moratti bioetica 2009

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moratti bioetica 2009
LA PROPORZIONALITÀ DELLE CURE IN NEONATOLOGIA:
un documento della Società Olandese di Pediatria (1992)
Sofia Moratti*
Fino agli anni ‘80, in Olanda non esisteva alcuna regolamentazione delle
decisioni di fine vita in neonatologia, neppure sotto forma di protocolli
professionali. Eventuali limitazioni di trattamenti di sostegno vitale erano
di fatto decise dal medico di turno quando le condizioni cliniche del paziente sembravano imporre tale scelta: ma al medico non era fatto obbligo di consultare i propri colleghi o i genitori del neonato. Allo stesso
tempo, le conseguenze giuridiche della sospensione del presidio di sostegno vitale non erano chiare: reato o ordinaria decisione sulle cure, pienamente lecita in quanto rientrante nella sfera della discrezionalità
professionale del sanitario? Non esistevano ancora studi su caratteristiche
e incidenza delle decisioni di fine vita nella neonatologia: la considerevole
mole di dati riguardanti l’Olanda di cui disponiamo oggi è stata prodotta
più tardi.1
Nei primi anni ‘80 emerse progressivamente la necessità di adottare regole per prevenire l’accanimento terapeutico in neonatologia. Il dibattito
iniziò con la netta presa di posizione del neonatologo Versluys (sostenuto
dal teologo calvinista Kuitert) contro l’uso indiscriminato della terapia
intensiva sui neonati. Sia Versluys che Kuitert erano docenti presso la Libera Università di Amsterdam, un’istituzione il cui originario orientamento ideologico calvinista era diventato meno rigido nel corso del
* Università di Groningen, Olanda.
1
I dati sulla neonatologia sono stati raccolti nell’ambito di studi nazionali (del 1995, 2001 e
2005) su caratteristiche e incidenza delle decisioni di fine vita in Olanda, pubblicati in forma
completa in Wal, G Van Der et al., Medische besluitvorming aan het einde van het leven: de praktijk en de toetsingsprocedure euthanasia en het verslag van de begeleidingscommissie van het evaluatieonderzoek naar de medische besluitvorming aan het einde van het leven. Utrecht: De
Tijdstroom, 2003 ed in Onwuteaka-Philipsen B et al. Evaluatie wet toetsing levensbeëindiging
op verzoek en hulp bij zelfdoding. Den Haag: ZonMw, 2007 e ripresi successivamente in Griffiths J, Weyers H, and Adams M (eds). Euthanasia and Law in Europe. Oxford: Hart Legal
Publishers, 2008.
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tempo. Secondo Versluys e Kuitert, evitare cure sproporzionate fa a tutti
gli effetti parte delle responsabilità professionali del neonatologo.
In quegli stessi anni, anche altri sviluppi contribuirono a portare alla
decisione di regolamentare l’uso delle cure salvavita in neonatologia. La
crescente professionalizzazione degli infermieri li rendeva sempre più
parte attiva del processo decisionale sulle terapie: ed in effetti sono gli infermieri, più che i medici, ad avere in carico la cura quotidiana di un
bambino gravemente sofferente e a vedere da vicino le sue effettive condizioni. Con crescente frequenza, erano gli infermieri a sollevare la questione della proporzionalità delle cure in casi disperati. Nello stesso
periodo nacquero diverse associazioni per i diritti dei genitori. Sempre
più informati e consapevoli, i genitori chiedevano il riconoscimento del
proprio diritto ad esprimere il consenso ai trattamenti medici dei figli, incluse le terapie salvavita.2
Fu allora la professione medica, e non la politica, ad attivarsi per stabilire delle regole. Nel 1986, la Società Olandese di Pediatria nominò un
gruppo di lavoro per la regolamentazione del processo decisionale sulla
somministrazione di trattamenti salvavita in neonatologia. La selezione
dei sei membri del gruppo riflette la tradizione di pluralismo e mediazione caratteristica della cultura politica olandese: si trattava di sei neonatologi ciascuno con un background ideologico, politico e religioso
diverso.3 Quasi contemporaneamente, anche l’Ordine dei Medici nominò
una commissione, nell’ambito di un progetto più ampio di studio delle
decisioni di fine vita in pazienti non capaci (comprendenti comi di lungo
termine e pazienti in stato vegetativo, anziani con un declino cognitivo
gravissimo ed alcune categorie di pazienti psichiatrici). Le due commissioni operarono in stretta collaborazione e il documento che viene in genere citato è quello della Società Olandese di Pediatria. Il gruppo di
esperti della Società di Pediatria completò i propri lavori nel 1992.4
2
Ploeg T Van Der. ‘Het proces van zelfregulering van levensverkorterend handelen bij pasgeborenen’. In Stamhuis J and Weyers H (eds.), Zelfreguliering. Amsterdam: Elsevier, 2003.
3
I membri erano due calvinisti (Versluys e Sauer), due cattolici di cui uno conservatore (Jansen e Kollée), un protestante conservatore (Wierenga) e un uomo di estrema sinistra (De
Leeuw).
4
Griffiths J, Weyers H, and Adams M (eds). Euthanasia and Law in Europe. Oxford: Hart
Legal Publishers, 2008.
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Atti del convegno
Le regole contenute nel documento del 1992 si applicano ai neonati
dipendenti da terapia intensiva (o da terapie salvavita come ad esempio
operazioni chirurgiche). Evitare l’accanimento terapeutico limitandosi
alle cure palliative porta ad una morte naturale. Il documento del 1992
non va confuso con il Protocollo di Groningen, redatto molti anni dopo
e rivolto a una diversa categoria di pazienti. Il Protocollo di Groningen
si applica ai neonati indipendenti da terapia intensiva e da terapie salvavita, che soffrono in misura insopportabile e senza alcuna prospettiva di
miglioramento. In tali rarissimi casi, il medico può decidere (dietro richiesta dei genitori) di terminare la vita del neonato per mezzo di un’iniezione. In tale caso, il decesso del neonato non é una “morte naturale”. Il
medico deve riportarlo ad un apposito Comitato di Esperti che indagherà
sul caso. Se il Comitato trova che i criteri stabiliti dal Protocollo di Groningen non siano stati rispettati, il medico rischia un’incriminazione per
omicidio.5
In linea con quanto a suo tempo sostenuto dal neonatologo Versluys e
dal teologo Kuitert, nel documento del 1992 si sostiene che evitare l’accanimento terapeutico faccia parte delle responsabilità professionali del
medico. L’aspettativa di vita fa da spartiacque tra trattamento “impossibile”
(è questo ad esempio il caso del neonato asfittico Sarnat 3 con tendenza
al peggioramento) e “cure sproporzionate”. Il documento stabilisce sei criteri per valutare la proporzionalità delle cure, e specifica che i sei criteri non
sono in ordine gerarchico ma hanno tutti la medesima importanza.6
Aspettativa di vita. L’aspettativa di vita brevissima porta a qualificare
il trattamento salvavita come “impossibile”. In tutti gli altri casi, la lunghezza dell’aspettativa di vita è un fattore che aiuta a stabilire se un trattamento sia proporzionato o meno.
Sofferenza. La sofferenza non include solo il dolore fisico, ma anche
quello psicologico ed esistenziale. Subordinatamente alla sofferenza nel
presente, occorre tener conto anche della sofferenza nel futuro, nella mi-
5
Moratti S, “Il Protocollo di Groningen: conversazioni con Eduard Verhagen”. Bioetica. Rivista interdisciplinare, 2008, XVI, pp. 503-517.
6
Nederlandse Vereniging voor Kindergeneeskunde (NVK). Doen of laten? Grenzen van het
medisch handelen in de neonatologie. Utrecht: NVK, 1992.
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sura in cui è prevedibile. Le previsioni circa la sofferenza futura devono
considerare le possibilità di miglioramento della condizione del bambino
e della possibilità di dare delle speranze vere e non illusorie a lui e a chi
gli sta intorno.
Capacità di comunicazione. Il termine “comunicazione” è qui intenso
nel senso più ampio, come interazione del soggetto con l’ambiente, consapevolezza dell’ambiente e capacità di riceverne degli stimoli e di reagire
ad essi. La comunicazione può essere sia verbale che non verbale.
Autosufficienza. Ci si riferisce qui alla dipendenza del paziente dalla
cura di altri esseri umani nelle azioni quotidiane, dalla mobilità alla cura
della persona.
Dipendenza da cure mediche. Questo criterio fa riferimento ai ricoveri
ed alle cure che il neonato si troverà a dover affrontare nel corso della
propria vita. Le cure in neonatologia sono sproporzionate se portano a
un’esistenza segnata da permanenze a lungo e lunghissimo termine in
strutture sanitarie e da trattamenti medici invasivi, che lasciano pesanti
strascichi e richiedono tempi di recupero lunghissimi e sono volti solo a
prolungare la sopravvivenza senza apportare significativi miglioramenti
alla condizione del bambino
Sviluppo della persona. Questo criterio fa riferimento alle prospettive
per il futuro del neonato in termini di possibilità di alfabetizzazione e di
capacità di lavoro. Non deve trattarsi necessariamente di lavoro retribuito:
il documento del 1992 non menziona la capacità della persona con handicap di produrre reddito. Il lavoro è concepito non come mezzo di sostentamento ma piuttosto come attività che consente la partecipazione
attiva della persona nella società.
Il documento del 1992 regolamenta anche il processo decisionale che
porta alla decisione di limitare l’applicazione delle cure salvavita. Il processo decisionale include:
Pianificazione anticipata delle cure. Occorre, ad esempio, discutere e
decidere in anticipo se rianimare o no nell’eventualità di un arresto cardiaco o di una crisi respiratoria.
Nomina di un neonatologo curante per ogni neonato. Il neonatologo curante farà da punto di riferimento per i colleghi e i genitori garantendo
la continuità e la coerenza delle scelte terapeutiche.
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Coinvolgimento dei genitori. I genitori devono sempre essere pienamente informati circa le condizioni del bambino, incluse (per quanto
prevedibili) le aspettative per il futuro. I genitori devono avere un ruolo
chiave nelle decisioni e la loro volontà deve avere un peso determinante
nelle scelte terapeutiche.
Meeting interdisciplinari. Le discussioni della situazione del bambino
tra medici di diverse specialità (ad esempio neurologi infantili e neonatologi) e con i genitori avvengono in apposite sale riunioni. Anche uno o
più infermieri sono in genere presenti, insieme ad altri professionisti come
ad esempio assistenti sociali. Il contenuto delle discussioni e le argomentazioni dei medici e dei genitori riguardo a decisioni di limitare la terapia intensiva devono essere riportate integralmente e dettagliatamente
nella cartella clinica.
Eventuale consulto di medici indipendenti. Medici di altri centri possono essere consultati non solo per stabilire la diagnosi e la prognosi, ma
anche nel caso di incertezze sulle decisioni di fine vita o di disaccordo all’interno del team medico o tra il team e i genitori circa le scelte terapeutiche da intraprendere.
Il documento elaborato dal gruppo di esperti fu sottoposto a un comitato di giuristi, discusso in un meeting generale della Società di Pediatria, ed infine approvato a larga maggioranza dopo qualche
emendamento. Si tratta di un libro di una sessantina di pagine diviso in
nove capitoli, con un allegato che approfondisce delle questioni chiave di
natura giuridica. Il titolo del documento è: “Doen of laten” (“Intervenire
o no?”). È oggi considerato il testo di base della regolamentazione delle
decisioni di fine vita in neonatologia in Olanda. Varie sentenze hanno
dimostrato che i tribunali olandesi prendono molto sul serio “Doen of
laten”, anche se si tratta di una forma di auto-regolamentazione professionale.7 Nel 1997, un documento redatto da un Gruppo di Lavoro di nomina congiunta del Ministero della Salute e del Ministero della Giustizia
ha ribadito il ruolo centrale di “Doen of laten” nella regolamentazione
7
Si veda ad esempio il caso riportato in forma anonima in Nederlandse Jurisprudentie
2878(602):1995 (primo grado) ed in Nederlandse Jurisprudentie 2303(113):1996 (appello),
ed il caso riportato in forma anonima in Medisch Contact 199(51):1996 (primo grado) e in
Tijdschriften voor Gezondheidsrecht 284(20):1996 (appello).
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delle decisioni di fine vita in neonatologia.8 Tuttavia, ai tempi della sua
elaborazione, “Doen of laten” ha ricevuto pesanti critiche in Olanda, da
parte dei media e di parte della società e del mondo politico. Uno dei
membri del Gruppo di Lavoro ha detto in un’intervista: “ci chiedevano
se ci credevamo di essere Dio, per decidere della vita dei bambini”.9
A mio avviso, è un grande segno di civiltà che una società sia in grado
di guardare criticamente all’uso delle terapie salvavita. Credo che i nodi
etici figli dell’evoluzione tecnologica siano i medesimi, ed emergano in
maniera analoga, anche in società diverse tra loro. L’attuale dibattito italiano sulla rianimazione dei neonati estremamente prematuri ha molto in
comune con le discussioni che hanno portato all’elaborazione del documento olandese; certo i toni da noi sono più accesi, perchè nella nostra
società c’è più tendenza alla polarizzazione dei conflitti soprattutto se vi
entra una componente politica e ideologica. L’etica di fine vita è un ambito complesso in cui non esistono certezze e risposte facili, ma solo caute
ricerche di un miglioramento dell’esistente nella consapevolezza della nostra imperfezione e fallibilità e delle enormi responsabilità che lo scegliere
implica; ma non per questo possiamo esimerci dallo scegliere, dato che
non cambiare regole e pratiche è già di per sé una scelta. La metafora più
adatta a rappresentare il tentativo di regolamentare la somministrazione
di terapie salvavita è la Barca di Neurath: siamo come marinai che devono ricostruire la propria imbarcazione in mare aperto, senza poterla disarmare all’asciutto in cantiere e ricostruirla con componenti migliori.10
8
Overleggroep toetsing zorgvuldig medisch handelen rond het levenseinde bij pasgeborenen.
Toetsing als spiegel van de medische praktijk. Rijkswijk, Uitgave Ministerie van Volkgezondheid
Welzijn en Sport: 1997.
9
Cfr. nota 2.
10
La metafora della Barca di Neurath è spiegata a p.3 ss in Quine WVA, Word and object.
Cambridge, Massachussetts: MIT press, 2001 (24 ed.)
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