104n - Cai VDA
Transcript
104n - Cai VDA
ontagnes aldôtaines n°104 SUCCURSALE D’AOSTE 1866 periodico delle sezioni valdostane del cAI: aosta • gressoney • verres • chatillon Anno xxxVI - N° 2 (104) MAGGIO 2009 - Redaz.: C.so Btg. Aosta, 81 - 11100 Aosta - tel. 0165 40194 - [email protected] - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in A.P. - 70% - DCB (Aosta) LE MONTAGNE DI SANT’ ANSELMO A nselmo di Canterbury, come lo chiamano gli Inglesi, nacque ad Aosta nel 1033, per cui in Vallée è venerato come Anselmo di Aosta. Noi che conosciamo la posizione della città in mezzo alle montagne (infra montes, tra i monti, verrà detto tutto il territorio) non abbiamo difficoltà a individuare nel Grand Combin o nel Ruitor, secondo l’attuale denominazione, le montagne in cui Anselmo da bambino immaginava si trovasse la dimora di Dio. Scrive infatti il primo biografico di Anselmo, il monaco Eodmero: “ Siccome era un fanciullo cresciuto tra le montagne, quando udì che in cielo c’era un unico Dio che reggeva e abbracciava tutte le cose, immaginò che il luogo in cui si trovasse la corte di Dio fosse la cima delle vette, e che lo si potesse raggiungere attraverso i monti”. Il Ruitor e il Grand-Combin sono montagne scintillanti di neve, degne della corte di un grande Re. Ma anche il monte Emilius, come è chiamata ora la montagna a sud di Aosta, non è meno imponente, avendo a destra e a sinistra, come dei vassalli o dei feudatari, la Becca di Nona ed il monte delle Laures. Quando a 23 anni, nel 1056, Anselmo, in disaccordo con il padre dopo la morte della madre (avvenuta intorno al 1050), lascia Aosta e la sua valle, si dirige dapprima verso la “Lombardia”, cioè verso l’Italia dove c’erano i parenti di parte paterna. Poi piega invece a occidente e giunge in Borgogna, la valle del Rodano a nord di Lione tanto per intenderci, attraversando il Moncenisio. Non supera quindi né il Piccolo né il Gran San Bernardo, chiamati a quei tempi Columna Jovis (Alpis Graia) e Mons Jovis (Alpis Poenina). Ignoriamo il motivo preciso per la scelta dell’itinerario: forse un ripensamento di Anselmo, che può aver capito fosse meglio attraversare le Alpi per raggiungere i parenti di parte materna. Dopo tre anni, Anselmo giunge ad Avranches, in Normandia: è pensabile, ma non ne siamo certi, che abbia visitato il Mont-Saint-Michel, dove da qualche decennio era incominciata la vita monastica di una comunità benedettina. Qui fervevano i lavori per la costruzione del grande monastero, lavori che tra crolli, demolizioni, ampliamenti e ricostruzioni portarono alla meraviglia che ammiriamo ancora oggi ; una parte del complesso è proprio chiamata « La Merveille ». Anselmo sceglie invece il piccolo e quasi insignificante monastero di Le Bec, adagiato in una verde e tranquilla valle il cui corso d’acqua confluisce nella Senna. Ma a Le Bec c’era Lanfranco, un luminare della teologia, un pozzo di scienza, dove per scienza allora si indendeva la filosofia, disciplina che permetteva di capire l’uomo e di avvicinarsi a capire Dio. E alla scuola di Lanfranco, che veniva da Pavia, Anselmo s’incamminò verso le » segue a pag. 2 ORME NELLA POLVERE P oco meno di 43 anni separano il sottoscritto dal giorno della nascita di Papà: sono praticamente due generazioni, e potete dunque immaginare di che natura e tenore siano stati i molti accesi confronti di tutti questi anni. La classica, inevitabile e sacrosanta divergenza di visione sulla vita e sul mondo tra genitori e figli risulta acuìta dal forte divario di età, dai tempi vissuti del tutto diversi, e da un certo convincimento di aver comunque ragione a prescindere (caratteristica che ho magari ereditato, ma in forma alleggerita...). Ciò ovviamente non toglie che siano parecchi gli aspetti deci- samente positivi che riconosco nel genitore, molti dei quali radicati sin dai primi anni di vita in montagna. Ecco, la montagna. Ed i montanari, di cui si anche legge nell’interessante dossier “Articolo 1” pubblicato sulla Rivista del CAI di marzo-aprile. Tutto quanto compare in quelle pagine è troppo articolato e complesso per poterlo trattare in maniera compiuta in questa sede, ma qualcosa voglio rilevare. “Alla radice di questo malessere antropologico dei tanti soggetti rimasti nelle aree montane” scrive Aldo Bonomi “sta il rapporto difficile con due categorie tipiche della modernità: lo sradicamento e lo spaesamento, il venir meno delle proprie radici indentitarie ed il sentirsi letteralmente senza più paese. Occorre infatti riflettere” si legge ancora, “su cosa abbia significato, per i montanari, il lento ed assordante scomparire di tante micro autonomie comunitarie come uffici postali, scuole, ospedali (si possono inserire a pieno titolo le parrocchie con curato fisso, ndr) o ancora più nel micro, di circoli, bar e negozi di paese, o di latterie turnarie”. Non facciamo fatica a trovare degli impietosi paralleli con tutte le realtà valdostane collocate » segue a pag. 2 2 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES » continua da pag. 1 Le Montagne di S.Anselmo vette della scienza e della sapienza, diventando a sua volta maestro e guida, e superando di gran lunga il suo mentore. Anselmo passerà a Le Bec gli anni dal 1059 (si farà monaco nel 1060), fino al 1093, quando diventa arcivescovo di Canterbury. Pochi anni dopo, nel novembre 1097, lascia l’Inghilterra per recarsi a Roma in un viaggio che si trasformerà in esilio, a causa dei dissensi con il Re Guglielmo il Rufo in merito alla libertà della Chiesa nel contesto della lotta per le Investiture (in sintesi: nel mondo feudale, viene prima il vassallo, che è rappresentante del re, o il vescovo, che è rappresentante del papa e quindi di Dio? Figuriamoci poi il problema quando la stessa persona è insieme vescovo e conte! Altro che conflitti di interesse, come si direbbe oggi!). Di conseguenza, attraversa le Alpi nel tardo inverno 1098, evidentemente al Monginevro, perché passa da Embrun e Gap, fermandosi a Susa, e celebrando solennemente le funzioni della Passione e Resurrezione del Signore nell’abbazia di San Michele Arcangelo, che è situata sopra un monte chiamato “Chiusa”. Oggi quel luogo è chiamato la Sacra di San Michele, sul monte Pirchiriano (942 m) uno dei simboli del Piemonte. Anselmo prosegue il suo viaggio: dopo Roma passa qualche mese nella località di Liberi, come si chiama attualmente, vicino a Capua: “Posta sulla cima di un monte, essa riserva sempre a coloro che vi abitano un clima sano e mite. La nostra abitazione era stata quindi sistemata sulla sommità del monte, lontana dal tumulto della folla, come se fosse in un deserto”. Quando Anselmo se ne accorse, allietato dalla prospettiva della pace futura esclamo’: “Questa sarà la mia dimora per sempre, qui abiterò”. Così racconta Eadmero. All’inizio di ottobre dello stesso anno, il 1098, Anselmo è a Bari, per il Concilio che deve dare nuovo impulso alla Prima Crociata e regolare i rapporti tra le popolazioni greche dell’Italia meridionale ed i nuovi padroni che vi si stanno installando: i Normanni. E’ pensabile che andando o tornando, Anselmo abbia visitato Monte Sant’Angelo, nel Gargano, toccando così i tre grandi santuari d’Europa dedicati al culto dell’Arcangelo Orme nella polvere anche solo a poche centinaia di metri dalla Dora Baltea, come distanza o come dislivello, indifferentemente. Ero appena in grado di camminare con una discreta autonomia, e già ricevevo indicazioni per non far passare inutilmente quei momenti di trasferimento (magari al seguito di un mulo) in cui le gambe vanno tranquillamente per loro conto senza bisogno di particolare attenzione. Ci si guarda attorno, ma si butta l’occhio anche a terra: se quel sasso in mezzo al sentiero lo togliamo subito, al prossimo transito non ci darà più fastidio; quando sono più di uno e non li leviamo tutti, siamo comunque certi che il viandante che passerà di lì provvederà a completare l’opera. E se dobbiamo attraversare il bosco, il falcetto sempre a portata di mano ci permetterà di tagliare quei rami che iniziano ad invadere il sentiero... All’alpeggio basso di l’Artset sono invece arrivato quasi dall’inizio in auto, Michele, senza tralasciare Castel Sant’Angelo a Roma, edificato come una montagna sullo stesso mausoleo dell’imperatore Adriano. Anselmo soggiorna a Roma, e poi a maggio 1099 è a Lione, superando le Alpi per la terza volta, probabilmente dal Moncenisio perché sappiamo che egli non tornò mai più in Valle d’Aosta dopo la sua fuga del 1056. Alla morte del Re Guglielmo il Rufo (agosto 1100), Anselmo rientra in Inghilterra, rivedendo “le bianche scogliere di Dover” il 23 settembre. Nel 1103 è di nuovo in viaggio verso Roma per consigliarsi con il papa Pasquale II, e quindi è al quarto passaggio delle Alpi. A novembre 1103, di ritorno da Roma, si ferma a Firenze e poi attraversa gli Appennini; a Piacenza s’incontra con Matilde di Canossa, la stessa che 26 anni prima (gennaio 1077) aveva ospitato il papa Gregorio VII nella rocca di Canossa, mentre l’imperatore Enrico IV faceva penitenza all’esterno. Quando si dice andare a Canossa, non significa mai una libera vacanza di piacere! Nel dicembre del 1103, quinto e ultimo attraversamento delle Alpi: Anselmo ha 70 anni! Per un anno e mezzo soggiorna a Lione, fino a maggio 1105, poi per un anno intero risiede nel suo monastero di Le Bec, e ad agosto del 1106 può finalmente rientrare in Inghilterra, dove muore a Canterbury il 21 aprile 1109 a 76 anni: NOVECENTO ANNI FA. Ne aveva percorsa di strada, sia fisicamente che intelletualmente quell’Anselmo che da ragazzo “una notte gli capitò di fare un sogno in cui doveva salire sulla sommità di una montagna ed affrettarsi verso la corte del grande re, Dio... Mentre il ragazzo stava entrando il Signore lo chiamò. Si avvicinò e si sedette ai suoi piedi...”. Così Eadmero. Con questo piccolo contributo, anche Montagnes Valdôtaines vuole partecipare alle celebrazioni in onore del grande valdostano sant’Anselmo, a 900 anni dalla sua morte. Il suo esempio e il suo insegnamento possono essere visibili, come una città collocata sopra un monte, come una lampada in alto, che fa luce a quelli che sono in casa. Che Anselmo, figura europea, come è stato definito, possa fare luce anche in Valle d’Aosta. Il Direttore visto che si era da poco costruita la strada, e si potrebbe pensare che c’era meno tempo per queste piccole manutenzioni. Ebbene, in occasione di tutti i rientri serali si è sempre compiuto quello che era quasi un rito: il camioncino Fiat 241 superava un leggero avvallamento della strada, creato per convogliare acqua filtrante dalla scarpata a monte; Papà fermava il mezzo; si controllava che la sponda fossa ancora integra; all’occorrenza, si provvedeva a ripristinare il ruscello con pala o picco. Si sapeva, in caso contrario, che la persistenza delle infiltrazioni avrebbe rovinato la strada, od un improvviso temporale avrebbe portato a dilavamento e frane nelle scarpate. Ancora in occasione dell’alluvione del 2000, sotto la pioggia battente del sabato, sono stato “gentilmente invitato” a salire a Porliod per ripulire un paio di ruscelli e controllare che le acque di scolo finissero nei valloni deputati allo scarico, testati da decenni di utilizzo e quindi non a rischio. Non che ne fossi felice, ma sapevo che si doveva fare; certo, col senno di poi era forse meglio se avessimo iniziato a evacuare casa, ma può anche darsi che quell’azione abbia evitato danni maggiori... Ecco, tra le molte altre, anche queste piccole eppure basilari azioni mi ha trasmesso mio padre montanaro. Ma ora, quali montanari? La montagna agonizza sempre più sotto l‘ondata del saccheggio “fast food” perché mancano coloro che la vivono e la rispettano come tale: diversa, complessa, in precario equilibrio, e per questo terribilmente fragile. La frattura tra i montanari di un tempo e l’indefinito attore di oggi è ormai insanabile. E non si tratta solo di magnificare un passato bucolico o valorizzare un presente incerto, quanto più banalmente di riflettere su un futuro che non ci sarà. Nella giornata in cui scrivevo queste righe, il montanaro Guglielmo partiva per salire l’ultima delle montagne che per tutta la vita ha vissuto nel profondo. Piermauro Reboulaz N. 2 - maggio 2009 LA STAGIONE delle CIASPOLE MONTAGNES VALDÔTAINES M ai come quest’anno l’inverno ha rivendicato il possesso di febbraio e marzo, mesi che dovrebbero essere anticamera della stagione primaverile. La neve, che ha ricoperto le nostre Alpi ed Appennini finalmente senza pudore, ha fatto la felicità del sempre più vasto popolo degli sciatori, che ha preso d’assalto le stazioni sciistiche ancora in questi ultimi weekend. Purtroppo l’affollamento delle piste non è sempre sinonimo di divertimento: perdere ore in coda agli impianti, tra bambini vocianti ed adulti nervosi nonostante le ferie, può rivelarsi tutt’altro che rilassante; doversi destreggiare per arrivare in fondo ad una pista troppo gremita, inventando traiettorie acrobatiche, può essere addirittura pericoloso. Per chi, di un paesaggio innevato, ama soprattutto la quiete, esistono valide alternative allo sci e allo snowboard: una di queste, a basso costo e minimo impatto ambientale, sono le racchette da neve, anche dette ciaspole, nome che deriva dal dialetto della Val di Non. Questo termine dialettale è entrato nel linguaggio comune probabilmente anche grazie alla notorietà raggiunta dalla Ciaspolada, una celebre gara organizzata appunto in provincia di Trento, la cui prima edizione risale al 1972; un’iniziativa che nacque come una sfida tra amici, in ricordo di un passato dal ritmo meno frenetico, ma che lievitò in pochi anni, inaspettatamente, fino a far competere 2000 concorrenti sul finire degli anni ottanta. Alle soglie del nuovo millennio, hanno percorso la coltre nevosa dell’alta Val di Non più di 5000 concorrenti ogni edizione. Negli ultimi anni la montagna ha potuto giovare davvero di un grande ritorno, per uso turistico, alle racchette, abbandonate quando le attività per le quali erano più utilizzate, quali la caccia o i trasferimenti in zone non percorse da strade, cessarono di essere fondamentali. Un tempo le ciaspole, ad inverno inoltrato, erano davvero l’unico mezzo di collegamento tra i paesi ed i rifugi di alta montagna; da ricordare anche il loro grande impiego nella prima guerra mondiale, da parte del corpo degli alpini. Durante quest’ultima stagione in particolare, anche chi non è abituato all’escursionismo invernale ha avuto modo di ammirare, galleggiando sulla neve fresca, i paesaggi dell’arco alpino in una veste inedi- ta, a partire dal gruppo del Monte Bianco, visto dal Lago d’Arpy ghiacciato, fino ad arrivare al mar Ligure. I sentieri che d’estate sono gremiti di gente, quali le vie per i rifugi Garelli e Migliorero nel cuneese, con la neve sono percorsi solo dagli animali, di cui spesso si possono scorgere le impronte. Esistono itinerari per ogni livello di escursionisti; a questo proposito è stata stilata una graduatoria nei percorsi, costituita da semplici sigle: MR per medi racchettatori, BR per bravi racchettatori, OR per ottimi racchettatori, MRA BRA e ORA per racchettatori alpinisti (la lettera A finale indica la presenza lungo il percorso di difficoltà di carattere alpinistico che possono richiedere materiale adeguato per essere affrontate). Il fascino di questo tipo di escursione risiede oltretutto nell’assenza di un vero e proprio sentiero; nel risalire un pendio innevato, poter decidere se seguire una traccia già battuta o crearla voi stessi al vostro passaggio, improvvisandone il tragitto e la pendenza a seconda della determinazione con cui vorrete raggiungere la meta, regala un sapore di libertà in più a quella che già l’intero mondo della montagna è capace di trasmettere. Ci addentriamo però in un tema vivacemente dibattuto: la disputa per la traccia tra gli “scialpinisti” ed i “ciaspolatori”. Questo argomento insospettabile accende spesso le discussioni più rocambolesche, anche nei forum on line di montagna, caratterizzati da toni solitamente garbati. Gli amanti dello sci alpino ricevono davvero un colpo al cuore nel vedere una loro traccia, faticosamente lisciata, calpestata dalle racchette da neve (e non solo al cuore: con l’affossamento o il buco la punta dello sci può incagliarsi, causando lo stacco accidentale della pelle di foca). Da un altro punto di vista battere traccia è un onore che il primo a passare dopo una nevicata condivide con chiunque segua, per raggiungere la vetta, uno scopo comune. L’ultima parola resta in ogni caso al buon senso dei singoli, con un invito, mai banale, al rispetto ed a godersi lo spettacolo della natura senza frenesia, nel nome di un’unica passione per la montagna e la neve. Tommaso Dotta 3 4 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES “IL FILO D’ARIANNA” Per un decalogo di segnaletica sentieri 5 - Catasto dei sentieri: ogni Regione italiana dovrebbe disporre di un servizio od ufficio incaricato di censire e gestire i sentieri e le relative mappe, riportando per ogni sentiero tutti i dati necessari per individuarlo, classificarlo, conoscerne lo stato, registrare gli interventi di manutenzione e segnalazione, gli enti incaricati della loro gestione, ecc. Quanti frequentano i sentieri, (guide alpine, accompagnatori naturalistici, guardie parco, capi-gita, o anche semplici escursionisti ed alpinisti), potrebbero contribuire a fornire informazioni ed osservazioni sullo stato dei sentieri e sulle necessità di interventi riguardanti la manutenzione e la segnaletica, utilizzando appositi moduli distribuiti a cura delle Sezioni del CAI. 6 - Valutazione e classifica dei sentieri: in occasione dell’annuale “Giornata dei sentieri” potrebbe essere interessante redigere una classifica dei sentieri migliori di ogni regione e premiare le Sezioni del CAI o le altre associazioni che si sono particolarmente distinte in merito. Dopo le molte considerazioni espresse nei numeri precedenti, pensiamo sia utile proporre di seguito una prima traccia per la stesura di un vero e proprio “Decalogo dei sentieri” che possa servire come sintetica istruzione per chi viene incaricato di segnare i sentieri, ma anche per chi li percorre perché sappia interpretare in modo corretto tale segnaletica. 6. i segnavia bianchi-rossi devono essere posti ad un’altezza di 50-100 cm e devono essere possibilmente visibili sia da chi sale che da chi scende. Regola aurea, a nostro giudizio, è quella di porre, su tracciati dove è possibile perdere l’orientamento, segnavia in modo tale che da ognuno si possa scorgere quello precedente e quello successivo; 7. il manuale CAI prescrive “di apporre un segno nelle immediate vicinanze dei bivi ed ogni 5-10 minuti di cammino se il sentiero è evidente, altrimenti a distanza più ravvicinata, tenendo in considerazione le caratteristiche ambientali e l’inserimento rispettoso nel luogo” ; 8. “lungo sentieri che attraversano pascoli privi di sassi o dove l’erba nasconderebbe gli usuali segnavia, o su terreni aperti e nudi, privi di elementi naturali di riferimento, è opportuno porre un picchetto segnavia”; 9. evitare l’impiego di frecce direzionali (frequenti ma non sempre utili) e di altri simboli e colori al di fuori di quelli indicati dal CAI; 10.“nei bivi ed in altri punti dove è utile confermare la continuità dell’itinerario numerato, può essere utile porre segnavia rosso-bianco-rosso con inserito in colore nero su bianco il numero del Sentiero”. Concludiamo con una citazione letteraria che ci pare particolarmente calzante con l’oggetto del nostro scritto: DECALOGO DEI SENTIERI La segnaletica 1. i segni, di qualunque tipo, materiale, forma, dimensione, posti lungo un sentiero, sono uno sfregio della natura, e perciò devono essere apposti (specie quelli in vernice) con grande moderazione e solo se veramente indispensabili; 2. i segni devono essere posti solo se il percorso non è più che evidente, anche in condizioni difficili (nebbia, improvvise nevicate, penombra, buio). Recita al riguardo il manuale CAI: “laddove il sentiero è ben tracciato e privo di bivi è sufficiente mettere un segnavia di richiamo bianco-rosso ogni 300-400 metri”; 3. quando è possibile, è bene usare come segni ometti di pietre, alti al massimo 40-50 cm. Come ameremmo, anche sulle vette delle nostre montagne, trovare, invece di tanti orpelli, dei semplici ometti come quelli eretti dai primi salitori! 4. per i segni verniciati i colori adottati dal CAI e da altri club alpini stranieri sono il bianco ed il rosso da usare sempre in abbinamento (bianco in alto e rosso in basso). Il colore giallo è usato, in Italia, solo nella Regione Val d’Aosta; 5. i segni verniciati devono essere possibilmente posti non sul sentiero, vale a dire sul piano di calpestio perché possono essere facilmente nascosti da foglie, terra, sabbia, neve ma –secondo il manuale CAI- “a lato dei sentieri, usualmente sui sassi, non sui tronchi degli alberi ma semmai sui ceppi di alberi morti, per indicare la continuità, in entrambe le direzioni, di un itinerario segnalato”; “Come si gioisce quando nella nebbia si riesce ad intravedere la tabella segnaletica! Si può guastare tutta la giornata per un errore di percorso e può succedere di dover rinunciare alla cima perché non è rimasto più tempo a disposizione. Non si richiedono grandi requisiti ad una tabella segnaletica. Non occorre che sia bella; non è necessario che sia fatta con criteri artistici. Ma deve, questo sì, corrispondere alle aspettative. Deve soprattutto farsi leggere ed essere corretta. Svolge la sua funzione, non stando in mezzo al sentiero, ma di lato. Anche nella strade della vita abbiamo bisogno di uomini che siano in grado di indicare la via giusta. Uomini che ci rendano felici quando emergono dalle nebbia che ci avvolge e ci tranquillizzano illuminandoci. Ad essi ci rivolgiamo con fiduciosa attesa, analogamente a come si guarda alle tabelle segnaletiche di montagna. Questi uomini devono innanzitutto essere solidi diritti nell’indicare la mèta. Una segnaletica distorta conduce troppo in alto verso l’illusione oppure in basso verso la banalità. Questi uomini devono corrispondere al vero, cioè irradiare tranquillamente la verità indicando la direzione giusta per mete che realmente valgono e che sono realisticamente raggiungibili. Dio ci salvi dagli utopisti, dai fantasiosi,dai manipolatori che si spacciano per guide”. (Mons. Reinhold Stecher, vescovo di Innsbruck: “Il messaggio delle montagne”, edizioni della Giovane Montagna) ontagnes aldôtaines Direttore responsabile Reboulaz Ivano Registr. 2/77 - tribunale di Aosta 19/02/1977 Stampa Tipografia Testolin - Sarre (5 - fine. Le precedenti puntate sono apparse sui numeri: 3/100 – 1/101 – 2/102 – 1/103) Luciano Ratto N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES QUATTRO PASSI IN CHâTILLON un paese da scoprire “Camminare consente di percepire la realtà con tutti i sensi, di farne pienamente esperienza lasciando all’uomo l’iniziativa. Non privilegia unicamente lo sguardo, a differenza del treno o dell’auto, che istituiscono la distanza dal mondo e la passività del corpo. Si cammina per nessun motivo, per il piacere di gustare il tempo che passa, di concedersi una deviazione per meglio ritrovarsi alla fine del cammino, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, per aumentare la conoscenza corporea di un mondo inesauribile di sensi e sensorialità; o anche, semplicemente, per rispondere all’invito della strada. Camminare è un modo tranquillo per reinventare il tempo e lo spazio. Prevede uno stato d’animo, una lieta umiltà davanti al mondo, un’indifferenza alla tecnica e ai moderni mezzi di trasporto o, quantomeno, un senso della relatività delle cose. Fa nascere l’amore per la semplicità, per la lenta fruizione del tempo”. (David Le Breton, Il mondo a piedi, p.14) E allora eccoci, alla scoperta di un mondo sconosciuto a coloro che rapidi percorrono l’autostrada… In una civiltà invasa dai motori e dalla velocità regaliamoci invece il piacere di andare a piedi, di camminare nel paesaggio, dove storia e ambiente convivono in armonia e ogni elemento ha una sua storia da raccontare, partiamo alla scoperta del comune di Châtillon, delle ricchezze storiche e ambientali che si celano nel suo vasto territorio disteso sui due versanti della Dora Baltea, del suo borgo, ospitato in un’ampia e luminosa conca che si svela subito con i suoi castelli circondati da parchi secolari, la sua chiesa, i suoi palazzi decorati da preziosi portoni e ringhiere in ferro battuto, i suoi arditi ponti, i suoi villaggi raccolti attorno a piccole L’Hôtel Londres dal ponte della Madonna d. Grazie cappelle, torri e caseforti, villaggi disseminati lungo i fianchi del Monte Zerbion e del Monte Barbeston, “i due numi tutelari del bacino di Châtillon”. Grazie al Comune di Châtillon, ho potuto realizzare una piccola guida, “Châtillon, un paese da scoprire”, dove ho raccontato otto percorsi che, come scrive il sindaco Giuseppe Moro nell’Introduzione, “offrono una vasta gamma di visite dalle più affrettate a quelle che richiedono maggior approfondimento. Si tratta quindi di un documento importante, di cui da tempo se ne sentiva la necessità e ancor più oggi, dopo aver riscoperto attraverso questa ricerca, quanti siano i luoghi interessanti da visitare, finora sottovalutati o misconosciuti”. Di questi, riporterò la descrizione del percorso n. 1 che ci guiderà “Tra gli storici edifici del Borgo di Châtillon”. Via Emile Chanoux, ci conduce alla scoperta di un borgo ricco di testimonianze storiche e religiose; è un susseguirsi di edifici gli uni stretti agli altri, di antiche dimore oggi profondamente trasformate, ma che recano ancora numerose tracce di un nobile e illustre passato. Portali in pietra, balconi in ferro battuto, lunette che sovrastano i portoni d’accesso con date e monogrammi arricchiscono i palazzi un tempo appartenuti alle famiglie dell’aristocrazia. Ma orsù dunque, iniziamo la nostra esplorazione e superiamo, aiutati da un po’ di immaginazione, l’antica Porta Ivrea che si apriva nella cinta muraria, oggi completamente scomparsa. Oltre a svolgere l’importante funzione di collegamento interno, Via Chanoux, che attraversava il borgo per tutta la sua lunghezza, era luogo di passaggio obbligato per merci e persone che risalivano la Valle d’Aosta transitando lungo il Grand Chemin (o Chemin Royal) e lo rimase sino agli anni ’60 quando furono realizzate la circonvallazione (1964-1968) e l’autostrada (1968-1969). Quanti balconi abbattuti da camion e TIR… che, oggi sembra quasi impensabile, dopo l’apertura dei tunnel del Monte Bianco (1965) e del Gran San Bernardo (1964) viaggiavano fra queste case in entrambi i sensi! Lungo la stessa via aveva luogo il mercato settimanale di assai antica istituzione: lo storico Jean Baptiste de Tillier cita un documento risalente addirittura al 1409! La via, in epoca attuale, è invece animata, a giugno, in occasione delle festa patronale, e a dicembre, da un brulichio di curiosi che visitano il Petit Marché du Bourg, un’esposizione, con vendita, di oggetti di artigianato, antiquariato e prodotti alimentari. L’ultima domenica di ottobre vede invece svolgersi la “Sagra del miele e dei suoi derivati”: Châtillon, infatti, fa parte dell’Associazione Nazionale Italiana le Città del Miele, un’iniziativa che ha come obiettivo la tutela e la valorizzazione dei mieli artigianali italiani. La salita sfiora alcuni bei portali in pietra e ci conduce al palazzo appartenuto a Guglielmo Gervasone (oggi sede dell’USL), nipote del leggendario Bartolomeo, riconoscibile per la tinta rosa e gli stucchi che decorano la facciata. Di fronte, le mura del convento dei Cappuccini racchiudono secoli di una storia che ebbe a iniziare nel lontano 1626 quando il barone Paul-Emmanuel di Challant con atto del 22 marzo 1626, cedette all’ordine una casa perché vi fondasse un convento. Nel 1633, dopo lavori di sistemazione e di adeguamento, vi si insediarono i primi frati cappuccini. Annessa alla casa trasformata poi in convento c’era una cappella dedicata a san Grato, il potente taumaturgo cui si ricorreva in occasione di malattie, guerre e carestie. Giudicata troppo piccola, la cappella fu 5 6 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES Châtillon un paese da scoprire completamente riedificata fra il 1635 e il 1642 e dedicata a san Francesco d’Assisi. La Rivoluzione Francese portò alla soppressione di molte istituzioni monastiche e nel 1802, dopo i conventi di Aosta e di Morgex, fu la volta anche di quello di Châtillon: i frati furono cacciati e l’edificio utilizzato come magazzino per le truppe. Dopo varie traversie e utilizzi (scuola, lazzaretto, magazzino, latteria, caserma), nel 1895 il vescovo di Aosta, Mons. Joseph-Auguste Duc, acquistò l’edificio dal comune e il convento ospita ancora oggi l’unica comunità di cappuccini in Valle d’Aosta. In alcuni locali annessi al convento, per lascito testamentario di Jean Louis Rigollet, nel 1865 fu istituto un asilo infantile, tenuto dalle suore di San Giuseppe, per “provvedere all’educazione religiosa, morale e civile dei fanciulli di ambo i sessi, dai 3 ai 6 anni”; l’asilo fu attivo sino al mese di gennaio del 1960 quando venne inaugurato quello attuale, sito in Via Tollen, che porta ancora il nome di Asilo Rigollet. Poco lontano dal convento, si trovava l’ospizio di San Teodulo, amministrato dai religiosi del Gran San Bernardo, che, fondato nel 1165, rimase aperto fino al 1752 quando fu definitivamente soppresso. L’ospizio, la cui presenza conferma quanto il paese fosse frequentato, era nato per offrire riparo a pellegrini e viandanti, ma non possedeva che due o tre letti. Sulla piazzetta intitolata ai Caduti per la Patria, si affacciava lo storico Hôtel de l’Ange ricordato in numerose guide turistiche di fine 1800: “buona cucina e camere pulite”. Sul lato opposto, dove oggi ha sede la biblioteca Monsignor Duc, doveva trovarsi l’abitazione dei nobili Scala e di Charles Bich (1802–1881). L’edificio fu poi adibito a caserma della Guardia alla Frontiera (Caserma Menabrea), un corpo militare utilizzato da Mussolini durante la seconda guerra mondiale per proteggere la frontiera italiana dai paesi confinanti. Sulla via, un edificio (al n. 82), oggi ristrutturato, ospitava l’albergo Lion d’Or. Quasi in cima alla salita (al n. 74), la residenza fatta costruire nel 1760 da Pantaléon Bich, “la più sontuosa del Borgo”, che nel 1800 ebbe l’onore di ricevere e alloggiare Napoleone con il suo seguito! L’edificio, in anni più recenti, divenne Casa dalle suore della Congregazione di San Giuseppe, la prima casa aperta dalla Congregazione fuori Aosta. Ma eccoci Particolare di una serratura lungo via Emile Chanoux finalmente in Piazza Duc, o meglio Place Abbé Prosper Duc, martire della Resistenza (1915-1945) la cui casa natale si affaccia sulla stessa piazza. Lunga e travagliata la storia di questa piazza! Nel 1771, il Consiglio comunale, ritenendo che, soprattutto il giorno di mercato, la merce esposta, il passaggio di persone e di carri e la presenza della fontana utilizzata sia per l’abbeveraggio degli animali sia per uso domestico, creassero confusione e costituissero pericolo, decise di realizzare una piazza dove trasferire la fontana del borgo, costruire la casa comunale e la scuola (fondata a Châtillon per volere testamentario di Jean Claude Brunod nativo di Châtillon con atto del 12 novembre 1713). Al Consigliere Pantaléon Bich fu affidato l’incarico di acquistare alcune case, incendiate nel mese precedente, da demolire per creare uno slargo. Nel 1777 la piazza, da adibire anche a sede del mercato settimanale, fu ultimata, così come la casa comunale; la scuola venne invece terminata nel 1782. Nel 1855, l’edificio comunale fu destinato a caserma dei Carabiniers Royal e poi demolito nel 1965. Il 7 giugno 1925, nella piazza fu eretto un monumento in bronzo, forgiato con gli obici tolti al nemico nella guerra 19151918, opera dello scultore Ettore Betta. Durante l’occupazione fascista, la statua fu fusa e il bronzo utilizzato per la fabbricazione di armi. Ritrovati gli stampi originali, il monumento, ricostruito e risistemato nella piazza, fu inaugurato il 5 novembre del 1967. Nella piazza si affaccia pure l’edificio che ospita il Corps Philharmonique de Châtillon, il più antico corpo musicale della Valle d’Aosta. Fu, infatti, fondato nel 1780 con l’appellativo di Musique, e la sua attività, nonostante le vicende belliche che contrassegnarono la storia regionale e mondiale, non subì mai alcuna interruzione! Suo presidente per ben quaranta anni, dal 1966 al 2007, e oggi vicepresidente, un illustre cittadino di Châtillon, il senatore Cesare Dujany. Il cammino prosegue lungo Via Chanoux che ora si fa pianeggiante: altri balconi e altri portali! Una diramazione sulla destra, Vicolo del mulino, conduce a un edificio su cui spicca un affresco a carattere religioso. A sinistra, la forgia Torreano conserva ancora i meccanismi per la produzione di energia idraulica. Ma ecco il municipio, un edificio a tre piani con portico al piano terreno, realizzato verso il 1950. A fianco, da un lato, il palazzo gemello, già Hôtel delle Alpi, dall’altro l’Hôtel Londres, il più antico, degli alberghi di Châtillon. Edificato nel 1853 da Filiberto Gervasone “in posizione pittoresca sul grande ponte, a immensa altezza sopra il torrente di Valtournenche”, fu il più frequentato dai turisti italiani e stranieri. Tra gli alpinisti celebri che vi risedettero ricordiamo l’inglese Edouard Whymper, il conquistatore del Cervino (14 luglio 1865), che vi soggiornò tra il 28 e il 29 agosto 1861: in suo ricordo, un altorilievo posto su un balcone del cortile interno. Infine una curiosità: lungo la via del paese, tra il 1921 e il 1928, era in servizio una filovia che collegava il borgo con le stazioni ferroviarie di Châtillon e di Saint-Vincent. Le vetture, che potevano trasportare 25 persone, erano state acquistate a Desenzano del Garda da una società costituita dagli abitanti di Châtillon. La gola incisa dal Marmore, antico confine fra le Signorie di Châtillon e di Cly, chiude questo interessante itinerario alla scoperta di un borgo assai poco conosciuto e visitato, ma certo ricco di testimonianze storiche e di antiche suggestioni. Marica Forcellini (testo, foto e disegni) N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES Un intervento per i 150 anni della Società della Flora Valdostana N ella Mattinata del 13 dicembre scorso la Società della Flora Valdostana, presieduta dalla dott. ssa Chantal Trèves, ha festeggiato i propri 150 anni di vita. Per la ricorrenza sono stati invitati a prendere la parola i Presidenti delle Associazioni culturali “amiche”, fra cui il CAI. I legami con il CAI sono antichi e risalgono all’epoca dell’istituzione dei sodalizi, sia per il sostegno dato dal CAI - seppur di poco più giovane - alla Società della Flora, sia perché li acco- munano i nominativi di alcuni dei soci fondatori. Si riporta di seguito il breve intervento del Presidente Aldo Varda che è stato preceduto - come da prassi - dal saluto agli astanti. E’ con vero piacere che ho accolto l’invito della gentile Presidentessa Chantal Trèves a prendere la parola. Perché i legami tra il CAI e la Società della Flora sono antichi, profondi, con tante comuni radici. Antichi datando essi sin dal tempo della istituzione dei Sodalizi - 150 anni per la Società della Flora, 142 per il CAI in Valle nella “Succursale d’Aoste”- perché c’è sempre stato un sostegno reciproco estrinsecatosi negli anni del dopoguerra con la conservazione presso la nostra sede dei loro reperti. Ma non è al passato che occorre guardare: è al presente, ove le finalità delle due associazioni che potrebbero apparire così diverse da una lettura superficiale della loro denominazione, in realtà si accomunano nell’amore, nel rispetto, nella salvaguardia della natura e dell’ambiente. Chi va in montagna per amore della stessa colma il proprio animo con la viArchitravi in pietra con decorazione a chiglia sione di ciò che l’ambiente circostante gli dona. Sia che egli percorra sentieri, rovesciata di due portoni del borgo sia che si muova su pareti o su ghiacciai sempre assapora quanto lo circonda, gioisce della bellezza e della infinita diversità delle forme e dei colori delle piante, degli arbusti, dei fiori per arrivare alla flora dell’alta montagna, quella bellissima che troviamo laddove iniziano i ghiacciai. Sono questi gli obiettivi immediati che ci poniamo: salvaguardare e preservare l’ambiente naturale, proteggendolo con i nostri interventi, infondendo nei nostri soci la conoscenza e l’amore della natura, in particolare nel contesto di quelle attività che ci sono proprie, come la formazione nei corsi delle scuole di alpinismo, di sci-alpinismo, di escursionismo e di speleologia. Sono dunque gli stessi obiettivi che anche la Società della flora si pone ma è con la sinergia delle nostre due associazioni che si potranno compiere ulteriori passi avanti garantendo a tutti di gioire nel vedere il calice di un fiore schiudersi o il protendersi verso la luce, nell’apprezzare lo sviluppo di un albero, paragonando - almeno a me è successo molte volte - la sua età con la mia. Grazie ancora e complimenti sinceri per questo 150° compleanno. Aldo Varda Taccuino Châtillon Sci-Alpinismo Dom. 7 Giugno Mont Fourchon (2902 m) Racchette da neve Dom. 7 Giugno Mont Fourchon (2902 m) Mountain bike Sab. 23 - Dom. 24 Maggio Sab. 13 Giugno Dom. 12 Luglio Dom. 26 Luglio Dom. 2 Agosto Sab. 29 Agosto Dom. 13 Settembre Gita in Valsassina (in collaborazione con sezione di Chieri) Punta di Met (2600 m) La Via dei Saraceni (2536 m) Anello delle valli Finalesi (930 m) Col de la Seigne (2514 m) Le acque verdi di Saint-Marcel Giro sulla balconata della Val Ferret (2061 m) Mountain Bike Junior Dom. 2 Agosto Giro dei boschi di Chamonix (1800 m) Alpinismo Sab. 6 Giugno Aggiornamento accompagnatori alpinismo Sab. 4 – Dom. 5 Luglio Grand Assaly (3174 m) Sab. 18 – Dom. 19 Luglio Plattes des Chamois (3611 m) Lun. 27 Luglio Pizzo Badile (3308 m) in concomitanza con la gita escursionistica Sab. 8 - Lun. 10 Agosto Nadelhorn (4327 m) Sab. 22 Agosto - Dom. 23 Agosto Punta Parrot (4436 m) Alpinismo giovanile Sab. 27 Giugno Rifugio Elisabetta (2197 m) Escursionismo Dom. 24 Maggio Tour della Quinseina (2344 m) Sab. 30 Maggio - Lun. 1 Giugno Isole del Giglio e Montecristo Dom. 14 Giugno Aiguille de Bonalé (3201 m) Dom. 21 Giugno CAI Valle d’Aosta: SENTIERO FRASSATI Dom. 12 Luglio Ferrata du Diable Sab. 25 - Lun. 27 Luglio Valtellina - Sentiero Roma (2876 m) Dom. 30 Agosto Mont Colmet (3024 m) Dom. 13 Settembre Haute Cime des dents du Midi (3257 m) Dom. 20 Settembre Grand Tournalin (3379 m) Storico-Culturali Dom. 17 Maggio Sentiero delle anime (1398 m) Sab. 20 Giugno Le macine della Valmeriana (1700 m) Per chiarimenti e informazioni visitare il sito www.caichatillon.it o telefonare durante l’orario di apertura della sede (tutti i mercoledì dalle 20,45 alle 23,00) al seguente numero di cellulare: 347 9349433. 7 8 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES Muzzerone, il paradiso terrestre S ono passati molti anni da quando venne a crearsi il cosiddetto conflitto che generò la rivoluzione del Nuovo Mattino. Come sappiamo l’innalzarsi delle capacità atletiche di scalata si affiancò ad una specifica ricerca dell’arrampicare come gesto libero e privo di mezzi artificiali La corda venne utilizzata solo come protezione da eventuale caduta e non come ausilio alla progressione. Gli arrampicatori si differenziarono dagli alpinisti e sovente tutto ciò decretò accadimenti non del tutto piacevoli. Dopo così tanto tempo, sono passati più di trent’anni, solo molto poche persone confondono ancora l’arrampicata libera e sportiva, cioè il free climbing, con il free solo cioè l’arrampicata senza uso di corda. Per altro moltissimi alpinisti sono diventati anche arrampicatori e moltissimi arrampicatori sono diventati anche alpinisti. Forse l’esempio più chiaro è il “poeta” Patrick Berhault. Eppure, a causa del bombardamento mediatico, dopo due generazioni di persone c’è ancora chi considera la falesia esclusivamente come una palestra di roccia senza possibile fine ma un’anticamera di qualcos’altro. Devo ammettere che per anni anche per me è stato qualche cosa di difficile da digerire… Io sono un alpinista e tale resterò per sempre. Eppure, nel mio tipo di alpinismo, ormai annovero discipline quanto mai varie e diverse. Altrettanto giusto è ammettere che esse, oltre a darmi un grande beneficio fisico e spirituale, moltiplicano le mie capacità alpinistiche permettendomi possibilità in chiave classica che non sarei riuscito a raggiungere in altro modo. Oramai valico montagne con più sicurezza potendo padroneggiare con più attenta tecnica le mie possibilità in scalata… Quando ora mi trovo a piantar chiodi alla vecchia maniera, lo faccio con senza peso e con migliore lettura dell’ambiente geologico che ora mi accetta con più benevolenza. Prima, per me, scalare fine a se stesso era sempre e solo una palestra. Poi ho iniziato a girare per l’Italia, da nord a sud, da est ad ovest, ed ho scoperto luoghi dove l’arrampicata è stata forgiata da una tradizione alpinistica e con essa condivide appieno il significato di trascendenza. Ho solcato pareti dove, più che con le mani e con i piedi, è con il cuore che mi sono arrampicato. Come diceva un “certo” Manolo, Maurizio Zanolla, «Toccare il cielo, è un’avventura dello spirito». Come mi ha insegnato mio zio Sandro di Aosta, «...la montagna non è esattamente una passione ma è più una sorta di vocazione». Siamo oramai a gennaio ed è giusto il momento di iniziare di nuovo ad allenarsi. Visto il mio lavoro non è solo una scelta ma è più che altro un obbligo. Dopo esser andato due volte in falesia questa settimana praticamente mi son reso conto di non aver più né forza né mente. L’estate è lontana eppure così vicina... è perciò importante trovare un posto dove affrontare qualche cosa di maestoso ed imponente, un avatar “mostruoso” e bellissimo. Spesso quando un alpinista abituato al freddo glaciale sogna, immagina barre rocciose “perfette” a picco su un mare blu cobalto. Il Muzzerone non è altro che quel sogno fatto pietra. Questa meravigliosa bastionata calcarea si trova in quel di La Spezia in Liguria, al confine con la Toscana. Qui vi sono centinaia di vie, sia nuove, sia classiche, che si snodano sulle sue linee, in un ambiente mediterraneo che siamo abituati a vedere soltanto nei film. La tipologia di scalata che occorre su queste pareti ricorda molto lo stile adottato in Dolomite in conseguenza alla similarità fra le tipologie di roccia. L’arrampicatore che giunge al Muzzerone saluta le vicine ed innevate Alpi Apuane che si stagliano oltre il golfo spezzino, per poi scendere verso le calette alla base delle vie, in un aereo paradiso naturale, al quale, quasi farà fatica a credere. Le splendide pareti della bastionata sono scalabili in qualsiasi giornata dell’anno. Il microclima permette agli arrampicatori di frequentare il sito anche in pieno inverno cercando piuttosto di evitare le più afose giornate estive. Ora tutta la costa è stretta in una morsa di freddo ed a partire dalla linea dello spartiacque la Liguria è interamente ricoperta di neve e ghiaccio. Tutte le pareti a picco sul mare però si trovano nella migliore delle condizioni garantendo avventura per chi ha la preparazione ed il desiderio per affrontarla. Io qui ho già ripetuto lo storico itinerario “Sincronicità” sulla selvaggia Parete Striata, denominata così per la colorazione particolare della roccia, dovuta ad ossidazioni superficiali. La via segue una linea elegante sul lato destro della bastionata. La vista spazia verso le rossastre placche della parete e sul Pilastro del Bunker che per primo riscopre la luce alla mattina. La roccia è talvolta smussata dai molti passaggi, ma, ciononostante, le caratteristiche del Muzzerone garantiscono una salita serena sino alla spettacolare grotta che attraversa la parete da cui si deve oltrepassare la bastionata e sbucare dall’altra parte. Ho anche ripercorso la storica via del Pilastro, che fa da cornice alla parete. Si tratta di una spettacolare via di arrampicata a picco sul mare. La linea dell’itinerario, che sale quasi sempre verticale, garantisce sensazioni aeree davvero rare. La chiodatura è un po’ lunga per un itinerario in ottica moderna, ma comunque più che ottimale per chi è abituato a scalare in montagna. La roccia è uno splendido calcare, non unto nonostante le numerosissime ripetizioni. Il pilastro è alla sinistra della parete striata sulla quale offre un grande panorama. Questa fu una delle storiche creazioni di Roberto Vigiani, una delle più forti guide in Europa. Lo conobbi quando mi allenavo in Toscana, anni fa, e da allora penso sempre con nostalgia ad ogni via che lui ha aperto che ho potuto ripetere. Potrebbe essere un’ottima occasione per salire su un itinerario aperto proprio da Roberto ed appunto sulla Parete Striata. Propongo quindi di fare due cordate con tre miei amici. In coppia con Luca Fida saliremo “Kimera”, che Vigiani aprì dal basso nel 2007 sul terzo sinistro della bastionata, con massimi tiri di 6b+, mentre Paolo e “Gianni” Boccaccio saliranno sul Pilastro del Bunker. Siamo tutti e quattro molto più che fuori allenamento, sarà quindi una bella avventura per aprire l’anno in vista delle realizzazioni estive e del compendio esplosivo delle emozioni che vivremo anche questa stagione. Dal posteggio della strada militare che sale da Le Grazie prendiamo il sentiero per Portovenere. Ci immergiamo nella macchia mediterranea. Ascoltiamo i richiami dei gabbiani, il lontano rumore della risacca, odoriamo la santoreggia, il timo, l’erica arborea. Giungiamo in breve ad un bunker ed iniziamo a scendere. In pochi minuti arriviamo ad una vecchia cabina per cavatori, saliamo sul tetto e scendiamo dall’altro lato. Una scaletta gialla ci porta ad un ripiano erboso dal N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES Muzzerone, il paradiso terrestre quale alcuni cavi metallici conducono ad un ampio balcone che costituisce la vetta del pilastro della Discordia che delimita a destra la Parete Striata. Scendiamo per corde fisse che da sole costituirebbero una ferrata notevole. Arriviamo quindi alla base della parete ed attraversiamo a mezza costa tutta la bastionata. Io sto molto attento e mi guardo circospetto. Anni fa andando a cercare una via di quarant’anni prima, m’imbattei in un nido di gabbiani e fui attaccato da decine di essi chiamati a raccolta dal proprietario alato… rischiando di finire di sotto! Finalmente arriviamo alla partenza della via e l’avventura ricomincia anche quest’anno. Kimera inizia su placca appoggiata grigia lavorata. Si sale più o meno verticalmente fino a che la linea si raddrizza diventando quasi verticale sempre su ottime prese. Si tralascia una sosta fuorviante su un albero a destra, salendo sempre sulla verticale, sino a che la roccia non ritorna vagamente abbattuta. Si obliqua quindi La parete striata dove è ambientato l’articolo a sinistra su strapiombo e vago diedro giallo che rimonta un grande blocco dove si trova la sosta. Attaccando il passo direttamente si affrontano le maggiori difficoltà, grosso modo sul 6a. Il secondo tiro attacca la placca leggermente aggettante sulla destra che punta verso alcuni alberi. I primi metri sono articolati e da attaccare con tecnica ed intelligenza dato che sono tutti passaggi monodita o bibita al massimo di 6a+. Salendo sulla linea della goccia si incontrerebbe invece un passo di 6b su microvaschette. Ovviamente non me ne accorgo subito e mi trovo proprio lì in mezzo e devo tirare un po’ di più. Giunti agli alberi passiamo sotto di essi, su roccia, e continuiamo dapprima in verticale poi su placca appoggiata più semplice e lavorata a fessure. Il terzo tiro è anch’esso entusiasmante. Si supera un lieve passo delicato con ristabilimento affrontandolo sulla sinistra e rimontando un canale fiancheggiato da un piastrino. Si sale quindi verso sinistra la struttura continuando su placca divertente e tecnica. Il tiro si conclude con una entusiasmante sequenza di prese rovesce da non sottovalutare con i piedi in aderenza e senza appigli. Dopo pochi metri di placca non banale e verticale si attacca una splendida canna rossa strapiombante con prese grandi sulla destra che permettono di salire con il bacino per poi spostarsi verso un ristabilimento a sinistra. Qui si trovano le difficoltà di 6b+ ma non è certo questa la difficoltà della via quanto la sua continuità. Non vi sono passi particolari di un determinato grado ma piuttosto ogni singolo metro della via riporta i gradi del tiro. In questo punto è molto utile un incastro di tallone che permette di raggiungere due prese relativamente alte sulla destra che garantiscono il superamento del passo simile ad una sequenza boulder. In scala UIAA, quella che sono abituato ad usare in alpinismo, questo è un tiro di VII+. La sua struttura ideale per altro richiama molto a una linea di debolezza da parete montana. Tutto ciò mi riempie di soddisfazione. La via continua con un accennato canale tecnico ed abbattuto che porta ad un terreno più verticale sino ad un secondo risalto strapiombante più facile ma anche più continuo e lungo. Si superano poi tre metri di placca facile sul III grado e si continua seguendo una corda fissa che porta subito ad una traccia pianeggiante verso sinistra. La si segue incontrando subito un cavo metallico che sale a destra portando alla quinta sosta. L’ultimo tiro attacca un muretto che porta ad un ristabilimento su calcare grigio. La roccia è molto lavorata con “vasche”, “buste”, “orecchie”, “clessidre”, ma anche meno compatta. Si superano una serie di risalti e sequenze di muretti verticali sino all’ultimo torrione con passi strapiombanti che portano alla cuspide di vetta. Guardo il mio compagno di salita e gli stringo la mano: «Buona montagna Luca, siamo arrivati» Il panorama è incredibile. Si vedono l’isola d’Elba ed in trasparenza la Corsica. La vista a quasi 270° ci riempie il cuore, è qualcosa che non riusciamo a contenere. Il cielo non è terso ma le nubi danno ancora maggiore idea di quanto sia immenso questo spazio, sulla distesa d’acqua ed aria che si perde all’orizzonte lontano. Chissà se laggiù c’è qualcuno in cima ad un cocuzzolo che beve con un amico e guarda l’orizzonte speranzoso. È un po’ come sperare in un fratello lontano che forse riscoprirò un giorno. Dopo un breve spuntino dalla sosta, con il mare alle spalle, percorriamo con attenzione quattro metri a sinistra, troviamo un canale, poi una traccia e quindi il sentiero. Ritroviamo in breve il parcheggio ed i nostri compagni. Il sole si sta per coricare e quindi scendiamo in fretta alla falesia più famosa del luogo. Andiamo alla “Polveriera”. Ci scambiamo nelle cordate e proviamo un tiro duro, a vista, a testa. Lo falliamo tutti e quattro. Io, mentre sto moschettonando la catena, volo… Sorrido e penso «peccato, c’ero quasi». Dovrò allenarmi di più se voglio goder di tutto ciò che la montagna ci regala. Nel frattempo sempre appeso come un salame mi volto di 180°. C’è un tramonto rosso come un’arancia di Sicilia, aperto come la vista da un 4000 sul Rosa, profondo come il mare dell’ovest in cui mi trovo, etereo come le pareti dell’est. Forse la montagna, in ogni sua forma, è il nostro paradiso terrestre concessoci perché sia meravigliosa e non grave la nostra permanenza su queste lande. Se così davvero fosse, il Muzzerone ne sarebbe una tra le più chiare espressioni. Christian Roccati 9 10 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES Cambio al vertice della Presidenza Sezione di Aosta L o scorso 31 dicembre, dopo due mandati, il Gen. Aldo Varda ha lasciato la presidenza della sezione di Aosta del Club Alpino Italiano. A lui i più vivi ringraziamenti per l’impegno che in questi anni ha profuso per la nostra sezione, fungendo da “battistrada” nelle fasi di cambiamento e rinnovamento che ci siamo proposti. Trovandoci per fortuna, ma anche purtroppo, nella regione dove tutto o quasi è incominciato, dove infilati sci o scarponi da alpinismo devi solo decidere dove andare, ha saputo destreggiarsi tra mille difficoltà, rivendicando la nostra posizione come realtà ancora presente nello scenario alpino ed alpinistico di questa regione. Lo ringraziamo per essere ancora con noi nella figura di Past-President, oltre che di revisore dei conti: abbiamo ancora bisogno dei suoi saggi consigli! Pertanto, dai soci della sezione vanno gli auguri al nuovo Presidente sig. Carazzo Renzo Alberto (suo “allievo” e degno successore) ed ai vice- Presidente sig.ri Dal Dosso Fabio e Paganin Edy, nonché al consiglio direttivo in parte rinnovato. Speriamo che la sua “freschezza” ci consolidi nell’affermarci come punto di riferimento: per lo spirito che ci accomuna, nell’orgoglio di essere parte della storia, nei sentimenti di solidarietà verso coloro che non godono della meraviglia che è la natura in ogni sua forma; ma soprattutto, nell’amore per i grandi monumenti naturali che sono le nostre montagne. Buon lavoro! C.A.I Sezione di Aosta Taccuino Aosta MAGGIO LUGLIO 17 DOMENICA S.Sez. St.Barthélemy • Viaggio Nella Terra di Mezzo MONTéE VERS le COTA Percorsi Pomeridiani per piccoli e grandi esploratori A. Giovanile • In marcia Viaggio nella Terra di Mezzo In collaborazione con la Sottosezione di Saint-Barthélemy 5DOMENICA S.Sezione St.Barthélemy • Alpinismo CHâTEAU des DAMES 3490 m 30 SABATO • 31 DOMENICA Sezione Aosta • Escursionismo ISOLE di TOSCANA Isole del Giglio e di Montecristo, Parco dell’Uccellina In collaborazione con CAI Châtillon e CAI Lucca GIUGNO 1LUNEDI’ Sezione Aosta • Escursionismo ISOLE di TOSCANA 5VENERDI’ Alpinismo Giovanile • Corsi In Montagna con Mamma e Papà Edizione n° 3: Presentazione Presso la Sede Sezione Aosta - ore 21.00 7DOMENICA S.Sez. St.Barthélemy • NonSoloMontagna Aggiornamento ALPINISTICO & GASTRONOMICO Palestra di Arrampicata all’aperto, in località da destinarsi 18GIOVEDI’ Sezione Aosta • Escursionismo TREKKING 2009: NEPAL Presentazione Presso la Sede Sezione Aosta - ore 21.00 21 DOMENICA Sezioni Valdostane • Escursionismo Gita CAI Valle d’Aosta SENTIERO FRASSATI Si tratta di un’uscita in collaborazione fra le Sezioni Valdostane per la giornata d’inaugurazione del Sentiero Frassati, localizzato in Val d’Ayas (vedi pa. 15). 12 DOMENICA Sezione Aosta • Escursionismo Biv. BORGHI e MANTINOTTI 2778 m 25SABATO • 26 DOMENICA Sezione Aosta • Alpinismo A.MONEY 3447 m - P.PATRI 3580 m AGOSTO 2 DOMENICA Sezione Aosta • Escursionismo Rif. V.EMANUELE e CHABOD Giro ad anello In collaborazione con CAI Salerno 5 MERCOLEDI’ S.Sez. St.Barthélemy • NonSoloMontagna INCONTRI a CUNéY In occasione della festa per la Madonna delle Nevi 6 • 13 • 20 GIOVEDI’ S.Sezione St.Barthélemy • Rassegna Film MONTAGNE d’ALTROVE Al Padiglione delle Manifestazioni di Lignan 9 DOMENICA S.Sez. St.Barthélemy • NonSoloMontagna ANTICHE MINIERE di FERRO Una CAVA del MARMO Visita esclusiva al prestigioso Sito di Archeologia Industriale di Lignan, con una nuova, suggestiva illuminazione in ipogeo e percorso didattico in superficie. NB: percorso guidato con gruppi a numero chiuso. Sezione Aosta • Escursionismo BECCA della TRAVERSIéRE 3337 m 15 SABATO Sezione Aosta • NonSoloMontagna GRIGLIATA di FERRAGOSTO Località all’aperto da destinarsi N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES Che puzza di cacca di mucca (2o capitolo) S i racconta che in Valle d’Aosta, nei tempi addietro, scegliessero il sindaco tra coloro che avevano un grosso deposito di letame davanti alla casa: pare infatti che una grande quantità di quel materiale naturale fosse indice di agiatezza economica perché derivava da un grande numero di bestie nella stalla, e quindi necessitava di una vasta estensione di terreno per alimentare gli animali mediante il foraggio. Agiatezza economica che garantiva un reddito per allevare la famiglia e che presupponeva capacità di sapersi amministrare. E chi aveva saputo fare per sè e per la propria famiglia era ritenuto capace di condurre anche la cosa pubblica. Era vero anche il ragionamento contrario: chi non faceva nulla per gli altri, non sapeva fare neppure per sè. Si racconta anche che se il proprietario di un grande letamaio (in Valle d’Aosta questo era spesso chiamato semplicemente “lo moué”, cioè il “mucchio”, sottinteso “di letame”) era per caso padre di ragazze, queste erano ambite dai pretendenti alla loro mano. Le ragazze erano un ottimo partito per il matrimonio, assicuravano tranquillità economica: il letame davanti alla casa era un indicatore di reddito. Naturalmente il “mucchio” doveva essere davanti alla casa, comunque nei pressi e ben visibile, e la casa e la stalla erano ovviamente nel villaggio. Nelle mappe dei terreni, nei certificati catastali, nei passaggi di proprietà e nelle successioni ereditarie, il letamaio è per lo più indicato come “fabbricato rurale” se ha qualche parte in muratura, oppure come “corte”, e si indicano spesso dei “fabbricati rurali con diritto alla corte”. Tutto questo avveniva ed aveva valore in un mondo dove il reddito e la sussistenza erano assicurati dalla terra, dagli animali, e quindi dal letame, spesso visto come merce di scambio. Sò di un vecchio contratto agricolo in cui il canone d’affitto di un terreno non era calcolato in chili di fontina o in chili di pane, ma consisteva in un carro di letame per l’orto. Spesso nei contratti verbali di affitto si specificava che il letame da conferire doveva essere “maturo”, paragonato al tabacco, friabile, distinto dal letame fresco, meno prezioso perché meno lavorato. Per ottenere infatti del buon letame nobile e odoroso, non puzzolente, bisognava rivoltarlo più e più volte nella corte: “verrié la cor” si diceva, fargli prendere aria, ed era compito degli operai a servizio del proprietario terriero, oppure a volte era castigo per Taccuino Aosta SETTEMBRE 5 SABATO • 6 DOMENICA Organizzazione CAF Chamonix TRIANGLE de l’AMITIé Attività estiva sulle montagne oltreconfine 13 DOMENICA Sezione Aosta • Escursionismo COLLE d’ARP 2570 m 20 DOMENICA S.Sez. St.Barthélemy • Viaggio Nella Terra di Mezzo La COLLINA di éMARèSE Tra la “Borna della Giassa”, le piste fantasma, la cava abbandonata. Percorsi Pomeridiani per piccoli e grandi esploratori A. Giovanile • In marcia Viaggio nella Terra di Mezzo In collaborazione con la Sottosezione di Saint-Barthélemy qualche disobbedienza del figlio del padrone. Spesso era compito dell’uomo ingenuo e semplice, dall’intelligenza limitata, che era tenuto in casa, o nella stalla, un po’ per carità e un po’ per interesse. Rare volte il letame era considerato un impaccio, e quelle rare volte lo si depositava un poco lontano da casa, lo si accantonava al margine di un prato o di un bosco, e veniva paragonato alle figlie da marito che lasciavano la casa paterna per andare spose altrove: il padre perdeva quindi una forza-lavoro, doveva cacciare fuori denaro per il matrimonio e per la dote della figlia, e sconsolato o scocciato magari della cosa commentava che “figlie e letame devono stare via da casa...” Tutto quanto detto finora, oggi non vale più. Si potrebbe fare un saggio sul cambiamento di civiltà solo a partire dalla diversa considerazione che l’uomo si è fatto del letame, da merce quasi preziosa da curare e sfruttare, a problema da risolvere. Nella lingua dei valdostani si hanno una dozzina di termini per esprimere tutte le sfumature e le qualità dello sterco, del suo stato fisico, del suo aspetto esteriore, del suo uso e della sua destinazione, del suo odore: qualcuno ha definito il suo odore “parfum de chez-nous”. Una distinta signora inurbata, ma che era nata e cresciuta nella stalla, ormai anziana tornava ogni estate per qualche giorno nel suo villaggio natale, e poneva un suo indumento sulla finestra della stalla dei vicini, perché s’impregnasse del “profumo”, per farle ricordare la sua infanzia. Forse non aveva letto Marcel Proust e non conosceva la storia dei biscotti “madeleine”, ma quella anziana signora era comunque in spirito “à la recherche du temps perdu”. Dunque, oggi il letame puzza e basta, oggi il letame inquina, e tanto. Il suo smaltimento è un serio problema. Letamai e stalle devono essere lontane dai villaggi, isolate e conficcate in un grande pianoro, o in cima a un cocuzzolo, o in mezzo alla valle: così sono ben visibili da lontano, dall’autostrada, dalla strada e da ogni punto panoramico, con tutti i loro annessi e le loro pertinenze. In genere non sono belle a vedersi, ma sono “stalle modello” ; solo che il modello cambia troppo spesso. Magari non si sente più l’odore del letame nel villaggio, ma si sente comunque la sua puzza da lontano: ora si chiama “biogas”. Il Direttore 11 12 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES « VERSO L’ALTO » UNA MOSTRA SUL SIGNIFICATO DELLA MONTAGNA Ph. Carazzo “E vanno gli uomini ad ammirare le alte cime dei monti e i flutti ingenti del mare e i vastissimi corsi dei fiumi e l’immensa distesa dell’oceano e il corso delle stelle, e di se stessi non prendono cura”. Queste parole di sant’Agostino, scritte nel libro Decimo delle Confessioni, al capitolo 8, vengono lette da Francesco Petrarca al fratello Gherardo sulla sommità del Mont Ventoux, in Provenza, il 26 aprile 1336 ; così racconta il Petrarca nella sua lettera scritta il giorno stesso dell’ascensione, data in cui si fa nascere la storia dell’alpinismo. Ma le parole di Agostino, lette aprendo a caso il libro delle Confessioni, possono essere prese a prestito anche per illustrare la mostra allestita presso il Forte di Bard, dal titolo: Verso l’alto. L’ascesa come esperienza del sacro. Il tutte le culture, infatti, la montagna è considerata un luogo privilegiato per in- contrare l’Assoluto e per ritrovare se stessi. L’esperienza cristiana della montagna, in particolare, come ha sottolineato nella presentazione/inaugurazione l’8 aprile il monaco di Bose, presso Biella, Enzo Bianchi, è sempre stata dell’idea che il cercare Dio (quaerere Deum) si risolve anche nel cercare l’uomo (quaerere hominem). La montagna come luogo privilegiato per Dio e per l’altro è un simbolo universale presso le antiche civiltà precolombiane d’America, presso le culture orientali della Cina e dell’India, e in modo ancora più evidente, almeno per noi occidentali, nell’esperienza ebraico-cristiana. I grandi momenti della Bibbia hanno nelle sommità il loro “milieu”: il sacrificio di Abramo sul monte Moria, il dono della Legge sul monte Oreb (o Sinai), le gesta di Elia al monte Carmelo, fino a Gesù sul monte delle Beatitudini, sul monte Tabor, e soprattutto sul monte Calvario. Ci vuole “toupet” per chiamare monte la piccola e quasi impercepibile elevazione del Calvario o Golgota, ma è così. Il monte in genere è un richiamo per l’alto, verso l’oltre della vita, e i popoli della Mesopotamia che non avevano montagne, si sono costruitri le “ziqqurat”, le torri dove veniva a posarsi la divinità. Da queste proviene il racconto della torre di Babele, o della confusione. In Occidente, nei secoli in cui non si poteva andare pellegrini in Terra Santa e ai suoi vari monti, si è dato mano per costruire i Sacri Monti (Varallo, Varese, Orta, Domodossola, Crea...). Tra i vari contributi della mostra al Forte di Bard, già anticipata nella presentazione dell’8 aprile, quello dell’alpinista Abele Blanc, che presenta alcune sue ascensioni sulle più alte vette del pianeta Terra, come una ricerca interiore che per certi aspetti ricorda il “naufragar m’è dolce in questo mare” sul colle dell’Infinito, di leopardiana memoria. Si ammirano lungo il precorso della mostra, aperta fino al 31 agosto, oggetti e opere d’arte, tra cui dipinti di Donatello, Chagall e Vedova, e poi ancora vasi, tessuti, e il grande e drammatico Cristo di Mario Stuffer, già a Chamolé di Pila. Un suggerimento: dopo aver visitato la mostra al Forte di Bard, magari salendo a piedi snobbando l’ascensore panoramico (la salita a piedi è un’ ottima preparazione, e la camminata è ancora più panoramica e tonificante), si potrebbe proseguire per il Gran San Bernardo, luogo di passaggio e di comunicazione tra i popoli, luogo di ascesi dove il Cristo è adorato nella preghiera e nella contemplazione dei monti, e nutrito nei pellegrini e viandanti. Il Direttore TRIANGLE DE L’AMITIé: UNA REALTA’ CONSOLIDATA S i è svolto sabato 28 e domenica 29 marzo, organizzato dalla sezione di Aosta, il consueto appuntamento del Triangle de l’Amitié, che vede adunarsi le tre sezioni storiche dell’alpinismo: Aosta, Chamonix e Martigny. Come ogni anno la partecipazione è stata grande (85 presenti) tra sci alpinisti ed escursionisti con racchette. In questo appuntamento siamo stati accolti al sabato, con grande simpatia e cordialità, dalla ditta Grivel di Courmayeur: la visita guidata dal sig. Gobbi ci ha permesso di “entrare” nel museo dell’alpinismo Valdostano e Mondiale. Dopo 2 ore di visita ci siamo recati all’ostello di Arpy: aperitivo, cena e balli fino a notte fonda, il tutto accompagnato da una fitta nevicata. Domenica, nonostante l’abbondante nevicata e anche un po’ di nebbia, si parte per le escursioni! Un gruppo con gli sci, accompagnati dal sempre presente alla manifestazione I.S.A. Alessandro, meta il Colle della Croce, poi ristretta al lago d’Arpy appunto per le condizioni non ottimali. Un’altra parte, accompagnata da Renzo e da Fabio (il vero e proprio promoter del triangle), con racchette attraverso il fitto bosco fino all’hotel Genzianella, dove ci siamo rifocillati con cioccolata calda. Rientrati all’ostello, pranzo e saluti di routine. Nella speranza di vedere ancora questa manifestazione proseguire, consegniamo il testimone alla sezione di Chamonix per l’appuntamento di settembre. Renzo Alberto Carazzo N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES IL C.A.I. OLTRE L’ANDAR PER MONTI Vntm, Pomeriggi per Piccoli e Grandi Esploratori T utto sommato, è piacevole accorgersi che non si era troppo nel torto quando si proponevano iniziative che potevano magari sembrare fuori luogo in ambito CAI (e tali venivano considerate da diversi soci...). Ora si legge dalle cronache del Congresso Nazionale CAI di Predazzo, nientemeno che enunciato dal Presidente generale A.Salsa: “Il CAI non si occupa solo dell’aspetto ludico dell’andar per monti, ma un CAI senza attenzione al sociale ed alle culture della montagna - ed all’ambiente, come sentinella dell’Alpe - non sarebbe un vero club alpino”. Non siamo stati i primi, non siamo gli unici, ma la Sottosezione Saint-Barthélemy, e lo scrivente in particolare, sono da sempre fermamente convinti della necessità di una presenza e di un’attenzione del sodalizio che vada oltre il semplice divertimento del camminare od arrampicare. Quando poi il riscontro per le proposte raggiunge un deciso gradimento, non si può che continuare su quella strada! Sono diversi gli esempi di iniziative particolari portate avanti negli anni: tortuose miniere, castelli abbandonati, forre selvagge, luoghi nascosti, antichi canali... La scarsa voglia di scoperta di molti soci non ha permesso loro di profittare al meglio di quanto organizzato, ma per i partecipanti si è trattato di una coinvolgente immersione nella storia e nei luoghi a margine. Negli ultimi anni ci siamo inventati anche un acronimo che trova radici nell’alta letteratura: i Viaggi nella Terra di Mezzo risalgono infatti al mondo fantastico inventato da Tolkien, ed agli ambienti che la sua Compagnia dell’Anello attraversa tra pericoli ed avventure. Si è scelto di effettuare quelle che chiamiamo pomposamente “esplorazioni” al pomeriggio di domeniche non troppo frenetiche (maggio e settembre) proprio a sottolineare che i tempi per la conoscenza si espandono per tutto l’anno. Bisogna anche sottolineare come la rinascita del gruppo di “In Montagna con Mamma e Papà” abbia dato un impulso diverso alle proposte messe in cantiere: i bambini sono magari difficili da gestire in qualche frangente, ma riservano a quanto scoprono un entusiasmo che i soci grandi spesso hanno dimenticato! Così, anche per il 2009 proponiamo una delle iniziative che hanno costituito la maggiore attrazione del triangle de l’Amitié del 2007, vale dire la visita guidata alle antiche miniere di Saint-Barthélemy. Con un paziente lavoro del Direttivo, tornerà ad illuminarsi il dedalo di gallerie ed anfratti nel cuore della roccia, ad inseguire echi di lontani minatori; ed all’esterno, a completare la giornata di archeologia industriale, si osserveranno le interessanti testimonianze della cava di marmo che poco a poco la natura ha accolto nuovamente tra le sue fronde. Chissà se un domani la miniera sarà valorizzata, ma di certo per la cava rimarginata si annunciano tempi tristi: la consueta “lungimiranza” della pubblica amministrazione non ha trovato di meglio che autorizzare lo sfruttamento del sito per l’estrazione d’inerti. PmReb Alcune incisioni rinvenute sull’altura sovrastante la cava di marmo Taccuino Verrès MAGGIO GIUGNO 10 domEscursionismo – Parco M.te Avic 17 domAggiornamento istruttori alpinismo 12 ven Gita alpinistica - Pizzo Ciavazes 13 sabGita alpinistica - Pizzo Ciavazes 14 domGita alpinistica - Pizzo Ciavazes 21 dom CAI Valle d’Aosta: SENTIERO FRASSATI 22 lun - 26 ven 8° Corso ragazzi in montagna 27 sabIncontro Genti del Rosa 28 domEscursionismo – Mont Roux, Mont Bechit e Rifugio Coda LUGLIO 04 sab-05 domGita alpinistica - Tête de Valpelline 05 domEscursionismo - Le Meyes e Col Manteau 12 domEscursionismo - Monte Faroma 17 venStar trekking - Rif. Barbustel 18 sab-19 domGita alpinistica - Punta Dufour 19 domGita naturalistica M.te Rothorn 31 venGita per tutti – Monte Peralba AGOSTO SETTEMBRE 01 sab-02 domGita per tutti - Monte Peralba 08 venStar trekking - Verrès 08 sab-09 domGita alpinistica/escursionistica - Pizzo Cengalo 09 sabStar trekking - Verrès 14 domStar trekking - Rif. Barbustel 23 domEscursionismo - Rif. Albert Ier 25 marApertura 44° Corso Alpinismo 30 domEscursionismo - Valloni di Verdona e Vessona 06 domEscursionismo - Bivacco Sassa 20 domEscursionismo - Punta Guà 13 14 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES La Storia nelle rocce, la febbre dell’oro L’impossibile onestà, Informazione cercasi I “Questi massi arrivano dal massiccio del Gran Paradiso e questi altri dal gruppo del Monte Rosa!” Con queste parole il geologo Franco Gianotti, socio del Cai di Aosta, ha stupito i 60 partecipanti tra bambini e genitori della sezione Alpinismo Giovanile della scuola Angelo Bozzetti, che domenica 22 marzo ha varcato i confini valdostani per esplorare le terre aurifondine della Riserva Naturale Speciale della Bessa, in Provincia di Biella. Situato allo sbocco della Valle d’Aosta e all’imbocco delle Alpi Biellesi Meridionali, il parco si presenta come interposizione di morene di diverse epoche ed è caratterizzato da cumuli di pietrisco creati dalla coltivazione di un giacimento aurifero. In alcuni tratti si compone di un panorama quasi lunare, dove gli ammassi di ciottoli si intervallano a betulle ed arbusti di ginestrone; questi affondano le radici tra gli spazi lasciati liberi dai ciottoli arrotondati dal movimento dei ghiacciai valdostani, che nell’epoca Quaternaria si sono espansi fino a raggiungere l’arco settentrionale della pianura piemontese formando il cosiddetto anfiteatro morenico di Ivrea. La zona esplorata, di circa 7,5 km2, era sfruttata all’epoca romana durante il regno di Plinio e documenti storici riportano che vi erano circa 250 insediamenti con oltre 5.000 addetti alle miniere! L’entusiasmo dei bambini si è fatto più volte sentire, a partire dal primo evento a sorpresa della giornata, quando a 9 km dalla mèta il pullman che stava portando il gruppo a Vermogno, punto di partenza dell’uscita, ha rotto i freni! Qualche apprensione in più per i genitori e gli accompagnatori ma il tutto si è risolto in un paio di ore quando il pullman sostitutivo in partenza da Aosta ha portato i valorosi esploratori a destinazione. Ma il culmine dell’entusiasmo è arrivato nel pomeriggio quando, stivali ai piedi e setacci alle mani, invece di affrontare ripidi sentieri di montagna i valorosi alpinisti si sono avventurati nell’alveo del fiume Elvo, dove il gruppo si è lanciato alla famosa “Pesca dell’Oro!”. Forse non tutti sanno che per “pulire” le sabbie aurifere c’è bisogno di tanta acqua, ed è proprio il fiume Elvo che, scorrendo ai piedi della formazione morenica, ha raccolto quell’acqua che i romani utilizzavano per separare l’oro dagli altri minerali, e che ancora oggi consegna ai pazienti ricercatori qualche piccola pagliuzza d’oro! Certo che è spontanea una considerazione: per conoscere le montagne valdostane non sempre bisogna guardare in alto, perché anche scoprendo come le montagne si sono formate e si sono modificate nel corso delle ere geologiche è possibile amarle e rispettarle nella loro complessità e nella loro diversità. E su questo bisogna dire che, ancora una volta, gli organizzatori della sezione Alpinismo Giovanile di Aosta hanno fatto centro! Silvana Piotti n effetti, si può capire che quando dobbiamo sostenere una nostra posizione a confronto con altre tendiamo a mettere in risalto gli argomenti a noi favorevoli ed a trascurare quelli negativi. A volte, magari anche involontariamente, ci capita di cogliere quello che ci fa comodo, e di non intendere quello che non vogliamo intendere. Questo, tutto sommato, è abbastanza umano, e succede a chiunque ogni giorno, figuriamoci per operatori dell’informazione o per coloro che ricoprono cariche pubbliche o professionali. Su queste pagine, in passato, ho già trattato dell’ormai annosa questione della strada di Comboé, senza far caso nell’occasione (e senza minimamente preoccuparmene, allora come oggi) alla visione forzatamente politica che gli si è voluta attribuire. Semplicemente, per quel progetto troppo simile a tutti gli altri portati avanti negli anni, come per il parcheggio relativo alla pista di fondo di Saint-Barthélemy trattato nello scorso numero, cercavo di suggerire nel mio piccolo possibili confronti e motivi di crescita culturale nella gestione del nostro territorio. Certo, quanti avversano la strada nella zona del Comboé e propongono invece la costruzione di una monorotaia (utilizzate da anni in Svizzera) magari sono degli sprovveduti in malafede e non hanno le idee chiare; ma anche affermare come la suddetta monorotaia abbia un impatto ambientale maggiore dello sbancamento per una poderale... Ecco, ciò non è propriamente onesto! PmReb La monorotaia che sale all’alpeggio del Léché, alle pendici del Faroma, nel Comune di Quart N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES ad ayas il “SENTIERO FRASSATI” della Valle d’Aosta L anciato nel 1996 con il motto “per incontrare Dio nel Creato”, il progetto “Sentieri Frassati” www.sentierifrassati.org si propone l’intitolazione in ciascuna regione d’Italia di un sentiero - di particolare interesse naturalistico, storico e religioso - al beato Pier Giorgio Frassati (19011925). “I Sentieri Frassati”, ha scritto nell’occasione il giornalista naturalista Teresio Valsesia, già vice Presidente generale del CAI, sono stati “un’opera tanto esemplare e fruttuosa, da ottenere un successo che a me personalmente sembra nettamente superiore alle attese iniziali”. Il coordinatore nazionale del progetto “Sentieri Frassati”, Antonello Sica del CAI, ricorda che è ormai diventato il simbolo stesso di questa cordata ideale - che sta attraversando pian piano tutta l’Italia - benedire il nuovo sentiero con l’acqua proveniente dai luoghi donde si dipartono gli itinerari già inaugurati. Al momento sono quattordici le regioni italiane che hanno realizzato tale progetto, alle quali il 21 giugno prossimo, grazie ad una collaborazione tra gli l’Assessorati regionali all’Agricoltura e Risorse Naturali, Turismo, il CAI Valle d’Aosta ed il comune di Ayas, andrà ad aggiungersi anche la Valle d’Aosta. Nella cerimonia inaugurale è prevista la celebrazione della Messa in località Fiéry alle ore 11,00, officiata dal vescovo Mons. Giuseppe Anfossi, preceduta dal taglio del nastro sul nuovo sentiero e da un’escursione lungo lo stesso, accompagnati da guide alpine e guide escursionistiche naturalistiche. Tutti sono invitati a partecipare all’evento ed in modo particolare i soci del CAI, che sicuramente si sentiranno vicini al Giovane beato Torinese che “amava la montagna e la sentiva come una cosa grande, un mezzo di elevazione dello spirito, una palestra dove si tempra l’anima ed il corpo...”. “Non vi potrebbe essere più bella cornice da apporre al Sentiero Frassati , di quella offerta dalla testata della Val d’Ayas…” è quel che percepirà l’escursionista percorrendo questo incantevole sentiero che, da un umile paesino di montagna impregnato di autentici valori, sale verso i più alti pascoli, laddove pochi passano e dove pochissimi riescono a viverci, attraversando secolari boschi, dove le piante paiono piene di storie da raccontare e dove gli animali selvatici sembrano voler rammentare agli uomini che transitano lo straordinario linguaggio della natura. Il calore e l’ospitalità di due rifugi vanno poi ad arricchire tale contesto tanto da renderlo un quadro di sublime creazione, meritevole di una solenne cornice: le note cime del Monte Rosa. Queste paiono come austere sentinelle guardiane sulla vallata, plasmate da severi ghiacciai custodi di leggende fantastiche. La scelta del luogo è stata pressoché obbligata in quanto si tratta delle località dove la famiglia Frassati era solita soggiornare per le vacanze estive, fin da quando Pier Giorgio era ancora bambino; inoltre, la zona è quella dove transitano alcuni fra i più importanti trekking della Regione Autonoma VdA - CAI Valle d’Aosta - Comune di Ayas domenica 21 giugno - inaugurazione Sentiero Frassati ore 7.30Saint-Jacques partenza escursione integrale ore 9.30Saint-Jacques partenza escursione breve ore 11.00 Fiéry Santa Messa officiata dal Vescovo Monsignor Giuseppe Anfossi Descrizione del percorso: Lasciato l’abitato di Saint-Jacques si sale su comoda mulattiera fra boschi di conifere fino a raggiungere la località Fiéry a quota 1.875 m slm., dove sorge l’ex “Albergo Bellevue” che veniva frequentato come residenza estiva dalla famiglia Frassati. Da qui il sentiero sale per un primo tratto piuttosto ripido in direzione colle Cime Bianche, fino nei pressi dell’alpe Vardaz a quota 2.334 m, e ridiscende poi sulla destra nell’incantevole pianoro di Cères (meglio conosciuto come “valletta amena”). Attraversato quest’ultimo, il percorso prosegue verso Pian di Véraz inferiore a quota 2.069 m, dopo aver superato un suggestivo passaggio nel torrente Cères. Dai piedi dei colossi del Monte Rosa un comodo sentiero a mezza costa conduce ai 2.066 m di quota di località Résy, panoramica terrazza naturale, dove sono ubicati i rifugi Ferraro e Guide di Frachey. Giunti a questo punto si riprende la discesa verso Saint-Jacques durante la quale, fra imponenti larici, si incontra un cippo commemorativo dedicato a Pier Giorgio Frassati. Tempo totale di percorrenza in andata: 5h 35 min. Valle d’Aosta quali l’Alta Via n.1 ed il Tour del Monte Rosa. Si è cercato di realizzare un itinerario ad anello che valorizzasse le numerose bellezze e varietà del paesaggio, con un percorso comodo e ben segnalato, accessibile a qualsiasi escursionista, percorribile tranquillamente in una giornata, raggiungibile all’imbocco anche con mezzi pubblici. Sono possibili due varianti all’anello principale, che riducono notevolmente la durata del percorso senza rinunciare a toccare i principali punti commemorativi del Beato. I numerosi simboli religiosi che si incontrano in questi luoghi (cappelle, edicole votive, croci di legno, ecc.) stanno a testimoniare la lunga tradizione religiosa che da sempre caratterizza queste genti di montagna, le quali, ancora pochi decenni fa, conducevano vite austere, fra mille difficoltà, trovando forza in un profondo legame con la fede e con la natura. Luciano Bonino 15 16 N. 2 - maggio 2009 MONTAGNES VALDÔTAINES Montagna, musica, poesia J’ai eu un sursaut au coeur en lisant pour la première fois le texte complet de la poésie de Chateaubriand (1768-1848), le grand auteur romantique français connu surtout pour ses oeuvres “Le Genie du Christianisme” et “Mémoires d’outre-tombe”. Le sursaut du coeur est dû au fait que je me suis souvenu d’avoir, dans un temps désormais revolu, commenté le début de cette poésie: Combien j’ai douce souvenance / du joli lieu de ma naissance... / ô mon pays soit mes amours toujours. Il y a 40 ans de cela. Je ne me souviens plus de ce que j’ai écrit, ni de la note que j’ai prise, mais le souvenir de mon charmant pays, Saint-Barthelemy, (selon la rime de l’abbé Henry) n’est pas encore terni. Le montagnard émigré Combien j’ai douce souvenance Du joli lieu de ma naissance. Ma soeur, qu’ils étaient beaux les jours de France. O mon pays soit mes amours toujours. Te souvient-il que notre mère Au foyer de notre chaumière Nous pressait sur son sein joyeux Ma chère? Et nous baisons ses blancs cheveux Tous deux! Ma soeur, te souvient-il encore du château que baignait la Dore Et de cette tant vieille tour Du More, Où l’airain sonnait le retour Du jour? Te souvient-il du lac tranquille Qu’effleurait l’hirondelle agile; Du vent qui courbait le roseau Mobile, Et du soleil couchant sur l’eau, Si beau? Te souvient-il de cette amie Tendre compagne de ma vie? Dans les bois, en cueillant la fleur Jolie Hélène appuyait sur mon coeur Son coeur. Oh! Qui me rendra mon Hélène, Et ma montagne et les grand chène, Leur souvenir fait tous les jours Ma peine: Mon pays, sera mes amours Toujours! SOTTOzero • - E in quella camera ho messo una luce a led. - Perché, era ammalad? • Un pesce sul telo da spiaggia? Si acciuga • Evidente che il sub indossi la muta: chi riesce a parlare sott’acqua?