2010 24 OTTOBRE BOLLETTINO DS Lombardia

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2010 24 OTTOBRE BOLLETTINO DS Lombardia
Dirigenti Scolastici
N. 62 / 2010 – 24 Ottobre 201
2010
E’ on line il sito web della FLC CGIL Lombardia, all’indirizzo www.flccgil.lombardia.it
Nel sito un’ampia sezione dedicata ai DIRIGENTI SCOLASTICI, con una raccolta normativa,
spazio FAQ, notizie ed informazioni utili per tutti i colleghi
PER LA CONSULENZA MAIL , SCHEDE CONSULENZA, ALTRI SERVIZI (CEDOLINO, PENSIONI ECC..)
I SOLI DIRIGENTI ISCRITTI ALLA FLC LOMBARDIA POSSONO RIVOLGERSI A
[email protected] - tel 3357322206
RESPONSABILE REGIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI LOMBARDIA
SPECIALE CONVEGNO FIRENZE
CONVEGNO NAZIONALE "RESPONSABILITÀ DIRIGENZIALE E SISTEMA
DI GOVERNO PER LA QUALITÀ DELLA SCUOLA PUBBLICA"
01. CRONACA CONVEGNO PRIMA GIORNATA 14-10-2010 – MATTINO
02.
CRONACA
POMERIGGIO
CONVEGNO
PRIMA
GIORNATA
14-10-2010
–
03. CRONACA
MATTINO
CONVEGNO
SECONDA
GIORNATA
15-10-2010
–
04. CRONACA
POMERIGGIO
CONVEGNO
SECONDA
GIORNATA
15-10-2010
–
05. Il convegno dei Dirigenti della FLC CGIL: I nodi di un nuovo
modello di governo nel sistema istruzione e formazione – REPORT - di
Antonio Valentino
SUL SITO REGIONALE in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO :
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=2537
RELAZIONE
RELAZIONE
RELAZIONE
RELAZIONE
RELAZIONE
INTEGRALE INTERVENTO DI GIANNI CARLINI
INTERVENTO DI FRANCO DE ANNA - SLIDE
INTERVENTO DI Antonio VALENTINO - SLIDE
INTERVENTO DI Antonella Turchi - SLIDE VERSIONE SINTETICA
INTERVENTO DI Antonella Turchi - SLIDE VERSIONE INTEGRALE
CONVEGNO NAZIONALE "RESPONSABILITÀ DIRIGENZIALE E SISTEMA
DI GOVERNO PER LA QUALITÀ DELLA SCUOLA PUBBLICA"
01. CRONACA CONVEGNO PRIMA GIORNATA 14-10-2010 – MATTINO
ORE 10:00 - Le ragioni e gli obiettivi dell'appuntamento
Ci troviamo a Firenze nel Centro Congressi dell'Hotel Mediterraneo per l'annuale Convegno
nazionale dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL. Il tema su cui si svilupperà la discussione è
"Responsabilità dirigenziale e sistema di governo per la qualità della scuola
pubblica".
Le ragioni e gli obiettivi dell'appuntamento, organizzato dalla FLC CGIL e dall'Associazione
Proteo Fare Sapere, vengono presentati da Antonio Bettoni, direttore nazionale Proteo Fare
Sapere, l'associazione professionale che ha organizzato l'evento insieme alla FLC CGIL.
ORE 10:05 - La relazione introduttiva
La relazione introduttiva del convegno è stata preparata da Gianni Carlini, responsabile
nazionale Dirigenti scolastici FLC CGIL.
La Struttura di Comparto dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL, dice Carlini, ha deciso di
concentrare quest'anno l'attenzione sul tema della responsabilità della dirigenza per la qualità
della scuola pubblica.
I cambiamenti normativi in corso per le politiche del governo sulla scuola e sulla dirigenza
pubblica, hanno chiamato fortemente in causa la dirigenza scolastica e la sottopongono a
pressioni e richieste che non hanno precedenti nella storia della scuola italiana.
È giusto dunque riflettere, sottolinea Carlini, sul ruolo del dirigente nel mutare del sistema di
governo della scuola pubblica.
Nella sua relazione quindi, passando per la disamina della nuova centralità della dirigenza
scolastica alla quale viene chiesto di far funzionare la scuola con meno risorse, con meno
docenti e meno ATA e con meno finanziamenti, Carlini si interroga sul ruolo che i dirigenti
assumono in questo "nuovo corso". A più di dieci anni di distanza, dalla nascita dell'autonomia
scolastica, ci si
ritrova
di
fronte
a
politiche
governative antiautonomistiche,
amministrativistiche, centraliste, per non dire autoritarie e oppressive. È una delle ragioni
dell'impegno straordinario profuso dalla FLC CGIL in questo momento e della mobilitazione alla
quale chiama i lavoratori.
Sempre più alle scuole viene richiesto di svolgere funzioni amministrative che non le sono
proprie e che sono anzi una delle maggiori cause che le "distraggono" dallo scopo principale:
fornire un servizio di istruzione e formazione.
In questa situazione, Carlini si chiede se sia sufficiente il contrasto a ciò che sta avvenendo.
Sono utili sicuramente i ricorsi, la mobilitazione, la pratica del terreno contrattuale, la ricerca
dell'unità con gli altri soggetti coinvolti e con le altre forme dell'associazionismo, sindacale e
professionale. Serve quanto la FLC CGIL e la CGIL stanno facendo con grande impegno e
passione.
Ma per Carlini sono ugualmente necessari la discussione ed il confronto. Serve ripensare alle
scelte fatte e bisogna prendere atto e riconoscere anche gli errori fatti.
Non perdiamo l'opportunità, conclude Carlini: "abbiamo deciso di fare i conti con il presente e
di smettere di cercare di riavere il futuro di una volta, per prenderci invece quello che c'è. Quel
futuro che possiamo determinare per la scuola autonoma e per la dirigenza scolastica. Per farlo
ci serve nient'altro che stare nelle nostre scuole e lavorare insieme, come oggi, per sentire e
discutere proposte e linee di lavoro per la gestione del cambiamento e per il miglioramento
della qualità della scuola pubblica".
SUL SITO REGIONALE in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO :
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RELAZIONE INTEGRALE INTERVENTO DI GIANNI CARLINI
------------------------------ORE 10:35 - Luigi Berlinguer: vincere la battaglia dell'autonomia
Antonio Bettoni annuncia un cambiamento di programma. Il previsto intervento di Luigi
Berlinguer viene anticipato. Seguirà l'approfondimento "Dirigenza Scolastica e governo della
scuola nell'attuale quadro normativo" curato da Anna Armone.
Luigi Berlinguer: vincere la battaglia dell'autonomia
Accolto dal calore di tutti i presenti in sala, apre il suo intervento l'On. Luigi Berlinguer, ex
ministro della pubblica istruzione di cui nella breve presentazione, Antonio Bettoni, si dichiara
"orfano". Cogliendo subito il richiamo della platea alla stagione riformatrice di cui è stato
protagonista, Berlinguer sottolinea che l'autonomia, seppur schiacciata e svilita, resiste anche
oggi. È stato difficile, sottolinea, costituzionalizzarla, ma lo si è fatto. È stato difficile istituire il
nuovo titolo quinto ma ci si è riusciti, così come si è riuscito a prevedere il Piano dell'Offerta
Formativa in tutte le scuole. Ma rispetto a queste riforme faticosamente conquistate, oggi è in
atto un'inversione traumatica. Dobbiamo chiederci dunque per Berlinguer, come affrontare
quest'inversione avendo per di più un'opinione pubblica contraria, perché ad essa non si è
comunicato fino in fondo il valore dell'autonomia. E, a causa di questa mancata comprensione,
è più semplice l'attuale svolta autoritaria verso il merito selettivo.
Anche nel confronto politico, sottolinea Berlinguer, ed anche a sinistra, manca un'idea profonda
del cambiamento che è intervenuto. L'unica forma di lotta messa in atto è una forma di
"resistenza", ma noi non dobbiamo resistere, ammonisce, dobbiamo costruire e attaccare.
Consapevoli che i nuclei veri del cambiamento esistono già e ci sono centinaia di scuole che
lavorano in questo senso. L'autorità, la funzione ispettiva e il bisogno d'ordine, promossi da
questo Governo, non sono la strada giusta per il cambiamento.
Ma se vogliamo invertire la rotta, dice Berlinguer, dobbiamo essere consapevoli che
nell'opinione pubblica queste parole d'ordine attecchiscono facilmente soprattutto se a sinistra
si continua nella semplice difesa dello status quo. Deve emergere invece una linea propositiva
per Berlinguer, perché la resistenza è una forma di "conservazione", è l'altra faccia della
medaglia della restaurazione in atto. Non riusciamo a far passare l'idea che il Sapere è la
maggiore fonte di sviluppo economico e ci arrocchiamo nella difesa della "scuola di tutti",
mentre nell'opinione pubblica prevale l'idea che meno studenti ci sono e meglio è.
Dobbiamo pensare ad una scuola adeguata ai tempi, una scuola motivante, senza cattedre,
con nuove tecnologie. La scuola deve anticipare il cambiamento, superare la "tecnofobia"; la
"rete" ha messo in campo una rivoluzione profonda che ancora non riusciamo a percepire. Non
abbiamo bisogno di una scuola ministeriale ma di una scuola flessibile. I paradigmi del lavoro
devono entrare nel ciclo educativo, in tal modo nella scuola entrerà il sociale, nel suo senso più
profondo. Ma ce la faranno le scuole da sole a sostenere questo processo, si domanda
Berlinguer? Di certo, dalla politica non c'è molto da aspettarsi per lui, questi processi verranno
dal basso e dimostreranno che nella pratica educativa il cambiamento è possibile. In questa
nuova scuola aperta, che rivaluta e amplia la figura del dirigente, non dev'esserci un tempo per
lo studio ed uno per il lavoro. In Italia invece, continua Berlinguer, il paradigma dominante
resta quello della scuola trasmissivo-gentiliana, continua a fallire il long life learning, non si
capisce che la scuola è la mia "casa" e che non si finisce mai di imparare.
Ma se vogliamo davvero un cambiamento, deve cambiare il supporto didattico, il manuale va
abolito a fronte della rete. L'organizzazione dunque, diventa decisiva per questo cambiamento
e il dirigente scolastico ne è il "Princeps", protagonista indiscusso.
Dobbiamo fare emergere realtà diverse e dimostrare l'inanità della conservazione, bisogna
vincere la battaglia dell'autonomia, conclude Berlinguer; se lo fa un dirigente, possono farlo
anche gli altri. Sono centinaia gli esempi virtuosi, ma questi dirigenti sono soli, sosteniamoli!
----------------------------------------ORE 11:00 - Istituzionalizzare le Reti di scuole
Anna Armone è esperta di scienza dell'amministrazione scolastica. Ha scritto libri importanti
sul mondo della scuola e sulla figura del Dirigente scolastico. Attualmente è impegnata presso
il Dipartimento della funzione pubblica.
Riferendosi al senso complessivo dell'intervento precedente, sostiene che il sistema scolastico
continua ad essere fortemente gerarchico. Più in generale, a volte sfugge una visione sistemica
del panorama giuridico. Afferma che, paradossalmente, bisognerebbe togliere l'autonomia alla
scuola per affrancarla dalla subordinazione gerarchica, soprattutto in questa fase in cui
l'art.117 della Costituzione ed il federalismo fiscale non lasciano capire da chi saranno
finanziate le scuole: se le risorse verranno dai territori, ovviamente si sposterà l'asse di chi
assegnerà gli obiettivi alle scuole stesse.
Le riforme avviate "a pezzi", prosegue Anna Armone, hanno creato un disastro, perché non
hanno tenuto conto del quadro complessivo. La funzione dirigenziale è coerente all'interno di
un disegno di profilo con poteri attutiti all'interno di un sistema con organismi collegiali
paritetici e con profili professionali garantiti nella libertà di insegnamento. Se si dovessero
accentuare in altro senso le competenze, parallelamente alla definizione dello stato giuridico
dei docenti, necessariamente dovrà essere modificato anche l'art. 25 del D.L.vo 165/2001.
Nel '90, il ministro Cassese non intendeva l'autonomia scolastica nell'attuale modalità di
realizzazione, che ha semplicemente scaricato sulle scuole il sistema amministrativo pubblico,
ma
prevedeva
circuiti
collaterali
di
sostegno
alle
scuole
per
le
attività
amministrativo/burocratiche.
Oggi sarebbe necessario istituzionalizzare le reti di scuole che il Regolamento 275/99 ha inteso
come accordi di rete e non come "soggetti" formalmente legittimati ad interloquire con gli enti
locali; oggi urge istituzionalizzarli per inserirne le funzioni, ad esempio, negli statuti delle
regioni.
L'istituzionalizzazione di tali soggetti rappresenterebbe il connettivo obbligatorio capace di
avviare nuovi modelli di governance, considerato che, dalla Bassanini in poi, non si è riuscito
ad eliminare i processi gerarchico – formali, lasciando spazio e libertà di scelta ai decisori
territoriali. L'eventuale, nuovo modello di governance ha bisogno di istituzionalizzare i processi
perché questa via è l'unica garanzia di funzionamento efficace.
Se si vorrà perseguire il federalismo, sottolinea la Armone, i territori avranno potere di
indirizzo e solo un soggetto riconosciuto e istituzionalizzato potrebbe frenare l'anarchia di un
sistema nazionale a diverse velocità e connotazioni, richiamando i LEP e le norme generali.
Occorre che a garanzia dell'unitarietà del sistema vengano costruiti sistemi di rete
istituzionalizzati e regolamentati, definendone ampiezza e competenze all'interno dell'apparato
statale, con riconoscimento obbligatorio da parte delle regioni.
La riforma del D.Lvo 165/2001 è pesantissima per l'inderogabilità delle norme che sono paletti
rigidi. Sulla scuola c'è latitanza spaventosa circa l'emanazione del previsto DPCM. Alla luce
dello spirito che orienta il modello di governo introdotto con il D.Lvo 150/2009, nelle relazioni
con il personale ci sarà una svolta drammatica, se non si attiveranno circuiti virtuosi di
negoziazione per evitare di fare la guerra e per far funzionare la scuola attraverso l'adozione di
provvedimenti negoziati e condivisi.
In tal senso, la parte più bella della funzione dirigenziale per la Armone è quella che prevede
poteri di coordinamento da esplicarsi attraverso direttive all'interno di modelli organizzativi che
usano strumenti formali e informali per definire diritti e azioni, limiti e possibilità delle
reciproche azioni.
Appena possibile pubblicheremo la versione integrale del suo intervento.
ORE 11:35 - DIBATTITO
È il momento di dare la parola ai partecipanti e si apre il dibattito.
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02.
CRONACA
POMERIGGIO
CONVEGNO
PRIMA
GIORNATA
14-10-2010
–
ORE 15:15 - Franco De Anna
I lavori riprendono con l'intervento di Franco De Anna che viene presentato da Antonio
Bettoni.
De Anna è stato ricercatore presso IRRSAE Lombardia per circa un decennio, negli anni dal
1987 al 1997. Successivamente ne è diventato il direttore (1997-1999) e negli anni 1999-2002
è stato il direttore CIPREF – Consorzio inter-irre per la ricerca educativa e la formazione.
Attualmente è coordinatore del servizio ispettivo presso l'Ufficio Scolastico Regionale per le
Marche.
Appena possibile pubblicheremo la versione integrale del suo intervento.
SUL SITO REGIONALE in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO :
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RELAZIONE INTERVENTO DI FRANCO DE ANNA - SLIDE
-----------------------ORE 16:30 - Scuola e saperi sono beni comuni, e tali devono rimanere - Domenico
Pantaleo.
In anticipo sulla "tabella di marcia" che ne prevedeva l'intervento nella giornata di domani, si
appresta a prendere la parola Domenico Pantaleo.
Il Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza, richiama la profondissima
crisi del nostro Paese che mette in discussione le condizioni di vita delle persone:
disoccupazione giovanile (la più alta d'Europa), licenziamenti continui, imprese che chiudono
soprattutto al sud. Questo è il contesto da cui è necessario partire per fare un'analisi profonda
di quello che sta succedendo nel Paese e nella scuola.
Per anni ci hanno proposto un modello di sviluppo della società basato sulla triade più impresa,
più mercato, meno Stato dice Pantaleo, pensando che anche un settore ad alta sensibilità
sociale come la scuola dovesse piegarsi a questa logica. E' un modello che non ci piace.
Siamo, infatti, dinanzi allo scontro fra due modelli. Il primo, quello che ci appartiene, è
progressista, fondato su uguaglianza, saperi, conoscenza, più libertà e futuro per le nuove
generazioni. Queste sono portatrici di un'idea di vita e società diversa rispetto al passato. La
scuola deve fare i conti con questa idea: un'idea di beni comuni indispensabile per il progresso
in cui il valore del lavoro è centrale per l'emancipazione. Il secondo, quello del Governo, è un
modello autoritario. Infatti, il tratto comune delle riforme è l'autoritarismo e il restringimento
degli spazi di libertà e partecipazione. Con la riforma Gelmini, senza tanti giri di parole, i più
deboli vengono esclusi dall'apprendimento e mandati a lavorare. Basta vedere quanto è
successo in Lombardia con l'accordo Miur-Regione dove con la scusa dell'apprendistato i
ragazzi di soli 15 anni vanno a lavorare anziché andare a scuola.
È un'idea di riforma spaventosa sottolinea Pantaleo: infatti appena la gente sente parlare di
riforme non pensa più, come succedeva in passato, ad un miglioramento, ma teme che le
vogliano togliere qualcosa. E' proprio quello che sta succedendo nella scuola dove continuano i
saccheggi di risorse umane e finanziarie.
Sono operazioni da sottocultura che alzano le barriere nei confronti dei più deboli e incitano
alla bocciatura quasi che la selezione e non l'apprendimento fosse la vera finalità della scuola.
La Gelmini si riempie la bocca con la retorica del merito. Il merito è importante per valutare le
capacità. Ma di quale merito si vuole parlare quando la dispersione scolastica e gli abbandoni
universitari sono in aumento per la crisi sociale ed economica del Paese?
Per il sindacato parlare di merito non è un tabù ma a patto che ci siano condizioni di partenza
uguali per tutti. Dunque la partita del merito deve avere come obiettivo il miglioramento del
sistema e degli apprendimenti.
Prendiamo il tema della precarietà. Questa è diventata una gabbia dalla quale è impossibile
uscire, è un fattore strutturale non più tollerabile per la stessa qualità del sistema scolastico e
per la vita delle persone.
Noi della FLC non possiamo e non vogliamo essere subalterni a questo progetto di sottocultura
che è il pensiero della destra. Non è solo una questione di tagli, ma il fatto è che nessuno negli
ultimi anni ha mai voluto bene alla scuola statale. Purtroppo i tagli non si fermeranno agli 8
miliardi di euro portati via dalla riforma Gelmini, ma proseguiranno perché è in atto una
operazione ideologica che si fa attraverso i bilanci.
Ne consegue che si va perdendo la missione della scuola. Il Governo infatti pensa solo ad una
scuola che costi meno. Con ridotti successi formativi. Secondo la Gelmini, infatti, scuola di
massa e qualità non stanno insieme. Viene rimessa in discussione la scuola pubblica a favore di
quella privata, calpestando la Costituzione.
Noi rivendichiamo il rispetto della Costituzione, ma dobbiamo denunciare l' aumento del ricorso
alla scuola privata da parte dei ceti più ricchi. Questo significa calpestare il principio
costituzionale della scuola gratuita per tutti. Di fronte a ciò non possiamo giocare in difesa, ma
occorre avanzare proposte. Un cardine della nostra proposta è in primo luogo l'autonomia.
Conservarla e migliorala in funzione delle innovazioni costituisce un fattore straordinario per
aumentare il successo formativo, migliorare l'organizzazione e incentivare la responsabilità e la
progettazione didattica.
L'autonomia è l'unica in grado di guardare alle differenze territoriali laddove il contesto è
determinante perché la spesa pubblica e le risorse non sono uguali dappertutto e non tutte le
regioni hanno le stesse possibilità. Lo stesso federalismo deve essere uno strumento per unire
e non per dividere e deve enfatizzare la capacità di autogoverno e dell'assunzione di
responsabilità. Invece il federalismo che si vuole praticare presenta strutture incredibili come
dimostra il federalismo fiscale che diminuisce le tasse per le imprese e le aumenta ai lavoratori
e ai pensionati. Altro che diminuzione della pressione fiscale!
In un'autonomia partecipata il ruolo della dirigenza scolastica è fondamentale. Brunetta invece
vorrebbe fare dei dirigenti degli esecutori dello Stato che devono rispondere degli obiettivi di
qualità fissati da altri, degli esecutori spogliati di tutto, spogliati di responsabilità e creatività.
Per il Ministro, nonostante la scuola sia un luogo ad alta concentrazione di relazioni umane ed
educative, le relazioni non contano. Dunque l'autonomia è un'opportunità, un modello
organizzativo ed educativo per sintonizzarsi con i problemi delle varie componenti scolastiche e
delle nuove generazioni. C'è stata una rottura della solidarietà interna tra le varie componenti
a cui il sindacato ha cercato di porre rimedio, ma c'è sempre il pericolo di corporativismi che
andrebbero contro la qualità. Questo è quello che vogliono i Ministri Brunetta e Gelmini con le
loro pseudoriforme.
Un altro cardine delle nostre proposte è il superamento del precariato e il problema del
reclutamento. Questo va ripensato, ma non come pretende il Ministro Gelmini, che propone un
sistema rigido con percorsi divisi tra i diversi gradi di scuola. Secondo noi un'idea antiquata che
non fa bene alla qualità dell'insegnamento.
Un terzo cardine è la valorizzazione delle persone. Noi abbiamo un'idea ben precisa e
alternativa sulla valorizzazione: bisogna ragionare intorno a organizzazione del lavoro, orario,
sperimentazione e valutazione.
La via maestra per realizzare tutto ciò è quella contrattuale.
Brunetta al contrario vuole sempre meno contrattazione e più legificazione. La contrattazione
invece è fondamentale sia per i dipendenti pubblici che per quelli privati. In passato la
contrattazione ha anticipato gli interventi legislativi in materia di lavoro e di organizzazione.
Adesso Brunetta vuole rovesciare questo rapporto. Questo è un assurdo anche dal suo punto di
vista in quanto anche il presupposto della privatizzazione significa meno legge e più
contrattazione. Invece si bloccano per tre anni i Ccnl per tutti, a dimostrazione che siamo
dinanzi ad un'operazione ideologica che vuole mettere in contrapposizione i lavoratori e il
Paese. Infatti, il progetto Brunetta è fallito in primo luogo ad opera del suo collega di governo
che non ha messo i soldi né per i contratti né tanto meno per il merito e in secondo luogo per il
susseguirsi di pronunciamenti della magistratura che hanno tacciato di antisindacalità il
modello di relazioni sindacali.
Per la FLC la riforma Brunetta è inapplicabile perché non ha come finalità il miglioramento del
servizio attraverso l'organizzazione del lavoro, ma vuole accentuare il sistema delle punizioni e
l'autoritarismo nei rapporti di lavoro e nelle relazioni sindacali.
I dirigenti scolastici della FLC devono utilizzare lo strumento della contrattazione
sull'organizzazione del lavoro per migliorare la qualità del servizio e delle prestazioni laddove i
dirigenti dell'Anp invece vogliono utilizzare la riforma Brunetta per intervenire in maniera
autoritaria sull'organizzazione del lavoro. Siamo in una fase di ricambio generazionale per cui
ai dirigenti scolastici è affidato il compito del passaggio di consegne nei confronti dei loro futuri
colleghi ai quali possono passare un patrimonio di competenze e l'esperienza di una
professione esercitata in un luogo ad alta concentrazione democratica.
La scuola, i saperi sono il sale della società democratica e come tutti i beni comuni non
possiamo accettare la loro privatizzazione o la logica di chi vorrebbe trasformarli in Spa per
giustificare i mancati trasferimenti di finanziamenti statali.
In questa battaglia per il futuro è impegnato un grande sindacato confederale come la FLC
-----------------------ORE 17:15 - La scuola che non funziona è uno strumento di iniquitàDomenici
Gaetano Domenici è docente di docimologia presso l'università di Roma Tre, dove dirige il
corso di perfezionamento a distanza in "valutazione degli apprendimenti e autovalutazione di
istituto". Già direttore del Dipartimento di Scienze dell'educazione della stessa università, da
pochi mesi è Preside di facoltà.
Per Gaetano Domenici, l'effetto dei tagli e del non investimento su scuola e università hanno
creato dei gusci vuoti i cui effetti negativi si vedranno tra qualche anno. Dall'ultima indagine
PISA (Programme for International Student Assessment) viene fuori che il prodotto scolastico
in Italia è scadente ma non vengono indicate le cause.
Intanto bisogna sottolineare, afferma Domenici, che il prodotto scolastico italiano presenta
un'enorme disparità dei risultati formativi non solo fra i vari territori (nord, est, centro...) ma
perfino nella stessa scuola. Tale variabilità costituisce un'iniquità inaccettabile per il sistema
sociale, anche perché è legata alla casualità, al luogo di nascita, alla classe frequentata...La
scuola che non funziona è uno strumento di iniquità. Il peggioramento degli apprendimenti
rilevati dall'indagine PISA è dovuto anche al disorientamento degli allievi sottoposti a
cambiamenti continui che, non arrivando mai in porto causano demotivazione in docenti allievi
e famiglie e non offrono solidi punti di riferimento. A tal proposito è interessante notare per
Domenici, che una ricerca dell'università di Shangai ha evidenziato che le migliori 20 università
del mondo sono quelle che non sono state toccate negli ultimi 20 anni da alcuna riforma: le
riforme infatti le hanno fatte i docenti anticipando i cambiamenti. La vera riforma consiste,
infatti, nell'adattare la proposta di formazione alle caratteristiche degli allievi, nel far sì che essi
siano in grado di apprendere autonomamente.
In base a quanto detto la valutazione non può essere vista come strumento quasi
esclusivamente fiscale, per premiare o punire ma come strumento per acquisire dati,
informazioni, conoscenze, che possano servire ai diversi responsabili della formazione. Un
limite delle varie ricerche realizzate è che esse non hanno mai rilevato elementi importanti che
caratterizzano l'inizio e l'uscita di un percorso formativo (per esempio scuola media, scuola
superiore...). Risulta molto più semplice e comodo quindi esprimere giudizi con i numeri, che
non danno però informazioni spendibili ad allievi e famiglie e soprattutto non danno indicazioni
per porre rimedio. La valutazione deve precedere, accompagnare e seguire, tutti i momenti di
formazione dando non voti, che non comunicano i punti di forza o di difficoltà, ma informazioni
spendibili che consentano al docente le necessarie modifiche per adeguare la proposta
formativa ai singoli allievi e per far loro raggiungere livelli accettabili. La valutazione, esito di
un controllo continuo dei processi, deve offrire anche agli allievi informazioni per modificare i
propri comportamenti. I dati PISA hanno costituito una sorta di Olimpiadi del sapere mentre
non ci dicono nulla della qualità dei processi formativi.
È necessario effettuare rilevazioni su campioni significativi, fornire informazioni per riadattare e
riorganizzare i processi di insegnamento-apprendimento nei territori. La conoscenza degli
allievi poi, deve derivare da una relazione più aperta e calibrata tra scuola e famiglia. La
valutazione quindi, non solo come controllo continuo di processi e prodotti, ma come
strumento di conoscenza per arricchire il quadro conoscitivo entro cui operare, per ottimizzare
le scelte via via che si va avanti, e per far raggiungere risultati più apprezzabili.
La valutazione diventa volàno del rinnovamento: per questo richiede alta professionalità nella
dirigenza scolastica e nei docenti.
Avviandosi a concludere il suo intervento, Domenici afferma che la meritocrazia pura non
esiste: è stata dimostrata la correlazione stretta tra titolo di studio della madre e rendimento
dell'alunno. La meritocrazia espressa col voto e con la bocciatura in presenza di una sola
insufficienza ha infatti già penalizzato le classi sociali inferiori.
…………………………………..
ORE 18:35 - L'autonomia dev'essere operazione vera! - Benadusi
A chiudere la sessione pomeridiana del primo giorno di convegno è Luciano Benadusi,
ordinario di sociologia dell'educazione presso l'Università "La Sapienza" di Roma ed autore
molto apprezzato di saggi e libri sulla scuola.
L'autonomia dev'essere operazione vera!
Benadusi esordisce partendo dallo scenario entro cui collegare i ragionamenti sulla governance.
Di tale scenario sono aspetti da considerare:
•
i caratteri del modello sociale del nostro paese che si distingue per la scarsa importanza
data all'educazione
•
la debolezza del valore della conoscenza nella società
•
scarsa considerazione dell'istruzione e della formazione nel ceto politico perché sposta
pochi voti a livello elettorale.
L'interrogativo da cui parte la riflessione successiva riguarda le tendenze in atto che premono
per la presa in carico delle questioni che attengono a istruzione e formazione. Di queste si
considera essenzialmente quella relativa ai processi di individualizzazione-diversificazione e
attivazione del servizio. Nel senso che il welfare e la qualità dei servizi si collegano sempre di
più alla mobilitazione e all'impulso dei singoli rispetto alle caratteristiche del servizio. Da
questo dovrebbe nascere una governance più partecipata in grado di garantire tra l'altro non
solo uguaglianza di opportunità, ma anche interventi compensativi per sopperire alle
disuguaglianza legate soprattutto al contesto socio-economico e cultuale.
A proposito di governance, prosegue, vanno precisate alcune scelte di fondo. La prima è che
essa o è decentrata o non è.
La seconda è che l'autonomia deve essere operazione vera; nel senso che essa deve assumere
a baricentro non la legge ma l'innovazione dal basso e che comunque o si connota come
autonomia finanziaria, normativa e professionale o non è. Quella di oggi è infatti un simulacro
di autonomia in quanto la barra si è spostata sugli ordinamenti, rispetto all'impianto legislativo
dell'art. 21 della Legge 59. Oggi la sfida è portare a termine il percorso cominciato con la
Legge 59.
Comunque, conclude, il vero problema oggi anche per l'autonomia scolastica è dato dalle
restrizioni economiche e dall'asfissia del progetto che c'è dietro. Se non si risolve questo
problema, anche il discorso della governance non ha gambe per camminare.
ORE 19:00 – CHIUSURA 1 GIORNATA
Con l'esposizione del professor Benadusi terminano gli interventi in programma. Il prolungarsi dei
lavori oltre l'orario previsto non ha consentito ad Antonio Valentino di presentare la sua relazione.
Sarà dunque lui ad aprire la sessione mattutina di domani, venerdì 15 ottobre.
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03. CRONACA
MATTINO
CONVEGNO
SECONDA
GIORNATA
15-10-2010
–
ORE 9:20 - Inizia la seconda giornata del Convegno nazionale dei
Dirigenti scolastici.
A coordinarla è Federico Marucelli che è stato responsabile regionale dei Dirigenti scolastici
della FLC CGIL Toscana e dallo scorso settembre in pensione.
Presenta i relatori che si alterneranno al microfono e i temi che saranno affrontati nelle loro
comunicazioni.
ORE 9:25 - Verso un nuovo modello di governance del sistema: ragioni
e ragionamenti – Valentino
Inizia Antonio Valentino, Dirigente scolastico di un istituto di istruzione superiore. Ha diretto
il settore aggiornamento e sperimentazione dell'IRRSAE Lombardia tra gli anni 80 e 90. Ha
ricoperto incarichi sindacali presso il centro nazionale della CGIL SCUOLA e della FLC CGIL. È
autore di libri e saggi sui vari aspetti della vita della scuola, con particolare riferimento
all'organizzazione e alle politiche professionali.
Verso un nuovo modello di governance del sistema: ragioni e ragionamenti
In apertura del suo intervento, Valentino spiega che il nuovo titolo della sua comunicazione,
rispetto a quanto riportato nel programma del convegno (n.d.r. Oltre l'autoreferenzialità. Gli
"altri" tra indirizzo, controllo, responsabilità) esprime meglio la complessità del tema oggetto
della relazione perché il tema della governance è certamente prioritario rispetto alla gestione di
una scuola che deve fornire alle nuove generazioni gli strumenti per essere cittadini a pieno
titolo.
Il problema si inquadra meglio ponendo la domanda: perché lavorare a nuovi modelli di
governo del sistema scuola è oggi una questione prioritaria?
Si possono ipotizzare, afferma Valentino, tre risposte. La prima risiede nella fatica e nella
difficoltà di dare gambe a obiettivi in cui si è creduto per una vita e che si ritengono sempre
più necessari per garantire al nostro paese livelli di cittadinanza propri di un paese civile e
democratico. La seconda nella consapevolezza che le nuove norme non innestano
immediatamente processi virtuosi di cambiamento. La terza nella inadeguatezza dell'attuale
modello degli organi Collegiali a gestire le sfide che la società chiede all'istruzione.
Tutto ciò pur non disconoscendo l'impegno e la dedizione di numerosi dirigenti e docenti. Resta
comunque aperto il problema del perché tante buone pratiche non fanno massa critica, anche
se alcuni fenomeni ed eventi ci dicono che siamo in presenza di una svolta:
•
In primo luogo, la crisi dei sistemi centralizzati, come fenomeno diffuso (i sociologi
parlano di "perdita del centro").
•
L'avvento dell'autonomia scolastica e del decentramento amministrativo.
•
La moltiplicazione dei soggetti in campo sia sulla linea cosiddetta verticale (accresciuto
ruolo degli enti politici intermedi, dal Comune alla Regione) che su quella cosiddetta
orizzontale (la scuola come esclusiva comunità di docenti studenti famiglie).
•
Il principio di sussidiarietà (verticale ed orizzontale), sancito dal nuovo titolo V
•
L'emergere dell'istanza della individualizzazione dei servizi.
Diverse ricerche elaborano possibili soluzioni al problema della governance della scuola.
Quella condotta in Lombardia nell'ambito del Progetto Leonardo VET GOVERNANCE elabora
l'idea di un modello policentrico di governance centrato sull'autonomia delle Istituzioni
Scolastiche e degli Enti Locali che attribuisce ai diversi soggetti istituzionali funzioni in linea con
il principio di sussidiarietà. Un modello orizzontale di organizzazione dei servizi formativi, che si
fonda sullo sviluppo di network e reti territoriali. Ipotizza altresì "Un processo di spostamento
del luogo delle decisioni dall'alto verso il basso" e un "protagonismo diretto dei soggetti che per
quanto riguarda le Istituzioni Scolastiche sono come corollario dell'Autonomia Scolastica.
Anche la ricerca di Treelle che si sviluppa a partire dalle criticità dell'attuale modello degli
OOCC come "non-sistema di governance" alimentata dalla perdurante assenza di ogni
valutazione, contiene elementi positivi e di debolezza.
Queste ricerche incrociano i temi del federalismo in genere e di quello scolastico in particolare
e quindi la questione dei rischi e problemi della possibile frammentazione e dispersione dei
modelli prospettati.
Sul piano delle indicazioni operative Valentino mette in evidenza l'impossibilità di applicare un
solo modello e suggerisce l'opportunità di più modelli orientati a risultati e principi comuni.
La multiregolazione è una scelta che potrebbe essere risolutiva di molti problemi con cui
conviviamo da parecchio, ma con alcune attenzioni:
•
Vanno esclusi sia il modello gerarchico che quello assembleare.
•
Va privilegiato il principio di corresponsabilità.
•
Vanno considerati necessariamente i possibili antidoti rispetto ai rischi di frantumazione
e dispersione.
Queste le osservazioni e considerazioni finali di Valentino. Non bastano le scelte di regolazione
interna: il problema è se il modello di riferimento è effettivamente policentrico; se il principio di
sussidiarietà diventa fondativo di diverse relazioni; se la rendicontazione e la valutazione sono
operazioni vincolanti e impegnative; se la multiregolazione tra soggetti coinvolti è
effettivamente ammessa e come la si rende attiva e funzionante.
Va depotenziato, inoltre, il Collegio Docenti come somma di interessi personali e /o di gruppo.
È necessario invece puntare sul protagonismo dei docenti nella elaborazione di un Progetto
coerente con le linee di indirizzo della scuola. Tutto ciò senza dimenticare quanto scrive Crozier
"On ne peut pas changer la societé par décret" (Crozier, 1979).
SUL SITO REGIONALE in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO :
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=2537
RELAZIONE INTERVENTO DI Antonio VALENTINO - SLIDE
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ORE 10:10 La formazione, il sapere e la conoscenza, guardano al
futuro- MISSAGLIA
Dario Missaglia è da molti anni un attento osservatore e studioso dei problemi della scuola,
della condizione degli insegnanti e degli studenti, ed è autore di numerosi saggi e articoli. Ha
una lunga esperienza di dirigente sindacale prima nella CGIL Scuola, divenendo poi segretario
nazionale della Federazione Formazione e Ricerca della CGIL nazionale. Attualmente dirige un
istituto di istruzione superiore.
Inizia il suo intervento sottolineando il clima di regressione culturale che si respira nel Paese,
clima al quale necessariamente dobbiamo reagire. Ma quale direzione dare al lavoro del
dirigente scolastico oggi e quale direzione al lavoro nella CGIL? Si dichiara orgoglioso Missaglia,
di aver incontrato sulla sua strada il sindacato. La CGIL gli ha permesso di condividere un
percorso politico con tanti altri e oggi la politica è importante, fa parte del ruolo del dirigente
scolastico. Forse stiamo vivendo una crisi realmente epocale e in essa è necessario
interrogarsi. Innanzitutto sul fatto che la scuola, come funzione pubblica dello Stato non ha un
ruolo centrale nella politica di questo paese, nè con governi di centrodestra né, con le dovute
differenze, con governi di centrosinistra. Ciò ha ragioni storiche profonde, che andrebbero
sondate maggiormente proprio oggi, a 150 dall'Unità d'Italia, perché è lì la radice di tanti mali
di questo paese, in quella fragile unificazione, subita più che supportata dalla Chiesa. Chiesa
che, ancora negli anni '50, dalle pagine di Civiltà cattolica, definiva la libertà di non andare a
scuola un diritto individuale.
E ancora oggi i nodi irrisolti sono tanti, il
conoscenza, come una risorsa economica
divisi, senza accorgersi che questi due
indeboliscono. E il "riordino" della Gelmini,
nostro sistema produttivo non ha mai pensato alla
per il Paese. Istruzione e lavoro sono sempre stati
elementi più si allontanano uno dall'altro, più si
persevera nell'errore.
La nostra istruzione statale non produce uguaglianza, non è un fattore di trasformazione
sociale.
In questo orizzonte, l'autonomia
riforma culturale. Da una logica
orizzontale di condivisione. Ma
dirigente oggi, significa calarsi in
ha rappresentato un fattore di rottura salutare, una profonda
verticale, al cui apice c'era il Ministero, si è passati ad una
tanti nodi legati all'autonomia restano irrisolti ed essere
questo flusso di cambiamento non ancora compiuto.
Si rischia ancora il ritorno al modello verticale, tanti direttori degli Uffici scolastici regionali,
continuano a porsi in modo gerarchico nei confronti dei dirigenti.
Oggi sono tanti soggetti delle decisioni nelle scuole, in questo modello orizzontale, ma va
studiato un modello di rappresentanza della scuola autonoma che abbia valore giuridico,
altrimenti il rischio autoritario di affidare tutto al dirigente è grosso. È importante inoltre,
secondo Missaglia, che si stabilisca un sistema di valutazione del dirigente. Come può il
dirigente valutare i docenti se non è valutato esso stesso?
Insomma è tanto il cammino da fare, ma è un cammino importante, per il senso sociale che ha
il lavoro del dirigente, perché a scuola possiamo produrre legami sociali, perché i giovani a
scuola possono apprendere la fiducia e superare la solitudine che c'è fuori. Perché il "consumo"
vive nel presente. La formazione, il sapere, la conoscenza, guardano al futuro
Appena possibile pubblicheremo la versione integrale del suo intervento.
…………………………………
ORE 10:45 Le politiche di cambiamento per la scuola: uno sguardo
all'Europa – TURCI
Antonella Turchi, dal 1994 responsabile dell'unità italiana di "Eurydice", la rete di
informazione sull'istruzione in Europa, prevista dal programma di azione comunitaria di
apprendimento permanente. Dal 1999 al 2005 è stata anche responsabile dell'azione Comenius
1 del programma di azione comunitaria Socrates. Dal 2005 è il coordinatore della sezione
documentazione dell'agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica (ex indire).
Le politiche di cambiamento per la scuola: uno sguardo all'Europa
Esordisce ricordando la storia ed il ruolo di Eurydice nella costruzione di legami trai sistemi
scolastici europei, che secondo le norme UE restano affidati agli stati nazionali. In tal senso
mette in guardia dall'immaginare un'unica scuola europea, sottolineando invece come i sistemi
scolastici (35) siano persino più degli stati che compongono l'Unione (27). Infatti alcuni paesi
hanno più sistemi scolastici (ad esempio il Belgio ne ha tre, uno per ogni comunità linguistica,
il Regno Unito due, uno per Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord e uno per la Scozia ecc.).
In ogni caso in questi anni tutti i paesi si sono mossi in direzione di una maggiore autonomia
scolastica: Belgio e Olanda fin dagli anni cinquanta, la Spagna dopo la caduta di Franco, la
Francia a partire dall'85, il Regno Unito dall'89, i paqsi dell'Est europeo dopo la caduta del
muro, l'Italia dal 1997. Prevalentemente si è trattato di misure adottate a livello centrale che
sono state calate sulle scuole in ragione di filosofie diverse nel tempo: negli anni ottanta la
filosofia dominante era quella della democrazia partecipativa, negli anni novanta quella di
efficacia ed efficienza, nell'ultimo decennio quella della qualità educativa.
Attualmente si possono distinguere sistemi ad autonomia scolastica completa, ad autonomia
limitata ( ed esempio dagli enti locali), quelli con nessuna autonomia o quelli con delega totale
alle scuole (caso limite quello dell'Olanda a geometria variabile a seconda delle municipalità).
In sintesi possiamo definire ad autonomia elevata i sistemi scolastici di Belgio, Irlanda,
Slovenia, Svezia, Regno Unito (tranne la Scozia), Danimarca e Repubblica Ceca, ad autonomia
relativamente elevata quelli di Ungheria, Polonia e Slovacchia, ad autonomia limitata quelli di
Italia, Francia, Spagna e Portogallo, ad autonomia ridotta quelli di Germania (autorità
regionali), Lussemburgo, Malta, Cipro e Grecia.
Per capire meglio su cosa si esercita questa autonomia si può dire che in quasi tutti i paesi le
scuole non hanno potere sui beni immobili (fanno eccezione Belgio e Olanda), mentre hanno
più autonomia sulle spese di funzionamento e su quelle per le attrezzature informatiche (fa
eccezione paradossalmente la scuola britannica, dove queste cose sono invece spesso legate a
programmi nazionali). Così come quasi ovunque le scuole hanno autonomia su fondi privati ed
affitti. Al contrario sono quasi ovunque proibiti i prestiti. In quasi nessun caso i fondi privati
però possono servire per assumere o retribuire personale, docente o ATA, (va tenuto presente
tuttavia che sul fronte delle attività extracurricolari in alcuni paesi si ricorre al terzo settore). È
possibile usarli, pur con limitazioni e cautele normative, per beni mobili.
Per quello che riguarda l'orario scolastico e il curricolo, in alcuni paesi questo è definito a livello
nazionale solo per una parte, talvolta anche minima, e per l'altra parte a livello di scuola.
Ad esempio in Finlandia si ha una sistema simile al nostro universitario con materie
obbligatorie nazionali e materie opzionali offerte dalla singola scuola, nel Regno Unito le
materie nazionali sono appena tre , il resto sono definite a livello di autorità scolastica locale.
Le scelte delle materie opzionali naturalmente hanno conseguenze per la prosecuzione degli
studi degli alunni ed ogni alunno si deve costruire il suo curricolo con l'aiuto di tutor o
consuelor presenti nelle scuole.
Quasi ovunque i capi di istituto sono assunti per selezione (fa eccezione la Spagna dove sono
elettivi), quasi ovunque sono licenziabili, ma hanno potere di scelta sugli insegnanti sia per la
assunzione su posti vacanti in buona parte dei paesi sia per le supplenze praticamente
ovunque. Parallelamente hanno potere di licenziamento ed anche di sanzione disciplinare. I
paesi che fanno eccezione sono una dozzina. Va tenuto presente che i salari degli insegnanti
sono generalmente più alti che in Italia: ad esempio un salario terminale di un nostro maestro
elementare è inferiore al PIL pro-capite, il salario iniziale di un insegnante portoghese (non
svedese o danese!) è due volte e mezza il PIL pro capite portoghese.
Le decisioni sull'uso dei fondi spettano quasi sempre al capo di istituto (in qualche caso previo
parere del consiglio di istituto, soprattutto se ritratta di fondi privati), mentre per lo più è il
consiglio di istituto che decide sulla selezione dei capi di istituto, e questi ultimi sulla selezione
degli insegnanti.
Da un punto di vista amministrativo le scuole dipendono da amministrazioni centrali o regionali
in Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Germania, da amministrazioni comunali nei paesi
scandinavi, in Scozia e in Ungheria, da apposite autorità locali in Inghilterra, sono del tutto
autonome in Belgio e Olanda e in molti paesi dell'Est, dove sembra vigere una specie di legge
del contrappasso rispetto ai precedenti regimi comunisti.
Per una più precisa descrizione delle condizioni sopra descritte si vedi le SLIDE
SUL SITO REGIONALE in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO :
http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=2537
RELAZIONE INTERVENTO DI Antonella Turchi - SLIDE VERSIONE SINTETICA
RELAZIONE INTERVENTO DI Antonella Turchi - SLIDE VERSIONE INTEGRALE
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ORE 12:00 - Annamaria Poggi - Riprendere il cammino dell'autonomia
scolastica
Annamaria Poggi conclude i lavori della sessione della mattina. Professore di diritto
costituzionale, dal 2002 è preside della facoltà di scienze della formazione dell'università degli
studi di Torino. Numerose e importanti le sue pubblicazioni sui temi dell'autonomia, della
decentralizzazione e del federalismo.
Riprendere il cammino dell'autonomia scolastica
Non è possibile pensare l'autonomia delle istituzioni scolastiche senza inquadrarle nel contesto
delle altre autonomie. Il federalismo è un processo storico e non muove da modelli ideali non
contestualizzati. Esso si sviluppa inevitabilmente secondo i processi storici e le necessità di un
Paese e non può essere postulato facendo riferimento ad altre realtà. In Italia il federalismo
deve confrontarsi con la forza delle autonomie territoriali.
Il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche iniziato nel 1997 prevedeva un vero e
proprio patto tra autonomie e l'autonomia scolastica era considerata perno delle altre
autonomie territoriali, strumentali alla realizzazione dell'autonomia scolastica. Già sul nascere
quel disegno inizia a perdere la sua impostazione iniziale, perché la legislazione successiva,
posponendo l'autonomia scolastica (1999) a quella degli EE.LL. (1998), ha rovesciato il
processo logico sotteso al disegno iniziale. La stessa legge di modifica del Titolo V della
Costituzione non ha sciolto la questione delle priorità lasciando insoluto ogni nodo.
Oggi assistiamo ad una ripresa del centralismo burocratico che storicamente non è un segno di
forza dei governi, bensì di debolezza. Assistiamo al paradosso del fallimento dell'obiettivo del
conseguimento dell'uguaglianza delle opportunità in un sistema centralizzato. Il federalismo si
presenta come uno strumento utile per conseguire su tutto il territorio nazionale uguaglianza di
opportunità rimuovendo i fattori sfavorevoli per il raggiungimento del LEP. Sarebbe fuorviante
concepirlo in una chiave di lettura che vede il Nord e il Sud contrapposti ed identificando solo
in una parte del Paese i problemi. Non esiste, infatti, uniformità di situazioni in ciascuna parte
d'Italia.
Nel 2006 il Master Plan prevedeva una mappatura delle competenze tra Stato e Regioni e la
definizione di alcune norme generali per l'attuazione del Titolo V della Costituzione. Esso ha
previsto anche la costituzione di un tavolo tecnico che in questi anni ha lavorato producendo
una bozza di intesa che ha esplicitato le funzioni reciproche di Stato e Regioni, le modalità di
trasferimento delle funzioni e delle necessarie risorse dal centro alla periferia. In questa
proposta, che valorizzava la presenza dei dirigenti scolastici all'interno dei processi decisionali,
era anche previsto che le Regioni potessero avviare in tempi diversi le intese con lo Stato,
nell'ambito di un quadro legislativo di riferimento valido per tutti. Quella Bozza oggi è ferma
perché il MIUR l'ha respinta, nonostante il parere favorevole dato dal MEF e dalla FP. Il pericolo
è che, in assenza di un accordo quadro, le intese si definiscano separatamente tra lo Stato e le
singole regioni, con il conseguente trasferimento di risorse sottratte alla comunità. La Legge
Calderoli sul federalismo fiscale prevede, per il settore dell'istruzione, che vengano definiti i
LEP, ma non è chiaro quali attori andranno a definirli e quali siano quelli irrinunciabili. Senza un
accordo a livello nazionale il rischio è quello di accentuare le disparità e le differenze piuttosto
che colmare i vuoti.
Occorre pertanto riprendere immediatamente il cammino dell'autonomia scolastica che focalizzi
l'attenzione sulla valorizzazione delle reti di scuole strutturate normativamente, ma lasciate
alla libera iniziativa delle istituzioni scolastiche appartenenti ai diversi territori. Sarà necessario
inoltre che le scuole sviluppino sistemi interni di autovalutazione e che insieme agli altri
soggetti possano dare vita a fondazioni, concepite in un'ottica diversa da quelle del disegno di
Legge Aprea.
In conclusione, dice la Poggi, occorre affermare con forza che nulla potrà restituire ai processi
la giusta direzione se non si passa da una posizione di "resistenza" ad una volontà propositiva
che si concretizzi in iniziative, proposte documentali ed operative.
In questa direzione il sindacato può rappresentare una risorsa fondamentale in termini di
risorse intellettuali e operative.
*********************
04. CRONACA
POMERIGGIO
CONVEGNO
SECONDA
GIORNATA
15-10-2010
-
ORE 14:15
I lavori riprendono dopo la pausa per il pranzo e saranno dedicati alla contrattazione
integrativa di istituto. In particolare, il tema centrale sarà "Le problematiche negoziali nella
scuola dopo la riforma Brunetta". Ad aiutarci il professor Mario Ricciardi, affiancato da
Gianni Carlini che è il primo a prendere la parola.
"Tutti sappiamo - dice Carlini - quali sono le domande alle quali aspettiamo una risposta e che
ci si aiuti a capire". Si proverà a formularle, anche per aiutare il professor Ricciardi, partendo
da alcune considerazioni iniziali.
Il DLvo 150/09 è stato scritto con due obiettivi:
•
liquidare se possibile o quantomeno ridurre il ruolo del sindacato nel pubblico impiego
•
costruire strumenti per costringere la dirigenza pubblica a rendere conto del proprio
lavoro al datore di lavoro pubblico, all'amministrazione (non dei risultati come sarebbe
assolutamente giusto, ma di tutte le sue scelte).
È stato condizionato dall'esiguità delle risorse utilizzabili al momento della sua definizione. Ora
queste si sono ulteriormente ridotte e sono venute meno anche quelle che si volevano usare (i
cosiddetti "risparmi" derivanti dai tagli agli organici e dall'abolizione degli scatti di anzianità).
Una delle tante versioni del DL 78/10 conteneva un comma che esplicitamente rinviava al
termine del blocco delle retribuzioni e del contratto tutta l'applicazione del DLvo 150/09.
Comma soppresso per le proteste del Ministro Brunetta.
Del DLvo 150/09, fin dall'inizio della discussione sulla sua applicazione, era stata evidenziata la
sua non applicabilità alla scuola: per gli organismi previsti dal decreto non presenti nella
scuola; per l'autonomia della scuola, per l'esclusione esplicita dei docenti dalla valutazione fino
al Dpcm previsto; per il fatto che le risorse della contrattazione integrativa nella scuola sono
tutte finalizzate a prestazioni aggiuntive effettivamente rese.
Esiste una volontà, incalza Carlini, a togliere di mezzo ogni ostacolo per i dirigenti pubblici
affinché possano applicare tutte le indicazioni dell'amministrazione, anche senza gli organismi
di valutazione, senza la conclusione dei percorsi di definizioni delle cosiddette performance,
senza specifiche risorse contrattuali.
Ci sono soggetti, prosegue Carlini, che perché si faccia quello che farebbe piacere
all'amministrazione e al governo, avendo applaudito al "rafforzamento" della dirigenza
scolastica, devono pur dimostrare di avere ottenuto un qualche risultato e quindi hanno
lanciato una campagna contro la contrattazione di istituto, per la riduzione delle materie e per
il suo svuotamento.
Dopo queste considerazioni, Carlini formula alcune domande che vengono rivolte al professor
Ricciardi.
•
Le modifiche apportate al DLvo 165/2001 dal DLvo 150/09, relativamente
all'organizzazione degli uffici e alla gestione del rapporto di lavoro, cambiano il quadro
relativo ai "poteri" della dirigenza scolastica? Soprattutto relativamente alla differenza
fra macrorganizzazione e microrganizzazione del lavoro, sulla quale ci sembra si stia
facendo una intenzionale confusione.
•
Possono i dirigenti scolastici decidere unilateralmente escludere dalla contrattazione
integrativa quello che il CCNL prevede?
•
Come si concilia una tale scelta con il fatto che il MIUR, in piena vigenza del DLvo
150/09 ha invece rimesso, con il contratto integrativo nazionale su assegnazioni
provvisorie e utilizzazione, alla contrattazione di istituto contenuti che invece il dirigente
ritiene non più oggetto di contrattazione integrativa?.
•
Quale sarà il destino della contrattazione integrativa in assenza del rinnovo dei contratti
nazionali?
•
Cosa succederà il 1 gennaio 2011?
•
La circolare n. 7 e le indicazioni che da costituiscono un obbligo per i dirigenti? Hanno
cioè un valore di norma? E le diverse sentenze dei Tribunali che hanno tutte considerato
antisindacale il comportamento di amministrazione pubbliche che hanno escluso dalla
contrattazione alcune materie previste invece dal CCNL possono orientare le decisioni
dei dirigenti, anche al fine di evitare un danno all'amministrazione ed una
responsabilità?
………………………
ORE 14:40
Mario Ricciardi è professore presso l'Università degli Studi di Bologna, componente del
comitato direttivo e già vicepresidente dell'associazione italiana per lo studio delle relazioni
industriali (AISRI). Promotore e coordinatore della Summer school per esperti latino americani
in problemi del lavoro. È stato per molti anni componente del Comitato direttivo dell'ARAN,
titolare della contrattazione del comparto scuola. È anche autore di numerosi saggi e articoli
sui problemi delle relazioni industriali e del lavoro.
La contrattazione di scuola dopo la riforma Brunetta
Il prof. Ricciardi comincia il suo intervento ringraziando dell'invito, ma con un pizzico di ironia
fa presente che si tratta di un invito pesante perché la materia è incandescente.
L'argomento della contrattazione integrativa, di cui dobbiamo occuparci dice, è reso
particolarmente complesso dal contesto in cui si inserisce. Da un lato, infatti, la legge
150/2009 è dominata da una vera furia di azzeramento dell'impianto preesistente, e da una
frenesia di fare presto, senza rispettare le norme esistenti, i contratti, i diritti e i doveri
consolidatisi nel tempo. Questo determina una serie di problemi interpretativi che per la prima
volta si verificano nel pubblico impiego in modo così marcato, perché in precedenza i
cambiamenti normativi, che pure vi erano stati lasciavano spazio a periodi di decantazione, e
soprattutto si ponevano in continuità con la normativa preesistente.
Questa volta, invece, per Ricciardi ci troviamo di fronte a un legislatore in preda a una sorta di
frenesia, come se temesse che il trascorrere del tempo giochi a suo sfavore. A complicare
ulteriormente il quadro, c'è poi stato l'arrivo, praticamente a ridosso del decreto 150, della
manovra d'estate che ha azzerato o almeno congelato gran parte delle norme della riforma
della pubblica amministrazione. Tutto questo ha determinato una serie di torsioni e di
forzature, anche giuridiche, che hanno reso questa fase un vero e proprio percorso di guerra,
nel quale la contrattazione residua, che è poi quella integrativa, applicativa dei contratti
stipulati nella fase precedente viene sovraccaricata di un compito improprio, quello di dare
immediata attuazione alla legge, in assenza di un nuovo quadro di contrattazione nazionale,
determinando probabilmente un risultato esattamente opposto rispetto a quello voluto, quello
cioè di far diventare la contrattazione del pubblico impiego una specie di abito di arlecchino.
Sono numerose le norme che pongono interrogativi ai quali non è facile dare risposte certe.
Una è sicuramente quella contenuta nell'art. 34, che stabilisce che le determinazioni inerenti
all'organizzazione degli uffici e alla gestione dei rapporti di lavoro siano assunte in via esclusiva
dagli organi preposti alla gestione, fatta salva la sola informazione ai sindacati. Si precisa che
vi rientrano la gestione delle risorse umane e la direzione e la organizzazione del lavoro
nell'ambito degli uffici. Ma il successivo art. 54 afferma che sono contrattabili le materie
direttamente pertinenti il rapporto di lavoro. Stabilire con precisione questo confine è molto
difficile. Infatti, la stessa circolare n. 7 che dice delle ovvietà si guarda bene dallo stabilire
questo confine. È impensabile che siano i negoziatori (Dirigente scolastico e RSU) a farsi carico
di determinare quali sono le materie di organizzazione.
Un dato è certo, una circolare non può sovvertire l'ordine gerarchico dei contratti: nazionale e
integrativo.
Inoltre la scuola è un sistema molto complesso perché al suo interno agiscono altri soggetti
(es. collegio docenti) che invece non sono presenti nelle altre amministrazioni, dunque, in ogni
caso la legislazione scolastica rimane un punto di riferimento non trascurabile. Il Ccnl vigente
rimane al momento l'unico elemento sui cui basarsi. Ciò vuol dire che bisogna stare molto
attenti a non esorbitare dalle norme contrattuali ponendo una maggiore attenzione alle regole
e alle procedure. Ad esempio compilando una relazione tecnico illustrativa molto precisa e
puntuale.
L'altra norma cruciale è quella contenuta nell'art. 54 comma 3, dove si afferma che, qualora
non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto integrativo, l'amministrazione
interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino
alla successiva sottoscrizione.
Sono due norme che, se interpretate estensivamente in senso letterale, come alcuni interpreti
sembrano intenzionati a fare, potrebbero, se non paralizzare, certo ferire gravemente la
contrattazione integrativa. È evidente che dare all'amministrazione la possibilità non solo di
decidere unilateralmente, prescindendo dal confronto con il sindacato e le RSU, ma anche di
decidere unilateralmente senza avere contrattato, significa uccidere la contrattazione.
Si tratta di norme che suscitano diversi interrogativi e perplessità, alcuni più d'ordine generale
e "politico", altri invece di natura più tecnica, che richiedono, per essere risolti, una serie di
valutazioni sul sistema delle fonti, i rapporti tra livelli contrattuali e, soprattutto, una forte dose
di buon senso in coloro che sono chiamati ad applicarle, senza forzature "decisioniste",
assolutamente fuori luogo, ma anche con grande attenzione al rispetto delle prerogative e delle
competenze definite dai contratti nazionali di lavoro.
ORE 15:20
Al termine dell'intervento si apre il dibattito, con l'impegno di chiudere i lavori entro le ore
16.30.
*********************
05. Il convegno dei Dirigenti della FLC CGIL: I nodi di un nuovo
modello di governo nel sistema istruzione e formazione – REPORT - di
Antonio Valentino
“Anche a sinistra manca un’idea profonda del cambiamento che è intervenuto. L’unica forma di
lotta messa in atto è una forma di ‘resistenza’; ma noi non dobbiamo resistere. Dobbiamo
costruire e attaccare. Deve emergere una linea propositiva perché la resistenza è una forma di
conservazione”. Così Luigi Berlinguer nel suo applauditissimo intervento al Convegno
annuale dei Dirigenti scolastici della FLC CGIL su “Responsabilità dirigenziale e sistema di
governo per la qualità della scuola pubblica” (Firenze, 14 e 15 ottobre) . L’intervento è seguito
alla presentazione dell’iniziativa da parte di Antonio Bettoni, vicepresidente dell’associazione
PROTEO FARE SAPERE, e dalla relazione – preoccupata, ma insieme aperta e coraggiosa - del
coordinatore nazionale Gianni Carlini. Nella relazione non sono mancate critiche alle politiche
governative “autiautonomistiche e amministrativistiche”, ma molto si è insistito anche su una
linea di ascolto e di proposta “per la gestione del cambiamento e per il miglioramento della
scuola”; fuori da arroccamenti e chiusure corporative, ma avendo comunque la barra su
principi irrinunciabili, quali: l’equità, l’uguaglianza delle opportunità e ‘l’uguaglinaza diseguale’
per quanti sono penalizzati da situazioni di svantaggio, la democrazia nei rapporti di lavoro,
oggi compromessa da politiche autoritarie.
La prima giornata è stata segnata anche da una serie di altri interventi importanti. Quello di
Anna Armone che, dentro il discorso, centrale nel convegno, della ricerca di un nuovo
modello di governace per le scuole e per il sistema istruzione e formazione, ha insistito sulla
necessità di istituzionalizzare le reti di scuola, superando la pratica degli accordi e assumendo
invece le reti istituzionali “come soggetti formalmente legittimati a interloquire con gli enti
territoriali” nella definizione delle politiche scolastiche sul territorio e nella governance
decentrata: “urge istituzionalizzarli per inserirne le funzioni, ad esempio, negli statuti delle
regioni”.
L’istituzionalizzazione di tali soggetti, rappresenterebbe - ha sostenuto la relatrice -, il
connettivo obbligatorio capace di avviare nuovi modelli di governance e l’unica via per
garantire alle scuole un funzionamento efficace.
“Solo un soggetto riconosciuto e
istituzionalizzato – ha insistito - potrebbe frenare l’anarchia di un sistema nazionale a diverse
velocità e connotazioni”.
L’intervento di Franco De Anna ha affrontato il tema della rendicontazione sociale come
dispositivo obbligato per responsabilizzare le scuole rispetto agli esiti delle loro attività. Egli,
dopo un’attenta disamina del rapporto tra la rendicontazione sociale come “filosofia della
produzione pubblica” e il sistema di istruzione, chiarisce quali siano per lui i terreni e la “catena
di senso” della rendicontazione.
Qui ne richiamo soprattutto due il cui valore è più
immediatamente coglibile:
• il rapporto tra istruzione superiore e sviluppo economico (evidenziabile attraverso la
relazione flessibilità curricolare / sviluppo locale)
• il superamento del paradigma dell’ordinamento e la sfida dell’Autonomia scolastica
(evidenziabile attraverso la “padronanza” dell’organizzazione del lavoro: risorse, lavoro,
sviluppo
organizzativo; l’efficacia dei modelli organizzativi: ambienti di apprendimento, curricoli;
controllo, valutazione, miglioramento).
Luciano Benadusi, professore di sociologia dell’educazione all’Università “La Sapienza” ha
invece messo sotto osservazione lo scenario entro cui collocare il tema della governance e i
suoi aspetti più significativi. Fra questi, ha evidenziato, soprattutto, i caratteri del modello
sociale del nostro paese che si distingue per la scarsa importanza data all’educazione, la
debolezza del valore della conoscenza nella nostra società e la scarsa considerazione, da parte
del nostro ceto politico, nei confronti dell’istruzione e della formazione; caratteri che fanno da
freno alla possibilità di politiche innovative. Questo spiega in parte l’involuzione che la riforma
dell’autonomia ha progressivamente subito negli anni successivi alla sua emanazione,
caratterizzati da legificazioni sempre più restrittive e centralistiche. “Quello di oggi – ha
affermato – è un simulacro di autonomia, in quanto la barra si è spostata sugli ordinamenti
anziché sui carretteri e gli ambiti dell’autonomia previsti dall’art. 21 della L. 59: oggi la sfida è
portare a termine il percorso cominciato proprio con la L. 59”. Conclusivamente ha richiamato
come il vero problema oggi è dato dalle restrizioni economiche e dall’asfissia del progetto che
c’è dietro: se non si risolve questo problema, anche il discorso della governance non ha gambe
per camminare.
Negli interventi del giorno successivo, i temi della governance diventano oggetto di una
riflessione più stringente e mirata e puntano ad evidenziare le questioni che vanno tenute
presenti nel definire natura e caratteristiche di nuovi modelli. Tra queste, quella
dell’autoreferenzialità - causa di chiusure, arroccamenti corporativi, blocco di qualsivoglia
sviluppo professionale – e quello di un collegio docenti sostanzialmente irresponsabile rispetto
agli esiti della propria azione educativa e demotivato rispetto a pratiche didattiche centrate
sull’apprendimento e sulla individualizzazione dei percorsi formativi. Ma, anche, quella
dell’assenza perdurante di ogni forma di valutazione del funzionamento della scuola (e quindi
del lavoro di docenti e dirigenti) e di rendicontazione sociale. L’autoreferenzialità – si è detto in
più interventi – si può vincere attraverso una governance decentrata e una “multiregolazione”
tra i soggetti responsabili sul territorio della qualità del funzionamto delle scuole e delle
politiche scolatiche in genere.
Sono stati anche riproposti anche alcuni risultati ritenuti condivisibili di una ricerca di TRELLE
(2007) che ipotizzano, assieme a funzioni e prerogative più estese del DS, una “leadership
distribuita”, ma anche una autonomia statutaria delle singole scuole (quanti e quali organi e
con quali poteri).
L’intervento di Dario Missaglia, molto applaudito, ha messo al centro della riflessione il senso
sociale del lavoro del dirigente scolastico, collocandolo nel più ampio scenario della crisi –
questa sì epocale – che stiamo vivendo e indicando vie d’uscita in grado di contrastare il clima
di regressione culturale che si respira nel paese e di recuperare centralità all’istruzione come
fattore di uguaglianza e come “ascensore” sociale. “Oggi si rischia ancora – ha concluso - il
ritorno al modello verticale: basti osservare il modo autoritario di porsi di tanti direttori di USR
nei confronto dei DS. Ma anche i tentavi di affidare tutto al dirigente scolastico vanno
considerati come un rischio. Comunque è importante che il sistena di valutazione delle scuole
parta dalla valutazione del DS”.
La comunicazione, interessantissima, della dottoressa Antonella Turchi, responsabile
dell’unità italiana “Eurydice”, la rete di informazione sull’istruzione in Europa, ha riguardato i
livelli di autonomia nei vari paesi europei, distinguendo in basi a condivisi indicatori, quelli ad
autonomia completa, limitata, inesistente. Il quadro emerso è risultato utile per meglio
collocare il nostro paese dentro la corrnice europea e allargare i nostri orizzonti in riferimento
ai modelli di governabilità dei sistemi scolastici.
L’intervento conclusivo sulle tematiche della governance è svolto da Annamaria Poggi,
professore di diritto costituzionale all’università di Torino, che muove, nella sua analisi, da
preliminari considerazioni sull’autonomia delle istituzioni scolastiche – da inquadrare sempre,
nella sua riflessione, nel contesto delle altre autonomie – e sul federalismo come processo
storico che in Italia è chiamato a confrontarsi con la forza delle autonomie territoriali. Va
richiamato – afferma – che il processo delle autonomie scolastiche, iniziato nel 1997,
“prevedeva un vero e proprio patto tra autonomie e autonomia scolastica e l’autonomia
scolastica era considerata il perno delle autonomie territoriali, strumentali alla realizzazione
dell’autonomia scolastica”. Già sul nascere – argomenta - quel disegno comincia a perdere la
sua impostazione iniziale: già nel ’98 col 112 l’autonomia scolastica viene posposta a quella
degli EE.LL (e la stessa legge di modifica del titolo V del 2001 non scioglie il nodo). Oggi –
prosegue – assistiamo a una ripresa del centralismo burocratico e, conseguentemente, al
fallimento dell’obiettivo del conseguimento dell’uguaglianza – formale e sostanziale -, difficile
se non impossibile in un sistema centralizzato. Il federalismo va perciò visto come uno
strumento utile per conseguire su tutto il territorio nazionale tale obiettivo, perché più in grado
di rimuovere i fattori sfavorevoli al raggiungimento dei LEP (livelli essenziali di prestazioni):
sarebbe fuorviante – afferma – concepire il federalismo in una chiave di lettura che vede il
Nord e il Sud contrapposti, quasi che i problemi di uguaglianza ed equità siano circoscrivibili a
una sola parte del paese. Il Master Plan del 2006 prevedeva un percorso ben dentro questa
logica (e, tra l’altro, con una forte valorizzazione dei DS nei processi decisionali): intese tra
stato e regioni da avviare anche in tempi diversi, ma nell’ambito di un quadro legislativo
uguale per tutti. La bozza oggi è ferma – chiarisce - perché il MIUR l’ha respinta, preferendo
intese separate, in assenza di un accordo quadro. Anche la legge Calderoli sul Federalismo non
porta elementi di chiarezza al riguardo. “Senza un accordo quadro, il rischio di accentuare le
disparità e le differenze si fa concreto” – dice -. E’ sulla base di questa analisi che la Poggi
prospetta, come già avevano fatto altri interventi, pur muovendo da ragionamenti diversi, la
necessità di riprendere il cammino dell’Autonomia scolastica, focalizzando l’attenzione sulla
valorizzazione delle reti di scuola “strutturate normativamente”, sullo sviluppo di sistemi interni
di autovalutazione e sulla possibilità di dare vita, assieme ad altri soggetti, a fondazioni
concepite in un’ottica diversa da quella del disegno di legge “Aprea”.
La sessione pomeridiana è stata tutta centrata sulle problematiche negoziali nella scuola dopo
la riforma ‘Brunetta’. La relazione del professor Mario Ricciardi (università di Bologna), anche
in riposta alle sollecitazioni di Gianni Carlini, e il dibattito che ne è seguito, hanno offerto ai
partecipanti strumenti di conoscenza e di approfondimenti importanti su una questione che
attiene non solo alla cultura professionale del dirigente scolatico, ma anche, più in generale,
alla cultura democratica del nostro paese.
Il primo giorno ha portato all’iniziativa i suoi saluti e un suo contributo il segretario generale
della FLC CGIL, Domenico Pantaleo.