104n - Cai VDA

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104n - Cai VDA
ontagnes
aldôtaines
n°104
SUCCURSALE
D’AOSTE
1866
periodico delle sezioni valdostane del cAI: aosta • gressoney • verres • chatillon
Anno xxxVI - N° 2 (104) MAGGIO 2009 - Redaz.: C.so Btg. Aosta, 81 - 11100 Aosta - tel. 0165 40194 - [email protected] - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in A.P. - 70% - DCB (Aosta)
LE MONTAGNE DI SANT’ ANSELMO
A
nselmo di Canterbury, come lo chiamano gli Inglesi, nacque
ad Aosta nel 1033, per cui in Vallée è venerato come
Anselmo di Aosta. Noi che conosciamo la posizione della
città in mezzo alle montagne (infra montes, tra i monti, verrà
detto tutto il territorio) non abbiamo difficoltà a individuare nel
Grand Combin o nel Ruitor, secondo l’attuale denominazione, le
montagne in cui Anselmo da bambino immaginava si trovasse
la dimora di Dio. Scrive infatti il primo biografico di Anselmo,
il monaco Eodmero: “ Siccome era un fanciullo cresciuto tra
le montagne, quando udì che in cielo c’era un unico Dio che
reggeva e abbracciava tutte le cose, immaginò che il luogo in
cui si trovasse la corte di Dio fosse la cima delle vette, e che lo si
potesse raggiungere attraverso i monti”.
Il Ruitor e il Grand-Combin sono montagne scintillanti di neve,
degne della corte di un grande Re. Ma anche il monte Emilius,
come è chiamata ora la montagna a sud di Aosta, non è meno
imponente, avendo a destra e a sinistra, come dei vassalli o dei
feudatari, la Becca di Nona ed il monte delle Laures.
Quando a 23 anni, nel 1056, Anselmo, in disaccordo con il padre
dopo la morte della madre (avvenuta intorno al 1050), lascia
Aosta e la sua valle, si dirige dapprima verso la “Lombardia”,
cioè verso l’Italia dove c’erano i parenti di parte paterna. Poi
piega invece a occidente e giunge in Borgogna, la valle del
Rodano a nord di Lione tanto per intenderci, attraversando il
Moncenisio.
Non supera quindi né il Piccolo né il Gran San Bernardo,
chiamati a quei tempi Columna Jovis (Alpis Graia) e Mons
Jovis (Alpis Poenina). Ignoriamo il motivo preciso per la scelta
dell’itinerario: forse un ripensamento di Anselmo, che può aver
capito fosse meglio attraversare le Alpi per raggiungere i parenti
di parte materna. Dopo tre anni, Anselmo giunge ad Avranches,
in Normandia: è pensabile, ma non ne siamo certi, che abbia
visitato il Mont-Saint-Michel, dove da qualche decennio era
incominciata la vita monastica di una comunità benedettina.
Qui fervevano i lavori per la costruzione del grande monastero,
lavori che tra crolli, demolizioni, ampliamenti e ricostruzioni
portarono alla meraviglia che ammiriamo ancora oggi ; una
parte del complesso è proprio chiamata « La Merveille ».
Anselmo sceglie invece il piccolo e quasi insignificante monastero
di Le Bec, adagiato in una verde e tranquilla valle il cui corso
d’acqua confluisce nella Senna. Ma a Le Bec c’era Lanfranco, un
luminare della teologia, un pozzo di scienza, dove per scienza
allora si indendeva la filosofia, disciplina che permetteva
di capire l’uomo e di avvicinarsi a capire Dio. E alla scuola di
Lanfranco, che veniva da Pavia, Anselmo s’incamminò verso le
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ORME NELLA POLVERE
P
oco meno di 43 anni separano il sottoscritto dal giorno della nascita di
Papà: sono praticamente due generazioni, e potete dunque immaginare di
che natura e tenore siano stati i molti accesi confronti di tutti questi anni. La classica, inevitabile e sacrosanta divergenza
di visione sulla vita e sul mondo tra genitori e figli risulta acuìta dal forte divario
di età, dai tempi vissuti del tutto diversi, e da un certo convincimento di aver
comunque ragione a prescindere (caratteristica che ho magari ereditato, ma in
forma alleggerita...). Ciò ovviamente non
toglie che siano parecchi gli aspetti deci-
samente positivi che riconosco nel genitore, molti dei quali radicati sin dai primi
anni di vita in montagna.
Ecco, la montagna. Ed i montanari, di cui
si anche legge nell’interessante dossier
“Articolo 1” pubblicato sulla Rivista del
CAI di marzo-aprile. Tutto quanto compare in quelle pagine è troppo articolato e
complesso per poterlo trattare in maniera compiuta in questa sede, ma qualcosa voglio rilevare. “Alla radice di questo
malessere antropologico dei tanti soggetti rimasti nelle aree montane” scrive
Aldo Bonomi “sta il rapporto difficile con
due categorie tipiche della modernità: lo
sradicamento e lo spaesamento, il venir
meno delle proprie radici indentitarie ed
il sentirsi letteralmente senza più paese.
Occorre infatti riflettere” si legge ancora, “su cosa abbia significato, per i montanari, il lento ed assordante scomparire
di tante micro autonomie comunitarie
come uffici postali, scuole, ospedali (si
possono inserire a pieno titolo le parrocchie con curato fisso, ndr) o ancora più
nel micro, di circoli, bar e negozi di paese, o di latterie turnarie”. Non facciamo
fatica a trovare degli impietosi paralleli
con tutte le realtà valdostane collocate
» segue a pag. 2
2
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
» continua da pag. 1
Le Montagne di S.Anselmo
vette della scienza e della sapienza, diventando a sua volta
maestro e guida, e superando di gran lunga il suo mentore.
Anselmo passerà a Le Bec gli anni dal 1059 (si farà monaco nel
1060), fino al 1093, quando diventa arcivescovo di Canterbury.
Pochi anni dopo, nel novembre 1097, lascia l’Inghilterra per
recarsi a Roma in un viaggio che si trasformerà in esilio, a
causa dei dissensi con il Re Guglielmo il Rufo in merito alla
libertà della Chiesa nel contesto della lotta per le Investiture
(in sintesi: nel mondo feudale, viene prima il vassallo, che è
rappresentante del re, o il vescovo, che è rappresentante del
papa e quindi di Dio? Figuriamoci poi il problema quando la
stessa persona è insieme vescovo e conte! Altro che conflitti di
interesse, come si direbbe oggi!).
Di conseguenza, attraversa le Alpi nel tardo inverno 1098,
evidentemente al Monginevro, perché passa da Embrun e Gap,
fermandosi a Susa, e celebrando solennemente le funzioni
della Passione e Resurrezione del Signore nell’abbazia di San
Michele Arcangelo, che è situata sopra un monte chiamato
“Chiusa”. Oggi quel luogo è chiamato la Sacra di San Michele,
sul monte Pirchiriano (942 m) uno dei simboli del Piemonte.
Anselmo prosegue il suo viaggio: dopo Roma passa qualche
mese nella località di Liberi, come si chiama attualmente, vicino
a Capua: “Posta sulla cima di un monte, essa riserva sempre a
coloro che vi abitano un clima sano e mite. La nostra abitazione
era stata quindi sistemata sulla sommità del monte, lontana
dal tumulto della folla, come se fosse in un deserto”. Quando
Anselmo se ne accorse, allietato dalla prospettiva della pace
futura esclamo’: “Questa sarà la mia dimora per sempre, qui
abiterò”. Così racconta Eadmero.
All’inizio di ottobre dello stesso anno, il 1098, Anselmo è a Bari,
per il Concilio che deve dare nuovo impulso alla Prima Crociata
e regolare i rapporti tra le popolazioni greche dell’Italia
meridionale ed i nuovi padroni che vi si stanno installando:
i Normanni. E’ pensabile che andando o tornando, Anselmo
abbia visitato Monte Sant’Angelo, nel Gargano, toccando così
i tre grandi santuari d’Europa dedicati al culto dell’Arcangelo
Orme nella polvere
anche solo a poche centinaia di metri
dalla Dora Baltea, come distanza o come
dislivello, indifferentemente.
Ero appena in grado di camminare con
una discreta autonomia, e già ricevevo
indicazioni per non far passare inutilmente quei momenti di trasferimento
(magari al seguito di un mulo) in cui le
gambe vanno tranquillamente per loro
conto senza bisogno di particolare attenzione. Ci si guarda attorno, ma si butta
l’occhio anche a terra: se quel sasso in
mezzo al sentiero lo togliamo subito,
al prossimo transito non ci darà più fastidio; quando sono più di uno e non li
leviamo tutti, siamo comunque certi che
il viandante che passerà di lì provvederà a completare l’opera. E se dobbiamo
attraversare il bosco, il falcetto sempre a
portata di mano ci permetterà di tagliare
quei rami che iniziano ad invadere il sentiero... All’alpeggio basso di l’Artset sono
invece arrivato quasi dall’inizio in auto,
Michele, senza tralasciare Castel Sant’Angelo a Roma, edificato
come una montagna sullo stesso mausoleo dell’imperatore
Adriano.
Anselmo soggiorna a Roma, e poi a maggio 1099 è a Lione,
superando le Alpi per la terza volta, probabilmente dal
Moncenisio perché sappiamo che egli non tornò mai più in
Valle d’Aosta dopo la sua fuga del 1056. Alla morte del Re
Guglielmo il Rufo (agosto 1100), Anselmo rientra in Inghilterra,
rivedendo “le bianche scogliere di Dover” il 23 settembre.
Nel 1103 è di nuovo in viaggio verso Roma per consigliarsi con
il papa Pasquale II, e quindi è al quarto passaggio delle Alpi.
A novembre 1103, di ritorno da Roma, si ferma a Firenze e
poi attraversa gli Appennini; a Piacenza s’incontra con Matilde
di Canossa, la stessa che 26 anni prima (gennaio 1077) aveva
ospitato il papa Gregorio VII nella rocca di Canossa, mentre
l’imperatore Enrico IV faceva penitenza all’esterno. Quando
si dice andare a Canossa, non significa mai una libera vacanza
di piacere!
Nel dicembre del 1103, quinto e ultimo attraversamento delle
Alpi: Anselmo ha 70 anni! Per un anno e mezzo soggiorna a
Lione, fino a maggio 1105, poi per un anno intero risiede nel
suo monastero di Le Bec, e ad agosto del 1106 può finalmente
rientrare in Inghilterra, dove muore a Canterbury il 21 aprile
1109 a 76 anni: NOVECENTO ANNI FA.
Ne aveva percorsa di strada, sia fisicamente che intelletualmente
quell’Anselmo che da ragazzo “una notte gli capitò di fare un
sogno in cui doveva salire sulla sommità di una montagna ed
affrettarsi verso la corte del grande re, Dio... Mentre il ragazzo
stava entrando il Signore lo chiamò. Si avvicinò e si sedette ai
suoi piedi...”. Così Eadmero.
Con questo piccolo contributo, anche Montagnes Valdôtaines
vuole partecipare alle celebrazioni in onore del grande
valdostano sant’Anselmo, a 900 anni dalla sua morte. Il suo
esempio e il suo insegnamento possono essere visibili, come
una città collocata sopra un monte, come una lampada in
alto, che fa luce a quelli che sono in casa. Che Anselmo, figura
europea, come è stato definito, possa fare luce anche in Valle
d’Aosta.
Il Direttore
visto che si era da poco costruita la strada, e si potrebbe pensare che c’era meno
tempo per queste piccole manutenzioni.
Ebbene, in occasione di tutti i rientri serali si è sempre compiuto quello che era
quasi un rito: il camioncino Fiat 241 superava un leggero avvallamento della strada, creato per convogliare acqua filtrante dalla scarpata a monte; Papà fermava
il mezzo; si controllava che la sponda fossa ancora integra; all’occorrenza, si provvedeva a ripristinare il ruscello con pala
o picco. Si sapeva, in caso contrario, che
la persistenza delle infiltrazioni avrebbe
rovinato la strada, od un improvviso temporale avrebbe portato a dilavamento e
frane nelle scarpate.
Ancora in occasione dell’alluvione del
2000, sotto la pioggia battente del sabato, sono stato “gentilmente invitato”
a salire a Porliod per ripulire un paio di
ruscelli e controllare che le acque di scolo
finissero nei valloni deputati allo scarico, testati da decenni di utilizzo e quindi non a rischio. Non che ne fossi felice,
ma sapevo che si doveva fare; certo, col
senno di poi era forse meglio se avessimo
iniziato a evacuare casa, ma può anche
darsi che quell’azione abbia evitato danni maggiori...
Ecco, tra le molte altre, anche queste piccole eppure basilari azioni mi ha trasmesso mio padre montanaro.
Ma ora, quali montanari? La montagna
agonizza sempre più sotto l‘ondata del
saccheggio “fast food” perché mancano
coloro che la vivono e la rispettano come
tale: diversa, complessa, in precario equilibrio, e per questo terribilmente fragile.
La frattura tra i montanari di un tempo
e l’indefinito attore di oggi è ormai insanabile. E non si tratta solo di magnificare
un passato bucolico o valorizzare un presente incerto, quanto più banalmente di
riflettere su un futuro che non ci sarà.
Nella giornata in cui scrivevo queste righe, il montanaro Guglielmo partiva per
salire l’ultima delle montagne che per
tutta la vita ha vissuto nel profondo.
Piermauro Reboulaz
N. 2 - maggio 2009
LA STAGIONE
delle
CIASPOLE
MONTAGNES VALDÔTAINES
M
ai come quest’anno l’inverno ha rivendicato il
possesso di febbraio e
marzo, mesi che dovrebbero essere
anticamera della stagione primaverile. La neve, che ha ricoperto le
nostre Alpi ed Appennini finalmente senza pudore, ha fatto la felicità
del sempre più vasto popolo degli
sciatori, che ha preso d’assalto le
stazioni sciistiche ancora in questi
ultimi weekend. Purtroppo l’affollamento delle piste non è sempre
sinonimo di divertimento: perdere ore in coda agli impianti, tra
bambini vocianti ed adulti nervosi
nonostante le ferie, può rivelarsi tutt’altro che rilassante; doversi
destreggiare per arrivare in fondo
ad una pista troppo gremita, inventando traiettorie acrobatiche, può
essere addirittura pericoloso.
Per chi, di un paesaggio innevato,
ama soprattutto la quiete, esistono valide alternative allo sci e allo
snowboard: una di queste, a basso
costo e minimo impatto ambientale, sono le racchette da neve, anche
dette ciaspole, nome che deriva
dal dialetto della Val di Non. Questo termine dialettale è entrato
nel linguaggio comune probabilmente anche grazie alla notorietà
raggiunta dalla Ciaspolada, una
celebre gara organizzata appunto
in provincia di Trento, la cui prima
edizione risale al 1972; un’iniziativa
che nacque come una sfida tra amici, in ricordo di un passato dal ritmo
meno frenetico, ma che lievitò in
pochi anni, inaspettatamente, fino
a far competere 2000 concorrenti
sul finire degli anni ottanta. Alle
soglie del nuovo millennio, hanno
percorso la coltre nevosa dell’alta
Val di Non più di 5000 concorrenti
ogni edizione.
Negli ultimi anni la montagna ha
potuto giovare davvero di un grande ritorno, per uso turistico, alle
racchette, abbandonate quando le
attività per le quali erano più utilizzate, quali la caccia o i trasferimenti in zone non percorse da strade,
cessarono di essere fondamentali.
Un tempo le ciaspole, ad inverno
inoltrato, erano davvero l’unico
mezzo di collegamento tra i paesi
ed i rifugi di alta montagna; da ricordare anche il loro grande impiego nella prima guerra mondiale, da
parte del corpo degli alpini.
Durante quest’ultima stagione in
particolare, anche chi non è abituato all’escursionismo invernale ha
avuto modo di ammirare, galleggiando sulla neve fresca, i paesaggi
dell’arco alpino in una veste inedi-
ta, a partire dal gruppo del Monte
Bianco, visto dal Lago d’Arpy ghiacciato, fino ad arrivare al mar Ligure.
I sentieri che d’estate sono gremiti
di gente, quali le vie per i rifugi Garelli e Migliorero nel cuneese, con
la neve sono percorsi solo dagli animali, di cui spesso si possono scorgere le impronte. Esistono itinerari
per ogni livello di escursionisti; a
questo proposito è stata stilata una
graduatoria nei percorsi, costituita da semplici sigle: MR per medi
racchettatori, BR per bravi racchettatori, OR per ottimi racchettatori,
MRA BRA e ORA per racchettatori
alpinisti (la lettera A finale indica
la presenza lungo il percorso di difficoltà di carattere alpinistico che
possono richiedere materiale adeguato per essere affrontate).
Il fascino di questo tipo di escursione risiede oltretutto nell’assenza
di un vero e proprio sentiero; nel
risalire un pendio innevato, poter
decidere se seguire una traccia già
battuta o crearla voi stessi al vostro passaggio, improvvisandone il
tragitto e la pendenza a seconda
della determinazione con cui vorrete raggiungere la meta, regala
un sapore di libertà in più a quella
che già l’intero mondo della montagna è capace di trasmettere. Ci
addentriamo però in un tema vivacemente dibattuto: la disputa per
la traccia tra gli “scialpinisti” ed i
“ciaspolatori”. Questo argomento
insospettabile accende spesso le
discussioni più rocambolesche, anche nei forum on line di montagna,
caratterizzati da toni solitamente
garbati. Gli amanti dello sci alpino
ricevono davvero un colpo al cuore
nel vedere una loro traccia, faticosamente lisciata, calpestata dalle
racchette da neve (e non solo al
cuore: con l’affossamento o il buco
la punta dello sci può incagliarsi,
causando lo stacco accidentale della
pelle di foca). Da un altro punto di
vista battere traccia è un onore che
il primo a passare dopo una nevicata condivide con chiunque segua,
per raggiungere la vetta, uno scopo comune. L’ultima parola resta in
ogni caso al buon senso dei singoli,
con un invito, mai banale, al rispetto ed a godersi lo spettacolo della
natura senza frenesia, nel nome di
un’unica passione per la montagna
e la neve.
Tommaso Dotta
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N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
“IL FILO D’ARIANNA”
Per un decalogo di segnaletica sentieri
5 - Catasto dei sentieri: ogni Regione italiana dovrebbe disporre
di un servizio od ufficio incaricato di censire e gestire i sentieri
e le relative mappe, riportando per ogni sentiero tutti i dati
necessari per individuarlo, classificarlo, conoscerne lo stato,
registrare gli interventi di manutenzione e segnalazione, gli
enti incaricati della loro gestione, ecc.
Quanti frequentano i sentieri, (guide alpine, accompagnatori
naturalistici, guardie parco, capi-gita, o anche semplici
escursionisti ed alpinisti), potrebbero contribuire a fornire
informazioni ed osservazioni sullo stato dei sentieri e sulle
necessità di interventi riguardanti la manutenzione e la
segnaletica, utilizzando appositi moduli distribuiti a cura
delle Sezioni del CAI.
6 - Valutazione e classifica dei sentieri: in occasione dell’annuale
“Giornata dei sentieri” potrebbe essere interessante
redigere una classifica dei sentieri migliori di ogni regione e
premiare le Sezioni del CAI o le altre associazioni che si sono
particolarmente distinte in merito.
Dopo le molte considerazioni espresse nei numeri precedenti,
pensiamo sia utile proporre di seguito una prima traccia per la
stesura di un vero e proprio “Decalogo dei sentieri” che possa
servire come sintetica istruzione per chi viene incaricato di
segnare i sentieri, ma anche per chi li percorre perché sappia
interpretare in modo corretto tale segnaletica.
6. i segnavia bianchi-rossi devono essere posti ad un’altezza di
50-100 cm e devono essere possibilmente visibili sia da chi sale
che da chi scende. Regola aurea, a nostro giudizio, è quella
di porre, su tracciati dove è possibile perdere l’orientamento,
segnavia in modo tale che da ognuno si possa scorgere quello
precedente e quello successivo;
7. il manuale CAI prescrive “di apporre un segno nelle
immediate vicinanze dei bivi ed ogni 5-10 minuti di cammino
se il sentiero è evidente, altrimenti a distanza più ravvicinata,
tenendo in considerazione le caratteristiche ambientali e
l’inserimento rispettoso nel luogo” ;
8. “lungo sentieri che attraversano pascoli privi di sassi o dove
l’erba nasconderebbe gli usuali segnavia, o su terreni aperti
e nudi, privi di elementi naturali di riferimento, è opportuno
porre un picchetto segnavia”;
9. evitare l’impiego di frecce direzionali (frequenti ma non
sempre utili) e di altri simboli e colori al di fuori di quelli
indicati dal CAI;
10.“nei bivi ed in altri punti dove è utile confermare la continuità
dell’itinerario numerato, può essere utile porre segnavia
rosso-bianco-rosso con inserito in colore nero su bianco il
numero del Sentiero”.
Concludiamo con una citazione letteraria che ci pare
particolarmente calzante con l’oggetto del nostro scritto:
DECALOGO DEI SENTIERI
La segnaletica
1. i segni, di qualunque tipo, materiale, forma, dimensione,
posti lungo un sentiero, sono uno sfregio della natura, e
perciò devono essere apposti (specie quelli in vernice) con
grande moderazione e solo se veramente indispensabili;
2. i segni devono essere posti solo se il percorso non è più che
evidente, anche in condizioni difficili (nebbia, improvvise
nevicate, penombra, buio). Recita al riguardo il manuale
CAI: “laddove il sentiero è ben tracciato e privo di bivi è
sufficiente mettere un segnavia di richiamo bianco-rosso
ogni 300-400 metri”;
3. quando è possibile, è bene usare come segni ometti di
pietre, alti al massimo 40-50 cm. Come ameremmo, anche
sulle vette delle nostre montagne, trovare, invece di tanti
orpelli, dei semplici ometti come quelli eretti dai primi
salitori!
4. per i segni verniciati i colori adottati dal CAI e da altri club
alpini stranieri sono il bianco ed il rosso da usare sempre
in abbinamento (bianco in alto e rosso in basso). Il colore
giallo è usato, in Italia, solo nella Regione Val d’Aosta;
5. i segni verniciati devono essere possibilmente posti non sul
sentiero, vale a dire sul piano di calpestio perché possono
essere facilmente nascosti da foglie, terra, sabbia, neve ma
–secondo il manuale CAI- “a lato dei sentieri, usualmente
sui sassi, non sui tronchi degli alberi ma semmai sui ceppi
di alberi morti, per indicare la continuità, in entrambe le
direzioni, di un itinerario segnalato”;
“Come si gioisce quando nella nebbia si riesce ad intravedere la
tabella segnaletica!
Si può guastare tutta la giornata per un errore di percorso e può
succedere di dover rinunciare alla cima perché non è rimasto più
tempo a disposizione.
Non si richiedono grandi requisiti ad una tabella segnaletica.
Non occorre che sia bella; non è necessario che sia fatta con
criteri artistici.
Ma deve, questo sì, corrispondere alle aspettative.
Deve soprattutto farsi leggere ed essere corretta.
Svolge la sua funzione, non stando in mezzo al sentiero, ma di
lato.
Anche nella strade della vita abbiamo bisogno di uomini che
siano in grado di indicare la via giusta.
Uomini che ci rendano felici quando emergono dalle nebbia che
ci avvolge e ci tranquillizzano illuminandoci.
Ad essi ci rivolgiamo con fiduciosa attesa, analogamente a come
si guarda alle tabelle segnaletiche di montagna.
Questi uomini devono innanzitutto essere solidi
diritti
nell’indicare la mèta. Una segnaletica distorta conduce troppo
in alto verso l’illusione oppure in basso verso la banalità.
Questi uomini devono corrispondere al vero, cioè irradiare
tranquillamente la verità indicando la direzione giusta per
mete che realmente valgono e che sono realisticamente
raggiungibili.
Dio ci salvi dagli utopisti, dai fantasiosi,dai manipolatori che si
spacciano per guide”.
(Mons. Reinhold Stecher, vescovo di Innsbruck: “Il messaggio
delle montagne”, edizioni della Giovane Montagna)
ontagnes
aldôtaines
Direttore responsabile Reboulaz Ivano
Registr. 2/77 - tribunale di Aosta 19/02/1977
Stampa Tipografia Testolin - Sarre
(5 - fine. Le precedenti puntate sono apparse sui numeri:
3/100 – 1/101 – 2/102 – 1/103)
Luciano Ratto
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
QUATTRO PASSI IN CHâTILLON
un paese da scoprire
“Camminare consente di percepire la realtà con tutti i sensi,
di farne pienamente esperienza lasciando all’uomo l’iniziativa. Non privilegia unicamente lo sguardo, a differenza del
treno o dell’auto, che istituiscono la distanza dal mondo e
la passività del corpo. Si cammina per nessun motivo, per il
piacere di gustare il tempo che passa, di concedersi una deviazione per meglio ritrovarsi alla fine del cammino, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, per aumentare la conoscenza
corporea di un mondo inesauribile di sensi e sensorialità; o
anche, semplicemente, per rispondere all’invito della strada.
Camminare è un modo tranquillo per reinventare il tempo e
lo spazio. Prevede uno stato d’animo, una lieta umiltà davanti al mondo, un’indifferenza alla tecnica e ai moderni mezzi
di trasporto o, quantomeno, un senso della relatività delle
cose. Fa nascere l’amore per la semplicità, per la lenta fruizione del tempo”.
(David Le Breton, Il mondo a piedi, p.14)
E
allora eccoci, alla scoperta di un mondo
sconosciuto a coloro che rapidi percorrono
l’autostrada… In una civiltà invasa dai motori e dalla velocità regaliamoci invece il piacere
di andare a piedi, di camminare nel paesaggio,
dove storia e ambiente convivono in armonia e
ogni elemento ha una sua storia da raccontare,
partiamo alla scoperta del comune di Châtillon,
delle ricchezze storiche e ambientali che si celano nel suo vasto territorio disteso sui due versanti della Dora Baltea, del suo borgo, ospitato
in un’ampia e luminosa conca che si svela subito
con i suoi castelli circondati da parchi secolari,
la sua chiesa, i suoi palazzi decorati da preziosi
portoni e ringhiere in ferro battuto, i suoi arditi
ponti, i suoi villaggi raccolti attorno a piccole
L’Hôtel Londres dal ponte della Madonna d. Grazie
cappelle, torri e caseforti,
villaggi disseminati lungo i
fianchi del Monte Zerbion e
del Monte Barbeston, “i due
numi tutelari del bacino di
Châtillon”. Grazie al Comune di Châtillon, ho potuto
realizzare una piccola guida,
“Châtillon, un paese da scoprire”, dove ho raccontato
otto percorsi che, come scrive il sindaco Giuseppe Moro
nell’Introduzione, “offrono
una vasta gamma di visite
dalle più affrettate a quelle che richiedono maggior
approfondimento. Si tratta
quindi di un documento importante, di cui da tempo
se ne sentiva la necessità e
ancor più oggi, dopo aver
riscoperto attraverso questa
ricerca, quanti siano i luoghi
interessanti da visitare, finora sottovalutati o misconosciuti”. Di questi, riporterò la
descrizione del percorso n. 1
che ci guiderà “Tra gli storici
edifici del Borgo di Châtillon”.
Via Emile Chanoux, ci conduce alla scoperta di un borgo
ricco di testimonianze storiche e religiose; è un susseguirsi di edifici gli uni stretti
agli altri, di antiche dimore
oggi profondamente trasformate, ma che recano ancora
numerose tracce di un nobile
e illustre passato. Portali in
pietra, balconi in ferro battuto, lunette che sovrastano i
portoni d’accesso con date e
monogrammi arricchiscono i
palazzi un tempo appartenuti alle famiglie dell’aristocrazia. Ma orsù dunque, iniziamo la nostra esplorazione e
superiamo, aiutati da un po’
di immaginazione, l’antica
Porta Ivrea che si apriva nella
cinta muraria, oggi completamente scomparsa. Oltre a
svolgere l’importante funzione di collegamento interno,
Via Chanoux, che attraversava il borgo per tutta la sua
lunghezza, era luogo di passaggio obbligato per merci e
persone che risalivano la Valle d’Aosta transitando lungo
il Grand Chemin (o Chemin
Royal) e lo rimase sino agli
anni ’60 quando furono realizzate la circonvallazione
(1964-1968) e l’autostrada
(1968-1969). Quanti balconi
abbattuti da camion e TIR…
che, oggi sembra quasi impensabile, dopo l’apertura
dei tunnel del Monte Bianco
(1965) e del Gran San Bernardo (1964) viaggiavano
fra queste case in entrambi i
sensi! Lungo la stessa via aveva luogo il mercato settimanale di assai antica istituzione: lo storico Jean Baptiste
de Tillier cita un documento
risalente addirittura al 1409!
La via, in epoca attuale, è
invece animata, a giugno,
in occasione delle festa patronale, e a dicembre, da un
brulichio di curiosi che visitano il Petit Marché du Bourg,
un’esposizione, con vendita,
di oggetti di artigianato, antiquariato e prodotti alimentari. L’ultima domenica di
ottobre vede invece svolgersi
la “Sagra del miele e dei suoi
derivati”: Châtillon, infatti,
fa parte dell’Associazione
Nazionale Italiana le Città
del Miele, un’iniziativa che
ha come obiettivo la tutela
e la valorizzazione dei mieli
artigianali italiani.
La salita sfiora alcuni bei portali in pietra e ci conduce al
palazzo appartenuto a Guglielmo Gervasone (oggi sede
dell’USL), nipote del leggendario Bartolomeo, riconoscibile per la tinta rosa e gli
stucchi che decorano la facciata. Di fronte, le mura del
convento dei Cappuccini racchiudono secoli di una storia
che ebbe a iniziare nel lontano 1626 quando il barone
Paul-Emmanuel di Challant
con atto del 22 marzo 1626,
cedette all’ordine una casa
perché vi fondasse un convento. Nel 1633, dopo lavori
di sistemazione e di adeguamento, vi si insediarono i primi frati cappuccini. Annessa
alla casa trasformata poi in
convento c’era una cappella
dedicata a san Grato, il potente taumaturgo cui si ricorreva in occasione di malattie,
guerre e carestie. Giudicata
troppo piccola, la cappella fu
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N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
Châtillon un paese da scoprire
completamente
riedificata
fra il 1635 e il 1642 e dedicata a san Francesco d’Assisi.
La Rivoluzione Francese portò alla soppressione di molte
istituzioni monastiche e nel
1802, dopo i conventi di Aosta e di Morgex, fu la volta
anche di quello di Châtillon: i
frati furono cacciati e l’edificio utilizzato come magazzino per le truppe. Dopo varie
traversie e utilizzi (scuola,
lazzaretto, magazzino, latteria, caserma), nel 1895
il vescovo di Aosta, Mons.
Joseph-Auguste Duc, acquistò l’edificio dal comune e il
convento ospita ancora oggi
l’unica comunità di cappuccini in Valle d’Aosta. In alcuni
locali annessi al convento,
per lascito testamentario di
Jean Louis Rigollet, nel 1865
fu istituto un asilo infantile, tenuto dalle suore di San
Giuseppe, per “provvedere
all’educazione religiosa, morale e civile dei fanciulli di
ambo i sessi, dai 3 ai 6 anni”;
l’asilo fu attivo sino al mese
di gennaio del 1960 quando
venne inaugurato quello attuale, sito in Via Tollen, che
porta ancora il nome di Asilo
Rigollet.
Poco lontano dal convento,
si trovava l’ospizio di San Teodulo, amministrato dai religiosi del Gran San Bernardo,
che, fondato nel 1165, rimase
aperto fino al 1752 quando
fu definitivamente soppresso. L’ospizio, la cui presenza
conferma quanto il paese
fosse frequentato, era nato
per offrire riparo a pellegrini
e viandanti, ma non possedeva che due o tre letti.
Sulla piazzetta intitolata ai
Caduti per la Patria, si affacciava lo storico Hôtel de
l’Ange ricordato in numerose guide turistiche di fine
1800: “buona cucina e camere pulite”. Sul lato opposto,
dove oggi ha sede la biblioteca Monsignor Duc, doveva trovarsi l’abitazione dei
nobili Scala e di Charles Bich
(1802–1881). L’edificio fu poi
adibito a caserma della Guardia alla Frontiera (Caserma
Menabrea), un corpo militare utilizzato da Mussolini
durante la seconda guerra
mondiale per proteggere la
frontiera italiana dai paesi
confinanti. Sulla via, un edificio (al n. 82), oggi ristrutturato, ospitava l’albergo Lion
d’Or. Quasi in cima alla salita
(al n. 74), la residenza fatta
costruire nel 1760 da Pantaléon Bich, “la più sontuosa del Borgo”, che nel 1800
ebbe l’onore di ricevere e
alloggiare Napoleone con il
suo seguito! L’edificio, in anni
più recenti, divenne Casa dalle suore della Congregazione
di San Giuseppe, la prima
casa aperta dalla Congregazione fuori Aosta. Ma eccoci
Particolare di una serratura lungo via Emile Chanoux
finalmente in Piazza Duc, o
meglio Place Abbé Prosper
Duc, martire della Resistenza
(1915-1945) la cui casa natale
si affaccia sulla stessa piazza.
Lunga e travagliata la storia
di questa piazza! Nel 1771, il
Consiglio comunale, ritenendo che, soprattutto il giorno
di mercato, la merce esposta,
il passaggio di persone e di
carri e la presenza della fontana utilizzata sia per l’abbeveraggio degli animali sia
per uso domestico, creassero
confusione e costituissero
pericolo, decise di realizzare
una piazza dove trasferire la
fontana del borgo, costruire
la casa comunale e la scuola
(fondata a Châtillon per volere testamentario di Jean
Claude Brunod nativo di
Châtillon con atto del 12 novembre 1713). Al Consigliere
Pantaléon Bich fu affidato
l’incarico di acquistare alcune case, incendiate nel mese
precedente, da demolire per
creare uno slargo. Nel 1777
la piazza, da adibire anche a
sede del mercato settimanale, fu ultimata, così come la
casa comunale; la scuola venne invece terminata nel 1782.
Nel 1855, l’edificio comunale
fu destinato a caserma dei
Carabiniers Royal e poi demolito nel 1965. Il 7 giugno
1925, nella piazza fu eretto
un monumento in bronzo,
forgiato con gli obici tolti al
nemico nella guerra 19151918, opera dello scultore
Ettore Betta. Durante l’occupazione fascista, la statua
fu fusa e il bronzo utilizzato
per la fabbricazione di armi.
Ritrovati gli stampi originali,
il monumento, ricostruito e
risistemato nella piazza, fu
inaugurato il 5 novembre del
1967. Nella piazza si affaccia pure l’edificio che ospita
il Corps Philharmonique de
Châtillon, il più antico corpo
musicale della Valle d’Aosta.
Fu, infatti, fondato nel 1780
con l’appellativo di Musique,
e la sua attività, nonostante
le vicende belliche che contrassegnarono la storia regionale e mondiale, non subì
mai alcuna interruzione! Suo
presidente per ben quaranta anni, dal 1966 al 2007, e
oggi vicepresidente, un illustre cittadino di Châtillon, il
senatore Cesare Dujany.
Il cammino prosegue lungo
Via Chanoux che ora si fa pianeggiante: altri balconi e altri portali! Una diramazione
sulla destra, Vicolo del mulino, conduce a un edificio su
cui spicca un affresco a carattere religioso. A sinistra, la
forgia Torreano conserva ancora i meccanismi per la produzione di energia idraulica.
Ma ecco il municipio, un edificio a tre piani con portico
al piano terreno, realizzato
verso il 1950. A fianco, da un
lato, il palazzo gemello, già
Hôtel delle Alpi, dall’altro
l’Hôtel Londres, il più antico,
degli alberghi di Châtillon.
Edificato nel 1853 da Filiberto Gervasone “in posizione
pittoresca sul grande ponte,
a immensa altezza sopra il
torrente di Valtournenche”,
fu il più frequentato dai turisti italiani e stranieri. Tra gli
alpinisti celebri che vi risedettero ricordiamo l’inglese
Edouard Whymper, il conquistatore del Cervino (14 luglio
1865), che vi soggiornò tra il
28 e il 29 agosto 1861: in suo
ricordo, un altorilievo posto
su un balcone del cortile interno.
Infine una curiosità: lungo la
via del paese, tra il 1921 e il
1928, era in servizio una filovia che collegava il borgo
con le stazioni ferroviarie di
Châtillon e di Saint-Vincent.
Le vetture, che potevano trasportare 25 persone, erano
state acquistate a Desenzano del Garda da una società
costituita dagli abitanti di
Châtillon.
La gola incisa dal Marmore,
antico confine fra le Signorie
di Châtillon e di Cly, chiude
questo interessante itinerario alla scoperta di un borgo
assai poco conosciuto e visitato, ma certo ricco di testimonianze storiche e di antiche suggestioni.
Marica Forcellini
(testo, foto e disegni)
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MONTAGNES VALDÔTAINES
Un intervento per i 150 anni della
Società della Flora Valdostana
N
ella Mattinata del 13 dicembre
scorso la Società della Flora Valdostana, presieduta dalla dott.
ssa Chantal Trèves, ha festeggiato i
propri 150 anni di vita.
Per la ricorrenza sono stati invitati a
prendere la parola i Presidenti delle
Associazioni culturali “amiche”, fra cui
il CAI. I legami con il CAI sono antichi
e risalgono all’epoca dell’istituzione
dei sodalizi, sia per il sostegno dato dal
CAI - seppur di poco più giovane - alla
Società della Flora, sia perché li acco-
munano i nominativi di alcuni dei soci
fondatori.
Si riporta di seguito il breve intervento
del Presidente Aldo Varda che è stato
preceduto - come da prassi - dal saluto
agli astanti.
E’ con vero piacere che ho accolto l’invito della gentile Presidentessa Chantal Trèves a prendere la parola. Perché
i legami tra il CAI e la Società della
Flora sono antichi, profondi, con tante
comuni radici. Antichi datando essi sin
dal tempo della istituzione dei Sodalizi - 150 anni per la Società della Flora,
142 per il CAI in Valle nella “Succursale
d’Aoste”- perché c’è sempre stato un
sostegno reciproco estrinsecatosi negli
anni del dopoguerra con la conservazione presso la nostra sede dei loro reperti. Ma non è al passato che occorre
guardare: è al presente, ove le finalità
delle due associazioni che potrebbero
apparire così diverse da una lettura superficiale della loro denominazione, in
realtà si accomunano nell’amore, nel
rispetto, nella salvaguardia della natura e dell’ambiente.
Chi va in montagna per amore della
stessa colma il proprio animo con la viArchitravi in pietra con decorazione a chiglia sione di ciò che l’ambiente circostante
gli dona. Sia che egli percorra sentieri,
rovesciata di due portoni del borgo
sia che si muova su pareti o su ghiacciai
sempre assapora quanto lo circonda,
gioisce della bellezza e della infinita
diversità delle forme e dei colori delle piante, degli arbusti, dei fiori per
arrivare alla flora dell’alta montagna,
quella bellissima che troviamo laddove
iniziano i ghiacciai.
Sono questi gli obiettivi immediati che
ci poniamo: salvaguardare e preservare l’ambiente naturale, proteggendolo con i nostri interventi, infondendo
nei nostri soci la conoscenza e l’amore
della natura, in particolare nel contesto di quelle attività che ci sono proprie, come la formazione nei corsi delle
scuole di alpinismo, di sci-alpinismo, di
escursionismo e di speleologia.
Sono dunque gli stessi obiettivi che anche la Società della flora si pone ma è
con la sinergia delle nostre due associazioni che si potranno compiere ulteriori passi avanti garantendo a tutti
di gioire nel vedere il calice di un fiore schiudersi o il protendersi verso la
luce, nell’apprezzare lo sviluppo di un
albero, paragonando - almeno a me è
successo molte volte - la sua età con la
mia. Grazie ancora e complimenti sinceri per questo 150° compleanno.
Aldo Varda
Taccuino Châtillon
Sci-Alpinismo
Dom. 7 Giugno
Mont Fourchon (2902 m)
Racchette da neve
Dom. 7 Giugno
Mont Fourchon (2902 m)
Mountain bike
Sab. 23 - Dom. 24 Maggio
Sab. 13 Giugno
Dom. 12 Luglio
Dom. 26 Luglio
Dom. 2 Agosto
Sab. 29 Agosto
Dom. 13 Settembre
Gita in Valsassina
(in collaborazione con sezione di Chieri)
Punta di Met (2600 m)
La Via dei Saraceni (2536 m)
Anello delle valli Finalesi (930 m)
Col de la Seigne (2514 m)
Le acque verdi di Saint-Marcel
Giro sulla balconata della Val Ferret (2061 m)
Mountain Bike Junior
Dom. 2 Agosto
Giro dei boschi di Chamonix (1800 m)
Alpinismo
Sab. 6 Giugno
Aggiornamento accompagnatori alpinismo
Sab. 4 – Dom. 5 Luglio
Grand Assaly (3174 m)
Sab. 18 – Dom. 19 Luglio Plattes des Chamois (3611 m)
Lun. 27 Luglio
Pizzo Badile (3308 m)
in concomitanza con la gita escursionistica
Sab. 8 - Lun. 10 Agosto
Nadelhorn (4327 m)
Sab. 22 Agosto - Dom. 23 Agosto Punta Parrot (4436 m)
Alpinismo giovanile
Sab. 27 Giugno
Rifugio Elisabetta (2197 m)
Escursionismo
Dom. 24 Maggio
Tour della Quinseina (2344 m)
Sab. 30 Maggio - Lun. 1 Giugno Isole del Giglio e Montecristo
Dom. 14 Giugno
Aiguille de Bonalé (3201 m)
Dom. 21 Giugno
CAI Valle d’Aosta: SENTIERO FRASSATI
Dom. 12 Luglio
Ferrata du Diable
Sab. 25 - Lun. 27 Luglio Valtellina - Sentiero Roma (2876 m)
Dom. 30 Agosto
Mont Colmet (3024 m)
Dom. 13 Settembre
Haute Cime des dents du Midi (3257 m)
Dom. 20 Settembre
Grand Tournalin (3379 m)
Storico-Culturali
Dom. 17 Maggio
Sentiero delle anime (1398 m)
Sab. 20 Giugno
Le macine della Valmeriana (1700 m)
Per chiarimenti e informazioni visitare il sito www.caichatillon.it o telefonare durante l’orario di apertura della sede
(tutti i mercoledì dalle 20,45 alle 23,00) al seguente numero di cellulare: 347 9349433.
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MONTAGNES VALDÔTAINES
Muzzerone, il paradiso terrestre
S
ono passati molti anni da quando
venne a crearsi il cosiddetto conflitto
che generò la rivoluzione del Nuovo
Mattino. Come sappiamo l’innalzarsi delle
capacità atletiche di scalata si affiancò
ad una specifica ricerca dell’arrampicare
come gesto libero e privo di mezzi
artificiali La corda venne utilizzata solo
come protezione da eventuale caduta e
non come ausilio alla progressione. Gli
arrampicatori si differenziarono dagli
alpinisti e sovente tutto ciò decretò
accadimenti non del tutto piacevoli.
Dopo così tanto tempo, sono passati più
di trent’anni, solo molto poche persone
confondono ancora l’arrampicata libera
e sportiva, cioè il free climbing, con il
free solo cioè l’arrampicata senza uso di
corda. Per altro moltissimi alpinisti sono
diventati anche arrampicatori e moltissimi
arrampicatori sono diventati anche
alpinisti. Forse l’esempio più chiaro è il
“poeta” Patrick Berhault. Eppure, a causa
del bombardamento mediatico, dopo
due generazioni di persone c’è ancora chi
considera la falesia esclusivamente come
una palestra di roccia senza possibile fine
ma un’anticamera di qualcos’altro.
Devo ammettere che per anni anche
per me è stato qualche cosa di difficile
da digerire… Io sono un alpinista e tale
resterò per sempre. Eppure, nel mio tipo
di alpinismo, ormai annovero discipline
quanto mai varie e diverse. Altrettanto
giusto è ammettere che esse, oltre
a darmi un grande beneficio fisico e
spirituale, moltiplicano le mie capacità
alpinistiche permettendomi possibilità
in chiave classica che non sarei riuscito a
raggiungere in altro modo. Oramai valico
montagne con più sicurezza potendo
padroneggiare con più attenta tecnica
le mie possibilità in scalata… Quando
ora mi trovo a piantar chiodi alla vecchia
maniera, lo faccio con senza peso e con
migliore lettura dell’ambiente geologico
che ora mi accetta con più benevolenza.
Prima, per me, scalare fine a se stesso
era sempre e solo una palestra. Poi ho
iniziato a girare per l’Italia, da nord
a sud, da est ad ovest, ed ho scoperto
luoghi dove l’arrampicata è stata
forgiata da una tradizione alpinistica e
con essa condivide appieno il significato
di trascendenza. Ho solcato pareti dove,
più che con le mani e con i piedi, è con
il cuore che mi sono arrampicato. Come
diceva un “certo” Manolo, Maurizio
Zanolla, «Toccare il cielo, è un’avventura
dello spirito». Come mi ha insegnato mio
zio Sandro di Aosta, «...la montagna non
è esattamente una passione ma è più una
sorta di vocazione».
Siamo oramai a gennaio ed è giusto
il momento di iniziare di nuovo ad
allenarsi. Visto il mio lavoro non è solo
una scelta ma è più che altro un obbligo.
Dopo esser andato due volte in falesia
questa settimana praticamente mi son
reso conto di non aver più né forza né
mente. L’estate è lontana eppure così
vicina... è perciò importante trovare
un posto dove affrontare qualche cosa
di maestoso ed imponente, un avatar
“mostruoso”
e
bellissimo.
Spesso
quando un alpinista abituato al freddo
glaciale sogna, immagina barre rocciose
“perfette” a picco su un mare blu cobalto.
Il Muzzerone non è altro che quel
sogno fatto pietra. Questa meravigliosa
bastionata calcarea si trova in quel di
La Spezia in Liguria, al confine con la
Toscana. Qui vi sono centinaia di vie, sia
nuove, sia classiche, che si snodano sulle
sue linee, in un ambiente mediterraneo
che siamo abituati a vedere soltanto nei
film. La tipologia di scalata che occorre
su queste pareti ricorda molto lo stile
adottato in Dolomite in conseguenza
alla similarità fra le tipologie di roccia.
L’arrampicatore che giunge al Muzzerone
saluta le vicine ed innevate Alpi Apuane
che si stagliano oltre il golfo spezzino,
per poi scendere verso le calette alla base
delle vie, in un aereo paradiso naturale,
al quale, quasi farà fatica a credere. Le
splendide pareti della bastionata sono
scalabili in qualsiasi giornata dell’anno.
Il microclima permette agli arrampicatori
di frequentare il sito anche in pieno
inverno cercando piuttosto di evitare le
più afose giornate estive. Ora tutta la
costa è stretta in una morsa di freddo ed
a partire dalla linea dello spartiacque la
Liguria è interamente ricoperta di neve
e ghiaccio. Tutte le pareti a picco sul
mare però si trovano nella migliore delle
condizioni garantendo avventura per chi
ha la preparazione ed il desiderio per
affrontarla.
Io qui ho già ripetuto lo storico
itinerario “Sincronicità” sulla selvaggia
Parete Striata, denominata così per la
colorazione particolare della roccia,
dovuta ad ossidazioni superficiali. La
via segue una linea elegante sul lato
destro della bastionata. La vista spazia
verso le rossastre placche della parete
e sul Pilastro del Bunker che per primo
riscopre la luce alla mattina. La roccia
è talvolta smussata dai molti passaggi,
ma, ciononostante, le caratteristiche
del Muzzerone garantiscono una salita
serena sino alla spettacolare grotta
che attraversa la parete da cui si deve
oltrepassare la bastionata e sbucare
dall’altra parte. Ho anche ripercorso la
storica via del Pilastro, che fa da cornice
alla parete. Si tratta di una spettacolare
via di arrampicata a picco sul mare. La
linea dell’itinerario, che sale quasi sempre
verticale, garantisce sensazioni aeree
davvero rare. La chiodatura è un po’
lunga per un itinerario in ottica moderna,
ma comunque più che ottimale per chi
è abituato a scalare in montagna. La
roccia è uno splendido calcare, non unto
nonostante le numerosissime ripetizioni.
Il pilastro è alla sinistra della parete striata
sulla quale offre un grande panorama.
Questa fu una delle storiche creazioni
di Roberto Vigiani, una delle più forti
guide in Europa. Lo conobbi quando mi
allenavo in Toscana, anni fa, e da allora
penso sempre con nostalgia ad ogni via
che lui ha aperto che ho potuto ripetere.
Potrebbe essere un’ottima occasione per
salire su un itinerario aperto proprio da
Roberto ed appunto sulla Parete Striata.
Propongo quindi di fare due cordate con
tre miei amici. In coppia con Luca Fida
saliremo “Kimera”, che Vigiani aprì dal
basso nel 2007 sul terzo sinistro della
bastionata, con massimi tiri di 6b+, mentre
Paolo e “Gianni” Boccaccio saliranno sul
Pilastro del Bunker. Siamo tutti e quattro
molto più che fuori allenamento, sarà
quindi una bella avventura per aprire
l’anno in vista delle realizzazioni estive e
del compendio esplosivo delle emozioni
che vivremo anche questa stagione.
Dal posteggio della strada militare che
sale da Le Grazie prendiamo il sentiero
per Portovenere. Ci immergiamo nella
macchia mediterranea. Ascoltiamo i
richiami dei gabbiani, il lontano rumore
della risacca, odoriamo la santoreggia, il
timo, l’erica arborea. Giungiamo in breve
ad un bunker ed iniziamo a scendere. In
pochi minuti arriviamo ad una vecchia
cabina per cavatori, saliamo sul tetto e
scendiamo dall’altro lato. Una scaletta
gialla ci porta ad un ripiano erboso dal
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MONTAGNES VALDÔTAINES
Muzzerone, il paradiso terrestre
quale alcuni cavi metallici conducono ad
un ampio balcone che costituisce la vetta
del pilastro della Discordia che delimita
a destra la Parete Striata. Scendiamo per
corde fisse che da sole costituirebbero
una ferrata notevole. Arriviamo quindi
alla base della parete ed attraversiamo
a mezza costa tutta la bastionata. Io sto
molto attento e mi guardo circospetto.
Anni fa andando a cercare una via di
quarant’anni prima, m’imbattei in un
nido di gabbiani e fui attaccato da decine
di essi chiamati a raccolta dal proprietario
alato… rischiando di finire di sotto!
Finalmente arriviamo alla partenza
della via e l’avventura ricomincia anche
quest’anno.
Kimera inizia su placca appoggiata grigia
lavorata. Si sale più o meno verticalmente
fino a che la linea si raddrizza diventando
quasi verticale sempre su ottime prese.
Si tralascia una sosta fuorviante su un
albero a destra, salendo sempre sulla
verticale, sino a che la roccia non ritorna
vagamente abbattuta. Si obliqua quindi
La parete striata
dove è ambientato
l’articolo
a sinistra su strapiombo e vago diedro
giallo che rimonta un grande blocco
dove si trova la sosta. Attaccando il passo
direttamente si affrontano le maggiori
difficoltà, grosso modo sul 6a.
Il secondo tiro attacca la placca
leggermente aggettante sulla destra che
punta verso alcuni alberi. I primi metri
sono articolati e da attaccare con tecnica
ed intelligenza dato che sono tutti
passaggi monodita o bibita al massimo
di 6a+. Salendo sulla linea della goccia
si incontrerebbe invece un passo di 6b
su microvaschette. Ovviamente non me
ne accorgo subito e mi trovo proprio
lì in mezzo e devo tirare un po’ di più.
Giunti agli alberi passiamo sotto di essi,
su roccia, e continuiamo dapprima in
verticale poi su placca appoggiata più
semplice e lavorata a fessure. Il terzo tiro
è anch’esso entusiasmante. Si supera un
lieve passo delicato con ristabilimento
affrontandolo sulla sinistra e rimontando
un canale fiancheggiato da un piastrino.
Si sale quindi verso sinistra la struttura
continuando su placca divertente e
tecnica. Il tiro si conclude con una
entusiasmante sequenza di prese rovesce
da non sottovalutare con i piedi in
aderenza e senza appigli.
Dopo pochi metri di placca non banale e
verticale si attacca una splendida canna
rossa strapiombante con prese grandi
sulla destra che permettono di salire
con il bacino per poi spostarsi verso un
ristabilimento a sinistra. Qui si trovano le
difficoltà di 6b+ ma non è certo questa
la difficoltà della via quanto la sua
continuità. Non vi sono passi particolari
di un determinato grado ma piuttosto
ogni singolo metro della via riporta i
gradi del tiro. In questo punto è molto
utile un incastro di tallone che permette
di raggiungere due prese relativamente
alte sulla destra che garantiscono
il superamento del passo simile ad
una sequenza boulder. In scala UIAA,
quella che sono
abituato ad usare
in alpinismo, questo
è un tiro di VII+. La
sua struttura ideale
per altro richiama
molto a una linea
di debolezza da
parete
montana.
Tutto ciò mi riempie
di soddisfazione.
La via continua
con un accennato
canale tecnico ed
abbattuto che porta
ad un terreno più
verticale sino ad
un secondo risalto
strapiombante più facile ma anche più
continuo e lungo. Si superano poi tre
metri di placca facile sul III grado e si
continua seguendo una corda fissa che
porta subito ad una traccia pianeggiante
verso sinistra. La si segue incontrando
subito un cavo metallico che sale a destra
portando alla quinta sosta. L’ultimo
tiro attacca un muretto che porta ad
un ristabilimento su calcare grigio. La
roccia è molto lavorata con “vasche”,
“buste”, “orecchie”, “clessidre”, ma
anche meno compatta. Si superano una
serie di risalti e sequenze di muretti
verticali sino all’ultimo torrione con passi
strapiombanti che portano alla cuspide di
vetta. Guardo il mio compagno di salita
e gli stringo la mano: «Buona montagna
Luca, siamo arrivati»
Il panorama è incredibile. Si vedono
l’isola d’Elba ed in trasparenza la Corsica.
La vista a quasi 270° ci riempie il cuore, è
qualcosa che non riusciamo a contenere. Il
cielo non è terso ma le nubi danno ancora
maggiore idea di quanto sia immenso
questo spazio, sulla distesa d’acqua ed
aria che si perde all’orizzonte lontano.
Chissà se laggiù c’è qualcuno in cima ad
un cocuzzolo che beve con un amico e
guarda l’orizzonte speranzoso. È un po’
come sperare in un fratello lontano che
forse riscoprirò un giorno.
Dopo un breve spuntino dalla sosta,
con il mare alle spalle, percorriamo
con attenzione quattro metri a sinistra,
troviamo un canale, poi una traccia e
quindi il sentiero. Ritroviamo in breve il
parcheggio ed i nostri compagni. Il sole
si sta per coricare e quindi scendiamo in
fretta alla falesia più famosa del luogo.
Andiamo alla “Polveriera”. Ci scambiamo
nelle cordate e proviamo un tiro duro, a
vista, a testa. Lo falliamo tutti e quattro.
Io, mentre sto moschettonando la catena,
volo… Sorrido e penso «peccato, c’ero
quasi». Dovrò allenarmi di più se voglio
goder di tutto ciò che la montagna ci
regala. Nel frattempo sempre appeso
come un salame mi volto di 180°. C’è un
tramonto rosso come un’arancia di Sicilia,
aperto come la vista da un 4000 sul Rosa,
profondo come il mare dell’ovest in cui
mi trovo, etereo come le pareti dell’est.
Forse la montagna, in ogni sua forma,
è il nostro paradiso terrestre concessoci
perché sia meravigliosa e non grave la
nostra permanenza su queste lande.
Se così davvero fosse, il Muzzerone ne
sarebbe una tra le più chiare espressioni.
Christian Roccati
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MONTAGNES VALDÔTAINES
Cambio al vertice della Presidenza
Sezione di Aosta
L
o scorso 31 dicembre, dopo due mandati, il Gen.
Aldo Varda ha lasciato la presidenza della sezione
di Aosta del Club Alpino Italiano. A lui i più vivi
ringraziamenti per l’impegno che in questi anni ha
profuso per la nostra sezione, fungendo da “battistrada”
nelle fasi di cambiamento e rinnovamento che ci siamo
proposti. Trovandoci per fortuna, ma anche purtroppo,
nella regione dove tutto o quasi è incominciato, dove
infilati sci o scarponi da alpinismo devi solo decidere
dove andare, ha saputo destreggiarsi tra mille difficoltà,
rivendicando la nostra posizione come realtà ancora
presente nello scenario alpino ed alpinistico di questa
regione. Lo ringraziamo per essere ancora con noi
nella figura di Past-President, oltre che di revisore dei
conti: abbiamo ancora bisogno dei suoi saggi consigli!
Pertanto, dai soci della sezione vanno gli auguri al nuovo
Presidente sig. Carazzo Renzo Alberto (suo “allievo” e
degno successore) ed ai vice- Presidente sig.ri Dal Dosso
Fabio e Paganin Edy, nonché al consiglio direttivo in parte
rinnovato. Speriamo che la sua “freschezza” ci consolidi
nell’affermarci come punto di riferimento: per lo spirito
che ci accomuna, nell’orgoglio di essere parte della storia,
nei sentimenti di solidarietà verso coloro che non godono
della meraviglia che è la natura in ogni sua forma; ma
soprattutto, nell’amore per i grandi monumenti naturali
che sono le nostre montagne. Buon lavoro!
C.A.I Sezione di Aosta
Taccuino Aosta
MAGGIO
LUGLIO
17 DOMENICA
S.Sez. St.Barthélemy • Viaggio Nella Terra di Mezzo
MONTéE VERS le COTA Percorsi Pomeridiani per piccoli e grandi esploratori
A. Giovanile • In marcia
Viaggio nella Terra di Mezzo
In collaborazione con la Sottosezione di Saint-Barthélemy
5DOMENICA
S.Sezione St.Barthélemy • Alpinismo
CHâTEAU des DAMES 3490 m
30 SABATO • 31 DOMENICA
Sezione Aosta • Escursionismo
ISOLE di TOSCANA
Isole del Giglio e di Montecristo, Parco dell’Uccellina
In collaborazione con CAI Châtillon e CAI Lucca
GIUGNO
1LUNEDI’
Sezione Aosta • Escursionismo
ISOLE di TOSCANA
5VENERDI’
Alpinismo Giovanile • Corsi
In Montagna con Mamma e Papà
Edizione n° 3: Presentazione
Presso la Sede Sezione Aosta - ore 21.00
7DOMENICA
S.Sez. St.Barthélemy • NonSoloMontagna
Aggiornamento ALPINISTICO & GASTRONOMICO
Palestra di Arrampicata all’aperto, in località da destinarsi
18GIOVEDI’
Sezione Aosta • Escursionismo
TREKKING 2009: NEPAL
Presentazione
Presso la Sede Sezione Aosta - ore 21.00
21 DOMENICA
Sezioni Valdostane • Escursionismo
Gita CAI Valle d’Aosta
SENTIERO FRASSATI
Si tratta di un’uscita in collaborazione fra le Sezioni Valdostane per la giornata d’inaugurazione del Sentiero Frassati,
localizzato in Val d’Ayas (vedi pa. 15).
12 DOMENICA
Sezione Aosta • Escursionismo
Biv. BORGHI e MANTINOTTI 2778 m
25SABATO • 26 DOMENICA
Sezione Aosta • Alpinismo
A.MONEY 3447 m - P.PATRI 3580 m
AGOSTO
2 DOMENICA
Sezione Aosta • Escursionismo
Rif. V.EMANUELE e CHABOD Giro ad anello
In collaborazione con CAI Salerno
5 MERCOLEDI’
S.Sez. St.Barthélemy • NonSoloMontagna
INCONTRI a CUNéY
In occasione della festa per la Madonna delle Nevi
6 • 13 • 20 GIOVEDI’
S.Sezione St.Barthélemy • Rassegna Film
MONTAGNE d’ALTROVE
Al Padiglione delle Manifestazioni di Lignan
9 DOMENICA
S.Sez. St.Barthélemy • NonSoloMontagna
ANTICHE MINIERE di FERRO
Una CAVA del MARMO Visita esclusiva al prestigioso Sito di Archeologia Industriale di Lignan, con una nuova, suggestiva illuminazione in
ipogeo e percorso didattico in superficie.
NB: percorso guidato con gruppi a numero chiuso.
Sezione Aosta • Escursionismo
BECCA della TRAVERSIéRE 3337 m
15 SABATO
Sezione Aosta • NonSoloMontagna
GRIGLIATA di FERRAGOSTO
Località all’aperto da destinarsi
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
Che puzza di cacca di mucca
(2o capitolo)
S
i racconta che in Valle d’Aosta, nei tempi addietro, scegliessero il sindaco tra coloro che avevano un grosso deposito di
letame davanti alla casa: pare infatti che una grande quantità di quel materiale naturale fosse indice di agiatezza economica perché derivava da un grande numero di bestie nella stalla, e
quindi necessitava di una vasta estensione di terreno per alimentare gli animali mediante il foraggio. Agiatezza economica che
garantiva un reddito per allevare la famiglia e che presupponeva
capacità di sapersi amministrare. E chi aveva saputo fare per sè e
per la propria famiglia era ritenuto capace di condurre anche la
cosa pubblica. Era vero anche il ragionamento contrario: chi non
faceva nulla per gli altri, non sapeva fare neppure per sè.
Si racconta anche che se il proprietario di un grande letamaio
(in Valle d’Aosta questo era spesso chiamato semplicemente “lo
moué”, cioè il “mucchio”, sottinteso “di letame”) era per caso
padre di ragazze, queste erano ambite dai pretendenti alla loro
mano. Le ragazze erano un ottimo partito per il matrimonio, assicuravano tranquillità economica: il letame davanti alla casa era
un indicatore di reddito. Naturalmente il “mucchio” doveva essere
davanti alla casa, comunque nei pressi e ben visibile, e la casa e la
stalla erano ovviamente nel villaggio. Nelle mappe dei terreni, nei
certificati catastali, nei passaggi di proprietà e nelle successioni
ereditarie, il letamaio è per lo più indicato come “fabbricato rurale” se ha qualche parte in muratura, oppure come “corte”, e si
indicano spesso dei “fabbricati rurali con diritto alla corte”.
Tutto questo avveniva ed aveva valore in un mondo dove il reddito
e la sussistenza erano assicurati dalla terra, dagli animali, e quindi
dal letame, spesso visto come merce di scambio. Sò di un vecchio
contratto agricolo in cui il canone d’affitto di un terreno non era
calcolato in chili di fontina o in chili di pane, ma consisteva in un
carro di letame per l’orto.
Spesso nei contratti verbali di affitto si specificava che il letame
da conferire doveva essere “maturo”, paragonato al tabacco, friabile, distinto dal letame fresco, meno prezioso perché meno lavorato. Per ottenere infatti del buon letame nobile e odoroso, non
puzzolente, bisognava rivoltarlo più e più volte nella corte: “verrié
la cor” si diceva, fargli prendere aria, ed era compito degli operai
a servizio del proprietario terriero, oppure a volte era castigo per
Taccuino Aosta
SETTEMBRE
5 SABATO • 6 DOMENICA
Organizzazione CAF Chamonix
TRIANGLE de l’AMITIé
Attività estiva sulle montagne oltreconfine
13 DOMENICA
Sezione Aosta • Escursionismo
COLLE d’ARP 2570 m
20 DOMENICA
S.Sez. St.Barthélemy • Viaggio Nella Terra di Mezzo
La COLLINA di éMARèSE Tra la “Borna della Giassa”, le piste fantasma,
la cava abbandonata.
Percorsi Pomeridiani per piccoli e grandi esploratori
A. Giovanile • In marcia
Viaggio nella Terra di Mezzo
In collaborazione con la Sottosezione di Saint-Barthélemy
qualche disobbedienza del figlio del padrone. Spesso
era compito dell’uomo ingenuo e semplice, dall’intelligenza limitata, che era tenuto in casa, o nella stalla,
un po’ per carità e un po’ per interesse.
Rare volte il letame era considerato un impaccio, e
quelle rare volte lo si depositava un poco lontano da
casa, lo si accantonava al margine di un prato o di
un bosco, e veniva paragonato alle figlie da marito
che lasciavano la casa paterna per andare spose altrove: il padre perdeva quindi una forza-lavoro, doveva
cacciare fuori denaro per il matrimonio e per la dote
della figlia, e sconsolato o scocciato magari della cosa
commentava che “figlie e letame devono stare via da
casa...”
Tutto quanto detto finora, oggi non vale più. Si potrebbe fare un saggio sul cambiamento di civiltà solo
a partire dalla diversa considerazione che l’uomo si
è fatto del letame, da merce quasi preziosa da curare e sfruttare, a problema da risolvere. Nella lingua
dei valdostani si hanno una dozzina di termini per
esprimere tutte le sfumature e le qualità dello sterco,
del suo stato fisico, del suo aspetto esteriore, del suo
uso e della sua destinazione, del suo odore: qualcuno
ha definito il suo odore “parfum de chez-nous”. Una
distinta signora inurbata, ma che era nata e cresciuta nella stalla, ormai anziana tornava ogni estate per
qualche giorno nel suo villaggio natale, e poneva un
suo indumento sulla finestra della stalla dei vicini, perché s’impregnasse del “profumo”, per farle ricordare
la sua infanzia. Forse non aveva letto Marcel Proust e
non conosceva la storia dei biscotti “madeleine”, ma
quella anziana signora era comunque in spirito “à la
recherche du temps perdu”.
Dunque, oggi il letame puzza e basta, oggi il letame
inquina, e tanto. Il suo smaltimento è un serio problema. Letamai e stalle devono essere lontane dai villaggi, isolate e conficcate in un grande pianoro, o in
cima a un cocuzzolo, o in mezzo alla valle: così sono
ben visibili da lontano, dall’autostrada, dalla strada
e da ogni punto panoramico, con tutti i loro annessi
e le loro pertinenze. In genere non sono belle a vedersi, ma sono “stalle modello” ; solo che il modello
cambia troppo spesso. Magari non si sente più l’odore
del letame nel villaggio, ma si sente comunque la sua
puzza da lontano: ora si chiama “biogas”.
Il Direttore
11
12
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
« VERSO L’ALTO »
UNA MOSTRA SUL SIGNIFICATO DELLA MONTAGNA
Ph. Carazzo
“E vanno gli uomini ad ammirare le alte
cime dei monti e i flutti ingenti del mare
e i vastissimi corsi dei fiumi e l’immensa
distesa dell’oceano e il corso delle stelle,
e di se stessi non prendono cura”. Queste parole di sant’Agostino, scritte nel libro Decimo delle Confessioni, al capitolo
8, vengono lette da Francesco Petrarca
al fratello Gherardo sulla sommità del
Mont Ventoux, in Provenza, il 26 aprile
1336 ; così racconta il Petrarca nella sua
lettera scritta il giorno stesso dell’ascensione, data in cui si fa nascere la storia
dell’alpinismo. Ma le parole di Agostino,
lette aprendo a caso il libro delle Confessioni, possono essere prese a prestito
anche per illustrare la mostra allestita
presso il Forte di Bard, dal titolo: Verso
l’alto. L’ascesa come esperienza del sacro.
Il tutte le culture, infatti, la montagna è
considerata un luogo privilegiato per in-
contrare l’Assoluto e per ritrovare se stessi. L’esperienza cristiana della montagna,
in particolare, come ha sottolineato nella
presentazione/inaugurazione l’8 aprile il
monaco di Bose, presso Biella, Enzo Bianchi, è sempre stata dell’idea che il cercare
Dio (quaerere Deum) si risolve anche nel
cercare l’uomo (quaerere hominem). La
montagna come luogo privilegiato per
Dio e per l’altro è un simbolo universale presso le antiche civiltà precolombiane d’America, presso le culture orientali
della Cina e dell’India, e in modo ancora
più evidente, almeno per noi occidentali,
nell’esperienza ebraico-cristiana. I grandi
momenti della Bibbia hanno nelle sommità il loro “milieu”: il sacrificio di Abramo sul monte Moria, il dono della Legge
sul monte Oreb (o Sinai), le gesta di Elia
al monte Carmelo, fino a Gesù sul monte delle Beatitudini, sul monte Tabor, e
soprattutto sul monte Calvario. Ci vuole
“toupet” per chiamare monte la piccola
e quasi impercepibile elevazione del Calvario o Golgota, ma è così. Il monte in genere è un richiamo per l’alto, verso l’oltre
della vita, e i popoli della Mesopotamia
che non avevano montagne, si sono costruitri le “ziqqurat”, le torri dove veniva
a posarsi la divinità. Da queste proviene
il racconto della torre di Babele, o della
confusione. In Occidente, nei secoli in cui
non si poteva andare pellegrini in Terra
Santa e ai suoi vari monti, si è dato mano
per costruire i Sacri Monti (Varallo, Varese, Orta, Domodossola, Crea...).
Tra i vari contributi della mostra al Forte
di Bard, già anticipata nella presentazione dell’8 aprile, quello dell’alpinista Abele Blanc, che presenta alcune sue ascensioni sulle più alte vette del pianeta Terra,
come una ricerca interiore che per certi
aspetti ricorda il “naufragar m’è dolce in
questo mare” sul colle dell’Infinito, di leopardiana memoria.
Si ammirano lungo il precorso della mostra, aperta fino al 31 agosto, oggetti e
opere d’arte, tra cui dipinti di Donatello,
Chagall e Vedova, e poi ancora vasi, tessuti, e il grande e drammatico Cristo di
Mario Stuffer, già a Chamolé di Pila.
Un suggerimento: dopo aver visitato la
mostra al Forte di Bard, magari salendo a
piedi snobbando l’ascensore panoramico
(la salita a piedi è un’ ottima preparazione, e la camminata è ancora più panoramica e tonificante), si potrebbe proseguire per il Gran San Bernardo, luogo di
passaggio e di comunicazione tra i popoli, luogo di ascesi dove il Cristo è adorato
nella preghiera e nella contemplazione
dei monti, e nutrito nei pellegrini e viandanti.
Il Direttore
TRIANGLE DE L’AMITIé: UNA REALTA’ CONSOLIDATA
S
i è svolto sabato 28 e domenica 29 marzo, organizzato
dalla sezione di Aosta, il consueto appuntamento del
Triangle de l’Amitié, che vede adunarsi le tre sezioni
storiche dell’alpinismo: Aosta, Chamonix e Martigny. Come
ogni anno la partecipazione è stata grande (85 presenti)
tra sci alpinisti ed escursionisti con racchette. In questo
appuntamento siamo stati accolti al sabato, con grande
simpatia e cordialità, dalla ditta Grivel di Courmayeur: la
visita guidata dal sig. Gobbi ci ha permesso di “entrare” nel
museo dell’alpinismo Valdostano e Mondiale. Dopo 2 ore
di visita ci siamo recati all’ostello di Arpy: aperitivo, cena e
balli fino a notte fonda, il tutto accompagnato da una fitta
nevicata.
Domenica, nonostante l’abbondante nevicata e anche un po’ di
nebbia, si parte per le escursioni!
Un gruppo con gli sci, accompagnati dal sempre presente alla
manifestazione I.S.A. Alessandro, meta il Colle della Croce, poi
ristretta al lago d’Arpy appunto per le condizioni non ottimali.
Un’altra parte, accompagnata da Renzo e da Fabio (il vero e
proprio promoter del triangle), con racchette attraverso il fitto
bosco fino all’hotel Genzianella, dove ci siamo rifocillati con
cioccolata calda. Rientrati all’ostello, pranzo e saluti di routine.
Nella speranza di vedere ancora questa manifestazione
proseguire, consegniamo il testimone alla sezione di Chamonix
per l’appuntamento di settembre.
Renzo Alberto Carazzo
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
IL C.A.I. OLTRE L’ANDAR PER MONTI
Vntm, Pomeriggi per Piccoli e Grandi Esploratori
T
utto sommato, è piacevole accorgersi che non si era
troppo nel torto quando si proponevano iniziative che
potevano magari sembrare fuori luogo in ambito CAI
(e tali venivano considerate da diversi soci...).
Ora si legge dalle cronache del Congresso Nazionale CAI di
Predazzo, nientemeno che enunciato dal Presidente generale A.Salsa: “Il CAI non si occupa solo dell’aspetto ludico
dell’andar per monti, ma un CAI senza attenzione al sociale
ed alle culture della montagna - ed all’ambiente, come sentinella dell’Alpe - non sarebbe un vero club alpino”.
Non siamo stati i primi, non siamo gli unici, ma la Sottosezione Saint-Barthélemy, e lo scrivente in particolare, sono da
sempre fermamente convinti della necessità di una presenza
e di un’attenzione del sodalizio che vada oltre il semplice
divertimento del camminare od arrampicare.
Quando poi il riscontro per le proposte raggiunge un deciso gradimento, non si può che continuare su quella strada!
Sono diversi gli esempi di iniziative particolari portate avanti negli anni: tortuose miniere, castelli abbandonati, forre
selvagge, luoghi nascosti, antichi canali... La scarsa voglia
di scoperta di molti soci non ha permesso loro di profittare
al meglio di quanto organizzato, ma per i partecipanti si è
trattato di una coinvolgente immersione nella storia e nei
luoghi a margine.
Negli ultimi anni ci siamo inventati anche un acronimo
che trova radici nell’alta letteratura: i Viaggi nella Terra di
Mezzo risalgono infatti al mondo fantastico inventato da
Tolkien, ed agli ambienti che la sua Compagnia dell’Anello
attraversa tra pericoli ed avventure. Si è scelto di effettuare quelle che chiamiamo pomposamente “esplorazioni” al
pomeriggio di domeniche non troppo frenetiche (maggio
e settembre) proprio a sottolineare che i tempi per la conoscenza si espandono per tutto l’anno.
Bisogna anche sottolineare come la rinascita del gruppo di
“In Montagna con Mamma e Papà” abbia dato un impulso
diverso alle proposte messe in cantiere: i bambini sono magari difficili da gestire in qualche frangente, ma riservano
a quanto scoprono un entusiasmo che i soci grandi spesso
hanno dimenticato!
Così, anche per il 2009 proponiamo una delle iniziative che
hanno costituito la maggiore attrazione del triangle de
l’Amitié del 2007, vale dire la visita guidata alle antiche miniere di Saint-Barthélemy. Con un paziente lavoro del Direttivo, tornerà ad illuminarsi il dedalo di gallerie ed anfratti
nel cuore della roccia, ad inseguire echi di lontani minatori;
ed all’esterno, a completare la giornata di archeologia industriale, si osserveranno le interessanti testimonianze della
cava di marmo che poco a poco la natura ha accolto nuovamente tra le sue fronde.
Chissà se un domani la miniera sarà valorizzata, ma di certo
per la cava rimarginata si annunciano tempi tristi: la consueta “lungimiranza” della pubblica amministrazione non ha
trovato di meglio che autorizzare lo sfruttamento del sito
per l’estrazione d’inerti.
PmReb
Alcune incisioni rinvenute sull’altura sovrastante
la cava di marmo
Taccuino Verrès
MAGGIO
GIUGNO
10 domEscursionismo – Parco M.te Avic
17 domAggiornamento istruttori alpinismo
12 ven Gita alpinistica - Pizzo Ciavazes
13 sabGita alpinistica - Pizzo Ciavazes
14 domGita alpinistica - Pizzo Ciavazes
21 dom
CAI Valle d’Aosta: SENTIERO FRASSATI
22 lun - 26 ven 8° Corso ragazzi in montagna
27 sabIncontro Genti del Rosa
28 domEscursionismo – Mont Roux, Mont Bechit
e Rifugio Coda
LUGLIO
04 sab-05 domGita alpinistica - Tête de Valpelline
05 domEscursionismo - Le Meyes e Col Manteau
12 domEscursionismo - Monte Faroma
17 venStar trekking - Rif. Barbustel
18 sab-19 domGita alpinistica - Punta Dufour
19 domGita naturalistica M.te Rothorn
31 venGita per tutti – Monte Peralba
AGOSTO
SETTEMBRE
01 sab-02 domGita per tutti - Monte Peralba
08 venStar trekking - Verrès
08 sab-09 domGita alpinistica/escursionistica - Pizzo Cengalo
09 sabStar trekking - Verrès
14 domStar trekking - Rif. Barbustel
23 domEscursionismo - Rif. Albert Ier
25 marApertura 44° Corso Alpinismo
30 domEscursionismo - Valloni di Verdona e Vessona
06 domEscursionismo - Bivacco Sassa
20 domEscursionismo - Punta Guà
13
14
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
La Storia nelle rocce,
la febbre dell’oro
L’impossibile onestà,
Informazione cercasi
I
“Questi massi arrivano dal massiccio del Gran Paradiso e questi altri
dal gruppo del Monte Rosa!”
Con queste parole il geologo Franco Gianotti, socio del Cai di Aosta, ha stupito i 60 partecipanti tra bambini e genitori della sezione
Alpinismo Giovanile della scuola Angelo Bozzetti, che domenica 22
marzo ha varcato i confini valdostani per esplorare le terre aurifondine della Riserva Naturale Speciale della Bessa, in Provincia di Biella.
Situato allo sbocco della Valle d’Aosta e all’imbocco delle Alpi Biellesi
Meridionali, il parco si presenta come interposizione di morene di
diverse epoche ed è caratterizzato da cumuli di pietrisco creati dalla
coltivazione di un giacimento aurifero. In alcuni tratti si compone di
un panorama quasi lunare, dove gli ammassi di ciottoli si intervallano
a betulle ed arbusti di ginestrone; questi affondano le radici tra gli
spazi lasciati liberi dai ciottoli arrotondati dal movimento dei ghiacciai valdostani, che nell’epoca Quaternaria si sono espansi fino a raggiungere l’arco settentrionale della pianura piemontese formando il
cosiddetto anfiteatro morenico di Ivrea.
La zona esplorata, di circa 7,5 km2, era sfruttata all’epoca romana
durante il regno di Plinio e documenti storici riportano che vi erano
circa 250 insediamenti con oltre 5.000 addetti alle miniere!
L’entusiasmo dei bambini si è fatto più volte sentire, a partire dal
primo evento a sorpresa della giornata, quando a 9 km dalla mèta
il pullman che stava portando il gruppo a Vermogno, punto di partenza dell’uscita, ha rotto i freni! Qualche apprensione in più per i
genitori e gli accompagnatori ma il tutto si è risolto in un paio di
ore quando il pullman sostitutivo in partenza da Aosta ha portato i
valorosi esploratori a destinazione. Ma il culmine dell’entusiasmo è
arrivato nel pomeriggio quando, stivali ai piedi e setacci alle mani,
invece di affrontare ripidi sentieri di montagna i valorosi alpinisti si
sono avventurati nell’alveo del fiume Elvo, dove il gruppo si è lanciato alla famosa “Pesca dell’Oro!”. Forse non tutti sanno che per “pulire” le sabbie aurifere c’è bisogno di tanta acqua, ed è proprio il fiume
Elvo che, scorrendo ai piedi della formazione morenica, ha raccolto
quell’acqua che i romani utilizzavano per separare l’oro dagli altri
minerali, e che ancora oggi consegna ai pazienti ricercatori qualche
piccola pagliuzza d’oro!
Certo che è spontanea una considerazione: per conoscere le montagne valdostane non sempre bisogna guardare in alto, perché anche
scoprendo come le montagne si sono formate e si sono modificate nel
corso delle ere geologiche è possibile amarle e rispettarle nella loro
complessità e nella loro diversità.
E su questo bisogna dire che, ancora una volta, gli organizzatori della
sezione Alpinismo Giovanile di Aosta hanno fatto centro!
Silvana Piotti
n effetti, si può capire che quando dobbiamo
sostenere una nostra posizione a confronto con
altre tendiamo a mettere in risalto gli argomenti a
noi favorevoli ed a trascurare quelli negativi. A volte,
magari anche involontariamente, ci capita di cogliere
quello che ci fa comodo, e di non intendere quello che
non vogliamo intendere. Questo, tutto sommato, è
abbastanza umano, e succede a chiunque ogni giorno,
figuriamoci per operatori dell’informazione o per
coloro che ricoprono cariche pubbliche o professionali.
Su queste pagine, in passato, ho già trattato dell’ormai
annosa questione della strada di Comboé, senza far caso
nell’occasione (e senza minimamente preoccuparmene,
allora come oggi) alla visione forzatamente politica
che gli si è voluta attribuire. Semplicemente, per quel
progetto troppo simile a tutti gli altri portati avanti
negli anni, come per il parcheggio relativo alla pista
di fondo di Saint-Barthélemy trattato nello scorso
numero, cercavo di suggerire nel mio piccolo possibili
confronti e motivi di crescita culturale nella gestione
del nostro territorio.
Certo, quanti avversano la strada nella zona del
Comboé e propongono invece la costruzione di una
monorotaia (utilizzate da anni in Svizzera) magari
sono degli sprovveduti in malafede e non hanno le
idee chiare; ma anche affermare come la suddetta
monorotaia abbia un impatto ambientale maggiore
dello sbancamento per una poderale... Ecco, ciò non è
propriamente onesto!
PmReb
La monorotaia che sale all’alpeggio del Léché, alle pendici
del Faroma, nel Comune di Quart
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
ad ayas il “SENTIERO FRASSATI”
della Valle d’Aosta
L
anciato nel 1996 con il motto
“per incontrare Dio nel Creato”,
il progetto “Sentieri Frassati”
www.sentierifrassati.org si propone
l’intitolazione in ciascuna regione
d’Italia di un sentiero - di particolare
interesse naturalistico, storico e religioso
- al beato Pier Giorgio Frassati (19011925). “I Sentieri Frassati”, ha scritto
nell’occasione il giornalista naturalista
Teresio Valsesia, già vice Presidente
generale del CAI, sono stati “un’opera
tanto esemplare e fruttuosa, da ottenere
un successo che a me personalmente
sembra nettamente superiore alle attese
iniziali”. Il coordinatore nazionale del
progetto “Sentieri Frassati”, Antonello
Sica del CAI, ricorda che è ormai diventato
il simbolo stesso di questa cordata ideale
- che sta attraversando pian piano tutta
l’Italia - benedire il nuovo sentiero con
l’acqua proveniente dai luoghi donde
si dipartono gli itinerari già inaugurati.
Al momento sono quattordici le regioni
italiane che hanno realizzato tale
progetto, alle quali il 21 giugno prossimo,
grazie ad una collaborazione tra gli
l’Assessorati regionali all’Agricoltura e
Risorse Naturali, Turismo, il CAI Valle
d’Aosta ed il comune di Ayas, andrà
ad aggiungersi anche la Valle d’Aosta.
Nella cerimonia inaugurale è prevista
la celebrazione della Messa in località
Fiéry alle ore 11,00, officiata dal vescovo
Mons. Giuseppe Anfossi, preceduta dal
taglio del nastro sul nuovo sentiero
e da un’escursione lungo lo stesso,
accompagnati da guide alpine e guide
escursionistiche
naturalistiche.
Tutti
sono invitati a partecipare all’evento
ed in modo particolare i soci del CAI,
che sicuramente si sentiranno vicini al
Giovane beato Torinese che “amava la
montagna e la sentiva come una cosa
grande, un mezzo di elevazione dello
spirito, una palestra dove si tempra
l’anima ed il corpo...”.
“Non vi potrebbe essere più bella cornice
da apporre al Sentiero Frassati , di quella
offerta dalla testata della Val d’Ayas…”
è quel che percepirà l’escursionista
percorrendo questo incantevole sentiero
che, da un umile paesino di montagna
impregnato di autentici valori, sale
verso i più alti pascoli, laddove pochi
passano e dove pochissimi riescono a
viverci, attraversando secolari boschi,
dove le piante paiono piene di storie da
raccontare e dove gli animali selvatici
sembrano voler rammentare agli uomini
che transitano lo straordinario linguaggio
della natura. Il calore e l’ospitalità di
due rifugi vanno poi ad arricchire tale
contesto tanto da renderlo un quadro
di sublime creazione, meritevole di una
solenne cornice: le note cime del Monte
Rosa. Queste paiono come austere
sentinelle guardiane sulla vallata,
plasmate da severi ghiacciai custodi di
leggende fantastiche.
La scelta del luogo è stata pressoché
obbligata in quanto si tratta delle
località dove la famiglia Frassati era solita
soggiornare per le vacanze estive, fin da
quando Pier Giorgio era ancora bambino;
inoltre, la zona è quella dove transitano
alcuni fra i più importanti trekking della
Regione Autonoma VdA - CAI Valle d’Aosta - Comune di Ayas
domenica 21 giugno - inaugurazione Sentiero Frassati
ore 7.30Saint-Jacques
partenza escursione integrale
ore 9.30Saint-Jacques
partenza escursione breve
ore 11.00 Fiéry
Santa Messa officiata dal Vescovo Monsignor Giuseppe Anfossi
Descrizione del percorso:
Lasciato l’abitato di Saint-Jacques
si sale su comoda mulattiera fra
boschi di conifere fino a raggiungere
la località Fiéry a quota 1.875 m
slm., dove sorge l’ex “Albergo
Bellevue” che veniva frequentato
come residenza estiva dalla famiglia
Frassati.
Da qui il sentiero sale per un primo
tratto piuttosto ripido in direzione
colle Cime Bianche, fino nei pressi
dell’alpe Vardaz a quota 2.334
m, e ridiscende poi sulla destra
nell’incantevole pianoro di Cères
(meglio conosciuto come “valletta
amena”). Attraversato quest’ultimo,
il percorso prosegue verso Pian di
Véraz inferiore a quota 2.069 m,
dopo aver superato un suggestivo
passaggio nel torrente Cères. Dai
piedi dei colossi del Monte Rosa
un comodo sentiero a mezza costa
conduce ai 2.066 m di quota di
località Résy, panoramica terrazza
naturale, dove sono ubicati i rifugi
Ferraro e Guide di Frachey.
Giunti a questo punto si riprende la
discesa verso Saint-Jacques durante
la quale, fra imponenti larici, si
incontra un cippo commemorativo
dedicato a Pier Giorgio Frassati.
Tempo totale di percorrenza in
andata: 5h 35 min.
Valle d’Aosta quali l’Alta Via n.1 ed il
Tour del Monte Rosa.
Si è cercato di realizzare un itinerario
ad anello che valorizzasse le numerose
bellezze e varietà del paesaggio, con
un percorso comodo e ben segnalato,
accessibile a qualsiasi escursionista,
percorribile tranquillamente in una
giornata, raggiungibile all’imbocco
anche con mezzi pubblici.
Sono possibili due varianti all’anello
principale, che riducono notevolmente
la durata del percorso senza rinunciare a
toccare i principali punti commemorativi
del Beato.
I numerosi simboli religiosi che si
incontrano in questi luoghi (cappelle,
edicole votive, croci di legno, ecc.)
stanno a testimoniare la lunga tradizione
religiosa che da sempre caratterizza
queste genti di montagna, le quali,
ancora pochi decenni fa, conducevano
vite austere, fra mille difficoltà, trovando
forza in un profondo legame con la fede
e con la natura.
Luciano Bonino
15
16
N. 2 - maggio 2009
MONTAGNES VALDÔTAINES
Montagna, musica, poesia
J’ai eu un sursaut au coeur en lisant pour la
première fois le texte complet de la poésie de
Chateaubriand (1768-1848), le grand auteur
romantique français connu surtout pour ses
oeuvres “Le Genie du Christianisme” et “Mémoires
d’outre-tombe”.
Le sursaut du coeur est dû au fait que je me suis
souvenu d’avoir, dans un temps désormais revolu,
commenté le début de cette poésie: Combien j’ai
douce souvenance / du joli lieu de ma naissance...
/ ô mon pays soit mes amours toujours.
Il y a 40 ans de cela.
Je ne me souviens plus de ce que j’ai écrit,
ni de la note que j’ai prise,
mais le souvenir de mon charmant pays,
Saint-Barthelemy,
(selon la rime de l’abbé Henry)
n’est pas encore terni.
Le montagnard émigré
Combien j’ai douce souvenance
Du joli lieu de ma naissance.
Ma soeur, qu’ils étaient beaux les jours de France.
O mon pays soit mes amours toujours.
Te souvient-il que notre mère
Au foyer de notre chaumière
Nous pressait sur son sein joyeux
Ma chère?
Et nous baisons ses blancs cheveux
Tous deux!
Ma soeur, te souvient-il encore
du château que baignait la Dore
Et de cette tant vieille tour
Du More,
Où l’airain sonnait le retour
Du jour?
Te souvient-il du lac tranquille
Qu’effleurait l’hirondelle agile;
Du vent qui courbait le roseau
Mobile,
Et du soleil couchant sur l’eau,
Si beau?
Te souvient-il de cette amie
Tendre compagne de ma vie?
Dans les bois, en cueillant la fleur
Jolie
Hélène appuyait sur mon coeur
Son coeur.
Oh! Qui me rendra mon Hélène,
Et ma montagne et les grand chène,
Leur souvenir fait tous les jours
Ma peine:
Mon pays, sera mes amours
Toujours!
SOTTOzero
• - E in quella camera ho messo una luce a led.
- Perché, era ammalad?
• Un pesce sul telo da spiaggia? Si acciuga
• Evidente che il sub indossi la muta: chi riesce a parlare sott’acqua?