Veduta ricostruttiva della città murata verso la fine del XV secolo
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Veduta ricostruttiva della città murata verso la fine del XV secolo
La città murata "Coneiam è uno castello che a intrar in la terra si passa l’aqua dil Montegan atorno una parte di le mure... Questo castello è situado sopra un colleto, et qui habita il Podestà; la terra è al basso; circonda mezo mio (= miglio) ... A' do porte: quella di Montegan, da l'altra Rui; à do bellissimi borgi, et una bella et larga strada con belle caxe (la Contrada Grande) … et il castello à do alle (= ali) di muro vien a la terra zo dil monte. A' una chiesia di San Francesco; ... et sopra il monte di Coneiam, arente (= dentro) il castello, è una chiesa di S. Lunardo ch'è la piove (= pieve) ...". Marin Sanudo La storia Nella descrizione di Marin Sanudo è sintetizzata la struttura delle fortificazioni nel 1483. Castello e “terra”, unificati dalle mura, sono il prodotto finale di una lunga evoluzione. Delle opere di fortificazione si ha notizia in un documento del 1189, che fa risalire a più di trent’anni prima l’obbligo dei contadini dei villaggi vicini di prestare la propria opera nel “foedere fossatum et edificare murum”. Veduta ricostruttiva della città murata verso la fine del XV secolo Nel 1184 si fa ancora riferimento a “muro et foveis”, mura e fossati, attribuibili con buona probabilità alla cinta più esterna del castello, detta del “zirone” o “girone”. Agli inizi del ‘200 la struttura della città è già organizzata, con il sommitale “castrovetero” ed il “burgo” sottostante. Nel “castro” intorno a Castelvecchio, si situano le residenze fortificate dei maggiori “consortes”. Agli inizi del ‘300 le fortificazioni del borgo e tra borgo e castello sono composte da tratti di muro alternati a “spinate” lignee e spalti di terra. Con gli Scaligeri si impongono costosi lavori di restauro e ampliamento delle fortificazioni (1330-1334). Buona parte dei lavori viene affidata al soprintendente e “inzegnere” Coneglan Caronello, che realizza le recinzioni murarie del borgo e tra borgo e castello, completa il palazzo del podestà, rafforza Castelvecchio con una cinta interna e 4 torri angolari e provvede all’escavazione del “Refosso” lungo il perimetro sud del borgo. Dal 1339 al 1381, sotto la Serenissima, sono completati torri, camminamenti di ronda e costruite le bastite di Borgovecchio, verso il Friuli. Tra il 1384 e il 1389, con i Carraresi, viene ristrutturata l’area di Porta Monticano, con la costruzione della “Rocha nova” e vengono rafforzate le mura occidentali del borgo. Dopo l’assedio degli Ungheri, respinti nel 1412, e la conquista veneziana del Friuli nel 1420, le strutture della città murata, perdendo la loro funzione, vengono lasciate deperire. Ipotesi ricostruttiva della rocca di Castelvecchio nel secolo XIV-XV La Torre della Campana La torre che oggi identifica il castello sulla sommità del colle è detta “della Campana” perché accoglieva la campana magna che chiamava a raccolta la popolazione e segnalava l’inizio del Consiglio cittadino. La struttura, che ospita il Museo cittadino, è frutto di una serie di ristrutturazioni e ricostruzioni. Della originaria fondazione scaligera (mastio costruito per difendere la corte di guardia interna) restano in basso le profonde feritoie strombate, mentre le piccole finestre ad arco risalgono alla ristrutturazione del 1467; la parte terminale, cella campanaria e posto di vedetta, ricostruita dopo il crollo del 1491, viene sopraelevata all’altezza attuale nel 1847-55 con l’antistorico coronamento di merli ghibellini. Veduta ricostruttiva della Torre della Campana Al piano terra, si nota il portale interno che un tempo dava accesso alla corte di guardia; saliti al primo piano si ammira la sala del camino veneziano "a cappello di doge", con l’uscita ancora dotata di portacardini verso il cammino di ronda della corte non più esistente. Al secondo piano è conservato il portone che isolava i piani superiori della torre. Il Duomo e la Sala dei Battuti In Contrada Grande si trova il Duomo della città, la cui costruzione fu iniziata dai Battuti nel 1345. Questi erano i membri di una congregazione che aveva avuto origine verso il 1260 in Umbria e che già pochi anni dopo era presente a Conegliano, distinguendosi per la cura della spiritualità degli abitanti oltre che per l’assistenza materiale prestata attraverso ospedali ed ospizi da loro fondati. Inizialmente furono ospitati dai monaci pomposiani di S. Maria di Monte, situati lungo la strada che porta in castello nell’area oggi occupata da villa Chisini, ma entro il 1354 costruirono la loro chiesa intitolata a S. Maria Nuova dei Battuti, sorta al centro di un ospizio per pellegrini da loro gestito. La chiesa ospita notevoli opere d’arte: la pala d’altare collocata nel presbiterio, recentemente restaurata, fu eseguita da Giambattista Cima da Conegliano nel 1493 e raffigura la Madonna col Bambino e angeli, tra i santi Giovanni Battista, Nicola, Caterina d’Alessandria, Apollonia, Francesco e Pietro. L'ex convento di S. Francesco Tra i numerosi ordini religiosi, sorti in Conegliano a partire dal XI secolo emergono i frati minori di San Francesco la cui presenza risale agli inizi del Duecento. Stabilitisi dapprima sul colle denominato, successivamente, di S. Biagio posto fuori delle mura della Castagnera, furono costretti, dalle devastazioni ed angherie di bande armate, a cercare una sistemazione protetta dentro la cinta muraria cittadina. Per questo nel 1372 i frati ottennero dal Papa Gregorio XI di trasferirsi entro le mura. Ultimato nel 1411, nella prima metà del Settecento raggiunse la sua massima espansione. Infatti comprendeva: due chiostri contigui, dotati di pozzo, una grande chiesa a navata unica con ben nove Pale d’Altare e un’abside sovrastante la Madonna della Neve; una nuova ala, costruita nel 1708, come noviziato; un ampio brolo sul lato nord. Inoltre, come attesta un documento del 1451, possedeva una ricca biblioteca fornita di ben 127 codici, opere scientifiche, qualche testo giuridico e di autori latini. Con l’arrivo di Francesi ed Austriaci iniziò anche per il convento, sede fino alla rivoluzione francese del tribunale dell’inquisizione della diocesi di Ceneda, il periodo della decadenza a cui contribuirono le varie destinazioni a caserma ed ospedale. Nel 1806, per decreto napoleonico, il convento fu soppresso e i frati furono costretti a trasferirsi a Padova. Ma l’evento più tragico avvenne nel 1812, quando vennero demoliti la chiesa ed il chiostro orientale. Dal 1858 al 1870, forse su richiesta del Comune di Conegliano, il complesso fu trasformato in ospedale e dal 1871 parte di esso fu adibito a Casa di Ricovero e poi a caserma. Infine dal 1894 fu destinato ad ospitare le scuole (elementari e medie), funzione che manterrà fino al restauro, iniziato per l’occasione del Giubileo del 2000. Oggi gli spazi del convento accolgono studenti e ricercatori, attratti dalla ricca offerta formativa costruita da Fondazione Cassamarca per i MasterCampus. Francesco Da Collo Proveniente da una nobile famiglia cenedese, venne nominato cavaliere dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo e fu da questi impiegato in numerose missioni diplomatiche. La sua attività, cominciata attorno al 1508, lo vide impegnato, tra l'altro, in Francia, a Napoli, a Roma e a Venezia. Si sa inoltre che nel 1532 e nel 1536 fu chiamato dal podestà di Conegliano a organizzare i preparativi per l'arrivo in città di Carlo V. La sua figura è legata soprattutto ad un viaggio in Moscovia intrapreso tra il 1518 e il 1519 per coalizzare Polacchi e Moscoviti contro la minaccia ottomana. Al Da Collo era inoltre affidato un altro incarico, in virtù della propria passione per la geografia: doveva verificare la veridicità delle affermazioni del Tractatus de duabus Sarmatiis (1517) che dava una descrizione dell'Europa Orientale nettamente differente da quanto riportato a suo tempo da Tolomeo; ovvero, che in Moscovia nascevano il Tanai e il Volga e che non vi si trovavano i monti Allani, Rifei e Iperborei. Compilò un resoconto del viaggio in lingua latina, ma non riuscì a pubblicarlo. Nel 1558 venne redatta una traduzione in italiano da Fabio Sbarra, intitolata Trattato moscovitico con gli accidenti. L'originale venne recuperato solo dopo la morte del figlio Marco (1596) dal nipote ed erede Latino; quest'ultimo riuscì a farlo stampare (sebbene non integralmente). L'opera, preziosissima, si articola in una prima parte dove sono riportate osservazioni sugli eventi dell'epoca, come la riforma di Martin Lutero e i problemi di successione sul trono imperiale. Le succede la minuziosa descrizione del viaggio e poi il resoconto delle faticose trattative diplomatiche. Il trattato si conclude con una descrizione degli aspetti politici, sociali e geografici della Moscovia; è qui che il Da Collo conferma l'esistenza dei monti Iperborei e Rifei,. La data di morte si può desumere da un'iscrizione riportata sulla tomba del Da Collo, che trova posto nell'oratorio del palazzo di famiglia a Conegliano.