La scienza ha un ruolo fondante - ICTP/CNR
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La scienza ha un ruolo fondante - ICTP/CNR
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Tra l’altro, è stato anche il mio avvocato. E poi, diciamo la verità, questi cosiddetti uomini nuovi hanno la memoria corta. Silvio Berlusconi APPUNTI Quando la morte è un’opinione SALVATORE SCALIA A meno che non sia ufficialmente domiciliato in una bella tomba con tanto di bara, di foto e di date, è difficile rintracciare un morto. Ed ha ragione la Questura di Palermo a dichiarare irreperibile il vecchio capo mafia di Partanna don Saro Riccobono, ucciso, secondo le rivelazioni dei pentiti, dai corleonesi venticinque anni fa. Il problema è che della vittima non si è mai trovato il corpo e quindi non si può considerare completamente defunto. O meglio, a seconda dell’elasticità delle regole giuridiche, talvolta può figurare come trapassato e tal’altra come vivente. Don Saro è stato considerato morto dai giudici che hanno condannato all’ergastolo i suoi assassini nonché da quelli che hanno dichiarato estinti per morte del reo alcuni processi a suo carico. E’ invece ritenuto vivo e vegeto, nonché ricercato, dalla Corte d’appello di Palermo che lo sta processando in contumacia per applicare una misura di prevenzione patrimoniale. In realtà neanche sulle modalità dell’uccisione esiste una verità univoca. Gaspare Mutolo racconta di un’esecuzione nel bagno a casa di Michele Greco. Balduccio Di Maggio ha riferito di un pranzo mortale in contrada Dammusi a San Giuseppe Jato, regno dei Brusca. Ci sono casi un cui anche la morte è un’opinione. IL DIBATTITO. Due interventi in risposta a Pietro Barcellona che ha messo in guardia da una tecnologia «padrona» della vita Montaudo: la scienza ha un ruolo fondante Biologia e cultura. «Il controllo sociale di tutte le tecnologie è sano e doveroso, ma niente anatemi» GIORGIO MONTAUDO R iaffiora il dibattito sui problemi esistenziali, ed il progresso scientifico e quello tecnologico si trovano perennemente sotto accusa, spesso additati come causa non secondaria dei mali del mondo. A nulla valgono i magnifici risultati della ricerca scientifica, che pure ci ha assicurato durata e condizioni di vita mai sognate prima d’ora (a fronte della realtà del passato che condannava il popolo ad una vita ben misera e disperata; già scordata la valle di lacrime?). A nulla valgono le conquiste della scienza, frutto del migliore e più alto impegno dell’intelletto umano. Il pregiudizio palese è sempre lo stesso: l’uomo è sempre stato geloso del suo primato. Le nostre funzioni mentali, inviolate e non comprese fin dalla notte dei tempi, hanno istillato in noi la convinzione di non essere animali più evoluti degli altri, ma di essere Semidei, esseri superiori. Semidei, e quindi non soggetti, almeno per l’attività mentale, alle leggi della bruta materia. La scienza, chimica e neurologica, ha il torto di aprire il ventre molle del semidio e di scoprirvi la meccanica che ne costituisce la base funzionale! Cito dall’articolo di Barcellona su La Sicilia del 22.05.07: "il capitalismo nella fase dispiegata della tecnologia e delle neuroscienze artificiali si candida a gestire direttamente il processo di creazione della vita e a trasformare in business la nascita e la morte". Ebbene, dov’è la novità? La chirurgia e la medicina decidono ogni giorno commercialmente della vita e della morte senza creare scandalo alcuno! Le tecniche di trapianto di organi e la pratica delle donazioni sono da condannare assieme alle paventate e ipotetiche manipolazioni genetiche? Mi dispiace avvertire in quella prosa l’acredine con cui si condannano "le protesi tecnologiche", " i farmaci capaci di gestire le nostre emozioni", "il capitalismo tecnologico che riduce la religione e la coscienza ad una questione biochimica di funzionamento neuronale". Il controllo sociale di tutte le tecnologie è sano e doveroso, ma perché passare all’anatema, esasperare i toni, trattando un argomento che richiede invece pacatezza, lucidità di giudizio e ponderazione da parte di tutti? Ancora, mi stupisce la sequenza di giudizi negativi sulla scienza, chiamata indebitamente scientismo. Il termine scientismo viene usato negativamente in teologia, per riassumere tutta quella serie di fatti e teorie scientifiche che stanno in contrasto con la lettera delle sacre scritture. Sotto questo aspetto, il problema principale che Barcel- lona prospetta mi sembra quello di come "rimanere fermi all’irriducibilità dell’uomo al campo biologico e delle neuroscienze, e di mantenere aperta la dialettica fra spazio vitale della creazione umana e la sfera del meramente naturale". Mantenere questa differenza fra umano e meramente naturale, fra biologia e cultura, sembra a Barcellona condizione necessaria per credere alla trascendenza, all’esistenza di Dio ed ai valori morali connessi. Fortunatamente non è proprio così, le due cose camminano su binari diversi. Anche se l’origine biologica della cultura umana fosse in futuro supportata da solide evidenze sperimentali, ciò non comporterebbe implicazioni di tipo fideistico. Questa è storia vecchia, la separazione fra scienza e fede, fra naturale e sopranaturale, è stata sancita fin dal Medioevo e nessuno si sogna di cambiarla. Citando da Alberto Magno (1183-1280), Vescovo Domenicano, detto il Doctor Mirabilis, leggiamo: "Nella scienza non abbiamo come compito di indagare il modo in cui Dio interviene direttamente compiendo secondo la sua volontà il miracolo della creazione che rivela la sua onnipotenza; piuttosto, dobbiamo ricercare che cosa, nell’ambito della natura può accadere in modo naturale tramite le cause che regolano i fenomeni naturali". "Se qualcuno obiettasse che Dio potrebbe arrestare, con la sua volontà, lo sviluppo della natura, allora risponderei che quando pratico la scienza non mi occupo del miracolo dovuto all’intervento di Dio". Pertanto, non mi sembra produttivo spostare il dibattito sull’impiego delle nuove tecnologie al piano religioso. Le nuove conoscenze scientifiche entrano spesso in conflitto con alcuni modelli della realtà sviluppati dal pensiero filosofico tradizionale, e non c’è da sorprendersi che ci siano reazioni volte a contrastare il ruolo fondante della scienza nella civiltà contemporanea, a sminuire il valore del progresso scientifico. Non mi sembra opportuno procedere qui ad un’analisi dei modelli cognitivi suggeriti dalle ricerche nel campo delle neuroscienze. Qualcosa tuttavia va detto, sempre a scopo divulgativo, sul ruolo funzionale e specifico che alcuni apparati cerebrali preinstallati svolgono nel nostro cervello, sui circuiti neuronali, sulla mente. Alla base delle capacità umane vi è la specializzazione. Parti ben determinate del nostro cervello sono strutturate per affrontare in modo autonomo una serie di problemi specifici, le cosiddette funzioni superiori. Su questo argomento torneremo presto. Aveva scritto Barcellona: schierarsi sui temi di frontiera dell’esistenza Ecco alcuni brani dell’articolo di Pietro Barcellona pubblicato il 22 maggio scorso su questo giornale: «È questa la posta in gioco: stare dalla parte del capitalismo tecnologico che riduce la religione e la coscienza a una questione bio-chimica di funzionamento neuronale, secondo cui Dio e la coscienza sono tecnologie prodotte nel corso dell’evoluzione naturale per controllare l’aggressività (...) oppure restare fermi all’irriducibilità dell’umano al campo del biologico e delle neuroscienze e mantenere aperta la dialettica fra lo spazio mentale della creazione umana e la sfera del meramente naturale. L’alternativa di fronte alla quale ci troviamo è quella di due opposte visioni del mondo: la prima nega ogni possibile scarto fra i nostri pensieri, le nostre rappresentazioni e l’accadere fisico degli eventi del mondo reale, giacché tutto si risolve nell’immanenza radicale di ogni criterio di valore (normativo) al processo evolutivo della selezione naturale (non c’è alcun valore oltre i fatti della cosiddetta vita quotidiana); la seconda ritiene che il campo specificamente umano dell’esperienza rimandi da ogni lato a una trascendenza dell’Origine di ogni cosa e della Natura come potenza ed energia sottratta alla disponibilità della tecnica. Ventorino: la realtà rimanda a un Oltre Il centro della questione. «Chi esclude Dio finisce per annullare anche l’uomo» FRANCESCO VENTORINO P er una imprevista coincidenza l’articolo di Pietro Barcellona di martedì 22 maggio su questo giornale è sembrata una vibrata e convinta risposta a Paolo Flores D’Arcais. In un dibattito con Giuliano Ferrara, riportato da "Il Foglio" del sabato precedente, Flores D’Arcais aveva affermato, in riferimento alla proposta di Benedetto XVI, fatta a credenti e a non credenti, di tornare a vivere "come se Dio ci fosse", che fare ricorso al concetto di Dio in politica sarebbe reintrodurre un potenziale autodistruttivo e ci farebbe ripiombare nei secoli più bui del nostro passato, contrassegnati dalle guerre di religione. Pietro Barcellona, invece, osa affermare che "la trascendenza, il problema dell’esistenza di Dio, il problema di una natura che ci preesiste… non sono questioni teologiche e religiose, ma sono questioni politiche che riguardano il nostro presente giacché dobbiamo prendere posizione sulle manipolazioni genetiche e sull’intervento tecnologico nei processi naturali". La politica, infatti, oggi non è pensabile se non a partire da una "non riducibilità dell’umano a evoluzione naturale", perché questa riduzione negherebbe la capacità esclusiva dell’uomo di interrogarsi sul senso della vita e di conseguenza l’introduzione della "libertà nel processo naturale del crescere e del morire". La vera politica, dunque, si costituisce sul rifiuto dell’opzione opposta, quella fondata sullo scientismo e l’ateismo, che implica "la naturalizzazione dei segreti dell’animo in quanto reazioni chimiche ed elettriche". Due opposte visioni del mondo si combattono oggi trasversalmente in tutti gli schieramenti e rispetto a queste siamo tutti chiamati a prendere partito, evitando l’ambiguità di quei politici che, quando "non riescono a risolvere i problemi neppure con le formule vuote del politichese si affidano alle questioni di coscienza come nel caso della ricerca sugli embrioni". L’alternativa, infatti, di fronte alla quale ci troviamo è tra l’affermare che tutto si risolve "nell’immanenza radicale di ogni criterio di valore (normativo) al processo evolutivo della selezione naturale" e il riconoscimento che l’esperienza umana rimanda "a una trascendenza dell’Origine di ogni cosa e della Natura come potenza ed energia sottratta alla disponibilità della tecnica". Ho trovato nelle parole di Barcellona una profonda consonanza - anche se a distanza - con quelle dette da Giuliano Ferrara nel dibattito citato, quando parlando della democrazia americana egli faceva notare che essa è stata mantenuta salda da "un rapporto fondativo con Dio", riconosciuto nella Costituzione, cioè dalla convinzione "che gli uomini sono nati liberi e eguali - e che il fondamento di questo loro assoluto diritto è a sua volta un assoluto". Perché, osava affermare Ferrara, "la democrazia è opera di Dio, fatemelo dire provocatoriamente, cioè della presenza di un concetto di Dio nella storia". Quindi non c’è proprio nulla da fare: "Dio non è solo compatibile con la democrazia, con il concetto di persona, con la libertà dell’individuo, con la liberazione dalla schiavitù e da tutte le schiavitù. Dio non è solo ’compatibile’, Dio è all’origine (un concetto di Dio specifico dell’occidente". L’incarnazione di Dio nella storia è proprio all’origine delle nostre libertà. "Lo stato laico, la laicità stessa, è un’invenzione della religione cristiana". È per questo che, con buona pace di Flores D’Arcais, la sfida lanciata a Norcia dal Cardinale Ratzinger, qualche giorno prima che divenisse Papa Benedetto XVI, rimane più che mai attuale, soprattutto nelle sue motivazioni: "Il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita "veluti si Deus daretur", come se Dio ci fosse. […] Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».