1 - 2 - ODCEC di Vallo della Lucania

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1 - 2 - ODCEC di Vallo della Lucania
GIURISPRUDENZA
T R I B U TA R I A
S A L E R N I TA N A
ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI
E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI SALERNO
3-4/14
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003
(convv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, Aut: 087/CBPA-SUD/SA
(con
087/CBPA-SUD/SA val
val dal 26/04/2010
Anno XX - Copia omaggio
SOMMARIO
NOTE, ARTICOLI E COMMENTI
L’accertamento in capo ai soci di società di capitale a ristretta base partecipativa,
nota a Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. VI, 12 settembre 2013,
n. 535
- Piero Luigi Battani
pag. 31
Il raddoppio dei termini nell’accertamento tributario, nota a Commissione
tributaria provinciale Salerno, Sez. VIII, 6 novembre 2013, n. 637
- Giovanni Caiazza e Cristina Del Gaizo
”
42
Delimitazione dell’ambito della sfera di cognizione del Giudice tributario, nota a
Commissione tributaria provinciale Salerno, Sez. XVIII, 26 agosto 2013, n. 475
- Gilda Grotta
”
54
La disapplicazione di un atto amministrativo, nota a Commissione tributaria
provinciale Salerno, Sez. I, 21 gennaio 2014, n. 129
- Francesco Ventura
”
61
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI
IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
Imposta sul valore aggiunto ai compro oro – Regime del reverse charge –
Condizioni di applicazione – Contemporanea presenza di elementi oggettivi (i beni
non devono derivare da acquisti con applicazione del “regime del margine” e
devono essere costituiti da oggetti usati e/o avariati, nonché da prodotti di
oreficeria qualificabile come rottami) e soggettivi (l’attività svolta dal cessionario
deve essere esclusivamente quella di trasformazione, fusione anche chimica degli
oggetti) – Mancanza di alcuno degli elementi richiesti – Applicazione dell’imposta
.sul valore aggiunto con il regime del margine – Consegue
”
7
”
11
TRIBUTI LOCALI
Tributi comunali – Tassa sui rifiuti solidi urbani – Assimilazione dei rifiuti speciali
ai rifiuti urbani ai fini dell’imposizione – Deliberazione comunale – Necessità –
Determinazione delle tipologie dei rifiuti speciali assimilati – E’ da effettuare sulla
base della tabella allegata alla Deliberazione Interministeriale del 27 luglio 1984,
.decreto attuativo dell’art. 5 del D.P.R. n. 915/82
1
IMPOSTE E TASSE
ACCERTAMENTO
Accertamento – Accertamento delle imposte sui redditi e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Scelta del metodo di accertamento – Può essere liberamente scelto
dall’Amministrazione Finanziaria a seconda dei presupposti riscontrati in concreto
– Utilizzo di accertamento induttivo.
”
16
2
Accertamento – Accertamento ai fini delle imposte dirette – Accertamento sintetico
ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973 – Fondato sull’incoerenza tra i redditi dichiarati dal
de cuius e dal nucleo familiare e le somme di denaro esposte nella dichiarazione di
successione – Legittimità – Onere della prova – Spetta agli eredi – Rinuncia
all’eredità successiva alla notifica dell’avviso di accertamento – Inidoneità della
rinuncia ad evitare l’azione accertatrice
pag. 33
Accertamento – Accertamento delle Imposte sui redditi – Maggior reddito accertato
a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa – Presunzione di
distribuzione ai soci nell’anno di realizzazione in proporzione alla quota di
partecipazione – Legittimità – E’ onere del contribuente fornire la prova contraria
”
29
Accertamento – Accertamento delle Imposte sui redditi e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Accertamento bancario ex art. 32 D.P.R. n. 600/1973 – Tassazione sia
dei versamenti che dei prelievi non giustificati dal contribuente – Legittimità –
Riconoscimento di una percentuale di costi necessari alla produzione dei maggiori
ricavi accertati – Non necessita
”
22
Accertamento – Accertamento delle Imposte dirette e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Accertamento da studi di settore ex artt. 62 bis e sexies D.L. n. 331/93
– Natura degli studi di settore – Si tratta di indici rilevatori di possibili evasioni –
Necessità che lo scostamento del dato rilevato sia connotato da grave incongruenza
– Consegue
”
36
Accertamento – Accertamento delle Imposte sui redditi e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Emissione dell’avviso di accertamento prima del termine fissato dall’art.
12, comma 7, L. n. 212/2000 – Anticipazione motivata con l’imminenza dei termini
di decadenza dell’accertamento – Sufficienza – Legittimità dell’avviso di
accertamento – Consegue
”
22
Accertamento – Accertamento delle Imposte sui redditi e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Emissione dell’avviso di accertamento prima del termine fissato
dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 – Anticipazione motivata con l’imminenza
dei termini di decadenza dell’accertamento – Sufficienza – Assenza in concreto
della assunta urgenza – Illegittimità dell’accertamento – Consegue
”
39
Accertamento – Accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore
aggiunto – Accertamento ex art. 39, comma I, lett. d), del D.P.R. 600/73 –
Accertamento analitico induttivo – Accertamento standardizzato mediante
l’applicazione degli studi di settore – Risultanze delle elaborazioni statistiche –
Natura – Oscilla tra le presunzioni semplici e le presunzioni legali relative –
Inidoneità degli studi di settore a costituire di per sé elementi sufficienti a motivare
l’accertamento – Necessità che lo studio di settore sia integrato da altri elementi
acquisiti dall’Ufficio – Sussiste – Avviso di accertamento fondato sul mero
scostamento dei dati dichiarati dal contribuente rispetto a quelli relativi alla media
del settore – Mancanza di ulteriori elementi ed indizi idonei a suffragare la pretesa
avanzata – Sussistenza di uno scostamento di lieve entità fra i ricavi dichiarati e
quelli emergenti dallo studio di settore – Nullità dell’avviso di accertamento –
Consegue
”
19
Accertamento – Accertamento delle imposte sui redditi e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Assenza di violazioni tali da rendere del tutto inattendibili le scritture
contabili – Anti-economicità della gestione – Insufficienza per l’applicazione del
metodo di accertamento induttivo
”
16
Dichiarazione dei redditi – Natura di dichiarazione di scienza – Emendabilità della
dichiarazione – Consegue – Correzione precedente alle attività accertative
dell’Ufficio – Obbligo per l’Ufficio di rispettare le risultanze della correzione –
Consegue – Correzione successiva – Grava sul contribuente l’onere di
dimostrazione della correttezza della correzione apportata
”
25
Accertamento – Accertamento ai fini delle Imposte dirette e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Osservazioni e memorie del contribuente ex art.12, co. 7, L. n.
212/2000 “Statuto dei diritti del contribuente” – Obbligo di motivazione
.dell’accertamento in relazione alle osservazioni presentate – Non sussiste
pag.
Accertamento dell’imposta sul valore aggiunto – Imposta sul valore aggiunto –
Operazione effettuata direttamente da soggetto non residente nei confronti di
soggetto di imposta nazionale – Individuazione del momento impositivo – E’
quello della consegna/fatturazione del bene anziché quello della estrazione dal
deposito fiscale
”
45
Accertamento – Accertamento delle Imposte sui redditi e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento – Consegue dal
mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale
”
39
Definizione delle liti minori ex art. 39, co. 12, D.L. n. 98/2011 – Liti pendenti
definibili – Sono anche quelle per le quali ricorra una causa di inammissibilità,
improponibilità o improseguibilità del processo che non sia stata già dichiarata con
pronuncia non più impugnabile
”
57
Notificazioni atti impositivi – Notificazione dell’accertamento col rito degli
irreperibili assoluti a contribuente solo temporaneamente assente – Inesistenza
giuridica della notificazione – Consegue
”
48
Procedimento e processo – Processo tributario – Art. 2, D.Lgs. n. 546/1992 –
Escussione di polizza fideiussoria rilasciata a garanzia di obbligazioni tributarie –
Giurisdizione del Giudice tributario – Non sussiste
”
53
Procedimento e processo – Processo tributario – Atti impugnabili – Atti non
contenuti nell’elencazione di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 – Sono impugnabili
se portano a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata –
Preavviso di fermo amministrativo – E’ Tale – Autonoma impugnabilità –
Consegue
”
51
Procedimento e processo – Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani –
Dedotta illegittimità per intervenuta norma abrogativa della Tarsu – Intervento
normativo ad opera dell’art. 14, comma VII, del D.Lgs. 23 del 2011 autorizzante i
comuni a continuare ad applicare i regolamenti Tarsu già adottati – Legittimità
della pretesa avanzata – Sussiste – Mancata adozione riforma Tarsu da parte
dell’ente locale servizio – Dedotta illegittimità del provvedimento – Non sussiste –
Giurisdizione delle commissioni tributarie – Non si estende alla legittimità della
delibera comunale – Invocata stagionalità dell’attività accertata – Assenza di
elementi probatori a sostegno delle eccezione Legittimità della pretesa – Sussiste
”
59
7
CONTENZIOSO
3
RISCOSSIONE
Riscossione – Liquidazione delle imposte dovute in base alla dichiarazione della
società partecipata – Controllo automatizzato ai sensi degli artt. 36 bis del D.P.R.
n. 600 del 173 e 54 bis del D.P.R. n. 633 del 1972 – Notificazione della cartella di
pagamento al socio debitore solidale – Deve intervenire entro i termini di
decadenza di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973
”
69
4
Riscossione – Liquidazione delle imposte dovute in base alla dichiarazione della
società partecipata – Iscrizione a ruolo estesa al socio debitore solidale – Eccepita
l’omessa preventiva escussione del patrimonio della società – Non costituisce un
adempimento procedurale obbligatorio – Legittimità dell’iscrizione a ruolo –
Sussiste
pag. 69
Riscossione – Riscossione a mezzo di cartella di pagamento – Iscrizione ai sensi
dell’art. 36 bis, D.P.R. n. 633/1972 – Motivazione della cartella di pagamento
indicante solo i termini del controllo formale della dichiarazione presentata –
Sufficienza
”
63
Riscossione – Riscossione a mezzo di cartella di pagamento – Iscrizione ai sensi
dell’art. 68, D.Lgs. n. 546/1992 – Motivazione della cartella di pagamento
indicante solo i termini della liquidazione della sentenza – Sufficienza
”
66
Riscossione – Riscossione a mezzo di cartella di pagamento – Notifica – E’ atto
strumentale alla conoscenza da parte del contribuente della pretesa
dell’Amministrazione – Notifica a mezzo posta – Impugnazione da parte del
contribuente – Raggiungimento dello scopo – Consegue – Nullità della iscrizione a
ruolo – Non sussiste
”
66
Riscossione – Riscossione a mezzo di cartella di pagamento – Sottoscrizione della
cartella di pagamento e indicazione del responsabile del procedimento – Necessità
per i soli ruoli consegnati al Concessionario per la riscossione a far data dal 1
giugno 2008
”
63
Riscossione – Riscossione a mezzo di cartella di pagamento – Sottoscrizione della
cartella di pagamento e indicazione del responsabile del procedimento – Necessità
– Non sussiste
”
66
Riscossione – Riscossione a mezzo di cartella di pagamento – Termini di
decadenza – Data dell’iscrizione a ruolo – Irrilevanza – Data di notifica della
cartella di pagamento – Costituisce il termine iniziale per il computo del termine di
decadenza
”
63
INDICE
CRONOLOGICO
Commissione tributaria regionale di Napoli
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. IX, 26 aprile 2013, n. 136
”
63
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 4 giugno 2013, n. 378
”
48
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. IX, 26 giugno 2013, n. 346
”
16
Commissione tributaria regionale di Napoli
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 26 giugno 2013, n. 353
”
19
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 3 luglio 2013, n. 359
”
22
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 3 luglio 2013, n. 364
”
25
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione staccata di Salerno
Sez. XII, 3 luglio 2012, n. 417
”
51
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno
Sez. XII, 3 luglio 2013, n. 367
”
66
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. XVIII, 26 agosto 2013, n. 475
”
53
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 12 settembre 2013, n. 535
”
29
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 12 settembre 2013, n. 537
”
33
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 16 settembre 2013, n. 551
”
7
5
6
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 30 settembre 2013, n. 412
”
36
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. XVIII, 7 ottobre 2013, n. 544
”
57
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 632
”
11
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. I, 28 ottobre 2013, n. 654
”
69
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VIII, 6 novembre 2013, n. 637
”
39
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. XVIII, 28 novembre 2013, n. 660
”
45
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. I, 21 gennaio 2014, n. 129
”
59
Imposta sul valore aggiunto
APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA ALLE RIVENDITE
DI ORO USATO
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 16 settembre 2013, n. 551
Pres. Oricchio – Rel. Tipaldi
I. Accertamento – Accertamento ai fini
delle Imposte dirette e dell’Imposta sul
valore aggiunto – Osservazioni e me­
morie del contribuente ex art.12, co. 7,
L. n. 212/2000 “Statuto dei diritti del
contribuente” – Obbligo di motivazione
dell’accertamento in relazione alle os­
servazioni presentate – Non sussiste
II. Imposta sul valore aggiunto ai com­
pro oro – Regime del reverse charge –
Condizioni di applicazione – Contempo­
ranea presenza di elementi oggettivi (i
beni non devono derivare da acquisti
con applicazione del “regime del margi­
ne” e devono essere costituiti da oggetti
usati e/o avariati, nonché da prodotti di
oreficeria qualificabile come rottami) e
soggettivi (l’attività svolta dal cessiona­
rio deve essere esclusivamente quella di
trasformazione, fusione anche chimica
degli oggetti) – Mancanza di alcuno de­
gli elementi richiesti – Applicazione del­
l’imposta sul valore aggiunto con il re­
gime del margine – Consegue
I. L’art. 12, co. 7 L. n. 212/2000 nel prevedere
che la parte, entro 60 giorni dalla notifica del
p.v.c., può comunicare osservazioni sul contenu­
to dello stesso e fare richieste che sono valutate
dall’Ufficio impositore, non impone allo stesso
Ufficio l’obbligo di indicare nella motivazione
dell’avviso di accertamento sia l’avvenuto
espletamento dell’esame delle osservazioni al
p.v.c., che il risultato dello stesso. Infatti lo stes­
so Ufficio ben può non avere considerato meri­
tevoli di considerazione le osservazioni fatte
dalla contribuente, tenuto conto del contenuto
del p.v.c., ma avere ritenuto, anche se tacita­
mente, di condividerne i risultati.
II. Perchè ai beni ceduti dagli operatori c.d.
“compro oro” si renda applicabile il regime del
reverse charge è necessario il concorso di due
elementi oggettivi (i beni non devono derivare
da acquisti con applicazione del “regime del
margine” e devono essere costituiti da oggetti
usati e/o avariati, nonché da prodotti di orefice­
ria qualificabile come rottami e, quindi, non
idonei al consumo finale, perché non più suscet­
tibili di essere utilizzati dal consumatore finale)
e di un elemento soggettivo, costituito dall’attività esercitata dal cessionario, che deve es­
sere esclusivamente quella di trasformazione,
fusione anche chimica degli oggetti, allo scopo
di trarne il “fino” negli stessi contenuto. Per­
tanto, nel caso di cessione di beni qualificabili
come “rottami” a soggetto che esercita, oltre
all’attività di trasformazione degli oggetti d’oro,
anche quella di commercio di metalli preziosi,
resta applicabile il regime del margine, con con­
seguente debenza dell’IVA corrispondente da
parte del cedente.
Svolgimento del processo
Sulla base del p.v.c. della G. di F. Salerno
27/10/11, l’Ufficio rettificava i Mod. UNI­
CO/08/09/10, presentati per gli anni 2007-2008
e 2009 dalla società K. s.r.l., contestando l’o­
messa istituzione del registro di carico e scarico
dei beni di oreficeria commercializzati e l’omes­
sa tenuta del prescritto registro dell’IVA sul
margine, in violazione della L. 14/01/00, n. 7,
emanata in attuazione della direttiva Comunita­
ria 98/80/CE, nonché del documento esplicativo
della B. d’Italia in materia di oro del
26/06/2011, avendo rilevato i verificatori che la
contribuente, esercitando la compravendita di
oreficeria usata, era obbligata ad applicare il re­
gime del margine, di cui all’art. 36 del D.L.
41/1995.
Ciò posto, poiché la società negli anni 20072008 e 2009 aveva erroneamente fatturato ope­
razioni attive col titolo di non imponibilità ex
7
8
art. 17 c.5 del D.P.R. n. 633/72 beni acquistati
da privati per € 2.326.296,00; 3.773.628,00;
3.826.208 ed effettuato vendite per €
2.793.958,00; 4.419.174,00; 4.218.305,00 con
un margine positivo al lordo IVA pari ad €
467.663,00, 645.546,00 e 392.097,00, veniva
chiesto il pagamento di IVA per € 77.944,00,
107.391,00 e 65.350,00, inclusa nel suddetto
importo, oltre accessori.
Con unico ricorso la società rappresenta in pri­
mo luogo di esercitare l’attività “compro oro”
con la quale acquista da privati oggetti in oro
usati e/o avariati per rivenderli a due società, le
quali non sono consumatori finali, né rivendono
i beni allo stato originario, ma li sottopongono o
li fanno sottoporre a procedimenti di lavorazio­
ne primaria industriale con trattamento chimico
e fusione, ottenendo lingotti d’oro da investi­
mento, di talché le cessioni venivano considera­
te non imponibili ai sensi dell’art. 17, c. 5 del
D.P.R. n. 633/72.
Avendo i verificatori considerate imponibili le
suddette cessioni, la società, ai sensi dell’art. 12,
c. 7 della L. 212/2000, inviava memorie all’Uf­
ficio chiedendo di rivisitare il p.v.c. senza avere
un riscontro positivo, ma ricevendo gli avvisi di
accertamento in questione.
Tanto premesso chiedeva l’annullamento degli
atti impositivi:
a) per mancata valutazione delle osservazioni al
p.v.c.;
b) per violazione della L. n. 7/2000 e dei succes­
sivi chiarimenti, tra cui 20/06/01 e 18/12/01, di­
ramati dalla B. d’Italia, secondo cui la rivendita
di oggetti usati di oro acquistati da privati rien­
trano tra le operazioni non imponibili se non
ceduti a consumatori finali;
c) inapplicabilità del regime del margine perché
relativo solo a beni mobili suscettibili di reim­
piego nello stato originario o previa riparazione,
come da circ. min. 22/06/95, n. 177/E.
Resisteva l’Ufficio, sottolineando la legittimità
del proprio operato considerato che la ricorrente,
operatore non professionale, vende i beni acqui­
stati da privati allo stato originario, senza alcuna
manipolazione industriale, di talché si applica il
regime del margine e non il “reverse charge”.
Insiste la contribuente con note depositate il
09/01/13, allegando, a sostegno delle proprie ra­
gioni:
1) interpello, riscontrato dalla D.R.E. della To­
scana in data 01/09/11;
2) parere dell’A.E., D.R. di Cagliari 29/03/12
con richiamo e riporto in sintesi del parere di
altre D.D.R.R. dell’A.E. e di giurisprudenza di
merito;
3) risoluzione di diverse D.D.R.R. e della Dire­
zione Centrale Normativa dell’A.E., nonché giu­
risprudenza di merito.
Motivi della decisione
Il ricorso è parzialmente fondato.
l. Il primo motivo non ha pregio.
Ai sensi dell’invocato art. 12, c. 7 della L.
212/2000 la parte, entro 60 giorni dalla notifica
del p.v.c., può comunicare osservazioni sul con­
tenuto dello stesso e fare richieste che sono va­
lutate dall’Ufficio impositore.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricor­
rente, la suddetta norma non prevede che nel­
l’avviso di accertamento deve esplicitamente es­
sere indicato sia l’avvenuto espletamento dell’e­
same delle osservazioni al p.v.c., che il risultato
della stessa. La mancata indicazione di quanto
sopra non comporta l’illegittimità della motiva­
zione dell’avviso di accertamento, sia perché
tanto non è previsto e sia perché sta a significare
che l’Ufficio non ha considerato meritevoli di
considerazione le osservazioni fatte dalla contri­
buente, tenuto conto del contenuto del p.v.c., ma
ha ritenuto, anche se tacitamente, di condivider­
ne i risultati, in tal senso anche la giurisprudenza
di legittimità per casi simili (ex multis Cass. Sez.
T. 22171/08; 10205/03; 15379/02). Non va tra­
scurato, poi, che l’indicazione di cui sopra non
può rappresentare un elemento essenziale della
motivazione, oltre quelli, a riguardo, previsti
dall’art. 42 del D.P.R. 600/73 (per le II.DD.) e
dall’art. 56 del D.P.R. n. 633/72 (per l’IVA), non
potendosi riconoscere alle osservazioni fatte dal­
la parte, in epoca anteriore all’emissione dell’at­
to impositivo, dignità giuridica.
2. Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo, riu­
niti per la marcata connessione, sono parzial­
mente fondati.
2.1 La ricorrente contestava l’errata interpreta­
zione della L. 17/01/00, n. 7, che ha disciplinato
il mercato dell’oro, con particolare riguardo al c.
4 dell’art. 3, con il quale il legislatore aggiunge­
va il seguente c. 5 all’art. 17 del D.P.R. n.
633/72.
“In deroga al primo comma, per le cessioni im­
ponibili di oro da investimento di cui all’art. 10,
n. 11, nonché per le cessioni di materiale d’oro e
per quelli di prodotti semilavorati di purezza pa­
ri o superiore a 325/1000, al pagamento dell’im­
posta (IVA) è tenuto il cessionario, se soggetto
passivo dell’imposta nel territorio dello Stato.
La fattura, emessa dal cedente senza addebito
d’imposta con l’osservanza delle disposizioni di
cui agli artt. 21 e seguenti e con l’indicazio­
ne...”.
All’uopo richiamava:
a) le risoluzioni emesse, in risposta a specifici
quesiti posti da singoli operatori del settore
“compro oro” e da associazioni degli stessi, sia
dalle direzioni regionali dell’A.E. (alleg. 5, 13,
14) che dalla Direzione Centrale Normativa del­
la stessa (alleg. 1 e 3);
b) provvedimenti di annullamento in autotutela
di atti impositivi emessi in base a pp.vv.cc. della
G. di F. (alleg. 15-17-18-21) da parte di Direzio­
ni Provinciali dell’A.E., tra cui spicca, per
l’esaustività di trattazione, quella di Cagliari,
nonché, per la competenza territoriale in cui
rientra l’A.E. di Salerno, quella di Napoli;
c) giurisprudenza di merito (alleg. 7-16 e 19);
d) circolari della B.ca d’Italia con le quali veni­
va specificata la differenza tra oro di investi­
mento e materiale d’oro, per le cui cessioni del
secondo va applicato il reverse charge (alleg. 2
e 6);
e) dichiarazione dei soggetti economici ai quali
cedeva gli oggetti e/o rottami di oro acquistati
da privati, attestanti l’attività che gli stessi eser­
citavano (alleg. 22) e relative visure camerali
(alleg. 23).
Sottolineava che dalla documentazione di cui al­
le lett. a), b) e c) si rilevava una univoca inter­
pretazione del richiamato art. 17, c. 5, la quale
legittimava l’applicato reverse charge alle ven­
dite effettuate e non il “regime del margine” co­
me indicato dai verificatori e confermato dal­
l’Ufficio.
2.2 Dai chiarimenti di natura amministrativa resi
delle richiamate circolari e confermati in modo
più incisivo con la successiva circolare
28/05/10, si rileva, tra l’altro, che:
a) “l’oro, il cui commercio è legittimamente
consentito anche agli operatori non professiona­
li, in cui rientrano i c.d. “compro oro”, può esse­
re dedotto, per esclusione, da quello non riserva­
to agli “operatori professionali in oro”;
b) i suddetti soggetti:
b1) non sono obbligati alla comunicazione di
inizio dell’attività e, quindi, non devono essere
in possesso dei requisiti di cui all’art. l, c. 3
della L. 7/2000;
b2) possono acquistare oggetti preziosi nuovi,
usati o avariati e rivenderli al pubblico, a fonde­
rie o ad altri operatori, figurandosi la loro
attività, come commercio di prodotti finiti non
rientranti nella definizione di “oro” di cui al c. 1
del richiamato art. 1;
b3) non possono contemporaneamente acquista­
re “oro da gioielleria” usato e/o avariato, fonder­
lo (direttamente o tramite terzi) e vendere il “fi­
no” ottenuto.
Tenuto conto dei condivisibili chiarimenti forniti
dalla Banca d’Italia in merito ai richiamati artt.
della L. n. 7/2000, a parere della Commissione,
l’oro usato e/o avariato destinato alla fusione è
soggetto ai fini IVA al regime ordinario se dalla
fusione non si ottenga oro da investimento o di
tipo industriale, ma “altro oro da gioielleria ad
uso commerciale”.
Per contro se dalla fusione si ottiene oro da in­
vestimento o di tipo industriale, trova ingresso il
reverse charge di cui all’art. 17, c. 5 del D.P.R.
n. 633/72.
In tal senso concludono anche le richiamate ri­
soluzioni di cui alla lett. a) del punto 2.l, con le
quali però, sono stati opportunamente previsti
giustificati e comprensibili “paletti”, condivisi
da questa C.T.P., al fine di evitare comportamen­
ti elusivi con un’applicazione generalizzata dal
reverse charge, anche in carenza di presupposti.
Nello specifico è stato precisato che:
a) ai beni ceduti dagli operatori c.d. “compro
oro”, pur se non professionali si applica il regi­
me del reverse charge se:
a1) non derivano da acquisti con applicazione
del “regime del margine”;
a2) gli stessi siano costituiti da oggetti usati e/o
avariati, nonché da prodotti di oreficeria qualifi­
cabile come rottami e, quindi, non idonei al con­
sumo finale, perché non più suscettibili di essere
utilizzati dal consumatore finale;
a3) i medesimi, pur non rientranti in tale catego­
ria, perché materiali di oro non rappresentanti
sotto l’aspetto merceologico “oro industriale”
(lingotti, piastrine, ecc.), siano stati a ceduti a
soggetti che esercitano esclusivamente l’attività
di ricondizionamento, assumendo valenza non
tanto le caratteristiche dell’oggetto, ma la sua
destinazione.
b) il cessionario deve esercitare in via esclusiva
l’attività di trasformazione, fusione anche chi­
mica degli oggetti, allo scopo di trarne il “fino”
negli stessi contenuto; né assume rilevanza, in
caso di esercizio di doppia attività (ricondizio­
9
namento degli oggetti usati e/o avariati e com­
mercializzazione degli stessi), la presenza di se­
parate contabilità.
2.3) Gli oggetti trattati dalla K. s.r.l.:
a) erano rappresentati da oreficeria usata (f. 12,
72 e 77 del p.v.c.);
b) venivano acquistati da privati (f. 74 del
p.v.c.);
c) venivano venduti a due clienti (f. 73 del
p.v.c.).
I cessionari, rappresentati dalla società F. C.
s.r.l. con sede legale in Napoli e sede operativa a
Marcianise (CE), e dalla società I. S.p.A. con
sede legale ed operativa in Arezzo, con dichiara­
zione sostitutiva di certificazione, nel rappresen­
tare di essere operatori professionali ex-art. 1, c.
3, L. n. 7/2000, precisano:
– il primo, di esercitare contemporaneamente
l’attività di commercio di metalli preziosi, non­
ché di acquisto di rottami auriferi (oreficeria
usata) destinati ad essere fusi, saggiati e affinati
allo scopo di trarre il metallo prezioso da vende­
re in conformità alla L. n. 7/2000;
– il secondo, di non essere in possesso di licenza
per il commercio di gioielli d’oro e, quindi, di
non svolgere questo di attività, ma di impiegare
i rottami di gioielleria acquistati solo ed elusiva­
mente in un “processo di lavorazione, trasforma­
zione, e affinazione chimica, direttamente o tra­
mite terzi, che termina con l’ottenimento di oro
da investimento” e/o “materiale d’oro” di cui
all’art. 1 della L. n. 7/2000.
Da quanto esposto non hanno pregio le argo­
mentazioni in proposito sviluppate dall’Ufficio.
Per contro, pur condividendo i motivi esposti
10
dalla ricorrente, a parere della Commissione,
considerato che la cessionaria F.C. s.r.l. esercita
una doppia attività e non solo il ricondiziona­
mento degli oggetti preziosi usati e/o avariati,
per cui non é possibile, almeno in questa sede,
rilevare se tutti i beni acquistati dalla società K.
s.r.l. siano stati trasformati per ricavarne il me­
tallo prezioso e non commercializzati allo stato
originario, a tali vendite non può essere applica­
to il reverse charge.
2.4) Il quarto motivo è palesemente infondato,
considerato che pur essendo la società a cono­
scenza, come lo prova il contenuto del ricorso,
che il reverse charge poteva essere applicato so­
lo alle vendite fatte ad operatori esercenti in via
esclusiva l’attività di ricondizionamento dei beni
ceduti, ha comunque applicato il suddetto regi­
me e non quello del “margine” e, quindi, alla
stessa è da addebitare l’esborso dell’IVA da par­
te della cessionaria.
2.5) Per quanto sopra esposto non è meritevole
di accoglimento neanche la paventata incertezza
della norma al fine di evitare la sanzione per il
rilievo confermato. Considerato l’esito del giu­
dizio, le spese processuali vengono compensate.
P.Q.M.
La Commissione accoglie parzialmente il ricor­
so e, per l’effetto, dichiara non soggette reverse
charge le vendite fatte alla società F.C. di Napo­
li, mandando all’Ufficio per la rideterminazione
dell’imposta non addebitata in fattura per altre
cessioni fatte dalla ricorrente; compensa le spe­
se.
Tassa sui rifiuti solidi urbani
CRITERI DI ASSIMILAZIONE DEI RIFIUTI
SPECIALI AI RIFIUTI URBANI
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 632
Pres. e Rel. Oricchio
Tributi comunali – Tassa sui rifiuti soli­
di urbani – Assimilazione dei rifiuti spe­
ciali ai rifiuti urbani ai fini dell’imposi­
zione – Deliberazione comunale – Necessità – Determinazione delle tipologie
dei rifiuti speciali assimilati – E’ da ef­
fettuare sulla base della tabella allegata
alla Deliberazione Interministeriale del
27 luglio 1984, decreto attuativo del­
l’art. 5 del D.P.R. n. 915/82
L’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti soli­
di urbani può essere stabilita solo attraverso de­
liberazione comunale, così come previsto dal­
l’art. 198 - Competenze dei comuni - comma 2,
lett. g) D.lgs. n. 152/2006; in particolare la deli­
berazione comunale deve assimilare i rifiuti spe­
ciali ai R.S.U. per qualità e quantità, secondo i
criteri dettati dallo Stato, così come posto dal­
l’art. 195 - Competenze dello Stato, comma 2,
lett. e) che devono prevedere anche la determi­
nazione e la disciplina dei criteri qualitativi e
quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini
della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti
speciali e dei rifiuti urbani. In attesa dell’ema­
nazione del decreto previsto, è necessario fare
riferimento alla Deliberazione Interministeriale
del 27 luglio 1984, decreto attuativo dell’art. 5
del D.P.R. n. 915/82, che lascia ampio margine
ai Comuni sulla determinazione delle tipologie
dei rifiuti speciali assimilati sulla base di una
tabella che, seppur non tassativa, indica chiara­
mente le tipologie di rifiuti speciali conferibili in
discarica e, quindi, equiparabili agli urbani.
Sulla base di tale fonte, non è normativamente
ed ontologicamente possibile l’equiparazione
agli urbani dei rifiuti derivanti dalla lavorazio­
ne di materiali ferrosi, e pertanto le aree in cui
essi si producono sono sottratte alla privativa
comunale e non sono soggette a TARSU.
Svolgimento del processo
Con atto di ricorso tempestivamente notificato a
controparte, la società a responsabilità limitata
E.P.C., in persona del legale rappresentante pro
tempore, adiva questa Commissione Tributaria
provinciale deducendo di volere impugnare l’av­
viso di accertamento notificato dal Comune di
S. con cui veniva richiesto il pagamento a titolo
di TARSU per l’anno di imposta 2008 della
somma complessiva di € 69.083.00.
La società ricorrente eccepiva preliminarmente
alcuni vizi formali dai quali sarebbe stato affetto
l’atto impugnato e segnatamente:
a) La nullità del provvedimento per evidente vi­
zio di notifica dello stesso;
b) l’illegittimità, l’erroneità e comunque l’ineffi­
cacia dell’accertamento opposto, per mancata
partecipazione della ricorrente alla fase del pre­
ventivo contraddittorio, in violazione degli artt.
6, 7, 10, 11 della L. n. 212/2000, nonché del­
l’art. 24 della L. n. 4/1929 e, in ogni caso, del­
l’art. 9 del Regolamento comunale sulle Entrate;
c) l’illegittimità, l’erroneità e comunque l’ineffi­
cacia dell’accertamento per mancata sottoscri­
zione con firma autografa o digitale del provve­
dimento, emesso in violazione delle norme di
legge vigenti in materia di documenti tributari
informatici.
Nel merito, chiedeva comunque a questa Com­
missione di voler accertare l’illegittimità e
l’erroneità dell’accertamento opposto: a) per
violazione del disposto di cui ai comma 7 del­
l’art. 12 della L. n. 212/2000, e, per esso, del­
l’art 1 comma 162 della L. n. 296/2006, b) per
violazione degli arti. 62 e 68 del D.lgs. n.
507/1993 in ragione dell’intassabilità delle su­
perfici in cui si producono rifiuti speciali, come
accaduto nel caso di essa ricorrente; c) per man­
cata applicazione del principio di continuazione
delle violazioni ex art. 12 D.lgs. n. 472/1997.
Nell’ampio e documentato ricorso la società ri­
corrente affermava che con l’atto impugnato il
Comune di S. aveva accertato nei suoi confronti
11
12
una maggiore TARSU presumibilmente dovuta
per l’anno 2008 con la motivazione che dall’esa­
me degli atti d’ufficio relativi alla TARSU per
l’anno oggetto dell’accertamento, sono emerse
incongruenze relativamente alla conduzione e/o
detrazione dell’immobile; da individuarsi presu­
mibilmente con il capannone industriale ove la
ricorrente società, esercita, in prosecuzione della
preesistente attività familiare, sin dal 1968,
l’attività di lavorazione e commercializzazione
di materiale ferroso.
Aggiungeva, altresì che l’Ufficio aveva invero,
indicato nella sezione del provvedimento riferita
al Riepilogo dati esclusivamente l’indirizzo
dell’unità immobiliare oggetto di censura, ivi ri­
portando unicamente il riferimento alla Via delle
C. 44, senza quindi precisare alcun altro riferi­
mento utile all’identificazione del fabbricato in
questione, per poi evidenziare, in una sorta di
tabella, che la società ricorrente avrebbe dichia­
rato e versato per l’anno in discorso la TARSU
su 800 metri quadri di superficie imponibile,
sotto la categoria 0800-ALTRI COMMERCI ai
fini della determinazione della tariffa applicabi­
le, mentre l’ente impositore aveva accertato che
la superficie tassabile dell’immobile sito in via
delle C. 44 sarebbe stata pari a ben 5247 mq, da
riferirsi, così come da esso stesso riportato, sem­
pre all’applicazione dell’aliquota relativa alla
categoria 0800- ALTRI COMMERCI.
Ne era derivata la quantificazione di maggiore
TARSU asseritamente dovuta nel il 2008 per €
69.083.00, di cui € 33.041,21 per infedele de­
nuncia ex art. 76 D.lgs. n. 507/1993 e art. 28
RGE (75%); € 24.780,91 per sanzioni; €
3.304,12, per addizionale ECA; €1.652,06 per
addizionale provinciale; 5.476,80 per interessi
su sorta capitale; € 821,52, per interessi su addi­
zionali.
Nell’evidenziare la correttezza del proprio ope­
rato, la società ricorrente confermava di eserci­
tare l’attività di lavorazione di materiali ferrosi
che provoca scarti di lavorazione non assimila­
bili ai rifiuti urbani e, pertanto, da smaltirsi al di
fuori della privativa comunale, come puntual­
mente sempre avvenuto.
Concludeva per l’annullamento, previa sospen­
siva, dell’impugnato avviso di accertamento,
con vittoria di spese.
Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si co­
stituiva in giudizio il Comune di S. che impu­
gnava l’avverso dedotto sostenendo la
legittimità del proprio operato: in particolare so­
steneva l’insussistenza di qualsiasi vizio proce­
dimentale e la fondatezza della pretesa tributaria
recata con l’atto impugnato, ovvero la tassabilità
di tutti gli oltre 5000 mq della superficie occu­
pata dalla ricorrente per l’esercizio della sua
attività.
Precisava l’ente che il thema decidendum sotte­
so all’impugnato avviso di accertamento era co­
stituito dall’assoggettabilità alla TARSU anche
delle aree in cui la ricorrente produce rifiuti fer­
rosi, riconducibili a sfridi di lavorazione, per la
rivendita all’ingrosso delle lastre di ferro da essa
stessa commercializzate.
In proposito l’ente impositore sostanzialmente
riteneva che la società E. non avesse documen­
tato la sussistenza delle condizioni per benefi­
ciare dell’esenzione prevista dall’art. 62, co.3
del D.lgs. n. 507/1993 e, pertanto, non potesse
sottrarre gran parte della superficie in cui si
svolge l’attività aziendale alla TARSU richiesta.
Concludeva per il rigetto dei ricorso, con vitto­
ria di spese.
Previo preliminare esame presidenziale
dell’ammissibilità del ricorso, veniva fissata
specifica camera di consiglio per la trattazione
dell’istanza cautelare e, quindi, rinviata all’o­
dierna udienza la trattazione dei merito della
controversia. In prossimità di questa la società
ricorrente depositava ulteriori memorie illustra­
tive, quindi, all’esito della discussione la contro­
versia veniva decisa in base alle seguenti consi­
derazioni.
Motivi della decisione
Ritiene questa Commissione che il proposto ri­
corso, sia giuridicamente fondato e meriti acco­
glimento nei termini di seguito indicati.
Per meglio comprenderei motivi che hanno in­
dotto ad adottare l’anticipata decisione è oppor­
tuno svolgere le seguenti brevi argomentazioni:
con il libello introduttivo del presente giudizio
la società E.s.r.l. ha ritenuto di impugnare un
avviso di accertamento con il quale il Comune
di S. accertava nei suoi confronti una maggiore
TARSU dovuta in considerazione dell’asserita
soggezione al tributo dell’intera area in cui si
svolgeva incontestatamente l’attività industriale
di lavorazione di materiali ferrosi, ritenendo che
questi - essendo assimilabili ai rifiuti urbani do­
vessero essere smaltiti dal Comune con paga­
mento della relativa tassa. La E. ritiene, invece,
che nessun ulteriore pagamento sia dovuto al­
l’ente per il titolo recato nell’impugnato avviso
sia perchè il procedimento che ha portato alla
sua emanazione è affetto da numerosi vizi, sia
perchè i residui della lavorazione dei materiali
ferrosi non sono equiparabili ai rifiuti solidi ur­
bani e, quindi, le superfici ove essi si producono
non sono computabili ai fini TARSU. Così deli­
neati i termini della controversia, ritiene la
Commissione che le questioni preliminari solle­
vate dalla ricorrente siano tutte infondate, ed in
particolare: non sussiste alcun difetto di notifica
dell’atto impugnato sia quanto al soggetto passi­
vo perchè esso è stato correttamente individuato
(ai sensi dell’art. 2948 cod.civ) nella società in
cui si era trasformata nelle more la società all’e­
poca dei fatti operante avente ragione sociale
E.P.C. di O.L.e f.s.a.s..
La notifica risulta, inoltre, regolare in quanto,
come da consolidata giurisprudenza, la mancata
apposizione sull’originale o sulla copia conse­
gnata al destinatario della relata di notifica non
comporta l’inesistenza della stessa ma una mera
irregolarità, che non può essere fatta valere dal
destinatario, trattandosi di adempimento che non
è previsto nel suo interesse.
Del pari priva di dignità è l’eccezione sollevata
al mancato contraddittorio preventivo in quanto
non vi è alcuna norma che lo imponga alle am­
ministrazioni comunali nel momento in cui ri­
tengano di dover recuperare a tassazione aree
per le quali il contribuente aveva omesso di li­
quidare il relativo tributo.
Peraltro è stata versata in atti una scheda di rile­
vazione dello stato dei luoghi avvenuta in data
17.12.2012 sottoscritta da P.C.M., quale legale
rapp.te della E. s.r.l..
Infine anche l’eccepita omessa sottoscrizione
dell’atto da parte del funzionario responsabile è
inconferente quanto il nome dello stesso è indi­
cato a stampa ed è, peraltro, il R.U.P. per tutti
gli accertamenti TARSU ex delibera di G.C.
n.928/2010. Sfrondato il terreno dalla selva del­
le sollevate eccezioni preliminari (la cui totale
infondatezza non potrà non rilevare sotto il pro­
filo del regolamento delle spese), questa Com­
missione ritiene che nel merito la società contri­
buente abbia ragione in quanto le superfici in
cui incontestabilmente produce rifiuti speciali di
natura ferrosa non possono essere soggette a tas­
sazione dal Comune non essendo detti rifiuti ex
lege equiparabili ai rifiuti urbani.
A tal fine, va evidenziato come la E. sin dall’an­
no di avvio dell’attività di famiglia (1965), risul­
ta avere assoggettato alla TARSU una superficie
pari a circa 800 mq, pari cioè alle aree del ca­
pannone industriale adibite a deposito dei pro­
dotti ferrosi sia in ingresso che in uscita, dopo
l’avvenuta lavorazione in base alle richieste dei
clienti, in cui sono ricompresi Uffici e aree am­
ministrative, assoggettati a tassazione ordinaria.
Per tutta la restante superficie, invero, come am­
piamente documentato anche attraverso la peri­
zia di stima giurata depositata agli atti, corredata
anche di idonea documentazione fotografica, e
come evincibile altresì dalla piantina in scala,
sempre depositata agli atti, la E. ha sempre
provveduto allo smaltimento in proprio, attra­
verso convenzione con una ditta specializzata,
dei rifiuti speciali di natura ferrosa, derivanti
dalla lavorazione industriale effettuata all’inter­
no del capannone, e pagato regolarmente i costi
di tale operazione.
Di tale circostanza l’odierna ricorrente ha forni­
to adeguata prova, depositando sempre in alle­
gato al ricorso introduttivo, sia il contratto con
la ditta in questione, sia i partitari con le fatture
di addebito del costo di smaltimento dei predetti
rifiuti speciali e, comunque, non è in questa sede
che possono muoversi eventuali censure circa le
modalità di autonomo smaltimento dei propri ri­
fiuti da parte della E..
Tanto precisato, resta da esaminare la tesi del
Comune di S. che si fonda sulla qualificazione
dei rifiuti di natura ferrosa, così come sono in­
controvertibilmente qualificabili quelli ascrivibi­
li all’attività della società ricorrente, quali rifiuti
speciali assimilabili agli urbani con la conse­
guente sottoposizione a tassazione delle aree
ove essi vengono prodotti.
Orbene, la società E., a sostegno dell’iter logicogiuridico proposto nel ricorso ha richiamato ben
due sentenze della Suprema Corte in cui, pro­
prio sui materiali ferrosi, è stata espressamente
statuita la particolare natura di rifiuti ad essi ri­
conducibile, che, per l’appunto, mai avrebbe po­
tuto esser smaltita in regime di privativa, perchè
da considerarsi rifiuti speciali non assimilabili
agli urbani.
La Sezione condivide tale giurisprudenza perchè
fondata su dati normativi incontrovertibili: l’as­
similazione dei rifiuti speciali ai rifiuti solidi ur­
bani è stabilita solo attraverso deliberazione co­
munale, così come previsto dall’art. 198 - Com­
petenze dei comuni - comma 2, lett. g) D.lgs. n.
152/2006; in particolare la deliberazione comu­
nale deve assimilare i rifiuti speciali ai R.S.U.
13
14
per qualità e quantità, secondo i criteri dettati
dallo Stato, così come posto dall’art. 195 - Com­
petenze dello Stato, comma 2, lett. e) che devo­
no prevedere anche la determinazione e la disci­
plina dei criteri qualitativi e quali-quantitativi
per l’assimilazione ,ai fini della raccolta e dello
smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti ur­
bani.
L’atteso decreto interministeriale (previsto ancor
prima dal “Decreto Ronchi”), che dovrebbe de­
finire i criteri qualitativi e quali-quantitativi so­
pra enunciati (e quindi sostituirsi ai regolamenti
comunali) non è stato ancora emanato, pertanto
la norma alla quale è possibile fare riferimento
(anche se non più citata dall’attuale normativa) è
la Deliberazione Interministeriale del 27 luglio
1984, decreto attuativo dell’art. 5 del D.P.R. n.
915/82, lasciando così ampio margine ai Comu­
ni sulla determinazione delle tipologie dei rifiuti
speciali assimilati ma sulla base di una tabella
(di seguito riportata) che, seppur non tassativa,
indica chiaramente le tipologie di rifiuti speciali
conferibili in discarica e, quindi, equiparabili
agli urbani .
Il criterio qualitativo dettato dal Paragrafo 1.1.1.
della richiamata deliberazione è il seguente:
“1.1.1. I rifiuti speciali di cui ai punti 1), 3), 4),
5) del quarto comma dell’art.2 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 915/1982 posso­
no essere ammessi allo smaltimento in impianti
di discarica aventi le caratteristiche fissate al
punto 4.2.2, se rispettano le seguenti condizioni:
a) Abbiano una composizione merceologica ana­
loga a quella dei rifiuti urbani o, comunque, sia­
no costituiti da manufatti e materiali simili a
quelli elencati nel seguito a titolo esemplificati­
vo: - imballaggi in genere (di carta, cartone, pla­
stica, legno, metallo e simili);
- contenitori vuoti (fusti, vuoti di vetro, plastica
e metallo, latte e lattine e simili);
- sacchi e sacchetti di carta o plastica; fogli di
carta, plastica, cellophane; cassette, pallets;
- accoppiati quali carta plastificata, carta metal­
lizzata, carta adesiva, carta catramata, fogli di
plastica metallizzati e simili;
- frammenti e manufatti di vimini e di sughero;
- paglia e prodotti di paglia;
- scarti di legno provenienti da falegnameria e
carpenteria, trucioli e segatura;
- fibra dì legno e pasta di legno anche umida,
purché palabile;
- ritagli e scarti di tessuto di fibra naturale e
sintetica, stracci e juta;
- feltri e tessuti non tessuti;
- pelle e simil-pelle;
- gomma e caucciù (polvere e ritagli) e manufat­
ti composti prevalentemente da tali materiali,
come camere d’aria e copertoni;
- resine termoplastiche e termo-indurenti in ge­
nere allo stato solido e manufatti composti da ali
materiali;
- rifiuti ingombranti analoghi a quelli di cui al
punto 2) del terzo comma dell’art.2 dei decreto
del Presidente della Repubblica n. 915/1982;
- imbottiture, isolanti termici ed acustici costitu­
iti da sostanze naturali e sintetiche, quali lane di
vetro e di roccia, espansi plastici e minerali, e
simili;
- moquettes, linoleum, tappezzerie, pavimenti e
rivestimenti in genere;
- materiali vari in pannelli (di legno, gesso, pla­
stica e simili);
- frammenti e manufatti di stucco e di gesso
essiccati;
- manufatti di ferro tipo paglietta metallica, filo
di ferro, spugna di ferro e simili;
- nastri abrasivi;
- cavi e materiale elettrico in genere;
- pellicole di lastre fotografiche e radiografiche
sviluppate;
- scarti in genere della produzione di alimentari,
purché non allo stato liquido, quali ad esempio
scarti di caffè, scarti dell’industria molitoria e
della pastificazione, partite di alimenti deteriora­
ti, anche inscatolati o comunque imballati, scarti
derivati dalla lavorazione dì frutta e ortaggi, ca­
seina, sanse esauste e simili;
- scarti vegetali in genere (erbe, fiori, piante,
verdure, ecc.), anche i derivanti da lavorazioni
basate su processi meccanici (bucce, baccelli,
pula, scarti di sgranatura e di trebbiatura, e simi­
li);
- residui animali e vegetali provenienti dall’e­
strazione di principi attivi.”
Come è dato vedere, l’unico accenno recato nel­
la richiamata delibera ai materiali ferrosi è quel­
lo di “manufatti di ferro tipo paglietta metallica,
filo di ferro, spugna di ferro e simili”: nulla di
simile agli scarti di lavorazioni industriali di
prodotti ferrosi di cui si pretende la soggezione
a TARSU con l’avviso di accertamento qui im­
pugnato.
Ne consegue che l’equiparazione effettuata dal
Comune con proprio regolamento è illegittima
per palese violazione della superiore normativa
e il relativo atto (delibera di G.C. n.794/1998) va
- sul punto - disapplicato ai sensi dell’art.7 del
D.lgs. n. 546/1992.
I risvolti di natura tributaria di tale impostazione
si rivelano immediatamente nell’applicazione
del D.lgs. n. 507/93, Capo III recante la discipli­
na della “Tassa per lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani interni”, al cui art. 62 - Presuppo­
sto della tassa ed esclusioni, comma 2, viene
previsto che non siano soggette a tassazione
quelle aree che non possono produrre rifiuti o
per la loro natura o per il particolare uso cui
sono stabilmente destinati (artigianali, industria­
li, commerciali e servizi) ..., al comma 3 preve­
de invece che nella determinazione della super­
ficie tassabile non si tiene conto di quella parte
di essa ove si formano rifiuti speciali, tossici o
nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a
provvedere a proprie spese i produttori stessi,
lasciando infine ai comuni, la facoltà di indivi­
duare nel regolamento categorie di attività pro­
duttive di rifiuti speciali tossici e nocivi alle
quali applicare delle riduzioni e/o esenzioni ri­
spetto all’intera superficie su cui si svolge
l’attività.
La disomogeneità delle agevolazioni, riduzioni
ed esenzioni tra i diversi Comuni Italiani è un
fatto e si protrarrà fino a quando non sarà ema­
nato il D.M. di assimilazione ma, nell’attesa, si
dovranno applicare comunque le scarne disposi­
zioni della Del. Int.le del 27/07/1994, così come
disposto dalla Legge 27 dicembre 2006, n. 296
“Legge finanziaria 2007”, art. 184 : «Nelle more
della completa attuazione delle disposizioni re­
cate dal D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e s.m.i., ..,.
lett. b): in materia di assimilazione dei rifiuti
speciali, continua ad applicarsi le disposizioni
degli articoli 18, comma 2, lettera d) e 57, com­
ma 1, del D.lgs. 22/97».
Ne deriva che il Comune di S. può assimilare ai
rifiuti solidi urbani quelli speciali e sottoporli a
TARSU solo se previsti nella richiamata tabella
e rispettando i criteri quali-quantitativi dettati
con regolamento: nel caso di specie non essendo
normativamente ed ontologicamente possibile
l’equiparazione agli urbani dei rifiuti derivanti
dalla lavorazione di materiali ferrosi da parte
dell’Edilfer, le aree in cui essi si producono so­
no sottratte alla privativa comunale e non sono
soggette a TARSU.
Conseguenza logica del discorso sin qui svolto è
che l’impugnato avviso di accertamento va an­
nullato poiché illegittimo.
Per quanto attiene al regolamento delle spese
processuali, ritiene questa Commissione che
sussistano le condizioni di legge per dichiararle
compensate tra le parti ciò sia per la particolarità
della materia in contestazione sia per il mancato
accoglimento delle defatiganti eccezioni preli­
minari sollevate dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Provinciale di Saler­
no - Sez. VI definitivamente pronunciando sul
ricorso proposto da Edilfer s.r.l. nei confronti
del Comune di Salerno, contrariis reiectiis, così
decide:
A) Accoglie il ricorso e, per, l’effetto annulla
l’impugnato avviso di accertamento;
B) Compensa le spese di lite.
15
Accertamento
ANTIECONOMICITA’ DELLA GESTIONE:
PRESUPPOSTI
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. IX, 26 giugno 2013, n. 346
Pres. Oricchio – Rel. De Camillis
I. Accertamento – Accertamento delle
imposte sui redditi e dell’Imposta sul
valore aggiunto – Scelta del metodo di
accertamento – Può essere liberamente
scelto dall’Amministrazione Finanzia­
ria a seconda dei presupposti riscontrati
in concreto – Utilizzo di più metodi di
accertamento – Legittimità
II. Accertamento – Accertamento delle
imposte sui redditi e dell’Imposta sul va­
lore aggiunto – Assenza di violazioni tali
da rendere del tutto inattendibili le scrit­
ture contabili – Anti-economicità della
gestione – Insufficienza per l’applica­
zione del metodo di accertamento indut­
tivo
16
I. L’esistenza dei presupposti per l’applicazione
del metodo induttivo non esclude che l’Ammini­
strazione possa servirsi, nel corso del medesimo
accertamento e per determinate operazioni, del
metodo analitico di cui al c. 1 dell’art. 39, op­
pure contemporaneamente di metodo analitico e
metodo induttivo. Pertanto, deve ritenersi del
tutto legittimo un accertamento eseguito utiliz­
zando ambedue i metodi di rettifica purché sus­
sistano le relative condizioni previste per legge.
II. La rilevata antieconomicità della gestione, in
assenza di violazioni tanto gravi e ripetute da
rendere del tutto inattendibili le scritture conta­
bili, non è elemento sufficiente a consentire al­
l’Ufficio di ricostruire l’esistenza di attività non
dichiarate attraverso presunzioni semplici, pur­
ché gravi, precise e concordanti.
Svolgimento del processo
La ricorrente W. D. di P. A. s.n.c. succ. trasfor­
matasi in W. D. s.r.l. rapp. e difesa dal rag. U.
R., proponeva ricorso avverso l’avviso di accer­
tamento con il quale l’Agenzia delle Entrate ret­
tificava per il periodo di imposta 2005 la dichia­
razione dei redditi all’epoca presentata dalla
W.D. di P. A. & C. determinando maggiori rica­
vi per € 118.400,00 oltre a minori costi deduci­
bili per € 556,00. La ricorrente, dopo una disa­
mina dell’art. 39 D.P.R. n. 600/73 c. l lettera a),
b), c), d) primo periodo, eccepiva che l’Agenzia
delle Entrate si era limitata a richiamare generi­
camente il predetto articolo senza quindi specifi­
care quale tipologia di accertamento aveva effet­
tuato. Di conseguenza eccepiva il vizio di moti­
vazione e ipotizzava che l’accertamento fosse di
tipo analitico - induttivo e, quindi, presupponeva
l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza degli
elementi indicati nelle dichiarazioni o l’esisten­
za di passività dichiarate e riteneva che dette
condizioni nel caso de quo non sussistevano.
Contestava che sussistevano delle presunzioni
gravi precise e concordanti e che il “calcolo arit­
metico effettuato dall’Ufficio prescindeva da
una analisi dettagliata e postulava l’esistenza di
operazioni imponibili non fatturate. Inoltre rite­
neva che non sussistendo le presunzioni, l’Uffi­
cio ex art. 2697 c.c. non aveva assolto l’onere di
provare i fatti che costituivano il fondamento
dell’accertamento. Nel merito rilevava che la
società vendeva sia al dettaglio che all’ingrosso
e dalle fatture emesse si potevano dettagliata­
mente desumere tutte le caratteristiche e la tipo­
logia dei prodotti venduti. Per di più affermava
che l’Ufficio aveva conteggiato nelle fatture
emesse sia quelle riguardanti la vendita da abiti
da sposa che quelle relative agli abiti da comu­
nione. Chiedeva l’annullamento dell’atto impu­
gnato, di sospendere l’esecuzione e la pubblica
udienza. Si costituiva l’Agenzia delle Entrate in
data 23/04/2010 che riteneva legittimo l’accerta­
mento perché dalla documentazione contabile
aveva riscontrato delle gravi irregolarità quali
una incongruenza fra i dati relativi alle giacenze
iniziali al primo gennaio 2005 e l’inventario al
31.12.2004. Inoltre affermava che le fatture era­
no state emesse con una descrizione generica in
palese contrasto con l’art. 21 del D.P.R. n.
633/72. Quindi la documentazione contabile era
inattendibile e l’Ufficio era legittimato a proce­
dere a rettifica induttiva del reddito prescinden­
do dalle risultanze contabili. La società ricorren­
te non aveva, quindi, rispettato i principi di re­
dazione del bilancio che erano prescritti dall’art.
2423 c.c. e che i documenti non esibiti non pote­
vano essere presi in considerazione a favore del
contribuente in sede contenziosa. Chiedeva di
confermare la legittimità dell’accertamento im­
pugnato con vittoria delle spese di lite. La ricor­
rente depositava memorie illustrative con le
quali stigmatizzava l’operato dell’Ufficio che
solo nelle controdeduzioni aveva precisato che
l’accertamento era di natura induttiva. Costitui­
tosi il contraddittorio nei termini essenziali so­
pra succintamente esposti, la C.T.P. di Avellino,
Sez, 2. Udienza del 27/09/2010, con Sentenza n.
229/2/10, in parziale accoglimento del ricorso
dichiarava minori costi deducibili per € 556,00.
Accoglieva nel resto. Compensava le spese del
giudizio. L’Agenzia Entrate Ufficio Avellino
presentava appello, in data 11/05/2011, si ripor­
tava a quanto espresso in prime cure, chiedeva
di riformare la sentenza impugnata, accogliere
l’appello con vittoria di spese di lite. La ricor­
rente in data 30/05/2011 presentava controdedu­
zioni-appello incidentale, si riportava a quanto
espresso in prime cure, chiedeva la nullità del­
l’avviso di accertamento con condanna alle spe­
se di lite e la pubblica udienza. All’odierna
udienza, della quale le parti avevano ricevuto
rituale avviso, presente per il ricorrente il rag. U.
R. e per l’ufficio il dott. R. A., dopo l’esposizio­
ne dei fatti ad opera del Giudice relatore, la cau­
sa veniva riservata a decisione.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminati gli atti e valutate le
argomentazioni, ritiene equa e giusta la decisio­
ne di primo grado, per le seguenti motivazioni.
Preliminarmente il Collegio osserva che in tema
di rettifica delle dichiarazioni dei redditi d’im­
presa in presenza di irregolarità della contabilità
meno gravi, l’Amministrazione può procedere a
rettifica analitica, utilizzando gli stessi dati for­
niti dal contribuente, ovvero dimostrando, anche
per presunzioni, l’inesattezza o incompletezza
delle scritture medesime. Viceversa, se constata
un’inattendibilità globale delle scritture, l’uffi­
cio è autorizzato a procedere in via induttiva,
avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei
requisiti necessari per costituire prova presunti­
va. In tema di rettifica delle dichiarazioni dei
redditi d’impresa, la Corte di Cassazione ha an­
che affermato, sulla scia di pregressa giurispru­
denza, che, in presenza di irregolarità della
contabilità meno gravi (contemplate dal primo
comma dell’articolo 39), l’Amministrazione può
procedere a rettifica analitica, utilizzando gli
stessi dati forniti dal contribuente, ovvero dimo­
strando, anche per presunzioni, purché munite
dei requisiti di cui all’articolo 2729 del Codice
civile, l’inesattezza o incompletezza delle scrit­
ture medesime. Quando, invece, constati
un’inattendibilità globale delle scritture, l’uffi­
cio è autorizzato, ai sensi del successivo secon­
do comma, a prescindere da esse e a procedere
in via induttiva, avvalendosi anche di semplici
indizi sforniti dei requisiti necessari per costitui­
re prova presuntiva. L’esistenza dei presupposti
per l’applicazione del metodo induttivo non
esclude, ad avviso della Corte di Cassazione,
che l’Amministrazione possa servirsi, nel corso
del medesimo accertamento e per determinate
operazioni, del metodo analitico di cui al c. 1
dell’art. 39, oppure contemporaneamente di en­
trambe le metodologie (metodo analitico e me­
todo induttivo ex multis Cass. 27068/2006), per
cui, sulla base di tale principio, deve ritenersi
del tutto legittimo un accertamento eseguito uti­
lizzando ambedue i metodi di rettifica purché
sussistano le relative condizioni previste per leg­
ge. Quindi anche la presenza di scritture conta­
bili formalmente corrette non esclude la
legittimità dell’accertamento analitico - indutti­
vo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600. art. 39. comma l, lett.
d), qualora la contabilità stessa possa conside­
rarsi complessivamente inattendibile in quanto
confliggente con i criteri della ragionevolezza e
del comune buon senso. Nel caso de quo verti­
tur, a detta della appellante, l’antieconomicità
17
dell’attività è palese e di conseguenza rende
inattendibile la contabilità ed è, pertanto, con­
sentito all’ufficio dubitare della veridicità delle
operazioni dichiarate e desumere, sulla base di
presunzioni semplici - ma gravi, precise e con­
cordanti -, maggiori ricavi o minori costi, con
conseguente spostamento dell’onere della prova
a carico del contribuente. Nessuna violazione
sostanziale è stata commessa dalla ricorrente
perché le irregolarità, al limite, sono solo forma­
li, come ammette la resistente. Sostiene che l’ac­
certamento non è fondato perché il presupposto
della verifica induttiva espressamente richiama­
ta dalla appellante nelle controdeduzioni deve
essere fondato sull’esistenza di violazioni so­
stanziali che debbono inficiare l’attendibilità
delle scritture. Il Collegio ritiene l’impossibilità
dell’utilizzo nella fattispecie concreta delle pre­
sunzioni e la non sussistenza delle presunzioni
gravi, precise e concordanti. L’art. 2727 del co­
dice civile qualifica come “presunzione” l’ope­
razione logico-intuitiva con cui dalla conoscen­
za di un fatto noto si deduce la prova di un fatto
ignoto. La presunzione però deve essere basata
su fatti gravi, precisi e concordanti, elementi at­
tribuiti per legge e non individuabili caso per
caso. E’ indubbio che l’art. 39, c. 1, lettera d),
del D.P.R. n. 600/1973, consente, sulla base del­
la disamina della contabilità operata dall’Uffi­
cio, di ricostruire l’esistenza di attività non di­
chiarate attraverso presunzioni semplici, purché
gravi, precise e concordanti ma nel caso in esa­
me dette presunzioni non sono da ritenersi gravi,
precise e concordanti né sono confortate da altri
indizi. Le presunzioni legali servono a ripartire
l’onere della prova ed in mancanza è applicabile
il principio generale fissato dall’art. 2697 c.c. E’
da ritenere che la regola di giudizio fondata sul­
l’onere della prova costituisca un aspetto non
18
eliminabile del processo tributario, non essendo­
vi alcuna valida ragione per escludere
l’applicabilità di questo generale quanto fonda­
mentale principio del nostro ordinamento giuri­
dico. Nella fase che precede il processo, spetta
all’Amministrazione finanziaria, che afferma la
propria pretesa nei confronti del contribuente,
emettere il proprio atto di imposizione solo
quando sussistano i presupposti voluti dalla leg­
ge; detto atto dovrà essere completo di tutti gli
elementi prescritti. compresa la motivazione.
Nell’ulteriore fase del processo, quando, nella
riscontrata validità formale dell’atto impositivo
contestato dal contribuente, debba procedersi al­
l’esame del merito della pretesa tributaria,
spetterà all’Amministrazione l’onere di dimo­
strare i fatti costitutivi della pretesa ed al contri­
buente, invece, l’onere di provare i fatti aventi
efficacia impeditiva, modificativa od estintiva
dell’azione del fisco. Nel caso di specie la ap­
pellante non ha provato come era suo onere la
pretesa tributaria e quindi il ricorso deve essere
accolto. Solo relativamente ai costi non deduci­
bili la ricorrente nulla oppone e su questo speci­
fico punto l’accertamento è divenuto definitivo.
Il ricorso della società si riverbera sulla ricorren­
te nella sua qualità di socio. In ordine alle spese
di procedimento sussistono giusti motivi per di­
sporne la compensazione integrale tra le parti ai
sensi dell’art. 15 c. 1 D.lgs. n. 546/92 ed ai sensi
dell’art. 92 c. 2 c.p.c. La circostanza è confer­
mata e suffragata dalla documentazione regolar­
mente acquisita agli atti processuali e,
P.Q.M.
A) Rigetta l’appello, confermando la decisione
di primo grado;
B) Compensa le spese.
Accertamento
IN ASSENZA DI ALTRI ELEMENTI ED INDIZI E’
INSUFFICIENTE IL SOLO STUDIO DI SETTORE A
FONDARE L’AVVISO DI ACCERTAMENTO
Commissione tributaria regionale di Napoli
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 26 giugno 2013, n. 353
Pres. Marena – Rel. Buono
Accertamento – Accertamento ai fini
delle imposte dirette e dell’imposta sul
valore aggiunto – Accertamento ex art.
39, comma I, lett. d), del D.P.R. 600/73 –
Accertamento analitico induttivo – Ac­
certamento standardizzato mediante
l’applicazione degli studi di settore – Ri­
sultanze delle elaborazioni statistiche –
Natura – Oscilla tra le presunzioni sem­
plici e le presunzioni legali relative –
Inidoneità degli studi di settore a costi­
tuire di per sé elementi sufficienti a mo­
tivare l’accertamento – Necessità che lo
studio di settore sia integrato da altri
elementi acquisiti dall’Ufficio – Sussiste
– Avviso di accertamento fondato sul
mero scostamento dei dati dichiarati dal
contribuente rispetto a quelli relativi al­
la media del settore – Mancanza di ulte­
riori elementi ed indizi idonei a suffra­
gare la pretesa avanzata – Sussistenza
di uno scostamento di lieve entità fra i
ricavi dichiarati e quelli emergenti dallo
studio di settore – Nullità dell’avviso di
accertamento – Consegue
In ipotesi di utilizzazione dei coefficienti presun­
tivi da parte dell’A.F, ai fini dell’accertamento
di un maggior reddito d’impresa, non basta il
mero rilievo di tali coefficienti presuntivi, ma, in
sede di controllo delle dichiarazioni, occorre
necessariamente il richiamo di altri dati che
esprimano meglio la capacità contributiva e ri­
levino l’esistenza di gravi incongruenze tra i ri­
cavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e
quelli fondatamente desumibili dalle caratteri­
stiche e dalle condizioni di esercizio della speci­
fica attività svolta. Difatti, oscillando il valore
probatorio dei coefficienti parametrici tra le
presunzioni semplici ovvero le presunzioni lega­
li relative, utilizzabili quali indici di valutazione,
non può revocarsi in dubbio che gli stessi rap­
presentino una mera fonte di presunzione assi­
milabile alle comuni praesumptiones hominis,
ma che non possono costituire di per sé elementi
sufficienti a motivare l’accertamento. Pertanto,
si può legittimamente ritenere che questi ultimi,
soltanto quando siano completati da altri ele­
menti acquisiti dall’Ufficio, possano costituire
presunzioni dotate dei caratteri di gravità, pre­
cisione e concordanza in relazione ad una fattis­
pecie concreta, essendo concepiti per l’applica­
zione caso per caso nei controlli, ma non per
essere utilizzati come norme sostanziali o pre­
sunzioni legali nel procedimento di accertamen­
to.
Svolgimento del processo
La società G.&F. srl con atto di appello notifica­
to all’Agenzia delle Entrate - Direzione Provin­
ciale di Salerno, a mezzo raccomandata A.R. del
20/6/2011, depositato alla CTP di Salerno impu­
gnava la sentenza di primo grado, n. 500, Sezio­
ne 10 dell’ 11/10/2010, depositata il 21/12/2010,
con la quale venivano rigettati i ricorsi riuniti
avverso il predetto avviso di accertamento
emesso nei confronti della predetta società, per
il recupero di maggiori imposte sulla scorta di
maggiori ricavi non dichiarati ed emersi dall’ap­
plicazione degli studi di settore e nei confronti
dei soci G., M., F.e E. per i redditi di partecipa­
zione.
L’ufficio contestava alla società che i redditi di­
chiarati non erano coerenti con l’attività svolta;
riteneva anomala la percentuale di ricarico di­
chiarata dell’1,18%, minore del minimo 1,20% e
la produttività per addetto, pari al 262,12, contro
un valore di riferimento che oscilla tra un mini­
19
mo di 39,36 ed un massimo di 216.94; l’Ufficio
riteneva antieconomico il reddito dichiarato dal­
la società nell’anno 2005, pari a euro 67.350,00
e che il perdurare di tale comportamento contra­
rio ai canoni dell’economia anche per i periodi
successivi, costituisce “grave incongruenza” che
legittima l’azione di verifica effettuata; che i
modesti redditi di partecipazione percepiti dai
soci (uniche entrate) non giustificano il tenore di
vita sostenuto da ogni famiglia.
I primi Giudici ritenevano infondata l’eccezione
di difetto di motivazione dell’avviso di accerta­
mento e quella riguardante l’omessa comunica­
zione dell’invio al contraddittorio; nel merito
evidenziavano che il contribuente nulla ha pro­
vato e documentato per giustificare gli scosta­
menti e le incongruenze rilevate.
L’appellante chiedeva l’annullamento degli atti
impugnati evidenziando che la percentuale di ri­
carico dichiarata rispetto a quella desunta dallo
studio di settore è irrisoria (0,20%) e che co­
munque lo scostamento dipende dalla circostan­
za che la società svolge sia il commercio al det­
taglio che quello all’ingrosso e, pertanto, la per­
centuale di ricarico. per quest’ultimo tipo di
attività è minima; l’elevato dato di produttività
per addetto, riscontrato dall’Ufficio, dipende dal
fatto che i soci svolgono attività lavorativa nel­
l’impresa che risulta gestita in forma familiare:
che la percentuale dello scostamento tra i ricavi
accertati, pari a euro 1.097.868,00 e quelli di­
chiarati pari a euro 1.048.480,00 è irrisoria; in­
fatti è pari al 4,71%.
L’appellato Ufficio con memorie depositate il
29/9/2011, si costituiva in giudizio e chiedeva il
rigetto dell’appello.
Motivi della decisione
20
Affermata, in linea di principio, la legittimità
dell’accertamento parametrico e la conformità
dell’art. 62 bis e sexies D.L. n. 331 /93 all’art.53
Cost., avendo superato il vaglio della Corte Co­
stituzionale, deve ritenersi che lo studio di setto­
re costituisce un ausilio tecnico e/o supporto ra­
zionale offerto dal Legislatore all’Amministra­
zione Finanziaria senza peraltro assurgere a cri­
terio automatico di determinazione del reddito,
prescindendo dalla reale capacità contributiva
del soggetto passivo verificato (Cass. n. 19161
/03).
Ne consegue che, anche in ipotesi di legittima
utilizzazione dei coefficienti presuntivi da parte
dell’A.F, ai fini dell’accertamento di un maggior
reddito d’impresa, non basta il mero rilievo di
tali coefficienti presuntivi, ma, in sede di con­
trollo delle dichiarazioni, occorre necessaria­
mente il richiamo di altri dati che esprimano
meglio la capacità contributiva e rilevino l’esi­
stenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i com­
pensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fonda­
tamente desumibili dalle caratteristiche e dalle
condizioni di esercizio della specifica attività
svolta.
Del resto, oscillando il valore probatorio dei co­
efficienti parametrici tra le presunzioni semplici
ovvero le presunzioni legali relative, utilizzabili
quali indici di valutazione, non può revocarsi in
dubbio che gli stessi rappresentino una mera
fonte di presunzione assimilabile alle comuni
praesumptiones hominis, ma che non possono
costituire di per sé elementi sufficienti a motiva­
re l’accertamento (Cass. n.14161 /03).
Con la sentenza n. 17209 del 9/2/2006 la Corte
di Cassazione, poi, ha riaffermato la natura degli
studi di settore quali “atti amministrativi genera­
li di organizzazione”, ritenendoli da soli non
sufficienti a legittimare l’accertamento tributario
e confermando così l’indirizzo dominarne della
giurisprudenza di merito.
Da ultimo, il D.L n. 81/07 e la L. n. 244/07,
nonché l’Agenzia delle Entrate con circolare n.
5/08, sono intervenuti con una interpretazione
autentica, affermando che gli indicatori di
normalità economica costituiscono presunzioni
semplici e non legittimano di per sé accertamen­
ti automatici e che l’A.F. ha l’onere di motivare
e fornire gli elementi di prova per avvalorare
l’attribuzione di maggiori ricavi o compensi de­
rivanti dall’applicazione di tali indicatori.
Pertanto, si può legittimamente ritenere che que­
sti ultimi, soltanto quando siano completati da
altri elementi acquisiti dall’Ufficio, possano co­
stituire presunzioni dotate dei caratteri di
gravità, precisione e concordanza in relazione ad
una fattispecie concreta, essendo concepiti per
l’applicazione caso per caso nei controlli, ma
non per essere utilizzati come norme sostanziali
o presunzioni legali nel procedimento di accer­
tamento.
Merita di essere confermato il consolidato orien­
tamento giurisprudenziale secondo cui la proce­
dura di accertamento tributario standardizzato
mediante l’applicazione dei parametri o degli
studi di settore costituisce un sistema di presun­
zioni semplici, la cui gravità, precisione e con­
cordanza non è “ex lege” determinata dallo sco­
stamento del reddito dichiarato rispetto agli
“standard” in sé considerati - meri strumenti di
ricostruzione per elaborazione statistica della
normale redditività - ma nasce solo in esito al
contraddittorio da attivare obbligatoriamente,
pena la nullità dell’accertamento, con il contri­
buente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di
provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di
contenuto, la sussistenza di condizioni che giu­
stificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei
soggetti cui possono essere applicati gli “stan­
dard” o la specifica realtà dell’attività economi­
ca nel periodo di tempo in esame, mentre la mo­
tivazione dell’atto di accertamento non può
esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve
essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e
con le ragioni per le quali sono state disattese le
contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito
del contraddittorio, tuttavia, non condiziona
l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il
giudice tributario liberamente valutare tanto
l’applicabilità degli “standard” al caso concreto,
da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la
controprova offerta dal contribuente che, al ri­
guardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate
nella fase del procedimento amministrativo e di­
spone della più ampia facoltà, incluso il ricorso
a presunzioni semplici, anche se non abbia ri­
sposto all’invito al contraddittorio in sede am­
ministrativa, restando inerte. In tal caso, però,
egli assume le conseguenze di questo suo com­
portamento. In quanto l’Ufficio può motivare
l’accertamento sulla sola base dell’applicazione
degli “standard”, dando conto dell’impossibilità
di costituire il contraddittorio con il contribuen­
te, nonostante il rituale invito, ed il giudice può
valutare, nel quadro probatorio, la mancata ri­
sposta all’invito (Cass. Sez. Unite sentenza n.
26635 del 18/12/2009).
Pertanto, è viziato da illegittimità l’avviso di ac­
certamento fondato sul mero scostamento dei
dati dichiarati dal contribuente rispetto a quelli
relativi alla media del settore, senza che l’Am­
ministrazione finanziaria suffraghi la pretesa
con ulteriori elementi ed indizi idonei a dimo­
strare l’inattendibilità, e senza che siano state
prese in esame, nella motivazione dell’accerta­
mento, le giustificazioni del contribuente, attese
l’esigenza di un fattore di adeguamento persona­
lizzato che tenga conto della probabilità di erro­
re nella stima, come rilevato dalla Corte costitu­
zionale nella sentenza n. 105 del 2003, e l’inidoneità della media di settore a costituire un fat­
to che di per sé solo integri la prova presuntiva
effettivo maggior reddito o, comunque, determi­
ni l’inversione dell’onere della prova a carico
del contribuente.
La Commissione rileva, in primo luogo, che lo
scostamento è di lieve entità, pari a euro
49.388,00 (ricavi accertati euro 1.097.868,00 ricavi dichiarati euro 1.048.480,110), corrispon­
dente alla percentuale del 4,71 e che il contri­
buente ha dato contezza delle ragioni dello scar­
to tra l’accertato e il dichiarato smentendo i dati
dell’Ufficio (lo scostamento dipende dalla circo­
stanza che la società svolge sia il commercio al
dettaglio che quello all’ingrosso e, pertanto, la
percentuale di ricarico, per quest’ultimo tipo di
attività è minima: l’elevato dato di produttività
per addetto, riscontrato dall’Ufficio, dipende dal
fatto che i soci svolgono attività lavorativa nel­
l’impresa che risulta gestita in forma familiare).
Ricorrono giusti motivi, collegabili alla
peculiarità ed all’evoluzione interpretativa della
questione trattata, per disporre la compensazio­
ne delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Commissione accoglie l’appello. Spese com­
pensate.
21
Accertamento
ACCERTAMENTO FONDATO SU INDAGINI
BANCARIE: PRESUPPOSTI DI APPLICABILITA’
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 3 luglio 2013, n. 359
Pres. Oricchio – Rel. De Camillis
né lo stesso accertamento deve tenere conto di
una percentuale di costi sostenuti in relazione ai
maggiori ricavi accertati, stante la presunzione
legale che sostiene l’accertamento.
I. Accertamento – Accertamento delle
Imposte sui redditi e dell’Imposta sul
valore aggiunto – Emissione dell’avviso
di accertamento prima del termine fissa­
to dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000
– Anticipazione motivata con l’immi­
nenza dei termini di decadenza dell’ac­
certamento – Sufficienza – Legittimità
dell’avviso di accertamento – Consegue
Svolgimento del processo
II. Accertamento – Accertamento delle
Imposte sui redditi e dell’Imposta sul
valore aggiunto – Accertamento banca­
rio ex art. 32 D.P.R. n. 600/1973 – Tas­
sazione sia dei versamenti che dei pre­
lievi non giustificati dal contribuente –
Legittimità – Riconoscimento di una
percentuale di costi necessari alla pro­
duzione dei maggiori ricavi accertati –
Non necessita
22
I. E’ legittimo l’avviso di accertamento emesso
prima del decorso del termine di sessanta giorni
decorrente dal rilascio ai contribuente della co­
pia del processo verbale di chiusura delle ope­
razioni da parte degli organi di controllo di cui
al c. 7 dell’art. 12 della Legge 212/2000 qualo­
ra sia motivato con l’imminenza dei termini di
decadenza per l’accertamento.
II. E’ legittimo l’avviso di accertamento emesso
ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 sulla
base delle indagini finanziarie che comprenda,
nell’accertamento del reddito, indistintamente
versamenti e prelevamenti allorquando per essi
non sia stata fornita dall’imprenditore - onerato
per legge della prova - giustificazione alcuna;
II sig. S.P., rapp. e difeso dal dott. F.M., in data
23/02/2010 impugnava l’avviso di accertamento
n. ..., imposte IVA-IRPEF-IRAP, anno 2007.
L’Ufficio, rilevato che il contribuente non aveva
presentato le D.A. annuali, e considerato che la
GG.FF. aveva rilevato i prelievi ed i versamenti
bancari eseguiti in ciascun anno dal contribuen­
te, procedeva ad accertare con metodo induttivo
il reddito imponibile per i vari anni, ai fini Irpef
Addizionale, Regionale, Addizionale Comunale,
Irap, in misura pari al totale delle somme dei
versamenti e prelievi bancari, e l’imponibile Iva
in misura pari all’ammontare dei versamenti,
procedendo, poi, a liquidare le imposte ed a de­
terminare, nella misura minima, le sanzioni per
ogni anno dovute per ciascuna delle violazioni.
Il ricorrente deduceva l’illegittimità ed erroneità
degli imponibili, determinati in modo arbitrario
ed errato, in misura pari alla somma dei versa­
menti e prelievi bancari l’atteso che i prelievi
non possono afferire ad incassi ma, al più, ad
acquisti e costi. Era illegittima ed errata la rico­
struzione induttiva di ricavi e redditi poiché
esperita senza considerare anche i costi inte­
granti, inevitabile componente negativa di qual­
sivoglia attività imprenditoriale. Il contribuente
per l’accertamento relativo all’anno 2003 dedu­
ceva ed eccepiva anche l’illegittimità dell’accer­
tamento, poiché emesso e notificato, in violazio­
ne del disposto dell’art. 12, della L. 27 luglio
2000 n. 212, prima della scadenza del termine di
giorni 60 dalla notifica del p.v. con cui era stata
accertata la violazione. Infine contestava
l’illegittimità della determinazione delle sanzio­
ni, poiché compiuta, per ogni anno, nella misura
minima dovuta per ognuna delle violazioni con­
testate, invece che nella misura dovuta ai sensi
dell’art. 12 D.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, sus­
sistendo continuazione tra le varie violazioni e
nei diversi anni. Chiedeva l’illegittimità dell’at­
to di accertamento e disporre l’annullamento
della sanzione irrogata, con vittoria di spese. L’
ufficio in data 17/03/2010 presentava controdeduzioni, ribadiva la piena legittimità ed esat­
tezza dell’avviso impugnato, e la legittimità del­
la determinazione in via induttiva del reddito
imponibile. Chiedeva di confermare la legittimità dell’accertamento impugnato con vittoria
delle spese di lite. Costituitosi il contraddittorio
nei termini essenziali sopra succintamente espo­
sti, la C.T.P. di Avellino, Sez. 4, Udienza del
7/07/2010, con Sentenza n. 465/4/10, riuniti i
ricorsi 478/10, 479/10, 480/10, 481/10, 482/10
accoglieva il ricorso relativo all’anno 2003. In
parziale accoglimento degli altri ricorsi, deter­
minava. per tutte le annualità di cui agli accerta­
menti con detti ricorsi impugnati, l’imponibile ai
fini IRPEF, Add.Reg., Add. Com., IRAP ed IVA
in misura pari al 50% dei ricavi determinati, in
misura pari all’ammontare dei versamenti ban­
cari rilevati ed indicati quali eseguiti dal ricor­
rente (senza computarsi i prelievi bancari), e di­
sponeva la rideterminazione delle imposte in ra­
gione e proporzione dei detti imponibili. Deter­
minava le sanzioni dovute nella misura in
motivazione indicate. L’Agenzia Entrate Ufficio
Avellino presentava appello, in data 9/03/2011,
si riportava a quanto espresso in prime cure, ri­
teneva legittimo l’accertamento, chiedeva di ri­
formare la sentenza impugnata confermando la
pretesa erariale, con condanna alle spese proces­
suali come da notula e la pubblica udienza. Il
ricorrente in data 5/03/2012 presentava controdeduzioni, si riportava a quanto espresso in pri­
me cure, chiedeva il rigetto dell’appello e la
conferma della sentenza impugnata in quanto
equa. All’odierna udienza, della quale le parti
avevano ricevuto rituale avviso, assente il ricor­
rente. presente per l’ufficio la dott.ssa Z. M.,
dopo l’esposizione dei fatti ad opera del Giudice
relatore, la causa veniva riservata a decisione.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminati gli atti e valutate le
argomentazioni, ritiene che l’appello prodotto
dall’ufficio è fondato, legittimo e meritevole di
accoglimento, per le seguenti motivazioni. Il
Collegio osserva che del tutto ingiustamente è
stato annullato l’accertamento relativo all’anna-
lità 2003. Se l’accertamento è stato emesso e
notificato prima dello spirare dei 60 gg. previsti
dal c. 7 dell’art.12 della Legge 212/2000, la
particolarità e la motivazione dell’urgenza sono
state adeguatamente esplicitate dall’Ufficio nel­
l’avviso di accertamento, con conseguente piena
validità dello stesso. La Consulta ha sottolineato
la possibilità di ritenere invalido l’avviso di ac­
certamento emanato prima detta scadenza del
suddetto termine di sessanta giorni, solo nel ca­
so in cui tale avviso sia privo di un’adeguata
motivazione sulla sua “particolare urgenza”
(Ord. 244/2009). Nel caso de quo, l’Ufficio ha
adeguatamente esplicitato nell’avviso di accerta­
mento, e specificatamente indicato nella motiva­
zione, le ragioni dell’urgenza, ovvero l’immi­
nenza della scadenza dei termini accertativi per
detta annualità. La S.C., con la sentenza 22320
del 3/11/2010, ha stabilito il principio dì diritto
secondo cui “l’avviso di accertamento emanato
prima della scadenza di 60 gg. decorrente dal
rilascio ai contribuente della copia del processo
verbale di chiusura delle operazioni da parte de­
gli organi dì controllo, non è per ciò stesso nullo
ma, atteso il generale obbligo di motivazione
degli atti amministrativi - ivi compresi quelli
dell’A.F. -, tale è da considerare solamente lad­
dove non rechi motivazione sull’urgenza che ne
ha determinato una siffatta adozione. L’inosser­
vanza dell’obbligo di motivazione in relazione
alla “particolare urgenza” dell’avviso di accerta­
mento risulta infatti espressamente sanzionata in
termini di invalidità dell’atto, in via generale,
alla citata legge n. 241 del 1990, art. 21 septies,
(ove tale sanzione è prevista per il provvedimen­
to amministrativo privo di un elemento essen­
ziale, quale è la motivazione), nonché, con spe­
cifico riferimento all’accertamento delle impo­
ste sui redditi e dell’IVA, rispettivamente al
D.P.R. n. 600/1973, art. 42, commi 2 e 3 e
D.P.R. n. 633/1972, art. 56 c. 5, ove si prevede
che l’avviso di accertamento deve essere moti­
vato, a pena di nullità, in relazione ai presuppo­
sti di fatto ed alle ragioni giuridiche che lo han­
no determinato (Corte Cost. n. 244/2009). Per­
tanto, la sentenza emessa dai giudici di prime
cure, avendo del tutto ignorato la chiara ed esau­
stiva motivazione dell’urgenza da parte dell’Uf­
ficio, si presenta, sul punto, oltre che erronea,
del tutto carente nella motivazione. Inoltre la
sentenza è in netta violazione della predetta nor­
mativa ai sensi della quale l’Ufficio ha posto in
essere i citati accertamenti ed, in particolare,
23
dell’art. 32 citato che comprende, nell’accerta­
mento del reddito, indistintamente versamenti e
prelevamenti allorquando per essi - come nel ca­
so de quo - non sia stata fornita dall’imprendito­
re - onerato per legge della prova - giustificazio­
ne alcuna. Ma la sentenza impugnata si presenta
oltremodo errata laddove ritiene per imprendito­
re, che ha svolto per quasi 15 anni la propria
attività in totale evasione fiscale, che si debba
necessariamente tener conto di una percentuale
di costi sostenuti ed equipara, quindi, detta per­
centuale - in mancanza di prova alcuna - all’im­
porto dei prelevamenti. Si osserva che i docu­
menti non esibiti non possono essere presi in
considerazione a favore del ricorrente, ai fini
dell’accertamento in sede amministrativa e con­
tenzioso (art. 32, c. 4, D.P.R. n. 633/73), così
24
come ribadito dalla Corte Cass. con Sent. n.
22765 del 28 ottobre 2009). La correttezza e
legittimità di accertamenti inattaccabili perché
fondati su presunzione legale non sono confutati
dal ricorrente. In ordine alle spese di procedi­
mento sussistono giusti motivi per disporne la
compensazione integrale tra le parti ai sensi del­
l’art. 15 c. 1 D.lgs. n. 546/92 ed ai sensi del­
l’art.92 c. 2 c.p.c. La circostanza è confermata e
suffragata dalla documentazione regolarmente
acquisita agli atti processuali.
P.Q.M.
A) Accoglie l’appello;
B) Compensa le spese.
Accertamento
LIMITI ALLA EMENDABILITA’
DELLA DICHIARAZIONE
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 3 luglio 2013, n. 364
Pres. Oricchio – Rel. De Camillis
del contribuente tutti gli oneri di dimostrazione
sulla correttezza della rettifica proposta, in
quanto l’esercizio di tale facoltà viene ad opera­
re in sede contenziosa.
Dichiarazione dei redditi – Natura di
dichiarazione di scienza – Emendabilità della dichiarazione – Consegue –
Correzione precedente alle attività ac­
certative dell’Ufficio – Obbligo per
l’Ufficio di rispettare le risultanze della
correzione – Consegue – Correzione
successiva – Grava sul contribuente l’o­
nere di dimostrazione della correttezza
della correzione apportata
Svolgimento del processo
La dichiarazione dei redditi non ha la natura di
atto dispositivo o negoziale, ma rappresenta una
mera esternazione di scienza e di giudizio, mo­
dificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi
elementi di conoscenza e di valutazione sui dati
riferiti, e costituisce anch’essa un momento di
un iter procedimentale, volto però non al recu­
pero del tributo versato indebitamente, ma per
consentire all’Amministrazione Finanziaria o di
procedere all’accertamento, nei termini di cui
all’art. 43 D.P.R. n. 600//732, dell’obbligazione
tributaria oggetto della dichiarazione redditua­
le, oppure al controllo formale della medesima.
Nell’ipotesi in cui la dichiarazione integrativa
venga presentata prima della notificazione del­
l’avviso di liquidazione o della cartella esatto­
riale, da parte dell’Amministrazione si genera il
dovere, in conformità al principio costituzionale
della oggettiva correttezza dell’azione ammini­
strativa (art. 97 Cost.), di rispettare le risultanze
della correzione, fermo restando l’esercizio dei
suoi poteri in ordine ai valori emendati e con
onere della prova a suo carico. Nel caso in cui
la facoltà di ritrattare e modificare le dichiara­
zioni venga esercitata successivamente alla no­
tifica dei predetti atti, restano invece a carico
Il sig. S.D., rappresentato e difeso dall’avv. A.S.
e dal dr. L.S., ricorreva contro l’Agenzia delle
Entrate - direzione provinciale di Salerno - av­
verso la cartella esattoriale per il pagamento di
Iva - Irpef - Irap e addizionali dovute a seguito
di controllo automatizzato ex art. 36 bis D.P.R.
n. 600/73 e 54 bis D.P.R. n. 633/72 della dichia­
razione dei redditi per l’anno d’imposta 2006. Il
ricorrente sosteneva che la pretesa nasceva da
un errore commesso nella compilazione del mo­
dello della dichiarazione da parte del commer­
cialista. Non era stato, infatti, inserito nei riqua­
dri relativi il reddito prodotto dal ricorrente nella
sua qualità di coltivatore diretto. I dati contabili
erano stati denunziati come conseguiti da un’im­
presa ordinaria e non da un piccolo imprenditore
agricolo. Per rimediare a tale errore il ricorrente
presentava una dichiarazione integrativa in data
8/5/2010, successiva a quella dell’avvenuta noti­
fica della cartella di notifica della cartella impu­
gnata eseguita l’11/3/2010. Pur essendo l’esito
della ritrattazione dell’originaria dichiarazione
favorevole al ricorrente, la rettifica era stata pre­
sentata a norma dell’art.2 c. 8, D.P.R. n. 322/98
in quanto già scaduto il termine previsto dal c. 8
bis e ciò sarebbe stato consentito perché in linea
con principio del sistema tributario che conside­
rava la dichiarazione dei redditi un atto di scien­
za e non di volontà e, in quanto tale, ritrattabile
per conformare la posizione reale fiscale del
contribuente a quella reale prevista dalle norme
tributarie. Pertanto l’illegittimità della cartella
impugnata derivava dal fatto che fondava il suo
presupposto su dati errati riportati in una dichia­
razione emendata. Allegava al ricorso copia dei
modelli unici riferiti alle annualità 2005 e 2006,
certificazione della Camera di Commercio di
25
26
Salerno attestante l’iscrizione del ricorrente nel­
le liste dei coltivatori diretti e certificazione del­
l’Inps ai fini contributivi. Chiedeva l’annulla­
mento della cartella impugnata e del relativo
ruolo iscritto dalla cessata Agenzia delle Entrate
di Salerno, la sospensione dell’atto impugnato e
la pubblica udienza. Si costituiva l’ufficio, in
data 6/07/2010, che controdeduceva ritenendo
legittimo il proprio operato in quanto con il con­
trollo automatico si era limitato ad una verifica
dei dati esposti nella dichiarazione e ad abbinarli
agli importi dei versamenti effettuati con riscon­
tro delle date in cui erano stati eseguiti. Da tale
riscontro era emerso che ai fini Irap gli acconti
versati dal contribuente erano stati effettuati in
ritardo rispetto alle scadenze stabilite per legge e
di conseguenza l’ufficio aveva provveduto ad
iscrivere a ruolo le sanzioni relative per i ritar­
dati versamenti e gli interessi relativi per un to­
tale complessivo di € 486,47. Ai fini Irpef l’im­
posta calcolata nel mod. unico di € 10.937,00
non era stata versata per cui si era proceduto al
recupero della somma con le sanzioni ed interes­
si. Anche per quanto riguarda le addizionali Ir­
pef regionale e comunale non risultavano essere
stati effettuati i relativi versamenti con conse­
guente recupero dei relativi importi rispettiva­
mente di € 589,00 ed € 210,00, oltre alle sanzio­
ni e agli interessi. Infine per l’Iva l’ufficio aveva
provveduto a recuperare le somme dovute a tito­
lo di sanzioni per omesso versamento degli ac­
conti oltre agli interessi. Contestava, altresì, la
legittimità dell’emendabilità della dichiarazione
dei redditi pro-contribuente al di fuori della fat­
tispecie disciplinata dal c. 8 bis dell’art. 2 citato
e perché integrazione era stata presentata oltre il
termine stabilito dalla norma. Chiede il rigetto
del ricorso con vittoria di spese ed onorario. Co­
stituitosi il contraddittorio nei termini essenziali
sopra succintamente esposti, la C.T.P. di Saler­
no, Sez. 14. Udienza del 25/10/2010, con Sen­
tenza n. 137/11, rigettava il ricorso. Spese com­
pensate. Il ricorrente presentava appello in data
10/05/2011, si riportava a quanto espresso in
prime cure, chiedeva di riformare la sentenza
impugnata, accogliere l’appello, compensare le
spese di giudizio. L’Agenzia Entrate Salerno, in
data 11-07-2011, depositava controdeduzioni,
sosteneva che la sentenza era giusta, riteneva le­
gittimo il proprio operato e chiedeva il rigetto
dell’appello e la condanna della controparte alle
spese del doppio grado di giudizio, allegando
nota spese. All’odierna udienza, della quale le
parti avevano ricevuto rituale avviso, presente
per il contribuente il dott. L.S., per l’ufficio il
dott. C.D., dopo l’esposizione dei fatti ad opera
del Giudice relatore, la causa veniva riservata a
decisione.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminati gli atti e valutate le
argomentazioni, ritiene che l’appello prodotto
dal ricorrente è infondato, illegittimo e non me­
ritevole di accoglimento per le seguenti motiva­
zioni. Il comma 8 dell’art. 2 D.P.R. n. 322/98,
sostituito, con effetto dal 1° gennaio 2002, dal­
l’art. 2. c.1 lett. c), del D.P.R. n. 435/2001, si
riferisce alle dichiarazioni dei redditi, dell’Irap e
dei sostituti d’imposta, le quali possono essere
integrate mediante dichiarazioni successive da
presentarsi non oltre il termine stabilito dall’art.
43 D.P.R. n. 600/73. “La disposizione non fa
alcuna distinzione tra dichiarazioni integrative
favorevoli o sfavorevoli al dichiarante. Il c. 8
bis, aggiunto, sempre con effetto dal 1° gennaio
2002, dall’art. 2, co. 1 lett. d), del D.P.R. n.
435/2001, prevede che le medesime dichiarazio­
ni possono essere integrate “per correggere erro­
ri od omissioni che abbiano determinato l’indi­
cazione di un maggior reddito o, comunque, di
un maggior debito d’imposta o di un minor cre­
dito mediante dichiarazione da presentare ... non
oltre il termine previsto per la presentazione del­
la dichiarazione relativa al periodo d’imposta
successivo”. E’ prevista inoltre la possibilità di
portare l’eventuale credito risultante dalla di­
chiarazione integrativa in compensazione da al­
tri tributi in applicazione dell’art. 17 decreto le­
gislativo 241/97. Il settore Iva, pur non essendo
menzionato espressamente nei predetti commi, è
comunque interessato dalle medesime disposi­
zioni in virtù di quanto disposto dall’art. 8, c.1
lett. c), D.P.R. n. 435/01 con la differenza rispet­
to alle imposte dirette che il termine per la pre­
sentazione della rettifica è quello stabilito dal­
l’art. 57 D.P.R. n. 633/72. Il Collegio ritiene che
tutte le dichiarazioni, siano esse a favore che
contro il contribuente, possano essere emendate
dal contribuente, con la differenza che l’ipotesi
di cui al comma 8 bis è riferita alle sole dichia­
razioni pro-contribuente con la fissazione di un
termine breve per dare la possibilità concreta al
dichiarante di utilizzare in tempo utile la com­
pensazione con crediti riferiti all’annualità suc­
cessiva, per la quale il termine di presentazione
della dichiarazione viene a coincidere con quel­
lo di scadenza per la presentazione della dichia­
razione integrativa ed anche per consentirgli di
usufruire dell’esenzione dall’applicazione delle
sanzioni. Se il contribuente intende fare questa
scelta, la dichiarazione di ritrattazione è condi­
zionata al rispetto del termine di presentazione
previsto dal medesimo comma 8 bis. Diversa­
mente, o perché sceglie l’altra opzione o perché
è scaduto inutilmente il primo termine, il contri­
buente si avvale della prima fattispecie che com­
porta, fatta salva l’applicazione delle relative
sanzioni, la possibilità di usufruire di un termine
meno breve di quello di cui al comma 8 bis. Le
due fattispecie non sono inconciliabili tra loro
perché si riferiscono a situazioni diverse: la pri­
ma è di carattere generale ed è applicabile a
qualsiasi ipotesi in cui la dichiarazione integrati­
va serve a correggere errori, di fatto e di diritto,
od omissioni; la seconda invece è di carattere
più specifico non solo per il riferimento alle sole
ipotesi di errori od omissioni che incidono nega­
tivamente sulla posizione fiscale del contribuen­
te, ma anche e soprattutto per la possibilità di
compensazione che giustifica la riduzione del
termine. Tale soluzione è avvalorata dall’inter­
pretazione letterale delle due norme, nel senso
che se il legislatore avesse inteso limitare la por­
tata del c. 8 alla sola ipotesi delle denunzie inte­
grative pro-fisco, l’avrebbe espressamente pre­
visto. Il legislatore ha integrato l’art. 2 D.P.R. n.
322/98 con l’aggiunta del c. 8 bis, ma tale fattispecie è in deroga parziale e limitata del prece­
dente comma nei limiti e nel contenuto già sopra
precisato e non anche la conferma della tesi che
vorrebbe il comma 8 riferirsi esclusivamente al­
le dichiarazioni pro-fisco in quanto a bilanciare
la posizione di favore dell’ufficio rispetto al
contribuente vi sarebbe l’art. 38 D.P.R. n.
602/73 che consente a quest’ultimo di chiedere
il rimborso dei tributi versati e non dovuti nello
stesso termine previsto dall’art. 43 D.P.R. n.
600/73. Tale tesi resta confutata dal fatto che la
sostituzione del termine originario di diciotto a
quarantotto mesi è stata attuata con la legge n.
133/99 e, quindi, in data anteriore alla modifica
apportata al c. 8 del D.P.R. n. 322/98 dall’art.2.
c.1 lett. e), del D.P.R. n. 435/2005, con effetto
dal 1° gennaio 2002, introducendo il termine
previsto dall’art. 43 D.P.R. n. 602/73 per la pre­
sentazione delle dichiarazioni integrative (prima
non era previsto alcun termine a riguardo), ed
anteriore all’aggiunta del c. 8 bis ad opera del
medesimo art. 2, c. 1 lett. d) D.P.R. n. 435/2005
e sempre con effetto dal 1° gennaio 2002. Anche
se i presupposti sono comuni alle due fattispe­
cie, il rimborso di cui all’art. 38 si presenta di­
verso dalla denunzia integrativa sia per le fun­
zioni che per il procedimento in cui sono stati
inseriti. La funzione del rimborso è l’esercizio
di un diritto del contribuente nei confronti del­
l’Amministrazione Finanziaria che si inserisce
in un procedimento tributario, disciplinato da
una norma inserita nelle disposizioni sulla ri­
scossione delle imposte dirette, che ha inizio
con la presentazione della richiesta da parte del
contribuente intesa ad ottenere la restituzione di
quanto versato e non dovuto e culmina con un
provvedimento dell’Amministrazione il quale,
in caso di diniego, può essere autonomamente
impugnabile dinanzi agli organi di giustizia tri­
butaria. Nel caso dell’emendabilità, invece, la
relativa dichiarazione e quella dei redditi in ge­
nerale non ha la natura di atto dispositivo o ne­
goziale, ma rappresenta una mera esternazione
di scienza e di giudizio, modificabile in ragione
dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscen­
za e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce
anch’essa un momento di un iter procedimenta­
le, volto però non al recupero del tributo versato
indebitamente, ma per consentire all’Ammini­
strazione Finanziaria o di procedere all’accerta­
mento, nei termini di cui all’art. 43 D.P.R. n.
600//732, dell’obbligazione tributaria oggetto
della dichiarazione reddituale, oppure al control­
lo formale della medesima. Da parte dell’Ammi­
nistrazione si genera il dovere, in conformità al
principio costituzionale della oggettiva corret­
tezza dell’azione amministrativa (art.97 Cost.),
di rispettare le risultanze della correzione, fermo
restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai
valori emendati e con onere della prova a suo
carico (Cass. sent. 22553/2010). Questo però
nell’ipotesi in cui la dichiarazione integrativa
venga presentata prima della notificazione del­
l’avviso di liquidazione o della cartella esatto­
riale. Nel caso in cui la facoltà di ritrattare e
modificare le dichiarazioni venga esercitata suc­
cessivamente alla notifica dei predetti atti, “re­
stano a carico del contribuente tutti gli oneri di
dimostrazione sulla correttezza della rettifica
proposta” in quanto l’esercizio di tale facoltà
viene ad operare in sede contenziosa (Cass. sent
22553/10: id. sent. 2226/11). Nel caso de quo la
dichiarazione integrativa è stata presentata in
data 8 maggio 2010, successivamente alla notifi­
27
ca della cartella impugnata avvenuta in data 11
marzo 2010. Nel ricorso si eccepisce unicamen­
te l’illegittimità della cartella “perché fonda il
suo presupposto in una dichiarazione emendata”
e ciò non corrisponde a verità perché l’ufficio ha
proceduto correttamente al controllo automatico
della dichiarazione originaria, in quanto l’inte­
grativa non era stata ancora proposta, ex art 36
bis e 54 bis, operando un semplice ricalcolo dei
dati contabili esposti dal dichiarante e provvede­
va a comunicare le irregolarità riscontrate al
contribuente in data 28/4/2009 e successivamen­
te ad iscrivere a ruolo le somme dovute con la
notifica della cartella relativa. L’ufficio, quindi,
non era in condizione di valutare le risultanze
dell’integrazione avvenuta solo successivamente
alle operazioni di liquidazioni delle imposte. Il
ricorrente doveva provare che i dati modificativi
di quelli esposti nella denunzia originaria erano
corretti e reali. Invece si è limitato a rilevare
unicamente la legittimità dell’emendamento
senza fornire chiarimenti in ordine ai nuovi ri­
sultati di carattere fiscale. L’unica documenta­
zione fornita è in ordine alla prova che il sogget­
to è iscritto come coltivatore diretto ed è quindi
un piccolo imprenditore, ma non è sufficiente a
giustificare lo scostamento sensibile tra i dati
contabili esposti nella due dichiarazioni. Non si
spiega come ad un reddito complessivo prece­
dentemente dichiarato ai fini Irpef di €
45.570,00, con un’imposta netta di € 10.937,00,
corrisponda nel modello integrativo un reddito
28
complessivo di € 1.565.00. rappresentato sola­
mente dalla sommatoria del reddito domenicale
ed agrario dei terreni, con un’imposta netta pari
a zero e conseguente azzeramento anche delle
addizionali comunali e regionali. Così anche per
l’Irap per la quale sono stati riportati i dati rela­
tivi nelle colonne da IQ1 a IQ17 applicando ai
fini dell’Irap l’aliquota del 5,250% con un im­
posta di € 4.169,00 ed acconti versati di curo
4.950,00. Nella dichiarazione integrativa il ri­
corrente provvede alla correzione riportando i
dati nelle colonne da IQ23 a IQ95 con una va­
riazione rispetto alla dichiarazione originaria
circa l’importo degli acquisti destinati alla pro­
duzione riportati in € 105.017,00, mentre nel­
l’altra il totale dei componenti negativi era pari
ad € 113.637.00 e la nuova aliquota applicata è
del 2,90%. Il nuovo ammontare dell’Irap risulta,
pertanto di € 2.553.00 con un importo a credito
di € 2.397.00 anziché di € 781,00. In ordine alle
spese di procedimento sussistono giusti motivi
per disporne la compensazione integrale tra le
parti ai sensi dell’art. 15 c. 1 D.lgs. n. 546/92 ed
ai sensi dell’art.92 c. 2 c.p.c. La circostanza è
confermata e suffragata dalla documentazione
regolarmente acquisita agli atti processuali.
P.Q.M.
A) Rigetta l’appello;
B) Compensa le spese.
Accertamento
ACCERTAMENTO AI SOCI DI SOCIETA’ DI
CAPITALI A RISTRETTA BASE PARTECIPATIVA
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 12 settembre 2013, n. 535
Pres. Oricchio – Rel. Tipaldi
Accertamento – Accertamento delle Im­
poste sui redditi – Maggior reddito ac­
certato a carico di società di capitali a
ristretta base partecipativa – Presunzio­
ne di distribuzione ai soci nell’anno di
realizzazione in proporzione alla quota
di partecipazione – Legittimità – E’
onere del contribuente fornire la prova
contraria
L’appurata ristretta base sociale di società di
capitali costituisce un elemento preciso e con­
cordante per poter legittimamente presumere
l’avvenuta distribuzione di utili extra bilancio ai
soci, sui quali grava l’onere della prova contra­
ria, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d) del D.P.R.
600/73
Svolgimento del processo
Rilevato che T. A. era socio al 69,60% della M.
s.r.l., il cui omesso UNICO/07 veniva ricostrui­
to, ai sensi degli artt. 38 e 39 del D.P.R. n.
600/73, in base ai dati risultanti dal p.v.c.
30/03/10 elevato a suo carico dalla G. di F. di
Casalvelino;
considerato che la M. s.r.l. risultava società a
ristretta base societaria, per cui il maggior reddi­
to accertato in capo alla stessa è da imputarsi ai
soci in proporzione delle quote sociali, salvo
prova contraria fornita dagli stessi, come da atto
dispositivo n. 1/2011 della D.R.E Campania e da
giurisprudenza di legittimità;
l’Ufficio elevava i dichiarati redditi diversi da €
151.458 ad € 240.128, tenuto conto della ridu­
zione ex art. 47, c. 1 del TUIR, trattandosi di
partecipazione qualificata, allegando all’avviso
di accertamento il richiamato p.v.c. e l’avviso di
accertamento notificato alla società. Con tempe­
stivo ricorso il contribuente chiedeva l’annulla­
mento dell’atto impositivo contestando:
a) che il p.v.c. elevato in capo alla società non
era stato notificato anche al socio né risultava
allegato all’atto impugnato, con consequenziale
violazione del diritto di difesa;
b) che erano state applicate presunzioni su pre­
sunzioni;
b1) presunzione di società a ristretta base socia­
le;
b2) presunzione di distribuzione degli utili extra
- bilancio;
b3) presunzione di distribuzione nell’anno di
competenza;
c) che la sub b2) può trovare ingresso solo se
viene provata la complicità tra i soci.
Resiste l’ADE, ampliando le argomentazioni già
esposte nell’avviso di accertamento e sottoline­
ando che non sussiste l’obbligo di notificare il
p.v.c., se a conoscenza del contribuente o lo
stesso può avervi facile accesso attraverso il suo
“dominio di conoscibilità”.
Insta il contribuente, chiedendo altresì la riunio­
ne del presente ricorso con quello arruolato con
il 1897/12 pendente presso questa C.T.P., non­
ché l’integrazione del contraddittorio nei con­
fronti della socia P. I., V. F. amministratore fino
al 09/03/06, oltre che nei confronti di M. R.,
amministratrice dal 09/03/06 e di S. S. ritenuto
amministratore di fatto dalla G.di F.
In data 21/01/13 deposita copia dell’estratto del
secondo e terzo trimestre 2006 del proprio c/c
bancario n. 201-01 477 B.ca del Cilento.
Considerata la complessità delle problematiche
rappresentate dal ricorrente, la Commissione si
riserva la decisione.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente la Commissione ritiene di
non poter accogliere la richiesta di cui alle me­
morie difensive depositate il 16/01/13, tendente
alla riunione di altro simile ricorso pendente e
all’integrazione del contraddittorio nei confronti
29
30
di altri soggetti, tutti nelle stesse indicati, non
ravvisandone i presupposti.
Ai sensi dell’art. 29 c. 1 del D.Lgs n. 546/92 più
ricorsi possono essere riuniti con provvedimento
motivato dal presidente della sezione se hanno
lo stesso oggetto o sono fra loro connessi. Han­
no lo stesso oggetto i ricorsi con identico peti­
tum, anche se proposti separatamente da più
soggetti, come il caso di debenza del tributo con
responsabilità solidale.
La connessione dei ricorsi può essere:
- oggettiva, se le controversie riguardano lo stes­
so tributo, come nel caso in cui il contribuente
abbia impugnato l’avviso di accertamento e la
successiva cartella di pagamento nelle more del­
la discussione del primo gravame, oppure nel
caso in cui più soggetti hanno proposto separati
ricorsi, pur se proposti avverso titoli differenti,
perché legati da vincoli oggettivi; caso tipico è
la controversia sul reddito della società che in­
fluisca su quello relativo al reddito di partecipa­
zione automaticamente imputato ai soci ai sensi
dell’art. 5 del TUIR.
- soggettiva se più ricorsi, pur se diversi per
titolo e oggetto, sono proposti dallo stesso sog­
getto, come nel caso di ricorsi separatamente
presentati avverso un avviso di accertamento e il
separato avviso di irrogazione di sanzione.
In ogni caso la riunione dei ricorsi si prefigge lo
scopo di conseguire un’economia processuale e
di evitare giudicati contraddittori.
Per quanto esposto in premesse, nel caso in esa­
me le controversie:
- non hanno lo stesso oggetto;
- non sono oggettivamente connesse;
- né possono essere considerate soggettivamente
connesse atteso che tanto sussiste solo se il mag­
gior reddito accertato dalla società viene auto­
maticamente ex-lege imputato ai soci senza
possibilità per gli stessi di esplicare un’autono­
ma difesa, mentre nel caso in esame, trattandosi
di reddito di società di capitali, il relativo mag­
gior reddito accertato va imputato per presun­
zione relativa ai soci, i quali, con autonomo gra­
vame hanno sempre la possibilità di provare di
essere estranei all’eventuale distribuzione di uti­
li extra contabili, per cui possono anche aversi
giudicati diversi in funzione delle diverse prove
rese all’organo giudicante.
Tanto evincesi anche dalla richiamata sentenza a
S.S.U.U. della Corte di Cassazione n. 14815/08,
che afferma l’esistenza di un litisconsorzio in
presenza di rettifica di reddito di società di per­
sone con automatica imputazione ai soci, princi­
pio, in ogni caso, criticato da autorevole dottrina
per carenza di fonte normativa in merito all’esi­
stenza di un litisconsorzio (Glendi in R.G.T.,
pag. 933/08).
Per gli stessi motivi di cui sopra non sussiste
neanche l’obbligo di integrare il contraddittorio
con la chiamata in causa, nel caso de quo, addi­
rittura anche soggetti non interessati alla verten­
za.
2. Il motivo sub a) non ha pregio risultando alle­
gato al gravame sia il p.v.c. della G. di F., che
l’atto impositivo notificato alla società.
3. I motivi sub b1) e b2) non sono fondati, atteso
che, come anche da pacifica giurisprudenza di
legittimità, il fatto noto è rappresentato dalla ri­
stretta base sociale e non da maggior reddito
accertato in capo alla società (ex multis Cass.
Sez. T. 9519/09; 18053/08; 6197/07);
4. Il motivo sub b3) non ha pregio, perché non
opera l’art. 45, c. 1 del TUIR, trattandosi di utili
extra bilancio, di talché l’imputazione non può
che essere relativa al periodo di imposta nel
quale gli utili avrebbero dovuto essere contabi­
lizzati, come da orientamento di questa Com­
missione (per ultimo controversia RGR
1222/12), nonché da giurisprudenza di
legittimità; (Cass. Sez. Trib. 15/02/08, n. 3896;
25688/09);
5. Il motivo sub c) è infondato, perché la presen­
za di una limitata compagine sociale può ben
costituire l’ubi consistant per ritenere che il
maggior reddito possa reputarsi, per inferenza
deduttiva, distribuito ai soci, come anche da giu­
risprudenza di legittimità (Cass. Sez. Trib.
15275/08). Non va poi trascurato che:
- la base sociale è costituita da sue soci, dei
quali il ricorrente è titolare di una quota pari al
69,60%;
- l’appurata ristretta base sociale costituisce un
elemento preciso e concordante per poter legitti­
mamente presumere l’avvenuta distribuzione di
utili extra - bilancio ai soci (Cass. Sez. T.
15275/08) sui quali grava l’onere della prova
contraria, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d) del
D.P.R. n. 600/73 (Cass. Sez. Trib. 10/05/11, n.
10270; 30/12/10, n. 26428).
Sussistono sufficienti motivi per compensare le
spese di giudizio.
P.Q.M.
A scioglimento della riserva, la Commissione ri­
getta il ricorso; compensa le spese.
_________
L’accertamento in capo ai soci di società di capita­
le a ristretta base partecipativa
La sentenza in commento risulta interessante più per
l’attualità dell’argomento trattato e i nuovi spunti che
propone, che per i suoi contenuti che, invero, rinvia­
no ad una giurisprudenza di merito e di legittimità
risalente.
L’accertamento automatico in capo ai soci della
società di capitali a ristretta base societaria sulla base
della presunta distribuzione di utili in nero in misura
corrispondente al maggior reddito accertato sulla
società, affonda le proprie radici esclusivamente nel­
la giurisprudenza, non riscontrandosi nel nostro ordi­
namento tributario alcuna previsione normativa in tal
senso e può essere denominato “presunzione di di­
stribuzione”, riconducibile al terzo comma dell’art.
38 del D.P.R. n. 600/73, che prevede l’utilizzo di
presunzioni “semplici” per le rettifiche delle dichia­
razioni delle persone fisiche. Ulteriori riferimenti
normativi utili a inquadrare la presunzione in esame,
sono costituiti dall’art. 41-bis del D.P.R. n. 600/73
(“Accertamento parziale”) e dall’art. 39 dello stesso
decreto sull’accertamento, che permette, in materia
di imposte dirette, il ricorso da parte degli uffici a
presunzioni semplici (come peraltro previsto, ai fini
dell’iva, dagli articoli 54 e 55 del D.P.R n.633/72)
nonché dall’articolo 5 del TUIR previsto per i redditi
prodotti in forma associata dalle società di persone e
dalle imprese familiari ovvero dall’articolo 115 del
TUIR per i redditi prodotti in forma associata delle
società di capitali che optano per la trasparenza fisca­
le.
In sostanza si tratta di una presunzione “semplice” ex
articolo 2729 codice civile, ben diversa dalla presun­
zione assoluta, questa sì, di tipo legale, che caratte­
rizza il regime tributario di trasparenza tipico delle
società “personali” sia sotto forma di imprese fami­
liari che sotto forma di società di persone che sotto
forma di società di capitali (quest’ultima per opzio­
ne).
In materia di presunzioni, l’art. 2727 del codice civi­
le, che ne definisce la nozione, si esprime così: “Le
presunzioni sono le conseguenze che la legge o il
giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto
ignorato”.
Sul punto, secondo la tesi della pronuncia in com­
mento, e che richiama la giurisprudenza di legittimità
sino a tutto il 2009, il fatto da cui discende la presun­
zione semplice della distribuzione degli utili ai soci è
costituito dal dato oggettivo della ristretta compagine
sociale e non dall’accertamento dei maggiori utili so­
ciali che, al contrario, ne costituisce solo il presuppo­
sto logico.
In altri termini, la ristretta compagine fonderebbe in
re ipsa la presunzione semplice della distribuzione di
utili non contabilizzati, salva la prova contraria a ca­
rico dello stesso socio.
Va però sottolineato che la nuova tendenza delle
Commissioni tributarie e da ultimo quello della Se­
zione tributaria della Corte di Cassazione (cfr., Sen­
tenza n. 20806/2013) è quella di escludere questo
automatismo concentrandosi sul riscontro, conse­
guente ad un accertamento sulle movimentazioni fi­
nanziarie ovvero gli atti giuridico-economici di una
società, ovvero dei suoi soci, riguardo la formazione
di utili non contabilizzati e, quindi, sulla effettività
del maggior reddito accertato.
Occorre che il maggior reddito non sia frutto di valu­
tazioni estimative o di rettifiche di componenti nega­
tivi ma frutto dell’accertamento di ricavi non conta­
bilizzati o costi inesistenti e che vi siano elementi
anche indiziari dai quali emergano movimenti finan­
ziari anomali sulla società o sui conti personali dei
soci.
Nel caso di specie, quindi, la sentenza in commento
appare carente proprio sul suddetto punto in quanto:
1) inverte l’onere della prova della distribuzione ai
soci dei presunti maggiori utili accertati in capo alla
società o meglio afferma che la sola circostanza che
nel caso di specie l’ufficio abbia, secondo i giudici,
dimostrato l’esistenza della ristretta base societaria
sia essa stessa la prova che vi sia stata la distribuzio­
ne dei maggiori utili senza che l’ufficio debba pertan­
to offrire alcun ulteriore elemento che questa distri­
buzione dalla società ai soci vi sia stata; in conse­
guenza, secondo la CTP, è il socio che deve dare la
prova diabolica di non avere percepito i maggiori
utili; così giudicando, però, la CTP qualifica erronea­
mente la presunzione della ristretta base societaria
quale presunzione legale e non semplice;
2) non si pronuncia sulla prova che comunque è stata
offerta dal socio che ha prodotto i conti correnti ban­
cari personali a dimostrazione evidentemente di non
avere percepito i maggiori utili contestati, nonostante
gli stessi giudici avessero sottolineato che “nel caso
in esame, trattandosi di reddito di società di capitali,
il relativo maggior reddito accertato va imputato per
presunzione relativa (a quanto pare legale e non sem­
plice, nota dello scrivente) ai soci, i quali, con auto­
nomo gravame hanno sempre la possibilità di prova­
re di essere estranei all’eventuale distribuzione di
utili extracontabili”.
La pronuncia in rassegna affronta, inoltre, un’ulterio­
re questione di rilevante interesse e, segnatamente,
quella concernente la preventiva notifica del PVC e
dell’accertamento della società al socio. Sul punto
viene ritenuto che il richiamato PVC risulta allegato
all’accertamento notificato al socio ed oggetto di gra­
vame, ed inoltre alle società di capitali non si applica,
come per le società di persone, un’ipotesi di litiscon­
sorzio necessario in quanto quest’ultimo “sussiste so­
lo se il maggior reddito accertato dalla società viene
automaticamente ex-lege imputato ai soci senza
possibilità per gli stessi di esplicare un’autonoma di­
fesa”, autonoma difesa che viene invece secondo i
giudici riconosciuta in teoria ai soci di società di ca­
pitali ma poi di fatto negata nel caso di specie dal
31
momento che il socio, con palese violazione del pro­
prio diritto alla difesa, non ha potuto partecipare al
giudizio “madre” relativo all’accertamento a carico
della società (che pendeva presso la stessa Commis­
sione); in altre parole, i soci di società di capitali a
ristretta base societaria hanno, secondo la sentenza in
commento, tutte le penalizzazioni dei soci di società
di persone derivanti da un accertamento di maggiori
redditi in capo alla società ma non i medesimi diritti
di difesa riconosciuti ai soci di società di persone che
debbono per legge essere consapevolizzati, attraverso
rituale notifica, dell’avviso di accertamento alla
società al fine di potere impugnare lo stesso atto e
potere partecipare al giudizio concernente la società.
Sul punto si ritiene applicabile anche il principio san­
cito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con
sentenza n. 14815/2008.
Richiamando un passo della stessa sentenza, leggia­
mo: “... La unitarietà dell’accertamento che è (o de­
ve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni
dei redditi delle società ed associazioni di cui all’art.
5 del TUIR (a cui l’ufficio ha equiparato la società di
capitali ritenendola a ristretta base sociale) e dei
soci delle stesse ... e la conseguente automatica im­
putazione dei redditi della società a ciascun socio
proporzionalmente alla quota di partecipazione agli
utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi,
comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o
dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifi­
ca, riguardi inscindibilmente la società ed i soci, i
quali tutti devono essere parte nello stesso processo,
e la controversia non può essere decisa limitatamen­
te ad alcuno di essi....”.
32
Ne consegue che “... il giudizio celebrato senza la
partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo
per violazione del principio del contradditorio … e
trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in
ogni stato e grado del procedimento, anche di uffi­
cio...”.
Infine, ultima interessante questione da segnalare e
logico corollario delle precedenti, riguarda la solu­
zione affrontata dal collegio giudicante (e che si di­
scosta dall’orientamento assunto in merito dai giudici
di legittimità), ovverossia la facoltà di decidere sul­
l’accertamento in capo ai soci laddove risulti penden­
te contestualmente il ricorso avverso l’accertamento
nei confronti della società. Ebbene, come sancito dal­
l’ordinanza della Corte di Cassazione, n. 1867/2012,
proprio relativamente ad un accertamento nei con­
fronti di socio, sul presupposto della ristretta base
azionaria e della distribuzione occulta di dividendi, il
giudice di merito, contrariamente a quanto disposto
dal giudice di merito nella controversi in rassegna,
deve sospendere la lite nei confronti della persona
fisica in attesa che si definisca la posizione proces­
suale della società partecipata.
Da ultimo, va segnalato, secondo una prospettiva a
favore del contribuente, le ultime posizioni assunte
dalla giurisprudenza di merito (cfr. C.T.P. Parma,
sentenza n. 97/2013 – C.T.R. Lombardia, sentenza
n.82/2013 – C.T.R. Roma sentenza 467/01/13 –
C.T.R. Firenze sentenza 54/29/13) ove la direzione
intrapresa dai giudici appare più sensibile alla tutela
dei diritti dei contribuenti.
Piero Luigi Battani
Accertamento
E’ INEFFICACE LA RINUNCIA ALL’EREDITA’
POSTERIORE ALL’ACCERTAMENTO AGLI EREDI
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 12 settembre 2013, n. 537
Pres. Oricchio – Rel. Tipaldi
Accertamento – Accertamento ai fini
delle imposte dirette – Accertamento sin­
tetico ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973 –
Fondato sull’incoerenza tra i redditi di­
chiarati dal de cuius e dal nucleo fami­
liare e le somme di denaro esposte nella
dichiarazione di successione – Legittimità – Onere della prova – Grava sugli
eredi – Rinuncia all’eredità successiva
alla notifica dell’avviso di accertamento
– Inidoneità della rinuncia ad evitare
l’azione accertatrice – Sussiste
E’ legittimo l’avviso di accertamento sintetico
con il quale l’Agenzia delle Entrate rettifica sin­
teticamente il reddito del defunto sulla base del­
la disponibilità di denaro indicata nella denun­
cia di successione e non giustificata dagli eredi
in sede di contraddittorio. La rinuncia all’eredità successiva alla notifica dell’avviso di accer­
tamento non è idonea ad evitare l’azione accer­
tatrice, apparendo strumentale a evitare il con­
trollo dell’Amministrazione.
Svolgimento del processo
Esaminata la dichiarazione di successione in
morte di R. A., l’Ufficio, rilevata “l’incoerenza
tra la disponibilità di danaro in essa indicata e i
redditi dichiarati nei precedenti anni dallo stesso
e dai rispettivi nuclei familiari”, invitava gli ere­
di C. R., R. C., G. e A. a giustificare la differen­
za.
Esaminata altresì la documentazione esibita nel
corso del contraddittorio, l’Ufficio ribadiva agli
eredi che l’entità delle somme liquide disponibi­
li, come da successione, per l’importo di €
1.985.000,00, non si presentava coerente con i
redditi prodotti negli anni dai coniugi R./C. e
degli altri componenti del nucleo familiare.
Non avendo gli eredi giustificata la provenienza
delle somme in precedenza indicate, l’Ufficio
accertava sinteticamente, ai sensi dell’art. 38 del
D.P.R. n. 600/73, a carico del de cuius R. A. €
397.000,00 per ciascun anno dal 2006 al 2008,
notificando i relativi atti impositivi a ogni erede.
Con ricorso collettivo proposto per ciascun anno
sottoposto ad accertamento, gli eredi R.A. e R.
G. chiedono l’annullamento degli avvisi di ac­
certamento. All’uopo rappresentano che per me­
ro errore era stato comunicato al consulente, in­
caricato di predisporre la denuncia di successio­
ne per la presenza di tre immobili, la somma di
€ 1.985.000,00, mentre in effetti si trattava di
Lit. 1.985.000 di vecchie lire, sottolineando che,
accortosi dell’errore in data 01/04/11 la moglie
del de cuius presentava un’altra denuncia di suc­
cessione a rettifica di quella presentata il
09/12/09 indicando l’importo di € 1.025,75, cor­
rispondente al Lit. 1.985.000.
Tanto esposto, contestano in diritto la propria
legittimazione passiva, avendo rinunciato
all’eredità il 07/04/11, nonché la violazione del­
l’art. 12, L. 212/2000, eccependo che gli avvisi
di accertamento erano stati notificati prima del
decorso di 60 giorni dalla consegna del p.v.. Re­
siste l’Ufficio puntualizzando che:
a) non risulta documentato il primo motivo e
che, in ogni caso, pur dopo la rinuncia, ai sensi
dell’art. 525, c.c., i chiamati all’eredità possono
sempre accettarla fino a quando non risulta pre­
scritta;
b) la carenza di violazione dell’art. 12, L.
212/2000, non essendo stato redatto “alcun p.v.
di accesso, di richiesta di documenti o di consta­
tazione”.
Con successive memorie i ricorrenti instano per
l’annullamento degli atti impositivi:
a) potendo l’A.E., in caso di successiva accetta­
zione dell’eredità, far valere la propria pretesa,
di talché, ai sensi dell’art. 519 c.c., non possono
essere considerati eredi i chiamati all’eredità che
33
abbiano rinunciato alla stessa, come anche da
giurisprudenza di legittimità e di merito;
b) applicandosi l’art. 12, L. 212/2000 anche in
caso di verbale per mero reperimento di docu­
mentazione fiscale, come da giurisprudenza di
legittimità e di merito;
c) l’impossibilità per il de cuius di cumulare
l’importo, considerata l’attività di p.i.a. esercita­
ta, come da documentazione agli atti.
Con ordinanza 222/12 veniva disposta l’acquisi­
zione dell’esito della dichiarazione rettificativa
presentata da C. R..
Con ulteriori memorie depositate il 09/05/13 i
ricorrenti depositano l’avviso di rettifica operato
dall’Ufficio in relazione alla seconda denuncia
di successione, con la quale venivano dichiarati
solo tre fabbricati, due valori dei quali sottoposti
a rettifica, che, su istanza di parte, veniva annul­
lata dall’A.E. di Pagani, con prov. 19/12/12 “per
errore sul presupposto di imposta”.
Insistono per il riconoscimento di carenza di le­
gittimazione passiva, come già riconosciuto per
l’altra erede R. C. con la sentenza n. 246/15/12
di questa C.T.P., sottolineando la violazione del­
l’art. 38 del D.P.R. n. 600/73 per vizi del proce­
dimento e carenza di motivazione. Resiste l’Uf­
ficio.
Con ulteriori memorie insistono per l’annulla­
mento degli avvisi di accertamento, richiamando
la sentenza 16/09/11, n. 18906 della Corte di
Cassazione relativa al mancato rispetto del ter­
mine di 60 gg. e depositando documentazione
sanitaria.
La Commissione si riservava la decisione.
Motivi della decisione
34
1) Preliminarmente la Commissione rileva che:
a) nella dichiarazione di successione, presentata
dalla coerede C. R., coniuge del de cuius, in data
09/12/09, risultano riportati i seguenti dati:
- valore dell’asse ereditario: € 2.027.066, di cui
€ 42.066 per immobili
- eredi: C. R., R. G., R. C., R. A.;
b) su invito dell’Ufficio, in data 28/02/11 i quat­
tro eredi esibivano documentazione e, nel di­
chiarare «di non poter giustificare la provenien­
za delle somme di cui in oggetto», rappresenta­
vano che le stesse potevano «derivare dai rispar­
mi accumulati dal de cuius negli anni, atteso che
lo stesso svolgeva molti lavori retribuiti» e non
tassati, perché di natura agricola, il tutto come
da verbale di contraddittorio e consegna docu­
menti del 28/02/11;
c) considerata l’esiguità dei redditi dichiarati e
non condividendo le giustificazioni rese dagli
eredi, l’Ufficio, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n.
600/73, rettificava il dichiarato con un reddito
sintetico, per incremento patrimoniale, pari ad
1/5 del già richiamato importo e, quindi, di €
397.000, notificando i relativi atti impositivi ri­
cevuti dagli eredi in data 09/03/11
d) in data 01/04/2011 C. R. presentava una di­
chiarazione di successione rettificativa, con la
quale confermava la consistenza immobiliare,
mentre variava l’indicata somma liquida di €
1.985.000,00 in Lit. 1.985,00, pari ad €
1.025,17;
e) in data 07/04/11, con dichiarazione resa al
competente funzionario del Tribunale di Nocera
I., gli eredi dichiaravano di rinunciare
all’eredità.
2) Tutte le argomentazioni dei contribuenti
esposte nel ricorso introduttivo e successive me­
morie, raggruppabili in quattro motivi, non han­
no pregio.
2.1) Il primo motivo col quale viene sottolineato
che erroneamente era stato dichiarato un impor­
to in euro e non in Lit., già di per sé poco credi­
bile, è smentito dagli stessi ricorrenti, considera­
to quanto esposto alla lett. b) del precedente
punto 1, dal quale si evince che i quattro eredi
nel verbale del contraddittorio 28/02/11 non di­
sconoscevano la «valuta» dichiarata nella prima
successione, anzi cercavano di giustificare l’esi­
stenza della stessa, adducendo la capacità lavo­
rativa del de cuius quale salariato agricolo age­
volato non tassabile, a parere della Commissio­
ne ictu oculi senza pregio, considerata altresì la
carenza di documentazione e il netto contrasto
con quanto esposto nelle memorie depositate il
12/04/12, ove viene affermato che, quale titolare
p.i.a. il de cuius non poteva mai accumulare
l’ingente somma in oggetto, di talché è fondato
ritenere che quella somma abbia una diversa ori­
gine e, come tale, tassabile.
2.2) Col secondo motivo viene evidenziata l’av­
venuta sostituzione dell’iniziale denuncia di suc­
cessione con quella rettificativa depositata il
01/04/2011.
A parere della Commissione trattasi di operazio­
ne puramente strumentale, considerato che la
«rettificativa» veniva presentata solo dopo la
notifica degli avvisi di accertamento, nonché il
contrasto con le affermazioni fatte dai quattro
eredi nel verbale del contraddittorio del
28/02/2011.
2.3) Col terzo motivo viene dedotta la carenza di
legittimazione passiva per l’avvenuta rinuncia
all’eredità, richiamando in proposito la decisio­
ne 246/15/12 di questa Commissione tributaria.
Anche tale motivo non ha pregio, atteso che la
rinuncia all’eredità risulta effettuata in data
07/04/11 e, quindi, in data successiva alla notifi­
ca degli avvisi di accertamento ricevuti dai ri­
correnti in data 09/03/11, per cui anche tale ope­
razione si presenta meramente strumentale.
A parere di questo giudice, la richiamata senten­
za non può trovare ingresso, non risultando con­
siderata la problematica temporale della rinun­
cia.
2.4) Con il quarto motivo viene eccepita la vio­
lazione dell’art. 12, c. 7, L. 212/2000 per aver
l’Ufficio emesso gli avvisi di accertamento pri­
ma del decorso dei previsti 60 giorni dalla con­
segna del p.v.
Va subito precisato che la citata norma richiama
un p.v. di chiusura delle operazioni da parte de­
gli organi di controllo e, quindi, un p.v. di chiu­
sura delle operazioni di verifica, mentre nel caso
in esame si tratta di un p.v. di contraddittorio
che l’Ufficio deve esperire ai sensi dell’art. 38 c.
7 del D.P.R. n. 600/73, per acquisire dati e noti­
zie ai fini dell’accertamento sintetico, nel caso
di esito negativo dell’incontro.
La stessa richiamata giurisprudenza di
legittimità non dà alcun supporto al motivo dei
ricorrenti, atteso che:
- la sentenza 16/09/11, n. 18906, riguarda un
p.v. redatto a seguito di accesso per il reperi­
mento di documenti;
- l’ordinanza 15/03/11, n. 6088 riguarda un p.v.
elevato a seguito di un controllo.
Non va poi trascurato che dall’esame del verbale
del contraddittorio si rileva che i ricorrenti:
- non fornivano alcun dato o informazione di
natura sostanziale;
- non contestavano l’importo indicato nella suc­
cessione, dal quale, in carenza di giustificazioni,
traeva origine la procedura di accertamento sin­
tetico, anzi lo confermavano;
- non esprimevano alcuna riserva, né chiedevano
rinvio per ricercare e depositare documentazione
a sostegno delle argomentazioni esposte sull’ori­
gine e formazione della liquidità dichiarata.
Considerata la complessità della vicenda, a pare­
re della Commissione sussistono sufficienti mo­
tivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Sciogliendo la riserva, la Commissione rigetta i
ricorsi riuniti; compensa le spese.
35
Accertamento
ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE:
CONDIZIONI DI APPLICABILITA’
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. XII, 30 settembre 2013, n. 412
Pres. Oricchio – Rel. De Camillis
Accertamento – Accertamento delle Im­
poste dirette e dell’Imposta sul valore
aggiunto – Accertamento da studi di set­
tore ex artt. 62 bis e sexies D.L. n.
331/93 – Natura degli studi di settore –
Si tratta di indici rilevatori di possibili
evasioni – Necessità che lo scostamento
del dato rilevato sia connotato da grave
incongruenza – Consegue
Gli studi di settore costituiscono indici rilevatori
di possibili antinomie nel comportamento fiscale
del contribuente sotto il profilo della divergenza
dell’ammontare dei ricavi rispetto all’elabora­
zione statistica che determina un livello definito
“normale” di redditività. Peraltro, in ossequio
al principio di capacità contributiva, lo scosta­
mento deve assumere connotato di grave incon­
gruenza e, conseguentemente, l’Amministrazio­
ne finanziaria è tenuta alla verifica in contrad­
dittorio della situazione economica del contri­
buente al fine di accertare la compatibilità fra
l’effettiva capacità reddituale del contribuente e
gli elementi desumibili dagli studi.
Svolgimento del processo
36
L’Agenzia delle Entrate di Ariano Irpino (AV) in
data 28.11.2008 notificava al sig. D.A., esercen­
te attività di riparazione di autoveicoli, gli avvisi
di accertamento con i quali, rispettivamente per
gli anni d’imposta 2003 e 2004, induttivamente
ricostruiva il reddito d’impresa elevandolo, sulla
base degli studi di settore, per l’anno 2003 da €.
3.138,00 ad € 20.077,00; e per l’anno 2004 da €.
6.258,00 ad €. 43.636,00. L’ufficio ricostruiva il
reddito imponibile per l’anno 2003 da € 00.00
ad €.15.687,00 e per l’anno 2004 da €. 00,00 ad
€. 43.687,00 e conseguentemente venivano cal­
colate le maggiori imposte e le relative sanzioni.
Gli avvisi di accertamento prendevano le mosse
rispettivamente dall’esame del modello Unico
2004 per l’anno 2003 ed Unico 2005 per l’anno
2004 e dal constatato notevolissimo scostamento
tra quanto dichiarato dalla parte rispetto a quan­
to risultante in applicazione degli studi di settore
di cui all’art. 62 bis del D.L. 331/93 come con­
vertito con modificazioni nella L. 427/93. Av­
verso e per l’annullamento degli avvisi di accer­
tamento produceva ricorsi e istanza di sospen­
sione il contribuente che lamentava la
inattendibilità degli stessi siccome basati unica­
mente sugli studi di settore e privi delle riscon­
trante probatorie sulle presunte denunciate gravi
incongruenze della dichiarazione. Dichiarava di
avere avuto un incontro con l’Ufficio senza rag­
giungere alcuna intesa. Concludeva per la decla­
ratoria di nullità degli atti impugnati ed, in su­
bordine, per ogni altra più idonea decisione e la
pubblica udienza. L’ufficio si costituiva in en­
trambi i giudizi con proprie separate note depo­
sitate il 5.2.2009 ed impugnava i ricorsi dei qua­
li chiedeva l’integrale rigetto rilevando che, in
relazione all’anno di imposta cui inerisce l’ac­
certamento, l’applicazione degli studi di settore
è frutto di presunzione legale con inversione
dell’onere della prova a carico del contribuente.
Costituitosi il contraddittorio nei termini essen­
ziali sopra succintamente esposti, la C.T.P. di
Avellino, Sez. 1, Udienza del 9/04/2010, con
Sentenza n. 160/01/10, rigettava le istanze di so­
spensione degli avvisi di accertamento, riuniva i
ricorsi e li rigettava compensando tra le parti le
spese di lite. Il ricorrente in data 24/06/2011
presentava appello, si riportava a quanto espres­
so in prime cure, sosteneva l’illegittimità della
sentenza dei giudici di prime cure e chiedeva
l’annullamento degli avvisi d’accertamento im­
pugnati in ogni loro parte; l’annullamento delle
sanzioni irrogate; la sospensione dell’esecutività
dell’atto d’accertamento; la discussione in pub­
blica udienza. In data 2/09/2011 l’Agenzia En­
trate Prov. Avellino depositava controdeduzioni.
Si riportava a quanto già contro dedotto in prime
cure, chiedeva il rigetto dell’appello e la con­
danna della controparte alle spese del doppio
grado di giudizio e l’inammissibilità della ri­
chiesta di sospensione. Il ricorrente presentava,
in data 2/04/2012, condono con relativa docu­
mentazione e versamenti effettuati. L’Agenzia
Entrate Prov. Avellino in data 26/09/2012 pre­
sentava istanza diniego definizione della lite
pendente. All’odierna udienza, presente per il ri­
corrente dott. P. A., presente il rappresentante
dell’ufficio dott.ssa Z.M., dopo l’esposizione dei
fatti ad opera del Giudice relatore, la causa veni­
va riservata a decisione.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminati gli atti e valutate le
argomentazioni, ritiene che l’appello prodotto
dal ricorrente è fondato, legittimo e meritevole
di accoglimento, per le seguenti motivazioni. Il
Collegio osserva che l’azienda in questione
svolge la sua attività, unitamente all’attività di
carrozzerie, sicuramente non guidata da logiche
imprenditoriali stante il livello di istruzione del
contribuente, in una contrada di un piccolo pae­
se, scarsamente servito da vie di comunicazione.
Già queste circostanze, la situazione della con­
correnza (sei imprese concorrenti), se unite alla
coerenza degli indici della durata delle scorte,
del valore aggiunto orario per addetto e dell’in­
cidenza dei costi sui ricavi, nonché alla classifi­
cazione in un gruppo di riferimento dalle carat­
teristiche differenti rispetto al contribuente, ren­
dono gli studi non degni di fede nella situazione
concreta. Inoltre i giudici di prima istanza so­
stengono che il contribuente ha dichiarato un
reddito imponibile uguale a zero sia per l’anno
2003 che per l’anno 2004. Tale dato non è asso­
lutamente compatibile con tutti gli altri elementi
desumibili dalle dichiarazioni e soprattutto, non
è compatibile né con il numero di dipendenti
assunti, né con gli elementi negativi né con i
beni strumentali. Tuttavia non spiegano la moti­
vazione di tale incompatibilità se il reddito
d’impresa ammonta a € 3.138,00 dopo aver de­
dotti ammortamenti pari a 16.327,00, cioè l’im­
presa ha raggiunto il break evem point. Quanto
agli studi di settore come presunzioni semplici
gravi precise e concordanti, la Suprema Corte di
Cassazione, a sezioni unite ha sostenuto: “Gli
studi di settore costituiscono indici rilevatori di
possibili antinomie nel comportamento fiscale
del contribuente sotto il profilo della divergenza
dell’ammontare dei ricavi rispetto all’elabora­
zione statistica che determina un livello definito
“normale” di redditività. Peraltro, in ossequio al
principio di capacità contributiva, lo scostamen­
to deve assumere connotato di grave incon­
gruenza e, conseguentemente, l’Amministrazio­
ne finanziaria è tenuta alla verifica in contraddit­
torio della situazione economica del contribuen­
te al fine di accertare la compatibilità fra
l’effettiva capacità reddituale del contribuente e
gli elementi desumibili dagli studi. Il contri­
buente ha, nel giudizio relativo all’impugnazio­
ne dell’atto di accertamento, la più ampia
facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni
semplici, ed il giudice può liberamente valutare
tanto l’applicabilità degli standard al caso con­
creto, che deve essere dimostrata dall’ente im­
positore, quanto la controprova sul punto offerta
dal contribuente (cfr. sentenza 26638/2009). La
norma che stabilisce i presupposti per
l’esperibilità dell’accertamento, ovvero l’art. 62sexies del D.L. n. 331/1993, richiede, per il ri­
corso alla metodologia analitico-induttiva, “l’e­
sistenza di gravi incongruenze” tra quanto di­
chiarato e quanto desumibile dagli studi di setto­
re. Poiché la soglia di scostamento tra la misura
di questi due valori, (dichiarato e rettificato in
base a studi), non è predeterminata dalla legge,
ma lasciata all’apprezzamento dell’ufficio, que­
st’ultimo nella motivazione deve dar conto dei
criteri in base al quale valutare l’incongruenza
del caso. In tal senso dispone anche la circolare
n. 5/E del 2008, ove si afferma che nell’ipotesi
di mancata partecipazione del contribuente al
contraddittorio “la valutazione dell’affidabilità
delle risultanze dello studio sarà svolta diretta­
mente dall’Ufficio sulla base degli elementi in
suo possesso” e dunque non soltanto sulla base
del mero scostamento da studi. Il legislatore
vuole che le gravi incongruenze che legittimano
gli accertamenti basati sugli “studi di settore”
conseguano alla comparazione non tra i ricavi, i
compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli de­
sumibili dagli “studi di settore”, ma tra i primi e
quelli “fondatamente” desumibili dagli studi
stessi. In altri termini: il legislatore condiziona
la legittimità degli accertamenti basati sugli
“studi di settore” al fatto che i compensi. i corri­
spettivi desumibili dagli stessi lo siano fondata­
mente, con scarsa probabilità di errore, in modo
37
38
cioè, praticamente, certo. L’ammontare dei rica­
vi, compensi, corrispettivi desumibili dallo stu­
dio di settore non è, cioè, ritenuto dal legislato­
re, legittimamente, comparabile con quello di­
chiarato dal contribuente onde originare le gravi
incongruenze di cui parla la norma: la legittimità
esiste solo nel caso in cui gli stessi siano desu­
mibili fondatamente. Il legislatore non si fida
del semplice risultato “matematico-statistico”,
ma vuole qualcosa di più: richiede che i risultati
dello stesso siano supportati e avvalorati aliun­
de. Richiede, in buona sostanza, che gli stessi
non vengano “passivamente” accettati, ma “cri­
ticamente” valutati, calandoli nella realtà d’im­
presa specifica in esame: i risultati desumibili
dallo studio di settore sono, cioè, un semplice
elemento indiziario la cui fondatezza deve rima­
nere verificata indagando la realtà della fattispe­
cie in esame. In pratica, dovrà essere appurato
se nella specifica realtà siano identificabili ele­
menti, sia di natura contabile (ad esempio, resa
produttiva), che di natura extracontabile (ad
esempio, appunti, documenti, risultanze banca­
rie, risultanze di controlli incrociati) che consen­
tano una ricostruzione induttiva del volume
d’affari che concordi, sostanzialmente, con quel­
lo desumibile dallo studio di settore rendendolo,
così, fondatamente desumibile dallo stesso, per
poi procedere alla comparazione con quello di­
chiarato dall’imprenditore, onde verificare se tra
i due sussistano quelle gravi incongruenze che
sono l’ulteriore condizione necessaria per legit­
timare questo tipo di accertamento. Senza questa
attività, che lo confermi, che fondi il risultato
dello studio di settore, per tramutarlo, in buona
sostanza, in quel tipo di presunzione, grave, pre­
cisa e concordante, richiesta dal citato art. 39, il
semplice risultato “matematico-statistico” dello
“studio di settore” non rende legittimo questo
tipo di accertamento. Tali ragioni sono del tutto
assenti nell’atto impugnato e, di conseguenza,
rendono illegittimo l’atto in questione. E’ lecito
ritenere che l’Agenzia delle Entrate, richiaman­
do per relationem gli atti di cui in premessa e
affermando genericamente “in virtù di quanto
previsto dal cit. art 62 sexies del decreto legge
331/199”, giunge alle determinazioni degli avvi­
si in epigrafe, in maniera del tutto acritica e ar­
bitraria. Se gli “studi di settore” sono una elabo­
razione-funzione statistica e sono l’unico ele­
mento che sorregge la pretesa fiscale, non sussi­
ste la pluralità di presunzioni gravi, precise e
concordanti per procedere all’accertamento in­
duttivo. Inoltre, che gli studi di settore siano un
fatto rilevatore di reddito, come affermato dal­
l’Ufficio, non è condivisibile e appare un’affer­
mazione arbitraria. Infatti, le presunzioni sem­
plici, per essere ammesse come valida prova de­
vono fondarsi su fatti noti, gravi precisi e con­
cordanti e devono costituire la conseguenza di
un ragionamento logico coerente ed univoco, se­
condo criteri di regolarità causale. E’ illegittimo
l’avviso di rettifica ex art. 54 D.P.R. n. 633/1972
nel quale l’asserita mancata registrazione di cor­
rispettivi che sarebbero stati percepiti dal contri­
buente è frutto di un ragionamento logico non su
fatti certi, nella loro esistenza, ma a loro volta
presunti: invero perché sia valida la prova per
presunzioni. occorre che sia basata su fatti certi.
non su altra presunzione (Comm. Trib. Centr.
sez. XI, 7350/1986; sez. 1 562/1986). Nel caso
in cui l’Ufficio non abbia provveduto ad alcuna
verifica contabile, è illegittima la rettifica della
dichiarazione fondata sul solo presupposto della
difformità di questa con un parametro di riferi­
mento indicativo dei valori medi percentuali di
ricarico riscontrati nelle aziende operanti nel
medesimo settore merceologico. La Suprema
Corte ha sostenuto “lo stesso legislatore dello
Statuto del Contribuente. nel prevedere all’arti­
colo 12 comma 7 (che si pone come norma ge­
nerale), un tendenziale necessario contradditto­
rio anticipato attraverso il quale il contribuente
possa fornire dati e richieste che l’Ufficio ha
l’obbligo di valutare, conferma indiscutibilmen­
te l’esigenza che l’accertamento venga calibrato
sempre al caso concreto, sulla base di una cono­
scenza più approfondita della situazione verifi­
cata (Cassazione. sezione tributaria, n. 19163,
del 05/03/2003, depositata il 15/12/2003). In or­
dine alle spese di procedimento sussistono giusti
motivi per disporne la compensazione integrale
tra le parti ai sensi dell’art 15 c. 1 D.lgs. n.
546/92 ed ai sensi dell’art.92 c. 2 c.p.c. La cir­
costanza è confermata e suffragata dalla docu­
mentazione regolarmente acquisita agli atti pro­
cessuali e,
P.Q.M.
A) Dichiara estinto il giudizio per intervenuto
condono relativamente all’anno 2003;
B) Accoglie l’appello per quanto riguarda l’anno
2004;
C) Compensa le spese.
Accertamento
RADDOPPIO DEI TERMINI
PER L’ACCERTAMENTO
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VIII, 6 novembre 2013, n. 637
Pres. Lepre – Rel. Rippa
I. Accertamento – Accertamento delle
Imposte sui redditi e dell’Imposta sul
valore aggiunto – Raddoppio dei termi­
ni di decadenza per l’accertamento –
Consegue dal mero riscontro di fatti
comportanti l’obbligo di denuncia pe­
nale
II. Accertamento – Accertamento delle
Imposte sui redditi e dell’Imposta sul
valore aggiunto – Emissione dell’avviso
di accertamento prima del termine fis­
sato dall’art. 12, comma 7, L. n.
212/2000 – Anticipazione motivata con
l’imminenza dei termini di decadenza
dell’accertamento – Sufficienza – As­
senza in concreto della assunta urgenza
– Illegittimità dell’accertamento – Con­
segue
I. Il raddoppio dei termini per l’accertamento
consegue dal mero riscontro di fatti comportanti
l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente
dalla effettiva presentazione della denuncia o
dall’inizio dell’azione penale (Corte Costituzio­
nale n. 247/2011).
II. La scadenza del temine di decadenza per la
notifica dell’avviso di accertamento costituisce,
almeno astrattamente, un valido motivo di ur­
genza idoneo alla emissione dell’avviso di ac­
certamento senza il rispetto del termine di ses­
santa giorni di cui all’articolo 12, comma 7,
della legge n. 212/2000, dovendosi in tal caso
salvaguardare il maggior interesse di carattere
pubblicistico che riveste l’efficiente esercizio
della attività amministrativa; tuttavia, è affetto
da vizio insanabile di nullità l’avviso di accerta­
mento che sia stato emesso molti giorni prima
della scadenza del termine fissato dalla legge,
non sussistendo, evidentemente, l’urgenza indi­
cata.
Svolgimento del processo
La società S. S.p.A., con sede in M., in persona
del legale rappresentante sig. G.F., rappresentata
e difesa dal rag. M.R., ha tempestivamente im­
pugnato l’avviso di accertamento con il quale
L’Agenzia Delle Entrate - Direzione Provinciale
di Salerno, ha accertato un diverso e maggiore
imponibile ai fini IVA, IRPEG ed IRAP, dell’e­
sercizio 2003.
L’accertamento impugnato fa seguito ad un
P.V.C. redatto, in data 30.10.2012, dal Corpo
della Guardia di Finanza - nucleo di Polizia Tri­
butaria di Salerno - dal quale emerge una viola­
zione sostanziale commessa dalla ricorrente, ri­
levante ai fini delle suddette imposte, consistita
nella utilizzazione di una fattura di acquisto, per
una operazione, asserita come inesistente, relati­
va a prestazioni pubblicitarie e promozionali,
emessa con n. 33 in data 12.09.2003 dalla S.
S.p.A., dell’importo imponibile IVA di €
15.000,00.
Parte ricorrente articola più questioni contestan­
do una pluralità di vizi dell’operato dell’A.F. e
dell’avviso di accertamento chiedendone, previa
sospensione della sua esecutività, l’annullamen­
to.
Si costituisce in Giudizio l’Agenzia delle Entra­
te Direzione Provinciale di Salerno depositando
in data 11.09.2013 atto di controdeduzione con
il quale, nel confutare punto per punto ogni ec­
cezione di parte ricorrente, chiede il rigetto del
ricorso con condanna del ricorrente alle spese di
lite.
Alla camera di Consiglio del 29.7.2013, presenti
le parti, il Collegio rigettava la richiesta di so­
spensione della esecutività dell’accertamento
impugnato come da Ordinanza n. 352.
39
Alla Pubblica Udienza di trattazione nel merito,
del giorno 24 settembre 2013, il Collegio assu­
meva la decisione come da dispositivo.
Oppone la ricorrente società la violazione e falsa
applicazione dei disposti di cui agli artt. 43, co.3
D.P.R. n. 600/73 e 57 co.3 D.P.R. n. 633/72,
come modificati dall’art. 37 commi 24 e 25 D.L.
223/2006 e la prescrizione della pretesa tributa­
ria per decorrenza dei termini di accertamento.
Lamenta sul punto l’assenza delle condizioni
per il raddoppio dei termini per l’accertamento
essenzialmente a causa dell’omessa allegazione
all’avviso di accertamento del documento “de­
nuncia”, citato al foglio 5 del P.V.C. della Guar­
dia di Finanza. Omissione che compromettereb­
be la possibilità per il Collegio adito di eseguire
la prognosi postuma di cui alla Sentenza della
Corte Costituzionale n. 247 del 25 luglio 2011.
Evoca dunque numerose Sentenze di merito ri­
ferite alla soggetta materia. Sottolinea altresì che
alcun procedimento penale è stato mai avviato a
carico di parte ricorrente.
Motivi della decisione
40
Tale doglianza, a giudizio di questo Collegio,
non può essere accolta sulla semplice constata­
zione che il raddoppio dei termini per l’accerta­
mento consegue dal mero riscontro di fatti com­
portanti l’obbligo di denuncia penale, indipen­
dentemente dalla effettiva presentazione della
denuncia o dall’inizio dell’azione penale (Corte
Costituzionale n. 247/2011). Il fatto che il pub­
blico ufficiale abbia poi adempiuto l’obbligo a
proprio carico di inoltrare la denuncia penale obbligo sanzionato dall’art. 361 c.p. - attiene al­
tri ed estranei aspetti.
La c.d. prognosi postuma, ossia la valutazione
del Giudice di merito, ora per allora, circa la
ricorrenza e sussistenza dei presupposti dell’ob­
bligo di denuncia - e solo di essi - è volta al
mero fine di accertare se l’Amministrazione ab­
bia agito con imparzialità o abbia fatto un uso
pretestuoso e strumentale delle disposizioni in
materia, col fine di fruire ingiustificatamente di
un più ampio termine di accertamento. La stessa
Corte Costituzionale rammenta che per contra­
stare possibili abusi degli uffici sono sufficienti
la previsione dell’obbligo dei pubblici Ufficiali e quindi anche dei verificatori – di inoltrare sen­
za ritardo la denuncia penale e dall’altro la
controllabilità giudiziale circa la sussistenza dei
precisi ed obiettivi presupposti richiesti dalla
Legge e dalla giurisprudenza perché sorga detto
obbligo. Orbene dai documenti versati in atti
emerge per tabulas la presenza dell’azione pe­
nale, tra cui il decreto di archiviazione del
GIUP.
La verifica a carico della società S. S.p.A. ha
evidenziato elementi ed indizi di reato da utiliz­
zazione di fatture per operazioni inesistenti tali
da far insorgere l’obbligo della denuncia penale
così come poi inoltrata, dal Pubblico Ufficiale,
all’autorità competente, e della cui esistenza non
si può dubitare per essere precisato nel verbale
della G.d.F., travolgendo ogni soggetto con il
quale le asserite false operazioni sono state mes­
se in atto. Il Collegio è dell’avviso, tra l’altro,
che provenendo la denuncia da organo diverso
dall’Ente accertatore anche la “prognosi postu­
ma”, votata al mero controllo della strumentaliz­
zazione dei fatti da parte dell’Ente accertatore,
trovi già adeguata risposta.
Con secondo motivo la ricorrente deduce la
nullità dell’avviso di accertamento in quanto
emesso prima del termine dei 60 giorni, ai sensi
dell’art. 12 comma 7 della Legge 212/2000.
Constata che il PVC è stato consegnato in data
30.10.2012 e l’avviso di accertamento notificato
il 10.12.2012 in violazione del citato termine
minimo. Deduce tale nullità combinando per un
verso la violazione del termine ex se e per altro
l’assenza di una adeguata motivazione della sua
urgenza, fatto che tra l’altro - ulteriore motivo integrerebbe anche il difetto di motivazione del­
l’atto impugnato in quanto privo dello specifico
motivo d’urgenza.
Orbene il Collegio osserva che l’inosservanza
del termine dilatorio dei sessanta giorni fissato
per l’emanazione dell’avviso di accertamento
dall’art. 12 comma 7 della Legge 212/2000, co­
stituisce, per il fine e per l’interesse perseguito,
vizio grave che ricade insanabilmente sulla
validità dell’atto, salvo, però, la presenza di qua­
lificate ragioni d’urgenza. In tale direzione la
Sentenza 14 maggio - 29 luglio 2013 n. 18184
delle Sezioni Unite civili della Suprema Corte di
Cassazione.
Ricorre pertanto la necessità di indagare sulla
presenza e bontà delle ragioni di urgenza che
l’Agenzia delle Entrate ha individuato ed indica­
to, nelle proprie memorie di costituzione, nella
imminente scadenza del termine di decadenza
dell’accertamento.
Il Collegio a tal proposito precisa di non ritenere
viziata la motivazione dell’atto impugnato, ed in
tal senso tale motivo di opposizione non può
essere accolto, perché privo della indicazione
dei motivi di urgenza, condividendo la linea giu­
risprudenziale secondo cui l’obbligo di motiva­
zione degli atti tributari, assistito da sanzione di
nullità in caso di inottemperanza, è solo quello
che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della
pretesa tributaria non essendo invece necessario
dar conto in quella sede (e salvo eccezioni
espresse) del rispetto di regole procedimentali.
Né si reputa espressamente prescritta nella nor­
ma in questione la motivazione dell’urgenza.
Ciò in quanto l’espressione “salvo casi di parti­
colare e motivata urgenza” non sta ad indicare la
sede - atto impositivo - dove indicarla, bensì la
necessità che essa effettivamente ricorra. Sicché
ove i motivi di urgenza non compaiono nella
motivazione dell’atto impositivo la questione si
sposta in sede contenziosa laddove il contri­
buente può - come avvenuto nel caso di specie impugnarlo proprio in relazione alla violazione
del termine. Sarà così il Giudice adito, a fronte
della prova della sussistenza del requisito - indi­
viduata qui dall’Ufficio tributario nella decaden­
za del termine per l’accertamento - a dover sta­
bilire l’esistenza di una valida e particolare ra­
gione di urgenza idonea, nello specifico caso, a
giustificare l’emissione dell’accertamento ante
tempus.
Il P.V.C. della Guardia di finanza è stato conse­
gnato al contribuente in data 30 ottobre 2012 ed
è quello il dies a qua del termine dilatorio dei
giorni sessanta. Il termine di decadenza per la
notifica dell’avviso di accertamento relativo al
periodo di imposta 2003 - con il raddoppio dei
termini - sarebbe spirato il 31.12.2012, ma l’ac­
certamento è stato notificato il giorno
10.12.2012.
Sorregge la valutazione sulla sussistenza di una
valida ragione di urgenza l’incipit dell’evocato
comma 7 dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000
n. 212 (statuto del contribuente) che richiama “il
rispetto del principio di cooperazione tra ammi­
nistrazione e contribuente” qualificando la nor­
ma come espressiva dei principi di capacità e
buona fede favorendo, e volendo, l’interlocuzio­
ne delle parti, prima della (eventuale) emanazio­
ne dell’atto impositivo, e dunque il contradditto­
rio procedimentale; ciò onde garantire al contri­
buente la facoltà di partecipare al procedimento
esprimendo le proprie osservazioni che l’Uffi­
cio, dal canto suo, è tenuto a valutare. Ne conse­
gue che il motivo di urgenza idoneo alla com­
pressione di tale diritto deve trovare fondata ra­
gione anche nel modo e nel tempo in cui è azio­
nato. Ritorna perciò necessario valutare i termini
dell’anticipazione non ritenendosi giustificabile
una anticipazione degli interi sessanta giorni pur
in presenza di motivi di urgenza, salvo che i
sessanta giorni soppressi non siano necessari al­
la salvaguardia del maggiore interesse protetto,
come potrebbe accadere con la necessità di noti­
ficare ad horas l’atto di accertamento esecutivo
a fronte del comprovato tentativo del contri­
buente di sottrarre beni agli atti esecutivi.
Pur ritenendo pertanto, in generale, che la sca­
denza del temine di decadenza per la notifica
dell’avviso di accertamento costituisca, almeno
astrattamente, un valido motivo di urgenza ido­
neo alla emissione ante tempus del provvedi­
mento, dovendosi in tal caso salvaguardare il
maggior interesse di carattere pubblicistico che
riveste l’efficiente esercizio della attività ammi­
nistrativa, nè intravedendosi nel caso specifico
una “comoda” inefficienza dell’ente impositore
che avrebbe invece potuto dequalificare il moti­
vo dello spirare della decadenza - essendo qui
l’attività ispettiva ed il PVC provenuti da organo
diverso, quale il corpo della Guardia di finanza
– è però necessario valutare se e quanto la misu­
ra della anticipazione sia tale da trovare giustifi­
cazione in strettissima connessione con il moti­
vo d’urgenza addotto, ovvero risulti eccessiva.
Ciò in coerenza con la enunciata qualificazione
della norma.
L’avviso di accertamento impugnato è stato no­
tificato il giorno 10 dicembre laddove lo spirare
del termine di decadenza giungeva dopo ben ul­
teriori 21 giorni, che in relazione ai sessanta co­
stituiscono una tempo ed una misura rilevante
pur volendosi debitamente considerare le esi­
genze pratiche ed i tempi necessari per eseguire
le necessarie notifiche. L’amministrazione, non
proprio imparzialmente, ha emanato l’avviso di
accertamento ancor prima, in data 30 novembre
2012, comprimendo il termine da 60 a 30 giorni,
laddove ben avrebbe potuto attendere ulterior­
mente senza nulla pregiudicare, salvaguardando
però la voluntas legis.
L’invocato motivo di urgenza della decadenza
del termine per la notifica dell’avviso di accerta­
mento appare inidoneo, in questo specifico caso,
a giustificare la misura di anticipazione del ter­
mine, ingiustamente compresso da 60 a 30 gior­
ni, connotando di illegittimità l’operato del­
l’A.F. e dunque la violazione di Legge. L’avviso
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di accertamento impugnato è pertanto affetto da
vizio insanabile di nullità.
Con ulteriore motivo parte ricorrente contesta
infine l’infondatezza dell’accertamento per esse­
re frutto di una “ricostruzione effettuata dal nu­
cleo di polizia Tributaria di Salerno e dall’Agen­
zia delle Entrate .... confusa e non rispondente ai
fatti”. Espone così il contenuto della prestazio­
ne, connettendola alla realtà e dimensioni azien­
dali, lamentando una genericità nell’operato e
nelle conclusioni dei verificatori, e dell’Agenzia
delle Entrate. Dal canto sua quest’ultima contro­
deduce attraverso un esame della struttura com­
plessiva della società fornitrice, evidenzia una
sostanziale inverosimiglianza del complesso
delle operazioni oggetto dei tanti contratti di
pubblicità e/o sponsorizzazione dalla stessa in­
trattenuti.
Il Collegio osserva che se l’impianto ammini­
strativo della società fornitrice oggetto di verifi­
ca è risultato carente, così come inadeguati i
mezzi tecnici a disposizione per erogare effetti­
vamente il servizio pubblicitario contenuto nelle
molteplici fatture emesse, tanto da costituire un
complesso di elementi indiziari tali da giustifi­
care, anzi imporre, i necessari approfondimenti
attraverso l’azione penale, obbligatoriamente in­
nescata con la denuncia da parte del Pubblico
Ufficiale, non altrettanto costituisce una prova
adeguata della falsità della operazione nel Giu­
dizio che ci intrattiene, e della conseguente
indeducibilità del relativo costo ed indetraibilità
IVA.
Si rileva infatti che una pluralità di elementi
convergono a favore della ricorrente. La misura
del corrispettivo fatturato (€ 18.000 IVA inclusa)
in proporzione ai volumi dei ricavi da essa pro­
dotti nell’esercizio, la visibilità della società vei­
colo per essere una società impegnata in un
campionato di calcio della serie “D” e dunque la
proporzione tra corrispettivo fatturato e valore
della prestazione, ed ancora la correttezza delle
proprie annotazioni contabili ed il pagamento
dell’intero corrispettivo fatturato, come accerta­
to dai verificatori. Tutto ciò va posto in relazio­
ne ed in contrapposizione ai fatti cui la G.d.F. ha
invece attribuito peso indiziario riferendosi però
alla genericità delle operazioni e fatturazioni po­
ste in essere dalla società di calcio; il pagamento
della sola iva delle fatture, ovvero l’omesso pa­
gamento del corrispettivo. Circostanze nessuna
riferibile alla ricorrente. D’altronde anche in re­
lazione alla significativa constatazione della
impossibilità di erogazione dei servizi, stanti i
rilevati limiti organizzativo strutturali della
società di calcio, si osserva che i verificatori
hanno però accertato che l’attività fosse “limita­
ta all’apposizione di un cartellone di dimensioni
variabili” ex adverso fosse effettivamente appo­
sta una cartellonistica, attività oggetto della fat­
tura rivolta alla ricorrente.
Se ne deduce che evidentemente l’attività ispet­
tiva ha ingiustamente travolto nella presunzione
di falsa fatturazione ogni e qualunque rapporto
economico emerso dalle fatture emesse per
pubblicità e sponsorizzazione. E’ lo stesso orga­
no ispettivo a riconoscere però, infra PVC, che i
soggetti economici indicati “possono ricondursi
ad operazioni in tutto o in parte inesistenti ...”.
Infine, per quanto non necessariamente rilevan­
te, parte ricorrente ha depositato decreto di ar­
chiviazione emesso dal GIUP relativo al proce­
dimento penale a carico dell’amministratore de­
legato della ricorrente.
Dagli elementi in campo l’operazione di cui alla
contestata fattura n. 33 in data 12.09.2003 dalla
S. S.p.A., dell’importo imponibile iva di €
15.000,00 IVA € 3.000,00, e la sottostante ope­
razione commerciale di servizi pubblicitari, ap­
paiono a questo Collegio, per le ragioni innanzi
descritte, regolari sotto il profilo sia formale che
sostanziale, e pertanto non v’era motivo per di­
sconoscerne la deduzione del costo ai fini IR­
PEG ed IRAP, nè per disconoscere la detrazione
dell’Iva esposta. L’accertamento è pertanto da
annullare.
P.Q.M.
La Commissione accoglie il ricorso e compensa
le spese.
_________
Il raddoppio dei termini nell’accertamento tribu­
tario
Nella pronuncia in rassegna la società ricorrente pro­
poneva ricorso avverso un avviso di accertamento
con il quale l’ufficio, a seguito di processo verbale
della G.d.F., accertava un diverso e maggiore imponi­
bile ai fini Iva, Irpeg ed Irap, in relazione all’utilizzo
di una fattura di acquisto riferita ad un’operazione
asserita come “inesistente”, ricevuta dalla società ri­
corrente.
Parte ricorrente dopo aver tempestivamente impu­
gnato l’avviso di accertamento, ha eccepito una
pluralità di vizi dell’operato dell’A.F.; in particolare:
la violazione e falsa applicazione dei disposti di cui
agli artt. 43, co. 3, D.P.R. n. 600/73 e 57 co. 3, D.P.R.
n. 633/772 atteso che l’avviso di accertamento risul­
tava notificato ben oltre i termini previsti, a pena di
decadenza, dai predetti articoli, con conseguente
nullità della pretesa tributaria, a nulla valendo il rad­
doppio dei termini di accertamento in caso di viola­
zione che comporti l’obbligo di denuncia penale.
Inoltre, ha contestato la violazione dell’art. 12 (Diritti
e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fi­
scali) comma 7, della legge 212/2000 (Disposizioni
in materia di Statuto dei Diritti del Contribuente) sia
per un’emissione dell’avviso di accertamento antici­
pata rispetto alla scadenza del termine dei 60 giorni
decorrenti dal rilascio della copia del verbale di con­
statazione, sia per l’assenza di un’adeguata motiva­
zione in ordine alla sua urgenza.
Infine, parte ricorrente ha obiettato l’infondatezza
dell’accertamento lamentando una genericità nell’o­
perato e nelle conclusioni dei verificatori e dell’A­
genzia delle Entrate.
Il collegio giudicante ha preliminarmente rigettato
l’eccezione della pretesa tributaria per decadenza dei
termini, a causa dell’omessa allegazione del docu­
mento “denuncia” al verbale di accertamento.
Invero, secondo il disposto dell’art. 43 D.P.R. n.
600/73 “gli avvisi di accertamento devono essere no­
tificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del
quarto anno successivo a quello in cui è stata pre­
sentata la dichiarazione”. In particolare il suddetto
articolo postula inoltre che: “In caso di violazione
che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art.
331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.lgs. n.
74/2000, i termini sono raddoppiati relativamente al
periodo d’imposta in cui è stata commessa la viola­
zione”. La società ricorrente ha lamentato sul punto
l’assenza delle condizioni abilitanti il raddoppio dei
termini, essenzialmente, a causa dell’omessa allega­
zione del documento “denuncia” all’avviso di accer­
tamento.
Ma, la presenza di un p.v.c. redatto dal corpo della
Guardia di Finanza – nucleo di polizia tributaria di
Salerno – avrebbe giustificato, secondo l’Agenzia
delle Entrate, l’invocato raddoppio dei termini per
l’accertamento, i cui termini, in conformità a quanto
stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n.
247/2011, non si innestano su quelli ordinari ma ope­
rano automaticamente in presenza di un fatto che ge­
nera l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari
previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, senza che l’Ammini­
strazione Finanziaria possa vantare un margine di
discrezionalità per la loro applicazione.
Difatti, con tale pronuncia la Consulta ha affermato
che il raddoppio dei termini per l’accertamento non è
correlato ad una valutazione soggettiva da parte dei
pubblici ufficiali, bensì opera se vi sono elementi
obiettivamente riscontrabili, atti a dimostrare l’insor­
genza dell’obbligo di denuncia penale.
In altri termini, il più ampio potere di accertamento
dell’A.F. non è giustificato soltanto dalla trasmissio­
ne della notitia criminis ma anche dalla sussistenza
dei presupposti dell’obbligo di denuncia, anche se il
reato potrebbe in concreto non sussistere. Si deve
tener presente che l’accertamento dell’illecito tributa­
rio da parte dell’ A.F. e l’accertamento del reato da
parte dell’autorità giudiziaria avvengono in modo au­
tonomo, se non che, tale separazione (c.d. doppio
binario), non esclude che i due soggetti accertatori
collaborino tra loro.
La motivazione va trovata nella possibilità che l’in­
dagine preliminare possa protrarsi per un periodo di
tempo superiore rispetto ai termini di prescrizione
dell’illecito tributario. Il giudice tributario infatti
dovrà controllare, se richiesto con i motivi d’impu­
gnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo
di denuncia, compiendo a riguardo una valutazione
ora per allora (c.d. prognosi postuma) circa la loro
ricorrenza ed accertando, quindi, se l’A. Finanziaria
abbia agito con imparzialità o abbia, all’opposto, fat­
to un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni
denunciate, onde fruire ingiustificatamente di un più
ampio termine di accertamento. In sostanza, l’unica
condizione affinché operi il raddoppio dei termini è
la constatazione dell’esistenza di una violazione per
la quale sussista l’obbligo di denuncia di reato tribu­
tario ex 331 c.p.p. indipendentemente dalla circostan­
za che tale obbligo sia stato o meno adempiuto (cfr.
C.T.P. di Brindisi, sentenza n. 355/13, dell’8/10/2013).
Con la seconda doglianza la società ricorrente ha im­
pugnato il provvedimento impositivo asserendo la
nullità dello stesso sia per violazione dell’art. 12 (di­
ritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche
fiscali) comma 7, della Legge 212/2000 (Statuto dei
diritti del Contribuente), poiché emanato con anticipo
rispetto alla scadenza del termine di 60 giorni decor­
renti dal rilascio della copia del verbale di constata­
zione, sia per l’assenza di una adeguata motivazione
in ordine alla sua urgenza.
Il motivo di opposizione testè citato è risultato fonda­
to. Difatti, la disposizione richiamata statuisce che
l’avviso di accertamento non può essere emanato pri­
ma della scadenza del termine di 60 giorni, salvo i
casi di “particolare e motivata urgenza”. La violazio­
ne del termine dilatorio di 60 giorni che decorre dalla
conclusione della fase ispettiva, si pone in contrasto
con il diritto di difesa del contribuente che, nella fat­
tispecie, si estrinseca nella facoltà di comunicare al
fisco osservazioni e richieste, nonché del correlativo
dovere in capo all’ente di valutare.
Sull’annullabilità dell’accertamento fiscale cd. “anti­
cipato” si sono pronunciate le Sezioni Unite della
Corte di Cassazione con la Sentenza del 14 Maggio –
29 Luglio 2013 n. 18184, con la quale è stato preci­
sato che il richiamato art. 12, comma 7, deve essere
interpretato nel senso che “l’inosservanza del termi­
ne dilatorio di 60 giorni per l’emanazione dell’avvi­
so di accertamento […] determina di per sé, salvo
che ricorrano specifiche ragioni d’ urgenza,
l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tem­
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pus, poiché detto termine è posto a garanzia del pie­
no dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il
quale costituisce primaria espressione dei principi di
derivazione costituzionale, di collaborazione e buona
fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto
al migliore e più efficace esercizio della potestà im­
positiva”.
Nel merito, il Collegio giudicante ha rilevato che
l’invocato motivo d’urgenza per la notifica dell’avvi­
so di accertamento risultasse inidoneo, nello specifi­
co caso, a giustificare l’anticipazione del termine, in­
giustamente compresso, connotando di illegittimità
l’operato dell’A.F. e, dunque, rilevando la violazione
di legge.
L’avviso di accertamento impugnato è, pertanto, ri­
sultato affetto da vizio insanabile di nullità.
Riguardo alla terza ed ultima questione affrontata da
giudice tributario, l’art. 109, comma 5, nuovo T.u.i.r.,
prevede, ai fini della corretta imputazione dei com­
ponenti negativi di reddito al periodo d’imposta, che
le spese e gli altri componenti negativi siano deduci­
bili se e nella misura in cui si riferiscano ad attività
da cui derivino ricavi o altri proventi che concorrano
a formare il reddito.
La prova del sostenimento e dei presupposti dei costi
concorrenti alla determinazione del reddito d’impre­
sa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta
imputazione ad attività produttive di ricavi, non spet­
ta quindi all’Amministrazione finanziaria che abbia
recuperato tali elementi denegandoli, quanto piutto­
sto al contribuente che ne invoca la deducibilità (cfr.
Corte di Cassazione, Sent. n. 739/2010) pertanto,
quest’ultimo, qualora sia sottoposto ad una verifica
potrà eccepire, a difesa della propria scelta, di aver
trattato fiscalmente le sponsorizzazioni come spese
di pubblicità. A tal fine, può rivelarsi utile:
- documentare mediante contratti, accordi ecc.. la
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sponsorizzazione effettuata, individuando, dettaglia­
tamente, le parti, l’oggetto della sponsorizzazione, i
costi sostenuti o da sostenersi ecc.;
- conservare tutti i documenti relativi alla pubbli-cità
del marchio-prodotto-servizio (es. foto di eventi, stri­
scioni, tabelloni e altro materiale riportante la deno­
minazione dell’azienda-sponsor, ovvero copia delle
fatture per l’acquisto-produzione di tale materiale);
documentazione questa che si rileverà particolarmen­
te utile nell’eventuale sede contenziosa;
- motivare la scelta e l’importanza di una determinata
pubblicità o sponsorizzazione per l’attività svolta
dall’azienda, ad esempio soffermandosi sulla tipolo­
gia di clientela che dovrebbe essere coinvolta dalla
sponsorizzazione; scelta questa di per sé, insindaca­
bile da parte del Fisco.
A ben vedere, non si tratta di un’inversione dell’one­
re della prova ma dell’applicazione del principio ge­
nerale contenuto nell’art. 2697 del c.c., secondo il
quale il contribuente che vuole ottenere il riconosci­
mento di un determinato risultato positivo deve pro­
varlo. Nella fattispecie in esame si è dibattuto in or­
dine alla circostanza che la fattura ricevuta dalla
società, a seguito di prestazioni pubblicitarie e pro­
mozionali erogate da terzi nei suoi confronti, si rife­
risse ad una operazione inesistente, con conseguente
impossibilità dell’ufficio di riconoscere la
deducibilità del relativo costo. La società ricorrente
ha contestato, ed il motivo di censura è stato accolto,
l’infondatezza dell’accertamento lamentando una
genericità nell’operato e nelle conclusioni dei verifi­
catori e dell’Agenzia delle Entrate, frutto di una rico­
struzione confusa e non rispondente ai fatti e che, in
particolare, non ha tenuto conto della realtà e delle
dimensioni aziendali.
Giovanni Caiazza e Cristina Del Gaizo
Accertamento
OPERAZIONE FRA SOGGETTO NON RESIDENTE
E RESIDENTE: MOMENTO IMPOSITIVO
AI FINI IVA
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. XVIII, 28 novembre 2013, n. 660
Pres. Del Grosso – Rel. Orilia
Accertamento dell’imposta sul valore
aggiunto – Imposta sul valore aggiunto
– Operazione effettuata direttamente da
soggetto non residente nei confronti di
soggetto di imposta nazionale – Indivi­
duazione del momento impositivo – E’
quello della consegna/fatturazione del
bene anziché quello della estrazione dal
deposito fiscale
In ipotesi di operazione effettuata direttamente
da soggetto non residente nei confronti di sog­
getto di imposta nazionale, il momento imposi­
tivo va individuato nella consegna e fatturazio­
ne del bene compravenduto, risultando inin­
fluente la estrazione di quest’ultimo dal deposi­
to fiscale operata dal rappresentante fiscale del
cedente quale spedizioniere che provvede al
trasporto e consegna per conto del cessionario.
Svolgimento del processo
Le società “E.P.I.” e “A.B.” s.r.l., così come di­
fese e rappresentate in atti, quali coobbligati in
solido, propongono avverso l’avviso di accerta­
mento col quale l’Agenzia delle EntrateDirezione Provinciale di Salerno, in relazione
all’anno d’imposta 2008 e sulla base delle risul­
tanze di un p.v.c. emesso dalla G.G.F.F. di Agro­
poli, accertava la effettuazione di operazioni im­
ponibili IVA non dichiarate per € 2.074.824,00.
La pretesa tributaria traeva origine dalle conclu­
sioni a cui erano pervenuti i verbalizzanti secon­
do cui la società portoghese “E.P.I” e, per essa,
la società “A.B.” s.r.l., sua rappresentante fiscale
in Italia, avrebbe ceduto alla società italiana
“A.”s.r.l. merci provenienti dalla Cina e spediti
direttamente in Italia senza il preventivo transito
in Portogallo.
I ricorrenti eccepiscono, in via preliminare ed
assorbente la inesistenza giuridica dell’atto im­
pugnato perché avvenuto a mezzo posta, per
violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e
56 D.P.R. n. 633/72, 7 L. 212/2000, nonché del­
l’art. 21- septies L. 241/90 per indeterminatezza
del suo destinatario.
In via principale ne eccepiscono la carenza di
motivazione stante il pedissequo riferimento al
contenuto del p.v.c., nonché la sua emissione in
violazione dell’art. 54, comma 5, D.P.R. n.
633/72 non avendo l’Ufficio offerto prova di
una autonoma attività di valutazione ed accerta­
mento.
Eccepiscono altresì la mancata instaurazione del
dovuto preventivo contraddittorio ex art. 12,
comma 7, L. 212/2000 nonostante proprie me­
morie all’uopo presentate e completamente di­
sattese dall’Ufficio.
Nel merito contestano le conclusioni a cui sono
pervenuti i verbalizzanti che avrebbero presunto
la evasione di imposta ignorando completamen­
te la natura intracomunitaria della vendite conte­
state. E, al riguardo, producono una articolata e
dettagliata elencazione di circostanze che, a loro
avviso, dimostrerebbe la assoluta estraneità alla
vendita contestata società della “A.” s.r.l. che,
nel caso di specie, non avrebbe agito quale come
rappresentante fiscale della società “E.P.I.”. Ec­
cepita infine la illegittima applicazione delle
sanzioni, previa istanza di sospensione ex art. 47
Dlg.vo n. 546/92, concludono per l’annullamen­
to dell’atto impugnato con conseguente condan­
na alla refusione delle spese di lite.
Si costituisce l’Ufficio con proprie controdedu­
zioni depositate il 18.09.2013 con cui, contrasta­
to tutto quanto ex adverso dedotto, conclude per
il rigetto tanto della istanza di sospensione quan­
to del ricorso con condanna dei ricorrenti al pa­
gamento delle spese di lite.
In data 17.10.2013 parte ricorrente deposita do­
cumenti a supporto della propria linea di difesa
45
e, in data 25.10.2013, l’Ufficio deposita memo­
rie illustrative con cui insiste sulla infondatezza
delle eccezioni sollevate da controparte.
In data 28.10.2013 quest’ultima deposita ulterio­
ri memorie con cui insiste come da ricorso intro­
duttivo.
Motivi della decisione
46
Osserva la Commissione che la pretesa fiscale si
fonda sulla contestata omessa dichiarazione di
operazioni imponibili ai fini IVA che le società
ricorrenti ritengono invece operazioni intraco­
munitarie intercorse tra la società portoghese
“E.P.I.” (cedente) e la società italiana
“A.V.s.r.l.” (cessionaria) per il tramite della
società “A.B.” s.r.l. nella sua qualità di rappre­
sentante fiscale in Italia della prima.
Parte ricorrente, preliminarmente, solleva nume­
rose eccezioni in punto di diritto che, ad avviso
di questa Commissione, vanno disattese in ra­
gione della loro palese infondatezza, peraltro,
posta in buona evidenza dalle condivisibili me­
morie di costituzione ed illustrative prodotte da
parte resistente.
Ciò posto, la controversia va affrontata e risolta
nel merito.
Le società ricorrenti assumono che, contraria­
mente a quanto sostenuto dai verbalizzanti e
condiviso dall’Ufficio, per la cessione di beni
che qui occupa, unica destinataria degli obblighi
di versamento IVA in regime di reverse charge
rimaneva la società “A.V.s.r.l.” che, per stessa
ammissione dei verbalizzanti, aveva intrattenuto
rapporti commerciali unicamente con la società
“E.P.I.” e non anche con la società “A.B.” s.r.l..
In buona sostanza esse ritengono che tale ultima
società ha operato unicamente quale spedizio­
niere che ha provveduto al trasporto dei beni per
conto della società cessionaria e, pertanto, a loro
parere, piuttosto che all’atto della estrazione dei
beni dal deposito fiscale, il momento impositivo
andava individuato nella consegna e fatturazione
dei beni medesimi operate direttamente dalla
“E.P.I” alla “A.V. s.r.l.”.
L’Ufficio sostiene, invece, che la estrazione dei
beni dal deposito fiscale effettuata dalla “A.B.”
s.r.l. ne aveva comportato la nazionalizzazione
e, quindi, la relativa cessione andava considerata
come avvenuta tra due soggetti titolari di partita
IVA italiana con conseguentemente suo assog­
gettamento ad IVA.
Tale ultima tesi non può essere condivisa per­
ché, con essa, l’Ufficio ha inteso attribuire al
rappresentante fiscale una soggettività fiscale
che va ben oltre i diritti e gli obblighi impostigli
dalla normativa vigente in materia.
Ed invero il novellato art. 17, comma 2, D.P.R.
n. 633/72 testualmente dispone che “Gli obbli­
ghi relativi alle cessioni di beni e alle prestazio­
ni di servizi effettuate nel territorio dello Stato
da soggetti non residenti nei confronti di sogget­
ti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, com­
presi i soggetti indicati all’articolo 7-ter, comma
2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari
o committenti.” … omissis ...
Alla luce di detta disposizione, da ritenersi ap­
plicabile al caso di specie in un’ottica di giusti­
zia sostanziale ed in applicazione del principio
della retroattività della lex mitior, non v’è dub­
bio che il soggetto passivo IVA rimane esclusi­
vamente la società “A.V.s.r.l.” nella sua qualità
di cessionario nel rapporto di compravendita in­
tervenuto con la società portoghese “E.P.I.”.
Diversamente opinando si perverrebbe alla ille­
gittima conclusione di voler pretendere l’assol­
vimento dell’IVA, da parte del soggetto che, pur
se ha provveduto alla estrazione dei beni dal de­
posito IVA, certamente, non può essere conside­
rato soggetto passivo d’imposta atteso che la
procedura di autoliquidazione dell’IVA si so­
stanzia col meccanismo della inversione conta­
bile (c.d. reverse charge) di cui, a norma del
citato art. 17, comma 2, D.P.R. n. 633/72, è one­
rato esclusivamente il cessionario.
E non va sottaciuto altresì che, comunque, acco­
gliendo la tesi di parte ricorrente secondo cui la
società “A.B.” s.r.l. va ritenuta quale soggetto
estraneo alla cessione intracomunitaria che qui
occupa, non verrebbe a cagionarsi alcun danno
erariale in ragione proprio della neutralità di cui
è connotata l’IVA rispetto al numero di passaggi
intermedi che precedono l’arrivo del bene al
consumatore finale.
Consegue che, pur a voler ritenere meritevole di
accoglimento la tesi dell’Ufficio, nel caso in
esame, alle ricorrenti società potrebbero essere
contestate unicamente delle irregolarità formali
inidonee, però, a suffragare la fondatezza del­
l’atto qui impugnato. Ma v’è di più!
Qualora questa Commissione dovesse rimanere
dell’avviso di ritenere fondata la tesi di parte
resistente, la società “A.B.” s.r.l. si vedrebbe co­
stretta a versare l’IVA richiesta con l’avviso di
accertamento
impugnato
senza
alcuna
possibilità di esercitare il proprio diritto di rival­
sa. Così come, con i passaggi successivi alla
contestata cessione di beni da questa effettuata
nei confronti della società “A.” s.r.l., trovereb­
bero ingresso le condizioni per cui l’intera IVA
gravante sui consumatori finali verrebbe versata
all’Erario.
Non v’è dubbio alcuno che dette circostanze
comporterebbero una sicuro indebito arricchi­
mento dell’Erario che andrebbe ad incamerare
l’IVA pretesa dalle ricorrenti società pur incas­
sando per le vie ordinarie l’IVA dovuta a seguito
della immissione nel mercato italiano dei beni
ceduti dalla società portoghese “E.P.I.”.
Le su esposte considerazioni, impregiudicata la
facoltà per l’Ufficio di agire in ordine ad even­
tuali irregolarità formali poste in essere dalle ri­
correnti società, inducono questa Commissione
ad accogliere il ricorso e, per l’effetto, ad annul­
lare l’avviso di accertamento qui impugnato.
Data la particolarità della controversia trattata, si
ritengono sussistenti giustificati motivi per di­
sporre la compensazione delle spese di giudizio
tra le parti.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Provinciale di Saler­
no - sezione diciottesima - definitivamente pro­
nunziando sulla opposizione proposta dalla
società “E.P.I.” e “A.B.” s.r.l. accoglie il ricorso
e dichiara integralmente compensate tra le parti
le spese di giudizio.
47
Procedimento e processo
E’ GIURIDICAMENTE INESISTENTE LA NOTIFICA
DELL’ACCERTAMENTO COL RITO DELL’
IRREPERIBILITA’ ASSOLUTA AL DESTINATARIO
SOLO TEMPORANEAMENTE ASSENTE
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. VI, 4 giugno 2013, n. 378
Pres. Oricchio – Rel. Nola
Notificazioni atti impositivi – Notifica­
zione dell’accertamento col rito degli ir­
reperibili assoluti a contribuente solo
temporaneamente assente – Inesistenza
giuridica della notificazione – Conse­
gue
In ipotesi di irreperibilità assoluta del contri­
buente, è valido il ricorso al procedimento noti­
ficatorio di cui all’art. 60, 1 c. lett.e), del D.P.R.
n. 600 del 1973, soltanto se, previe congrue e
documentate ricerche da parte del messo notifi­
catore, il contribuente risulti irreperibile nel co­
mune ove deve eseguirsi la notificazione perché
non vi è abitazione, ufficio o azienda. Di contro,
in ipotesi di irreperibilità meramente relativa
del destinatario, piuttosto che assoluta, è giuri­
dicamente inesistente il procedimento notificato­
rio di cui al richiamato art. 60, comma I, lett.e),
del D.P.R. n. 600 del 1973 se la relazione di
notificazione dell’ufficiale notificatore risulti
priva delle ricerche effettuate ed emerga dagli
atti di causa che il destinatario della notifica
risulti in realtà effettivamente residente nel co­
mune.
Svolgimento del processo
48
Con ricorso depositato l’8.2.12 l’intestato con­
tribuente ha proposto impugnazione avverso
l’avviso di accertamento in epigrafe concernente
Irpef, addizionali Regionali Comunali, Irap ed
Iva con relativi interessi e sanzioni per l’anno
2006, con il quale ai sensi dell’art. 43 D.P.R. n.
600/73, venivano accertati induttivamente, mag­
giori ricavi e maggior volume d’affari a fronte
del dichiarato. Opponeva il ricorrente, in via
pregiudiziale, la nullità dell’avviso di accerta­
mento per inesistenza giuridica della notificazio­
ne per violazione dell’art. 60 DPR n. 600/73 per
inosservanza delle formalità previste per carenza
delle condizioni di applicabilità dell’accerta­
mento integrativo perché emesso in violazione
dell’art. 43 DPR n. 600/73; nel merito, deduceva
l’infondatezza dell’avviso impugnato per man­
cato riconoscimento dei giustificativi, dei costi e
per palesi errori di calcolo. Resisteva l’Agenzia
delle Entrate Direzione Provinciale di Salerno la
quale premesso che all’esito del riesame richie­
sto dal contribuente con istanza del 13.12.11,
nelle cui more era stato interposto l’odierno gra­
vame, era stato reso, in autotutela, provvedimen­
to di annullamento parziale dell’accertamento
impugnato per cui la controversia doveva essere
ricondotta nei minori importi come ridetermina­
ti, eccepiva l’intervenuta sanatoria della nullità e
non inesistenza della notificazione per raggiun­
gimento dello scopo, ancorchè il vizio non fosse
ascrivibile all’Agenzia per aver affidato tale ser­
vizio al Comune di P.F. che vi aveva provveduto
a mezzo messo comunale; deduceva la diversa
natura degli atti di accertamento notificati al
contribuente, l’uno generato dall’accertamento
con metodo sintetico, in ragione di incrementi
patrimoniali e spese indice di capacità contribu­
tiva, l’altro scaturente da indagini finanziarie;
evidenziava il mancato assolvimento dell’onere
probatorio quanto alle restanti movimentazioni,
non già riconosciute in sede di autotutela mentre
ai fini Iva era cessata la materia del contendere
perché oggetto di annullamento in sede, appunto
di autotutela. Acquisite memorie illustrative e
documentazioni a sostegno da parte ricorrente
alla pubblica udienza del 27.11.12, sulle conclu­
sioni delle parti, la Commissione rendeva la pre­
sente decisione.
Motivi della decisione
In via pregiudiziale va esaminata la questione
della notifica dell’avviso di accertamento. Per la
notifica degli avvisi di accertamento la normati­
va prevede, ai fini fiscali, una diversa disciplina
a seconda che si tratti di irreperibilità relativa
del contribuente o irreperibilità assoluta del con­
tribuente. Nelle ipotesi di irreperibilità relativa
del contribuente è applicabile soltanto l’art. 140
c.p.c. che testualmente dispone: “Se non è possi­
bile eseguire la consegna per irreperibilità o per
incapacità o rifiuto delle persone indicate nel­
l’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario de­
posita la copia nella casa del comune dove la
notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del
deposito in busta chiusa e sigillata alla porta del­
l’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del de­
stinatario e gliene dà notizia per raccomandata
con avviso di ricevimento. L’applicazione del
suddetto art. 140 c.p.c. è tassativamente prevista
ai fini fiscali, anche dall’art. 60, comma I,
D.P.R. n. 600/1973. Nelle ipotesi di irreperibilità
assoluta del contribuente è applicabile, invece
soltanto l’art. 60, comma I, lett. c. D.P.R n.
600/73, che testualmente dispone, nella specifi­
ca materia fiscale: “Quando al comune nel quale
deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazio­
ne, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso
del deposito prescritto dall’art. 140 del codice di
procedura civile, in busta chiusa e sigillata, si
affigge nell’albo del comune e la notificazione,
ai fini della decorrenza del termine per ricorrere,
si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo
a quello di affissione” (a seguito delle modifiche
inserite dall’art. 174, comma 4, del D.L.gs. n.
196 del 30/06/2003, a decorrere dal 1° gennaio
2004). Secondo la costante giurisprudenza della
Corte di Cassazione, la notificazione dell’avviso
di accertamento deve essere effettuata secondo il
rito previsto dall’art. 140 cod. proc. civ. quando
siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del
destinatario, ma non si sia potuto eseguire la
consegna perché questi (o altro possibile conse­
gnatario) non è stato rinvenuto in detto indiriz­
zo, da dove tuttavia non risulta trasferito: men­
tre, deve essere effettuata applicando la discipli­
na di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art.60,
lett.c), sostituito, per il procedimento tributario,
dall’art. 143 cod. proc. Civ., quando il messo
notificatore non reperisca il contribuente che,
dalle notizie acquisite all’atto della notifica, ri­
sulti trasferito in luogo sconosciuto (v. tra le al­
tre Cass. n. 10189/2003, n. 7268/2002, n.
4587/1997). Ed è proprio quest’ultima la fattis­
pecie controversa.
Dalla disamina della relazione di notifica del­
l’avviso impugnato risulta che il messo si è av­
valso della disciplina di cui al richiamato art. 60.
1 c. lett.c). In proposito, deve rammentarsi un
nutrito orientamento della Corte di Cassazione
secondo il quale la notificazione ai sensi del
succitato art. 60, lett. e), è valida soltanto se non
sia effettivamente possibile reperire l’abitazione,
l’ufficio o l’azienda del contribuente nel comune
ove il medesimo ha il domicilio fiscale, malgra­
do le ricerche del messo notificatore, sempre
che queste, secondo giudizio di fatto insindaca­
bile in sede di legittimità, siano state sufficienti
(Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n.
22677 del 25/10/2007 e sentenza n. 7120/2003.
n. 5100/1997, n. 4654/1997, n. 8363/1993). In
ogni caso, l’interpretazione del documento con­
tenente l’attestazione del messo notificatore
spetta soltanto al giudice di merito, al quale
compete altresì la valutazione circa la sufficien­
za o meno delle ricerche effettuate dal messo
notificatore prima di procedere alla notifica, ai
sensi dell’art. 60, lett. c), D.P.R. n. 600/1973,
valutazione che costituisce giudizio di fatto in­
sindacabile in sede di legittimità (Cassazione,
sentenza n. 5100 del 1997). Orbene, ritiene que­
sta Commissione che nella specie, detta attesta­
zione non sia sufficiente (rectius) è del tutto
manchevole delle ricerche effettuate, specie, se
raffrontate con la documentazione offerta dal ri­
corrente, certificato storico di residenza del Co­
mune di Pontecagnano del 29.10.12 dal quale si
evince che il ricorrente è ivi residente alla via
A.C. fin dal 1986: intervenuta notifica (23.4.12),
a cinque mesi di distanza dalla notifica dell’ac­
certamento (11.11.11) dell’annullamento parzia­
le in autotutela presso la sede dell’azienda, rela­
ta di notificazione che esplica efficacia relativa­
mente all’attività svolta dal notificatore circa la
constatazione di fatti avvenuti in sua presenza
ed il ricevimento delle dichiarazioni resegli, li­
mitatamente al loro contenuto estrinseco, ma fa
fede, invece, fino a prova contraria per tutte le
altre attestazioni che non siano frutto della diret­
ta percezione del pubblico ufficiale, evidenzian­
dosi nel caso di specie, che la prova contraria
offerta (documentale) offre spunti per condurre
a ritenere inesistente la relativa notificazione,
vertendosi in ipotesi di irreperibilità meramente
“relativa” del destinatario (cioè nei casi previsti
dall’art. 140 del codice di procedure civile) piut­
tosto che di irreperibilità “assoluta”. Le
formalità previste per la notifica di cui al succi­
tato art. 60, I c. lett. c) hanno carattere essenzia­
le, e, come tali, sono essenziali per la costituzio­
ne della fattispecie notificatoria, sicchè la loro
mancanza non può considerarsi un semplice vi­
49
zio ab estrinseco, con mera efficacia invalidante
del processo notificatorio e come tale suscettibi­
le di sanatoria, ma si risolve nella mancanza di
un elemento essenziale di esso ed esclude in ra­
dice che la notificazione possa ritenersi eseguita
neppure in forma viziata giacchè l’ipotesi del
vizio presuppone pur sempre un procedimento
completato nei suoi momenti strutturali fonda­
mentali. Né rilevante ai fini della dedotta inesi­
stenza della notifica, la carenza di legittimazione
dell’Amministrazione dell’Agenzia, in virtù del
rapporto di mandato ex lege con l’ente locale,
circa i vizi della notifica afferenti i motivi addot­
ti piuttosto alla responsabilità imputabile. Alla
50
luce degli esposti rilievi e per le ricadute conse­
quenziali degli stessi in punto di diritto possono
considerarsi assorbite le restanti questioni solle­
vate dalla difesa istante accogliendosi, pertanto,
il ricorso con conseguente annullamento dell’ac­
certamento impugnato. In considerazione della
complessità della questione trattata, sussistono
giusti motivi per compensare le spese tra le par­
ti.
P.Q.M.
La Commissione accoglie il ricorso Compensa
le spese. Cosi deciso in Salerno il 27.11.2012
Procedimento e processo
E’ IMPUGNABILE IL PREAVVISO DI
FERMO AMMINISTRATIVO
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione staccata di Salerno
Sez. XII, 3 luglio 2012, n. 417
Pres. Marena – Rel. Grande
Procedimento e processo – Processo tri­
butario – Atti impugnabili – Atti non
contenuti nell’elencazione di cui all’art.
19 D.Lgs. n. 546/1992 – Sono impugna­
bili se portano a conoscenza del contri­
buente una pretesa tributaria ben indivi­
duata – Preavviso di fermo amministra­
tivo – E’ Tale – Autonoma impugnabilità
– Consegue
Il preavviso di fermo amministrativo, emesso a
norma del combinato disposto degli artt. 86 e
50 del D.P.R. n. 602/73, è un atto impugnabile
anche se non compreso, specificamente, nell’e­
lenco degli atti impugnabili previsto dall’art. 19
del D.lgs. n. 546/92, perchè deve ritenersi impu­
gnabile ogni atto che porti comunque a cono­
scenza del contribuente una ben individuata
pretesa tributaria, in quanto sorge in capo al
contribuente destinatario, già al momento della
ricezione della notizia, l’interesse ex art. 100
c.p.c.
Svolgimento del processo
L’agente per la riscossione dei Tributi Equitalia
Polis, propone tempestivo appello avverso la
sentenza n. 108/08/2011 pronunciata dalla Com­
missione Tributaria Provinciale di Salerno av­
verso il provvedimento di preavviso di fermo
amministrativo emesso in data 12/02/2010 con il
quale si invitava il ricorrente C. M. a pagare,
entro il termine di giorni 20 dalla notifica, la
somma di € 1.599,19 relativa a n. 8 cartelle di
pagamento regolarmente notificate e non pagate.
Il contribuente con il ricorso introduttivo fa rile­
vare che non ha mai ricevuto notificate le cartel­
le di pagamento indicate nell’atto contestato
conseguentemente eccepisce la prescrizione di
tutte le somme iscritte a ruolo.
Deduce altresì che la pretesa creditoria è relativa
a presunti tributi dovuti dall’impresa individuale
cessata fin dal 1995.
Equitalia Polis costituitasi in giudizio controde­
duce, in via preliminare, l’ammissibilità del ri­
corso perché il preavviso è un atto non impu­
gnabile.
Nel merito contesta le argomentazioni proposte
dal ricorrente e conclude eccependo il difetto di
legittimazione passiva.
L’Agenzia delle entrate e la Camera di Commer­
cio si costituiscono in giudizio per invocare il
difetto di legittimazione passiva.
Il Giudice di prime cure accoglieva il ricorso sul
presupposto che la ricorrente ha correttamente
provato la fondatezza delle sue richiesta.
Avverso l’impugnata sentenza propone appello
Equitalia Polis lamentando che la stessa è pale­
semente errata perché omette di pronunciarsi su
punti decisivi della controversia. Relativamente
alla mancata notifica delle cartelle di pagamento
fa presente di aver proceduto a norma dell’art.
26 del D.P.R. n. 602/73 e di aver allegato alla
costituzione in primo grado gli avvisi di ricevi­
mento delle notifiche.
Relativamente alla invocata prescrizione fa pre­
sente che avendo dimostrato la regolare notifica
delle cartelle esattoriali il preavviso di fermo
amministrativo può essere impugnato solo per
vizi propri che nel caso in esame non sono stati
lamentati.
Conclude con la richiesta, in riforma della sen­
tenza impugnata, di accogliere l’appello e di­
chiarare valide ed efficaci le cartelle di paga­
mento con vittoria delle spese. Il contribuente,
ritualmente rappresentato e difeso dall’avv. M.
C., con controdeduzioni depositate in data
13/10/2011 si è costituito nel presente grado di
giudizio per insistere sui motivi di ricorso e ri­
badire di non aver ricevuto le notifiche delle
cartelle di pagamento perché non più residente a
51
Padula fin dal 1998.
Contestualmente produce anche appello inciden­
tale per contestare il difetto di motivazione e in
ordine alla compensazione delle spese di giudi­
zio.
Motivi della decisione
L’appello è fondato e merita accoglimento.
La Commissione in via preliminare è chiamata a
decidere sulla richiesta inammissibilità del ricor­
so del preavviso di fermo amministrativo perché
“è atto improduttivo di effetti giuridici nella sfe­
ra del ricorrente”.
La tesi dell’appellante non è condivisibile per­
ché la giurisprudenza costante di legittimità e di
merito ritiene che il preavviso di fermo ammini­
strativo, emesso a norma del combinato disposto
degli artt. 86 e 50 del D.P.R. n. 602/73, è un atto
impugnabile anche se non compreso, specifica­
mente, nell’elenco degli atti impugnabili previ­
sto dall’art. 19 del D.lgs. n. 546/92. In proposito
la Suprema Corte di Cassazione ha affermato il
principio, condiviso da questo Collegio, che
“deve ritenersi impugnabile ogni atto che porti,
comunque a conoscenza del contribuente una
ben individuata pretesa tributaria, in quanto
sorge in capo al contribuente destinatario, già
al momento della ricezione della notizia, l’inte­
resse, ex art. 100 c.p.c.”, il preavviso di fermo
amministrativo impugnato è stato emesso, aven­
done la facoltà e il potere, dal concessionario
della riscossione ai sensi dell’art. 86 D.P.R. n.
52
602/73 in presenza del mancato pagamento, nel
termine di sessanta giorni dalla notifica come
previsto dall’art. 50 stesso decreto, delle cartelle
indicate nell’allegato al provvedimento di preav­
viso di fermo amministrativo ed è finalizzato al­
la garanzia del credito vantato da Equitalia nel
caso di mancato pagamento spontaneo del cari­
co a ruolo.
Nel caso in esame, premesso che dagli avvisi di
ricevimento in atti risultano regolarmente notifi­
cate la cartelle di pagamento n. …, n. ..., n. ..., n.
... e n. ... recanti un debito di € 1.043,72 su n. 8
cartelle indicate nell’allegato elenco, prodromi­
che al preavviso di fermo amministrativo, lo
stesso può essere impugnano solo per vizi pro­
pri, art. 19 c.3 D.lgs. n. 546/92, e qualunque
altra eccezione non può che essere ritenuta
inammissibile. Per quanto sopra argomentato la
Commissione ritiene inammissibile l’invocato
annullamento del ruolo proposto nel ricorso in­
troduttivo e reiterato nelle controdeduzioni e
parzialmente fondata l’eccezione della mancata
notifica delle cartelle di pagamento.
Pertanto il Collegio, in riforma della sentenza
impugnata, accoglie l’appello e conferma l’atto
impugnato.
Il contrasto giurisprudenziale giustifica la com­
pensazione delle spese di giustizia tra le parti.
La Commissione
P.Q.M.
Accoglie l’appello e compensa le spese.
Procedimento e processo
L’ESCUSSIONE DI POLIZZA FIDEIUSSORIA A
GARANZIA DI OBBLIGAZIONI TRIBUTARIE NON
RIENTRA NELLA SFERA DI COGNIZIONE
DEL GIUDICE TRIBUTARIO
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. XVIII, 26 agosto 2013, n. 475
Pres. Oricchio – Rel. Molinaro
Procedimento e processo – Processo tri­
butario – Art. 2, D.Lgs. n. 546/1992 –
Escussione di polizza fideiussoria rila­
sciata a garanzia di obbligazioni tributa­
rie – Giurisdizione del Giudice tributario
– Non sussiste
La controversia riguardante l’escussione di una
polizza fideiussoria rientra nella giurisdizione
del giudice ordinario e non è attratta nella ri­
serva della giurisdizione tributaria, anche nel
caso in cui sia concessa a garanzia di obbliga­
zioni di natura tributaria.
Svolgimento del processo
Con atto consegnato 1’8/6/2012 all’Agenzia del­
le Dogane di Salerno, depositato nella Segreteria
di questa Commissione Tributaria il 25.6.2012,
la A.C.I. NV, rappresentata e difesa dall’avv.
G.D., ha proposto ricorso avverso l’invito al pa­
gamento notificato il 22/5/2012, con il quale le è
stato richiesto di versare la somma di euro
1.000.000,00, quale importo massimo garantito
con la polizza fideiussoria stipulata l’8/7/1999 e
successiva appendice del 10/4/2003 in favore
della M. s.r.l., esercente un deposito fiscale per
la preparazione e commercializzazione di oli lu­
brificanti, società alla quale con due avvisi di
accertamento e due atti di contestazioni è stato
richiesto il pagamento della somma di oltre
17.000.000,00 di euro in dipendenza di violazio­
ni tributarie.
La società ricorrente, precisato che la fideiussio­
ne riguardava l’accisa eventualmente dovuta
dalla garantita società M. con riferimento alla
licenza di esercizio relativa all’attività dell’im­
pianto di miscelazione o rigenerazione di oli lu­
brificanti sito in N. e premesso, altresì, che l’A­
genzia delle Dogane di Salerno, a seguito di co­
municazione della M. concernente la vendita al­
la società M.G. di tutte le attrezzature, macchi­
nari e serbatoi del predetto impianto, con prov­
vedimento 29.12.2010, aveva concesso la licen­
za di esercizio all’acquirente società M.G. con
decorrenza 1/1/2011, deduce la infondatezza
della pretesa avanzata dall’Agenzia delle Doga­
ne nei suoi confronti per intervenuta decadenza,
in quanto tale pretesa è scaturita da verifiche
fiscali effettuate nei confronti della M. a distan­
za di un oltre un anno dalla cessione
dell’attività, verifiche conclusesi con l’emissio­
ne di atti di accertamento comunicati solo in da­
ta 11/4/2012 ad essa società ricorrente.
Precisa, infatti, che l’obbligazione fideiussoria
aveva validità ed efficacia entro i sei mesi suc­
cessivi alla cessione del deposito fiscale e ciò al
fine di consentire al beneficiario di effettuare i
controlli di competenza.
Con controdeduzioni 19/9/2012, l’Agenzia delle
dogane deduce preliminarmente il difetto di giu­
risdizione del giudice tributario, in quanto la
controversia ha ad oggetto l’obbligazione di ga­
ranzia assunta dalla società ricorrente, obbliga­
zione che, benché collegata a quella tributaria
della società garantita, ha una propria
individualità e si caratterizza come obbligazione
di natura civilistica.
Deduce, inoltre, il difetto di legittimazione pas­
siva della società ricorrente ad impugnare gli av­
visi di accertamento emessi nei confronti della
società garantita. Quanto al merito delle conte­
stazioni sollevate dalla società ricorrente in ordi­
ne alla pretesa decadenza dell’Agenzia delle
Dogane dal diritto di escutere la polizza, precisa
che l’art. 3 del contratto di fideiussione invocato
dalla società ricorrente e rubricato durata della
garanzia, si riferisce al periodo di vigenza della
copertura della garanzia non a quello relativo
all’escussione della polizza.
Con memorie aggiuntive 24/5/2013, la società
A. ribadisce ed illustra ulteriormente i motivi
per cui deve ritenersi che l’Agenzia delle Doga­
53
ne di Salerno sia decaduta dal diritto di escutere
la polizza.
Con memorie illustrative 3/6/2013, l’Agenzia
delle Dogane ribadisce l’eccezione di difetto di
giurisdizione del giudice tributario ed insiste
nelle difese già articolate con la memoria di co­
stituzione.
Motivi della decisione
L’eccezione sollevata dall’Agenzia delle Doga­
ne con riferimento al difetto di giurisdizione di
questo giudice sulla materia oggetto di ricorso è
pienamente fondata, atteso che la controversia
riguardante l’escussione di una polizza fideius­
soria rientra nella giurisdizione del giudice ordi­
nario e non è attratta nella riserva della giurisdi­
zione tributaria, anche nel caso in cui sia con­
cessa a garanzia di obbligazioni di natura tribu­
taria.
Ed infatti, come più volte chiarito dalle Sezioni
Unite della Suprema Corte di Cassazione, ben­
ché fra loro collegate, l’obbligazione principale
e quella fideiussoria mantengono una propria
individualità non soltanto soggettiva, data
l’estraneità del fideiussore al rapporto richiama­
to dalla garanzia, ma anche oggettiva in quanto
la causa fideiussoria è fissa ed uniforme, mentre
l’obbligazione fideiussoria può basarsi su qual­
siasi altra causa idonea allo scopo.
Conseguentemente, la disciplina dell’obbliga­
zione garantita non influisce su quella della fi­
deiussione per la quale, stante la sua natura di
rapporto di diritto privato, continuano a valere le
normali regole, per cui rimane devoluta alla co­
gnizione del giudice ordinario, anche se il debito
garantito ha natura pubblicistica.
P.Q.M.
54
La Commissione dichiara il proprio difetto di
giurisdizione, essendo competente l’Autorità
Giudiziaria Ordinaria, davanti alla quale il ricor­
so andrà riassunto dalla parte più diligente entro
i termini di legge. Nulla per le spese.
_________
Delimitazione dell’ambito della sfera di cognizione
del Giudice tributario
Premessa
La sentenza in commento consente di affrontare la pro­
blematica relativa ai limiti della giurisdizione tributaria
nel contesto del rapporto tra l’obbligazione principale e
la garanzia fideiussoria.
La vertenza in esame è insorta tra il fideiussore e l’A­
genzia delle Dogane di Salerno, a seguito dell’emissio­
ne di un invito al pagamento, con il quale le Dogane
chiedevano di versare la somma di 1 milione di euro,
quale importo massimo garantito con la polizza fideius­
soria riguardante l’accisa dovuta dalla società garantita,
esercente attività di deposito fiscale per la preparazione
e la commercializzazione di oli lubrificanti, società alla
quale con diversi avvisi di accertamento veniva richie­
sto il pagamento della somma di euro 17 milioni, in
dipendenza di violazioni tributarie.
Rapporto tra obbligazione principale e garanzia fi­
deiussoria
Al fine di ricostruire il ragionamento logico-giuridico
che ha condotto, nel caso che ci occupa, i giudici di
prime cure a dichiarare il difetto di giurisdizione, è ne­
cessario esaminare la fattispecie del rapporto tra l’obbli­
gazione di garanzia assunta dalla società ricorrente e
quella di natura tributaria della società garantita.
L’istituto della fideiussione, disciplinato dal capo XXII,
art.1936 e seg. del c.c, prevede che un soggetto, il fi­
deiussore, obbligandosi personalmente verso il credito­
re, garantisce l’adempimento di una obbligazione altrui.
Il vulnus della questione è il rapporto intercorrente fra
l’obbligazione principale assunta dal soggetto garantito,
e la garanzia assunta dal fideiussore. La natura di tale
rapporto è fondamentale ai fini della individuazione del­
la giurisdizione competente cui adire.
L’obbligazione principale e quella fideiussoria sono tra
loro collegate da un nesso logico-giuridico, ovvero l’ob­
bligazione garantita (o principale) e l’obbligazione fi­
deiussoria (o accessoria) “stanno tra di loro in rapporto
di accessorietà”, in quanto la fideiussione assume natu­
ra accessoria rispetto all’obbligazione garantita.
Da tale rapporto di accessorietà discendono conseguen­
ze sull’efficacia e sulla estensione della garanzia fi­
deiussoria desumibili dalla disciplina codicistica dell’i­
stituto. La fideiussione, infatti, salvo che sia prestata per
un’obbligazione assunta da un incapace, non è valida se
non è valida l’obbligazione principale (art.1939 c.c.);
inoltre la stessa non può eccedere ciò che è dovuto dal
debitore, né può essere prestata a condizioni di garanzia
più onerose (art. 1941 c.c.). Inoltre la fideiussione si
estende a tutti gli accessori del debito principale e alle
spese successive ( art. 1942 c.c.); il fideiussore può,
altresì, opporre al creditore tutte le eccezioni che spetta­
no al debitore principale, salvo quella derivante da
incapacità (art. 1945 c.c.).
Ne consegue che il vincolo di accessorietà perdura nel
corso di tutto il rapporto fideiussorio, sicchè le vicende
che attengono al rapporto principale si ripercuotono
necessariamente sulla garanzia fideiussoria. Se da un
lato vi è, quindi, un’unità logico-giuridica tra l’obbliga­
zione principale e quella fideiussoria, dall’altro, invece,
le due obbligazioni mantengono una propria individualità soggettiva ed oggettiva.
Sotto il profilo soggettivo il fideiussore rimane estraneo
al rapporto principale garantito, che attiene esclusiva­
mente il soggetto garantito e il suo creditore; mentre da
un punto di vista oggettivo l’indipendenza tra l’obbliga­
zione principale e quella fideiussoria si fonda sull’as­
sunto che la “causa fideiussoria” è fissa ed uniforme,
assumendo la funzione di garanzia creditoria attraverso
l’ampliamento delle sfere patrimoniali aggredibili; di
contro l’obbligazione garantita può poggiarsi su una
qualsiasi causa idonea allo scopo. Da ciò, a parere
dello scrivente, risulta chiaro che la disciplina dell’ob­
bligazione garantita non influisce su quella della fi­
deiussione, per la quale continuano a valere le relative
regole.
I principi di accessorietà della fideiussione rispetto al­
l’obbligazione principale e dell’individualità ed indi­
pendenza dell’obbligazione principale e fideiussoria,
trovano un importante riscontro nelle pronunce della
giurisprudenza di legittimità, che hanno dato concreta
applicazione a quanto evidenziato.
La Suprema Corte, nell’affrontare una questione ri­
guardante la fideiussione prestata da una società italia­
na a favore di una non residente, a garanzia del credito
che quest’ultima vantava nei confronti del debitore
principale, ha evidenziato che il collegamento fra l’ob­
bligazione principale e quella fideiussoria non “esclude
che ciascuna di essa viva e si mantenga con una
individualità propria”. Il Collegio ha sottolineato che le
“due obbligazioni si pongono assieme in un fascio, don­
de il carattere di obbligazione collettiva al complesso
così formato, il quale conduce ad un’unità che è logica,
non reale, perché è un modo di considerare il rapporto
tra le obbligazioni stesse: l’unità è di semplice combi­
nazione perché, nel complesso, le obbligazioni vivono in
una situazione ineguale, essendo quella garantita pre­
supposto dell’obbligazione di garanzia e questa serven­
do allo scopo di quella” (Cass. Civ. Sezione I, 17 gen­
naio 1996, n.365).
Risulta, quindi, evidente che la disciplina normativa
dell’obbligazione garantita non influisce su quella della
fideiussione, con la conseguenza che nel valutare la
validità o meno della fideiussione bisogna considerare
autonomamente la disciplina del contratto di garanzia,
senza attribuire rilievo al contratto garantito.
Ancora più interessante, ai fini della sentenza in com­
mento e al fine di evidenziare la natura accessoria della
fideiussione rispetto al rapporto garantito, è la pronun­
cia della Cassazione a Sezioni Unite n.10188 del 15
ottobre 1998, riguardante una polizza fideiussoria pre­
stata da un’impresa assicuratrice a favore dell’Ammini­
strazione finanziaria (creditore), a garanzia del credito
IVA vantato da quest’ultima nei confronti di un contri­
buente-debitore principale. In tale pronuncia viene an­
cora di più rafforzato l’assunto che il rapporto intercor­
rente tra fisco e fideiussore e quello intercorrente tra
fisco e contribuente non coincidono, in quanto “la
solidarietà dell’obbligazione del fideiussore non potreb­
be alterare l’autonomia dei due rapporti, considerato
altresì che il fideiussore è sostanzialmente estraneo al
rapporto principale qualora, come nel caso in esame,
sia pattuita per una sola parte del debito secondo le
previsioni della polizza fideiussoria”.
La tesi dell’indipendenza dell’obbligazione principale
da quella di garanzia trova la sua giustificazione nell’as­
sunto che l’obbligo pecuniario da parte del fideiussore
nasce da un contratto esclusivamente di natura privati­
stica (ex art. 1936 c.c. disciplinante l’accordo fideiusso­
rio), e viene confer-mata ulteriormente con la sentenza
n. 2655 del 5 febbraio del 2008, con la quale la Supre­
ma Corte, nell’affrontare la questione dell’obbligo fi­
deiussorio assunto da un’impresa assicuratrice a garan­
zia della costruzione di opere pubbliche da parte di una
società a responsabilità limitata, a favore dell’Ammini­
strazione Finanziaria, riafferma il principio già emerso
nelle precedenti pronunce di legittimità ossia dell’auto­
nomia del rapporto tributario garantito rispetto a quello
privatistico di garanzia. Le Sezioni Unite asseriscono
infatti che “per quanto fra loro collegate, l’obbligazio­
ne principale e quella fideiussoria mantengono una pro­
pria individualità non soltanto soggettiva, data
l’estraneità del fideiussore al rapporto richiamato dalla
garanzia, ma anche oggettiva in quanto la causa fi­
deiussoria è fissa ed uniforme, mentre l’obbligazione
garantita può basarsi su qualsiasi altra causa idonea
allo scopo”. Ne consegue che “la disciplina dell’obbli­
gazione garantita, nella specie de qua, un obbligo di
natura tributaria, non influisce su quella della fideius­
sione, per la quale perciò continuano a valere le norma­
li regole, ivi comprese quelle sul pagamento e sulla giu­
risdizione”.
Ulteriori pronunce della Suprema Corte a Sezioni Unite
(Cass.Civ. n. 21396/2005, n. 26012/2007, n. 25934/
2011), confermano e ribadiscono il principio consolida­
to dell’indipendenza dell’obbligazione principale rispet­
to a quella fideiussoria. Tali sentenze, infatti, chiarisco­
no che per le obbligazioni fideiussorie rilasciate a ga­
ranzia di tributi, la giurisdizione spetta al giudice
ordinario, in quanto il rapporto sottostante l’accordo fi­
deiussorio è di natura privatistica e pertanto di esclusiva
competenza del giudice ordinario.
Anche il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5711 del
20 ottobre 2011 sez V, si è espresso sul riparto di giuri­
sdizione in una controversia avente ad oggetto l’escus­
sione, da parte di un comune, di una polizza fideiussoria
concessa a garanzia di somme pattuite in una conven­
zione di lottizzazione; in tale pronuncia il Consiglio di
Stato ha affermato che la controversia rientrava nella
giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclu­
siva del giudice amministrativo, attesa l’autonomia del
rapporto in questione, nonché la circostanza che, nella
specie, la Pubblica Amministrazione aveva agito nel­
l’ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare,
neppure mediatamente, pubblici poteri ( si veda in tal
senso anche Cass. Civ. Sezioni Unite n. 4319 del 23,
febbraio 2010).
La giurisdizione tributaria: limiti esterni e ambito
soggettivo
Alla luce dei principi sopra enucleati attraverso le pro­
nunce giurisprudenziali, a parere dello scrivente, risulta
necessario analizzare l’ambito della giurisdizione tribu­
taria, al fine di comprendere al meglio la sentenza in
rassegna. Nell’originario testo dell’art. 2 del D.Lgs.
n.546/92, rubricato “oggetto della giurisdizione tributa­
ria”, pur conservandosi la tradizionale delimitazione
dell’ambito della giurisdizione mediante l’ indicazione
analitica e tassativa dei tributi attribuiti alla cognizione
delle commissioni tributarie, l’elenco degli stessi veniva
notevolmente ampliato, sottraendo al giudice ordinario,
tra l’altro, le controversie concernenti le imposte cata­
stali e i tributi comunali e locali. Inoltre, a conferma
della tassatività dell’elenco, si prevedeva l’estensione
della giurisdizione ad ogni altro tributo che sarebbe sta­
to specificamente attribuito dalla legge alle Commissio­
ni Tributarie. Il nuovo testo dell’art. 2, introdotto con
l’art.12 dalla Legge 22 dicembre 2001 n.448, ha esteso
la sfera di cognizione delle Commissioni Tributarie a
55
56
tutte le controversie aventi ad oggetto “ i tributi di ogni
genere e specie”, adottando, così, ai fini del riparto di
tale giurisdizione da quella ordinaria e amministrativa,
direttamente il criterio della materia in luogo della pre­
cedente determinazione analitica. Tale criterio è stato
affermato dalla L.248/2005, art.3 bis, che ha modificato
l’art.2, precisando nel primo comma che appartengono
alla giurisdizione tributaria “i tributi di ogni genere e
specie, comunque denominati”.
In tal modo la giurisdizione delle commissioni ha assun­
to carattere generale nella materia, ulteriormente sottoli­
neato in negativo nel primo comma dell’art. 2, dall’e­
sclusione delle sole controversie relative agli atti dell’e­
secuzione forzata tributaria successivi alla notifica della
cartella di pagamento o alla comunicazione di cui al­
l’art.50 DPR 602/73, concernente, appunto, il termine
per l’inizio dell’esecuzione da parte del concessionario.
La formula “tributi di ogni genere e specie”, con cui il
novellato art.2 definisce l’oggetto della giurisdizione,
evidenzia con chiarezza sia il carattere generale della
giurisdizione, comprensiva di qualsiasi fattispecie rien­
trante nella categoria dei tributi, e sia, di conseguenza,
l’automatica attribuzione ad essa di ogni tributo, senza
necessità di un’espressa disposizione in tal senso. L’og­
getto della giurisdizione tributaria, dunque, è costituito
da tutte le prestazioni patrimoniali imposte da un ente
pubblico nell’interesse pubblico. In base a questa ampia
definizione, sono comprese non solo le imposte e tasse,
ma anche i contributi e i corrispettivi di servizi che van­
no resi obbligatoriamente e per i quali l’ammontare è
stabilito dalla legge senza alcun concorso della volontà
dell’utente.
Al fine di qualificare le singole prestazioni, non esisten­
do una nozione normativa di tributo e rinviando ai con­
cetti elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (F.
Tesauro, G.A. Micheli, A. Fantozzi, E. De Mita,
P.Russo), il tributo può essere descritto come una “pre­
stazione patrimoniale coattiva di autorità, volta a finan­
ziare la spesa pubblica e allo stesso tempo, a realizzare
finalità economiche, sociali e politiche di vario tipo
(extrafiscalità), imposta senza il concorso della volontà
dell’obbligato e senza rappresentare il corrispettivo a
fronte di una controprestazione, avente i tratti della
normazione tributaria sostanziale”(da F. Fichera “
L’oggetto della giurisdizione tributaria e la nozione di
tributo”, in Rassegna Trib., 2007).
La qualificazione di un’entrata come tributaria o meno
richiede la considerazione di molteplici aspetti ed in
particolare la verifica dell’esistenza dei tratti propri del
fenomeno tributario e, dunque, non dipende dalla disci­
plina del diritto positivo sulla giurisdizione a cui è asse­
gnata. Allo scopo, quindi, di determinare la natura della
prestazione occorre stabilire caso per caso, sulla base
dei criteri sopra enucleati, la natura tributaria; a tal pro­
posito con l’ordinanza n. 94 del 2006, la Corte Costitu­
zionale ha ribadito che la verifica della conformità a
costituzione delle norme incidenti sull’estensione della
giurisdizione tributaria, deve essere fatta “valorizzando
la natura tributaria del rapporto, cui deve ritenersi im­
prescindibilmente collegata la giurisdizione del giudice
tributario”.
Per quanto riguarda le controversie devolute alle Com­
missioni Tributarie, avuto riguardo al loro oggetto, sono
quelle proposte nei confronti dell’ente impositore che
ha emesso l’atto impugnato, ed attengono all’an e al
quantum del tributo, delle sanzioni irrogate e degli ac­
cessori, nonché al rimborso dei tributi indebitamente
corrisposti. Di conseguenza, sotto il profilo soggettivo,
tali controversie vertono necessariamente tra l’ente im­
positore, o concessionario per la riscossione, e contri­
buente o soggetti a questo assimilati, sostituto di impo­
sta e responsabile di imposta. Sono, quindi, escluse dal­
la giurisdizione tributaria le controversie tra privati nel­
le quali la questione tributaria abbia rilievo incidentale
ovvero costituisca il presupposto di rapporti civilistici.
Nella sentenza in rassegna, il titolare della pretesa è
rappresentato dall’Agenzia delle Dogane, il cui ruolo è
quello di ente impositore, e l’atto da questa emesso,
l’invito al pagamento, rientra tra gli atti autonomamente
impugnabili ex art. 19 D.Lgs. 546/92, in applicazione
del principio dell’interpretazione estensiva degli atti
espressi e tenuto conto che l’allargato ambito della giu­
risdizione ai “ tributi di ogni genere e specie, comunque
denominati”, ha di fatto comportato, anche se non speci­
ficatamente, una modifica dell’art.19.
La nuova formulazione dell’art. 2 impone, con sempre
maggiore frequenza, la necessità di rinviare all’interpre­
tazione estensiva, secondo il principio lex minus dixit
quam voluit, per cui il contenuto palese del precetto non
corrisponde a quello effettivo, che è più ampio. L’inter­
pretazione estensiva consente, quindi, di superare la
diversità del nomen iuris, prendendo in considerazione
la struttura e la funzione dell’atto; perciò, sono impu­
gnabili tutti i provvedimenti, comunque denominati, che
accertano o dichiarano, in tutto o in parte, l’obbligazio­
ne tributaria ovvero un elemento della stessa (M. Cantil­
lo). E’ il caso, questo, dell’imposizione doganale, per la
quale sono previsti speciali procedimenti ed atti diversi
quanto alla denominazione, relativi alla quantificazione
e qualificazione delle merci oggetto delle operazioni
imponibili, alla liquidazione e riscossione del tributo.
Conclusioni
Alla luce dei principi di diritto in precedenza esposti e
delle considerazioni sui limiti esterni e sull’ambito sog­
gettivo della giurisdizione tributaria, risulta condivisibi­
le l’approdo cui perviene il Collegio giudicante nella
pronuncia in rassegna, che, nell’affrontare la problema­
tica in oggetto, e in osservanza degli artt. 2-3-10 e 19
del D.Lgs. n. 546/92, ha in primo luogo verificato la
sussistenza della propria competenza giurisdizionale e,
con una interessante interpretazione dei principi affer­
mati nelle pronunce della Suprema Corte in merito al
rapporto intercorrente tra l’obbligazione fideiussoria e
quella garantita, ha affermato il proprio difetto di giuri­
sdizione, concedendo i termini per la riassunzione della
lite presso il competente giudice.
Viene quindi rilevato che sebbene la fideiussione sia
stata concessa a garanzia di obbligazioni di natura tribu­
taria, la controversia insorta riguardante l’escussione di
una polizza fideiussoria da parte dell’Agenzia delle Do­
gane nei confronti della società assicuratrice e garante,
rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, e non è
ascrivibile nella riserva della giurisdizione tributaria,
stante la natura privatistica dell’obbligazione fideiusso­
ria ed essendo il rapporto intercorrente tra fisco e fi­
deiussore e quello tra fisco e contribuente non coinci­
denti.
Gilda Grotta
Procedimento e processo
DEFINIZIONE DI LITE PENDENTE
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. XVIII, 7 ottobre 2013, n. 544
Pres. Del Grosso – Rel. Molinaro
Definizione delle liti minori ex art. 39,
co. 12, D.L. n. 98/2011 – Liti pendenti
definibili – Sono anche quelle per le
quali ricorra una causa di inammissibilità, improponibilità o improseguibilità del processo che non sia stata già
dichiarata con pronuncia non più im­
pugnabile
Ai fini dell’accesso alla procedura di definizione
delle liti minori pendenti di cui all’art. 39, com­
ma 12 D.L. 98/2011, anche quando manchi una
disposizione normativa che statuisce espressa­
mente l’irrilevanza della eventuale inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio (come
si rinviene nell’art. 2-quinquies D.L. 564/1994)
la controversia tributaria si considera pendente
anche qualora ricorra una causa di inammissibilità, improponibilità o improseguibilità del
processo che non sia stata già dichiarata con
pronuncia non più impugnabile, in quanto non è
richiesta la pendenza della lite sul rapporto so­
stanziale.
Svolgimento del processo
Con atti consegnati il 19.2.2005 all’Agenzia del­
le Entrate di Salerno, depositati il 20/12/2013
nella Segreteria di questa Commissione Tributa­
ria, il sig. G.M., rappresentato e difeso dal dott.
G.M., ha proposto separati ricorsi avverso sei
comunicazioni notificate l’1/10/2012, con le
quali in relazione alle liti ..., è stata negata la
definizione chiesta ai sensi dell’art. 39, comma
12 D.L. 98/2011, per insussistenza di una lite
pendente da definire.
Il ricorrente deduce la infondatezza dei provve­
dimenti di diniego, in quanto le liti di cui è stata
chiesta la definizione sono quelle per le quali è
stata emessa dalla CTR la sentenza n.
155/4/2011, depositata il 18/3/2011, sentenza
non ancora divenuta definitiva nel momento in
cui è entrato in vigore il D.L. 98/2011.
Con controdeduzioni 7/2/2013, l’Ufficio deduce
l’infondatezza dei ricorsi, in quanto non può
parlarsi di lite pendente nei casi in cui, come
nella fattispecie, il ricorso sia stato dichiarato
inammissibile perché non notificato alla contro­
parte.
Con memorie illustrative 8/7/2013, il ricorrente
ribadisce la fondatezza dei ricorsi evidenziando
che nella motivazione delle sentenze non è detto
quanto sostenuto dall’Ufficio.
I ricorsi sono stati riuniti per connessione ogget­
tiva e soggettiva.
Motivi della decisione
Ritiene questo Collegio che la lite di cui il ricor­
rente aveva chiesto la definizione ai sensi del­
l’art. 39, comma 12, D.L. 98/2011, rientra pie­
namente nella previsione della predetta norma
che consente la definizione delle liti fiscali di
valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte
l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 1°
maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie
o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio
e anche a seguito di rinvio, trattandosi di contro­
versia definita con decisione ancora impugnabi­
le con i mezzi ordinari.
Ed infatti, ai fini dell’accesso alla richiamata
procedura di definizione, anche quando manchi
una disposizione normativa che statuisce espres­
samente l’irrilevanza della eventuale inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio (come
si rinviene nell’art. 2-quinquies D.L. 564/1994)
la controversia tributaria si considera pendente
anche qualora ricorra una causa di inammissibilità, improponibilità o improseguibilità del
processo che non sia stata già dichiarata con
pronuncia non più impugnabile, in quanto non è
richiesta la pendenza della lite sul rapporto so­
stanziale.
57
In conclusione, tenuto conto che il ricorrente ha
documentato il versamento di quanto da lui do­
vuto per le chieste definizioni ex art. 39, comma
12 D.L.98/2011 e che nessuna contestazione è
stata mossa dall’Ufficio in ordine a tale versa­
mento, le domande di definizione lite fiscali
pendenti presentate dal ricorrente vanno ritenute
valide, con conseguente accoglimento dei pro­
58
posti ricorsi
Concorrono giusti motivi per la compensazione
delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Commissione accoglie i ricorsi riuniti e com­
pensa le spese.
Procedimento e processo
POTERI E LIMITI DI COGNIZIONE DEL GIUDICE
TRIBUTARIO IN ORDINE ALLA LEGITTIMITA’
DELLA DELIBERA COMUNALE
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. I, 21 gennaio 2014, n. 129
Pres. Sirocchi – Rel. Paesano
Procedimento e processo – Tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani –
Dedotta illegittimità per intervenuta
norma abrogativa della Tarsu – Inter­
vento normativo ad opera dell’art. 14,
comma VII, del D.Lgs. 23 del 2011 au­
torizzante i comuni a continuare ad ap­
plicare i regolamenti Tarsu già adottati
– Legittimità della pretesa avanzata –
Sussiste – Mancata adozione della rifor­
ma Tarsu da parte dell’ente locale – De­
dotta illegittimità del provvedimento –
Non sussiste – Giurisdizione delle com­
missioni tributarie – Non si estende alla
legittimità della delibera comunale – In­
vocata stagionalità dell’at-tività accerta­
ta – Assenza di elementi probatori a so­
stegno delle eccezione Legittimità della
pretesa – Sussiste
Il Giudice tributario, ove riscontri un vizio di
incompetenza, una violazione di legge o un ec­
cesso di potere, può procedere, ai soli limitati
fini della decisione della controversia, alla di­
sapplicazione della delibera comunale illegitti­
ma. Egli, difatti, non è titolare di poteri di co­
gnizione maggiori di quanto ne abbia il Giudice
amministrativo, deputato ad accertare in via
principale l’illegittimità dell’atto amministrati­
vo ed a procedere al suo annullamento. Ciò per­
ché il Giudice tributario non può sostituirsi al­
l’amministrazione negli accertamenti e nelle va­
lutazioni del merito che restano di esclusiva
competenza di quest’ultima. Opinando diversa­
mente si introdurrebbe nell’ordinamento, con
tutta evidenza, un inammissibile sindacato giu­
risdizionale sul merito del provvedimento, non
riconducibile neppure al vizio di eccesso di po­
tere sotto il profilo dell’elemento sintomatico
del travisamento del fatto.
Svolgimento del processo
Il Sig L.V., rappresentato e difeso in giudizio dal
dott. R.S., commercialista, presso il quale viene
eletto domicilio, impugna cartella esattoriale no­
tificata in data 5.4.2013, con la quale, su ruolo
emesso dal Comune di C., viene chiesto il paga­
mento della somma di € 3.247,00 per TARSU
2012.
Si eccepisce l’illegittimità del ruolo e la sua
erroneità. In particolare, premettendo che la car­
tella in questione non è stata preceduta da accer­
tamento o altro atto, si sostiene l’illegittimità del
provvedimento in ragione dell’intervenuta nor­
ma abrogativa della TARSU, cui dovevano se­
guire indicazioni collegate alla riforma del ser­
vizio, il cui introito, da parte dei Comuni, dove­
va essere collegato alla spesa effettiva. Si sostie­
ne, ancora, che al comportamento virtuoso del
Comune, teso alle verifiche effettive delle super­
fici degli immobili soggetti a tributi, doveva se­
guire una riduzione individuale del carico per i
cittadini, laddove tutto questo non si è verifica­
to. Nel merito, si richiede, comunque, l’applica­
zione della riduzione del 10% di cui all’art. 11,
comma 3/c, del Regolamento Comunale trattan­
dosi di immobile adibito a camping e, quindi,
con attività stagionale, riconoscendosi tale dirit­
to anche per gli anni precedenti, nei limiti pre­
scrizionali. Il ricorrente conclude, pertanto, per
l’annullamento della pretesa ovvero, in subordi­
ne, per l’accoglimento della richiesta di riduzio­
ne. Con vittoria di spese del giudizio.
Non si sono costituiti in giudizio gli uffici oppo­
sti. All’udienza di discussione, il rappresentante
del ricorrente illustra le proprie eccezioni e con­
clude come da ricorso. Al termine della pubblica
udienza, il Collegio, in camera di consiglio, de­
cide come da dispositivo.
Motivi della decisione
La complessa situazione che si è venuta a deter­
minare in questi ultimi anni in materia di riscos­
sione della tassa sullo smaltimento dei rifiuti,
premesso il principio della delega sostanziale ai
59
60
Comuni in ordine a tale adempimento che costi­
tuisce intervento di igiene pubblica e collegato
alla tutela dell’ambiente e della salute, è stata
chiarita dall’articolo 14, comma 7, del decreto
legislativo 23/2011, che consente ai Comuni di
«continuare» ad applicare i regolamenti comu­
nali TARSU o TIA già adottati. La norma ha
posto così fine alla dibattuta questione inerente
l’impossibilità di riscuotere la TARSU in assen­
za di una norma esplicita. Dal verbo “utilizzato”
si evince che la disposizione rende applicabili e
legittimi i regimi precedenti (compresa la TAR­
SU) senza alcuna soluzione di continuità. Il de­
creto sul federalismo municipale ha in sostanza
“blindato” la TARSU e la TIA sino all’entrata in
vigore del nuovo tributo sui rifiuti e sui servizi.
Infatti con l’ultimo intervento legislativo (artico­
lo 14 del decreto legge 201/2011) è stata dispo­
sta l’abrogazione della norma del decreto legi­
slativo 23/2011 dal 1° gennaio 2013, cioè conte­
stualmente all’entrata in vigore del TRES, con­
fermando anche per il 2012 la possibilità per i
Comuni di mantenere sia il regime della TARSU
che quello della TIA. Va escluso quindi qualun­
que problema circa la legittimità della TARSU
dal 2010 al 2012, anche perché sono in gioco
altri valori costituzionali di rilievo, tra i quali
l’autonomia finanziaria degli enti locali sancita
dall’articolo 119 della Carta fondamentale, di­
sposizione che risulterebbe violata se si dovesse
sostenere l’abolizione tout court di un tributo in
assenza di sostituzione con un’altra entrata
(Corte costituzionale 37/04). Ritenuta, pertanto,
legittima l’imposizione in ragione del servizio, e
richiamati le norme regolamentari adottate dal
Comune di C. secondo le normative precedenti,
va detto che, anche in tal senso, non si rilevano
ipotesi che possano determinare l’illegittimità
della imposizione. Il giudice tributario, nell’e­
sercizio del potere di disapplicare ai soli fini
della decisione della controversia, gli atti ammi­
nistrativi illegittimi, non ha poteri di cognizione
maggiori di quanto ne abbia il giudice ammini­
strativo, deputato ad accertare in via principale
l’illegittimità dell’atto ed a procedere al suo an­
nullamento. Si intende dire che ad una eventuale
disapplicazione degli atti amministrativi comu­
nali si procede ove si riscontri il vizio di incom­
petenza, violazione di legge o eccesso di potere,
ma il giudice non ha il potere di sostituire l’am­
ministrazione negli accertamenti e valutazioni di
sua esclusiva competenza. Diversamente, si trat­
terebbe con tutta evidenza di un inammissibile
sindacato sul merito riservato all’amministrazio­
ne, non riconducibile neppure al vizio di eccesso
di potere sotto profilo dell’elemento sintomatica
del travisamento del fatto.
In questo senso, nella fattispecie, non si ravvisa­
no elementi che possano confliggere con l’auto­
nomia dell’ente locale e con la legittimità dei
comportamenti.
Va, poi, osservato che, in tema di tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il comples­
so normativo risultante dagli artt. 70, 71 e 72
D.Lgs. n.. 507 del 1993 non prevede alcun ac­
certamento annuale della tassa, ma dispone che
la stessa, in mancanza di una denuncia di varia­
zione da parte del contribuente o di notifica di
rettifiche da parte dell’ente locale, viene liquida­
ta dai Comuni sulla base dei ruoli dell’anno pre­
cedente, ai sensi dell’art. 72 del decreto legisla­
tivo 507 del 1993. L’importo del tributo ed addi­
zionali, degli accessori e delle sanzioni, è iscrit­
to nei ruoli principali, a pena di decadenza,
entro l’anno successivo a quello per il quale è
dovuto il tributo e, in caso di liquidazione in
base a denuncia tardiva o ad accertamento, entro
l’anno successivo a quello nel corso del quale è
prodotta la predetta denuncia ovvero l’avviso di
accertamento è notificato.
La iscrizione a ruolo e l’emissione della relativa
cartella di pagamento rientrano quindi nella lo­
gica della riscossione di un tributo che risale ad
anni precedenti e non trova, nella circostanza,
ipotesi modificative. Il Comune riscuote, quindi,
la tassa con l’iscrizione a ruolo del tributo dovu­
to e con l’emissione di cartelle esattoriali.
Quanto all’invocata stagionalità dell’attività,
non è stata fornita alcuna prova che la stessa sia
stata autorizzata soltanto per un determinato pe­
riodo dell’anno. E’ principio consolidato della
Suprema Corte ed enunciato anche rispetto alla
precedente disciplina che “La raccolta dei rifiu­
ti solidi urbani costituisce per il Comune un ob­
bligo e, per la prestazione del servizio, sussiste
a carico del cittadino l’obbligo del pagamento
di un tributo, che va qualificato alla stregua del­
l’indicazione della stessa legge, nonché della
sua natura, con la conseguenza che è dovuto
indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi
il servizio” (v.ex multis, Cass. nn. 7945/2002 e
9920/2003); ciò in quanto detto tributo è desti­
nato al procacciamento dei mezzi necessari alla
realizzazione delle finalità istituzionali del Co­
mune per cui deve essere applicato uniforme­
mente nei confronti di tutti coloro che la legge
individua come soggetti passivi, con conseguen­
te inderogabilità convenzionale di tale obbligo
da parte dell’ente locale.”
Il ricorso, perciò, non risulta fondato nel merito.
Né è da ritenersi illegittimo in sè l’atto impu­
gnato. Nulla per le spese, non essendovi costitu­
zione in giudizio degli uffici opposti.
P.Q.M.
La Commissione rigetta il ricorso. Nulla per le
spese.
_________
La disapplicazione di un atto amministrativo
L’articolo 7 comma 5 del D. Lgs. 546/1992 statuisce
che “le Commissioni Tributarie, qualora ritengano ille­
gittimo un atto amministrativo generale, che sia rile­
vante ai fini del decidere, lo disapplicano in relazione
all’oggetto dedotto in giudizio. È fatta salva l’eventuale
impugnazione nella diversa sede competente, ossia di­
nanzi al Tribunale Amministrativo Regionale”. La por­
tata “decisoria” del giudice tributario non può andare al
di là dello specifico oggetto dedotto in giudizio, la quale
si sofferma, in particolare, sul regolamento ovvero atto
amministrativo rilevante ai fini del giudizio. Quindi, co­
me afferma la dottrina prevalente, l’atto disapplicato dal
giudice tributario risulta tale solo nel singolo giudizio,
rimanendo al contempo valido ed efficace verso i terzi
esterni ali giudizio. Gli atti amministrativi generali ed i
regolamenti amministrativi possono essere disapplicati,
dal giudice tributario, solo in via incidentale, mentre il
potere di impugnazione in via diretta e principale, spetta
esclusivamente al giudice amministrativo, senza poter
costituire oggetto di autonoma e diretta impugnativa di­
nanzi alla Commissione Tributaria. In questo senso gio­
va richiamare la sentenza della Suprema Corte, n°
2199/2011, secondo la quale la sentenza del TAR che
dichiari l’illegittimità dell’atto presupposto all’applica­
zione dell’imposta, determina la consequenziale
illegittimità di tutti gli atti impositivi, senza che sia con­
sentito al giudice tributario di procedere ad una vera e
propria valutazione circa la legittimità del provvedimen­
to. In materia di disapplicazione, la Corte di Cassazione,
con la Sentenza n°1733/2002, statuisce che la domanda
di rimborso dell’IVA, che il contribuente proponga in
sede giudiziale impugnando l’atto di rifiuto del rimbor­
so stesso reso in dipendenza di un provvedimento di
reso amministrativo ex articolo 69 RDL 2440/1923, non
si sottrae alla giurisdizione delle Commissioni Tributa­
rie, abilitate a disapplicare il provvedimento di fermo
del rimborso allorché risulti non assistito il relativo po­
tere. In secondo luogo, la sentenza della Cassazione n°
4567/2004, continua a muoversi lungo questa linea, sta­
tuendo, in materia di contenzioso tributario, il potere del
giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi
illegittimi divenuti inoppugnabili per l’inutile decorso
dei termini ai fini della sua impugnazione dinanzi al
giudice amministrativo. Anche se si evince, sia nell’im­
pianto normativo oggi presente in materia di contenzio­
so tributario sia per l’orientamento della Suprema Corte
con le sentenze sopra richiamate, la rilevanza collegata
a questo istituto giuridico, in realtà la disapplicazione di
un atto amministrativo è ancora connotato da talune in­
certezze di carattere interpretativo ed applicativo. Il po­
tere di disapplicazione di un atto amministrativo illegit­
timo e, segnatamente delle delibere di applicazione del­
la Tarsu, non è inibito dal fatto che spetta al giudice
amministrativo la cognizione, in sede di legittimità delle
delibere tariffarie: questo sussiste anche qualora l’atto
amministrativo disapplicato sia divenuto inoppugnabile
per l’inutile decorso dei termini di impugnazione davan­
ti al giudice amministrativo, e risulta preclusa solo
quando la legittimità dell’atto amministrativo sia stata
affermata dal giudice amministrativo durante il contrad­
dittorio delle parti e con autorità di giudicato (Cass.
6265/2006). A titolo esemplificativo, si può affermare
che l’esercizio del potere di disapplicazione ex articolo
7 comma 5 D.lgs n. 546/1992,è stato richiamato in sede
di ricorso proposto avverso il provvedimento di conces­
sione della dilazione del debito fiscale iscritto a ruolo
per un numero di rate inferiore a quello richiesto, in
seno al quale il giudice tributario ha ritenuto di rigettare
l’istanza avanzata dal contribuente in ordine alla pre­
sunta illegittimità e conseguente disapplicazione ex arti­
colo 7 comma 5 Dlgs 546/1992 delle direttive Equitalia
DSR/NC/2009/02 e DSR/NC/2008/012, che regolano
gli strumenti valutativi esperiti dall’Agente di riscossio­
ne per la quantificazione del numero di dette rate (CTP
Milano sez. XXI 152/2011). Per quanto attiene la pro­
blematica relativa alla disapplicazione delle circolari, ri­
soluzioni, pareri o note, l’orientamento giurisprudenzia­
le in materia (TAR Lazio sez. II 147/1987; TAR Lazio
n: 762/1987), statuisce che le risoluzioni ministeriali, in
quanto appartenenti alla categoria degli atti generali di
imposizione, posso essere impugnate dinanzi alle Com­
missioni Tributarie ai soli fini della loro disapplicazio­
ne, mentre il loro annullamento sarebbe possibile dinan­
zi al giudice amministrativo. Diversamente, la Suprema
Corte, nella sentenza n° 1948/1987, ha rilevato che, poi­
ché la giurisdizione delle Commissioni Tributarie è pie­
na ed esclusiva, il giudice amministrativo non ha potere
giurisdizionale in merito all’impugnazione di atti di in­
dirizzo rivolti agli uffici tributari ai fini della definizio­
ne dell’an e del quantum del tributo. In particolare per
quel che attiene la risoluzione, con la quale il Ministero
delle Finanze impartisce ai propri uffici direttive circa
l’applicazione di un determinato tributo nei confronti di
un determinato contribuente, è atto inerente al relativo
rapporto d’imposta e, di conseguenza, rientra nel potere
di cognizione del giudice tributario la domanda con cui
il contribuente medesimo denunci l’illegittimità di quel­
la risoluzione.
In materia di Tarsu, è possibile eccepire dinanzi al giu­
dice tributario i vizi amministrativi concernenti la deter­
minazione, in via generale, dei criteri di applicazione
del tributo, nonché di quelli attinenti alla formazione del
ruolo: rientra infatti nella competenza del giudice tribu­
tario quella di valutare l’illegittimità degli atti ammini­
strativi generali, al limitato fine di decidere la contro­
versi relativa ad uno specifico rapporto tributario, senza
poter procedere all’annullamento dell’atto generale
(Cass. SS.UU. n° 8313/2010). Ancora in materia di Tar­
61
su, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la
sentenza n°9631 del 13/06/2012, statuisce che il potere
in capo al giudice tributario di disapplicare gli atti am­
ministrativi costituenti il presupposto per l’imposizione
può essere esercitato anche d’ufficio purché gli atti in
questione siano stati investiti dai motivi di impugnazio­
ne dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositi­
vo impugnato. Nel caso specifico la Suprema Corte ha
annullato una sentenza della CTR Campania con la qua­
le il Comune di Somma Vesuviana aveva provveduto
all’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a
quelli urbani, piuttosto che attuare una necessaria verifi­
ca circa l’indicazione quantitativa e qualitativa dei rifiu­
ti speciali assimilati.
62
La decisione nel merito del Collegio giudicante nella
pronuncia in rassegna
Nella sentenza in esame, la C.T.P. ha statuito che in
materia di tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU),
l’interpretazione degli articoli 70,71 e 72 del Dlgs
507/1993, non preveda alcun accertamento annuale del­
la tassa, la quale verrà liquidata in funzione dei ruoli
dell’anno precedente, qualora non vi sia una denuncia di
variazione da parte del contribuente ovvero l’ente abbia
notificato al contribuente stesso una rettifica. L’iscrizio­
ne a ruolo e l’emissione della relativa cartella di paga­
mento, rientrano nella “normale logica della riscossione
del tributo”. Questa disposizione, continua la C.T.P.,
trova ancora oggi terreno fertile, in quanto il legislatore,
nell’articolo 14, comma 7, del D.Lgs. 23/2011, recante
disposizioni in materia di Federalismo Municipale, con
l’utilizzo del verbo “continuare” ha voluto evidenziare
come la disposizione rende applicabili e legittimi i regi­
mi precedenti, senza soluzione di continuità. Relativa­
mente al quantum che è stato contestato, il ricorrente ha
fatto leva sulla stagionalità dell’attività della quale tutta­
via, la CTP osserva che “non è stata fornita alcuna pro­
va” circa la sua eventuale autorizzazione per un deter­
minato periodo dell’anno. In materia di TARSU, infatti,
la Suprema Corte ritiene che gravi sul contribuente l’o­
nere di provare la sussistenza delle condizioni per bene­
ficiare dell’esenzione prevista dall’articolo 62, comma
3, D.Lgs. 507/1993.
Infatti, pur operando nell’ordinamento tributario il prin­
cipio secondo cui è l’amministrazione a dover fornire la
prova della sussistenza dell’obbligazione tributaria, tale
principio non può essere spinto fino al punto di fare
carico all’ufficio di dimostrare la non spettanza, al con­
tribuente, del diritto ad ottenere una riduzione della su­
perficie tassabile. L’esenzione, totale o parziale, costitu­
isce un’eccezione alla regola generale del pagamento
del tributo da parte di coloro che occupano ovvero de­
tengano immobili nelle zone di pertinenza comunale, e
non può, pertanto, che essere dimostrata dal contribuen­
te che intende avvalersene (vedi Cass.9631/2012,
775/11, 4766/04). Nel caso particolare della Sentenza
della C.T.P. di Salerno, si sottolinea come sia consolida­
to il principio della Suprema Corte (vedi Cass.
7945/2002 e 9920/2003) che la tassa sui rifiuti solidi
urbani, essendo la raccolta di questi ultimi un onere per
il comune, è dovuta indipendentemente dal fatto che
l’utente utilizzi il servizio; ciò in quanto le somme che
da essa derivano, servono per il finanziamento delle
attività connesse alla gestione dei rifiuti. Inoltre, in ma­
teria di tariffe da applicarsi ai fini TARSU, giova richia­
mare la sentenza della Corte di Cassazione n°9415 del 6
maggio 2005, secondo cui il giudice tributario può di­
sapplicare il criterio di tassazione, ai fini Tarsu, conte­
nuto in un regolamento comunale, che non sia conforme
alle norme vigenti, ma non ha facoltà di fissare nuovi e
diversi parametri. In particolare, la predetta sentenza ha
accolto la pretesa di un ente locale, poiché la Commis­
sione tributaria regionale, oltre a disapplicare i criteri di
tassazione fissati con un regolamento comunale, aveva
modificato le percentuali delle aree tassabili e aveva
dato alla questione una disciplina diversa da quella pre­
vista dal regolamento stesso. Per il giudice di
legittimità, "una volta accertata la circostanza che il
criterio di tassazione, fissato dal regolamento comuna­
le, disattendeva le disposizioni dell’art. 62 del dlgs n.
507 del 1993, e che, d’altronde, la domanda della parte
era sottesa all’annullamento della cartella, previa di­
sapplicazione del regolamento comunale in quanto ille­
gittimo, i giudici di merito avrebbero dovuto limitarsi,
in ossequio a quanto disposto dagli artt. 7 del dlgs 546
del 1992 e 112 cpc, alla disapplicazione della disposi­
zione regolamentare e all’esame e valutazione della
legittimità o meno dell’atto impugnato alla stregua del­
la normativa vigente e applicabile". In definitiva, i giu­
dici di merito sono legittimati a disapplicare il regola­
mento che viola i parametri dell’articolo 62 del Dlgs n.
507/93, e cioè viola i presupposti della tassazione o le
esclusioni, ma non sono legittimati a cambiare i criteri
imposti dall’ente locale. Già con precedente pronuncia la n. 4567 del 5 marzo 2004 - la Corte di cassazione
aveva precisato come il potere di disapplicazione, di cui
all’articolo 7 più volte citato, non sia precluso dalla cir­
costanza che spetta soltanto al giudice amministrativo in sede di legittimità - la cognizione delle delibere tarif­
farie, in quanto il predetto potere sussiste anche qualora
l’atto amministrativo disapplicato sia divenuto inoppu­
gnabile per l’inutile decorso dei termini ai fini della sua
impugnazione dinanzi al giudice amministrativo. In
quella occasione, i giudici di legit-timità - chiamati a
decidere sulla possibilità, da parte dei giudici tributari,
di disapplicare il provvedimento di fermo amministrati­
vo "contabile" non tempestivamente impugnato e, quin­
di, divenuto definitivo - ebbero ad affermare il principio
per cui "...la mancata impugnativa nei termini, innanzi
al giudice amministrativo, di detto provvedimento è pri­
va di rilevanza giuridica in quanto l’esame di tale atto
da parte del giudice tributario non costituisce oggetto
diretto della decisione richiestagli ma risulta meramen­
te strumentale a quello, tempestivamente domandato
dalla società, relativo all’infondatezza del provvedimen­
to...". Sulla scorta di quanto detto e supportato dalle
evidenze giurisprudenziali richiamate, è evidente di co­
me il giudice tributario ha correttamente svolto un ac­
certamento incidentale, funzionale alla dichiarazione di
illegittimità della pretesa, dimostrando, in maniera chia­
ra, che le norme regolamentari emanate dall’Ente Loca­
le in materia di TARSU non portano a determinare
l’illegittimità dell’imposizione alla base della controver­
sia.
Francesco Ventura
Riscossione
ELEMENTI ESSENZIALI DI VALIDITA’ DELLA
CARTELLA DI PAGAMENTO
I
Commissione tributaria regionale di Napoli
Sezione Staccata di Salerno,
Sez. IX, 26 aprile 2013, n. 136
Pres. Cosma – Rel. De Camillis
I. Riscossione – Riscossione a mezzo di
cartella di pagamento – Termini di de­
cadenza – Data dell’iscrizione a ruolo –
Irrilevanza – Data di notifica della car­
tella di pagamento – Costituisce il ter­
mine iniziale per il computo del termine
di decadenza
II. Riscossione – Riscossione a mezzo di
cartella di pagamento – Iscrizione ai
sensi dell’art. 36 bis, D.P.R. n. 633/1972
– Motivazione della cartella di paga­
mento indicante solo i termini del con­
trollo formale della dichiarazione pre­
sentata – Sufficienza
III. Riscossione – Riscossione a mezzo
di cartella di pagamento – Sottoscrizio­
ne della cartella di pagamento e indica­
zione del responsabile del procedimento
– Necessità per i soli ruoli consegnati al
Concessionario per la riscossione a far
data dal 1 giugno 2008
I. I termini certi della pretesa tributaria deri­
vanti dalla liquidazione delle dichiarazioni sono
stabiliti dalla notificazione della cartella di pa­
gamento e non dall’atto della liquidazione delle
dichiarazioni, che è atto interno dell’Ammini­
strazione. Pertanto, è tempestiva la cartella di
pagamento notificata entro i termini di decaden­
za, anche se la iscrizione a ruolo è stata effet­
tuata successivamente al termine di cui all’art.
36 bis del D.P.R. n. 600/1973, che è termine
solo ordinatorio.
II. La motivazione della cartella di pagamento è
sufficiente quando consente al contribuente di
contestare efficacemente l’atto impositivo sia
nell’an che nel quantum. Nel caso di cartelle di
pagamento formate ai sensi dell’art. 36 bis del
D.P.R. n. 600/1973, la motivazione della iscri­
zione non necessita di particolari specificazioni,
derivando direttamente dal controllo formale
della dichiarazione presentata dal contribuente.
III. La sottoscrizione della cartella di pagamento
e l’indicazione del responsabile del procedimento
sono elementi essenziali della stessa solo per le
cartelle di pagamento riferite a ruoli consegnati
all’agente della riscossione dall’1/06/2008.
Svolgimento del processo
La società M. S.a.S. , in persona del legale rap­
presentante P.F., rapp. e difeso dal dott. A. S., in
data 7/11/2007, impugnava la cartella di paga­
mento …, emessa dall’E.TR. SpA, relativa ad
imposta IRPEF (Sostenuti d’imposta-ritenute),
IRAP ed IVA, add. regionale e comunale, anno
d’imposta 2003, notificata il 5/7/2007, con ri­
chiesta di pagamento della somma di €
75.396,82. Il ricorrente eccepiva: 1. Illegittimità
ed infondatezza della cartella di pagamento per
violazione dell’art. 6 D.M. 321/99, dell’art. 6
della legge 241/90 e della legge 212/2000. La
cartella era nulla ed illegittima in quanto man­
cante della sottoscrizione del rappresentante del­
la società addetta alla riscossione; 2. Illegittimità
ed infondatezza dell’iscrizione a ruolo per viola­
zione dell’art. 3 legge 241/90. artt. 7 e 17 legge
212/00, artt. 3-24 Costituzione, in ordine alla
motivazione dell’atto impugnato; 3. Illegittimità
ed infondatezza della cartella relativamente al­
l’IRAP per violazione dell’art. 33 della VI Di­
rettiva IVA 77/388 CEE del 17/5/1977; 4.
Illegittimità ed infondatezza della cartella di pa­
gamento per violazione della normativa di cui
all’art. 42, 20 comma, DPR 600/73 e art. 56,
comma 3, D.P.R. n. 633/72. La cartella non pre­
63
64
ceduta da avviso di accertamento, doveva conte­
nere tutte le indicazioni di legge; 5. Illegittimità
ed infondatezza dell’iscrizione a ruolo degli in­
teressi in violazione di quanto previsto dall’art.
20 D.P.R. n. 602/73 e violazione dell’art. 13
D.lgs. 417/97 in tema di sanzioni per ritardati o
omessi versamenti; 6. Illegittimità ed infonda­
tezza della cartella di pagamento per decadenza
dell’azione dell’Amministrazione Finanziaria
per violazione delle normative di cui all’art. 36
bis D.P.R. n. 600/73 e art. 54 bis D.P.R. n.
633/72, per quanto attiene i termini di correzio­
ne assegnati per l’esame delle dichiarazioni dei
redditi presentate dai contribuenti. Chiedeva che
l’atto impugnato venisse annullato, nonché, in
via incidentale, che venisse provvisoriamente
sospesa la sua esecutività. Si costituiva l’Agen­
zia delle Entrate - Ufficio di Salerno, in data
19/11/2007 presentava controdeduzioni. Faceva
presente che tutte le eccezioni proposte non ri­
guardavano il merito della richiesta che era,
perciò, da ritenersi acquisito e preliminarmente
faceva rilevare la carenza di legittimazione pas­
siva dell’Agenzia. Quanto alle eccezioni di rito,
controdeduceva concludendo per il rigetto del
ricorso, con vittoria di spese. Si costituiva anche
l’Equitalia - E.TR. Spa, in data 25/01/2008, che
chiedeva accertarsi e dichiararsi la carenza di
legittimazione passiva sostanziale e processuale
della società riguardo alle questioni che coinvol­
gevano la pretesa impositiva, nonché il rigetto
del ricorso per i sollevati vizi dell’atto impugna­
to. La società in data 8/08/2008 depositava me­
morie illustrative. Costituitosi il contraddittorio
nei termini essenziali sopra succintamente espo­
sti, la C.T.P. di Salerno, Sez. 2 Udienza del
3/06/2008, con ordinanza n. 210/2/08 accoglieva
l’istanza di sospensione e all’udienza del
28/10/2008, con Sentenza n. 14/2/09, rigettava il
ricorso. Compensava le spese. La ricorrente in
data 30/03/2010 presentava appello, si riportava
a quanto espresso in prime cure, chiedeva di an­
nullare il dispositivo di sentenza. L’Agenzia En­
trate Salerno in data 29/04/2010, depositava
controdeduzioni, sosteneva la validità della sen­
tenza, riteneva legittimo il proprio operato e
chiedeva il rigetto dell’appello e la condanna del
ricorrente alle spese di giudizio come da notula.
All’odierna udienza, della quale le parti avevano
ricevuto rituale avviso, assenti le parti in causa,
dopo l’esposizione dei fatti ad opera del Giudice
relatore, la causa veniva riservata a decisione.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminati gli atti e valutate le
argomentazioni, ritiene che l’appello prodotto
dalla ricorrente è infondato, illegittimo e non
meritevole di accoglimento per le seguenti moti­
vazioni. Le eccezioni poste dalla società ricor­
rente sono da ritenersi infondate. Non sussiste,
infatti, nella fattispecie, alcuna violazione del
termine previsto dall’art. 36 bis del D.P.R. n.
600/73. Lo stesso termine è ordinatorio, come
chiarito dall’art. 28 della legge 449/97 e comun­
que i termini certi della pretesa tributaria deri­
vanti dalla liquidazione delle dichiarazioni sono
stabiliti dalla notificazione della cartella di pa­
gamento e non dall’atto della liquidazione delle
dichiarazioni ex art. 36 bis, liquidazione che è
atto interno. Va ribadito che ai sensi degli artt. 6
ed 1, c. 1 e 2, del D.M. 321/1999, il contenuto
minimo della cartella di pagamento è costituito
dagli elementi che, ai sensi del citato art. 1, de­
vono essere elencati nel ruolo, ad eccezione del­
la data di consegna del ruolo stesso al Conces­
sionario e del codice degli articoli di ruolo e
dell’ambito. I ruoli sono formati direttamente
dall’ente creditore o con l’intervento, ai fini del­
la informatizzazione e con le modalità previste
dall’art. 3, del consorzio nazionale obbligatorio
tra i concessionari. Essi, in entrambi i casi, reca­
no un numero identificativo univoco a livello
nazionale e sono costituiti ognuno da un pro­
spetto conforme al modello da approvare con
decreto dirigenziale, adottato dalle Amministra­
zioni delle finanze e del tesoro, del bilancio e
della programmazione economica, e da un elen­
co contenente l’indicazione dei seguenti dati:
l’ente creditore: la specie del ruolo; il codice
fiscale e i dati anagrafici dei debitori; il codice
di ogni componente del credito, di seguito deno­
minata articolo di ruolo; il codice dell’ambito;
l’anno o il periodo di riferimento del credito;
l’importo di ogni articolo di ruolo; il totale degli
importi iscritti nel ruolo; il numero delle rate in
cui il ruolo deve essere riscosso, l’importo di
ciascuna di esse e la cadenza delle stesse; la data
di consegna al concessionario. L’atto impugnato
contiene tali elementi, da ritenersi esaustivi ri­
spetto alle previsioni. Da tali indicazioni, non
sembra, infatti, potersi far discendere la
obbligatorietà della sottoscrizione del ruolo o
della cartella. Nessuna norma prescrive che la
cartella debba riportare la firma del Direttore
che ha emesso il ruolo; tale sottoscrizione è un
elemento costitutivo del ruolo (art. 12 D.P.R. n.
602/73) e non della cartella di pagamento. Peral­
tro “Poiché la cartella esattoriale è un semplice
atto di comunicazione in via amministrativa e si
inquadra fra gli atti che, pur essendo attività
svolta da organi della p.a., non rientrano in sen­
so proprio nella categoria degli atti amministra­
tivi, ma costituiscono mere operazioni ammini­
strative, cioè attività materiali svolte in adempi­
mento di veri e propri atti amministrativi, e poi­
ché a siffatte operazioni non si estendono i
requisiti formali necessari per resistenza dell’at­
to amministrativo, e criterio fondamentale per
accertare la giuridica esistenza dell’operazione è
quello del raggiungimento del fine cui essa è
destinata, mentre l’unico limite di forma è rap­
presentato dall’osservanza della procedura
espressamente stabilita dalla legge, la mancanza
della firma dell’esattore sulla cartella di paga­
mento, regolarmente notificata, non comporta
inesistenza o nullità dell’atto, quando la cartella
abbia il contenuto previsto dall’art. 180 T.U.,
approvato con D.P.R. n 645/1958, e risultino
provate la formazione e la spedizione ad opera
del competente esattore e la notificazione a mez­
zo del messo esattoriale. (Cass. Sez. UU. 3739
del 22.12.1971). Dottrina e giurisprudenza si so­
no mostrati concordi nel ritenere che la cartella
non può essere annullata per mancata sottoscri­
zione, atteso che l’art. 25 del D.P.R. n. 602/73
prevede che la cartella deve essere conforme al
modello approvato con decreto del ministero
delle Finanze, il quale non richiede la sottoscri­
zione come elemento essenziale dell’atto e che
devono contenere il nominativo del responsabile
del procedimento, a pena di nullità, le cartelle di
pagamento riferite a ruoli consegnati all’agente
della riscossione dall’1/06/2008. Vengono consi­
derate valide le cartelle di pagamento, prive di
tale indicazione se riferite a ruoli consegnati pri­
ma di tale data. Infatti, come confermato dall’A­
genzia delle Entrate nella circolare n. 16/E del
6/03/2008, “la nuova disposizione conferma in­
direttamente che prima della sua entrata in vigo­
re l’irregolarità non comportava la nullità delle
cartelle di pagamento”. Non è condivisibile il
richiamo all’art. 7 dello Statuto dei contribuenti,
atteso che il predetto articolo non prevede
l’obbligatorietà di tale indicazione, ma la
responsabilità disciplinare del funzionario e la
possibilità di individuare il responsabile non in­
dicato nella persona del titolare dell’Ufficio. Va,
poi, rilevato che la legge n. 241/90, in materia di
procedimento amministrativo, ha stabilito il ge­
nerale principio secondo cui ogni atto ammini­
strativo, diverso da quello avente contenuto nor­
mativo, deve essere motivato. L’art. 3, c. 1 di
tale legge ha specificato che la motivazione de­
ve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione
dell’amministrazione in relazione alle risultanze
dell’istruttoria. Questa regolamentazione sulla
formazione degli atti amministrativi si applica
anche agli atti tributari: proprio in considerazio­
ne della funzione impositiva che essi assolvono,
sono obbligati a contenere determinati elementi,
alcuni prescritti a pena di nullità, altri che, pur
non comportando una così grave conseguenza
giuridica in caso di inosservanza, comunque in­
cidono sull’atto se la loro mancanza viene ecce­
pita dal destinatario. La motivazione per essere
valida, deve essere idonea a raggiungere lo sco­
po cui è destinata. Ed invero, posto che la moti­
vazione dell’accertamento tributario deve consi­
stere nella dichiarazione dei fatti costituenti il
presupposto del tributo, essa persegue una dupli­
ce finalità. Da un lato, infatti, essa deve costitui­
re l’esternazione dell’iter logico giuridico segui­
to nella determinazione del valore e dall’altro
lato deve consentire ai destinatari dell’atto sia la
cognizione che la contestazione di eventuali er­
rori di fatto e di diritto commessi dagli uffici. La
motivazione è sufficiente quando consente al
contribuente di contestare efficacemente l’atto
impositivo sia nell’an che nel quantum. Nel ca­
so de quo, la cartella contiene tutti gli elementi
utili e necessari per soddisfare tali presupposti.
Ed infatti, è del tutto evidente che la richiesta
riguarda il carente versamento di IRPEF (Soste­
nuti d’imposta-ritenute), IRAP ed IVA, addizio­
nale regionale e comunale, e che trattasi di ac­
certamento eseguito ai sensi dell’art. 36 bis
D.P.R. n. 600/73. “Poiché il processo tributario,
pur formalmente costruito come giudizio di im­
pugnazione del provvedimento impositivo, ten­
de tuttavia all’accertamento del rapporto sostan­
ziale, il giudice tributario innanzi al quale venga
impugnato l’avviso di accertamento deve dichia­
rare la nullità dell’atto senza poter conoscere del
merito della pretesa fiscale solo quando l’avviso
non sia correlato di una motivazione coerente al
duplice scopo di delimitare le ragioni adducibili
all’ufficio nella fase contenziosa e di consentire
al contribuente l’esercizio del diritto di difesa di
fronte alla maggiore pretesa fiscale. Solo in tale
ipotesi, infatti, il contribuente si trova
nell’impossibilità di esercitare una tutela effica­
ce del proprio diritto attraverso la contestazione
dell’an e del quantum della pretesa impositiva,
65
ed il giudice tributario, che pur dispone di
un’ampia facoltà di indagine, non può pervenire
ad alcuna decisione perché essa implicherebbe
una inammissibile sua sostituzione all’Ammini­
strazione nella ricerca dei presupposti d’imposta
(C.T.C. Sez. 24. n. 06382 del 18.12.1996). L’at­
to impugnato contiene tutti gli elementi utili per
il contribuente a ben organizzare la propria dife­
sa e le proprie deduzioni nel merito, peraltro as­
solutamente assenti nel caso in esame. Tutte le
eccezioni risultano prive di fondamento. Infon­
data è anche l’eccezione circa le modalità di cal­
colo degli interessi per ritardata iscrizione a ruo­
lo, in quanto la decorrenza e il tasso da applicare
risultano disciplinati dall’art. 20 del D.P.R. n.
602/73 così come modificato dall’art. 8 del
D.lgs. n. 46/99; così come risulta infondata l’ec­
cepita illegittimità per violazione della VI Diret­
tiva IVA 77/388 della CEE, in quanto la Corte di
giustizia Europea, con sentenza del 3.10.2006 ha
stabilito che l’IRAP si distingue dall’IVA in mo­
do tale da non poter essere considerata un’impo­
sta sulla cifra d’affari, ai sensi della richiamata
VI direttiva. Le spese sono attribuite come da
dispositivo. La circostanza è confermata e suf­
fragata dalla documentazione regolarmente ac­
quisita agli atti processuali e,
P.Q.M.
Conferma la decisione impugnata. Condanna
l’appellante al pagamento delle spese processua­
li che liquida in € 500,00.
II
Commissione tributaria regionale di Napoli,
Sezione Staccata di Salerno
Sez. XII, 3 luglio 2013, n. 367
Pres. Oricchio – Rel. De Camillis
66
I. Riscossione – Riscossione a mezzo di
cartella di pagamento – Notifica – E’ at­
to strumentale alla conoscenza da parte
del contribuente della pretesa dell’Am­
ministrazione – Notifica a mezzo posta –
Impugnazione da parte del contribuente
– Raggiungimento dello scopo – Conse­
gue – Nullità della iscrizione a ruolo –
Non sussiste
II. Riscossione – Riscossione a mezzo di
cartella di pagamento – Iscrizione ai
sensi dell’art. 68, D.Lgs. n. 546/1992 –
Motivazione della cartella di pagamento
indicante solo i termini della liquidazio­
ne della sentenza – Sufficienza
III. Riscossione – Riscossione a mezzo
di cartella di pagamento – Sottoscrizio­
ne della cartella di pagamento e indica­
zione del responsabile del procedimento
– Necessità – Non sussiste
I. La notifica della cartella di pagamento va
considerata atto strumentale finalizzato alla co­
noscenza da parte dei contribuente della pretesa
dell’Amministrazione finanziaria, e tale scopo è
da ritenersi raggiunto nel caso in cui il contri­
buente si opponga alla stessa, anche qualora la
cartella stessa sia stata notificata dal Conces­
sionario della Riscossione a mezzo di posta rac­
comandata.
II. E’ correttamente motivata la iscrizione a ruo­
lo effettuata ai sensi dell’articolo 68 del D.Lgs.
n. 546 del 1992, e quindi a seguito di liquidazio­
ne della sentenza della Commissione Tributaria
Provinciale, giacché è da ritenere che ogni utile
indicazione sulla formazione del ruolo sia stata
a conoscenza della parte ricorrente che ha cu­
rato il contenzioso, tanto per la quantificazione
delle imposte che degli interessi e delle sanzioni.
III. E’ legittima la cartella di pagamento non
sottoscritta, stante la assenza di obblighi di leg­
ge in proposito ed essendo sufficiente che l’atto
dia la possibilità di individuare con certezza
l’autorità da cui l’atto promana.
Svolgimento del processo
La EQUITALIA POLIS SPA notificava in data
19 ottobre 2009 a T. U. la cartella di pagamento
n. per € 17.632,79 su iscrizione a ruolo dall’Uf­
ficio di Eboli dell’Agenzia delle Entrate con ri­
ferimento ai seguenti avvisi di accertamento in
materia di IRPEF, addizionale regionale e pro­
vinciale, e relativi interessi e sanzioni, notificati
in data 10 giugno 2008:
1) n. XXX per l’anno 2001;
2) n. XXX per l’anno 2002;
3) n. XXX per l’anno 2003;
4) n. XXX per l’anno 2004.
Ricorreva, in data 30/12/2009, il sig. T. U., rap­
presentato e difeso dal dott. A.S., sia nei con­
fronti dell’Agenzia delle Entrate di Eboli che
dell’Agenzia della Riscossione, per i seguenti
motivi: 1) Illegittimità ed infondatezza della no­
tifica della cartella di pagamento per inesistenza
giuridica della stessa per violazione degli artico­
li 148 e 149 c.p.c. e degli articoli 2, 3 e 14 della
Legge n. 890/92, e dell’art. 60 D.P.R. n. 600/73,
ed infine dell’art. 26 del D.P.R. n. 602/73 in
quanto effettuata a mezzo posta senza avvalersi
della indispensabile intermediazione dell’agente
di riscossione e senza il rispetto delle formalità
allo stesso riservate per la stesura della relata di
notifica; 2) Illegittimità ed infondatezza della
iscrizione a ruolo per violazione dell’art. 3 della
Legge n. 241/90 e degli articoli 7 e 17 della
Legge 212/00; 3) Illegittimità ed infondatezza
dei valori riportati nel dettaglio degli addebiti
per violazione dell’art. 3 della Legge 241/90 e
dell’art. 24 della Costituzione Italiana ed infine
della Legge n. 241/00; 4) Illegittimità ed infon­
datezza della iscrizione a ruolo per violazione
della normativa di cui all’art. 20 del D. P. R. n.
602/73 in tema di interessi e dell’art. 13 del
D.lgs. n. 471/97 in tema di sanzioni pecuniarie;
5) Illegittimità ed infondatezza della cartella di
pagamento per mancanza di sottoscrizione da
parte del responsabile del procedimento; 6)
Illegittimità ed infondatezza della iscrizione a
ruolo per violazione dell’art. 68 l° comma del
D.Lgs. n. 546/92 in quanto non sono dovute le
sanzioni e la iscrizione frazionata è prevista so­
lamente a titolo provvisorio per l’importo deciso
in sentenza. Concludeva per l’annullamento del­
la iscrizione a ruolo. In data 18 febbraio 2010 si
costituiva in giudizio e presentava controdedu­
zioni l’Agenzia delle Entrate di Eboli che preli­
minarmente eccepiva l’inam-missibilità del gra­
vame in quanto si riferiva unicamente a vizi del­
la cartella di pagamento; il ricorso andava pro­
posto
unicamente
nei
confronti
del
concessionario per la riscossione, unico soggetto
legittimato a costituirsi ed a resistere in giudizio.
Tuttavia per mero scrupolo difensivo faceva ri­
levare la infondatezza delle eccezioni sollevate.
Concludeva per l’inammissibilità del ricorso ed
in subordine per il suo rigetto, confermare la
cartella impugnata, vinte le spese. La Equitalia
Polis Spa non si costituiva in giudizio. Costitui­
tosi il contraddittorio nei termini essenziali so­
pra succintamente esposti, la C.T.P. di Salerno,
Sez. 18, Udienza del 8/10/2010, con Sentenza n.
397, rigettava il ricorso. Compensava le spese. Il
ricorrente presentava appello, in data
12/05/2011, si riportava a quanto espresso in
prime cure, chiedeva di annullare la sentenza
emessa. L’Agenzia Entrate Salerno in data
9/06/2011, depositava controdeduzioni, sostene­
va che la sentenza era giusta, riteneva legittimo
il proprio operato e chiedeva il rigetto dell’ap­
pello e la condanna della controparte alle spese
del doppio grado di giudizio. L’Equitalia Sud
Spa in data 15/09/2011 presentava controdedu­
zioni, sosteneva che le censure svolte nei propri
confronti erano destituite di ogni fondamento,
riteneva legittimo il proprio operato e chiedeva
di rigettare l’appello e confermare la sentenza di
primo grado e di respingere la richiesta di so­
spensione. All’odierna udienza, assenti le parti
in causa, dopo l’esposizione dei fatti ad opera
del Giudice relatore, la causa veniva riservata a
decisione.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminati gli atti e valutate le
argomentazioni, ritiene che l’appello prodotto
dal ricorrente è infondato, illegittimo e non me­
ritevole di accoglimento per le seguenti motiva­
zioni. Con il primo motivo di doglianza la parte
ricorrente eccepisce la nullità dell’avviso di ac­
certamento per la inesistenza giuridica della no­
tifica di tale avviso in quanto l’incaricato avva­
lendosi del servizio postale doveva procedere
mediante la spedizione di copia dell’atto previa­
mente completata di relata di notifica datata e
sottoscritta. Il Collegio osserva al riguardo che
la notifica va considerata atto strumentale fina­
lizzato alla conoscenza da parte dei contribuente
della pretesa dell’Amministrazione finanziaria, e
nel caso in esame non v’è dubbio che tale scopo
sia stato pienamente raggiunto come dimostra la
presentazione del ricorso. In senso conforme il
consolidato indirizzo giurisprudenziale della
Cassazione (ex multis Cass. 07 aprile 1994, n.
3294: Cass. 09 giugno 1997. n. 5100; Cass. 29
maggio 2001, n. 7285; Cass. 12 marzo 2002, n.
3549; Cass. SS. UU. 05 ottobre 2004, n. 19854;
Cass. n. 9697 del 10 maggio 2005 e Cass. n.
12051 del 4 maggio 2008). L’esaminata eccezio­
ne non ha fondamento. Con il secondo ed il ter­
zo motivo la parte ricorrente lamenta sostanzial­
mente la omissione di ogni indicazione nella
67
cartella di pagamento degli elementi riferiti al
calcolo delle somme iscritte a ruolo e che la
mancata conoscenza impedisce l’apprestamento
di una valida difesa. La Commissione osserva
che la cartella reca la indicazione di quattro di­
stinti avvisi di accertamento e che gli importi
iscritti a molo sono dovuti a seguito di decisione
della Commissione Tributaria Provinciale. La
sentenza è certamente nota alla parte ricorrente
che alla pagina due del ricorso richiama addirit­
tura la decisione definitiva della Commissione
Tributaria Regionale di Napoli. Quindi essa ha
avuto piena conoscenza dei quattro avvisi di ac­
certamento notificati in data 10 giugno 2008 e
per i quali ha proposto ricorso alla Commissione
Tributaria Provinciale che ne ha disposto il ri­
getto. Il successivo ricorso, in sede di appello,
proposto alla Commissione Tributaria Regiona­
le, conferma la conoscenza della decisione da
parte del ricorrente. La iscrizione a ruolo conse­
gue per l’applicazione delle disposizioni recate
dal primo comma dell’articolo 68 del D.Lgs. n.
546 del 1992. Tanto porta a ritenere che ogni
utile indicazione sulla formazione del ruolo sia
stata a conoscenza della parte ricorrente che ha
curato il contenzioso, tanto per la quantificazio­
ne delle imposte che degli interessi e delle san­
68
zioni. Consegue l’infondatezza degli innanzi
esaminati motivi con assorbimento delle do­
glianze illustrate nel quarto e nel sesto motivo,
tenuto conto di quanto dispone il comma 1 del­
l’art. 19 del D.lgs. n. 472/97. Residua l’esame
del quinto motivo di ricorso con il quale la parte
ricorrente eccepisce la mancanza della firma in
calce alla cartella di pagamento da parte del re­
sponsabile del procedimento. Tale formalità non
è espressamente prevista dalla legge, e confor­
memente si è determinata la Corte Costituziona­
le con ordinanza n. 117 del 13 aprile 2000, nel
ritenere sufficiente che l’atto, per il quale non
sia richiesta la sottoscrizione dalla legge, dia
con certezza la possibilità di individuare
l’autorità da cui l’atto promana. In ordine alle
spese di procedimento sussistono giusti motivi
per disporne la compensazione integrale tra le
parti ai sensi dell’art. 15 c. 1 D.lgs. n. 546/92 ed
ai sensi dell’art.92 c. 2 c.p.c. La circostanza è
confermata e suffragata dalla documentazione
regolarmente acquisita agli atti processuali e,
P.Q.M.
Rigetta l’appello, compensa le spese.
Riscossione
LA OMESSA PREVENTIVA ESCUSSIONE NON OSTA
ALLA NOTIFICA DELLA CARTELLA AL SOCIO
Commissione tributaria provinciale Salerno,
Sez. I, 28 ottobre 2013, n. 654
Pres. Sirocchi – Rel. Paesano
I. Riscossione – Liquidazione delle im­
poste dovute in base alla dichiarazione
della società partecipata – Iscrizione a
ruolo estesa al socio debitore solidale –
Eccepita l’omessa preventiva escussio­
ne del patrimonio della società – Non
costituisce un adempimento procedura­
le obbligatorio – Legittimità dell’iscri­
zione a ruolo – Sussiste
II. Riscossione – Liquidazione delle im­
poste dovute in base alla dichiarazione
della società partecipata – Controllo au­
tomatizzato ai sensi degli artt. 36 bis del
D.P.R. n. 600 del 173 e 54 bis del D.P.R.
n. 633 del 1972 – Notificazione della
cartella di pagamento al socio debitore
solidale – Deve intervenire entro i ter­
mini di decadenza di cui all’art. 25 del
D.P.R. n. 602 del 1973
I. Nelle società di persone, la preventiva escus­
sione del patrimonio della società non è un “a­
dempimento procedurale obbligatorio” che, se
disatteso, determina la preclusione a un’esten­
sione delle obbligazioni ai soci. Secondo la vi­
gente disciplina, infatti, i soci della società in
nome collettivo rimangono solidalmente obbli­
gati con la società stessa fino al completo esau­
rimento dei debiti sociali. Da tanto, discende
che la pretesa erariale deve essere azionata nei
termini previsti dall’art. 25 del D.P.R. n.
602/1973, pena la decadenza dell’Amministra­
zione.
II. In materia di riscossione tramite ruolo, i ter­
mini di prescrizione e di decadenza sono diversi
a seconda del tipo di credito per cui si procede.
In ipotesi di iscrizione a ruolo per importi pro­
venienti da controllo automatizzato della dichia­
razione, ai sensi dell’art. 36 bis D.P.R. n.
600/73 e dell’art. 54 bis del D.P.R. n. 633/72, ed
in particolare al fine di garantire l’interesse del
contribuente alla conoscenza, in termini certi,
della pretesa tributaria derivante dalla liquida­
zione delle dichiarazioni e di assicurare l’inte­
resse pubblico alla riscossione dei crediti tribu­
tari, la notifica di qualsiasi relativa cartella di
pagamento è effettuata sempre, a pena di deca­
denza, entro i termini di cui all’art. 25 del
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
Svolgimento del processo
Le sigg.re D. M. e D. L., rappresentate e difese
dal dott. L.D., commercialista, con studio in S.,
presso il quale viene eletto domicilio, impugna­
no le cartelle esattoriali n. …..., notificate in da­
ta 30.10.2012, con le quali viene chiesto il paga­
mento di imposte per l’anno 2004, quali soggetti
coobbligati della partecipata “D. s.n.c.”, iscritte
ai sensi dell’ art. 36 bis D.P.R. n. 600/73 e dell’
art. 54 bis D.P.R. n. 633/72.
Le ricorrenti ricorrono ritenendo gli atti in que­
stione privi di motivazione. Le cartelle, infatti,
sono dirette alla Società e alle ricorrenti quali
coobbligate in solido. Esse, quindi, non riporta­
no alcun riferimento alla motivazione, in fatto e
in diritto, circa la pretesa avanzata dall’Agenzia
dell’Entrate nei confronti delle ricorrenti, atteso
che gli unici elementi presenti sono inerenti a
dichiarazioni fiscali presentate dalla società “D.
s.n.c.”. Si deve ritenere, perciò, secondo le ricor­
renti, che non sia sufficiente all’integrazione
della motivazione, richiesta dall’art. 12 del
D.P.R. n. 602/73, il semplice invio della cartella
di pagamento al loro indirizzo con apposta la
semplice dicitura “coobbligato in solido”. Inol­
tre, la richiesta è comunque da ritenersi illegitti­
ma in ragione del fatto che manca qualsiasi pro­
va in ordine alla preventiva escussione del debi­
tore principale. Le ricorrenti, inoltre, sostengono
la nullità delle cartelle di pagamento per manca­
69
70
ta notifica dell’atto presupposto, con conseguen­
te intervenuta decadenza dell’azione dell’Ufficio
per manifesta violazione del termine di cui al­
l’art. 1 del D.L. n. 106/2005, convertito in legge
156/2005, e per mancata esplicitazione dei cal­
coli relativi all’addebito degli interessi. Conclu­
dono per l’annullamento degli atti impugnati,
con vittoria di spese.
Si costituisce 1’Equitalia Sud SpA, agente della
riscossione, con memoria depositata in data
29.8.2013. Fa presente che la Società “D.
s.n.c.”, in data 21.5.2013, destinataria della pre­
tesa fiscale come da cartella n. ..., presentava
istanza di rateizzazione delle somme iscritte a
ruolo, pagando però soltanto la prima rata. Ciò
costituisce, secondo l’Ufficio opposto, una for­
ma di confessione stragiudiziale munita di effi­
cacia ex art. 2735 c.c. e prova di una preventiva
escussione. D’altra parte, il Fisco può agire di­
rettamente nei confronti dei soci di una società
in nome collettivo anche senza la preventiva
escussione del patrimonio societario, rimanendo
i soci coobbligati con la Società fino al comple­
to esaurimento dei debiti sociali. Contesta le al­
tre eccezioni, con particolare riferimento alla ca­
renza di motivazione e alla sollevata decadenza,
chiarendo che la pretesa è stata azionata nei ter­
mini, perchè la prima richiesta è da riferirsi alla
cartella notificata alla Società nell’anno 2007.
Conclude per il rigetto del ricorso, con condan­
na al pagamento delle spese di giudizio.
Con memoria illustrativa depositata in data
12.9.2013, le ricorrenti controdeducono alle os­
servazioni dell’Ufficio, ribadendo le proprie tesi
difensive, sia in ordine all’obbligazione tributa­
ria, sia in ordine alla mancata ricezione di qual­
siasi atto presupposto, non potendosi, in tal sen­
so, ritenere probanti le affermazioni circa una
presunta richiesta di rateizzazione che impliche­
rebbe, secondo l’Ufficio, la preventiva escussio­
ne nei confronti del debitore principale, assolu­
tamente necessaria e prevista dalla norma. L’Uf­
ficio, con memoria depositata in data 18.9.2013,
impugna le ulteriori deduzioni della parte perchè
presentate in violazione dell’art. 32 del D. L .
546/92. Insiste, comunque, sulla possibilità di
diretta richiesta del debito a carico dei soci, an­
che in ragione del fatto che la Società è stata
cancellata dal registro delle imprese in data
9.5.2005.
Alla udienza pubblica di discussione, i rappre­
sentanti delle parti costituite si riportano agli atti
depositati, alle eccezioni mosse e alle conclusio­
ni rassegnate. Il Collegio, in camera di consi­
glio, decide come da dispositivo.
Motivi della decisione
Il Codice civile contiene la disciplina delle
società in nome collettivo negli articoli da 2291
a 2312. A tale società risultano altresì applicabi­
li, in mancanza di disposizioni specifiche, le
norme dettate per la società semplice, per effetto
del rinvio operato dall’articolo 2293 cc.. Come è
noto, la S.n.c. è organizzata, di regola, su base
personale; in tale modello societario contano so­
prattutto le persone dei soci. Pur non essendo
munita di personalità giuridica, costituisce un
autonomo soggetto di diritto, che può essere
centro di imputazione di situazioni negoziali, di­
stinte rispetto alla posizione dei soci, nei con­
fronti sia dei terzi che dei soci stessi. Caratteri­
stica fondamentale di tale modello societario è
la responsabilità solidale e illimitata di tutti i
soci verso i terzi per le obbligazioni sociali (arti­
colo 2291 cc). Tutti i soci sono amministratori
della società e rispondono illimitatamente dei
debiti sociali con il proprio patrimonio persona­
le. Ne consegue che l’adempimento delle obbli­
gazioni sociali è garantito, oltre che dal patrimo­
nio della società, anche da quello di tutti i singo­
li soci. Essi rispondono illimitatamente e soli­
dalmente per le obbligazioni sociali, cioè per i
debiti contratti nell’esercizio dell’attività socia­
le, il che significa che per i debiti sociali i soci
rispondono con tutto il patrimonio personale e
non soltanto con il proprio conferimento (con­
cetto di responsabilità illimitata), e inoltre che i
creditori della società, possono rivalersi, per
l’intero ammontare dei loro crediti, sul patrimo­
nio di uno qualunque dei soci, i quali rispondo­
no l’uno per l’altro (concetto di responsabilità
solidale).
In merito, i giudici di legittimità (Cass. n. 12799
del 10.6.2011) hanno introdotto un inedito signi­
ficato al dettato dell’articolo 2304 del codice ci­
vile. In particolare, secondo i giudici, la preven­
tiva escussione del patrimonio della società non
è un “adempimento procedurale obbligatorio”
che, se disatteso, determina la preclusione a
un’estensione delle obbligazioni ai soci. Secon­
do la vigente disciplina, infatti, i soci della
società in nome collettivo rimangono solidal­
mente obbligati con la società stessa fino al
completo esaurimento dei debiti sociali. La pro­
nuncia della Suprema Corte appare totalmente
nuova in quanto, come noto, nelle società in no­
me collettivo tutti i soci rispondono solidalmen­
te e illimitatamente per le obbligazioni sociali,
con la conseguenza che i creditori sociali posso­
no soddisfare le loro pretese sia sul patrimonio
della società sia su quello dei soci. Tuttavia, la
responsabilità della società e quella dei soci non
è sullo stesso piano in quanto i soci, pur essendo
responsabili tra loro, lo sono in via sussidiaria
verso la società e, peraltro, stante il tenore lette­
rale dell’art. 2304, godono del beneficio della
preventiva escussione del patrimonio sociale.
Invero, secondo la Suprema Corte, il creditore
sociale può rivolgersi direttamente al socio illi­
mitatamente responsabile, il quale ha l’onere di
invocare la preventiva escussione del patrimonio
della società se, però, indica beni su cui il credi­
tore possa soddisfare le pretese. Il beneficio di
escussione, quindi, opera in via eccezionale e il
socio, se non prova che nel patrimonio sociale
sono presenti beni il cui valore è sufficiente a
soddisfare il creditore, sarà tenuto a pagare la
pretesa di quest’ultimo.
La tesi sostenuta dall’Ufficio trova, quindi, pre­
cisa indicazione nella giurisprudenza, dovendosi
dare atto, peraltro, nella fattispecie, che la
Società risulta cancellata dal registro delle im­
prese in data 9 maggio 2005.
Ora, premesso che in linea di principio, le do­
mande nei confronti dei soci (quindi la notifica
degli atti impositivi, siano questi accertamenti o
cartelle di pagamento) devono essere loro rivol­
te nella loro specifica ed indicata qualità oltre
che, ovviamente, nei limiti di decaden­
za/prescrizione del diritto fatto valere dai credi­
tori, va rilevato che la possibilità di un interessa­
mento diretto ed immediato dei soci, sia per il
non obbligo della preventiva escussione, sia per
l’avvenuta cancellazione della Società, rende
ancor più determinante il ritardo con il quale la
cartella di pagamento è stata notificata. La car­
tella esattoriale, infatti, deve essere notificata
entro termini ben precisi. Questi termini si di­
stinguono in termini di decadenza e termini di
prescrizione. I termini di decadenza, ove non ri­
spettati, comportano la perdita della possibilità
di esercitare un determinato potere. Ad esempio,
nel caso della cartella esattoriale notificata oltre
il termine di decadenza, l’ente creditore perde il
potere di procedere alla riscossione tramite ruo­
lo. Resta salvo, tuttavia, il credito preteso, che
potrebbe essere recuperato mediante le procedu­
re ordinarie previste dal codice di procedura ci­
vile, quali ad esempio il ricorso per decreto in­
giuntivo. I termini di decadenza non possono
essere sospesi nè interrotti (a differenza dei ter­
mini di prescrizione). In altre parole, la decaden­
za è impedita solo dal compimento dell’atto pre­
visto dalla legge (o dall’accordo delle parti). I
termini di prescrizione, invece, ove non rispetta­
ti, comportano l’estinzione del diritto. Una volta
decorsa la prescrizione, pertanto, l’ente creditore
non può più chiedere il pagamento nè tramite
ruolo nè tramite altre procedure, I termini di pre­
scrizione possono essere sospesi o interrotti. Ad
esempio, interrompe la prescrizione la richiesta
di pagamento o il riconoscimento del debito da
parte del debitore. Dal giorno dell’interruzione,
inizia a decorrere ex novo il termine di prescri­
zione.
In materia di riscossione tramite ruolo, i termini
di prescrizione e di decadenza sono diversi a
seconda del tipo di credito per cui si procede.
Nella fattispecie, la cartella impugnata riporta a
pag. 2, l’indicazione che la iscrizione a ruolo
delle somme richieste scaturisce da controllo au­
tomatizzato della dichiarazione anno 2005 (red­
dito 2004), ai sensi dell’art. 36 bis D.P.R. n.
600/73 e dell’art. 54 bis del D.P.R. n. 633/72.
Con sentenza della Corte Costituzionale n. 280
del 2005, è stata dichiarata l’illegittimità costitu­
zionale dell’art. 25 del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, nella parte in cui non prevedeva
un termine di decadenza per la notifica delle
cartelle di pagamento relative alle imposte liqui­
date ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 29 set­
tembre 1973, n. 600. L’art. 1 del D.lgs. 17 giu­
gno 2005, n. 106, convertito con modificazioni
nella legge 31 luglio 2005, n. 156, innovando
rispetto a quanto disposto, da ultimo, dalla legge
30 dicembre 2004, n. 311, ha fissato dei termini
di decadenza per la notifica delle cartelle, con lo
scopo, in adempimento delle indicazioni conte­
nute nella pronuncia del giudice delle leggi, di
porre comunque un limite temporale ultimo per
le richieste degli uffici finanziari, al fine preci­
puo di “garantire l’interesse del contribuente al­
la conoscenza, in termini certi, della pretesa tri­
butaria derivante dalla liquidazione delle dichia­
razioni”.
Tale principio trova applicazione con riferimen­
to a qualsiasi cartella di pagamento, quale che
sia la ragione della sua emissione ed il ruolo in
base al quale essa è stata emessa: una disciplina
differenziata è stata infatti introdotta a seconda
che essa sia emessa a seguito di controllo forma­
71
le o della rettifica cartolare delle dichiarazioni,
ovvero in conseguenza di un avviso di accerta­
mento divenuto definitivo. E il legislatore ha no­
vato il tenore D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
prevedendo termini di decadenza in ragione del­
la data di presentazione della dichiarazione. In
particolare, al fine di garantire l’interesse del
contribuente alla conoscenza, in termini certi,
della pretesa tributaria derivante dalla liquida­
zione delle dichiarazioni e di assicurare l’inte­
resse pubblico alla riscossione dei crediti tribu­
tari, la notifica delle relative cartelle di paga­
mento è effettuata, a pena di decadenza:
a) entro il 31 dicembre del terzo anno successi­
vo a quello di presentazione della dichiarazione,
con riferimento alle dichiarazioni presentate a
decorrere dal 1° gennaio 2004;
b) entro il 31 dicembre del quarto anno successi­
vo a quello di presentazione della dichiarazione,
con riferimento alle dichiarazioni presentate ne­
gli anni 2002 e 2003;
c) entro il 31 dicembre del quinto anno successi­
vo a quello di presentazione della dichiarazione,
72
con riferimento alle dichiarazioni presentate fino
al 31 dicembre 2001.
Nel caso in esame, in relazione alla circostanza
che la dichiarazione è riferita ai redditi 2004 (di­
chiarazione 2005) e che trattasi di controllo au­
tomatizzato ex art. 36 bis DPR 600/73 e art. 54
bis DPR 633/72, il termine di decadenza per la
notifica della cartella esattoriale rimaneva fissa­
to per il 31.12.2007, mentre dagli atti risulta che
la procedura di notifica è avvenuta, invece, in
data 30.10.2012. Va, pertanto, accolta l’eccezio­
ne di decadenza per inosservanza del termine.
La cartella va annullata ed il ricorso va perciò
accolto. In ragione della particolarità della fattis­
pecie, si ritiene giusto compensare le spese di
giudizio.
P.Q.M.
La Commissione accoglie il ricorso, annullando
la cartella impugnata per intervenuta decadenza
ex art. 25 D.P.R. n. 602/73 e ss.mm.. Compensa
le spese di giudizio.