Scarica questo file PDF - Fogli Campostrini

Transcript

Scarica questo file PDF - Fogli Campostrini
Vol. 10 - Anno 2016 - Numero 1
ISSN: 2240-7863
Verona, 01/03/2016
Damiano Bondi
La caccia di Dio
Convertirsi/divertirsi a partire da Pascal
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
LA CACCIA DI DIO
Convertirsi/divertirsi a partire da Pascal
Damiano Bondi
Precursore involontario di una scrittura rapsodica e concisa, tentato costantemente dal
suo stesso genio, matematico e teologo, filosofo suo malgrado, Pascal, dopo quasi quattro
secoli, continua a esercitare un fascino, un interesse e un profondo senso di debito
intellettuale in buona parte del pensiero contemporaneo.1
La svolta decisiva che egli ha impresso al discorso filosofico e teologico, e che lo rende
ancora così attuale, risiede nel suo sguardo primariamente rivolto verso l’uomo nella sua
dimensione concreta – esistenziale, diremmo oggi. Verso l’uomo in carne e ossa, in
sangue e spirito; verso quell’essere a metà tra l’«angelo» e la «bestia», sospeso tra la
natura e la trascendenza, conficcato nel finito e proteso all’infinito, «credulo e incredulo,
timido e temerario»2, «un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla»3, tanto più
grande quanto più conscio della sua miseria, tanto meno misero quanto meno orgoglioso
della sua grandezza, incapace di stare con se stesso e al contempo insoddisfatto in
qualsiasi contesto sociale si trovi.
1
Tra i principali studi sul pensiero di Pascal nel panorama contemporaneo, segnaliamo almeno i seguenti, da
cui il presente articolo ha attinto: J. Mesnard, Les “Pensées” de Pascal, Sedes, Paris 1976, tr. it. Sui “Pensieri”
di Pascal, Morcelliana, Brescia 2011; Ph. Sellier, Port-Royal et la littérature. Pascal, Champion, Paris 2010, tr.
it. Pascal e Port-Royal, Morcelliana, Brescia 2013; D. Wetsel, Pascal and Disbelief. Catechesis and Conversion
in the Pensées, The Catholic University of America Press, Washington D.C. 2002 (1994¹); R, Guardini,
Christliches Bewusstsein. Versuche über Pascal, Leipzig 1935, tr. it. Pascal, Morcelliana, Brescia 1956; A.
Peratoner, Pascal, Carocci, Roma 2011 (dello stesso autore segnaliamo anche lo studio in due volumi Blaise
Pascal. Ragione, rivelazione e fondazione dell’etica. Il percorso dell’Apologie, Cafoscarina, Venezia 2002).
2
Pensées 124. Per le citazioni dei Pensées di Pascal usiamo la classificazione dell’edizione di L. Lafuma
(1935). L’edizione italiana di riferimento, con testo originale a fronte, è B. Pascal, Frammenti, 2 voll., BUR,
2002². I corsivi di tutte le citazioni del presente articolo sono miei.
3
Pensées 199.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
6
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
1. Ragionare sull’uomo e scommettere su Dio
Non è esagerato sostenere che l’intera opera apologetica pascaliana si fondi sulla
convinzione che la religione cristiana sia quella che meglio descrive l’uomo, e che proprio
in virtù di ciò sia legittimata a prescrivergli il Bene. La fede in Cristo è «venerabile perché
ha conosciuto l’uomo. Amabile perché promette il vero bene», leggiamo nei Pensieri.4 Ma
ancora più in profondità, «il cristianesimo è strano. Ordina all’uomo di riconoscere che è
vile e perfino abominevole, e gli ordina di voler essere simile a Dio. Senza un tale
contrappeso questo innalzamento lo renderebbe orribilmente vano, o questo
abbassamento lo renderebbe orribilmente abbietto».5
Ecco perché Alberto Peratoner parla, a proposito di Pascal, di una «prova antropologica»6
dell’esistenza di Dio – e, aggiungiamo, del «Dio dei cristiani», non di quello «dei filosofi».
L’originale progetto pascaliano di “teologia naturale”, cioè, non muove dalle facoltà
razionali dell’essere umano, mostrandone la capacità di pervenire alla certezza
dell’esistenza di un Dio “di ragione” e di alcuni suoi attributi necessari, su cui poi innestare
i contenuti della rivelazione cristiana;7 al contrario, esso muove dall’attestazione delle
contrarietà naturali di cui l’uomo fa esperienza nel suo “essere-nel-mondo”, per poi
mostrare come il cristianesimo sia l’unica religione a renderne ragione. Questo itinerario,
per di più, è condotto con estremo rigore scientifico, tanto che Peratoner vi scorge la
struttura di una dimostrazione di carattere sperimentale, una sorta di «trasposizione
dell’arco induttivo-deduttivo […] al mistero della complessità dell’uomo»8: si parte con
l’«osservazione del fenomeno» (la «costituzione antropologica», le «contrarietà»
dell’essere umano), si continua con la «formulazione dell’ipotesi» (tale “costituzione
polare” dipende da «condizioni che la comprensione cristiana della realtà è in grado di
spiegare in toto», mentre altri sistemi interpretativi no)9, e si conclude con la «verifica
4
5
Pensées 12.
Pensées 351.
6
A. Peratoner, Pascal, cit., pp. 218-220.
Anzi, in merito alle prove classiche (e probabilmente anche a quelle cartesiane) dell’esistenza di Dio Pascal si
mostra scettico, se non apertamente contrario: «Le prove metafisiche di Dio sono così lontane dal
ragionamento degli uomini, e così complicate, che impressionano poco; e quand’anche esse servissero ad
alcuni, ciò non servirebbe che solo nell’istante in cui essi osservano tale dimostrazione, ma un’ora dopo
temono di essersi ingannati» (Pensées 190); per cui, riprende, «non mi accingerò qui a provare mediante
ragioni naturali, o l’esistenza di Dio, o la Trinità, o l’immortalità dell’anima, né alcuna delle cose di questa
natura […] perché questa conoscenza, senza Gesù Cristo, è inutile e sterile. […] Tutti coloro che cercano Dio
al di fuori di Gesù Cristo, e che si fermano alla natura, o non trovano alcuna luce che li soddisfi, o arrivano a
crearsi un mezzo per conoscere Dio e per servirlo senza mediatore, e con ciò cadono nell’ateismo oppure nel
deismo, due cose che la religione cristiana aborrisce quasi nella stessa misura» (Pensées 449).
8
A. Peratoner, Pascal, cit., p. 219.
9
Pascal, ad esempio, riconosceva il valore e al contempo la parziale unilateralità dello stoicismo e dello
scetticismo, che vedeva esemplificati nelle figure di Epitteto e Montaigne. L’importanza attribuita da Pascal alla
7
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
7
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
dell’ipotesi» (mediante lo studio delle fonti della rivelazione cristiana, e il riscontro praticoesistenziale sulle ricadute morali, spirituali e sociali dell’insegnamento cristiano).10 Alla
luce di questo trinomio “osservazione-interpretazione-verifica”11 – che testimonierebbe di
un’unica forma mentis sperimentale-esperienziale del Pascal scienziato, filosofo e teologo
–, ecco che l’argomento pascaliano in merito ai criteri della véritable religion acquista un
peculiare spessore epistemologico:
«Le grandezze e le miserie dell’uomo sono talmente visibili che occorre necessariamente: (1)
che la vera religione ci insegni che c’è qualche principio di grandezza nell’uomo, e che c’è un
grande principio di miseria; (2) che essa ci renda ragione di queste sorprendenti contrarietà;
(3) che per rendere felice l’uomo essa gli mostri che c’è un Dio, che si è obbligati ad amarlo,
che la nostra vera felicità è di essere in lui e il nostro unico male di essere separati da lui, che
riconosca come noi […] siamo pieni di ingiustizia; (4) che essa ci renda ragione di queste
opposizioni che abbiamo verso Dio e verso il nostro proprio bene; (5) che essa ci insegni i
rimedi a queste impotenze e i mezzi per ottenere questi rimedi.
Si esaminino su ciò tutte le religioni del mondo e si veda se ce n’è un’altra oltre alla cristiana
che vi soddisfi».12
Anche il celebre tema della scommessa meriterebbe di ritrovare il proprio posto all’interno
di questo quadro argomentativo. La nostra vita, la nostra esperienza umana, proprio
quando la prendiamo sul serio, si rivela strutturalmente come gioco.13 Ci espone a scelte
inevitabili, partiti presi senza garanzie definitive, rischi da correre; in alcune occasioni ci è
richiesto di agire, magari all’istante, e ogni azione comporta una certa dose di
scommessa. «Bisogna scommettere. Non è facoltativo. Siete sulla barca»14. Tuttavia, dire
che non siamo in grado di avere garanzie definitive in merito alla bontà delle nostre
necessità di confrontarsi con questi due autori – che in positivo turbavano le sicurezze dell’uomo, e in
negativo facevano risaltare la completezza della visione cristiana della sua natura – fu motivo di personale
attrito con Louis-Isaac Lemaistre de Sacy, teologo e biblista di Port-Royal, che invece sottolineava l’inutilità,
quando non la pericolosità, delle letture profane: cfr. Entretien de Pascal avec Monsieur de Sacy sur Épictète
et Montaigne, redatto da N. Fontaine nel 1655, Desclée de Brouwer, Paris 1994, tr. it. Colloquio con il signor
de Saci su Epitteto e Montaigne, in B. Pascal, Pensieri, Mondadori, Milano 1982, pp. 507-522. Per questo e per
altri approfondimenti e suggerimenti sul pensiero di Pascal, sono debitore al corso universitario su “La critica
di Pascal al déisme” tenuto dal prof. Mario Micheletti presso l’Università di Siena, nell’A.A. 2007/2008. Cfr.
anche, in merito, M. Micheletti, Il problema religioso del senso della vita. Da Pascal a Wittgenstein e alla
filosofia analitica, Benucci, Perugia 1988.
10
Cfr. A. Peratoner, Pascal, cit., p. 218.
11
Cfr. A. Peratoner, Pascal, cit., p. 32.
12
Pensées 149.
13
Cfr. in merito Édouard Morot-Sir, che sostiene che «il pari dimostra l’esistenza del pari, ovvero che la vita
umana è una struttura di gioco, su un piano di analisi formale, e un un piano reale, il fatto che la vita è la
religione stessa» (cit. da A. Peratoner, Pascal, cit., p. 203)
14
Pensées 418.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
8
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
scelte, o anche soltanto alla loro adeguatezza rispetto alle nostre intenzioni, non significa
dire che il ragionamento circa la preferenza di un’opzione rispetto a un’altra sia del tutto
insensato. L’impossibilità di accedere alla certezza non esclude la possibilità di conoscere
le diverse probabilità sul tappeto, e la posta in gioco. Nello specifico, dire che la verità
della religione non è del tutto dimostrabile razionalmente non significa dire che credervi
sia una scelta del tutto irragionevole. Se per l’esistenza del Dio cristiano non si possono
dare prove razionali ultimative, tuttavia non si può neanche eludere il problema con
indifferenza, o escluderlo dal novero delle possibilità. Tutt’altro: l’esistenza di Dio non è né
più né meno probabile della sua inesistenza – considerata anche l’analisi della condizione
umana15 –; tuttavia, se Dio esistesse ne guadagneremmo ragionevolmente di più che se
non esistesse, valutando tecnicamente il guadagno non solo in se stesso, ma anche
rispetto a ciò che dovremmo impegnare nella scommessa.
« […] Conosciamo l’esistenza e la natura del finito, perché siamo finiti ed estesi come lui.
Conosciamo l’esistenza dell’infinito ma ignoriamo la sua natura, perché possiede l’estensione
come noi, ma non dei limiti come noi. Ma non conosciamo né l’esistenza né la natura di Dio,
poiché egli non ha estensione né limiti. […] Se vi è un Dio, è infinitamente incomprensibile,
poiché non avendo parti né limiti, non ha nessun rapporto con noi. Siamo dunque incapaci di
conoscere sia ciò che egli è, sia se egli è. […] Chi biasimerà dunque i cristiani di non poter
rendere conto della loro fede, loro che professano una religione di cui non possono rendere
ragione? Dichiarano, rivelandola al mondo, che è una stoltezza, stultitiam, e poi voi vi
lamentate del fatto che non la provino. Se la provassero, non manterrebbero la parola. È
mancando di prove che non mancano di senso. […] Dio è o non è; ma da quale lato
propenderemmo? La ragione non può determinare nulla. […] Si gioca una partita all’estremità
di questa distanza infinita, dove uscirà testa o croce. Che cosa scommetterete? Secondo
ragione non potete fare né l’una né l’altra scelta; secondo ragione non potete difendere
nessuna delle due. […] Cosa sceglierete dunque? […] Pesiamo il guadagno e la perdita
prendendo per croce che Dio esiste. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto,
e se perdete, non perdete niente: scommettete dunque che esiste senza esitare. È
meraviglioso. Sì, bisogna scommettere, ma forse scommetto troppo. Vediamo. […] Sareste
imprudente, dal momento che siete obbligato a giocare, se non rischiaste la vostra vita per
guadagnarne tre, in un gioco nel quale vi è uguale rischio di perdita e di guadagno. Ma qui vi
è un’eternità di vita e di felicità. E, dato questo, quando vi fosse un’infinità i rischi, di cui uno
solo fosse a vostro favore, avreste ancora ragione di scommettere uno per avere due; e
agireste nel senso sbagliato, dato che dovete giocare, se rifiutaste di giocare una vita contro
tre in un gioco nel quale tra un’infinità di possibilità ve n’è una per voi, se vi fosse un’infinità di
vita da guadagnare: ma qui vi è un’infinità di vita infinitamente felice da guadagnare, una
possibilità di guadagno contro un numero finito di possibilità di perdita, e ciò che giocate è
finito. Questo toglie ogni incertezza: dovunque si tratti dell’infinito, e non vi sia un’infinità di
15
Ricordiamo peraltro che Pascal scorgeva nei miracoli e nelle profezie altri segni a favore dell’attendibilità
della rivelazione cristiana, come testimoniano le serie classificate XXII-XXV dell’edizione “Lafuma” dei Pensées.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
9
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
possibilità di perdita contro quella del guadagno, non vi è da esitare, bisogna tutto impegnare.
E dato che si è obbligati a giocare, bisogna aver rinunciato alla ragione per voler salvare la
vita piuttosto che rischiarla per il guadagno infinito, altrettanto possibile come la perdita del
nulla. […] E perciò la nostra proposizione ha una forza immensa, quando vi sia il finito da
rischiare, in un gioco dove si abbiano uguali probabilità di guadagno e di perdita, e l’infinito da
guadagnare. Ciò è probante, e se gli uomini sono capaci di qualche verità, questa è una».16
Vediamo dunque come Pascal sia profondamente convinto della validità del suo
ragionamento: ma ancora una volta, dobbiamo rimarcare che esso non è affatto una
prova della razionalità dell’esistenza di Dio, quanto una prova della ragionevolezza della
credenza in Dio. «Gli uomini nutrono disprezzo per la religione. L’hanno in odio e hanno
paura che sia vera. Per guarirli da ciò bisogna cominciare col mostrare che la religione
non è affatto contraria alla ragione».17 In questo quadro, l’onere della prova non spetta
né ai credenti né agli atei, perché la prova non esiste: esiste invece l’onere della
scommessa, e la scelta dei credenti risulta, a conti fatti, più ragionevole di quella degli
atei. L’argomento pascaliano della scommessa è perciò un argomento a favore della
ragionevolezza del cristianesimo, per riprendere il titolo del celebre volume di John Locke
che sarà pubblicato allo scadere di quello stesso secolo XVII.
2. Pilotare la Macchina
Bene, ma basta questo per convertire gli increduli, per portare gli uomini alla fede?
La risposta di Pascal è certamente negativa. Perché egli sa bene che il cristianesimo è
ragionevole, ma gli uomini no.
Lo sa perché egli stesso è un uomo, e non è un caso che esprima le sue perplessità in
prima persona: «…ma ho le mani legate e la bocca muta, mi si obbliga a scommettere e
non sono libero, non mi si lascia andare e sono fatto in modo tale che non posso credere.
Cosa volete dunque che faccia?» Ed ecco come replica Pascal a se stesso, e a chi legge:
«Imparate almeno che la vostra incapacità di credere viene dalle vostre passioni. Poiché la
ragione vi porta a questo e tuttavia non lo potete, adoperatevi dunque non a convincervi con
l’aumento delle prove di Dio, ma con la diminuzione delle vostre passioni. […] Imparate da
quelli che sono stati legati come voi e che scommettono ora tutto il loro bene. […] Seguite il
modo con il quale hanno cominciato. È col fare come se credessero. Prendendo l’acqua
benedetta, facendosi dire delle messe…»18
16
Pensées 418.
Pensées 12.
18
Pensées 418.
17
10
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
La conclusione del più celebre frammento pascaliano della storia risulta a un primo
sguardo paradossale: si vuole mostrare la ragionevolezza della fede in Dio mediante un
argomento logico-teorico, e si conclude esortando a lasciar perdere la logica, la ragione e
la teoria, per lasciarsi guidare dalla prassi rituale?
Qui sta invece, secondo chi scrive, la grandezza e l’umiltà dello stesso Pascal, il quale
peraltro prefigura di un secolo il motivo dell’als ob che Kant proporrà, significativamente,
nella sua Critica della Ragion Pratica. Con un profondo acume antropologico, e con una
lodevole dose di onestà intellettuale, Pascal riconosce che l’acquisizione che il
cristianesimo sia ragionevole non può essere altro che una prima tappa nel cammino di
conversione dell’ateo, e in ogni caso che non ne è affatto condizione sufficiente. Anzi, se
prendiamo l’esempio della religione dei “semplici”, vediamo che la ragionevolezza della
fede non è neanche condizione necessaria per la fede stessa: le persone non istruite
«credono senza ragionamento», perché Dio «inclina il loro cuore a credere. Non si crederà
mai […] se Dio non inclina il cuore. […] Inclina cor meum Deus».19 Come sintetizza Jean
Mesnard a proposito di questo tema pascaliano, «se la ragione non può fare a meno del
cuore, invece il cuore può bastare senza la ragione»20.
Ma, nel caso dell’ateo, il suo cuore non potrà facilmente essere inclinato verso Dio
se egli non cerca di rimuovere gli ostacoli che ne bloccano il movimento. Riconoscere la
ragionevolezza dell’opzione cristiana permette dunque, anzitutto, di accettare di “mettersi
alla prova”, di fare “come se” si credesse, di cambiare “stile di vita”, diremmo oggi, per
sperimentare la possibilità che esista un “ordine di esistenza” diverso dall’attuale. Come
sottolinea David Wetsel, «il regime della soppressione delle passioni e dell’azione come se
si credesse, ordinato dall’apologista nel frammento 418, è una specie di shock tattico.
L’incredulità è neutralizzata dallo stesso meccanismo – l’abitudine – con cui è stata
installata nella mente del libertino».21
Non è un caso che l’invocazione “Inclina cor meum Deus”, ripresa dal Salmo 118, compaia
sia in conclusione del frammento poc’anzi citato sulla fede del cuore dei semplici, sia in un
frammento molto diverso, che tratta apparentemente di un tema opposto a quello del
cuore: l’uomo come “macchina”.
«Poiché non bisogna misconoscersi. Siamo automi tanto quanto spirito. E da ciò viene che lo
strumento mediante il quale si produce la persuasione non è la sola dimostrazione. Quanto
poco numerose sono le cose dimostrate? Le prove convincono solo lo spirito, l’abitudine
produce le nostre prove più forti e più credute. Essa piega l’automatismo, che trascina
l’intelletto senza che questo ci pensi. Chi ha dimostrato che domani farà giorno o che noi
moriremo? E in che cosa si crede di più? È dunque l’abitudine che ce ne persuade […] Averne
19
Pensées 380. Pascal qui cita il Salmo 118, 36.
J. Mesnard, Les “Pensées” de Pascal, tr. it. cit., p. 178.
21
D. Wetsel, Pascal and Disbelief. Catechesis and Conversion in the Pensées, cit., p. 355.
20
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
11
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
sempre presenti le prove è troppo grande impresa. Bisogna acquisire una convinzione più
facile, quella dell’abitudine, che, senza violenza, senza arte, senza argomentazione, ci fa
credere le cose e inclina tutte le nostre facoltà a questa credenza, di modo che la nostra
anima vi cade naturalmente. Non basta quando si crede solo per la forza della convinzione e
l’automatismo è inclinato a credere il contrario. Bisogna dunque far credere che le nostre due
parti, lo spirito mediante le ragioni che basta aver visto una volta nella vita, e l’automa
mediante la consuetudine, a senza permettergli di inclinarsi nel senso contrario. Inclina cor
meum deus»22
In questo caso Pascal compie un’ardita sintesi tra un motivo agostiniano – secondo cui «lo
spirito è malato, e benché sia sollevato dalla verità, esso non si può raddrizzare del tutto a
causa delle cattive abitudini»23 – e la concezione cartesiana della corporeità come
meccanismo automatico e deterministico.24 Rispetto a Cartesio, dunque, la concezione
pascaliana della «Macchina» subisce uno slittamento dal piano ontologico a quello
psicologico-fenomenologico: il concetto di automatismo non descrive una res, ma
un’esperienza dell’uomo. Se l’essere umano non decide di “guidare” la macchina, essa si
lascia guidare dal “pilota automatico” della consuetudine: «l’abitudine (coutume) è la
nostra natura».25 Ma “guidare la macchina” non significa illudersi che da pensieri
convincenti, e da buoni motivi per agire, discendano direttamente dei comportamenti
coerenti; significa invece, anzitutto, comprendere che molti dei nostri convincimenti
razionali derivano in realtà dalla volontà di giustificare una prassi che si instaura di per sé
e ci determina nella nostra esistenza; e in seguito, compreso questo funzionamento,
utilizzarlo per dei fini consapevolmente posti. Dobbiamo cioè sforzarci di cambiare prassi
per cambiare le nostre idee, e non il contrario. Come sottolinea Peratoner, qui «il binomio
teorico-pratico è capovolto: all’adesione va premessa una de-cisione, una scelta nel senso
radicale che questa comporta (de-caedo). Il capovolgimento che rilancia dal suo centro
l’Apologie verso la fase ricostruttiva necessita dell’anteposizione della prassi, ferme
restando a) la tenuta razionale dell’ipotesi prodotta e b) la necessità della verifica del suo
contenuto».26 Aggiungiamo che il cambiare abitudini, in questa cornice, è già condizione
per la verifica del contenuto della credenza. Pascal, cioè, sprona a provare se vivendo
religiosamente si acceda o meno a una dimensione esistenziale più ricca e soddisfacente,
più confacente ai bisogni totali dell’essere umano. La sua scommessa assume la forma di
un test: come ci si può convincere della possibile bontà delle pietanze di un ristorante, e
vi si va a mangiare per sperimentare se effettivamente è così (altrimenti non potremmo
22
Pensées 821.
23
Agostino, confessioni, VIII, cap.9, cit. da Ph. Sellier, Port-Royal et la littérature. Pascal, tr. it. cit., p. 326.
Cfr. M. Périer, Mémoire sur Pascal et sa famille; cfr. anche É. Gilson, Le sens du terme “abêtir” chez B.
Pascal, in «Revue d’Histoire et de Philosophie Religieuses», 1921, pp. 338-344.
25
Pensées 419.
26
A. Peratoner, Pascal, cit., p. 204.
24
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
12
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
davvero mai saperlo), analogamente ci si può convincere della possibile verità del
cristianesimo, e accettare di sperimentare un modus vivendi cristiano per testare se esso
doni veramente senso pieno alla nostra vita, oppure no. Pascal è refrattario ad
un’adesione puramente formale e razionale, anzi la considera impossibile e illusoria se non
alimentata da un’abitudine consolidata. Rispetto alla riduzione della religiosità ad un
moralismo dell’intenzione, per cui le azioni sono giudicate in base alla conformità con gli
scopi prefissi, Pascal rivendica sovente, almeno nel dominio della religione, la necessità di
agire senza una precisa intenzione, senza un chiaro convincimento sulla “bontà” di tale
azione: di agire, anzi, per acquisire quello stesso convincimento. Anche in questo suo
carattere il pensiero pascaliano si mostra affine con le filosofie esistenziali, da Kierkegaard
in poi. L’uomo non è solo “più” del suo corpo, è anche “più” della sua ragione, e se non lo
si comprende in questa sua dimensione totale, concreta, “incarnata”, nessuna filosofia e
nessuna religione potrà mai davvero toccarlo: «bisogna che l’esteriore sia congiunto
all’interiore per ottenere da Dio; vale a dire che ci si metta in ginocchio, si preghi con le
labbra ecc, affinché l’uomo orgoglioso che non ha voluto sottomettersi a Dio sia ora
sottoposto alla creatura. Attendersi da questo atto esteriore il soccorso è essere
superstizioso; non volerlo congiungere all’interiore è essere superbo».27
Perciò, se a livello teologico Pascal potrebbe essere chiamato in causa da coloro che
sottolineano l’importanza della dimensione sociale-rituale della religione, e auspicano una
cura della prassi liturgica, a livello filosofico egli è davvero un punto di riferimento per chi
rivendica un necessario ancoramento antropologico del pensiero.
3. Mendicare il tumulto
Ciò risulta ancora più chiaro se ci spostiamo verso l’“ultima” tappa del cammino di
conversione presentato nei Pensieri. Infatti, come sostiene Wetsel (in accordo con
Mesnard), «la consuetudine e l’abitudine possono preparare la strada», ma «questa
tattica riguarda soltanto una “tappa” dell’itinerario apologetico. Le azioni del libertino che
risulteranno dalla prescrizione di Pascal non possono invero essere dette azioni di pietà o
di penitenza […] La figura pascaliana del cercatore incredulo nei Pensieri è tutt’altro che
statica».28
Riconoscere la ragionevolezza è il presupposto, “piegare la macchina” è l’allenamento. Ma
oltre la Macchina c’è il cuore. Ed è il cuore, cioè il nucleo più profondo dell’uomo, quello
che deve essere “inclinato” verso Dio.
«Vi sono tre mezzi per credere: la ragione, la consuetudine, l’ispirazione. La religione
cristiana, che sola possiede la ragione, non ammette come suoi veri figli coloro che
27
28
Pensées 944.
D. Wetsel, Pascal and Disbelief. Catechesis and Conversion in the Pensées, cit., pp. 355, 360.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
13
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
credono senza l’ispirazione. Non è che essa escluda la ragione e la consuetudine, al
contrario; bisogna aprire il proprio spirito alle prove, confermarvisi con la consuetudine»29,
ma il «modo di procedere di Dio» si conclude con l’«infondere la religione nel cuore,
mediante la grazia».30
Ora, non bisogna credere che l’appello pascaliano all’«ordine del cuore» conduca ad una
concezione sentimentalistica della fede. “Cuore” è un termine metaforico per indicare il
nucleo vitale dell’uomo, la sua struttura fondamentale. E cosa troviamo, allora, al cuore
dell’uomo?
Sintetizza Pascal: «Descrizione dell’uomo. Dipendenza, desiderio di indipendenza,
bisogni»31. E ancora: «Condizione dell’uomo. Incostanza, noia, inquietudine».32 Il cuore
dell’uomo è fatto così, egli vuole, vuol volere, desidera, e mai è soddisfatto: la sua
materia prima è il desiderio.
Senza temere anacronismi, al riguardo, potremmo definire il pensiero di Pascal come una
fenomenologia del desiderio. Anticipando di tre secoli la disamina heideggeriana della
“chiacchera impersonale” come fuga dalla presa di coscienza del proprio essere-per-lamorte, il filosofo seicentesco – in termini certamente più semplici ma non per questo
meno calzanti – scrive che «gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria,
l’ignoranza, hanno preso il partito, per rendersi felici, di non pensarvi affatto».33 Giacché
l’uomo «vuole essere felice, e non vuole essere che felice, e non può non voler esserlo»34,
eppure non riesce a trovare, nel mondo, qualcosa che lo renda davvero tale:
«occorrerebbe che egli si rendesse immortale, ma non potendolo ha scelto il partito di
impedirsi di pensarvi».35 E come può non pensarci? Come può fuggire questo pensiero
abissale? La risposta di Pascal, al tempo in cui fu scritta, valeva forse soltanto per alcune
fasce abbienti della popolazione francese, ma oggi potremmo benissimo estenderla a tutto
l’“Occidente”: continuamente, l’uomo si distrae, si diverte.
Le pagine pascaliane sul fenomeno del divertissement sono tra le più attuali, tra le più
realistiche e tra le più profonde di tutta la sua produzione.
A ragione, Sellier vi scorge una fonte agostiniana: «Pascal è stato colpito – scrive lo
studioso – dal capitolo che le Confessioni dedicano alla critica della “curiosità”, che
distoglie dal pensiero di Dio»36. Nella fattispecie, Agostino porta l’esempio del cane e della
caccia, che Pascal, come vedremo, mutuerà: «non vado più a vedere, nel circo, un cane
29
Pensées 808.
Pensées 172.
31
Pensées 78.
32
Pensées 24.
33
Pensées 133.
34
Pensées 134.
35
Pensées 195.
36
Ph. Sellier, Port-Royal et la littérature. Pascal, tr. it. cit., p. 326.
30
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
14
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
correre dietro una lepre: però, se passo per caso in campagna, vi trovo una cosa simile,
ed essa mi distoglierà forse da qualche grave pensiero e mi attirerà verso quella caccia».37
Tuttavia questa dimensione della ricerca della distrazione assume in Pascal un tono più
esistenziale che morale, e questo gli permette di approfondire ulteriormente la sua
indagine, facendo veramente del divertissement la «fondamentale struttura dell’esistenza
umana, che insegue la quiete mediante l’agitazione, senza sopportare a lungo né l’una né
l’altra».38
Seguiamo la riflessione pascaliana, che si dispiega veramente come un flusso di coscienza
filosofica:
«quando mi sono messo a considerare le diverse agitazioni degli uomini, e i pericoli, e le pene
alle quali si espongono a Corte, in guerra, donde nascono tante contese, passioni, imprese
ardite e spesso malvagie, ecc., ho detto spesso che tutta l’infelicità degli uomini viene da una
sola cosa, di non sapersene stare in riposo in una stanza».39
Dovremmo forse aspettarci una stoica o pietistica lode della tranquillità di una vita
semplice, un accomodante panegirico della soddisfazione per ciò che si ha, un invito
ascetico – di sapore pre-schopenaueriano – alla liberazione dalla possessione della
Volontà? Niente di più diverso. Pascal infatti non si ferma a questo pensiero, spesso citato
a sproposito come definitorio ed esaustivo della sua posizione, ma spinge oltre la sua
indagine “socio-psicologica”:
«ma quando ho considerato più da vicino, e dopo aver trovato la causa di tutte le nostre
sventure, ho voluto scoprirne le ragioni, e ho trovato che ve n’è una ben effettiva che consiste
nell’infelicità naturale della nostra condizione debole e mortale, e così miserabile che niente ci
può consolare quando ci pensiamo fino in fondo».40
Niente ci può consolare. È inutile illudersi di poter trovare la pace dei sensi, la piena
stabilità psichica, o, come diremmo oggi, l’“equilibrio interiore”: l’uomo è squilibrato,
dialettico, fratturato. E questo vale per «qualunque condizione ci si immagini». Si prenda
ad esempio un re, «e lo si immagini accompagnato da tutte le soddisfazioni che possono
circondarlo. Se è senza divertimento, se lo si lascia meditare e riflettere su ciò che è,
questa felicità languida non lo sosterrà affatto – e cadrà di necessità nei pensieri che lo
minacciano, delle rivolte che possono accadere e infine della morte e delle malattie che
sono inevitabili, di modo che, se è senza ciò che si chiama divertimento, eccolo infelice, e
più infelice dell’ultimo dei suoi sudditi che gioca a si diverte». Ecco perché «il re è
37
38
39
40
Agostino, Confessioni, X, 35, n.57.
Ph. Sellier, Port-Royal et la littérature. Pascal, tr. it. cit., p. 326.
Pensées 136.
Ibidem.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
15
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
circondato di persone che non pensano che a divertirlo e a impedirgli di pensare a se
stesso. Perché è infelice, per quanto sia re, se vi pensa».41 Pensiamo a un uomo che
concretamente se ne sta, come dice Pascal, «a riposo in una stanza»: una delle prime
figure che ci viene in mente è quella di un carcerato. Condannato non a non essere libero
di pensare, ma a non essere libero di potersi divertire, cioè di potersi rifiutare di pensare a
se stesso. Scrive altrove il filosofo seicentesco:
«Nulla è così insopportabile per l’uomo come l’essere in piena tranquillità, senza affari, senza
divertimento, senza applicazione. Egli sente allora il suo niente, il suo abbandono, la sua
insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. Incontinente uscirà dal fondo
della sua anima la noia, la tetraggine, la tristezza, l’infelicità, il dispetto, la disperazione».42
Ennui, néant, vide, désespoir: persino nei termini utilizzati Pascal è il profetico precursore
di tutta una temperie letteraria, artistica e filosofica della tarda modernità. Oggi potremmo
tradurlo così: noi non vogliamo il relax se non quando è compensato dalla frenesia della
vita, di cui pure ci lamentiamo auspicando il relax – altrimenti, se esso dura troppo, ci
annoia o ci fa cadere nella disperazione. Pascal spiega questo fenomeno dialettico non
con la celebre metafora schopenhaueriana del pendolo, che non ne rende a fondo la
dinamica “pulsionale”, ma – riferendosi probabilmente ad Agostino – con l’esempio della
caccia.
«Coloro che fanno i filosofi e credono che la gente sia ben poco ragionevole quando passa
tutto il giorno a inseguire una lepre che non si vorrebbe avere se acquistata, non conoscono
affatto la nostra natura. Questa lepre non ci garantirebbe dalla visione della morte e dalle
miserie che ce ne distolgono, ma la caccia ce ne garantisce».43
Il cacciatore non vuole la preda: vuole conquistare la preda. Ecco perché rifiuterebbe di
averla senza il divertimento della caccia. Ma certamente, non appena l’avrà conquistata, la
preda non sarà più una preda. Sarà un trofeo (o un piatto), che genererà una
soddisfazione temporanea, prima che l’uomo senta nuovamente la noia disperante
provenire dal fondo del suo cuore, e si rimetta i panni del cacciatore. Dovremmo dunque
concluderne che la preda sia un elemento accessorio della caccia, che l’oggetto del
desiderio sia in sé inessenziale? Qui Pascal mostra veramente una finezza acutissima, e
riprende ancora, significativamente, l’esempio (autobiografico) del gioco d’azzardo:
«Un tale passa la sua vita senza noia giocando tutti i giorni. Dategli tutte le mattine il denaro
che può vincere ogni giorno, con l’impegno che non giochi: lo renderete infelice. Si dirà forse
41
Ibidem.
Pensées 622.
43
Pensées 136.
42
16
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
che cerca il divertimento nel gioco, e non il guadagno. Fatelo dunque giocare per niente, e si
annoierà. Bisogna che vi si scaldi, e che si inganni da solo immaginandosi che sarebbe felice di
vincere ciò che non vorrebbe gli fosse dato a condizione che non giocasse, affinché si crei un
soggetto di passione ed ecciti su questo il suo desiderio, la sua collera, il suo timore per un
oggetto che si è forgiato: come i bambini che si spaventano per la faccia che loro stessi hanno
imbrattata».44
Il desiderio è una pulsione che ha bisogno di individuare un “soggetto di passione” –
dunque anche di sofferenza – per eccitarsi, e di qualche ostacolo che si frapponga tra il
“cacciatore” e la “preda”, affinché l’eccitamento possa prolungarsi, affinché l’agone
accresca l’agognare, e affinché la soddisfazione finale possa essere più grande, ancorché
mai definitiva. In questa disamina del fenomeno del desiderio possiamo scorgere tratti
che solo nel Novecento riceveranno una piena tematizzazione filosofica: pensiamo ad
esempio all’analisi del fenomeno erotico condotta da Denis de Rougemont, in cui
l’ostacolo e la distanza diventano gli elementi centrali della concezione romanticoletteraria dell’amore-passione, che è altro non è se non maschera di un narcisistico
“edonismo dello spirito”, il cui fatale compimento sarà la morte;45 oppure pensiamo alla
teoria mimetica di René Girard, in cui il desiderio di avere un oggetto è in realtà cifra di un
desiderio più profondo, quello di essere come colui che ne è il possessore, di uniformarsi
ad un “modello” talmente invidiato da trasformarsi da suoi discepoli in suoi rivali, in suoi
“doppi” violenti.46
Pascal prefigura queste riflessioni con piglio da analista, mente da filosofo, cuore da
credente e penna da grande scrittore, restituendoci la complessità dell’essere umano con
uno stile ineguagliabile:
«gli uomini hanno un istinto segreto che li porta a cercare il divertimento e l’occupazione al di
fuori, istinto che proviene dalla coscienza delle loro continue miserie. E hanno un altro istinto
segreto, residuo della grandezza della nostra prima natura, che fa loro capire che la felicità
consiste in realtà solo nel riposo e non nel tumulto. E da questi due istinti contrari si forma in
loro un progetto confuso che si nasconde alla loro vista nel fondo dell’animo loro, che li porta
a tendere al riposo mediante l’agitazione, e a figurarsi sempre che la soddisfazione che non
hanno giungerà per loro se, superando certe difficoltà che affrontano, possono con questo
aprirsi la porta al riposo. Così passa tutta la vita: si cerca il riposo combattendo certi ostacoli,
44
Pensées 136.
45
Cfr. D. de Rougemont, L’Amour et l’Occident, Plon, Paris 1939, 1956², 1972³, tr. it. L’Amore e l’Occidente,
BUR, Milano 2006 (RCS 1977¹).
46
Cfr. R. Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque, Grasset, Paris 1961, tr. it. Menzogna romantica
e verità romanzesca, Bompiani 1965, 2005²; La violence et le sacré, Grasset, Paris, 1972, tr. it. La violenza e il
sacro, Adelphi, Milano, 1980.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
17
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
e se li si sono superati il riposo diventa insopportabile per la noia che esso genera. Bisogna
uscirne e mendicare il tumulto».47
4. La Lepre e il Cacciatore
Sembrerebbe che, alla fine dell’itinerario pascaliano, si giunga a prefigurare unicamente
un anelito escatologico verso una felicità impossibile in questo mondo tumultuoso, un
riposo autentico in Dio che solo dopo la morte potremo autenticamente raggiungere.
Parrebbe dunque che, a dispetto delle numerose rettifiche storiografiche e teologiche,
Pascal possa davvero essere annoverato appieno tra i giansenisti, per questo suo radicale
pessimismo nei confronti della natura e delle possibilità dell’uomo. Rispetto al tema in
questione, sembrerebbe cioè che – nonostante tutti gli sforzi dell’uomo per ragionare sulle
possibilità della verità del cristianesimo, e per scommettere su di esso comportandosi
cristianamente e praticando i riti religiosi – sussista inevitabilmente un’opposizione
inconciliabile, ontologica e non solo etimologica, tra il divertirsi e il convertirsi, tra l’uomo
che cerca per sua natura la distrazione e Dio che dona per sua grazia la conversione.
Questa interpretazione sembrerebbe peraltro surrogata dalla vita stessa di Pascal. Egli
non è riuscito a dare forma compiuta al suo progetto apologetico, che è finito
significativamente per dilaniarsi in frammenti asistematici e solo parzialmente catalogabili.
E alla sua morte, come è noto, è stato ritrovato, cucito nelle sue vesti, un biglietto che
testimonia di una sua esperienza mistica, nient’affatto filosofica e nient’affatto “naturale”,
che è stata il fulcro della sua conversione.48
Si tratta della cosiddetta notte di fuoco:
«Anno di grazia 1654.
Lunedì 23 novembre […]
Dopo le dieci e mezza di sera fino circa a mezzanotte e mezza.
Fuoco.
Dio d’Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe.
Non dei filosofi e dei dotti.
Certezza, certezza, sentimento, gioia, pace.
Dio di Gesù Cristo.
Deum meum et Deum vestrum.
47
Pensées 136.
48
La “notte di fuoco”, in particolare, rappresenterebbe la seconda delle cosiddette “quattro conversioni” di
Pascal: cfr. in merito J. Mesnard, Les conversions de Pascal, in Blaise Pascal, l’homme et l’oeuvre, Éditions de
Minuit, Paris 1956, pp. 60-63; cfr. anche A. Peratoner, Pascal, cit., p. 60.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
18
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
«Il tuo Dio sarà il mio Dio».
Oblio del mondo e di tutto, fuorché di Dio.
Non lo si trova che per le vie insegnate nel Vangelo.
Grandezza dell’anima umana.
«Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto».
Gioia, gioia, gioia, pianti di gioia.
Me ne sono separato.
Dereliquerunt me fontem acquae vivae.
Mio Dio, mi abbandonerete?
Che io non ne sia separato per l’eternità!
«Questa è la vita eterna, che conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato,
Gesù Cristo».
Gesù Cristo.
Gesù Cristo.
Me ne sono separato, l’ho rifuggito, rinnegato, crocifisso.
Che non ne sia mai più separato.
Non lo si conserva che per le vie insegnate nel Vangelo.
Rinuncia totale e dolce.
Sottomissione totale a Gesù Cristo e al mio direttore.
Eternamente nella gioia per un giorno di esercizio sulla terra.
Non obliviscar sermones tuos. Amen.»
Certamente si potrebbe argomentare in favore dell’apporto umano in preparazione a
questa esperienza mistica, focalizzandosi sul fatto che Pascal ha ricevuto questa visione
dopo una lunga meditazione su una pagina del Vangelo di Giovanni (il «giorno di esercizio
sulla terra»). Ma rimarrebbe il fatto che essa è un’iniziativa soprannaturale di Dio, e non
un approdo della ricerca teoretica e pratica dell’uomo. Cosa dire allora all’uomo che non
riceve questo dono? Dobbiamo richiedergli semplicemente di credere alla testimonianza di
chi lo ha ricevuto? E come non aspettarsi da parte sua, ammesso che vi creda, una sorta
di invidia teologica, che potrebbe condurre fino ad una concezione di Dio che gioca a dadi
con gli uomini, eleggendone alcuni per suo capriccio e condannando gli altri a “mendicare
il tumulo”? Dio dunque inclinerebbe il cuore di alcuni verso la conversion, e
abbandonerebbe il resto dell’umanità nel circo angosciante del divertissement?
Ecco che, in uno scritto minore dedicato proprio al tema della conversione, Pascal ci
sorprende ancora, suggerendoci una via diversa. Leggiamo così nell’opuscolo Sulla
conversione del peccatore, datato 1657, a proposito di chi cerca Dio (e di chi Dio cerca):
«tutto quel che deve durare meno della sua anima è incapace di soddisfare il desiderio di
19
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
quest’anima che cerca seriamente di fissarsi in una felicità che sia altrettanto duratura
quanto lei stessa»49; perciò l’anima umana,
«per quanto non conosca quelle dolcezze con cui Dio ricompensa l’abitudine della pietà,
capisce tuttavia che le creature non possono essere più amabili del Creatore, e la sua ragione
aiutata dalle luci della grazia le fa conoscere che non esiste nulla di più amabile di Dio, e che
egli non può essere tolto se non a coloro che lo respingono, perché desiderarlo è possederlo,
e rifiutarlo significa perderlo. Perciò essa si rallegra di aver trovato un bene che non può
esserle rapito finché lo desidererà, e che non ha nulla sopra di lui».50
Desiderarlo è possederlo. La conversione diviene così la forma più estrema di
divertissement. L’uomo che naturalmente desidera comprende infine che il suo stesso
desiderio può essere convertito verso un oggetto che solo può colmarlo, nel momento
stesso in cui lo desidera, e che tale oggetto non può generare invidia né rivalità, perché il
suo possesso non è esclusivo, anzi tutto il contrario. Dio si offre a tutti nella forma stessa
della soddisfazione dei bisogni più profondi dell’uomo, nella forma della risposta alle sue
contraddizioni laceranti, e si offre in maniera perenne e costante perché è Lui che per
primo desidera l’uomo. Ecco perché «desiderarlo è possederlo»: l’oggetto del desiderio va
incontro al desiderante rivelandosi come il vero “soggetto di passione”, come colui che è
disposto a soffrire pur di incontrare le sofferenze e le miserie dell’uomo. Non si può
possedere Dio se non nella forma del lasciarsi possedere da Lui.
La lepre, non appena il cacciatore la intravede, gli si getta incontro di corsa, lo insegue
senza posa fino a morire per lui, pur di nutrirlo. Ecco che la “caccia di Dio” rivela allora la
sua piena autenticità nella forma del genitivo soggettivo, più che in quella del genitivo
oggettivo: l’uomo inquieto, disperato, annoiato, che si mette alla ricerca di Dio, trova un
Cacciatore più appassionato di lui, appassionato per lui. Un Cacciatore che accetta
l’estrema Passione pur di convertire il suo cuore.
5. L’eclissi dell’uomo
Desiderare Dio è possederlo. Questo non significa soltanto che Dio si lascia cacciare
dall’uomo perché è Lui che in realtà lo caccia, che lo sprona a farsi cercare; non significa
soltanto che l’uomo può veramente colmare il suo desiderio soltanto in Colui che per
primo lo desidera. Significa anche che non è possibile possedere Dio se non nella forma
del desiderio, della ricerca, dell’anelito, dunque della mancanza sentita.
49
B. Pascal, Écrit sur la conversion du pécheur, 1657/1658, tr. it. Sulla conversione del peccatore, in B.
Pascal, Frammenti, 2 voll., BUR, 2002², pp. 1009-1017, p. 1013.
50
Ivi, p. 1015.
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
20
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
Ancora una volta, questa concezione può dare adito a riflessioni sia teologiche che
filosofiche. Accenneremo alle prime approfondendo poi le seconde.
A livello teologico, la nozione pascaliana del Dio dei cristiani conduce a riconoscere che
nessun uomo può arrogarsi il diritto di possedere la piena conoscenza di Dio e della sua
verità. È la Verità che possiede l’uomo, non il contrario. Ed essa si rivela all’uomo nella
forma in cui l’uomo può accedervi, non esaurendo con ciò il suo mistero essenziale.
A livello filosofico e sociologico, potremmo chiederci se un’anestetizzazione del rischio e
della scommessa non conduca ad un’atrofizzazione del desiderio, e quindi anche della
fede intesa come desiderio di Dio.
Perché non ci diverte giocare con le fiches? Perché non ci piace cacciare senza preda?
Andando oltre la profonda comprensione dei meccanismi psicologici compiuta da Pascal, e
al contempo tentando di elaborare una sintesi tra il tema del divertissement e quello della
scommessa, potremmo sostenere che il desiderio è tanto più eccitante quanto più il
rischio è reale. Insomma, quando non c’è niente da perdere il gioco non ci appassiona.
L’ostacolo del desiderio, per essere tale, deve mostrare un’intima resistenza rispetto alle
azioni dell’uomo. E laddove c’è resistenza, c’è duplice esistenza: di ciò che resiste
nonostante tutto, e di colui che insiste malgrado ogni resistenza. L’uomo si sente tanto
più vivo quanto più esperisce una realtà irriducibile al proprio pensiero, un’alterità
concreta con cui incontrarsi e scontrarsi.
È questa esperienza che oggi, certamente più che al tempo di Pascal, si cerca
costantemente di eliminare, mediante un processo che assume due forme principali, l’una
speculare all’altra: la virtualizzazione e l’istituzionalizzazione del desiderio.
Quanto alla prima, osserviamo che sempre di più, nel nostro contesto sociale, le nostre
passioni devono essere sicure, depurate, disinfettate dal rischio. I piaceri dell’uomo
vengono simulati, disincarnati. Ci si esalta per le alte velocità, ma quando la macchina che
stiamo guidando si schianta contro un muro, ecco apparire una scritta rassicurante, che
nega risolutamente se stessa: “Game over”; e il gioco ricomincia come se niente fosse
successo, giacché niente è realmente successo se non che noi ci siamo eccitati per un po’,
illudendoci di star rischiando la nostra vita. Lo stesso vale per il piacere sessuale, o per il
gusto dell’avventura e dell’esplorazione: tutto deve essere calcolato, messo in sicurezza,
previsto, programmato, esente da ogni pericolo. Fino all’estrema forma della “realtà
virtuale”, che non è altro che l’utopica illusione di una realtà pienamente umanizzata,
pienamente determinata dalla volontà e dalla mente dell’uomo. Ma se la realtà diviene
pienamente umanizzata, è l’uomo che diviene non più reale: i suoi palliativi di
soddisfazione del desiderio, a lungo andare, lo lasceranno inappagato, perché essi sono
come le fiches per giocare a poker, come i fantocci dei cervi per simulare la caccia, come
le facce che i bambini si imbrattano per spaventare se stessi.
Se l’oggetto del desiderio non è veramente tale, cioè non è veramente qualcosa di altro
da me, tale che io lo possa veramente desiderare, allora il mio desiderio naufragherà nel
21
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
narcisismo, si volgerà verso e contro se stesso, e condurrà fatalmente – logicamente – al
nichilismo.
Il secondo movimento di “spiritualizzazione” del desiderio, il rovescio di questo, è quello
della sua trasformazione in diritto. Poiché ci spaventa l’idea di correre dei rischi per essere
soddisfatti nella nostra umanità, pretendiamo che ciò che dovrebbe essere una conquista
si trasformi in un “servizio erogato” dallo Stato, e che le nostre aspirazioni divengano
assicurazioni: così la speranza di vivere in buona salute diventa il diritto al benessere, tale
che si pretende dal medico l’impossibilità di sbagliare nelle sue prognosi, diagnosi e
terapie; il desiderio di avere e mantenere una famiglia si tramuta nel diritto ad avere un
figlio ad ogni condizione, o di avere il “posto fisso” sempre e comunque; l’umana volontà
di competere con chi ha più di noi e di arrivare al suo stesso livello finisce con l’appello al
livellamento sociale – all’uguaglianza non solo davanti al giudice, ma davanti al docente,
davanti al funzionario di Stato, davanti all’intera società, davanti a chiunque altro. Un altro
che però non è più pensabile se non come forma indifferente del Medesimo,
manifestazione dell’omologo.
Così, riprendendo l’esempio principe di Pascal, mentre la virtualizzazione del desiderio è
analoga alla caccia senza preda, ovvero all’eccitamento per niente, l’istituzionalizzazione
del desiderio è invece analoga alla preda senza caccia, ovvero alla soddisfazione per
niente. È una ricerca di sicurezza che finisce per atrofizzare il desiderio condannando
l’uomo alla noia, all’infelicità, all’accidia – cioè a qualcosa che “uccide” l’essere umano,
perché ne spegne il cuore.
In entrambi i casi, la tendenza comune è quella verso l’eliminazione di ogni contatto
“impuro” con un’alterità che non sia sotto il nostro pieno controllo, e che ci provochi a
fare i conti con essa, con la nostra responsabilità e con il nostro futuro.
Occorre infine chiedersi: in questa situazione, come poter ancora desiderare l’incontroscontro con l’alterità radicale per definizione, con quello che Karl Barth chiamava
l’“Assolutamente altro”, cioè Dio?
Se, come dice Pascal, «la vera conversione consiste […] nella conoscenza che vi è
un’opposizione invincibile tra Dio e noi, e che senza mediatore non può esservi alcun
rapporto»51, come poter pensare la conversione in un tempo in cui nessuna opposizione,
nessun ostacolo – neanche quelli “vincibili”, possibili, “immediati” – viene più riconosciuto
come necessario perché l’uomo sia felice di essere uomo?
Come poter accettare un Dio che vuole l’uomo, che desidera farsi uomo, se l’uomo non
desidera più davvero niente, neanche essere se stesso?
In un mondo senza passione, c’è ancora spazio per la Passione?
Eppure, al di sopra e aldilà di queste domande, risuona perenne un interrogativo ancora
più radicale, quello del Cacciatore che per stanare la prima preda dal suo nascondimento,
51
Pensées 378.
22
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
dalla tana che si era fabbricata e in cui si credeva al sicuro dal mondo degli altri, le
chiede: «Adamo, dove sei?»52
Uomo, dove sei?
Con questa domanda inizia ogni possibile conversione.
In questa domanda il Cacciatore si fa Preda.
52
Gn 3,9.
23
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy
Vol. 10 – Anno 2016 – Numero 1 Conversione e conversioni. Uno sguardo antropologico Fogli Campostrini
Il presente saggio è tratto dal vol. 10 - dell’anno 2016 - numero 1 della Rivista Online – Fogli Campostrini,
edita dalla Fondazione Centro Studi Campostrini, Via S. Maria in Organo, 4 – 37129 Verona, P. IVA
03497960231
Presidente della Fondazione Centro Studi Campostrini - Rosa Meri Palvarini
Direttore responsabile e scientifico - Massimo Schiavi
Fondazione Centro Studi Campostrini. Tutti i diritti riservati. 2012.
ISSN: 2240-7863
Reg. Tribunale di Verona n. 925 del 12 maggio 2011.
La proprietà letteraria dei saggi pubblicati è degli autori. Tutti i saggi sono liberamente riproducibili con
qualsiasi mezzo con la sola condizione che non siano utilizzati a fini di lucro. L'autore e la fonte debbono
sempre essere indicati.
All articles are property of their authors. They are freely reproducible in any form as long as not used for
profit. In all cases both authors and source must be indicated.
24
Rivista online della Fondazione Centro Studi Campostrini - Verona – Italy