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Lunedì, 04 aprile 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Omessa registrazione
del preliminare senza
imposta sull’acconto
Biglietti aerei internazionali nelle maglie dello
spesometro
/ Anita MAURO e Stefano SPINA
/ Emanuele GRECO e Gianluca ODETTO
Ci viene segnalata l’emissione, da
parte degli uffici locali dell’Agenzia
delle Entrate, di atti di accertamento
riferiti alla mancata registrazione dei
contratti preliminari di compravendita immobiliare quando negli atti
notarili sono indicate, nelle modalità
di pagamento del prezzo, somme date a titolo di acconto.
In poche parole, al momento della registrazione del contratto definitivo di
cessione immobiliare, l’Ufficio
dell’Agenzia delle Entrate, vedendo
che è stato corrisposto un acconto,
va a verificare se l’acconto fosse previsto da un contratto preliminare e,
ove quest’ultimo non risulti registrato, ne accerta l’omissione.
Si ricorda, infatti, che tutti i contratti
preliminari di compravendita immobiliare, che, ai sensi dell’art. 1351 c.c.,
devono essere redatti per iscritto
(anche per scrittura privata non autenticata), sono soggetti a registrazione in termine fisso, a prescindere
dal regime IVA del definitivo.
A norma dell’art. 10 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86, [...]
Le imprese italiane che acquistano
biglietti aerei direttamente sul sito
web di una compagnia estera (che
non si avvale di una stabile organizzazione in Italia) sono tenute ad assolvere gli obblighi IVA relativi al
servizio di trasporto acquistato.
Per adempiere ai suddetti obblighi,
l’impresa committente emette autofattura ai sensi dell’art. 17 comma 2
del DPR 633/72 (o integra la fattura
eventualmente ricevuta dalla compagnia aerea, se stabilita nell’Unione europea) e, a tal fine, deve individuare il regime IVA applicabile al
servizio.
Una diversa impostazione, fondata
sulla lettura della circ. Agenzia delle Entrate 29 luglio 2011 n. 37 (§ 4.3),
porterebbe ad escludere l’emissione
dell’autofattura per le prestazioni di
trasporto aereo, in virtù dell’esonero
dall’obbligo di fatturazione previsto
dall’art. 22 comma 1 n. 3) del DPR
633/72.
In assenza di precise indicazioni da
parte dell’Amministrazione finanziaria, gli operatori sono soliti procedere con l’emissione del documento.
Adempimenti diversi se la compagnia aerea è stabilita in uno Stato “black list”
Sintetizzando quanto già evidenziato
in un precedente intervento (si veda
“La tratta condiziona l’IVA nei viaggi
aerei” del 23 novembre 2015), se l’impresa italiana acquista i biglietti per
un volo internazionale, distinguerà la
parte di corrispettivo esclusa dal
campo di applicazione dell’imposta
per carenza del requisito di territorialità (62%) dalla parte di corrispettivo
rilevante ai fini IVA (38%). Per
quest’ultimo importo, potrà essere fatto valere il regime di non imponibilità IVA di cui all’art. 9 comma 1 n. 1) del
DPR 633/72, se il trasporto è eseguito
dallo stesso vettore in parte nel territorio dello Stato e in parte nel territorio estero.
I soggetti passivi nazionali che privilegiano l’impostazione prudenziale,
optando per la certificazione mediante autofattura, sono tenuti ad emettere il documento per l’intero corrispettivo.
A norma dell’art. 21 comma 6-bis lett.
b) del DPR 633/72, infatti, l’obbligo di
emissione della fattura è previsto anche per le prestazioni di servizi effettuate al di fuori dell’ [...]
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IN EVIDENZA
FISCO
Nuovi esoneri dallo spesometro per commercianti, agenzie di
Bonus R&S cumulabile
con il Patent box
viaggio ed enti pubblici
L’accessione del fabbricato costruito dalla società non sconta l’IVA
La revisione nelle imprese minori vista attraverso un caso reale
Le nuove detrazioni scolastiche assorbiranno le spese del nido
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 11
/ Pamela ALBERTI
In merito al credito d’imposta per la
ricerca e sviluppo di cui all’art. 3 del
DL n. 145/2013, la circolare n. 5/2016
fornisce interessanti chiarimenti sotto il profilo della cumulabilità
dell’agevolazione con altri [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Omessa registrazione del preliminare senza imposta
sull’acconto
Sembra paradossale che l’Agenzia, accertata l’omissione, richieda anche il registro sugli acconti
previsti dal compromesso
/ Anita MAURO e Stefano SPINA
Ci viene segnalata l’emissione, da parte degli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate, di atti di accertamento
riferiti alla mancata registrazione dei contratti preliminari di compravendita immobiliare quando negli atti
notarili sono indicate, nelle modalità di pagamento del
prezzo, somme date a titolo di acconto.
In poche parole, al momento della registrazione del
contratto definitivo di cessione immobiliare, l’Ufficio
dell’Agenzia delle Entrate, vedendo che è stato corrisposto un acconto, va a verificare se l’acconto fosse
previsto da un contratto preliminare e, ove quest’ultimo non risulti registrato, ne accerta l’omissione.
Si ricorda, infatti, che tutti i contratti preliminari di
compravendita immobiliare, che, ai sensi dell’art. 1351
c.c., devono essere redatti per iscritto (anche per scrittura privata non autenticata), sono soggetti a registrazione in termine fisso, a prescindere dal regime IVA
del definitivo.
A norma dell’art. 10 della Tariffa, parte I, allegata al DPR
131/86, il contratto preliminare va soggetto ad imposta
di registro fissa, nella misura di 200 euro e, ove preveda la corresponsione di caparre o acconti non soggetti
ad IVA, questi sono soggetti ad imposta di registro proporzionale nella misura, rispettivamente, dello 0,50% e
del 3%.
Pertanto, in caso di omessa registrazione del contratto
preliminare, è dovuta l’imposta di registro fissa, oltre
agli interessi e alle sanzioni in misura variabile tra il
120% e il 240% delle imposte non versate (ex art. 69 del
DPR 131/86).
Nel caso in cui la conclusione dell’accordo sia avvenuta mediante l’intervento di un mediatore, le parti hanno l’obbligo di darne atto nel contratto definitivo e
l’agente d’affari diviene, ai sensi dell’art. 10 comma 1
lett. d-bis) del TUR, il soggetto obbligato all’adempimento e, conseguentemente, il soggetto destinatario
dell’eventuale provvedimento sanzionatorio.
È legittimo domandarsi, a tal punto, se, nel caso descritto, sia corretto che l’Agenzia delle Entrate richieda, oltre all’imposta fissa sul preliminare non registrato, anche l’imposta di registro del 3% sull’acconto.
Infatti, se è vero che l’imposta del 3% sull’acconto non
è stata corrisposta al momento della stipula del preliminare, deve, tuttavia, tenersi conto del fatto che, al
momento del definitivo, è stata pagata l’imposta di registro sull’intero valore/corrispettivo dell’immobile ceduto, comprensivo, quindi, anche della quota di acconto.
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
In particolare, si ricorda che la nota all’art. 10 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86, dopo aver disposto
l’applicazione dell’imposta di registro dello 0,50% o del
3% sulle caparre e sugli acconti previsti dal preliminare, dispone che tale imposta sia “imputata all’imposta
principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo”.
Questa disposizione appalesa che, come ben illustrato
dal Notariato nello Studio n. 185-2011/T, l’operazione
che si realizza nella sequenza preliminare-definitivo è
intesa come un’unica manifestazione di capacità contributiva: per questo motivo la disciplina dell’imposta
di registro prevede che l’imposta pagata su caparre e
acconti al preliminare venga detratta da quella dovuta
sul definitivo.
È il trasferimento dell’immobile a essere oggetto di imposizione, sicché, anche se il corrispettivo per la cessione è pagato in diversi momenti, l’imposta complessivamente dovuta è solo quella sul trasferimento: il pagamento dell’imposta sull’acconto non è che un anticipo di quello che sarà dovuto sul definitivo.
Tale principio, peraltro, è stato confermato dall’Agenzia delle Entrate nella circ. 29 maggio 2013 n. 18 (§ 3.1),
ove si precisa che, se l’imposta proporzionale corrisposta per la caparra confirmatoria e per gli acconti prezzo risulta superiore all’imposta di registro dovuta per il
contratto definitivo, spetta il rimborso della maggiore
imposta proporzionale versata, da richiedere entro tre
anni dal giorno del pagamento.
Preliminare e definitivo costituiscono un’unica
vicenda impositiva
Alla luce di quanto su esposto, quindi, sembra paradossale che, proprio a seguito della registrazione di un
contratto definitivo di compravendita immobiliare,
con pagamento dell’imposta di registro sull’intero corrispettivo (o valore) pattuito, l’Agenzia delle Entrate,
accertata l’omessa registrazione del contratto preliminare, nel richiedere (correttamente) l’imposta di registro fissa (oltre a sanzioni e interessi) dovuta per la registrazione del contratto preliminare, richieda anche
l’imposta di registro sugli acconti previsti dal compromesso quando, dallo stesso atto definitivo portato alla
registrazione, si desume che l’imposta di registro sul
trasferimento immobiliare è già stata integralmente
corrisposta, essendo stata pagata l’imposta sul definitivo.
/ 02
ancora
FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Biglietti aerei internazionali nelle maglie dello
spesometro
Adempimenti diversi se la compagnia aerea è stabilita in uno Stato “black list”
/ Emanuele GRECO e Gianluca ODETTO
Le imprese italiane che acquistano biglietti aerei direttamente sul sito web di una compagnia estera (che
non si avvale di una stabile organizzazione in Italia)
sono tenute ad assolvere gli obblighi IVA relativi al servizio di trasporto acquistato.
Per adempiere ai suddetti obblighi, l’impresa committente emette autofattura ai sensi dell’art. 17 comma 2
del DPR 633/72 (o integra la fattura eventualmente ricevuta dalla compagnia aerea, se stabilita nell’Unione
europea) e, a tal fine, deve individuare il regime IVA
applicabile al servizio.
Una diversa impostazione, fondata sulla lettura della
circ. Agenzia delle Entrate 29 luglio 2011 n. 37 (§ 4.3),
porterebbe ad escludere l’emissione dell’autofattura
per le prestazioni di trasporto aereo, in virtù dell’esonero dall’obbligo di fatturazione previsto dall’art. 22
comma 1 n. 3) del DPR 633/72.
In assenza di precise indicazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, gli operatori sono soliti procedere con l’emissione del documento.
Sintetizzando quanto già evidenziato in un precedente intervento (si veda “La tratta condiziona l’IVA nei
viaggi aerei” del 23 novembre 2015), se l’impresa italiana acquista i biglietti per un volo internazionale, distinguerà la parte di corrispettivo esclusa dal campo di
applicazione dell’imposta per carenza del requisito di
territorialità (62%) dalla parte di corrispettivo rilevante
ai fini IVA (38%). Per quest’ultimo importo, potrà essere fatto valere il regime di non imponibilità IVA di cui
all’art. 9 comma 1 n. 1) del DPR 633/72, se il trasporto è
eseguito dallo stesso vettore in parte nel territorio dello Stato e in parte nel territorio estero.
I soggetti passivi nazionali che privilegiano l’impostazione prudenziale, optando per la certificazione mediante autofattura, sono tenuti ad emettere il documento per l’intero corrispettivo.
A norma dell’art. 21 comma 6- bis lett. b) del DPR
633/72, infatti, l’obbligo di emissione della fattura è
previsto anche per le prestazioni di servizi effettuate al
di fuori dell’Unione europea. Così come, ai sensi
dell’art. 21 comma 6 lett. b) del DPR 633/72, la fattura è
emessa per le operazioni non imponibili di cui all’art. 9
del DPR 633/72 (riportando, in luogo dell’ammontare
dell’imposta, la dicitura “operazione non imponibile”).
L’autofattura sarà, comunque, oggetto di doppia annotazione nel registro delle fatture emesse e nel registro
degli acquisti, senza essere riportata nel quadro VJ
della dichiarazione annuale.
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
Se è stata emessa autofattura per il servizio di trasporto aereo ricevuto, gli obblighi comunicativi relativi al
c.d. “spesometro” di cui all’art. 21 del DL 78/2010 sono
assolti riportando nei quadri BL o SE del modello polivalente il solo corrispettivo avente rilevanza territoriale ai fini IVA in Italia (38% dell’operazione).
Secondo quanto disposto dalla norma istitutiva
dell’adempimento, infatti, la comunicazione ha ad oggetto le “operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”. Il che porterebbe ad escludere eventuali obblighi comunicativi per le operazioni “fuori campo”
in carenza del requisito di territorialità ex art. 7 e seguenti del DPR 633/72, qual è il caso della quota parte
di corrispettivi (62%) dei biglietti aerei riferibili alla
tratta estera.
Non pare sostenibile una diversa tesi, fondata sul tenore letterale del punto 3.1 del provvedimento attuativo
datato 2 agosto 2013, che includa nell’ambito dello
“spesometro” tutte le operazioni per le quali sussiste
l’obbligo di emissione della fattura (quindi anche le
operazioni “extraterritoriali”).
L’adempimento, però, muta se il biglietto aereo è acquistato da una compagnia avente sede, residenza o domicilio in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata
(ad esempio Svizzera, Singapore o Emirati Arabi Uniti)
e la totalità delle operazioni intercorse nell’anno con
controparti “black list” eccede l’importo di 10.000 euro.
In tale ipotesi, infatti, dovrà essere indicato nel quadro
BL del modello polivalente (entro il diverso termine del
20 settembre 2016) l’importo complessivo del volo acquistato, in quanto relativo ad un’operazione soggetta
a registrazione, per effetto degli obblighi di comunicazione “black list” di cui all’art. 1 del DL 40/2010.
Nel quadro BL, nell’ambito delle operazioni passive, dovrà, comunque, essere distinta la quota di corrispettivo (38%) riferita ad un’operazione non imponibile dalla
quota di corrispettivo (62%) riferita ad un’operazione
“non soggetta” ai fini dell’IVA.
Gli obblighi di comunicazione “black list” sorgono anche per il semplice fatto che il biglietto aereo sia acquistato presso un’agenzia di vendita on line ubicata in
Svizzera. A prescindere dalla tratta sulla quale è effettuato il volo (anche interamente nazionale, ad es. Roma-Torino), essendo l’operazione intercorsa con una
controparte stabilita in uno Stato a fiscalità privilegiata, non viene meno l’obbligo di indicazione nel quadro
BL, fermo il superamento del limite di 10.000 euro.
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ancora
FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Nuovi esoneri dallo spesometro per commercianti,
agenzie di viaggio ed enti pubblici
Per i commercianti al dettaglio e i tour operator sono escluse tutte le fatture di importo inferiore a
3.000 euro al netto dell’IVA
/ Emanuele GRECO e Gianluca ODETTO
Commercianti al minuto e agenzie di viaggio saranno
esonerati dallo spesometro per tutte le operazioni attive di importo unitario inferiore a 3.000 euro, al netto
dell’IVA, anche per i dati relativi al 2015. Per le pubbliche amministrazioni, invece, l’esonero dall’adempimento sarà integrale.
Lo ha annunciato l’Agenzia delle Entrate, con il comunicato stampa n. 64 pubblicato il 1° aprile 2016, anticipando uno specifico provvedimento direttoriale che, di
fatto, replicherà per i dati relativi al 2015 le esclusioni
già previste lo scorso anno per i dati relativi al 2014
(provvedimento del 31 marzo 2015).
L’esonero, come già avvenuto lo scorso anno, arriva a
ridosso della scadenza del termine per effettuare la comunicazione di cui all’art. 21 del DL 78/2010, fissata il
giorno 11 aprile 2016 (il giorno 10 è domenica) per i soggetti IVA mensili e il giorno 20 aprile 2016 per i soggetti IVA trimestrali.
Non si è, quindi, verificato l’auspicato anticipo nell’ufficializzare l’agevolazione, ragionevolmente richiesto
dagli operatori (si veda “Spesometro, per i dettaglianti
serve subito la deroga anche per il 2015” del 3 aprile
2015).
Sempre in tema di “scadenze”, si ricorda che pochi
giorni fa, con provvedimento n. 45144 del 25 marzo
2016, l’Agenzia ha rinviato al 20 settembre il termine
entro il quale effettuare la comunicazione delle operazioni “black list” 2015 (fino a quel momento il termine
era il medesimo previsto per lo spesometro).
Tornando allo spesometro, il regime derogatorio previsto dall’Agenzia delle Entrate per l’annualità 2015, sulle orme di quanto già previsto per lo scorso anno, riguarda:
- sotto il profilo soggettivo, i commercianti al minuto
ed assimilati, di cui all’art. 22 del DPR 633/72, e le agenzie di viaggio, di cui all’art. 74-ter del DPR 633/72;
- sotto il profilo oggettivo, tutte le operazioni attive di
importo unitario inferiore a 3.000 euro, al netto
dell’IVA.
Considerato il riferimento alle “operazioni attive”, per i
commercianti al dettaglio e le agenzie di viaggio, l’esonero viene a sovrapporsi a quello già disposto dalla
norma istitutiva dello spesometro (l’art. 21 del DL
78/2011) relativamente alle operazioni “per le quali non
è previsto l’obbligo di emissione della fattura”, al di sotto della soglia di 3.600 euro al lordo dell’IVA.
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
Per cui, come già evidenziato sulle pagine di
Eutekne.info (si veda “Spesometro light per commercianti al minuto e agenzie di viaggio” del 1° aprile 2015),
l’esclusione riguarda tutte le operazioni inferiori a
3.000 euro, includendo sia le fatture che i corrispettivi.
Ciò significa che, se ad esempio l’aliquota IVA dell’operazione è pari al 22%, compete l’esonero se il corrispettivo complessivo è pari a 3.611,20 euro, importo ottenuto applicando all’imponibile di 2.960 euro l’aliquota del
22%.
Va, inoltre, evidenziato che, sotto il profilo formale,
l’esclusione per le operazioni attive di importo unitario inferiore a 3.000 euro al netto dell’IVA pare incondizionata; diversamente, nelle istruzioni al modello polivalente viene indicato (con riferimento, però, alla deroga prevista per le annualità 2012 e 2013 dal provvedimento del 2 agosto 2013) che essa può operare solo se
le fatture emesse facoltativamente vengono annotate
nel registro dei corrispettivi. Vista la formulazione del
provvedimento dello scorso anno (presumibilmente di
tenore analogo a quello di prossima pubblicazione), dovrebbe trattarsi di un dubbio superato, sicché per ciascuna fattura emessa anche in assenza di un obbligo
di legge varrebbe l’esonero, se l’importo rientra nel limite.
Venendo al caso delle Amministrazioni pubbliche e
delle Amministrazioni autonome, l’esclusione è totale,
anche in questo caso replicando il regime generalizzato di esonero già previsto per il 2014; senza la previsione in esame, invece, tali soggetti avrebbero dovuto comunicare tutte le operazioni non documentate da fattura elettronica (come richiesto dal provvedimento del
2 agosto 2013).
Un’ultima annotazione riguarda l’esclusione per i dati
trasmessi al Sistema “Tessera Sanitaria”. Il comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate fa ancora riferimento al tenore letterale dell’art. 1 comma 953 della
legge di stabilità 2016 (che aveva aggiunto il comma 1quater all’art. 21 del DL 78/2011), in base al quale lo spesometro “è escluso per coloro i quali trasmettono i dati
al Sistema Tessera Sanitaria”. Devono, tuttavia, ritenersi escluse dall’adempimento le sole operazioni attive
oggetto di comunicazione al Sistema TS (al riguardo, si
veda “Niente spesometro per le spese sanitarie inviate
al Sistema TS” del 19 marzo 2016).
/ 04
ancora
FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Bonus R&S cumulabile con il Patent box
L’Agenzia chiarisce che il credito d’imposta è una misura generale
/ Pamela ALBERTI
In merito al credito d’imposta per la ricerca e sviluppo
di cui all’art. 3 del DL n. 145/2013, la circolare n. 5/2016
fornisce interessanti chiarimenti sotto il profilo della
cumulabilità dell’agevolazione con altri benefici fiscali.
Con particolare riferimento ai rapporti del bonus R&S
con il Patent box, l’Agenzia precisa che le due misure
rappresentano due strumenti sinergici volti ad incentivare e ad agevolare l’attività di ricerca e sviluppo nelle
diverse fasi di svolgimento delle stessa: il primo mediante l’attribuzione di un credito di imposta per l’attività di ricerca svolta, il secondo mediante la detassazione dei redditi derivanti dallo sfruttamento economico dei beni immateriali ottenuti dall’attività di ricerca, a condizione che l’impresa continui a svolgere attività di ricerca e sviluppo ai fini del mantenimento, dello sviluppo e dell’accrescimento degli stessi.
Viene, quindi, chiarito che i costi rilevanti ai fini
dell’attribuzione del credito di imposta per attività di
ricerca e sviluppo rilevano per il loro intero importo
anche ai fini della determinazione del reddito detassato nel regime di Patent box.
Con riferimento alla cumulabilità con altre agevolazioni, l’Agenzia evidenzia che il citato art. 3, al pari delle
precedenti disposizioni istitutive di agevolazioni fiscali in materia di ricerca e sviluppo, non reca alcuna specifica previsione finalizzata a disciplinare tale aspetto.
L’espressa cumulabilità dell’agevolazione in questione
è contemplata dall’art. 9 del DM 27 maggio 2015 con riferimento al solo credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati nel settore della ricerca di cui all’art. 24 del DL n. 83/2012, spettante
per un periodo di dodici mesi, a decorrere dalla data di
assunzione, nella misura del 35% del costo aziendale
sostenuto per l’assunzione dello stesso personale.
Come evidenziato dalla relazione illustrativa al decreto attuativo, tale disposizione previene eventuali criticità derivanti dalla cessazione anticipata di quest’ultima agevolazione.
In sostanza, in base all’art. 9 del decreto attuativo, le
spese per il personale altamente qualificato sostenute
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
nel corso del 2015 in relazione alle assunzioni effettuate nel 2014, nello specifico le spese sostenute nei dodici mesi successivi alla data dell’assunzione, danno diritto, ai sensi dell’art. 24 del DL n. 83/2012, ad un credito di imposta pari al 35% del loro ammontare e, contemporaneamente, costituiscono, per il loro intero ammontare, spese eleggibili al credito di imposta ricerca e
sviluppo ai sensi dell’art. 4 del DM 27 maggio 2015.
La circolare evidenzia che dalle disposizioni del summenzionato art. 9 non può ricavarsi, a contrario, un divieto generalizzato di cumulo con altre misure agevolative non espressamente contemplate.
Pertanto, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, il credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo deve ritenersi fruibile anche in presenza di altre misure di favore, salvo che le norme disciplinanti le altre misure
non dispongano diversamente.
Ai fini del credito di imposta in esame, i costi determinati ai sensi dell’art. 4 del DM 27 maggio 2015 sono,
quindi, assunti al lordo di altri contributi pubblici o
agevolazioni ricevuti.
In ogni caso, l’importo risultante dal cumulo non potrà
essere superiore ai predetti costi sostenuti.
Con particolare riferimento ai super-ammortamenti,
misura anch’essa cumulabile con il beneficio in esame, la circolare n. 5/2016 ha precisato che la maggiorazione del 40% del costo di acquisto non rileva ai fini
della determinazione delle quote di ammortamento
eleggibili al credito di imposta con riferimento all’acquisizione di strumenti e attrezzature di laboratorio.
Viene, inoltre, evidenziato che la misura non presenta
profili di selettività, ma ha una portata applicativa generale che ne assicura la compatibilità con i vincoli in
materia di aiuti di Stato.
Pertanto, la stessa non rileva ai fini del calcolo degli
aiuti de minimis (di cui ai regolamenti Ue della Commissione n. 1407/2013 e n. 1408/2013 del 18 dicembre
2013), né del rispetto dei massimali previsti dalla “Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione” di cui alla Comunicazione 2014/C
198/01 del 27 giugno 2014.
/ 05
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FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
L’accessione del fabbricato costruito dalla società
non sconta l’IVA
Per la C.T. Reg. di Bologna il venir meno del diritto di superficie costituisce acquisto a titolo originario
della proprietà
/ Alessandro BORGOGLIO
Con la sentenza n. 115/2016, la C.T. Reg. di Bologna si è
occupata del caso di alcuni contribuenti persone fisiche, proprietari di un terreno edificabile, che avevano
concesso a un’autocarrozzeria costituita sotto forma di
snc (presumibilmente riconducibile agli stessi soggetti, sebbene non espressamente indicato nel testo della
pronuncia) il diritto di superficie di tale terreno, per la
costruzione e il mantenimento di un fabbricato ad uso
artigianale, prevedendo, alla stipula del contratto nel
1999, che, al termine di quest’ultimo nel 2009, il fabbricato sarebbe diventato automaticamente di proprietà
dei concedenti, senza diritto ad alcun indennizzo a favore della società costruttrice.
Nel 2009, quindi, con documento notarile veniva dato
atto del decorso del termine del diritto di superficie
concesso alla snc, constatando l’avvenuta produzione
degli effetti di cui all’art. 953 c.c., a mente del quale, se
la costituzione del diritto di superficie è stata fatta per
un tempo determinato, allo scadere del termine il diritto di superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione (c.d. accessione).
L’Agenzia delle Entrate contestava alla società che nel
2009, di fatto, era avvenuto il passaggio di proprietà ai
predetti concedenti del fabbricato costruito, realizzandosi così una cessione di fabbricato, per la quale la snc
avrebbe dovuto emettere regolare fattura, operazione
che invece la società non aveva compiuto, sostenendo
che l’atto registrato nel 2009 non era relativo a un trasferimento di bene, ma aveva mera natura ricognitiva
degli effetti prodotti dall’avvenuto decorso del termine
contrattuale di concessione del diritto di superficie.
Per i giudici bolognesi, che hanno accolto la tesi del
contribuente, “il venir meno del diritto di superficie costituisce, indiscutibilmente, acquisto a titolo originario della proprietà ai sensi dell’articolo 953 c.c.”. Pertanto, nel caso di specie, l’acquisto della proprietà del
fabbricato era avvenuto “a titolo originario ed in virtù
degli effetti del contratto, avente causa lecita di costituzione del diritto di superficie stipulato nel 1999 e non
certo per l’atto ricognitivo del marzo 2009”.
In effetti, nell’ambito dei contratti di concessione del
diritto di superficie a tempo determinato, gli accordi
delle parti possono prevedere che, alla scadenza del diritto, la costruzione venga devoluta gratuitamente al
concedente e, quindi, senza pagamento di alcun corrispettivo. In tal caso, secondo autorevole dottrina, il diritto di superficie viene comunque costituito a titolo
oneroso: la devoluzione gratuita della costruzione, da
parte del superficiario, alla scadenza del contratto rap-
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
presenta, infatti, il corrispettivo per la costituzione del
diritto di superficie (cfr. documento IRDCEC n. 16/2013).
L’art. 9 comma 5 del TUIR stabilisce, peraltro, che, ai fini delle imposte sui redditi, le disposizioni sulle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo
oneroso che importano costituzione o trasferimento di
diritti reali di godimento.
La costituzione del diritto di superficie è, quindi, equiparata alla cessione a titolo oneroso: di conseguenza,
alle somme conseguite a seguito della stessa o, come
nel caso di specie, al valore della costruzione devoluta
gratuitamente allo scadere del contratto (che rappresenta il corrispettivo per la costituzione del diritto di
superficie) si applicano, per le persone fisiche, le regole di determinazione del relativo reddito: in particolare,
per i cedenti persone fisiche, l’eventuale plusvalenza è
imponibile con il criterio di cassa solo se compresa tra
quelle di cui all’art. 67 comma 1 lett. b) del TUIR (cfr.,
seppur in relazione all’analoga fattispecie di concessione del diritto di superficie da parte di soggetti IRES,
la ris. n. 112/2009).
Nel caso di specie, trattandosi di terreno edificabile, la
plusvalenza rientra tra quelle appena elencate ed è integralmente imponibile in capo ai concedenti persone
fisiche, con criterio di cassa, ovvero quando il corrispettivo, costituito in tal situazione dal fabbricato, viene acquisito dai concedenti, cioè nel 2009, al termine
del contratto.
Dal punto di vista IVA, la costituzione del diritto di superficie è equiparata alla cessione di un bene immobile ai sensi dell’art. 2 del DPR 633/72. Pertanto, l’atto di
costituzione del diritto di superficie da parte di un soggetto IVA è imponibile se riguarda terreni edificabili.
Diversamente, la costituzione o il trasferimento del diritto di superficie acquisisce rilievo ai fini dell’imposta
di registro, laddove l’operazione posta in essere dalle
parti non rientri nel campo di applicazione dell’IVA. In
tal caso, l’atto costitutivo, modificativo o estintivo del
diritto di superficie è soggetto, ex art. 1 della Tariffa,
Parte Prima, allegata al DPR n. 131/1986, alla registrazione in termine fisso e all’imposta con l’aliquota proporzionale prevista da tale articolo (9% o 15%).
Nel caso oggetto della pronuncia, quindi, ai fini dell’imposizione indiretta, si potrebbe affermare che l’atto notarile di ricognizione del 2009 avrebbe dovuto essere
assoggettato non a IVA (il diritto di superficie era stato
costituito nel 1999, da privati e non dalla società soggetto IVA), ma a registro in misura proporzionale del
9% (assumendo come base il valore del fabbricato).
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PROFESSIONI
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
La revisione nelle imprese minori vista attraverso un
caso reale
Il volume “La revisione legale nelle PMI. Il caso WinEXPO S.r.l.”, edito da Eutekne, è dedicato agli
aspetti operativi
/ Raffaele MARCELLO
Nel 2015, la revisione legale dei conti ha conosciuto un
anno di grande fervore, considerando che dal 1° gennaio 2015 sono entrati in vigore i nuovi principi internazionali di revisione ISA Italia.
Per rispondere alle esigenze poste da novità di tale
portata, il CNDCEC – tramite la Commissione “Principi
di Revisione” – ha provveduto all’emanazione, dapprima, del “Documento applicativo del principio di revisione (SA Italia) 250B” (congiuntamente con Assirevi),
poi di un documento, di ampio respiro, dal titolo “L’applicazione dei principi di revisione internazionali (ISA
Italia) alle imprese di dimensioni minori”, infine del recentissimo “La relazione unitaria di controllo societario del collegio sindacale incaricato della revisione legale dei conti”.
Per rispondere ulteriormente alle esigenze del mondo
professionale, all’interno del CNDCEC è maturata la
consapevolezza di dover sviluppare altri strumenti
operativi di supporto a chi si occupa, o si occuperà, di
revisione legale dei conti. Per questo è nato un volume
esemplificativo di come si conduce la revisione nelle
imprese minori.
Eutekne ha accettato di pubblicare un tale volume, interamente dedicato agli aspetti operativi della revisione, declinata nelle aziende di minori dimensioni, dal
titolo: “La revisione legale nelle PMI. Il caso WinEXPO
S.r.l.”. Ne sono curatori, oltre a chi scrive, Raffaele
D’Alessio (Presidente della Commissione “Principi di
revisione” del CNDCEC), Ermando Bozza e Valerio Antonelli (membri della stessa Commissione).
Insieme a loro, hanno lavorato i membri della sottocommissione della “Commissione Principi di revisione” del CNDCEC che hanno direttamente contribuito
alla stesura del testo (Maria Carmela Ferrante, Gabriella Manella, Maria Pia Nucera, Stefano Pizzutelli) e quelli che hanno riletto e commentato la prima versione
del caso: Elisa Rita Ferrari, Piero Maccioni, Gianluca
Marini, Gaspare Marino, Alberto Michelotti, Stefano
Maria Santoro.
Il volume ha un intento eminentemente pratico e si rivolge a tre tipi di destinatari.
Il primo è costituito dai professionisti che già si occupano di revisione legale dei conti nell’ambito delle imprese minori del nostro paese e che si sono trovati
“spaesati” dai rapidi cambiamenti intervenuti in questi
ultimi due anni. Troveranno qui un utile supporto e
una risposta a molte (non tutte) delle loro domande in
tema di applicazione concreta dei principi internazionali di revisione.
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
Il secondo è rappresentato dai professionisti – specialmente più giovani – che non hanno ancora avuto l’occasione di cimentarsi con i problemi della revisione legale dei conti. Essi potranno valutare la complessità di
questa funzione professionale, potranno decidere se
investire in essa e, quindi, costruirsi per tempo una
professionalità ad hoc da spendere sul mercato.
Il terzo, infine, include tutti coloro che, a vario titolo
(docenti, studenti, tirocinanti), vogliono dare uno sviluppo operativo allo studio della revisione legale, confrontandosi con le best practices della professione.
Il volume è una guida operativa all’applicazione pratica dei principi internazionali di revisione, ripercorrendo, attraverso un caso reale, tutte le fasi del processo di
revisione, dal momento dell’accettazione dell’incarico
stesso alla redazione della relazione di revisione.
Il volume è organizzato in quattro sezioni e dieci capitoli. Ogni capitolo del testo illustra la fase analizzata,
richiama i principi di revisione di riferimento, le prescrizioni dei documenti CNDCEC, fornisce consigli
operativi e mostra le carte di lavoro, opportunamente
compilate e commentate, relative alla fase in esame.
I primi due capitoli presentano i criteri per la fruizione degli strumenti operativi contenuti nel testo e le caratteristiche generali del caso aziendale e le semplificazioni introdotte.
Seguono tre sezioni, ciascuna delle quali intitolata a
una delle tre “macro-fasi” del processo di revisione: valutazione del rischio, risposta al rischio, reporting.
La sezione seconda riguarda la valutazione del rischio
e comprende i capitoli 3 (accettazione dell’incarico), 4
(pianificazione della revisione) e 5 (identificazione e
valutazione del rischio).
In tema di accettazione dell’incarico, nel terzo capitolo
sono riportate le carte di lavoro relative alle attività
preliminari all’accettazione dell’incarico. Il caso di studio prevede, infatti, che il 2014 sia il primo esercizio di
incarico del collegio sindacale.
Per quanto concerne la pianificazione e la valutazione
del rischio (capitolo 4), sono riportate le carte di lavoro
relative alla comprensione della società e del contesto
in cui opera, all’analisi del sistema di controllo interno,
all’identificazione e valutazione dei rischi di revisione
e, di conseguenza, alla definizione della “strategia di
revisione”. La definizione della strategia di revisione si
concretizza poi in un “programma dettagliato di revisione”, all’interno del quale sono illustrate le singole
procedure da eseguire, per ciascuna voce di bilancio
identificata, con specifica indicazione delle “asserzio-
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STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
ni” che vengono coperte con ciascuna delle procedure
di revisione identificate.
La terza sezione è dedicata alla risposta al rischio ed è
la più corposa. Nel capitolo 6 si esamina la configurazione delle risposte al rischio, mentre i capitoli 7 e 8 focalizzano l’attenzione rispettivamente sui clienti e sui
fornitori. Per l’economia del volume e per i suoi scopi
esemplificativi, le altre poste di bilancio non sono state prese in esame.
Qui è riportato lo svolgimento delle procedure di revisione. La documentazione del lavoro è costituita da
schede di illustrazione del programma di lavoro, schede di riepilogo e di dettaglio dei saldi di bilancio e altre
nelle quali sono formalizzati i singoli test di revisione.
L’esecuzione dei test di dettaglio comporta l’utilizzo di
tutte le tecniche previste dai principi di revisione.
La quarta e ultima sezione compendia le attività conclusive del processo di revisione. Tale sezione include
due capitoli: il nono è dedicato alla valutazione degli
elementi probativi raccolti, il decimo alla redazione
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
della relazione di revisione ed illustra le attività svolte,
e la relativa documentazione, in sede di conclusione
del lavoro di revisione. In tale sezione vengono riportate tutte le carte di lavoro fondamentali, compresa l’attestazione della direzione aziendale.
Il caso di studio prevede l’archiviazione delle carte di
lavoro in tre dossier, uno permanente e due correnti.
Il lavoro presentato costituisce – crede chi scrive –
una tappa nel percorso di innovazione professionale
che sta attraversando il mondo della revisione, certamente non l’ultima. Il CNDCEC è impegnato, infatti, in
una serie di altre iniziative volte a promuovere e tutelare la professionalità di tutti i colleghi, purché essi,
con impegno e generosità, si dedichino a studiare,
comprendere e applicare il corpus di conoscenze, strumenti, tecniche, espedienti che si sono sedimentati in
questi anni. Ne trarranno beneficio i colleghi stessi, le
aziende, i mercati, i risparmiatori e, infine, la stessa
collettività nazionale.
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FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Le nuove detrazioni scolastiche assorbiranno le spese
del nido
Con l’attuazione della L. 107/2015 prevedibile riduzione di una detrazione per il 2015 ancora vigente
/ Antonio ZAPPI
Con la L. n. 107/2015 (c.d. “La buona scuola”) e con la
legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015) sono state riformulate le disposizioni del TUIR riguardanti la detrazione per le spese di istruzione e, in particolare, è stato
modificato l’art. 15, comma 1, lett. e) con l’inserimento
nel medesimo articolo della nuova lett. e-bis).
In estrema sintesi, mentre la nuova lett. e), che precedentemente riguardava tutte le spese di istruzione detraibili, disciplina ora la sola detrazione delle spese
universitarie, la successiva lett. e-bis) ammette adesso
in maniera innovativa anche la detrazione delle spese
scolastiche pre-universitarie, ovvero quelle sostenute
“per la frequenza di scuole dell’infanzia, del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo
grado del sistema nazionale di istruzione di cui all’articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62”.
A partire, quindi, dall’anno d’imposta 2015 la nuova disciplina si applica sia alle scuole statali sia alle scuole
paritarie private e degli enti locali, tutte appartenenti
al sistema nazionale di istruzione e sarà, quindi, possibile portare in detrazione, per il tema che qui più interessa, anche quelle sostenute per frequentare le scuole dell’infanzia nel limite di 400 euro per alunno (con il
codice 12, in uno dei righi da E8 a E12 del modello
730/2016, ovvero indicando il medesimo codice nei righi da RP8 a RP14, di UNICO PF 2016).
Ulteriormente, essendo stato previsto che tale detrazione non sia cumulabile con quella già prevista per le
erogazioni liberali effettuate in forma “tracciata” alle
istituzioni scolastiche finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e universitaria e all’ampliamento dell’offerta formativa (prevista dall’art. 15
comma 1 lett. i-octies) del TUIR e da indicare con codice 31), con la circ. n. 3/2016 l’Agenzia delle Entrate ha
fornito alcuni criteri per distinguere le nuove spese
scolastiche della citata lettera e-bis) da quelle già in
passato ammesse in detrazione senza limite di importo ai sensi della richiamata lettera i-octies).
Sul punto, il MIUR ha precisato che, alla luce del combinato disposto delle predette lettere potranno coesistere in ambito scolastico contributi volontari “specifici”, consistenti in erogazioni liberali finalizzate distintamente all’innovazione tecnologica (es. acquisto di
cartucce stampanti), all’edilizia scolastica (es. pagamento lavori di manutenzione o di riparazione), all’ampliamento dell’offerta formativa (es. acquisto di fotocopie per verifiche o approfondimenti), che andranno tenuti distinti da tasse e contributi (obbligatori e volontari), nonché da altre erogazioni volontarie “generali” riferite a molteplici dazioni di denaro sempre deliberate
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
dagli istituti scolastici e intendendosi per tali quelle
non rivolte alle finalità tipizzate dalla citata lett. i-octies). Rientreranno, allora, tra le “generali”, con il limite
di 400 euro per studente, sia la tassa di iscrizione che,
tra le spese di frequenza, anche quelle sostenute per la
mensa scolastica, avendo avuto cura la prassi
dell’Agenzia di precisare che rimane, però, sempre
escluso da ogni detrazione l’acquisto di materiale di
cancelleria e di testi scolastici.
Nulla, peraltro, risulta innovato per quest’anno per ciò
che concerne le detrazioni di spese sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di
asili nido per le quali, per un importo complessivamente non superiore a 632 euro annui per ogni figlio,
continua a spettare una detrazione dall’imposta lorda
nella misura del 19% (codice 33).
Tuttavia, quest’ultima agevolazione, introdotta dall’art.
1, comma 335 della L. n. 266/2005 e che ha assunto carattere di stabilità a norma dell’art. 2, comma 6 della L.
n. 203/2008, sembra avere le ore contate. Essa, infatti,
per effetto della legge delega per la riforma scolastica,
sarà prevedibilmente assorbita nella nuova detrazione ormai indistintamente prevista per le scuole dell’infanzia.
Sotto il profilo tecnico, infatti, non appena i decreti delegati dalla L. n. 107/2015 avranno completato la riforma del settore degli asili nido e dei servizi per l’infanzia, verrà definito un nuovo “sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni” e,
quindi, sarà adeguato il sistema scolastico infantile
all’espressione contenuta nel comma e) dell’art. 1, comma 181 della L. 107/2015, all’interno del quale sono elencati i profili delle disposizioni che saranno oggetto degli specifici decreti delegati da definirsi, ai sensi del
precedente comma 180, entro 18 mesi dalla data di
pubblicazione della legge delega.
In termini più comprensibili, se ciò che oggi si definisce asilo nido (ovvero la struttura educativa diretta a
garantire la formazione e la socializzazione dei bambini di età compresa tra i tre mesi e i tre anni, cfr. circ. n.
6/2006) e l’odierna scuola dell’infanzia (oggi chiamata
scuola materna/asilo e rivolta ai bambini dai tre ai sei
anni d’età) diventeranno un unico sistema integrato di
educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni,
a riforma completata la detrazione delle spese di riferimento non potrà che spettare nella misura unica prevista per l’innovata scuola dell’infanzia integrata (e
quindi, per entrambe, per un importo massimo di 400
euro per ogni figlio che la frequenterà).
Non sfuggirà, allora, che in questo modo la novella de-
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STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
trazione fiscale da quest’anno fruibile da una più ampia platea comprendente anche i contribuenti con figli
in età scolare pre-universitaria, nel prossimo futuro risulterà, di fatto, parzialmente e implicitamente finanziata anche da quei genitori con prole di età anagrafica inferiore ai tre anni, ai quali la riforma farebbe indirettamente subire gli effetti fiscali negativi derivanti
da un’inopinata e implicita riduzione di 232 euro del limite fiscale massimo oggi fruibile, che passerebbe per
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
loro da 632 a 400 euro.
Non è certo questa la sede per affrontare se l’unificazione tout court del segmento anagrafico 0-6 dell’istruzione scolastica sia una buona riforma, ma appare qui
utile segnalare il descritto effetto fiscale provocato dal
riordino scolastico che qualche contribuente potrebbe
ricordare non solo come riforma della “buona scuola”,
ma anche quella della riduzione, per variazione di denominazione scolastica, di una detrazione fiscale.
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LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Senza autonomia funzionale del ramo d’azienda non
vi è cessione
Tale mancanza renderebbe superfluo un accertamento della preesistenza del ramo ceduto. Solo se
quest’ultimo è autonomo si applica l’art. 2112 c.c.
/ Luca NEGRINI
Un contratto di cessione di ramo d’azienda si può configurare solo nel caso in cui la parte ceduta sia un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, cioè una parte d’azienda in grado
di funzionare in modo indipendente, che non rappresenti il prodotto dello smembramento di frazioni non
autosufficienti e non coordinate fra loro e che risulti
idonea a svolgere un determinato servizio o a produrre un certo bene in modo autonomo, dopo che sia stata staccata dall’impresa originaria.
Questa nozione di trasferimento di ramo d’azienda, pacifica per la giurisprudenza di legittimità, risulta coerente con l’interpretazione della Corte di Giustizia europea, secondo cui è necessario il trasferimento di
un’entità economica, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica
principale o accessoria, che conservi la propria identità dopo la divisione. Deve, quindi, esistere un complesso organizzato di persone e di elementi materiali sufficientemente organizzato, strutturato ed autonomo, che
consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo. Prima del DLgs. n. 276/2003, la disciplina della materia
contenuta nell’art. 2112 c.c. prevedeva espressamente
che il ramo d’azienda da cedere dovesse preesistere rispetto al trasferimento, mentre secondo le modifiche
disposte dal DLgs. citato è sufficiente che il cedente ed
il cessionario identifichino tale parte al momento della cessione.
La Cassazione, nonostante questa modifica legislativa,
continua a ritenere che occorra un’attenta valutazione
sulla natura del ramo ceduto, onde evitare che si possa aggirare di fatto la finalità della norma, che vuole
scongiurare l’ipotesi che il trasferimento sia null’altro
che una forma incontrollata di espulsione di eccedenze di personale, visto che la cessione di un ramo
d’azienda comporta la cessione dei contratti di lavoro,
senza che venga richiesto il consenso del lavoratore. I
dipendenti ceduti potrebbero così ritrovarsi, ad esempio, in una nuova società di dimensioni ridotte rispetto alla precedente, con conseguenze negative anche
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
sul piano della tutela del loro rapporto di lavoro.
Per configurare una cessione del ramo d’azienda e
conseguentemente dei rapporti di lavoro interessati,
pertanto, rimane elemento essenziale e presupposto
fondamentale di legittimità quello dell’autonomia funzionale della parte trasferita. La mancanza di tale autosufficienza esclude già di per sé che si configuri un
trasferimento e rende superfluo un eventuale accertamento della preesistenza del ramo ceduto.
Risulta coerente con quanto sin qui esposto la sentenza n. 4500 dell’8 marzo 2016 della Corte di Cassazione,
che ha ritenuto illegittima la cessione effettuata da
una società di telecomunicazioni del ramo d’azienda
“Servizi Generali” ad altra società, in quanto a distanza
di soli tre mesi dal trasferimento la parte ceduta era
stata completamente ristrutturata, con lo smembramento in tre centri di servizio, a loro volta nuovamente ceduti ad una terza impresa, così che il ramo ceduto
di fatto non aveva mai assunto una sua autonoma operatività dopo la cessione. Una ristrutturazione radicale
che, tra l’altro, era indice della disomogeneità e disorganicità delle funzioni trasferite.
Un’ulteriore conferma della mancanza dei presupposti
per l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., secondo la Corte,
poteva essere ricavata anche dal fatto che i beni materiali trasferiti, consistenti in computer, scrivanie ed armadi, erano di consistenza esigua rispetto all’importanza che avrebbe dovuto avere la nuova struttura. Era,
pertanto, evidente nel caso esaminato la mancanza
dell’autonomia funzionale della parte d’azienda che
era stata oggetto di cessione.
Sul piano processuale la sentenza ricorda che l’onere
di allegare e provare l’insieme dei fatti necessari a
configurare un trasferimento di ramo d’azienda grava
sempre sulla società cedente, poiché incombe su chi
intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c.
fornire la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che ne
condizionano l’operatività, trattandosi di un’eccezione
al principio generale del necessario consenso del lavoratore ceduto per perfezionare il mutamento della titolarità del rapporto di lavoro.
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FISCO
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Il rinvio della causa a nuovo ruolo non sospende il
processo
La Cassazione ritiene che il provvedimento non sia assimilabile all’ordinanza di sospensione
/ Alfio CISSELLO
Un tema che a volte il difensore tributario si trova a
dover risolvere concerne gli aspetti tecnici della sospensione del processo.
Ora, a seguito del DLgs. 156/2015, che ha modificato
l’art. 39 del DLgs. 546/92, è espressamente ammessa la
sospensione per pregiudizialità, prima operante solo in
via interpretativa.
Tanto premesso, quando sulla problematica oggetto
del giudizio dovranno pronunciarsi le Sezioni Unite o
la Corte Costituzionale succede che il giudice tributario, con ordinanza o decreto, rinvii la causa a nuovo
ruolo, demandando alle parti l’onere di notiziare la
Commissione dell’avvenuto deposito, appunto, della
sentenza delle Sezioni Unite o della Corte Costituzionale.
Si tratta di un provvedimento che non trova disciplina
nel DLgs. 546/92, e che, in sostanza, è un mero rinvio
dell’udienza a data da destinarsi.
Il problema sorge dal combinato disposto degli artt. 43
e 45 del DLgs. 546/92. Il primo sancisce: “dopo che è
cessata la causa che ne ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data
viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione”. Se
questo non avviene, il rito è estinto ex art. 45 per inattività delle parti, e ciò comporta la definitività dell’atto
se esso pende in primo grado o in sede di rinvio, o il
passaggio in giudicato della sentenza di primo grado
se in appello (circostanza, quest’ultima, ribadita dalla
sentenza n. 22368 del 2015 della Cassazione).
Nella sentenza n. 24692 dello scorso 4 dicembre, i giudici di legittimità hanno affermato che la fattispecie
del rinvio della lite a nuovo ruolo non è assimilabile ad
una sospensione del processo.
A prescindere dal fatto che si condivida o meno la ra-
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
tio decidendi che ha condotto alla decisione (forse un
pochino sintetica), due sono le conseguenze.
In primo luogo, come detto nella sentenza, è inammissibile il ricorso in Cassazione per regolamento di competenza avverso l’ordinanza di rinvio della causa, siccome non trattandosi di ordinanza di sospensione del
processo in senso tecnico, non poteva essere impugnata con regolamento di competenza (mezzo di gravame che, ex art. 42 c.p.c., è previsto proprio per le ordinanze di sospensione del processo).
Alcun effetto pregiudizievole se non si riassume
Inoltre, sebbene il punto non sia stato trattato nella
sentenza, appare palese che, se così è, ove il contribuente non riassuma, o, più in generale, non si attivi,
non si può verificare alcuna estinzione.
Semplicemente, il processo rimane quiescente sino a
quando le parti comunichino il deposito della sentenza delle Sezioni Unite o della Corte Costituzionale o la
segreteria, magari d’ufficio, fissi l’udienza.
Bisogna però rammentare che, nel processo tributario,
con l’estinzione “non si scherza”, specie se la lite pende in primo grado o in sede di rinvio, siccome è sinonimo di morte della difesa.
Allora, nulla vieta di riassumere comunque il processo
ai sensi dell’art. 43 del DLgs. 546/92 entro sei mesi, ad
esempio, dal deposito della sentenza delle Sezioni Unite. Se la Commissione tributaria ritenesse la condotta
processualmente scorretta, alcun effetto pregiudizievole si può verificare, infatti, a prescindere da come la
parte lo chiede, il processo, a seguito dell’ordinanza di
rinvio della lite a nuovo ruolo, è destinato a proseguire
quando cessa la causa che ha dato origine all’ordinanza stessa.
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IMPRESA
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Veridicità dei dati e fattibilità, dubbia l’utilità
dell’attestatore
L’attività di verifica potrebbe essere svolta dal professionista della procedura di allerta
/ Michele BANA
L’art. 6, comma 1, lett. d) dello schema di Ddl. recante
“Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza” prevede –
nell’ambito del riordino della normativa riguardante il
concordato preventivo – la fissazione delle modalità
di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di
verifica della fattibilità del piano.
Tale ipotesi trae origine dal dubbio se, nel rinnovato
quadro normativo che il progetto di riforma intende
designare, conservi una reale utilità la figura del professionista indipendente – nominato dal debitore –
chiamato ad attestare la veridicità dei dati aziendali e
la fattibilità del piano, oltre alle altre numerose, ma
eventuali, funzioni attualmente attribuitegli dalla vigente disciplina del concordato preventivo.
In particolare, nei casi in cui la domanda di concordato preventivo consegua ad una precedente procedura
di composizione assistita della crisi o di allerta, lo
schema di Ddl. ritiene ragionevole prospettare che la
suddetta funzione attestatrice possa essere stata già
adeguatamente assolta dal professionista designato a
seguire tale procedura. Tale orientamento è, inoltre,
giustificato dall’esperienza degli ultimi anni, soprattutto dopo la modifica dell’art. 161, comma 6 del RD
267/42, operata dal DL 69/2013, che ha riconosciuto la
facoltà del tribunale di nominare il commissario giudiziale anche nella fase di presentazione della domanda
di concordato preventivo con riserva: in questo periodo, si è assistito ad attestazioni del professionista quasi sempre destinate ad una successiva revisione ad
opera del commissario giudiziale, con il concreto rischio di una sostanziale duplicazione di attività e di
conseguente spreco di tempo ed aumento finale dei
costi per l’impresa.
Queste incertezze hanno, pertanto, indotto l’estensore
del progetto di riordino a lasciare aperta la possibilità
che il futuro legislatore delegato riveda l’attuale sistema di accertamento della veridicità dei dati aziendali e
di attestazione di fattibilità del piano concordatario.
L’art. 6, comma 1, lett. d) dello schema di Ddl. stabilisce,
inoltre, che dovrà essere determinata l’entità massima
dei compensi spettanti ai professionisti incaricati dal
Eutekne.Info / Lunedì, 04 aprile 2016
debitore, da commisurarsi proporzionalmente all’attivo dell’impresa soggetta alla procedura.
La successiva lett. f) prevede, invece, l’esplicitazione
dei poteri del tribunale, con particolare riguardo alla
valutazione della fattibilità del piano, attribuendogli
pure poteri di verifica – sin dalla fase di ammissione
alla procedura – in ordine alla realizzabilità economica dello stesso.
È altresì ipotizzata l’integrazione della disciplina dei
provvedimenti che riguardano i rapporti pendenti, attualmente disciplinati dall’art. 169-bis del RD 267/42,
con particolare riferimento ai seguenti aspetti (art. 6,
comma 1, lett. i) dello schema di Ddl.):
- i presupposti della sospensione e, dopo la presentazione del piano, anche dello scioglimento;
- il procedimento e il ruolo del commissario giudiziale;
- gli effetti, in relazione ai possibili esiti della procedura;
- la decorrenza e la durata, nell’ipotesi di sospensione;
- la competenza per la determinazione dell’indennizzo,
e i relativi criteri di quantificazione.
Sono, inoltre, previsti il riordino e la semplificazione
delle varie tipologie di finanziamento alle imprese in
crisi, nonchè la disciplina del trattamento del credito
IVA nel concordato preventivo privo di transazione fiscale, tenendo altresì conto delle pronunce della Corte
di Giustizia Ue.
Per quanto concerne, invece, la fase dell’approvazione
della proposta concordataria, è prospettata la soppressione dell’adunanza dei creditori, previa regolamentazione delle modalità telematiche di esercizio del diritto di voto e di formazione del contraddittorio sulle richieste delle parti: è pure contemplata l’adozione di un
sistema di calcolo delle maggioranze anche “per teste”,
qualora un solo creditore sia titolare di crediti almeno
pari alla maggioranza di quelli ammessi al voto, con
apposita disciplina delle situazioni di conflitto d’interesse.
È, infine, prospettata la regolazione del voto dei creditori con diritto di prelazione il cui pagamento sia dilazionato, e dei creditori soddisfatti con utilità diverse
dal denaro.
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IMPRESA
STUDIO MENICHINI DOTTORI COMMERCIALISTI
Quote latte, la sanzione amministrativa non salva dal
giudizio per truffa
La Cassazione si è occupata di un caso di trattenimento, a titolo di prelievo supplementare, di somme
non riversate per le quote di latte eccedentarie
/ Antonio PICCOLO
La condanna per truffa aggravata dei legali rappresentanti e amministratori di cooperative agricole (produttori di latte), coinvolti nella vicenda di produzione del
latte eccedente le “quote” da riservarsi ai singoli produttori, non fa scattare il divieto del doppio giudizio
(ne bis in idem) nei confronti degli imputati già puniti
con l’irrogazione della sanzione amministrativa. Lo ha
stabilito la Cassazione che, con sentenza n. 11441/2016,
ha respinto il ricorso dei legali rappresentanti e amministratori delle società cooperative.
Agli imputati, quali legali rappresentanti e amministratori delle cooperative erano stati contestati (in concorso) i reati di truffa e di peculato, aggravati e continuati, per avere posto in essere mediante artifici e raggiri, nell’ambito di un medesimo disegno criminoso e
al fine di procurare a sé e/o alle indicate cooperative
un ingiusto profitto, condotte in frode alla normativa
comunitaria e nazionale in materia di produzione del
latte eccedente le “quote” da riservarsi ai singoli produttori.
Per l’attribuito meccanismo fraudolento, i prevenuti
avrebbero costituito le indicate società cooperative come realtà fittizie, prive di strutture e beni, affinché le
stesse figurassero in modo simulato quali “primi acquirenti”. In buona sostanza, gli imputati hanno provveduto ad inserire nel sistema informatizzato SIAN
(Sistema informativo agricolo nazionale) i dati di simulate compravendite, in realtà illecitamente stipulate in via diretta tra produttori e acquirenti. Di conseguenza, i prevenuti hanno omesso di versare all’AGEA
(Azienda per l’erogazioni in agricoltura) la quota parte
del prezzo di cessione corrispondente ai cosiddetti
“prelievi supplementari”, dovuti dagli allevatori sull’eccesso di produzione rispetto ai contingenti di quote
latte loro assegnati nelle varie campagne.
Eluso così il regime delle quote latte, il relativo flusso
finanziario, spettante all’Erario, sarebbe stato deviato
per distribuzione ai singoli soci, produttori oltre quota
e simulati venditori (con conseguente alterazione del
relativo dato di bilancio) di un fittizio anticipo su future compensazioni (art. 9 del DL n. 49/2003 convertito
dalla L. n. 119/2003), comprensivo dell’importo non versato all’AGEA per l’esubero di produzione, relativo al
“prelievo supplementare”. In tal modo gli imputati
avrebbero sottratto all’AGEA (organismo nazionale
preposto al recupero) la possibilità di conoscere tempestivamente i propri debitori e l’entità del credito maturato per poi procederne alla riscossione; sicché
avrebbero conseguito, inducendo in errore l’ente regio-
nale che aveva riconosciuto alle cooperative la veste di
“primo acquirente”, un ingiusto profitto.
Correlativamente i prevenuti avrebbero cagionato un
rilevante danno patrimoniale all’AGEA, all’Erario e
all’Unione europea, nei cui confronti lo Stato italiano
sarebbe rimasto inadempiente. Per le citate premesse
in fatto, quindi per l’appropriazione e l’indebita distribuzione delle indicate somme, era stato altresì contestato ai prevenuti il reato di peculato. I legali rappresentanti e amministratori delle cooperative erano stati condannati in primo grado per il solo reato di truffa,
aggravata e continuata in concorso, mentre le cooperative erano state condannate per le violazioni amministrative loro ascritte ai sensi del DLgs. n. 231/2001.
I giudici del riesame, invece, avevano assolto sia i legali rappresentanti e amministratori delle cooperative,
sia le cooperative stesse. A seguito del ricorso proposto dal procuratore generale, i giudici di legittimità
avevano rinviato la causa ad altri giudici d’appello, i
quali hanno ritenuto sussistenti in capo ai prevenuti le
condotte ascrivibili alla fattispecie di truffa aggravata
e quindi hanno condannato gli stessi alla pena di giustizia, con parziale riforma della sentenza di primo
grado in punto di trattamento sanzionatorio.
La decisione dei nuovi giudici d’appello è stata impugnata dai legali rappresentanti e amministratori delle
cooperative con una serie di motivi, ma i giudici di legittimità con la sentenza in rassegna hanno rigettato
in toto il ricorso. In particolare un ricorrente ha fatto
valere la violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla
CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), in
quanto affermativo del principio del ne bis in idem. Secondo tale ricorrente, il principio riconosciuto nella
maggior parte degli ordinamenti giuridici e consacrato nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, andrebbe interpretato non solo
con riguardo alle sanzioni “formalmente” penali, ma
anche con riferimento a quelle amministrative, fiscali,
doganali o disciplinari che rivestano carattere penale
in senso “sostanziale”. Pertanto, conclude il ricorrente,
nella coincidenza tra le condotte contestate in sede
penale e quelle sanzionate in via amministrativa si sarebbe realizzata la violazione dell’indicato principio.
La Suprema Corte, nel confermare le condanne, ha ritenuto altresì che non è configurabile alcun rapporto
di specialità tra il delitto di truffa aggravata e la violazione amministrativa per il trattenimento, a titolo di
prelievo supplementare, di somme non riversate
all’AGEA e all’Erario per le quote di latte eccedentarie.
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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