Galeazzo Alessi e la villa: un progetto di paesaggio nell`Umbria del

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Galeazzo Alessi e la villa: un progetto di paesaggio nell`Umbria del
Galeazzo Alessi e la villa: un progetto di
paesaggio nell’Umbria del XVI secolo
Maurizio Pece
E’ noto che il termine “paesaggio” deriva dalla stessa radice di “paese” e
come afferma Piero Camporesi nel suo saggio “Le belle contrade. Nascita
del paesaggio italiano”, “nel Cinquecento non esisteva il paesaggio, nel senso
moderno del termine, ma il “paese”, qualcosa di simile a quello che per noi è
oggi il territorio o, per i francesi, “l’environnement” ”.1
A sua volta il termine “paese”, discende dall’aggettivo tardolatino pagensis,
da pagus = villaggio, ossia cippo confinario, recinto, limite; in tal senso, “il
paesaggio, secondo la logica di questo etimo, appare come una regione rurale definita da confini o comunque chiaramente riconoscibile nei suoi limiti;
accezione individuabile anche nel senso antico di Landschaft, la campagna
lavorata, opera della comunità: dunque una realtà che allude all’insediamento, all’abitare, coltivare, abbellire e venerare da parte di una comunità sul
territorio scelto per viverci.”2
Lo stesso Galeazzo Alessi, nella seconda metà del ‘500, nel descrivere il
territorio del Comune di Varallo nel proemio al “Libro dei Misteri” sosteneva
che “la terra di Varallo. . . bella veramente si può dire, . . . per la vaghezza
del paese coltivato come per la destributione con un certo ordinato compartimento di Monti, Valle, pianure, come se insieme la natura et l’arte havessero
ciò fatto per render estrema sodisfattioni di chi lo vede”.3
E’ evidente come
l’Alessi faccia esplicito riferimento al concetto di paesaggio identificativo della campagna lavorata ad opera dell’uomo, ricontestualizzata in una visione
artistica di insieme; inoltre, il termine “paese” che l’Alessi utilizza per descrivere il territorio agrario di Varallo, serve per operare una netta distinzione tra
il paesaggio dello spazio rurale (landscape) e quello dello spazio urbano (cityscape), ossia “tra la dimensione urbana, con la sua specifica cultura, e la
campagna, un “fuori” da allontanare o da riconquistare (. . . .) godibile come
1
P. CAMPORESI, Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano, Garzanti, Milano, 1992, p.9
L. BONESIO, Senso e identità del paesaggio, in Conoscere il Paesaggio, Corso per docenti delle scuole della provincia di Sondrio, Dic.
2004 – Mar.
2005, pagg.
7-8, in
http://www.fondazionebombardieri.it/cd/cd/bonesio/relazione%20bonesio.pdf
3
G. ALESSI, Libro dei Misteri. Progetto di pianificazione urbanistica, architettonica e figurativa del
sacro Monte di Varallo in Valsesia (1565-1569), presentazione di A. M. Brizio e S. Stefani Perrone, vol. I,
Forni Editore, Bologna 1974, Proemio, pag. 3r
2
1
✷
fenomeno estetico, spettacolo che la cultura urbana rappresenta nella forma
artistica, o come sfondo delle proprie città.”4
Infatti, nel XVI secolo la campagna appariva ancora come una parte di territorio nettamente separato dalla città per mezzo di mura, le quali non solo delimitavano lo spazio fisico, ma contribuivano a definire due paesaggi
tra loro diversi; “appendice della città, la campagna doveva essere addomesticata, colonizzata, annessa alla vita urbana” e il paesaggio agrario era
semplicemente “un luogo di utilizzazione razionale della natura”5
Fig. 1:
Spello (PG), Colleggiata di Santa Maria Maggiore, Pinturicchio, l’Annunciazione (particolare),
1501
Nell’Italia del cinquecento, quindi, la parola "paesaggio" non era ancora comparsa, sebbene la percezione estetica della natura concorreva alla definizione di un concetto di paesaggio teorizzato già a partire dalla metà del 1300
da Francesco Petrarca con la famosa lettera sull’ascesa al Monte Ventoso.
Nell’epistola Petrarca rappresenta la natura come un insieme che diventa
paesaggio visibile, percepibile attraverso i sensi, in netta contrapposizione
con la visione medioevale del rapporto uomo/natura, che attribuiva all’uomo
il ruolo di conservazione della natura, la quale poteva essere usata, ma non
4
5
L. BONESIO, op. cit., pag. 8
P. CAMPORESI, op. cit., p.120
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dominata e conquistata. Venuta meno la percezione della campagna come
luogo assoggettato al solo dominio della natura, con Petrarca prese corpo la
dialettica storica, culturale e antropologica “tra paesaggio antico e paesaggio
moderno, tra Medioevo e Rinascimento, tra homo faber e homo aestheticus”;6 per tali motivi, Petrarca riscopre la campagna come “locus amenus”,
anzi egli “si ritira in campagna, vive nella natura e la modifica. . . .perché si ingegna a fare il contadino. Con lui ha inizio il ritorno agli ideali classici della vita
agreste”7 che lo porterà a sviluppare la sua concezione del paesaggio della
solitudine (De vita solitudine), ossia di un particolare stato contemplativo che
ritrova i suoi ideali nel relax della vita in campagna (otium) in contrapposizione
allo stress della vita urbana (negotium).
La vita contemplativa della campagna (otium) unitamente alla riscoperta del
paesaggio agrario come frutto dell’azione continua dell’uomo sulla natura (utilitas),8 introdusse a partire dal XV secolo profondi cambiamenti nel rapporto
tra città e campagna, grazie soprattutto ad un mutato clima culturale che ebbe
come protagonista la classe politica e nobiliare cittadina; quest’ultima, nell’intento di associare all’attività agricola il lusso ed il decoro dei propri palazzi di
cittài, dette avvio ad una fase di urbanizzazione del territorio agricolo attraverso la realizzazione di ville, che trasformarono profondamente il paesaggio
agrario.
Pertanto, sebbene il concetto di paesaggio, nella sua accezione “territoriale”, ha avuto nel tempo fasi di progressiva evoluzione, è a partire dalla seconda metà del XV secolo che si andò affermando la landscape architecture, grazie anche ad “un nuovo o rinnovato apprezzamento della bellezza
della natura e del “paese” (che) appaiono anche in scritti che raccontano di
uno spazio che non chiameremmo oggi nè territorio nè tantomeno ambiente,
ma piuttosto paesaggio. (. . . .) Guardare il paese come paesaggio significa (. . . .) riconoscerne come elemento intrinseco un equilibrio, dettato dalla
ragione, nel rapporto fra diletto e utilità, in cui “fare” e “contemplare” sono
complementari”.9
La landscape architecture, come progetto di paesaggio, in un primo tempo prese corpo attraverso l’arte dei giardini, che contribuì a proiettare nello
spazio naturale le regole compositive del paesaggio artificiale, costituito da
vialetti delimitati da siepi squadrate, aiuole, piazzette, fontane, vasi di fiori o
agrumi, tutti elementi che esprimevano con forza il controllo dell’uomo sulla natura. Lo sviluppo del pensiero umanista con la riscoperta del giardino
quale spazio aperto al contrario dell’“hortus conclusus” di matrice medievale,
portò alla realizzazione di giardini con ampie vedute panoramiche sul paesaggio circostante, con il quale spesse volte essi si legavano in un progetto
6
M. MESCHIARI, Macchie di crescita,
Note per una logica paesaggistica,
in
http://digilander.libero.it/macchiedicrescita/macchie_di_crescita.htm
7
A. POLITANO, La civilità delle Ville Venete, da Petrarca ai proprietari di oggi, ultimi castellani d’Italia,
National Geographic, Italia, giugno 2007
8
cfr. E. SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Roma-Bari 1961; nuova ed. 1999
9
P. BALDESCHI, Paesaggio e territorio, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 201, pag. 14.
✹
unitario senza soluzione di continuità. Inoltre, la nuova architettura dei giardini si concretizzò anche attraverso “l’utilizzo di elementi architettonici che
si caricano di simboli e messaggi allegorici, (. . . .) di iscrizioni d’ispirazione
mitologica espressione dei ritrovati e rinnovati ideali e dello splendore della
civiltà classica, misura e rappresentazione della grandezza e del potere del
signore. Il succedersi di realizzazioni sempre più spettacolari, resero il giardino italiano un modello per l’arte europea dei giardini e questo determinò uno
stile più recentemente detto “giardino all’italiana” che influenzò l’Europa per
tutto il XVI e XVII secolo e che anche successivamente, in epoche diverse,
ha continuato ad essere oggetto di ispirazione costante.”10
E’ nella Roma della prima metà del ‘500, quando il giovane Alessi compiva la
sua formazione professionale presso importanti personalità dell’architettura
italiana, che si sviluppò il fenomeno della villa suburbana; questo processo
investì non solo le parti della campagna romana prossima al centro urbano,
come era già avvenuto nell’antichità, ma anche ampie porzioni di territorio
rurale molto distanti dalla città.
Fig. 2:
Roma, Villa Chigi, detta la Farnesina, acquaforte di G. Vasi, XVII secolo
In questi luoghi l’aristocrazia cittadina o la ricca borghesia mercantile costruì
ville e giardini nei propri possedimenti agricoli, riorganizzati attraverso sistemazioni nelle quali architettura, idraulica e botanica concorrevano a formare
l’insieme villa-giardino-campagna. “La villa rinascimentale (come già era avvenuto nel mondo tardo antico) è, dunque, un progetto in cui criteri estetici e
relativi a ciò che chiamiamo paesaggio, oltre all’utilitas, entrano esplicitamente in gioco. Suo luogo di elezione è il giardino, che dalle forme dell’hortus
conclusus si apre all’ambiente circostante, ne modella i contorni, determina
assi di orientamento, organizza la tessitura dei campi, si confonde negli spazi
naturali e nel bosco”,11 divenendo “un elemento di organizzazione di tutto il
10
M. MARCHETTI, L’evoluzione storica del giardino rinascimentale e barocco in Europa, pag. 167, in
http://mailbox.agr.unipi.it/guest1/gevup/elaborati/AA0405/11_Evoluzione_Storica.pdf op.
11
P. BALDESCHI, op. cit., 19
✺
paesaggio circostante, ove persino il contadino nel suo podere ne ripete i più
semplici allineamenti.”12
Le nuove forme di urbanizzazione della campagna contribuirono a creare al
di fuori della città e immersi nel verde i cosiddetti “luoghi di delizia”, luoghi di
loisir riservati alla ricca nobiltà cittadina, dove si esercitarono i migliori “architettori” dell’epoca, chiamati a dare corpo, attraverso sfarzose realizzazioni,
a vere e proprie creazioni paesaggistiche contraddistinte dalla presenza di
architetture monumentali e scenografici giardini.
Nell’Umbria del XVI secolo fu Galeazzo Alessi, “famoso e molto celebre architettore”,13 ad inventare ed interpretare in chiave moderna la villa suburbana;
egli cercò costantemente di armonizzare le parti architettoniche, quelle botaniche ed idrauliche al territorio circostante, suggellando cosi un forte legame
tra la villa e il “gentile paesaggio umbro-marchigiano formatosi in età comunale” (B. Zevi), all’interno del quale perduravano numerosi elementi dell’architettura rurale, antichi tracciati viari e le semplici geometrie di orti e giardini
contadini.
E’ dopo il suo rientro a Perugia nel 1567, che Alessi venne chiamato dal
Cardinale Della Corgna e dalla sua potente famiglia per realizzare i progetti
di alcuni palazzi e ville in diverse località dell’Umbria, grazie anche alla stima
ed all’amicizia che Ascanio Della Corgna nutriva nei confronti dell’architetto
perugino, che aveva voluto con sé durante un giro di ispezione alle fortezze
papali romagnole e ferraresi.14
Anche se è molto difficile reperire documentazione relativa all’attività dell’Alessi in Umbria come architetto di ville, sono attribuite allo stesso la Villa del
Colle del Cardinale, la sistemazione dei giardini del castello di Pieve del Vescovo ed alcuni interventi nella Villa del Leone (G. Carbonara), opere “da cui
traspare la mano di un “architetto sottile”, che ostenta un indiscutibile talento
nel “conservare unità di concetto nella molteplicità della forma”.15
Quando dopo la metà del secolo XVI Alessi iniziò la realizzazione di alcune
ville in Umbria, egli aveva già ampiamente sviluppato in altre zone
d’Italia il progetto della villa suburbana. Le sue realizzazioni umbre, quindi,
rappresentavano l’esito di una pratica architettonica e paesaggistica che lo
aveva già visto protagonista presso diverse città italiane; in particolare l’esperienza ligure, dove l’Alessi “fissò lo schema della residenza signorile genovese”,16 aveva fatto maturare nell’architetto perugino una dimensione della
villa suburbana che, sotto il profilo architettonico, accostava gli usi e i ruoli urbani a quelli del paesaggio rurale circostante. “Detto modulo testimonia una
rinnovata concezione della “villa”, considerata non più organismo chiuso e
12
E. SERENI, op. cit., p. 251
G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568), Newton Compton Editori,
1997, pag. 264
14
F. CECCUCCI, L’attività perugina di Galeazzo Alessi, La community di ilmiolibro.it, pag. 33
15
cfr. P. BELARDI, Galeazzo Alessi. La poetica dell’interrotto nel giardino del castello di Pieve del
Vescovo (1570-80), Alessi Bernini Borromini. Tre rilievi indiziari, Officina Edizioni, Roma, 2006, pag. 25
16
N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, Dizionario di architettura, Torino, Einaudi, 1981
13
✻
Fig. 3:
Villa del Colle del Cardinale, fronte anteriore. Foto C. Baroni, Soprintendenza B.A.P. Umbria
bloccato, quanto piuttosto in rapporto dialettico col territorio circostante. La
sua genesi va ricercata nell’area romana. . . ” dove nei primi decenni del XVI,
durante gli anni della formazione professionale dell’Alessi, venivano “poste
le basi per lo sviluppo della villa cinquecentesca. . . ” nell’ambito “della sperimentazione di nuove strutture, di un lessico rinnovato, di una variata sintassi
architettonica-urbanistica”.
17
Il modello di villa ligure, quale interpretazione di quella romana rinascimentale, fu di supporto alle realizzazioni umbre dell’Alessi, il quale riprese gli elementi tipologici ed architettonici delle ville genovesi e li scompose per adattarli
alle caratteristiche paesaggistiche ed alla morfologia del territorio perugino.
Infatti, e’ evidente come l’Alessi in ogni progetto prestava una notevole attenzione al luogo e alla sua orografia, cercando di integrare le architetture e
gli elementi costitutivi dei giardini che realizzava al paesaggio circostante, il
quale diventava il vero protagonista dell’intero progetto. Il luogo, quindi, era
l’elemento ispiratore del progetto della villa alessiana, tanto che nella costruzione dei giardini delle residenze signorili, l’architetto perugino dimostrò una
straautonomoordinaria capacità di adattare gli stessi alla conformazione naturale del sito, fino a sfumare e poi confondersi con il paesaggio circostante;
infatti, come sostiene il “Dizionario di Architettura”, Alessi era “maestro nell’arte di sfruttare, a scala sia architettonica che urbanistica, le difficoltà dei
lotti di terreno scoscesi”, prediligendo “il gioco di scalinate, colonnati, cortili
monumentali a diversi livelli.”18
Superando la concezione orientale del giardino-paradiso recintato, come nel
17
P. CARPEGGIANI, Alessi architetto di villa: parallelismi con Giulo Romano e Palladio, in Galeazzo
Alessi e l’architettura del Cinquecento. Atti del convegno internazionale di studi (Genova, 16-20 aprile
1974), Sagep Editrice, Genova, 1975, pag. 306
18
N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, op. cit.
✼
caso dell’hortus conclusus di tradizione medievale, Alessi coinvolgeva nelle
sue realizzazioni i molteplici elementi del territorio, elaborando dei veri e propri progetti di paesaggio a scala vasta, nei quali l’architetto perugino seppe
dare corpo ad un modello di villa suburbana, più volte replicata, fondendo
il tema dell’otium e quello dell’utilitas. Infatti, sebbene concepita per aristocratici che volevano vivere in campagna in residenze di rappresentanza e
di villeggiatura, la villa doveva svolgere anche una funzione pratica, di controllo dell’attività agricola, in quanto commissionate da una classe nobiliare
orientata ad accrescere il proprio potere economico anche attraverso le rendite fondiarie; inoltre, a partire dalla metà del XV secolo si riaffermava in
Umbria il “gusto per il bel paesaggio”, un paesaggio che nel perugino era
costituito da “territori ameni, dilettevoli, e fruttiferi colli”, così come raccontato dal domenicano bolognese Leandro Alberti nella sua Descrizione di tutta
l’Italia.19
Per tali motivi, a partire dal XVI secolo la nobiltà umbra promosse la “costruzione” di un nuovo paesaggio agrario, grazie anche ad una maggior grado
di sicurezza delle campagne e ad un mutato processo tecnico, economico,
sociale, culturale che portò ad un generale sviluppo dell’agricoltura; infatti, la
moderna organizzazione economica e sociale, che si protrarrà fino al ‘700,
ebbe naturalmente importanti conseguenze sul paesaggio agrario, dove accanto alle case, alle stalle, alle colombare ed alle altre strutture tipiche dell’architettura rurale, sorsero splendide dimore signorili, che come in passato,
costituirono gli elementi chiave nella gestione, nel controllo e nella progressiva organizzazione della campagna. La villa, quindi, divenne il centro, dal
punto di vista economico, di ampi territori agricoli, un elemento di valorizzazione del contesto paesaggistico circostante, nonchè un punto di riferimento
per le collettività locali.
In relazione alle esigenze di una classe nobiliare sempre più esigente nell’ostentare il proprio prestigio, Galeazzo Alessi seppe mettere in pratica tutte le
sue capacità progettuali, per sviluppare progetti di villa, così come richiesto
dalla nobile committenza umbra.
Attento conoscitore del suo tempo, Alessi fece tesoro anche dei principi costruttivi codificati dai trattatisti del tempo, come nel caso del suo contemporaneo Andrea Palladio, il quale nel libro secondo dei Quattro libri dell’architettura, in relazione agli aspetti caratteristici della villa, scriveva, che "l’animo
stanco delle agitationi della città prenderà molto ristauro e consolatione, e
quietamente potrà attendere agli studi delle lettere e alla contemplatione", e
"in vedere e ornare le sue possessioni, e con industria e arte dell’agricoltura
accrescer le sue facoltà".20
In tal senso il progetto di villa dell’Alessi, “interpretando in modo assolutamente personale il delicato momento di passaggio fra le esperienze rinascimen19
DESCRITTIONE DI TUTTA L’ITALIA, et Isole pertinenti ad essa. di fra Leandro Alberti bolognese, In
Venetia: appresso Paulo Ugolino, MDXCVI, pag. 118
20
A.PALLADIO, I quattro libri dell’architettura, 1570, libro secondo, p. 45
✽
Fig. 4:
Villa del Colle del Cardinale.Foto C. Baroni, Soprintendenza B.A.P. Umbria
tali romane e il progressivo maturare della nuova sensibilità manierista”,21
riproponeva alcuni aspetti legati al “mito della campagna”. In particolare la
sistemazione del giardino e dell’intorno della residenza travalicava i semplici
confini del lotto di pertinenza per inserirsi in un contesto territoriale più ampio;
a tal fine, il giardino assumeva la forma di un parco, divenendo il naturale prolungamento della villa nel contesto del paesaggio agrario circostante, mentre
la campagna al contorno penetrava all’interno del territorio della villa in stretto
rapporto fra il naturale e l’artificiale, tra natura naturans e natura naturata.
La percezione dell’intima connessione tra villa-giardino-campagna venne affidata dall’Alessi ad un lungo viale alberato, che, come nel caso della villa
del Colle del Cardinale, conduceva il visitatore lungo un percorso che dopo la fascia esterna di limite, caratterizzata dalla natura libera, attraversava
una prima area del parco dove il paesaggio era l’esito dell’opera dell’uomo
agricoltore, per giungere al piazzale monumentale di accesso alla residenza
del signore. La sistemazione paesaggistica progettata dall’Alessi, quindi, fu
quella di ridurre al minimo la separazione fra interno ed esterno, attraverso
un graduale passaggio fra lo spazio occupato dai campi coltivati circostanti
e quello ordinato del giardino, instaurando in tal modo un rapporto fra disordine e progetto, fra natura e artificio che esaltavano la dolcezza del paesaggio umbro. A tal fine, l’organizzazione degli elementi botanici della villa,
concorrevano a definire un progetto di paesaggio all’interno del quale anche
gli elementi della vegetazione, così come l’architettura, le statue e l’acqua
contribuivano a definire una serie di aree, all’interno delle quali dei percorsi
accompagnavano lo sguardo del visitatore verso il nucleo centrale della villa,
occupato dal “palazzo”; quest’ultimo era posto al centro della proprietà, in
posizione dominante e panoramica, in quanto, come già sottolineava l’Alberti
nel De re aedificatoria, doveva essere ubicato “in un punto della campagna
21
AA.VV. “La nuova Genova di Galeazzo Alessi”, Zanichelli Editore, 2011, pag.
http://online.scuola.zanichelli.it/ilcriccoditeodoro/files/2011/10/it-urbani19.pdf
52 in
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notevole per ...la ventilazione, l’esposizione al sole,. . . il panorama sarà bene
in vista, godrà della vista di una città, di forti, del mare o di una vasta pianura;
permetterà di volgere lo sguardo alle note cime dei colli o di montagne o su
splendidi giardini in posizione leggermente rialzata".22
Fig. 5:
Villa del Colle del Cardinale, viale di accesso. Foto C. Baroni, Soprintendenza B.A.P. Umbria
Quindi, l’Alberti indicava come priorità la necessità di una corretta scelta del
luogo di costruzione di una villa, prediligendo luoghi collinari affacciati su
splendidi scorci di paesaggio, esposti al sole ed alla salubrità dei venti, raccomandazioni che non solo Alessi mette in pratica nei suoi progetti di villa, ma
che a sua volta codifica all’interno del “proemio” del Libro dei Misteri, dove
parlando della sistemazione dei vari edifici e delle cappelle esistenti sul Sacro
Monte di Varallo, egli specifica che “il sito, è meravigliosamente ben disposto,
et atto a ricevere tutti gli edifitii che si desiderano, imperoche questo sito, è
posto nella sommità di detto Monte ameno, et vastissimo, vedendosi quivi in
un certo ragionevole circuito un paesetto pieno di amenissime colline, leautonomo quali da piacevolissime valli sono disgiunte; adornate d’infiniti Arbori
silvestri che rendono il luogo ameno”.23
Il tema della veduta e del panorama venne ripreso dall’Alessi anche in Umbria
all’interno della sistemazione del giardino del castello di Pieve del Vescovo,
“laddove non solo l’architettura si rapporta al paesaggio come fatto autonomo,
ma addirittura, così come nel piano alessiano per il rinnovamento del Sacro
Monte di Varallo, la natura è subordinata all’artificio. Infatti, se nei disegni eseguiti dall’Alessi per i portali della Valsesia i vani aperti inquadrano”miniature
sottili e precise di brani di paesaggio, di sfondi arborei e silvestri, di architetture frammezzate ad un verde di fronde schizzate”, nel giardino della Pieve
22
23
M. ZOPPI, Storia del giardino europeo, Alinea Editrice, Firenze, 2009, pag. 86
G. ALESSI, op. cit., pag. 3r
✶✵
le vedute sono orientate da quattro finestre-belvedere”,24 le quali, rompendo
la continuità del recinto del giardino, tipico dell’hortus conclusus, manifestano la volontà dell’Alessi di ri-costruire una unione tra interno ed esterno, tra
architettura e paesaggio circostante.
Pertanto, la veduta, il panorama ed il “gentile paesaggio” umbro furono le
invarianti paesaggistiche, che, congiunte ad un originale percorso di rielaborazione personale dell’eperienza professionale ligure, sia sul piano funzionale
che architettonico, divennero gli elementi determinanti il successo della villa
alessiana nell’ Umbria del XVI secolo.
24
P. BELARDI, op. cit., pag. 27