NUOVE SPERIMENTAZIONI NEL LAVORO SOCIALE E

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NUOVE SPERIMENTAZIONI NEL LAVORO SOCIALE E
NUOVE SPERIMENTAZIONI NEL LAVORO SOCIALE E
PSICOLOGICO PER LA TUTELA DEI MINORI E IL
SUPPORTO ALLE FAMIGLIE IN DIFFICOLTA’
Liviana Marelli
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Presidente LA GRANDE CASA Società Cooperativa Sociale ONLUS
Membro esecutivo nazionale CNCA con delega alle politiche minorili e per le
famiglie
Membro Osservatorio Nazionale Infanzia e Adolescenza
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IL CONCETTO DI TUTELA
l’approccio proposto è basato sui diritti
Convention on the rights of the child - CRC – N.Y. 1989
ratificata in Italia con la legge nazionale n. 176 del 27 maggio 1991
diritto del minore a crescere in una famiglia
Tutela intesa come espressione di interventi complessi orientati a garantire
protezione del minore attraverso la presa in carico della protezione della sua
famiglia
Dalla protezione del maltrattamento alla cura del ben-trattamento dei legami
familiari
Sostenere le famiglie fragili è un modo fondamentale ed imprescindibile per
TUTELARE IL BENESSERE DEI FIGLI.
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TUTELA non equivale ad intervento individuale (clinico) rivolto al minore
TUTELA quale espressione ed esito di ideazioni, progettazioni, azioni e processi
complessi e trasformativi finalizzati a sostenere un’ottica ecosistemica
TUTELA quale luogo di esercizio di relazioni di corresponsabilità tra i diversi
soggetti in gioco
TUTELA dunque come processo e progetto
TUTELA come diritto esigibile
TUTELA come cura delle relazioni familiari
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IL DIRITTO DEL MINORE A CRESCERE IN UNA FAMIGLIA
(LEGGE NAZIONALE 149/01)
la cura delle relazioni familiari
l’approccio sistemico-relazionale
…è anche una questione di gestione del potere …
il lavoro di cura familiare richiede:
 La trasparenza e la chiarezza di relazione e di informazione alle famiglie
 La valorizzazione e l’attivazione delle competenze genitoriali e la contestuale
ricerca ed implementazione delle reti di sostegno (parentale, del contesto
sociale) attraverso metodologie attive di sviluppo di comunità
 Il riconoscimento delle soggettività degli adulti e dei minori coinvolti nel
processo di cura (ridare potere alla famiglia)
 La reale accessibilità dei servizi e l’orientamento non stigmatizzante degli
operatori
 La continuità relazionale tra operatori e genitori/adulti
 la stabilità nel tempo degli interventi e dei servizi e la modulazione flessibile
degli stessi nel rispetto di ogni singolo progetto (appropriatezza)
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I MINORI FUORI DALLA FAMIGLIA
Gli ultimi dati a nostra disposizione riportano la situazione al 31.12.2008.
I minori fuori famiglia sono n. 30.700
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n. 15.200 in affidamento familiare
n. 15.500 accolti nei servizi residenziali
incremento affidamento familiare (dal 1999 al 2008: + circa 5000 casi)
stabilità di presenza nelle comunità residenziali
Il tasso dei minori fuori famiglia segna un dato variabile tra 1,7 e 5,2 ogni 1000
abitanti nella stessa fascia di età
la Liguria 5,2 per mille – il Molise 1,7 per mille
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chi accolgono le comunità residenziali:
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56,8 % minori nella
37,2% minori nella
35,5% minori nella
41,6% minori nella
56,4% minori nella
fascia di età 0/2 anni (contro il 43,2% in affido)
fascia di età 3/5 anni (contro il 62,8% in affido)
fascia di età 6/10 anni (contro il 64,5% in affido)
fascia di età 11/14 anni (contro il 58,4% in affido)
fascia di età 15/17 anni (contro il 43,6% in affido)
I minori in comunità sul totale dei minori fuori famiglia sono:
il 48,6% è di sesso maschile e il 40,2% femminile
il 47,1% sono italiani, il 63,4% stranieri
carenza di dati su:
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motivazioni allontanamento
tempi di accoglienza (la stima è intorno a 2,6 anni)
sulle motivazioni di dimissione/progettualità futura (rientro F.O. – affidoadozione – avvio autonomia …)
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La Comunità di Accoglienza: IL SENSO
la comunità di accoglienza è soprattutto un sistema di RELAZIONI
la dimensione relazionale sostiene ed esprime
il SISTEMA di CORRESPONSABILITA’
tra i diversi soggetti in gioco
RELAZIONE e CORRESPONSABILITÀ
paradigma per praticare percorsi di de-istituzionalizzazione
la comunità non è una somma di standard strutturali e gestionali
ma è un’esperienza relazionale tra i soggetti coinvolti
RELAZIONE e CORRESPONSABILITA’
danno senso all’esperienza della comunità residenziale per minori
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La legge naz. 149/01 precisa che l’accoglienza residenziale a favore di minori
deve avvenire in “comunità di tipo familiare”
Contestualmente ha indicato il termine del 31.12.2006 quale termine ultimo per
la “chiusura degli istituti” ed ha contestualmente affermato che i minori nella
fascia di età 0/6 devono essere accolti in famiglia
Tale norma – condivisibile – rischia di essere disattesa
Al di là delle definizioni molto sintetiche contenute del Decreto del Ministero per
la Solidarietà Sociale 21 maggio 2001 n. 308 non esiste ancora alcuna definizione
omogenea dei criteri di qualità attraverso cui dare identità al dettato normativo
di “comunità di tipo familiare” lasciando dunque in tal senso ampia discrezionalità alle singole Regioni (titolari in via esclusiva della competenza socioassistenziale-educativa)
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Oggi assistiamo a definizioni di standard e criteri molto diversi tra Regione e
Regione e la non definizione chiara dell’identità della comunità di tipo familiare
mantiene e perpetua forme di istituzionalizzazione mascherata laddove, per
esempio, permangono più comunità nello stesso plesso e dove le caratteristiche
dell’accoglienza sono di tipo “alberghiero” (cucina centralizzata, servizi ricreativi
centralizzati …)
La non definizione su criteri omogenei relativamente al rapporto numerico
educatori/accolti, della formazione di base/in itinere richiesta/dei processi di
supervisione/equipe.. incidono sulla qualità dell’offerta (e del costo/retta).
In riferimento al numero dei minori accolti, e tenuto conto che ogni Regione ha
autonomia legislativa, di norma le comunità familiari accolgono fino ad un
massimo di 6 minori, mentre le comunità educative fino ad un massimo di 10
minori.
..faremo un breve viaggio tra le diversità di tipologie nelle diverse Regioni…
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Le raccomandazioni ONU: il grado di applicazione della
CRC in Italia
Garantire l’attuazione della legge 149/01 in tutte le Regioni
Adottare a livello nazionale standard minimi per le comunità di tipo familiare
Garantire un monitoraggio indipendente da parte delle istituzioni competenti del
collocamento di tutti i minori e stabilire un meccanismo di responsabilità per
persone che percepiscono finanziamenti pubblici per ospitare questi bambini
Intraprendere un’analisi esauriente su tutti i minori privi di un ambiente
familiare e creare un registro nazionale
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la costruzione del sistema di corresponsabilità
quale processo di de istituzionalizzazione
tra i soggetti coinvolti nel progetto educativo a partire dal ruolo fondamentale di
titolarità pubblica del servizio sociale comunale
E’ necessario riconfermare l’indiscutibile responsabilità del Servizio sociale
dell’Ente pubblico nella predisposizione del “PROGETTO QUADRO” a favore
del minore accolto in comunità e della sua famiglia, in riferimento al quale è
conseguentemente pensato e definito il “PROGETTO EDUCATIVO
INDIVIDUALIZZATO”(P.E.I.) di competenza della comunità (equipe educativa).
Il sistema di corresponsabilità richiede la definizione di contratti chiari (vedi
metodologia della presa in carico) tra comunità e Servizio sociale dell’Ente
pubblico
Richiede anche la necessità di ripensare al ruolo del Tribunale per i
minorenni
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Il Progetto Educativo di Comunità (PEC)
Ri-Significare la Comunità “di Tipo Familiare”
Per “dare senso” all’obiettivo di “comunità di tipo familiare” è necessario che le
caratteristiche abitative e strutturali siano riconducibili alla “civile abitazione”
riferite al modello di una casa familiare che consenta una accessibilità generale
dei bambini e dei ragazzi ospiti negli spazi interni
Esclusione di ogni riferimento ai requisiti delle strutture alberghiere al fine di
non snaturare la dimensione domestica e di normalità abitativa e relazionale
La comunità è “casa”
dove la vita e le relazioni tra coloro che la abitano (i bambini, i ragazzi, la
famiglia, gli educatori) sono “riconducibili” a quelle di una famiglia
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Il Progetto Educativo Individualizzato (PEI)
La definizione puntuale del Progetto educativo individualizzato (PEI) è il luogo e
lo strumento che accompagna il percorso e la storia di ogni singolo minore
accolto.
E’ redatto in forma scritta
E’ verificato periodicamente nel rispetto degli obiettivi posti in fase di
accoglienza
Obiettivi verificati/confermati/ridefiniti dopo il periodo di osservazione
(orientativamente 3 mesi)
Costantemente monitorato in sede di incontri di rete a cadenza periodica
definita.
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Il PEC è la Traduzione della Dimensione Comunitaria e
Rende Evidente la Caratteristica di “Tipo Familiare”
Attraverso:

L’esistenza effettiva di processi di vita comunitaria e di rapporti significativi tra
adulti e minori e all’interno del gruppo dei pari

effettiva pratica di rapporti quotidiani e legami di rete strutturati informali
di scambio con il territorio in cui abita la comunità

evidenza di un adeguato piano formativo (e relativo programma formativo) a
sostegno dei processi di formazione permanente per gli operatori

L’evidenza di adeguati percorsi di supervisione per tutti gli operatori

L’esistenza comprovata di adeguata
formalizzata, documentabile

Documentati processi di positive e corretti rapporti di collaborazione e di
gestione della presa in carico con la rete dei soggetti coinvolti e con il Servizio
sociale titolare
metodologia di lavoro: definita,
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Il PEI è comunicato al Servizio sociale inviante, che provvede alla validazione
quale assunzione di corresponsabilità.
Il PEI definisce chi fa che cosa nell’interesse del minore accolto, definisce le
connessioni con il “progetto quadro”
Laddove non sussistano impedimenti motivati e assunti nell’interesse superiore
del minore il PEI è comunicato/condiviso con la famiglia d’origine e tiene conto
del punto di vista del minore stesso garantendo il diritto all’ascolto ed alla
partecipazione del bambino/a-ragazzo/a nel rispetto pieno di quanto previsto
dalla CRC e nelle forme e nelle modalità consone all’età del minore.
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Metodologia della “Presa in Carico”
A sostegno del sistema di corresponsabilità
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Segnalazione/filtro della domanda
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Accompagnamento all’ingresso
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Accoglienza
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Presa in carico e gestione del PEI
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Dimissioni
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Il processo metodologico rende evidente, documentabile, verificabile il percorso
di accoglienza e la cura attenta, professionale e umana del progetto individuale
(del PEI) a favore del minore accolto.
In tale contesto occorre rendere evidente da un lato e condividere/comprendere
dall’altro la necessaria cura della metodologia della presa in carico
Per le accoglienze a carattere emergenziale (pronto intervento), dove
prevale il diritto del minore alla protezione urgente e non differibile
Per le accoglienze orientate ad accompagnare il progetto socio-educativo
pensato (e possibile) per quel minore specifico
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Fasi del Processo Metodologico
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Segnalazione circostanziata da parte del Servizio Sociale dell’ente locale
titolare della competenza e valutazione della pertinenza del progetto di
accoglienza (filtro della domanda)
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Fase della conoscenza e dell’approfondimento della situazione e del
progetto (attraverso incontri di rete con i soggetti coinvolti)
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Fase dell’accompagnamento all’ingresso in comunità. Questa fase esprime
soprattutto l’attenzione al minore e valorizza il suo diritto alla
partecipazione ed all’ascolto del suo punto di vista

Fase della gestione del PEI (che comprende: osservazione – conferma del
PEI – monitoraggio del Pei)
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Dimissione (per conclusione condivisa del progetto o per valutazione e/o
scelta unilaterale di uno dei soggetti coinvolti: il servizio inviante –
l’interessato (laddove maggiorenne in prosieguo amministrativo) – la
famiglia d’origine (con potestà genitoriale integra) – la comunità stessa.
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in caso di ACCOGLIENZA DI PRONTO INTERVENTO non è prevista la fase del
“filtro della domanda” e la definizione del progetto a favore del minore accolto è
definito durante la prima fase dell’accoglienza attraverso l’uso
dell’OSSERVAZIONE COMPETENTE.
il processo metodologico richiede la definizione di strumenti professionali chiari
e documentati e verificabili quali:
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Diario di bordo,
Diario del minore
Cartella sociale
Gli strumenti della “osservazione competente”,
I P.E.I. scritti e verificati,
Le relazioni scritte,
Le verifiche periodiche,
I verbali delle riunioni di èquipe
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Il Terzo Piano Biennale Nazionale di Azioni e di
Interventi per la Tutela e lo Sviluppo dei Soggetti in
Età Evolutiva (PDA)
Decreto del Presidente della Repubblica il 21 gennaio 2011
(pubblicato sulla Gazzetta ufficiale anno 152° - numero 106 – del 9 maggio 2011).
l’OSSERVATORIO NAZIONALE INFANZIA E ADOLESCENZA ha il compito di
monitorare le azioni del PDA e predisporre la proposta del PDA successivo
relativamente agli interventi sulle strutture di accoglienze residenziali per minori:
(sintesi)
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RAFFORZARE LA QUALITÀ delle strutture residenziali a fini educativi,
tutelari e riparativi per bambini e adolescenti temporaneamente
allontanati dalle famiglie potenziando la capacità di ascolto e protezione, la
capacità di integrazione tra le comunità e la rete territoriale …..stimolando
un’integrazione specifica con i servizi territoriali rispetto al lavoro di
valutazione e sostegno della famiglia d’origine
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 CREAZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO NAZIONALE SUI BAMBINI FUORI
FAMIGLIA con l’obiettivo di conoscere e monitorare la situazione dei minori fuori
famiglia (in affido, nelle comunità residenziali, nelle strutture terapeuticheriabilitative) attraverso la definizione e l’adozione di strumenti atti a superare le
differenze attualmente esistenti tra le diverse Regioni in materia di “rilevazione
dati”.
Il Sistema Informativo nazionale (adeguatamente integrato con il Sistema regionale)
dovrà essere in grado di monitorare (con modalità omogenee sull’intero territorio
nazionale):
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La durata dei progetti di allontanamento
Le migrazioni tra ambiti territoriali della stessa regione e fra diverse regioni
La situazione personale e familiare del minore e i motivi dell’allontanamento
e le caratteristiche dell’atto
di riferimento per l’allontanamento
(consensuale,TM)
La tipologia dei servizi di accoglienza (secondo la catalogazione del
nomenclatore nazionale approvato dalla Conferenza delle regioni: criterio di
omogeneità)
Le caratteristiche dell’affidamento familiare: intrafamiliare/extrafamiliare
Rilevazione distinta tra affidamenti familiari e accoglienze in comunità
(educative, terapeutiche..)
Le accoglienze di nuclei mamma/bambini
I ragazzi 18/21 anni e il progetto in loro favore
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