Stefano Campagnolo - Università Popolare di Musica
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Stefano Campagnolo - Università Popolare di Musica
-APN=N?=EJIQOE?= PPE@AH KJRACJK&JPANJ=VEKJ=HA@E0PQ@E NAVVKI=NVK ?QN=@E J@NA= DAC=EA A?EHE=)QVVE ,IBRERIA-USICALE)TALIANA VII Centenario della nascita di F. Petrarca (2004). Comitato nazionale Comune di Arezzo Provincia di Arezzo Università degli Studi di Siena Facoltà di Lettere con sede in Arezzo Dipartimento di Teoria e documentazione delle tradizioni culturali Liceo Ginnasio “F. Petrarca” di Arezzo Accademia Petrarca di Lettere Arti e Scienze Istituzione Biblioteca Città di Arezzo Fondazione Guido d’Arezzo In copertina: Petrarca nel suo studio, c. Iv. del ms. Palatino 184 della Nazionale di Firenze Questo volume è stato redatto e impaginato con software open source. © 2005 Libreria Musicale Italiana Lim srl, via di Arsina 296/f, I-55100 Lucca, P.O.Box 198 [email protected] www.lim.it ISBN 88-7096-449-3 PETRARCA IN MUSICA ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI VII CENTENARIO DELLA NASCITA DI FRANCESCO PETRARCA AREZZO, 18-20 MARZO 2004 A CURA DI ANDREA CHEGAI E CECILIA LUZZI Libreria Musicale Italiana SOMMARIO IX XI XIII XV XXIII Figlio prediletto e padre nobile d’Arezzo e dell’Italia intera, di Luigi Lucherini Petrarca, Arezzo, l’Università, di Camillo Brezzi Ringraziamenti, di A.C. - C. L. Introduzione, di A.C. - C. L. Abbreviazioni Petrarca da Petrarca al Rinascimento: gli incerti della diffusione manoscritta e la prima produzione a stampa STEFANO CAMPAGNOLO, Petrarca e la musica del suo tempo CECILIA PANTI, Il madrigale «Non al suo amante» (RVF 52): tradizione letteraria e tradizione musicale 65 THOMAS SCHMIDT-BESTE, The ‘Latin Petrarca’ in Music 83 FRANCESCO ROCCO ROSSI, «Vergine bella» e Dufay: dalla tradizione improvvisativa alla ‘res facta’ 101 RODOBALDO TIBALDI, Il repertorio frottolistico e la poesia del Petrarca 3 43 VI SOMMARIO La civiltà del madrigale. Tipologie compositive e stili diversi alla prova di Petrarca 131 STEFANO LA VIA, Petrarca secondo Verdelot. Una rilettura di «Non pò far Morte il dolce viso amaro» 155 DANIELE SABAINO, «Gli diversi effetti, gli quali essa harmonia suole produrre»: ancora su teoria e prassi dell’ethos modale (per il tramite, questa volta, di alcuni testi petrarcheschi) 203 MARCO MANGANI, «Oh, felice eloquenza!». Gabrieli, Marenzio, Ingegneri e il sonetto 245 del “Canzoniere” 245 PAOLO CECCHI, La fortuna musicale della “Canzone alla Vergine” petrarchesca e il primo madrigale spirituale 293 CECILIA LUZZI, Petrarca, Monte, i fiamminghi e la ‘questione dello stile’ nel madrigale cinquecentesco La civiltà del madrigale. Circolazione e riuscita sociale di musiche petrarchesche 321 FRANCO PIPERNO, «Sì alte, dolce e musical parole». Petrarca, il petrarchismo musicale e la committenza madrigalistica nel Cinquecento 347 MARIE-ALEXIS COLIN, Échos de Pétrarque dans la musique française du 16e siècle 365 MARTHA FELDMAN, Cortigiane e ‘donne da ridotto’: petrarchismo, tradizione orale e scala sociale 391 ANGELO POMPILIO, Il Repertorio della Poesia Italiana in Musica, 15001700 (RePIM): un aggiornamento Petrarca in epoca moderna. Opportunità, riscritture, tradimenti 399 PIERO GARGIULO, Petrarca in monodia: «I’ vidi in terra angelici costumi» nelle intonazioni di Marco da Gagliano (1615) e Domenico Belli (1616) SOMMARIO VII 425 ANDREA CHEGAI, Divergenze tra forma poetica ed effetto estetico: «Solo e pensoso» musicato da Haydn 435 MARIATERESA DELLABORRA, Petrarca intonato da Schubert: i tre Lieder D 628-630 (con qualche considerazione sulla restante produzione ‘italiana’) 455 MAURIZIO GIANI, Tra Lied e melodramma. I Sonetti del Petrarca di Franz Liszt 475 PIETRO CAVALLOTTI, Petrarca nell’ottica di Schönberg 495 MILA DE SANTIS, Petrarca nel primo Novecento musicale italiano 525 Indice dei capoversi e dei titoli 543 Indice dei nomi ABBREVIAZIONI CMM = Corpus Mensurabilis Musicae, Roma-Dallas, poi Neuhausen-Stoccarda, American Institute of Musicology, 1947-. DEUMM = Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, diretto da A. Basso, Utet, Torino 1983-1990. Grove Music Online = Grove Music Online, a c. di L. Macy (http://www.grovemusic.com). The New Grove Dictionary = The New Grove Dictionary of Music and Musicians, 2ª ed., a c. di S. Sadie e J. Tyrrell, Macmillan, London 2001. Nuovo Vogel = E. VOGEL - A. EINSTEIN - F. LESURE - C. SARTORI, Bibliografia della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al 1700, 3 voll., Staderini - Minkoff, Pomezia - Genève 1977. Canzoniere = F. PETRARCA, Canzoniere, ed. commentata a c. di M. Santagata, Mondadori, Milano 2004. PETRARCA, RISM = Répertoire international des sources musicales, B.I, 1 Récueils imprimés XVI-XVII siècles, I: liste chronologique, a c. di F. Lesure, Henle, München - Duisburg 1960. RePIM = Repertorio della Poesia Italiana in Musica (1500-1700), a c. di A. Pompilio (oggi all’indirizzo http://repim.muspe.unibo.it/repim/). RVF = Rerum Vulgarium Fragmenta (cfr. PETRARCA, Canzoniere). SCM = Sixteenth-Century Madrigal, a c. di J.A. Owens, Garland, New York etc. 1993-. Francesco Rocco Rossi Università di Pavia (Cremona) «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA1 «Vergene bella che di sol vestita», con questa inconfondibile variante rispetto all’incipit petrarchesco2 ha inizio una delle più note composizioni di Guillaume Dufay: la Canzone alla Vergine, intonazione a tre voci della lirica conclusiva del Canzoniere. Composta negli anni ’20 del Quattrocento,3 costituisce una tappa importante dell’incontro tra la musica e la produzione poetica di Francesco Petrarca: da un lato, infatti, rappresenta una vera rarità4 all’interno del repertorio pre-cinquecentesco apparentemente indifferente5 alle liriche petrarchesche, e nello stes1 Ringrazio Carla Vivarelli e Rodobaldo Tibaldi per i loro preziosi suggerimenti. Il brano è tràdito dai seguenti tre manoscritti: 1. Bologna, Biblioteca Universitaria 2216, pp. 70-71(Bu 2216); 2. Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale, Q 15, n. 234 (Q 15); 3. Oxford, Bodleian Library, Canonici misc. 213, cc. 133v-134r (Ox 213). La variante Vergene luogo del petrarchesco Vergine è attestata in Bu 2216 e Ox 213. Q 15 riporta, invece, «Virgene». 3 Secondo Fallows e Strohm sarebbe stata composta nei primi anni ’20 del XV secolo durante il soggiorno di Dufay a Rimini presso la corte di Carlo Malatesta (Cfr. D. FALLOWS, Dufay, J.M. Dent, London 1982, pp. 26-7 e R. STROHM, The rise of European music: 1380-1500, Cambridge University Press, Cambridge 1993, p. 154). Planchart, invece, ne posticipa la composizione al 1426-1428, durante il periodo bolognese nell’entourage del cardinale Louis Aleman. (Cfr. A.E. PLANCHART, What’s in a Name? Reflections on some Works of Guillaume Du Fay, «Early Music», XVI/2 1988, pp. 165-173: 170). 4 Oltre ad essa la messa in musica di versi petrarcheschi in lingua italiana prima del XVI secolo è limitata a «Non al suo amante più Diana piacque» di Jacopo da Bologna (sec. XIV) e ad un’adespota «Pace non trovo» attestata dal manoscritto Pixérécourt (Paris, Bibliothèque Nationale, F. franç. Ms. 15123, sec. XV). Ad essi si aggiunge l’intonazione di «Ad Italiam» (dalle Epistolae metricae) di Ludvicus de Arimino in Tr. 87 (Trento, Castello del Buonconsiglio, Monumenti e Collezioni Provinciali, Ms. 1374, olim 87: cc. 160v-161r). 5 Farò ritorno a questo concetto al termine del mio contributo. 2 84 FRANCESCO ROCCO ROSSI so tempo costituisce l’esordio di una lunga tradizione di intonazioni musicali sull’omonimo componimento poetico. Le mie riflessioni su questa composizione sono state sollecitate da una situazione abbastanza singolare – segnalata da Planchart6 – relativa non tanto al brano in sé quanto all’interpretazione che ne è stata data. Una pur veloce rassegna dei più autorevoli contributi rivela infatti una qualità intrinseca di «Vergene bella», ovvero una sorta di ‘eccentricità’ rispetto alle categorie analitiche tradizionali, che non riescono a coglierne le prerogative, per così dire, ‘primarie’: forma, destinazione e organico. Besseler nella propria edizione delle composizioni profane di Dufay,7 isolò «Vergene bella» (e solo «Vergene bella») da ballate e rotundelli e da ballades e virelais, rubricandola con la laconica qualifica di stropha:8 impotenza di fronte ad una sorta di ineffabilità formale? Parrebbe di sì, e le posizioni assunte da coloro che se ne sono occupati effettivamente dimostrano la sussistenza di un problema. Nel 1885 Haberl descrisse il brano come un mottetto in lingua volgare interamente vocale,9 opinione ribaltata nel 1926 da Van den Borren che lo classificò come composizione profana «d’un développement inhabituel»10 e con organico misto vocale-strumentale. Dal canto suo Besseler, che nel 1932 lo reputava una composizione sacra con tenor e contratenor strumentali,11 nell’edizione degli Opera omnia di Dufay (1964), pur confermando l’organico misto, modificò il proprio giudizio inserendo «Vergene bella» nel volume della musica vocale profana.12 E se, ancora al riguardo della destinazione, Fallows nel 1982 la considerò brano sacro (nonostante il testo in lingua italiana),13 per quanto concerne l’organico si fronteggiano le posizioni di Mila e Planchart, partigiani del6 in a Name?, pp. 165-70. Opera Omnia, voll. I: Motetti e VI: Cantiones, a c. di H. Besseler, American Institute of Musicology, Roma 1947 (nuova ed. 1966) e 1964. 8 DUFAY, Opera Omnia, vol. VI, p. XXV. Una definizione in termini simili (“stanza di canzone”) è stata riproposta recentemente da Gülke (P. GÜLKE, Guillaume Du Fay: Musik des 15. Jahrhunderts, Metzler - Bärenreiter, Stuttgart - Kassel 2003 p. 462). 9 Cfr. F.X. HABERL, Wilhelm du Fay, Bausteine für Musikgeschichte, Leipzig 1885, pp. 83 e 86. 10 C. VAN DEN BORREN, Guillaume Dufay: son importance dans l’evolution de la musique au XV siècle, Hayez, Brussels 1925, p. 304. 11 G. DUFAY, Zwölf geistliche und weltliche Werke, vol. XIX, a c. di H. Besseler, Möseler, Wolfenbüttel 1932. 12 DUFAY, Opera Omnia, vol. VI, pp. 7-9. 13 FALLOWS, Dufay, p. 129. 7 PLANCHART, What’s G. DUFAY, «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA 85 l’organico misto l’uno,14 di quello interamente vocale l’altro.15 Ci si deve quindi chiedere se simile difformità di giudizi dipenda dall’oggettiva ambiguità di «Vergene bella» – ascrivibile alle intenzioni compositive di Dufay, che le avrebbe deliberatamente conferito quella dose di inafferrabilità che pare una sua peculiarità – oppure dall’inappropriatezza dei criteri analitici coi quali si intende forzosamente classificare questa composizione. Dufay musicò solo la prima stanza del componimento petrarchesco,16 assecondando la divisione tra fronte e sirma cui assegnò due diverse indicazioni mensurali: tempus perfectum diminutum alla prima e tempus perfectum alla seconda.17 A prescindere da questa bipartizione, però, manca totalmente l’adesione ad una qualsivoglia definita struttura formale: le frasi-verso (cioè i segmenti musicali abbinati a ciascun verso poetico) sono infatti di disuguale lunghezza e privi di qualunque richiamo melodico ricorrente. In altre parole «Vergene bella» – apparentemente informata a criteri durchkomponiert – è sicuramente estranea alla consuetudine delle formes fixes. Ed è forse per questo motivo che il ‘dissenso’ musicologico sembra convergere soprattutto sulla questione dell’organico e in misura leggermente inferiore sulla destinazione sacra o profana: solo pochi studiosi azzardano una qualunque definizione formale mentre gli altri si limitano ad una più prudente (ed elusiva) terminologia quale “composizione” o “brano” (come sto facendo io stesso in questo contributo). Impossibile risolvere autonomamente le diverse questioni dal momento che il quesito formale si intreccia inevitabilmente con i contenuti del testo poetico: mottetto durchkomponiert in lingua italiana o chançon (o il suo corrispettivo italico) d’argomento sacro? 14 Pur ammettendo che un’esecuzione interamente vocale gioverebbe alla percezione dei richiami imitativi. Cfr. M. MILA, Guillame Dufay, a c. di S. Monge, Einaudi, Torino 1997, pp. 69-70. 15 PLANCHART,What’s in a Name?, p. 170. 16 La lirica consta di dieci stanze più un congedo. Ogni stanza è ripartita in una fronte, a sua volte bipartita, interamente di endecasillabi (ABC, BAC) e di una sirma composta di endecasillabi e settenari CddCEf(f)E (quinario alla rima interna). Il congedo è identico alla sirma. 17 Solo in corrispondenza dell’ultimo verso («Bench’i’ sia terra e tu del ciel reina») ritorna il tempus perfectum diminutum. Ciononostante non credo che il brano possa considerarsi tripartito: l’accelerazione imposta all’ultimo verso è da considerare alla stregua di un conclusivo intervento proporzionale, quasi una sorta di peroratio finale, consueto nella musica sia profana che sacra dell’epoca. 86 FRANCESCO ROCCO ROSSI Una mediazione fra questi due apparenti ossimori sarebbe in realtà possibile postulando un rapporto con la produzione laudistica (che quindi coniugherebbe l’elemento devozionale con la lingua italiana). Legame non inverosimile se si considerano le relazioni dirette o indirette tra Dufay e il mondo della lauda: si pensi, ad esempio, al rapporto tra la sua ballata «Invidia nimica» e la lauda «Invidia al ciel inimica»,18 oppure a «Qui latuit in Virgine» a lui attribuita nel St. Emmeram Codex19 ed attestata, invece, anonima, in Tr. 87,20 e coll’incipit «Du pist mein Hort». Quest’ultima attribuzione è fortemente dubbia ma rivela che, all’epoca, il nome di Dufay poteva essere anche associato a certa produzione laudistica. A prescindere da eventuali relazioni con la musica devozionale (su cui, comunque, ritornerò), intendo riportare l’attenzione sull’inadeguatezza dell’attrezzatura analitica tradizionale in rapporto a «Vergene bella». Gli usuali criteri di analisi, elaborati per un paradigma compositivo ben definito e controllabile, non funzionano col brano di Dufay perché la sua genesi quasi certamente si colloca al di fuori di quegli standard compositivi; si profila infatti, a mio parere, l’affascinante prospettiva di un legame tra «Vergene bella» e la prassi improvvisativa cara agli ambienti umanistici dell’epoca. Nino Pirrotta si è frequentemente dedicato alla «tradizione non scritta della musica», svelando l’esistenza di un repertorio improvvisativo, tramandato oralmente e di gran lunga più consistente e diffuso di quello fissato sui codici a noi pervenuti.21 Si trattava di un patrimonio musicale multiforme perché legato a pratiche musicali diverse: 18 Cfr. G. CATTIN, Contributi alla storia della lauda spirituale, «Quadrivium», II 1958, pp. 4575: 49 e 54 (riedito di recente in G. CATTIN, Studi sulla lauda offerti all’autore da F.A. Gallo e F. Luisi, a c. di P. Dalla Vecchia, Torre d’Orfeo, Roma 2003, pp. 7-36: 11 e 15). 19 Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Ms. Clm 14274: c. 1r. 20 A c. 109r. 21 Per citare solo alcuni dei suoi più noti contributi sull’argomento, cfr. N. PIRROTTA, Novità e tradizione in Italia dal 1300 al 1600 e Musica e orientamenti culturali nell’Italia del Quattrocento, nel suo Musica tra Medioevo e Rinascimento, Einaudi, Torino 1984, pp. 213-69 e dello stesso Tradizione orale e tradizione scritta della musica, in L’Ars nova italiana del Trecento, Secondo convegno internazionale 17-22 luglio 1969, Edizioni Centro Studi sull’Ars Nova Italiana del Trecento, Certaldo 1970, pp. 431-41, in part. p. 431 s.: «La tradizione scritta della musica può essere paragonata alla parte visibile di un iceberg, la maggior parte del quale resta invece sommersa ed invisibile. La parte che emerge merita certamente la nostra attenzione […], ma le nostre valutazioni devono pure tener sempre presenti i sette ottavi dell’iceberg che restano sommersi, la musica della tradizione non scritta». Sulla diffusione di tale tradizione non scritta, oltre ai citati contributi di Pirrotta, cfr. F.A. GALLO, Orpheus christianus, in Musica nel castello, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 95-152. «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA 87 1. improvvisazione esclusivamente strumentale; 2. improvvisazione vocale con accompagnamento strumentale su testi lirici: il cosiddetto “cantar alla viola” o “al liuto”; 3. esecuzione vocale/strumentale o, più frequentemente solo strumentale, legata alla danza; 4. improvvisazione solo vocale.22 La maggior parte di queste attività musicali erano espressione di una prassi umanistica non solo volutamente equidistante dall’accademismo scolastico dell’Ars Musica e dalla goticità della polifonia di stampo nordico, ma addirittura quasi ostile alla tradizione scritta che ne era la testimonianza. Controverso, quindi, il rapporto musica-notazione di cui ancora negli anni ’80 del Quattrocento Poliziano scriveva con evidente dose di scherno: «quaedam […] notata musicis accentiunculis carmina».23 La tradizione orale alternativa a quella attestata nei codici – ed in confronto alla quale era considerata ben più aulica (per lo meno nell’Italia dell’Umanesimo)24 – si reggeva sui cosiddetti “aeri”25 cioè veri e propri moduli melodici tràditi oralmente sui quali si improvvisava l’intonazione di versi sia latini sia in “lingua del sì” (fra cui, soprattutto, le liriche petrarchesche),26 espressione del più autentico spirito umanistico. 22 Tutte esperienze performative di chiara marca umanistica. Cfr. N. PIRROTTA, Musica e orientamenti culturali, p. 225: «La sua [dell’umanista] esperienza musicale è […] concentrata sugli aspetti più immediati di quell’arte, sul cantare a solo, su musiche di danza, su fanfare, su suoni suadenti di arpe e flauti e, forse, su qualche sfoggio di virtuosismo strumentale sul liuto o su qualche strumento a tastiera». 23 Dal XII libro delle Lettere di Poliziano, cit. in N. PIRROTTA, Li due Orfei: da Poliziano a Monteverdi, Einaudi Torino 19813, p. 36. 24 Cfr. Laudario Giustinianeo. Edizione comparata con note critiche del ritrovato laudario ms 40 (ex biblioteca dei Padri Somaschi della Salute di Venezia) attribuito a Leonardo Giustinian, vol. II, a c. di F. Luisi, Fondazione Levi,Venezia 1983, p. 525: «due modelli principali di prassi esecutiva che vede da una parte attestarsi il canto “a libro” e dall’altra il canto “alla viola”. […] La prima, com’è noto, non rappresenta nel Quattrocento la condizione precipua della cultura musicale italiana, anzi viene assunta tipicamente a rappresentanza della cultura franco-fiamminga importata; la seconda attesta invece una condizione musicale peculiarmente mediterranea, più ariosa, più votata alla cantabilità, allo spicco della voce, ma rifugge per questo da canonizzazioni compositive espresse nella scrittura». 25 Per un’estesa trattazione degli aeri cfr. LUISI, Appendice: note conclusive e introduzione alla lettura delle musiche, in Laudario Giustinianeo, pp. 525-33. 26 Nel De Cardinalatu libri tres di Paolo Cortese Petrarca è addirittura descritto quale esecutore al liuto delle proprie liriche: «Franciscus Petrarcha […] qui edita carmina caneret ad lembum» (cit. in PIRROTTA, Musica e orientamenti culturali, p. 241). 88 FRANCESCO ROCCO ROSSI Un aere era una formula musicale (oggi diremmo un ‘motivo’) trattata con elasticità tale da permetterle l’adattamento a vesti testuali e realizzazioni tra loro diverse: la sua melodia poteva essere allungata o accorciata oppure variamente ornamentata in ragione della diversa lunghezza dei versi che ad essa venivano associati. Nonostante il patrimonio musicale non scritto fosse per sua natura legato all’hic et nunc, esso non si è fortunatamente del tutto volatilizzato, e di tanto in tanto ne affiorano talune tracce all’interno del repertorio notato grazie a quelle possibilità di scambio da una tradizione all’altra su cui già Pirrotta si era interrogato: «Non sarà allora accaduto che la stessa musica scritta ‘orecchiasse’ talvolta e fermasse sulla notazione i modi più ingenui ma suggestivi e pervasivi dell’altra cultura?».27 Naturalmente la persistenza di un retaggio improvvisativo all’interno del repertorio scritto va considerata con cautela, evitando, cioè, di considerarne le tracce come la traduzione tout court di esecuzioni estemporanee. La fissazione su carta o pergamena comportava necessariamente un intervento più o meno consapevole di natura compositiva e di conseguenza una sorta di cristallizzazione dell’aere che si trovava ad interagire con principii ad esso estranei perdendo, anche se non del tutto, l’originaria carica di originalità, spontaneità e duttilità. Per questo motivo l’attestazione scritta risulta ‘simile’ ma non ‘identica’ al primitivo modello improvvisativo. Istruttivo a riguardo è il confronto tra le musiche per danza descritte da Domenico da Piacenza, Antonio Cornazano e Guglielmo Ebreo da Pesaro con le omonime realizzazioni polifoniche a noi pervenute: nella maggior parte dei casi è flagrante l’incompatibilità della res facta sia con le prescrizioni coreutiche che con i lacerti monodici attestati nei trattati, a testimonianza di un evidente allontanamento dal modello iniziale.28 Oltre a tracce di questo tipo, ci sono pervenute anche testimonianze di altro genere, consistenti nella vera e propria attestazione scritta di al27 N. PIRROTTA, Dalla musica di tradizione non scritta al madrigale: spigolature e postille, in La letteratura la rappresentazione la musica al tempo e nei luoghi di Giorgione, a c. di M. Muraro, Jouvence, Roma 1987, pp. 227-31: 227. 28 Un esempio fra i tantissimi ci è dato da La fia Guglielmino, pervenutoci sia in qualità di musica per danza (quindi legata alla prassi improvvisativa), descritta da Domenico da Piacenza in De arte saltandi et choreas ducendi (Paris, Bibliothèque Nationale, F. Ital. 972), che di brano vocale-strumentale contenuto nel Ms. IV a 24 di El Escorial con l’incipit Helas la fille Gilhemin. L’attestazione scritta si rivela non solo in conflitto con le prescrizioni coreutiche (e quindi inutilizzabile a scopo di danza), ma reca i segni di un inevitabile allontanamento dalla libertà concessa da un’esecuzione estemporanea. «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA 89 cuni aeri:29 brevi frammenti motivici, accompagnati da una o più voci, di scarso valore artistico ma di enorme rilievo documentario perché ci aprono alle conoscenza di alcune di queste formule melodiche e del loro trattamento. È questo il caso di alcuni piccoli brani contenuti in Tr. 87 e resi noti nel 1956 da Disertori30 (successivamente, a quanto mi risulta, solo raramente sono stati presi in debita considerazione). Si tratta di sei piccoli pezzi a tre voci,31 tutti privi di testo (ad eccezione di uno, sopra citato, che riporta l’incipit «Du pist mein Hort»)32 e forse redatti a scopo didattico. Quasi sempre, infatti, la melodia principale è affidata al superius (ivi chiamato trebulus) molto ornato e accompagnato dall’indicazione «trebulus per diminutionem» che si espande su due voci inferiori spesso più statiche, quasi accordali, ad evidente dimostrazione delle tecniche di diminuzione di una melodia. Uno di essi, attestato alla c. 119r, oltre a fornire eloquenti indicazioni sulla prassi dell’ornamentazione, si rivela preziosissimo perché ci dà la chiave di interpretazione di «Vergene bella» confermando il legame con la prassi improvvisativa sopra paventato. Si tratta di un brano decisamente breve – un semplice trebulus sostenuto da contra e tenor – improntato ad un andamento pressoché omoritmico a mò di faux bourdon (cfr. Esempio 1). Ad esso fa seguito, nella medesima carta, la sua stessa rielaborazione che, grazie ad una differente ornamentazione e all’ampliamento delle dimensioni generali, ci dà la misura di come queste formule potessero essere trattate elasticamente adeguandosi, quindi, a segmenti testuali di diversa lunghezza (cfr. Esempio 2). Nonostante la fattura poco raffinata, la sua struttura pentapartita fa intravedere una sorta di volontà formale – come ho sopra accennato, inevitabile in fase di redazione scritta – e quindi una sorta di ‘intento compositivo’. Ad una prima sez. A terminante sul La, fa seguito la successiva sez. B1 che si porta sul Re. Segue poi B2 che ne è la riproposizione solo leggermente ornata e dotata di una diversa cadenza sul La; le diverse 29 Ricordiamo, per esempio le formule all’interno del quarto libro di frottole di Petrucci (Strambotti, ode, frottole, sonetti. Et modo de cantar versi latini e capituli, O. Petrucci, Venezia 1505, RISM 15055): il «Modo de cantar sonetti» (c. XIIIIr), «l’Aer de versi latini» (c. XXXVIr) e «l’Aer de Capituli» (c. LVv). 30 B. DISERTORI, Un primitivo esempio di variazione nei codici musicali tridentini, «Studi Trentini di Scienze Storiche», XXXV/2 1956, pp. 1-7. 31 Attestati alle cc. 109r, 109v, 117v, 118r, 119r, 120v. 32 Cfr. supra. 90 FRANCESCO ROCCO ROSSI ESEMPIO 1 – Tr. 87, c. 119r. conclusioni di B1 e B2 stabiliscono quindi una sorta di ouvert e clos funzionali al raccordo con segmenti tra loro diversi favorendo quindi diverse possibilità combinatorie. B2, infatti, si connette a C che introduce un nuovo materiale melodico stavolta trattato a due voci. In conclusione, in corrispondenza della sez. B3, ricompare il materiale melodico della seconda sezione sottoposto ad una nuova ornamentazione. L’assetto strutturale di questa versione simplex si mantiene, poi, inalterato (incluso l’alleggerimento d’organico in C) anche nella versione elaborata. Il trattamento subito, però, non consiste solo nella diversa fioritura melodica, ma anche (e direi soprattutto) nella dilatazione delle dimensioni, motivo per cui non credo che si tratti della semplice applicazione di tecniche di ornamentazione, bensì dell’esemplificazione scritta di come queste cellule motiviche potessero essere utilizzate con elasticità tale da adattarsi a diverse combinazioni in ragione di diverse esigenze testuali. Ciò su cui intendo, però, maggiormente focalizzare l’attenzione è l’affinità tra l’incipit del trebulus (sia nella versione simplex che in quella elaborata) e la prima frase del superius di «Vergene bella» (cfr. Esempio 3a, b,c).33 33 Gli esempi relativi a «Vergene bella» sono tratti dall’edizione di Besseler, mentre i brani attestati in Tr. 87 sono stati trascritti da me. «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA ESEMPIO 2 – Tr. 87, c. 119r. ESEMPIO 3a – Tr. 87, c. 119r: trebulus simplex. ESEMPIO 3b – Tr. 87, c. 119r: trebulus diminuito. ESEMPIO 3c – DUFAY, «Vergene bella» (superius), bb. 1-4. 91 92 FRANCESCO ROCCO ROSSI Si tratta di un’analogia melodica per quanto mi risulta mai rilevata e che, invece, mi pare di fondamentale importanza perché denunzia un legame, quantomeno indiretto, tra «Vergene bella» e l’anonima composizione e, come chiarirò qui di seguito, con la prassi improvvisativa. Se si sottopone il trebulus simplex (lo stesso, però, naturalmente vale anche per quello più elaborato), ad un processo di riduzione si ricava la formula melodica essenziale a partire dalla quale l’ignoto musicus di Tr 87 elaborò polifonicamente le sez. A e B: ESEMPIO 4 – Tr. 87, c. 119r: trebulus simplex e sua riduzione. Questa formula melodica elementare è, a mio avviso, un aere, ma non un aere qualunque, bensì quello stesso che, come si evince dall’analogia melodica sopra rilevata, costituisce l’ossatura dell’incipit del superius di «Vergene bella», punto di partenza quindi del suo processo compositivo. L’afferenza a questo modello melodico non è però limitata alla semplice occorrenza nell’incipit del superius ma si estende ad altri luoghi della composizione in cui questa formula penetra ancora più nel vivo dell’organismo polifonico, a dimostrazione di una particolare attenzione riservatale in fase compositiva. Dall’interazione tra tenor e contra, alle bb. 1-4 si ricava infatti un basso combinativo la cui riduzione melodica riconduce al medesimo aere: «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA 93 ESEMPIO 5 – G. DUFAY, «Vergene bella»: contra e tenor, bb.1-4 (basso combinativo e sua riduzione). Occorrenze analoghe sono rilevabili anche alle bb. 10-4 e 75-81: ESEMPIO 6 – G. DUFAY, «Vergene bella» contra e tenor, bb.10-4 (basso combinativo). ESEMPIO 7 – G. DUFAY, «Vergene bella», bb.75-81 (basso combinativo). 94 FRANCESCO ROCCO ROSSI Una tale insistenza non può essere casuale e conferma l’aderenza ad un preciso nucleo melodico non solo manifestamente elaborato nella voce superiore, ma addirittura dotato di valenza strutturale ed inserito nelle trame del basso combinativo lungo l’intera composizione. I rimandi a questo aere non si esauriscono, però, con «Vergene bella» e il trebulus di Tr. 87, ma si estendono anche a due laudi entrambe contenute nel Cod. Veneto Marciano It. IX 145:34 «Padre del cielo» a 2 voci (c. 31r) e «Vergene bella» a 3 voci (cc. 39v-41r).35 Per quanto attiene alla seconda, il titolo palesemente evocativo – e significativamente corredato della medesima variante Vergene – richiama inequivocabilmente la composizione di Dufay del cui modello appare debitrice, come si può constatare nell’Esempio 8.36 Di gran lunga più interessante si rivela, invece, l’altra lauda, «Padre del cielo». Frutto forse di un ignoto frater pauperculus (citato a c. 58v),37 è una composizione sicuramente meno ambiziosa ma, per quel che attiene a «Vergene bella» di Dufay, molto più preziosa in quanto al suo interno si percepisce nuovamente il modello monodico sopra evidenziato che, ancora una volta, è presente in qualità di basso di combinazione.38 34 Venezia, Biblioteca Marciana, Ms. Ital. IX, 145. Cfr. STROHM, The rise of European music, pp. 156-7. 36 Gli esempi relativi alle due laudi sono tratti dall’edizione a c. di Giulio Cattin: G. CATTIN, Laudi quattrocentesche del Cod. Veneto Marc. It. IX 145, s.e., Bologna 1958, pp. 9 e 15. 37 Non è chiaro se questa e altre laudi siano frutto di originale opera compositiva del frate o se piuttosto (e più probabilmente) siano il travestimento spirituale di canti preesistenti. Cfr. CATTIN, Laudi quattrocentesche, p. 5. 38 La presenza del bemolle nell’armatura della lauda sposta la melodia del basso combinativo alla 4a superiore collocandola nell’esacordo molle; la lettura con le sillabe della solmisazione garantisce comunque la totale equipollenza con l’aere sopra individuato. Questa uguaglianza sembrerebbe contraddetta dall’applicazione del bemolle al Si nel superius di «Vergene bella»; si tratta, però, di un “fa super la” peraltro non sempre previsto nel basso combinativo e mai presente nel trebulus di Tr. 87 – non tale, quindi, da invalidare l’analogia tra i vari motivi – (si ricordi che la cosiddetta regola del “fa super la” prevede che nel caso in cui un qualsiasi percorso melodico circoscritto all’esacordo naturale ut-la esorbiti da tale ambito, raggiungendo il Si, si metta in atto una mutazione trattando quest’ultima nota come se fosse il Fa dell’esacordo molle. Pur privo di alterazione sulla carta, il Si dovrebbe quindi essere bemollizzato). 35 «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA 95 ESEMPIO 8 – ANONIMO, «Vergene bella», bb. 1-4. ESEMPIO 9 – FRATER PAUPERCULUS, «Padre del cielo», bb. 1-4. Anche in questo caso quindi, come rilevato a proposito di «Vergene bella» di Dufay, il basso combinativo conferma il non casuale nesso con la formula melodica qui nuovamente posta alla base dell’elaborazione polifonica. Con tutto ciò non intendo assolutamente postulare un rapporto intertestuale tra «Vergene bella», «Padre del cielo» e il trebulus trentino e ritengo, piuttosto, che le affinità melodiche riscontrate derivino dall’acquisizione, senza alcuna reciproca influenza, del medesimo modello melodico; un aere evidentemente molto noto e dotato di ampia diffusione e a sua volta generatore di elaborazioni motiviche e costruzioni polifoniche. I connotati essenziali di questo aere sono stati illustrati nell’Esempio 4: movimento melodico elementare descritto nell’ambito di una sesta, o più precisamente, di un pentacordo modalmente definito e arricchito dalla presenza di una nota di volta ascendente. Si tratta di una melodia semplice (come è logico aspettarsi da un aere) e dal sapore antico, che riecheggia l’antifona-tipo del primo tono salmodico «Pri- 96 FRANCESCO ROCCO ROSSI mum quaerite regnum Dei» da cui – chissà! – forse potrebbe anche aver preso le mosse. L’individuazione della melodia dell’aere all’interno di «Vergene bella» costituisce un importante segnale di una relazione con la prassi improvvisativa; legame che va ben oltre il semplice utilizzo di questa formula melodica ed investe l’intera struttura della composizione. Fabrizio Della Seta ha messo in risalto una sorta di discrasia tra l’organizzazione musicale di «Vergene bella» e la versificazione petrarchesca:39 «il compositore rimane fedele al principio medievale della frase-verso come unità: così in “Coronata di stelle al sommo sole / Piacesti sì che ’n te sua luce ascose” vengono trascurati sia l’enjambement tra i due versi che la cesura sintattica all’interno del primo, onde ciascuno di essi rimane un’entità chiusa e autosufficiente».40 Il rilievo, del tutto condivisibile,41 mi pare pertinente all’ipotesi che mi accingo a formulare. Il canto “alla viola”, portato dell’esperienza italiana, costituì per Dufay una nuova ed importante risorsa artistica e non solo in quanto riserva di materiale musicale da elaborare (gli aeri, per l’appunto) ma anche quale stimolo ad un diverso approccio compositivo. L’intonazione estemporanea “alla viola” di un componimento poetico consisteva verosimilmente nell’enunciazione di un verso dopo l’altro, ciascuno liberamente improvvisato sul materiale melodico fornito dall’assortimento di aeri a disposizione di ogni musicista-cantore.42 Da uno sguardo all’organizzazione complessiva di «Vergene bella» è possibile cogliere molti punti di contatto con siffatta concezione, per certi aspetti simile anche – mi si perdoni il confronto da condursi con le debite distinzioni – alla costruzione polifonica del trebulus trentino. I tredici versi di «Vergene bella» risultano, infatti, abbinati ad altrettanti segmenti polifonici differenti l’uno dall’altro e ciascuno dotato di senso musicale autonomo. Si tratta cioè di tredici unità polifoniche indipendenti che Dufay ha incernierato l’una all’altra inserendole in un tessuto 39 Ringrazio Stefano La Via per avermi segnalato questo contributo. F. DELLA SETA, Parole in musica, in Lo spazio letterario del medioevo. 1. Medioevo latino, vol. II: La circolazione del testo, a c. di G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menesto, Salerno Editrice, Roma 1994, pp. 537-69: 566-7. 41 Tra le due frasi-verso citate da Della Seta si registra addirittura uno dei rari casi di sicura cesura siglata da una vera e propria cadenza. Cfr. infra. 42 Repertorio che godeva senz’altro di amplissima diffusione sia in senso meramente geografico, che di destinazione musicale adattandosi, come si è sopra constatato, sia alle auliche intonazioni musicali su testi poetici che ad intonazioni devozionali. 40 «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA 97 connettivo fatto di cadenze evitate, di anticipi, di giochi imitativi e di fioriture melodiche sapientemente distribuiti nel corso della composizione così da evitare nette cesure. A parte qualche rara eccezione,43 il discorso musicale scorre senza soluzione di continuità articolandosi attraverso unità tecnico-espressive sempre diverse e corrispondenti, naturalmente, alle singole frasi-verso, cioè all’elaborazione di ciascun aere. Alcuni di questi segmenti sono informati a principii imitativi (bb. 1-4: «Vergene bella, che di sol vestita»;44 bb. 46-54: «Chi la chiamò con fede / Vergene s’a mercede»; bb. 69-74: «Soccorri alla mia guerra»), altri esibiscono un quasi parallelo cammino delle voci (bb. 23-7: «Ma non so cominzar senza tu’aita»; bb. 40-5: «Invoco lei che ben sempre rispose»; bb. 65-8: «Già mai ti volse, al mio prego t’inchina») oppure un contrappunto moderatamente ornato (bb. 5-11: «Choronata di stelle al sommo sole»; bb. 12-6: «Piacesti sì che ’n te Sua luce ascose»; bb. 16-23: «Amor me spigne a dir di te parole») e altri ancora sono arricchiti da un vero e proprio florilegio melismatico (bb. 28-39: «E di Colui ch’amando in te si pose»; bb. 55-64: «Miseria estrema de l’humane chose»; bb. 75-87: «Bench’i sia terra e tu del ciel regina»). Ne consegue una cangiante successione di spunti tematici, di accelerazioni e repentini rallentamenti,45 di imitazioni e di omofonia, di espansione melismatica del superius e virtuosistiche sincopazioni tra le voci.46 La diminuzione melodica è costantemente presente in tutta la composizione (se pur differentemente dosata), ma non più confinata alla semplice funzione decorativa, bensì dotata di vera e propria valenza strutturale perché insinuandosi all’interno di tutte le frasi-verso e, soprattutto, nei punti di passaggio da una all’altra, si rivela una risorsa compositiva indispensabile per annul43 Nonostante ogni frase-verso sia dotata di movimento cadenzale conclusivo, solo alle bb. 11 e 18 si registra una vera e propria clausula finale assegnata a tutte le voci (oltre, naturalmente, al termine delle diverse sezioni mensurali). In tutte gli altri luoghi della composizione vi è sempre una voce (quasi sempre il contratenor) che evita la cadenza. 44 In questa sede utilizzo il testo proposto da Fallows. Cfr. D. FALLOWS, The Songs of Guillaume Dufay: Critical Commentary to the Revision of Corpus Mensurabilis Musicae, ser.I, vol. VI, American Institute of Musicology - Hänssler-Verlag, Neuhausen - Stuttgart 1995, p. 40. 45 Oltre al generale rallentamento imposto all’inizio della sirma con l’introduzione del tempus perfectum, si registrano molte oscillazioni ritmiche realizzate grazie alla frequente alternanza con l’emiolia nel tempus perfectum diminutum (che quindi produce l’effetto di un continuo incremento e decremento in termini di velocità) e all’occorrenza del color in tempus perfectum. 46 Alle bb. 19-22 e 84-7. 98 FRANCESCO ROCCO ROSSI lare le cesure prodotte dalla semplice paratassi dei diversi segmenti. Una simile condotta compositiva – che ha infatti generato lo ‘sconcerto classificatorio’ di cui si è fatto cenno all’inizio di questo contributo – è però estranea allo standard di marca franco-fiamminga, che mediante collaudate formule strutturali garantiva composizioni ‘compatte’ sul piano della coerenza formale. «Vergene bella», in virtù delle prerogative sopra illustrate, manifesta maggiori legami con le esecuzioni “alla viola”, molto virtuosistiche e sicuramente fascinose ma che a fronte della semplice giustapposizione di formule melodiche successive erano prive di quella coesione formale garantita invece dalla res facta, ovvero dalla vera e propria tecnica compositiva. Ma questa caratteristica – che, pur sapientemente stemperata con artificii compositivi, è comunque presente nella composizione di Dufay – non è forse proprio l’aspetto messo in risalto da Della Seta, cioè una sorta di meravigliosa concatenazione di aeri diversi e naturalmente indifferenti al contesto poetico? La neutralità rispetto al contenuto dei versi era d’altronde inevitabile dal momento che si trattava di formule melodiche metamorfiche che transitavano e si adattavano a testi poetici differenti.47 «Vergene bella» è, quindi, una conseguenza dell’accostamento di Dufay alla prassi improvvisativa e, in particolare, alle liriche petrarchesche oggetto privilegiato di intonazione “alla viola”.48 Grazie alla frequentazione delle corti italiane (quella riminese di Carlo Malatesta o quella bolognese raccolta attorno a Louis Aleman, o qualunque altra non fa differenza) Dufay entrò in contatto con quella temperie umanistica che, musicalmente parlando, si esprimeva con strumenti ben diversi da quelli nordici cui era avvezzo e di cui facilmente subì il grande potere seduttivo. Accolse quindi questa pratica musicale improvvisativa, per lui nuova, acquisendone tecniche e materiali che coniugò con l’alta elaborazione contrappuntistica a lui consueta; tutto ciò forse con piena consapevolezza della portata per certi versi ‘sperimentale’ di una simile operazione. Lo spunto iniziale di «Vergene bella» fu offerto, a mio avviso, proprio da un’intonazione improvvisata “alla vio47 Per questo motivo l’etichetta durchkomponiert va applicata a «Vergene bella» con cautela, soprattutto se con essa si intende alludere ad una sorta di intento madrigalistico ante litteram. 48 Non credo, infatti, che la musica pre-cinquecentesca fosse refrattaria alla poesia di Petrarca; molto semplicemente l’intonazione dei suoi componimenti, nonostante fosse praticata con frequenza, non ci è pervenuta in quanto soggetta alla prassi musicale non scritta. «VERGINE BELLA» E DUFAY: DALLA TRADIZIONE IMPROVVISATIVA ALLA RES FACTA 99 la” della omonima lirica petrarchesca: dotta elaborazione su una serie di aeri il primo dei quali corrispondente alla formula sopra individuata. Intonazione che, però, fornì solo il materiale melodico primario e lo spunto tecnico che poi Dufay elaborò operando una mediazione con i collaudati (e non improvvisati) criteri compositivi a lui congeniali. «Vergene bella» sarebbe quindi la res facta, cioè la trasposizione ad un altissimo livello compositivo di una delle sue possibili realizzazioni estemporanee, ottenuta grazie al connubio tra il magistero di matrice nordica di Dufay con la prassi improvvisativa more Italico appresa presso le corti italiane: una sorta di contenance italienne. Per questo motivo – e si ritorna alla questione iniziale – è probabilmente ozioso interrogarsi sulla sua struttura formale e sulla sua destinazione: si tratta semplicemente dell’intonazione dell’ultima lirica del Canzoniere di Petrarca,49 approdo di un percorso che, partendo dalla «Vergine bella» petrarchesca e mediata dalla prassi improvvisativa, portò a quella straordinaria e superba ‘composizione’ che da quasi sei secoli conosciamo e ammiriamo. 49 E si rimanda, quindi, alle intenzioni del poeta, per la destinazione sacra o profana.