La scienza ha un ruolo fondante - ICTP/CNR

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La scienza ha un ruolo fondante - ICTP/CNR
SABATO 26 MAGGIO 2007
LA SICILIA
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Parole
di ieri
Non pontificare
Le considerazioni del
presidente Montezemolo mi
sono apparse fuori dal suo
ambito. I politici non sono
dei bambini all’asilo che hanno bisogno
continuamente di insegnamenti. Gli dirò
chiaramente di risparmiarsi certi pontificali.
Giulio Andreotti
Uomini nuovi memoria corta
Sono io che ho portato queste idee nella politica... Sono
io il più concreto, il più pragmatico. Si cerca il Sarkozy
italiano. E invece non hanno capito che Sarkozy è il
Berlusconi francese. Tra l’altro, è stato anche il mio
avvocato. E poi, diciamo la verità, questi cosiddetti uomini nuovi hanno
la memoria corta.
Silvio Berlusconi
APPUNTI
Quando la morte è un’opinione
SALVATORE SCALIA
A
meno che non sia ufficialmente domiciliato in una bella tomba con tanto di
bara, di foto e di date, è difficile rintracciare un morto. Ed ha ragione la Questura
di Palermo a dichiarare irreperibile il vecchio
capo mafia di Partanna don Saro Riccobono,
ucciso, secondo le rivelazioni dei pentiti, dai
corleonesi venticinque anni fa. Il problema è
che della vittima non si è mai trovato il corpo
e quindi non si può considerare completamente defunto. O meglio, a seconda dell’elasticità delle regole giuridiche, talvolta può figurare come trapassato e tal’altra come vivente. Don Saro è stato considerato morto dai
giudici che hanno condannato all’ergastolo i
suoi assassini nonché da quelli che hanno dichiarato estinti per morte del reo alcuni processi a suo carico. E’ invece ritenuto vivo e vegeto, nonché ricercato, dalla Corte d’appello di
Palermo che lo sta processando in contumacia
per applicare una misura di prevenzione patrimoniale. In realtà neanche sulle modalità dell’uccisione esiste una verità univoca. Gaspare
Mutolo racconta di un’esecuzione nel bagno a
casa di Michele Greco. Balduccio Di Maggio ha
riferito di un pranzo mortale in contrada Dammusi a San Giuseppe Jato, regno dei Brusca. Ci
sono casi un cui anche la morte è un’opinione.
IL DIBATTITO. Due interventi in risposta a Pietro Barcellona che ha messo in guardia da una tecnologia «padrona» della vita
Montaudo: la scienza
ha un ruolo fondante
Biologia e cultura. «Il controllo sociale di tutte le
tecnologie è sano e doveroso, ma niente anatemi»
GIORGIO MONTAUDO
R
iaffiora il dibattito sui problemi esistenziali, ed il progresso scientifico e quello tecnologico si trovano perennemente sotto accusa, spesso additati come causa non secondaria
dei mali del mondo. A nulla valgono i magnifici risultati della ricerca scientifica, che pure ci ha assicurato durata e condizioni di vita mai sognate
prima d’ora (a fronte della realtà del passato che
condannava il popolo ad una vita ben misera e disperata; già scordata la valle di lacrime?). A nulla
valgono le conquiste della scienza, frutto del migliore e più alto impegno dell’intelletto umano. Il
pregiudizio palese è sempre lo stesso: l’uomo è
sempre stato geloso del suo primato. Le nostre
funzioni mentali, inviolate e non comprese fin
dalla notte dei tempi, hanno istillato in noi la convinzione di non essere animali più evoluti degli altri, ma di essere Semidei, esseri superiori. Semidei,
e quindi non soggetti, almeno per l’attività mentale, alle leggi della bruta materia. La scienza, chimica e neurologica, ha il torto di aprire il ventre molle del semidio e di scoprirvi la meccanica che ne
costituisce la base funzionale!
Cito dall’articolo di Barcellona su La Sicilia del
22.05.07: "il capitalismo nella fase dispiegata della tecnologia e delle neuroscienze artificiali si candida a gestire direttamente il processo di creazione della vita e a trasformare in business la nascita
e la morte". Ebbene, dov’è la novità? La chirurgia
e la medicina decidono ogni giorno commercialmente della vita e della morte senza creare scandalo alcuno! Le tecniche di trapianto di organi e la
pratica delle donazioni sono da condannare assieme alle paventate e ipotetiche manipolazioni genetiche?
Mi dispiace avvertire in quella prosa l’acredine
con cui si condannano "le protesi tecnologiche", "
i farmaci capaci di gestire le nostre emozioni", "il
capitalismo tecnologico che riduce la religione e la
coscienza ad una questione biochimica di funzionamento neuronale". Il controllo sociale di tutte le
tecnologie è sano e doveroso, ma perché passare
all’anatema, esasperare i toni, trattando un argomento che richiede invece pacatezza, lucidità di
giudizio e ponderazione da parte di tutti?
Ancora, mi stupisce la sequenza di giudizi negativi sulla scienza, chiamata indebitamente scientismo. Il termine scientismo viene usato negativamente in teologia, per riassumere tutta quella serie di fatti e teorie scientifiche che stanno in contrasto con la lettera delle sacre scritture. Sotto
questo aspetto, il problema principale che Barcel-
lona prospetta mi sembra quello di come "rimanere fermi all’irriducibilità dell’uomo al campo biologico e delle neuroscienze, e di mantenere aperta la dialettica fra spazio vitale della creazione
umana e la sfera del meramente naturale". Mantenere questa differenza fra umano e meramente
naturale, fra biologia e cultura, sembra a Barcellona condizione necessaria per credere alla trascendenza, all’esistenza di Dio ed ai valori morali connessi.
Fortunatamente non è proprio così, le due cose
camminano su binari diversi.
Anche se l’origine biologica della cultura umana fosse in futuro supportata da solide evidenze
sperimentali, ciò non comporterebbe implicazioni di tipo fideistico. Questa è storia vecchia, la separazione fra scienza e fede, fra naturale e sopranaturale, è stata sancita fin dal Medioevo e nessuno si sogna di cambiarla.
Citando da Alberto Magno (1183-1280), Vescovo Domenicano, detto il Doctor Mirabilis, leggiamo: "Nella scienza non abbiamo come compito di
indagare il modo in cui Dio interviene direttamente compiendo secondo la sua volontà il miracolo della creazione che rivela la sua onnipotenza;
piuttosto, dobbiamo ricercare che cosa, nell’ambito della natura può accadere in modo naturale tramite le cause che regolano i fenomeni naturali".
"Se qualcuno obiettasse che Dio potrebbe arrestare, con la sua volontà, lo sviluppo della natura, allora risponderei che quando pratico la scienza
non mi occupo del miracolo dovuto all’intervento
di Dio".
Pertanto, non mi sembra produttivo spostare il
dibattito sull’impiego delle nuove tecnologie al
piano religioso. Le nuove conoscenze scientifiche
entrano spesso in conflitto con alcuni modelli della realtà sviluppati dal pensiero filosofico tradizionale, e non c’è da sorprendersi che ci siano reazioni volte a contrastare il ruolo fondante della scienza nella civiltà contemporanea, a sminuire il valore del progresso scientifico.
Non mi sembra opportuno procedere qui ad
un’analisi dei modelli cognitivi suggeriti dalle ricerche nel campo delle neuroscienze. Qualcosa
tuttavia va detto, sempre a scopo divulgativo, sul
ruolo funzionale e specifico che alcuni apparati cerebrali preinstallati svolgono nel nostro cervello,
sui circuiti neuronali, sulla mente. Alla base delle
capacità umane vi è la specializzazione. Parti ben
determinate del nostro cervello sono strutturate
per affrontare in modo autonomo una serie di
problemi specifici, le cosiddette funzioni superiori. Su questo argomento torneremo presto.
Aveva scritto
Barcellona:
schierarsi sui
temi di frontiera
dell’esistenza
Ecco alcuni brani
dell’articolo di Pietro
Barcellona pubblicato il
22 maggio scorso su
questo giornale:
«È questa la posta in
gioco: stare dalla parte
del capitalismo
tecnologico che riduce
la religione e la
coscienza a una
questione bio-chimica
di funzionamento
neuronale, secondo cui
Dio e la coscienza sono
tecnologie prodotte nel
corso dell’evoluzione
naturale per controllare
l’aggressività (...)
oppure restare fermi
all’irriducibilità
dell’umano al campo
del biologico e delle
neuroscienze e
mantenere aperta la
dialettica fra lo spazio
mentale della creazione
umana e la sfera del
meramente naturale.
L’alternativa di fronte
alla quale ci troviamo è
quella di due opposte
visioni del mondo: la
prima nega ogni
possibile scarto fra i
nostri pensieri, le nostre
rappresentazioni e
l’accadere fisico degli
eventi del mondo reale,
giacché tutto si risolve
nell’immanenza
radicale di ogni criterio
di valore (normativo) al
processo evolutivo della
selezione naturale (non
c’è alcun valore oltre i
fatti della cosiddetta
vita quotidiana); la
seconda ritiene che il
campo specificamente
umano dell’esperienza
rimandi da ogni lato a
una trascendenza
dell’Origine di ogni
cosa e della Natura
come potenza ed
energia sottratta alla
disponibilità della
tecnica.
Ventorino: la realtà
rimanda a un Oltre
Il centro della questione. «Chi esclude Dio
finisce per annullare anche l’uomo»
FRANCESCO VENTORINO
P
er una imprevista coincidenza
l’articolo di Pietro Barcellona di
martedì 22 maggio su questo
giornale è sembrata una vibrata e convinta risposta a Paolo Flores D’Arcais. In
un dibattito con Giuliano Ferrara, riportato da "Il Foglio" del sabato precedente,
Flores D’Arcais aveva affermato, in riferimento alla proposta di Benedetto XVI,
fatta a credenti e a non credenti, di tornare a vivere "come se Dio ci fosse", che
fare ricorso al concetto di Dio in politica
sarebbe reintrodurre un potenziale autodistruttivo e ci farebbe ripiombare nei
secoli più bui del nostro passato, contrassegnati dalle guerre di religione.
Pietro Barcellona, invece, osa affermare che "la trascendenza, il problema
dell’esistenza di Dio, il problema di una
natura che ci preesiste… non sono questioni teologiche e religiose, ma sono
questioni politiche che riguardano il nostro presente giacché dobbiamo prendere posizione sulle manipolazioni genetiche e sull’intervento tecnologico nei processi naturali". La politica, infatti, oggi
non è pensabile se non a partire da una
"non riducibilità dell’umano a evoluzione naturale", perché questa riduzione
negherebbe la capacità esclusiva dell’uomo di interrogarsi sul senso della vita e di conseguenza l’introduzione della
"libertà nel processo naturale del crescere e del morire". La vera politica, dunque,
si costituisce sul rifiuto dell’opzione opposta, quella fondata sullo scientismo e
l’ateismo, che implica "la naturalizzazione dei segreti dell’animo in quanto
reazioni chimiche ed elettriche".
Due opposte visioni del mondo si
combattono oggi trasversalmente in tutti gli schieramenti e rispetto a queste
siamo tutti chiamati a prendere partito,
evitando l’ambiguità di quei politici che,
quando "non riescono a risolvere i problemi neppure con le formule vuote del
politichese si affidano alle questioni di
coscienza come nel caso della ricerca
sugli embrioni".
L’alternativa, infatti, di fronte alla quale ci troviamo è tra l’affermare che tutto
si risolve "nell’immanenza radicale di
ogni criterio di valore (normativo) al
processo evolutivo della selezione naturale" e il riconoscimento che l’esperienza umana rimanda "a una trascendenza
dell’Origine di ogni cosa e della Natura
come potenza ed energia sottratta alla
disponibilità della tecnica".
Ho trovato nelle parole di Barcellona
una profonda consonanza - anche se a
distanza - con quelle dette da Giuliano
Ferrara nel dibattito citato, quando parlando della democrazia americana egli
faceva notare che essa è stata mantenuta salda da "un rapporto fondativo con
Dio", riconosciuto nella Costituzione,
cioè dalla convinzione "che gli uomini
sono nati liberi e eguali - e che il fondamento di questo loro assoluto diritto è a
sua volta un assoluto". Perché, osava affermare Ferrara, "la democrazia è opera
di Dio, fatemelo dire provocatoriamente,
cioè della presenza di un concetto di Dio
nella storia". Quindi non c’è proprio nulla da fare: "Dio non è solo compatibile
con la democrazia, con il concetto di
persona, con la libertà dell’individuo,
con la liberazione dalla schiavitù e da
tutte le schiavitù. Dio non è solo ’compatibile’, Dio è all’origine (un concetto di
Dio specifico dell’occidente". L’incarnazione di Dio nella storia è proprio all’origine delle nostre libertà. "Lo stato laico,
la laicità stessa, è un’invenzione della
religione cristiana".
È per questo che, con buona pace di
Flores D’Arcais, la sfida lanciata a Norcia
dal Cardinale Ratzinger, qualche giorno
prima che divenisse Papa Benedetto XVI,
rimane più che mai attuale, soprattutto
nelle sue motivazioni: "Il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose
umane facendo completamente a meno
di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento
totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via
dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la
sua vita "veluti si Deus daretur", come se
Dio ci fosse. […] Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre
cose trovano un sostegno e un criterio di
cui hanno urgentemente bisogno».