamo
credito al volontariato”
ha partecipato anche
monsignor Francesco
Soddu, direttore della
Caritas che in Italia
gestisce molti asili nido
ne del convegno “Diamo credito al volontariato”, soprattutto un paio hanno colpito l’uditorio. In primo luogo, il fatto
che il 97,9 per cento delle organizzazioni di volontariato riesce ad affrontare le
spese correnti nonostante la crisi (il 63,6
per cento lo fa senza problemi e il 34,3
per cento comunque vi riesce, sia pur con
qualche difficoltà). In secondo luogo che,
in quasi la metà dei casi (il 46,1 per cento),
eventuali improvvise esigenze di liquidità
sono affrontate ricorrendo all’autofinanziamento. Nell’altra metà dei casi (48,7),
invece, solitamente le organizzazioni si
rivolgono alle banche, cosa che abitudinariamente non fanno se non in misura assai limitata. A conferma dell’effettiva buona salute finanziaria del terzo settore in Italia.
Programmare con tranquillità
E mentre la pubblica amministrazione
prosegue nella sua atavica incapacità di
pagare per tempo le imprese, no profit
compreso – nessuno, infatti, ancora ha detto quanti dei 90 miliardi di euro di stock
di debito accumulato al 31 dicembre 2012
sono stati effettivamente saldati e quanti,
invece, ad essi si sono sommati –, i ritardi e le complicazioni burocratiche che gli
enti pubblici riservano al terzo settore non
sembrerebbero tuttavia minacciarne l’esistenza. Perlomeno non come certe imprese private. Il 15 per cento delle organizzazioni di volontariato, infatti, ha crediti in
essere con la Pa, ma solo nel 6,8 per cento dei casi essi si riverberano in modo grave sulla situazione di liquidità. Solo il 2,2
per cento, invece, dichiara di avere difficoltà nel pagare a sua volta i debiti contratti e
appena il 2,6 per cento incontra difficoltà
nel riscuotere crediti presso i privati.
A rappresentare un più serio motivo di
incertezza e preoccupazione per le organizzazioni di volontariato è, piuttosto, il
ritardo con cui lo Stato liquida l’importo
raccolto grazie alle campagne del 5 per
|
| 30 luglio 2014 |
27
ECONOMIA IL VALORE DEL NO PROFIT
Il presidente di Banco
Popolare Carlo Fratta
Pasini ha annunciato
l’anticipo del 5 per mille
per le organizzazioni
del terzo settore che
ne faranno richiesta
mille. Un ritardo che non sempre permette alle organizzazioni del terzo settore di programmare con certezza e in piena serenità i budget degli anni a venire. I
ritardi arrivano a superare i 12 mesi e spesso si attestano a 18 se non addirittura a 24
mesi. Come se non bastasse la tanto attesa
stabilizzazione del 5 per mille non avverrà prima del 2015, quando dovrebbe andare in porto insieme a tutta la riforma del
terzo settore. Come ha prospettato il sottosegretario al Lavoro con delega al terzo
settore Luigi Bobba in occasione del convegno a Palazzo Altieri, prima che il 5 per
mille possa divenire a pieno titolo una legge dello Stato italiano, occorrono due passaggi non immediati: che il disegno di legge delega di riforma del terzo settore sia
convertito in legge – e ciò dovrebbe avvenire entro l’anno – e poi che vengano stilati dei decreti attuativi, attesi per i primi
mesi del 2015. Oggi, invece, il 5 per mille
viene rinnovato di anno in anno in occa-
no richiesta. Si tratta di una forma di
finanziamento prevista per tutti i soggetti autorizzati dall’Agenzia delle entrate,
quelli cioè che hanno già le carte in regola per ricevere il 5 per mille, con lo scopo di supportare concretamente la loro
attività. L’anticipo del 5 per mille coprirà
fino al 100 per cento del valore in caso di
importi inferiori o pari ai 100 mila euro,
mentre l’80 per cento per importi superiori. Gli interessi? Sono minimi, quelli
pari a zero, è ben noto, esistono soltanto
nelle réclame.
«È importante – ha detto Fratta Pasini
– sostenere il terzo settore. Troppo a lungo, infatti, è stato sottovalutato per via
del pregiudizio che laddove non c’è profitto non può esserci efficienza». Ma non
è affatto così. E sono i numeri a dimostrarlo. Per esempio, le organizzazioni
del terzo settore che hanno avviato nuovi progetti in risposta a bisogni territoriali nell’ultimo anno sono state il 48,1 per
L’anticipo del 5 per mille coprirà fino al 100 per cento
del valore in caso di importi inferiori o pari ai 100
mila euro, mentre l’80 per cento per importi superiori
sione dell’approvazione della legge finanziaria. Quasi che si trattasse di una graziosa concessione da parte dei pubblici poteri alla società civile, che pure paga regolarmente le tasse. Con buona pace al monito
assai caro a papa Paolo VI per cui non deve
mai essere «dato per carità ciò che è dovuto
per giustizia», come ha ricordato a Roma
monsignor Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana.
No profit ed efficienza
In attesa che il Parlamento faccia il suo
lavoro e la legge il suo corso, il Banco
Popolare ha voluto prendere il toro per le
corna. Nella sala di Palazzo Altieri il suo
presidente Carlo Fratta Pasini ha annunciato l’anticipo del 5 per mille per le organizzazioni del terzo settore che ne faran28
| 30 luglio 2014 |
|
cento (erano il 59,5 nel 2011). Il numero
di soci è diminuito solo nel 14,5 per cento dei casi, mentre è risultato stazionario nel 51,9 per cento e in aumento nel
restante 33,6 per cento. E lo stesso andamento si è registrato per quanto riguarda
il numero dei volontari.
Il presidente Fratta Pasini, poi, si è detto personalmente convinto «che ci attendono anni critici, severi, che saranno caratterizzati da una sempre maggiore ritirata del welfare state». Ulteriore motivo per
cui «bisogna proteggere le organizzazioni
di volontariato, sulle quali, purtroppo, la
crisi esercita un effetto asimmetrico, riducendo le domande di beni ma aumentando al contempo quelle di servizi». Ed è per
questo che, secondo il presidente di Banco
Popolare, quando si parla di terzo settore è
quanto mai importante «saper distinguere i soggetti e i progetti migliori, per premiare quelli che valgono, promuovendo
un atteggiamento proattivo e sussidiario
che sia capace di valorizzare chi si mette
insieme per rispondere ai bisogni reali delle persone e del territorio».
Le richieste delle organizzazioni
Certo, le banche non si muovono per
beneficenza, o perlomeno non solo per
quello, visto che il Banco Popolare ha
comunque stanziato nel 2013 donazioni
a fondo perduto per un totale pari a circa 5 milioni di euro. Gli istituti di credito fanno il loro mestiere, cercano settori
dell’economia su cui puntare per incrementare i loro guadagni. E il no profit è
uno di quei comparti che in questo periodo di crisi ha attratto l’attenzione di molti, non fosse altro che per la sua tenuta e le sue ulteriori prospettive di crescita. Senza contare, poi, la rete di relazioni
e contatti che il no profit può garantire
agli istituti di credito, aprendo ulteriori
prospettive di crescita. A confermare l’utilità della misura dell’anticipo del 5 per
mille sono proprio i diretti interessati. La
Caritas diocesana di Roma, per esempio,
presente al convegno con il suo direttore monsignor Francesco Soddu, confida
a Tempi che l’anticipo del 5 per mille è
una misura utile, attesa e fondamentale
per riuscire a programmare con maggiore tranquillità le spese.
La principale richiesta rivolta dalle
organizzazioni del terzo settore alle banche, però, rimane sempre quella di conti
correnti dai costi il più contenuti possibile. Un auspicio espresso dal 31,6 per cento
di esse, seguito da una maggiore disponibilità da parte delle banche nel valutare i
progetti di volontariato in cerca di finanziamento (17,1 per cento) e da quella di
prevedere forme di finanziamento personalizzate e prodotti mirati per le organizzazioni no profit (11,4). n
CULTURA
LA SCUOLA DI FABRIANO
|
DI MARINA MOJANA
Anonimi
costruttori
di civiltà
Uno straordinario viaggio a ritroso alle radici
dell’Occidente cristiano. Attraverso l’inestimabile
patrimonio “sommerso” dei maestri sconosciuti
che tradussero in forma d’arte la rivoluzione
economica, sociale e religiosa del Medievo
1
A
nati
sull’esempio di Benedetto da Norcia nel VI secolo, sorsero i primi
mercati per trovare riparo dalle orde barbariche; erano quattro banchetti di legno
con sopra formaggi di capra (spesso prodotti all’interno delle comunità monastiche), burro, frutta e verdura di stagione,
confetture, miele, ma anche erbe aromatiche per l’igiene orale, o essenze vegetali
per la tintura dei capelli, foglie e fiori secchi per fare tisane digestive, decotti lassativi, infusi contro i reumatismi. Dopo secoli di scambi commerciali, ai quali iniziavano a sovrapporsi i pellegrinaggi a Roma,
in Terra Santa o a Santiago di Compostela,
questi mercati si strutturarono in piccoli
borghi, fino a crescere in città autonome, i
cosiddetti Comuni del Medioevo.
L’ossatura della penisola italiana è
ancora oggi in gran parte medioevale e
30
| 30 luglio 2014 |
|
i piedi delle mura dei monasteri,
comunale: attraversarne la dorsale appenninica è come fare un viaggio a ritroso, alle radici del nostro vivere insieme e della nostra cultura, che significa
anche come frollare il cinghiale, cuocere
la pasta o friggere la verdura, con la stessa sapienza antica che a ogni gesto sociale dettava tempi, forme e ritmi in sintonia con le stagioni. Maggio, ad esempio, era il tempo della guerra e dell’amore. Nelle battaglie (fatte con il bel tempo
e alla luce del sole, quasi fossero gare o
tornei), il nemico non andava ucciso ma
fatto prigioniero, in attesa di un lucroso
riscatto, molto più appetibile che sfuggire alla vendetta dei parenti del morto per
tutto il resto della vita. Il codice cavalleresco imponeva di dare alla società il buon
esempio nell’assistenza dei malati, degli
orfani e delle vedove. Vestire il lutto aveva
il suo perché. In un momento di dolore
LA MOSTRA
Da Giotto
a Gentile. Pittura
e scultura a
Fabriano fra Due
e Trecento
Fabriano
dal 26 luglio
al 30 novembre
a cura di V. Sgarbi
mostrafabriano.it
2
|
In queste e nelle
pagine seguenti,
alcune delle oltre
cento opere
provenienti dai
più prestigiosi
musei italiani e
stranieri esposte
fino alla fine
di novembre a
Fabriano.
1. Maestro
della Madonna si
Sant’Agostino,
Madonna col
Bambino, legno
policromo,
Perugia, Galleria nazionale
dell’Umbria;
2. Maestro
dell’Incoronazione
di Urbino,
Crocifissione,
tempera su
tavola, Urbino,
Galleria nazionale
delle Marche
| 30 luglio 2014 |
31
CULTURA LA SCUOLA DI FABRIANO
4
3. Pietro Lorenzetti,
Crocifisso, tempera su
tavola, Cortona, Museo
diocesano;
4. Maestro dei Magi da
Fabriano (Fra’ Giovanni
di Bartolomeo?), San
Giacomo Maggiore,
legno policromo,
Fabriano (An),
Pinacoteca civica
“B. Molajoli”;
5. Maestro dei Beati
Becchetti, Crocifissione,
legno policromo,
Fabriano, Pinacoteca
civica “B. Molajoli”;
6. Giuliano da Rimini,
Incoronazione della
Vergine, Santi e scene
della Passione, tempera
e oro su tavola, Rimini,
Museo della città;
7. Maestro dei Beati
Becchetti, San
Giovanni, legno
policromo, Fabriano,
Pinacoteca civica
“B. Molajoli”
32
| 30 luglio 2014 |
3
|
5
6
e di fragilità esistenziale, si comunicava
a tutta la comunità il proprio stato vulnerabile e i compaesani si sentivano esortati
alla pazienza e alla comprensione.
L’importanza della città dei fabbri
Ogni momento della vita era ricondotto
alla sua radice e ogni tappa dell’esistenza era un riconoscere che l’uomo non si
fa da solo, che esiste Dio, Padre e creatore.
I poveri e i lebbrosi, sull’esempio di Francesco di Assisi, diventavano l’immagine
di Gesù crocifisso e molti figli delle classi
più nobili, colte e ricche, indossando un
ruvido saio, sceglievano di vivere insieme
non più in eremi per pochi (i monasteri)
ma in case di confratelli (i conventi).
La primavera e l’estate erano anche i
mesi dell’arte. Le maestranze arrivavano
con la bella stagione a edificare una chiesa o ad affrescarne le cappelle e per tutto il tempo impiegato erano ospiti della
comunità, della pieve, dell’ordine religioso o del signore locale che avrebbe pagato il lavoro.
7
La grande mostra “Da Giotto a Gentile” sulla pittura e la scultura fiorite nelle Marche tra Duecento e Trecento, allestita a Fabriano dal 26 luglio al 30 novembre, racconta anche questo, diventando
un’occasione imperdibile per conoscere
le radici della civiltà occidentale. Proprio
da Fabriano, infatti, ebbe inizio quel processo di trasformazione economica, sociale e religiosa che diede origine alla civiltà
dell’Occidente cristiano. Da un lato il pauperismo francescano, incontrando l’operosità benedettina, disseminava il territorio di eremi, pievi e conventi. Dall’altro c’era la capacità manifatturiera e l’affermazione delle corporazioni della borghesia produttrice. Tra esse spiccava l’Arte
dei Fabbri: ben 38 fabbrerie si contavano
nella sola piazza del mercato, dalle quali uscivano continuamente manufatti per
il mercato esterno, tanto che il sigillo del
Comune di Fabriano rappresentava simbolicamente un fabbro nell’atto di battere il ferro sull’incudine. Poi c’era la produzione della carta – che da Fabriano si dif-
la rivoluzione figurativa introdotta da Giotto
nei cantieri delle due basiliche di Assisi fece
PROPRIO di Fabriano e del suo territorio
l’epicentro di un rinnovamento epocale
fonde in tutta l’Europa – mentre la rivoluzione figurativa introdotta da Giotto nel
cantiere delle basiliche di Assisi faceva di
Fabriano e del suo territorio l’epicentro di
un rinnovamento epocale.
L’intuizione di Vittorio Sgarbi
È questo spaccato che la mostra ci regala.
Da qui l’inizio di una nuova e più articolata visione delle vicende della pittura italiana del XIV secolo. A curare la rassegna, che
parte dalla Pinacoteca Civica “Bruno Molajoli” e si articola nel territorio dove sorgono la chiesa di Sant’Agostino (con le cappelle giottesche), la chiesa di San Domenico (con la Cappella di Sant’Orsola e la Sala
Capitolare) e la Cattedrale di San Venanzio (con le cappelle di San Lorenzo e della
Santa Croce), è lo storico dell’arte Vittorio
Sgarbi, che conosce a tappeto il territorio
marchigiano da quando, nel 1992, venne
eletto sindaco di San Severino Marche. Un
impegno politico e culturale riconfermato
nel giugno di quest’anno, con la nomina
ad assessore alla Rivoluzione, alla Cultura, all’Agricoltura e alla Tutela del paesaggio e del centro storico di Urbino.
Sgarbi non è nuovo alle provocazioni e quella che sottende a questa rassegna
sta nell’individuare una precisa Scuola di
Fabriano, la cui caratteristica sta tutta
|
| 30 luglio 2014 |
33
CULTURA LA SCUOLA DI FABRIANO
Gentile da Fabriano,
Stimmate di san
Francesco, tempera
su tavola, Mamiano
di Traversetolo (Pr),
Fondazione
Magnani Rocca
nio artistico in gran parte “sommerso” e
inscindibile dal contesto paesaggistico e
ambientale, di straordinaria bellezza. La
storia dell’arte, infatti, si nutre anche di
geografia: non si comprenderebbe lo sfumato leonardesco senza conoscere le nebbie e le brume della pianura padana, così
come soltanto un pittore come Piero della
Francesca, cresciuto tra le colline di Borgo San Sepolcro, poteva concepire un paesaggio così dolce e ondulato a sfondo delle
sue sacre rappresentazioni. Ciò che caratterizza la pittura a Fabriano è la sintesi
delle forme. Le paste sono compatte, i colori chiari, per lo più a base di terre e di succhi vegetali, che tornano su su nei secoli,
come un’impronta di famiglia, dalle nature morte di Giovanna Garzoni (1600-1670)
fino ai paesaggi di Tullio Pericoli (1936).
Giovane curioso e artista veloce, Gentile si misura
ancora con Giotto, ma l’umore è diverso: «Il saio è
morbido, la stoffa fina, quasi vigogna», scrive Sgarbi
nel “genio degli anonimi”. Cioè di quei
maestri ancora sconosciuti che, nel corso del XIV secolo, crearono a Fabriano e
dintorni un linguaggio artistico di derivazione giottesca, non assimilabile a quello umbro (uscito dal cantiere delle due
basiliche di Assisi, dove Giotto lavorò a
più riprese tra il 1290 e il 1318) o a quello
riminese (dove Giotto soggiornò nel 12991300). Anzitutto nelle Marche ci furono
formidabili scultori del legno (stuccato e
34
| 30 luglio 2014 |
|
dipinto), come documentano le statue a
grandezza naturale attribuite al “Maestro
dei Magi” o al “Maestro della Madonna di
Sant’Agostino”, ma anche pittori di affreschi come il “Maestro di Campodonico” o
di tavole dipinte come quelle del “Maestro
dell’Incoronazione di Urbino” o del “Maestro del Polittico di Ascoli”.
L’iniziativa, che si avvale di un comitato scientifico di prim’ordine, accende i riflettori su uno smisurato patrimo-
Un tramonto e la nuova alba
In mostra ci sono più di 100 opere tra pale
d’altare, tavole, affreschi staccati, sculture,
oreficerie rarissime, miniature, manoscritti, codici. Opere delicate e preziose, concesse dai più prestigiosi musei italiani e stranieri. Dai dipinti di Giotto a quelli di Pietro
Lorenzetti, da Francescuccio Ghissi ad Allegretto Nuzi, la rassegna si chiude con Gentile da Fabriano. Giovane curioso e artista veloce, Gentile si misura con le novità
introdotte negli ambienti artistici di Assisi, Foligno, Perugia, Gubbio, Fano, Orvieto. Guarda ancora a Giotto, ma l’umore è
diverso: «Il saio è morbido, la stoffa fina,
quasi vigogna», scrive Sgarbi in catalogo.
Gentile riparte da Giotto e lo rinnova: ci fa
sentire il calore del sole, la morbidezza della carne, ogni pianta ha una forma riconoscibile: lecci, ghiande, trifogli; è il piacere
di essere vivi. Il Medioevo sta tramontando e Gentile interpreta il suo autunno in
modo intenso e luminoso, con la elegante,
sfinita lentezza dello stile tardo gotico; di
lì a poco molti Comuni si trasformeranno
in corti signorili e una nuova alba sorgerà
sull’Italia del primo Rinascimento. n
100%
9:45 AM
Leggi il settimanale
sul tuo tablet
daPi
iPad
Tempi
MA 54:9
Aggiorna
Home
News
Interni
Sport
Blog
TEMA DEL GIORNO
%001
Mosul. I terroristi
marchiano le case dei
cristiani con la lettera “N”
(Nazarat). Per loro, niente
razioni di cibo e acqua
Leone Grotti
TUTTI GLI ARTICOLI
La fecondazione eterologa e la
necessità di un rinnovato
impegno perché la persona non
sia ridotta a “cosa”
Giampaolo Crepaldi
Grillo al ristorante del Senato? È
la rivincita dell’Anti-Casta
Redazione
Tempi.it
Il quotidiano online di Tempi
Tempi Mobile
«Per Mourinho e per uscire dalla
disperazione» E tu, perché leggi
Tempi? Mandaci il tuo video
Redazione
Le notizie di Tempi.it
sul tuo smartphone
Seguici su
cultura il monito del filosofo
Non era
scritto
nelle stelle?
Indissolubilità del vincolo, seconde nozze, nullità,
accesso ai sacramenti. Che lo voglia o no, la Chiesa è
sulla strada per diventare una controcultura. Resterà
il sale della terra o cederà alle logiche di un mondo
in cui il matrimonio vale “finché l’amore non finisce?”
DI robert spaemann
Il testo che segue è stato scritto da Robert
Spaemann, professore emerito di Filosofia all’Università di Monaco, ed è apparso per la prima volta nel numero di agosto/settembre 2014 della rivista americana
First Things.
L
e statistiche del divorzio nelle società
occidentali sono disastrose. Esse
dimostrano che il matrimonio non
è più considerato una realtà nuova e indipendente che trascende l’individualità
degli sposi; una realtà, come minimo, che
non può essere dissolta dalla volontà di
uno solo di essi. Può invece essere sciolto
dal consenso di entrambe le parti, o dalla
volontà di un Sinodo oppure da un Papa?
La risposta deve essere “no”, perché Cristo stesso ha dichiarato esplicitamente
che l’uomo non può sciogliere ciò che Dio
stesso ha unito. Questo è l’insegnamento
della Chiesa cattolica.
La comprensione cristiana di ciò che
è vita buona pretende di essere valida
per tutti gli esseri umani. Tuttavia persino i discepoli di Gesù furono scioccati dalle parole del loro Maestro. «Allora
non sarebbe meglio non sposarsi per nulla?», gli replicarono. Lo stupore dei discepoli sottolinea il contrasto fra il modo di
vita cristiano e il modo di vita dominan-
36
| 30 luglio 2014 |
|
te nel mondo. Che lo voglia o no, la Chiesa in Occidente è sulla strada per diventare una controcultura, e il suo futuro ora
dipende principalmente da una cosa: se
sarà capace, in quanto sale della terra, di
mantenere il suo sapore e di non essere
calpestato dagli uomini.
La bellezza dell’insegnamento della Chiesa risplende solo quando non
è annacquata. La tentazione di diluire
la dottrina è rafforzata oggi da un fatto imbarazzante: i cattolici divorziano
con la stessa frequenza dei non credenti.
Qualcosa chiaramente non ha funzionato. È irragionevole pensare che tutti i cattolici divorziati e risposati abbiano iniziato i loro primi matrimoni fermamente convinti della loro indissolubilità e
poi abbiano cambiato radicalmente idea
nel corso del tempo. È più ragionevole
presumere che si siano sposati anzitutto senza comprendere chiaramente cosa
stavano facendo: bruciavano i ponti dietro di sé per sempre (cioè fino alla morte), cosicché l’idea stessa di un secondo
matrimonio semplicemente non doveva
esistere per loro.
Purtroppo la Chiesa cattolica non è
senza colpa. I corsi di preparazione al
matrimonio cristiano molto spesso non
forniscono ai fidanzati un quadro chiaro delle implicazioni di un matrimo-
Foto: Corbis
|
nota in margine a SpaemanN
Una discussione che
arriverà al Sinodo
Si deve spiegare perché pubblichiamo questo bel testo, sincero e
squillante, del forse maggior filosofo
cattolico vivente. È un’aperta disamina di un tema divenuto oggetto di
pubblica controversia e, addirittura,
così parrebbe, visto quanto si sente
in giro, motivo di contrapposizione
anche all’interno dei sacri palazzi.
Spaemann entra come una lama
dentro una grande e positiva disputa
che potrebbe cambiare o, meglio,
approfondire la coscienza che la
cattolicità ha del sacramento del
matrimonio e della sua indissolubilità.
La questione, sollevata originariamente da una relazione del cardinale
Kasper e sollecitata dallo stesso papa
Francesco, riguarda le modalità di
ammissione o non ammissione ai
sacramenti delle persone separate,
divorziate, risposate con matrimonio
civile, casi particolari di legami che
saltano (e tutto è particolare, poiché
non esiste una casistica che esaurisca
le possibilità e le condizioni della vita)
in cui si riscontra una rottura del
giuramento che si son fatti un uomo e
una donna, moglie e marito; giuramento santificato in una unione che
all’uomo e alla donna sarebbe impossibile – è impossibile – rendere santa,
cioè veramente umana, adeguata a
ciò che l’uomo e la donna sono: immagine, segno, sacramento, dono di Dio.
Dunque, prima cosa, diciamo che già il
semplice fatto che la Chiesa abbia deciso di affrontare l’argomento e farne
oggetto di dialogo al prossimo Sinodo
è prova tangibile della sua maternità
e paternità. La Chiesa non si volge
dall’altra parte e non finge di non
vedere la fragilità e, per molti aspetti,
la miserabilità dei nostri tempi. Ma
li affronta con sollecitudine proprio
perché è compagnia invincibile a
ogni uomo, a ogni donna, e a tutto il
creato. In secondo luogo, osserviamo
come questa prontezza di compagnia
possa diventare (e spesso diventa) da
parte nostra occasione per anteporre
propri pregiudizi. Un atteggiamento
che talora ci induce a dichiarare con
presunzione ciò che la Chiesa e il
Papa, che della Chiesa è capo infallibile, possono o non possono dire. Come
se la dottrina e le sacre scritture, il
depositum fidei e il Vangelo, fossero
|
| 30 luglio 2014 |
37
Cultura il monito del filosofo
Il filosofo tedesco
Robert Spaemann, autorità
nel mondo cattolico stimata,
fra gli altri, da Benedetto XVI.
Sua la dura reprimenda
ospitata dal mensile
americano First Things
ai molti uomini di Chiesa
che all’indissolubilità del
matrimonio «preferiscono
prendere in considerazione
un’altra opzione, che è
alternativa all’insegnamento
di Gesù e che rappresenta
una capitolazione
al pensiero dominante»
nio cattolico. Se lo facessero, molte coppie probabilmente non deciderebbero di
sposarsi in chiesa. Per altre, naturalmente, una buona preparazione al matrimonio fornirebbe un’utile spinta alla conversione. C’è un immenso fascino nell’idea
che l’unione di un uomo e di una donna
è “scritta nelle stelle”, che resiste per una
forza dall’alto, e che nulla può distruggerlo, “nella buona e nella cattiva sorte”.
Questa convinzione è una magnifica ed
eccitante fonte di forza e di gioia per sposi che attraversano crisi matrimoniali e
cercano di infondere nuova vita nel loro
vecchio amore.
Invece di rafforzare il fascino naturale e intuitivo dell’indissolubilità matrimoniale, molti uomini di Chiesa, compresi vescovi e cardinali, preferiscono raccomandare, o almeno prendere in considerazione un’altra opzione, che è alternativa all’insegnamento di Gesù e che rappresenta fondamentalmente una capitolazione al pensiero dominante secolarista. Il rimedio per l’adulterio implicito
nelle seconde nozze dei divorziati, ci viene detto, non deve più essere la contrizione, la rinuncia e il perdono, ma il passare del tempo e l’abitudine, come se la
generale accettazione sociale e il sentirci a nostro agio con le nostre decisioni e
con le nostre vite avesse un potere quasi soprannaturale. Questa alchimia pre38
| 30 luglio 2014 |
|
sumibilmente trasforma il concubinaggio adulterino che chiamiamo “secondo
matrimonio” in un’unione accettabile
che merita di essere benedetta dalla Chiesa nel nome di Dio. Se la logica è questa,
non sarebbe men che giusto che la Chiesa benedicesse anche le unioni fra persone dello stesso sesso.
L’entropia si serve del tempo
Ma questo modo di pensare è basato su
un profondo errore. Il tempo non è creativo. Il suo trascorrere non restaura la perduta innocenza. In realtà la sua tendenza è sempre esattamente l’opposto: ovvero, di produrre entropia. Ogni istanza di
ordine in natura è strappata al dominio
dell’entropia e col passare del tempo alla
fine ricade in suo potere nuovamente.
Come dice Anassimandro, «da ciò da cui
per le cose è generazione, sorge anche la
dissoluzione, secondo un tempo stabilito». Sarebbe sbagliato rietichettare il principio di decadimento e di morte come
qualcosa di buono. Non dovremmo confondere il graduale smorzarsi del senso
del peccato con la sua scomparsa e la liberazione dalla nostra perdurante responsabilità verso di esso.
Aristotele ha insegnato che c’è maggiore male in un peccato abituale che in una
singola caduta accompagnata dal rimorso. L’adulterio è un tipico caso di questo
realtà a sé stanti invece che essere
fondate su Pietro e sulla sua Chiesa
storica, la sua Chiesa viva. Non è così.
Tutta la rivelazione cristiana si fonda
sulla testimonianza che dà di essa la
Chiesa, Cristo nella storia. Perciò non
si tratta di una verità appesa a un
chiodo, fissata in un libro, ma di una
verità che è interamente calata in una
realtà umana viva e che vive nella
storia. Perciò non la Chiesa è fondata
sulle scritture ma le scritture, la loro
interpretazione autentica e la loro
verità più esaustiva sono viceversa
fondate sulla Chiesa. Il cui garante
ultimo è il Papa. Terza osservazione:
Spaemann è di commovente chiarezza e passione argomentativa. Però ci
sembra anche che la sua straordinaria acutezza si trattenga sulla soglia
della terra conosciuta. Ovvero l’epoca
in cui la bellezza e la grandezza di
Cristo erano come l’aria che l’uomo e
la donna respiravano. Una cosa così
evidente, sia pur dentro le fatiche, i
dolori, i tradimenti, che nemmeno occorreva discutere di possibile messa
in mora del giuramento sacramentale
compiuto per grazia di Dio e in faccia
agli uomini. Oggi che una fragilità
sterminata conduce le persone nella
confusione più inimmaginabile e nei
pianti di cui nemmeno si è quasi
più in grado di guardare le ragioni,
affrontarle e ricominciare, non si può
non assecondare con tutte le forze
della simpatia ogni tentativo che la
Chiesa pone per offrire nuovi varchi
alla verità seppellita sotto la sabbia
del rumore dominante nelle grandi
strade della comunicazione che
invadono ogni angolo del sentimento
di sé e soggiogano uomini e donne a
un potere totalmente indifferente al
bene. Poiché se è vero, come ha scritto Mounier davanti alla sofferenza e
morte di una figlia – e cosa c’è di più
dirompente che la morte di un figlio?
Cosa c’è di più mortifero che fare
esperienza dell’abbandono dell’amata? – che «occorre soffrire perché la
verità non si cristallizzi in dottrina,
ma nasca dalla carne», la prima
giusta, vera, invalicabile sofferenza,
è ascoltare ciò che Cristo vivo nella
storia ci dice e ci indica. Per questo
noi siamo grati a Spaemann e a tutti
coloro che in verità umana si espongono. Ma siamo ancora più grati della
presenza del Vicario di Cristo che non
ci fa morire nella nostra opinione ed
è garanzia di verità viva
«perché la verità non si
cristallizzi in dottrina».
Foto: Ansa, Sintesi
«La tentazione di diluire
la dottrina è rafforzata
oggi da un fatto
imbarazzante:
i cattolici divorziano
con la stessa frequenza
dei non credenti.
Qualcosa chiaramente
non ha funzionato»
tipo, soprattutto quando conduce a nuove
disposizioni, legalmente sanzionate come
il “secondo matrimonio”, che sono quasi impossibili da disfare senza grande sofferenza e sforzo. Tommaso d’Aquino utilizza il termine perplexitas per definire
casi come questo. Ci sono situazioni dalle quali non c’è via d’uscita che non comporti una colpa di un qualche tipo. Anche
un solo atto di infedeltà intrappola l’adultero nella perplessità: deve confessare ciò
che ha fatto all’altro coniuge oppure no?
Se lo confessa, potrebbe essere ciò che salva il matrimonio e comunque evita una
bugia che alla fine distruggerebbe la fiducia reciproca. D’altra parte, una confessione potrebbe rappresentare per il matrimonio una minaccia ancora più grande che il
peccato stesso, ed è per questo che spesso
i sacerdoti consigliano ai penitenti di non
rivelare l’infedeltà ai loro coniugi. Si noti,
a questo proposito, che san Tommaso insegna che non inciampiamo mai nella perplexitas senza un qualche grado di colpa
personale e che Dio permette ciò come
punizione per il peccato che all’inizio ci
ha portati sulla strada sbagliata.
Giochi di prestigio sotto l’altare
Restare vicini ai nostri fratelli cristiani
nel mezzo della perplexitas del secondo matrimonio, mostrare verso di loro
empatia e assicurarli della solidarietà della comunità, è un’opera di misericordia.
Ma ammetterli alla comunione senza
contrizione e regolarizzare la loro situazione sarebbe un’offesa nei confronti del
Santo Sacramento – una in più fra le tante che vengono compiute oggi. Le istruzioni di Paolo riguardo all’Eucarestia nella prima Lettera ai Corinti culminano in
una messa in guardia dal ricevere il corpo di Cristo senza esserne degni: «Chiunque mangia il pane e beve il calice del
Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore». Perché fra
tutte le feste i riformatori liturgici hanno
tolto questi versetti decisivi proprio dalla seconda lettura della Messa del Giovedì Santo e del Corpus Domini? Quando in
chiesa vediamo tutti i presenti alzarsi e
andare a ricevere la comunione domenica dopo domenica, viene da chiedersi: le
parrocchie cattoliche sono formate esclu-
sivamente da santi?
C’è ancora un ultimo punto, che di
diritto dovrebbe essere il primo. La Chiesa ammette di avere gestito lo scandalo
degli abusi sessuali contro i minori senza
sufficiente considerazione per le vittime.
Nel caso del matrimonio si sta ripetendo
lo stesso schema. Qualcuno ha mai parlato delle vittime? Qualcuno parla della
donna lasciata dal marito insieme ai suoi
quattro figli? Lei potrebbe volere che lui
torni, se non altro per garantire il necessario ai figli, ma adesso lui ha una nuova
famiglia e nessuna intenzione di tornare.
Intanto il tempo passa. E l’adultero
vorrebbe di nuovo ricevere la comunione. È pronto a confessare la sua colpa, ma
non vuole pagarne il prezzo – ovvero, una
vita di continenza. La donna abbandonata è costretta a guardare mentre la Chiesa accetta e benedice la nuova unione. La
beffa oltre al danno: il suo essere stata
abbandonata riceve l’approvazione ecclesiastica. Sarebbe più onesto sostituire la
formula “finché morte non vi separi” con
una che dica “finché non finisce l’amore
di uno dei due”: una formula che qualcuno già raccomanda seriamente. Parlare in questo caso di “liturgia di benedizione” piuttosto che di un secondo matrimonio davanti all’altare è un gioco di prestigio ingannevole che getta semplicemente
polvere negli occhi della gente. n
|
| 30 luglio 2014 |
39
STILI DI VITA
CINEMA
SABA, CUCINA ERITReA, MILANO
Buona, speziata e poco cara
Transformers 4
L’era dell’estinzione,
di Michael Bay
IN BOCCA ALL’ESPERTO
di Tommaso Farina
A
ncora Milano, ancora un ristorante di cucina eritrea. Lo avrete capito: a noi
questo tipo di cibo piace. E ci piacciono gli eritrei che fanno ristorazione
a Milano: simpatici, gioviali. Particolarmente appassionato ci è parso Alberto, il patron, anzi il cuore del ristorante Saba, in via Lazzaro Palazzi, nel pieno della piccola enclave africana milanese. Lui è etiope, e sua moglie Saba, che
si chiama come la famosa regina, è eritrea. In un pranzo tranquillo, in un giorno feriale, incontriamo solo lui, come sempre senza svelargli chi siamo. Alberto
è contento di trovare un commensale che conosca la cucina eritrea, ma in ogni
caso è prodigo di spiegazioni anche per il neofita.
Si può cominciare da un antipasto di sambusa, che sarebbero involtini di carne simili ai samosa indiani anche nel nome; oppure, con kategna, ossia la ‘njera
(lo spugnoso pane eritreo che fa anche da posata) imbevuta di burro e di una particolare salsa speziata, incendiaria.
Le spezie, come già vi narrammo, sono l’essenza della cucina eritrea. Trovano
posto in quasi tutti i piatti. Il gored gored, per esempio, è carne di manzo («Uso
solo la noce», rivela Alberto) appena scottata e tuffata nell’awaze, uno di questi illustri intingoli profumatissimi. Il segreto per un buon gored gored, secondo Alberto, è affogare rapidamente la carne nel condimento, senza stracuocerla. In accompagnamento, la classica alisha (cavoli, patate e carote), il purè di lenticchie e
quello di ceci. Non può tuttavia mancare lo zighinì, la pietanza eritrea più famosa: un altro spezzatino di carne, quest’ultimo cotto viceversa a lungo, in una salsa meno piccante, caratterizzata dal berberé, una sapiente mistura di spezie. Per
chi non amasse il piccante, c’è lo Spriss bianco: un’altra pentolata di carne, questa volta assolutamente priva di spezie.
Per concludere, qualche dolce tipico. Da bere, un paio di vini o di birre. Con
antipasto e un piatto, si sta sui 14 euro a testa. Certo, non un investimento da rovina. Provate.
Amici miei
LO SPECIALE DI TEMPI
Guardare il Meeting
e ascoltarne il feeling
Se lo scorso anno fu il volto di
Cristo nella veronica di Manoppello, quest’anno tocca al cuore di due strani tipi, Jannacci e
Guareschi, rappresentare icasticamente l’essenza dell’edizione numero 35 del Meeting
di Rimini. Giorgio Vittadini,
uno dei curatori e soprattutto
l’ispiratore della mostra “Mon| 30 luglio 2014 |
Caduto in disgrazia, Optimus Prime è in cerca di alleati per sconfiggere un
nuono nemico, Galvatron.
Non si può parlare male
HOME VIDEO
Il ricatto,
di Eugenio Mira
Thriller mal riuscito
Un pianista viene ricattato
da uno spettatore.
Thriller interessante solo nella fase preparatoria ma clamorosamente fuori fuoco nella restante
parte. Un giovane pianista torna
a suonare dopo aver steccato clamorosamente nell’ultima esibizione avvenuta cinque anni prima.
Il guaio è che tra gli spettatori si
nasconde un maniaco che lo tiene sotto scacco. Lo spunto è del
solito vecchio Hitchcock: lo svolgimento – tra colpi di scena meccanici e un cast non all’altezza –
lascia l’amaro in bocca.
Per informazioni
Saba
Via Lazzaro
Palazzi, 10
Milano
Tel. 02 29526533
Chiuso il lunedì
40
Non il migliore,
ma sempre bello
di un film che incassa, soprattutto dopo un po’ di
settimane di vuoto cinematografico. E quindi ben
vengano Transformers 4, 5,
6, 7. Fino al 99. Però: diciamo che il film non è il migliore della serie (che per
noi è decisamente il primo:
ironico, innovativo e spaccone). Questo è più un reboot che un sequel, anche
|
do Piccolo-Roba Minima” che
fa dei due strani tipi i ciceroni delle kermesse, ce lo spiega
con la bella immagine del cuore periferia e al tempo stesso
«centro interessante da guardare». La vita è la vita. Per dirla con un altro cuore mica male, quello di Giorgio Gaber, il
cuore è gratitudine per l’esserci
piuttosto che niente. Vivi, piuttosto che niente. Tempi come
ogni anno dedica uno speciale
alla prossima edizione del Meeting, intitolata “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza.
Il destino non ha lasciato solo
l’uomo” e che si svolgerà a Ri-
mini dal 24 al 30 agosto. All’interno dello speciale che trovate allegato a questo numero di
Tempi potete trovare interviste
a testimoni di libertà che interverranno agli incontri organizzati (monsignor Kaigama, monsignor Pennisi e poi il reporter
Micalessin e i ragazzi musulmani e cristiani copti dell’associazione Swap), approfondimenti e curiosità legati alle
mostre (Péguy, don Bosco, Giuseppe Freinademetz, le periferie esistenziali in Guareschi e
Jannacci) e agli spettacoli (san
Matteo, Sabatino, La Strada di
Fellini) che si terranno in fiera,
ma anche nella città dell’adriatico. E poi il programma dettagliato della kermesse riminese.
«Fuori dalla galera ideologica che ogni giorno viviamo –
scrive il direttore di Tempi Luigi Amicone nel suo editoriale
–, ecco c’è un meeting. C’è una
compagnia che non è Facebook
e una strada che non è Twitter. È un mare. Un mare che
come gli zingari di Jannacci, la
bambina portoghese di Guccini, il conquistatore di Vecchioni, tocca solo guardare. E così, “sfiorisci bel fiore, sfiorisci
amore mio, che a morir d’amore c’è tempo lo sai”».
I FIGLI A SCUOLA
se non mancano i riferimenti al capitolo 3. Cambia di
parecchio il cast che, tutto sommato, non è male.
Wahlberg è un Autobot in
carne e ossa, non manca la
bionda scosciata anche se il
personaggio più riuscito è il
solito fenomeno di Stanley
Tucci. Il resto è tanto spet-
tacolo, effetti speciali e confezione di gran livello e combattimenti in cui si capisce
finalmente chi le dà e chi le
prende. Il problema è la lunghezza spropositata (quasi
tre ore di film!) non giustificata da una storia prevedibile e senza scosse.
visti da Simone Fortunato
Lettera aperta
a due genitori
Il regista
Michael Bay
COMUNICANDO
CIVITAFESTIVAL
Prende il via la
26esima edizione
Si è inaugurata da una settimana la 26esima edizione del Civitafestival (www.civitafestival.it),
la rassegna artistica e culturale
organizzata dal Comune di Civita Castellana, in programma dal
17 luglio fino all’1 agosto. Teatro
della manifestazione le splendide cornici di Piazza Duomo, del
Forte Sangallo e della curia ve-
scovile. Anche quest’anno la direzione artistica, affidata a Fabio Galadini, prevede un ricco
calendario con alcuni dei principali esponenti della cultura italiana. L’inizio della manifesta-
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
C
ari genitori di C., è vero, la vostra
figliola poteva evitare di emulare i fratelli perlomeno nella
carriera scolastica ed essere promossa
evitando di farsi dare due debiti. Ma,
mi chiedo da quando i figli hanno iniziato le scuole, meglio così e continuare a giocare a pallavolo e avere amiche
e fare l’animatrice all’oratorio estivo
(che col caratterino che ha deve averli messi in riga tutti), o meglio la notizia letta sul Corsera giorni fa delle
due gemelle romane che hanno preso una cento e l’altra la lode alla maturità, hanno vissuto gli ultimi tre anni di scuola pensando a non prendere
neppure un 7, lasciando da parte le
passioni del pianoforte e dello sport,
e rifarebbero tutto allo stesso modo?
Eppure non hanno passato il test di
medicina (che ha fatto nascere e dibattere la domanda dell’uovo e della gallina: è sbagliato il test di medicina o i
cento che danno sono mal dati?). Nel
mezzo, fuori da notizie giornalistiche
che non si capisce dove vogliano andare a parare, c’è altro. Altro che ha
l’aspetto della vita vera, ragazzi che
studiano troppo o troppo poco, tutti cercando la loro strada e ci sono i
due cento della classe di mia figlia che
hanno continuato, in tutti questi anni, l’una a fare il canto lirico e l’altro il
pugilato, lui ha passato il test d’ingegneria. Per inciso, una ragazza ha passato quello di architettura, quello di
medicina non l’hanno passato in due.
mammaoca.com
zione è stata condita dal jazz e
swing della prestigiosa formazione di Swing Jazz Company,
che ha accompagnato lo showman Massimo Lopez in uno spettacolo all’insegna dei successi compresi tra gli anni Trenta e
Cinquanta. Lo scorso venerdì è
stata la volta di Antonio Rezza e
Flavia Mastrella, con lo spettacolo teatrale “Fratto_X”. La serata successiva è stata avvolta dal
seducente soffio del sassofonista
Javier Girotto, insieme all’Argentina escenas en big band. L’artista, uno dei musicisti più affermati del panorama jazzistico
italiano e internazionale, ha sa-
puto trasportare tutti gli ascoltatori in un viaggio empatico ed
emozionale alla ricerca delle melodie del più profondo jazz, spaziando fino ai coinvolgenti ritmi del tango argentino. Infine, la
grande musica sinfonica dell’Orchestra da Camera di Imola. Il
primo fine settimana del Civitafestival 2014, si è così chiuso con
mille spunti per visitare la meravigliosa città, che come scrisse Goethe: «Non v’è viaggiatore
che passi per Civita Castellana e
non rimanga attonito dinanzi alle
sue bellezze archeologiche, monumentali e naturali!».
Giovanni Parapini
|
| 30 luglio 2014 |
41
motorpedia
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
DUE RUOTE IN MENO
Vespa e l’ABS
Dopo averlo montato in anteprima sulla “grossa” GTS300, ora Piaggio ha deciso di equipaggiare anche Primavera e Sprint, i cosiddetti “vespini”, con l’impianto antibloccaggio ABS, in affiancamento alle versioni tradizionali. Nulla
cambia dal punto di vista della tecnologia: recentemente rinnovati, i due modelli sfruttano la nuova scocca irrigidita, la sospensione anteriore più efficace
e i motori tre valvole raffreddati ad aria, che promettono percorrenze chilometriche di oltre 50 km/l. La Sprint in particolare è la prima Vespa della serie piccola a montare ruote da 12 pollici di diametro, che la rendono più spor[sc]
tiva oltre che migliore da guidare. 42
| 30 luglio 2014 |
|
LA NUOVA Citroën predilige una guida rilassata
e fa del comfort il proprio fiore all’occhiello
C4 Cactus, compatta
ma non troppo
A
Piaggio ha deciso di equipaggiare anche
Primavera e Sprint, i cosiddetti vespini,
con l’impianto antibloccaggio ABS
quanto nelle soluzioni interne, la nuova Citroën C4 Cactus è una
crossover moderna, dalla generosa abitabilità e
dal peso contenuto. Rinuncia ad accessori superflui per
alleggerirsi di 200 chilogrammi rispetto alla berlina C4 e
poter contare su consumi contenuti e prezzi concorrenziali. Gli ingombri della plancia sono ridotti ai minimi
termini – complice la collocazione dell’airbag del passeggero anteriore lungo il padiglione –, a tutto vantaggio della disponibilità di spazio, mentre la strumentazione e la
gestione di climatizzazione, multimedialità, funzioni audio, navigazione, telefono, connettività e assistenza alla
guida diventano digitali; affidate a un display touchscreen a colori da 7 pollici al vertice
È LUNGA 4,16 della consolle. Un tuffo nella moMETRI E LO SPAZIO dernità. Rafforzato da finiture graPER GUIDATORE E devoli, plastiche di buona qualità
PASSEGGERO È DEGNO e dalla caratterizzazione estetica
DI UNA MONOVOLUME. stile valige in pelle sia delle maniOTTIME RIFINITURE glie interne delle portiere sia del
INTERNE. CONSUMI cassettino portaoggetti ad apertuDEGNI DI NOTA PER ra verticale. Un tocco glamour.
OGNI CILINDRATA
Pur essendo una vettura compatta – è lunga 4,16 metri – lo spazio riservato a guidatore e passeggero anteriore è degno
di una monovolume, mentre l’alloggiamento dei passeggeri posteriori eguaglia berline di pari dimensioni.
Smagliature quali la capacità di carico non eccezionale
e lo sterzo adattabile solamente in altezza passano in secondo piano grazie agli Airbump, ovvero i rivestimenti
in plastica integranti, capsule d’aria collocate lungo le
fiancate e in corrispondenza dei paraurti, capaci di assumere una valenza sia stilistica sia funzionale: da un lato
proteggono carrozzeria e gruppi ottici dai piccoli urti –
riducendo i costi di riparazione –, dall’altro possono essere personalizzati nei colori.
Su strada predilige una guida rilassata e fa del comfort il proprio fiore all’occhiello. Caratteristiche che si
sposano con il 3 cilindri 1.2 e-THP turbo 110 cavalli a
iniezione diretta di benzina: progressivo nell’erogazione, per nulla sottodimensionato e capace di spingere la
crossover francese da 0 a 100 km/h in 9,3 secondi toccando i 188 km/h e percorrendo mediamente 21,7 km/l.
Altrettanto soddisfacente – ma ancor più parco nei consumi (28,6 km/l) – il 4 cilindri 1.6 e-HDi da 92 cavalli,
prodigo di coppia e abbinabile alla trasmissione robotizzata a 6 marce ETG6. Completano la gamma un 1.2 12V
VTi da 75 o 82 cavalli e la variante BlueHDi da 100 cavalli, omologata Euro 6, del 1.6 td. ABS, ESP, 6 air bag. Sensori di pressione dei pneumatici e cruise control sono di
serie sin dall’allestimento base Live.
Sebastiano Salvetti
nticonformista tanto nelle linee
|
| 30 luglio 2014 |
43
ACTA
MARTYRUM
cinquemila chilometri per diventare missionario
L’inquieto don Andrea
Taegon, il primo
sacerdote coreano
|
DI Cristian Martini Grimaldi
È stato da poco pubblicato Cristiani in
Corea di Cristian Martini Grimaldi, Edizioni Messaggero Padova (112 pagine, 12
euro). Pubblichiamo di seguito il capitolo “Il primo sacerdote coreano e la guerra dell’oppio”.
«S
e c’è vento significa che si avrà
un buon raccolto!». A parlare
è don Paolo Lee, il custode del
santuario di Solmoe, il luogo di nascita di
Andrea Taegon, il primo sacerdote coreano. È qui che papa Francesco verrà a parlare ad agosto prossimo con i giovani asiatici (circa seimila), i quali avranno il grande
privilegio di porre al Santo Padre delle domande e soprattutto ascoltare dalla sua
voce le risposte.
Solmoe è al centro di una zona con
una concentrazione di risaie pari solo
al numero di cattolici (sono il quaranta per cento della popolazione, cioè ben
quattro volte la media nazionale). Il riso
viene seminato ad aprile e raccolto a ottobre, e tra ottobre e aprile si coltivano
frutta e verdura in serra. Andrea Taegon
è nato qui, in questa remota provincia
a centinaia di chilometri a sud di Seoul.
Ragazzo dall’animo inquieto non si accontentò della vita di villaggio. Giovanissimo viaggiò per cinquemila chilometri
all’interno della Cina, per giungere infine a Macao nel 1837. Qui imparò il latino, il francese, il catechismo, studiò teologia e filosofia. I professori erano per lo
44
| 30 luglio 2014 |
|
più missionari di passaggio (le mete finali erano il Giappone, la Cina, le Filippine),
soprattutto francesi, come padre Legrégeois, padre Maistre, padre Berneux. Intanto nel paese natale aveva inizio la seconda
ondata di persecuzioni contro i cristiani
(detta Kihae persecution) ma la stessa Macao non era più un luogo sicuro: nel 1839
scoppiava infatti la prima delle due guerre dell’oppio. […] Allo scoppio della guerra Macao non era più un porto sicuro e
Andrea dovette fuggire. Si rifugiò a Manila per ritornare di nuovo nell’enclave portoghese pochi mesi dopo, quando la situazione si andava tranquillizzando. Nel
1842 Andrea decise di tornare nel paese
natale. Sulla via del ritorno passò per Nanchino dove nell’agosto di quell’anno fu testimone della storica firma del Trattato di
Nanchino, che rappresentò però solo una
tregua delle ostilità tra l’impero britannico e la Cina. Se infatti gli inglesi ottennero enormi risarcimenti di guerra e la cessione di Hong Kong, nel trattato nessuna
menzione veniva fatta dell’oppio, il cui
commercio e uso rimaneva illegale. Da
Nanchino Andrea si spostò a Shanghai dove nel 1844 venne ordinato sacerdote. Tornato in Corea si premurò di individuare i
percorsi di ingresso nel paese per i missionari che avrebbero dovuto eludere le pattuglie di confine. Mentre faceva questo fu
arrestato, torturato e infine decapitato
presso il fiume Han vicino a Seoul.
Passeggiamo per il santuario punti
A LUI VENNE AFFIDATA
LA COMUNITà DI SHANGHAI.
DA Lì SI PREOCCUPAVA
DI INDIVIDUARE I PERCORSI
CHE I MISSIONARI DOVEVANO
INTRAPRENDERE PER ENTRARE
NEL SUO PAESE NATALE.
FU SCOPERTO, TORTURATO
E infine DECAPITATO
da questo vento fastidiosissimo. «Non c’è
mai nessuno in questo periodo, fa troppo
freddo!», mi dice il parroco. E invece oggi
qualcuno c’è, oltre me e Samuele (Samuele è il prete della cattedrale di Daejeon
che ha vissuto a Grottaferrata per diversi anni, e che mi fa da traduttore e da
guida). Lei si chiama Stella, e questo luogo, sino a tre giorni fa, non sapeva neppure che esistesse. «E che è successo tre
giorni fa?», domando, ma è retorica pura.
IN LIBRERIA
CRISTIANI
IN COREA
Cristian Martini
Grimaldi
EMP
12 euro
Lo sanno anche i sassi ormai che c’è stato l’annuncio ufficiale dell’arrivo del papa in Corea, anzi proprio qui il pontefice
verrà a rendere omaggio al grande martire della chiesa coreana.
Un granello di senape
Stella è di Seoul, ha trentatré anni, è cattolica da due, ed è sposata con un pilota
militare, cattolico anche lui, anzi è per
sposarlo che lei si è convinta a battezzarsi. Fa la casalinga, Stella, ma non ha figli.
Non è la prima donna, tutto sommato ancora giovane, che mi è capitato di incontrare che decida di restare a casa piuttosto che trovare un impiego, e non certo
per carenza di occupazione (se non c’è un
allarme di disoccupazione femminile, le
statistiche parlano pur sempre di stipendi bassi per le donne a parità di impiego e
soprattutto di costante precarietà: le donne sono state le prime a essere licenziate
in massa durante le crisi economiche del
1997 e del 2008). La storia turbolenta del
recente passato coreano (basta considerare che dal 1945 al 1992 ogni governo al potere è finito o per proteste di massa o per
colpi di stato: il più instabile sistema politico al mondo per quasi cinquant’anni)
ha generato una forte divisione generazionale: se non è raro incontrare casalinghe
anche a trent’anni, la cosa diventa rarissima invece per la generazione nata solo
pochi anni prima. Se ancora pochi anni fa
una divertente sit-com di successo, Queen
of Housewives, raccontava la storia di una
quarantenne casalinga tutta dedita al successo lavorativo del proprio marito, già oggi quel modello di donna verrebbe categoricamente rifiutato da una ventottenne.
Don Paolo invita me e Samuele a salire nel suo appartamento per un caffè. Anche lui ha studiato in Italia e come tutti
i parroci che ho incontrato che parlano
italiano, beve rigorosamente espresso. È
una piccola e modesta stanza piena di li-
bri, una grande scrivania e un computer.
La rossa macchinetta del caffè si distingue
su tutto. Padre Paolo mi fa omaggio di una
statua della Madonna. Questa però non ha
la classica veste azzurra con il velo a coprire i capelli, ma veste l’hanbok – l’abito tradizionale delle donne coreane, usato
oggi nelle occasioni speciali: matrimoni,
battesimi – e ha i capelli raccolti in uno
chignon proprio come si usava una volta.
Non è solo un segno di inculturazione, c’è
anche un pizzico di orgoglio nazionale: in
fondo sono passati solo 16 anni da quando
tre milioni e mezzo di coreani donarono
al proprio governo qualcosa come 227 tonnellate di oro per arrestare la svalutazione
della moneta nazionale durante la grande
crisi asiatica. Quale altro popolo al mondo, in un periodo di relativo benessere e di
pace, sarebbe capace di tanta abnegazione
nei confronti del proprio paese?
Un paese relativamente piccolo, la Corea (se rapportato al contesto asiatico: rispetto ai paesi della zona euro sarebbe il
quarto paese per popolazione, subito dopo l’Italia e prima della Spagna), ma dalla fibra durissima. E viene da pensare che
solo fino al 1880 i cattolici qui erano diecimila, mentre ora sono il dieci per cento
della popolazione: un granellino di senape è il più piccolo tra tutti i semi, ma se
ben nutrito diviene un arbusto dai grandi
rami. Sarà un caso, ma fuori spira ancora
un vento molto forte: dice che è il segno di
un ottimo raccolto.
|
| 30 luglio 2014 |
45
LETTERE
AL DIRETTORE
Quella vecchia battuta
sul 7 e 40 che a Milano
è la cosa, altrove varietà
V
australiana circa la
“salute e la felicità” dei “figli delle coppie gay” – paralogismo lampante: sono figli di altri mercificati – che sarebbero più felici di quelli delle coppie eterosessuali. Lo avete fatto con spirito di finezza e pacatezza. A
differenza di altre testate, vi siete presi il disturbo di leggerla, questa ricerca. Il fatto mi pare più a grana grossa: se
una coppia omosessuale (che stanno a quelle etero in proporzione di 1:1.000.000 o più) può permettersi di spendere
100.000 dollari per un pupo, assumo
che abbia una disponibilità di 10, 100,
1.000 volte tanto per occuparsi della
sua salute in termini di cure mediche
di alto livello, e della sua felicità intesa come benessere e accesso a beni di
primaria, secondaria, terziaria o voluttuaria necessità. Nel caso delle coppie
etero, l’equazione è diversa: un figlio,
una pezza al culo. Quando le famiglie
arcobaleno saranno maggioritarie,
o quando una coppia gay acquisterà
sette figli rovinandosi, esaminerò altri argomenti più o meno cogenti. Non
a caso si parla del diritto ad avere –
acquisto, noleggio, leasing – un figlio,
non due, tre, cinque, sette. Di macchine ne compri una, massimo due. Sette,
non sai cosa fartene. Mattia Spanò Siena
i siete occupati della ricerca
Caro Mattia, ci tocca essere fini e pacati perché viene da piangere, come disse il cardinale Caffarra,
davanti a una cronaca artificiale e
dottrinaria fatta apposta per segare ogni elementare evidenza e re-
stituirci moncherini di realtà. Obama e i suoi tribunali ideologici, di
artificio gender e totalitarismo gayo, si sono presi la responsabilità di
trascinare il mondo comune in una
guerra di astrazioni di portata tragica. Uomini e donne ne usciranno
a pezzi. I figli nasceranno schiavi. E
vagheranno da Occidente a Oriente in cerca di un jihad a cui votarsi.
Dopo di che, Dio dirà l’ultima parola. Nel frattempo l’Arcigay gioca a
fare il tribunalino dell’Inquisizione.
2
Egregio direttore, veder “giovani” leader che parlano come vecchi e “ vecchi” leader che parlano come giovani mette una tristezza estrema a chi
ogni giorno ha la “fortuna” di lavorare
come un asino per “aiutare” a vivere
chi a parole cambia tutto e si mangia
ogni risorsa. Poi mi chiedo: «Ma perché eliminare il Senato che dovrebbe
di Fred Perri
L’INSEGNAMENTO DELLA VICENDA CONTE
L
Conte Antonio non è solo indicativa
del declino del calcio, ma anche della civiltà italiana. Ho appena finito di dire ai miei figli che,
alla prima buona occasione, devono darsela a gambe. Conte e la Juve scoprono, anche prima di maggio,
che non c’è più feeling, che non c’è più il sacro fuoco, che dopo tre grandi ma estenuanti scudetti biso-
46
a vicenda di
| 30 luglio 2014 |
|
gna staccare. Il morbo di questo calcio che pretende
sempre di più infuria e il pan (cioè i danari per costruire grande squadra) manca. Si vedono il 19 maggio, ma nessuno ha il coraggio, la forza, la decisione
di mollare. E così si trascinano stancamente fino a luglio, quando la magagna viene al dunque. E alla Juve
è andata ancora bene. Così almeno hanno trovato un
Foto: Ansa
L’ignoto spaventa più del noto fatiscente
ma, ve lo giuro, io sono pronto a traslocare
[email protected]
essere il luogo della riflessione matura di persone esperte e non la Camera
dei deputati dove un sacco di pagliacci
occupano sedie inutili e ancor più inutilmente esprimono assurdità a peso
d’oro?». Chissà se riuscirò mai a raggiungere la capacità di capire io, misero operaio, la loro idea di “bene del
paese”. Intanto sono pieno di dolori e
un’altra giornata intensa con lo spettro del licenziamento mi aspetta. Mauro Mazzoldi via internet
Caro amico, io non capisco per quale ragione dobbiamo per forza unirci a questa caccia alle streghe contro i parlamentari; caccia che se ha
aspetti di verità è organizzata apposta per farci più stupidi e servi di
poteri ben più forti della rappresentanza popolare che ormai governa
quasi niente, essendo i veri governi estero su estero e nelle finanze internazionali. Casomai sarebbe
ora di recuperare l’impegno politico, operaio e borghese, proletario e
giovanile. Ma la vera verità sta nella coda: quando siamo soli, quando
il lavoro manca, quando la vita porta le sue pene in riscossione, è lì che
o trovi una concreta compagnia alla
vita o tutto appare come la notte in
cui tutte le vacche sono nere.
2
A proposito di fisco e di tutte le belle
bolle balle che ci raccontano da Roma
e delle eterne promesse sul taglio delle tasse. Una volta correva una barzelletta che secondo me è più istruttiva
di tutte le lezioni che abbiamo sentito
raccontare da Monti in avanti sul tema dell’evasione fiscale e blablabla. Sa
NUOTANDO IN MEZZO AL MARE
La natura mi parla di Dio
e mi fa parlare con Dio
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
I
l rosario sotto le stelle. Per me è un momento pieno di ricordi. Avevo 18 anni e,
con sorpresa di mia zia, le chiesi di recitare il rosario insieme. Fino all’anno prima non avevo partecipato a questa preghiera domestica anzi ne facevo un’affettuosa imitazione: «Ave Maria piena di grazia… (Ninì hai chiuso i polli? Sì)… Santa Maria madre di Dio…». Eravamo in Calabria d’estate e la preghiera si recitava sul
terrazzo, mentre l’Orsa maggiore dominava splendente rimandando alla stella polare più in là. Mia zia non mi avrebbe più rivisto per anni perché la Madonna, grazie
anche alle sue preghiere, mi stava indicando una strada di dedizione a Dio. La rividi
molto tempo dopo e bevve con occhi lucidi il racconto della mia vocazione. In questi giorni la ricordo pregando su una scogliera, con le stesse stelle. Guardare le stelle
è perdersi nell’infinito, un infinito che è grande ma poca cosa rispetto alla capacità
di amare che ci rende prìncipi del creato. Di giorno nuoto con occhialini verificando
com’è creativo il creatore. I saraghi piccoli sono elegantissimi vestiti d’argento con
una fascetta nera poco prima della coda. Le salpe pascolano nella zona delle alghe
mimetizzandosi col dorso verde: ogni tanto lampeggiano riflettendo il sole col ventre argenteo. Sempre nuovi incontri: pesci maculati di cui non conosco il nome, con
le sarde e tanti pesciolini neri che non hanno paura. Se esco in canoa ogni tanto saltano dei branchi di alici. La natura parla di Dio e mi fa parlare con Dio.
cos’è il 7 e 40? A Milano è la dichiarazione dei redditi. A Roma la Volvo. A
Napoli venti alle otto. A Palermo che
minchia di calibro è? Sarò troglodita e
razzista, ma così va l’Italia. Cordialità
Claudio Pedrelli Imola
E dagli con lo humor nero. 7 e 40
potrebbero essere anche numeri
che si possono giocare al Lotto.
E magari poi fa il ministro dell’Economia che sale in politica.
Gentile direttore le regalo una citazione del filosofo Lamennais che trovo in
Dramma dell’umanesimo ateo di De
Lubac, libro che qualcuno dovrebbe
tornare a consigliare ai nostri giovani. «Tutto ciò che si compie nel mondo
sociale, si è prima compiuto nel mondo dell’intelligenza». Paola Fregi via internet
Bella. Infatti la prima intelligenza è
riconoscere la nostra insufficienza.
Foto: Ansa
SPORT ÜBER ALLES
tecnico di un certo nome ed esperienza e si può cominciare un nuovo percorso senza grandi danni (forse). Perché non si sono separati a maggio? Per paura,
per quieto vivere, perché l’ignoto spaventa più di un
noto fatiscente. È il grande vizio che zavorra l’Italia.
La burocrazia, le carte, il timore del rischio, l’aggrapparsi alla cadrega fissa. I migliori, dice un adagio, sono quelli che se ne vanno. Tolta l’aura da epitaffio
sepolcrale e adattato alla situazione attuale, mai proverbio risulta più calzante. E io vi odio, bastardi, perché mi avete reso così. Questo è il più bel posto del
mondo, ma ora, ve lo giuro compagni e amici, appena c’ho la grana trasloco a Londra.
|
| 30 luglio 2014 |
47
taz&bao
48
| 30 luglio 2014 |
| Foto: Ap/LaPresse
Così muore
la democrazia
«Cafiero de Raho (procuratore della
Repubblica di Reggio Calabria, ndr) è
convinto di essere alla testa di un esercito
di magistrati, politici, giornalisti, preti,
professionisti e popolo, il cui compito è la
lotta militare e poliziesca all’illegalità e
alle cosche. Non è così. I magistrati devono
indagare, i poliziotti arrestare, i preti
predicare, i politici riformare la società, i
giornalisti raccontare e anche esprimere
pareri. Il giorno in cui i giornalisti dovessero
diventare – e in gran parte, purtroppo, già
lo sono diventati – soldati della Procura, in
Italia sarebbe finita la democrazia. Forse la
lotta alla mafia avrebbe dei buoni risultati
– li ebbe anche durante il fascismo – ma noi
perderemmo la libertà. Mi dispiace, signor
procuratore, ma il prezzo è troppo alto.
Preferiamo non arruolarci».
Piero Sansonetti Il Garantista, 17 luglio 2014
MISCHIA
ORDINATA
INTANTO IL MONDO CROLLA
Così la nostra ricerca di bellezza
è una chiamata alle armi
di Annalisa Teggi
«Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira,/ mostrandovi le sue bellezze etterne,/ e l’occhio vostro pur
a terra mira» (Purgatorio, canto XIV)
L
Quanto è diventata inflazionata quest’intuizione di Dostoevskij. Poi col trionfo de La
grande bellezza siamo stati ulteriormente
inondati di retorica e sogni idilliaci. Da svegli, di idillio se ne vede ben poco in ogni dove; se guardiamo a Est, ecco il tifone Rammasun che ha devastato le Filippine: alberi
sradicati, tetti divelti, inondazioni e 500.000
sfollati. A Ovest, la situazione
è tragica all’opposto e la Cali- i bagliori che intravediamo sono un riverbero che
fornia soffoca attanagliata dal- il Cielo manda per FARCI partecipare al disegno
la siccità: rigido razionamento di armonia DELl’universo, pur con le SUE ferite
dell’acqua, si parla di riciclare
l’acqua proveniente dagli scarichi domesti- dal cancro; viveva e insegnava a Oxford, colci, qualcuno pittura di verde il proprio pra- laborava con diverse riviste culturali e, oltre
to completamente rinsecchito. Poi, tra l’Est e a molto altro, è stato un grande studioso di
l’Ovest, c’è la nostra Europa e il Medio Orien- Tolkien e Chesterton. Beauty for truth’s sate: c’è il disastro dell’aereo abbattuto in ke (bellezza al servizio della verità) è il titolo
Ucraina, ci sono i profughi cristiani fuggiti di un suo libro esemplare, che ancora manda Mosul, ci sono i ragazzi ebrei e palestinesi ca in traduzione italiana, e in cui l’educaziouccisi. A ogni latitudine, pare che la Natura ne è pensata come «musica del cosmo», defie l’uomo ce la mettano tutta per frantuma- nizione usata da Benedetto XVI, ovvero come
re il sogno della grande bellezza che salverà conoscenza che non separi ciò che nel monil mondo. Ma sì, il sogno della bellezza – co- do è unito. L’ipotesi dell’autore è che il punme oggetto immobile e perfetto da adorare – to debole della nostra scuola è una visione
va frantumato. Perché la bellezza, semmai, frammentaria dell’insegnamento, in cui le
è una vocazione attiva. È una chiamata alle discipline artistiche e scientifiche abitano in
armi. Come dice Dante, i bagliori di bellez- recinti separati. Nella realtà, invece, noi chiaza che intravediamo nel mondo sono un ri- miamo bello tutto ciò che esalta quel nesso
verbero che il Cielo ci manda per attirarci a armonioso recondito tra aritmetica e poesia.
partecipare al disegno di armonia che regge La corolla di un fiore è una bellezza pittoricomplessivamente l’universo, pur con le fe- ca o geometrica? La bellezza che il fisico verite da cui è attraversato. Di fronte a questo, de nel volo di un gabbiano è slegata da quelnoi spesso e volentieri teniamo gli occhi bas- la che ci vede il poeta?
si, o mettiamo a fuoco frammenti e perdiaQuesto sguardo sinfonico ci fa mettere a
mo di vista l’orizzonte.
fuoco noi dentro il creato. E la musica è l’emStratford Caldecott è stato uno studio- blema dell’educazione di cui abbiamo biso che sulla bellezza ha impostato una pro- sogno: è l’orecchio teso di chi si accorge in
posta educativa stimolante. Sosteneva che mezzo allo scroscio del tifone, al silenzio dela scuola si dovrebbe imparare a essere per- la siccità e alle urla di guerra, che c’è un cansone che non smettono di imparare per tut- to dentro la realtà e su di esso impara e rita la vita. Caldecott è mancato la scorsa set- impara ad accordare il proprio strumento
timana, dopo essere stato a lungo provato – cuore, mani e voce.
50
| 30 luglio 2014 |
|
a bellezza salverà il mondo.