VIE FERRATE

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VIE FERRATE
VIE FERRATE. Nuovi percorsi attrezzati
Due emozionanti chilometri d’acciaio
Paese ai margini del regno d’Italia, poi teatro della guerra di Resistenza, Entracque a una ventina di chilometri da
Cuneo, pur senza rivaleggiare con Cortina d’Ampezzo, è per certi irriducibili “orientalisti” delle Alpi fonte di
piacevoli scoperte che li riconciliano con queste zone alpine. Ora alle attrattive del confinante Parco naturale delle
Alpi Marittime nei cui cieli vola il gipeto, dei sentieri che si addentrano nelle oasi della valle Gesso verso i
contrafforti dell’Argentera e del Gelas, del labirinto invernale della pista di sci di fondo su cui si battono i campioni
della specialità, della quiete delle sue stradine dove per fortuna non sono di casa ne la mondanità di Cortina ne lo
sfarzo di Courmayeur, si aggiunge a Entracque un’attrazione riservata a sportivi un po’ particolari: la nuovissima
via ferrata del Funs che si sviluppa con 900 gradini fissati nella roccia dalle guide alpine e con 2 chilometri di cavo
d’acciaio sulle pareti calcaree alla sinistra orografica del Vallone delle Gorge della Reina.
Panorami mozzafiato a colonia sulle vette del Parco. Due sono gli itinerari: uno dichiaratamente difficile ed
esposto con numerosi passaggi atletici e un dislivello di 400 metri, l’altro con un dislivello di 260 metri ma da non
prendere sottogamba per l’impegno che richiede, come dimostrano le targhe fatte installare con un elenco
chilometrico di divieti e di precauzioni da prendere. Ovviamente i minori di 12 anni debbono essere accompagnati
(è il minimo!) e se l’altezza del “ferratista” è inferiore a 145 centimetri si presume che debba sottoporsi a un tour de
force in più per afferrare gli infissi.
In compenso sono state studiate numerose vie di fuga e l’idea che si ricava salendo di maniglia in maniglia è che in
effetti sotto la guida del progettista, l’ingegner Livio Galfré, si sia fatto il dovuto per garantire l’efficienza di un
impianto costato non meno di 250 milioni di vecchie lire, come conferma il sindaco di Entracque Roberto Gosso.
L’inaugurazione, in una stupenda giornata di ottobre, richiama una cinquantina di appassionati, soci del CAI, e da
Torino un gruppo guidato da Lodovico Marchisio, accademico degli scrittori di montagna e profeta dei percorsi
attrezzati ai quali ha già dedicato due volumi, “Ferrate d’Italia” e “Un gancio in mezzo al cielo”. Preceduto dalla
rassicurante visione di una squadra di soccorritori di Cuneo, in esercitazione con tanto di barella a ribaltamento
controllato. il gruppo procede in compagnia del sindaco di Entracque e del suo collega di Valdieri Ivan
Digianbattista. Le guide alpine, titanici artefici di un manufatto che le ha impegnate per mesi in parete manovrando
trapani e ingombranti compressori. hanno tra loro il presidente del Collegio nazionale e dell’AGAI Alberto Re. Le
giubbe gialle delle Alpi Marittime sono presenti quasi al completo: Adriano Ferrero, Vincenzo e Cesare
Ravaschietto, Silvio Bassignano, Giuseppe Barucco, Flavio Poggio e Alessandro Gogna, omonimo, collega e
lontano parente dell’illustre alpinista genovese, peraltro contrario a questo tipo di approccio artificioso alla
montagna.
Il piccolo evento, che prevede un epilogo gastronomico con le rinomate patate di Entracque, è anche
un’occasione per mettere a punto alcuni principi su un fenomeno, quello delle vie ferrate, che sembra prendere
sempre più piede in Piemonte sull’esempio della vicina Francia, dove un sito Internet (viaferrata-fr.com) riporta
descrizioni d’itinerari, valutazioni tecniche, commenti.
Al dibattito partecipano alcuni giornalisti tra cui Serafin in rappresentanza dell’Associazione Giornalisti italiani
della montagna, Dardanello (Alpidoc), Nicoletta Zardini (Professione montagna). Tutti concordi alla fine nel
collocare quest’opera pubblica nel novero di quelle che davvero possono contribuire a una valorizzazione della
montagna, a una pacifica scoperta di alcuni suoi aspetti che, come in questo caso, sarebbero preclusi sia
all’escursionista sia all’alpinista.
Naturalmente non tutte le riserve su questo tipo di manufatto sono state rimosse. E’
namente importante che la
manutenzione e il controllo siano costanti, che l’utente sia preparato e consapevole dell’impegno richiesto, che il
percorso non si sviluppi nei pressi di vie classiche di alpinismo. Ma la dimensione culturale del fenomeno va
probabilmente riconsiderata rispetto a certe posizioni drastiche del passato, tenuto conto che la prospettiva offerta
dalla via ferrata non sembrerebbe soltanto e banalmente ludica e ginnica. Dietro l’antropizzazione forzata e
innaturale di questi spazi c’è infatti un genuino desiderio di confrontarsi con la montagna e con se stessi.
L’inquinamento rispetto a tanti altri perniciosi trastulli è nullo, compreso quello estetico. Pochi passi più in là la
ferrata con i suoi infissi e con il suo ponticello tibetano che fa tanto Disneyland scompare alla vista, e la montagna
riassume il suo aspetto selvaggio.
Lo Scarpone n. 1 – Gennaio 2003