libri di viaggio, libri in viaggio
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Daniela Giosuè John Capgrave e Margery Kempe a Roma Immagini della città a confronto estratti da libri di viaggio, libri in viaggio Studi in Onore di Vincenzo de Caprio 3 A cura di Stefano Pifferi e Cinzia Capitoni SETTE CITTÀ CIRIV testi e studi -8- Collana diretta da Vincenzo De Caprio Comitato Scientifico Antonello Biagini, Università di Roma “La Sapienza” Dino S. Cervigni, Università della North Carolina at Chapell Hill Luigi de Anna, Università di Turku Marilena Giammarco, Università di Chieti-Pescara Danuta Quirini-Popławska, Università “Jagellonica”, Cracovia Giovanna Scianatico, Università di Bari Ljerka Šimunkovič, Università di Spalato Daniel Tollet, Università di Paris IV-Sorbonne Brigitte Urbani, Università di Aix en Provence Proprietà letteraria riservata. La riproduzione in qualsiasi forma, memorizzazione o trascrizione con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, internet) sono vietate senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. ©2011 Sette Città Via Mazzini, 87 • 01100 Viterbo Tel 0761 304967 Fax 0761 1760202 www.settecitta.eu • [email protected] isbn: 978-88-7853-275-6 Immagine di copertina: Malle-Bibliothéque Ernest Hemingway, 1923, tratta da Louis Vuitton: 100 Legendary Trunks. Pierre Léonforte, Éric Pujalet-Plaà (a cura di) Finito di stampare nel mese di marzo 2012 dalla Tipolitografia Quatrini A. & F. - Viterbo Caratteristiche Questo volume è composto in Jenson Pro disegnato da Robert Slimbach e prodotto in formato digitale dalla Adobe System nel 1989; è stampato su carta ecologica Serica delle cartiere di Germagnano; le segnature sono piegate a sedicesimo (formato 13,5 x 21) con legatura in brossura e cucitura filo refe; la copertina è stampata su carta patinata opaca da 250 g/mq delle cartiere Burgo e plastificata con finitura lucida. La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito. Indice p. 7 Premessa 11 Maria Cristina Baleani Un diario di viaggio eclettico I doveri ecclesiastici e gli sguardi curiosi di Jean-Baptiste Labat 27 Cristina Benicchi I viaggiatori senza Baedeker di E.M. Forster, Rubén Darío e Miguel de Unamuno e la crisi della cultura visuale del primo Novecento 47 Nadia Boccara Viaggio a Bordeaux per ritrovare Montaigne 55 Alessandro Boccolini Gli “incontri” nei Viaggi di Marianna Candidi Dionigi 65 Raffaele Caldarelli M. Zikmund e J. Hanzelka Storie di viaggi, di libri e di vita 83 Cinzia Capitoni Oriente, occidente e scienza Dimensioni a confronto nel Giornale egiziano di Giambattista Brocchi 99 Antonio Ciaschi L’immagine della montagna nella storia del viaggio in età moderna 119 Rita Corsi Il conte Camille de Tournon (1778-1833) prefetto di Roma in viaggio per la Tuscia 133 Anabela Galhardo Couto Da Penelope alla neo-Penelope Viaggiando con Ana Hatherly attorno al femminile 143 Francesca De Caprio una principessa italo-francese in viaggio verso il regno dei sarmati europei 159 Ornella Discacciati Al capolinea L’illusione del movimento sui tram sovietici 171 Ela Filippone Hājj Sayyāh Un iraniano anticlericale nel Lazio dei Papi 195 Daniela Giosuè John Capgrave e Margery Kempe a Roma Immagini della città a confronto 211 Filippo Grazzini Scrittori italiani classici in viaggio con libri Alcuni casi in Petrarca, Machiavelli, Alfieri p. 235 Anna Lo Giudice Un viaggiatore singolare: Paul Valery 251 Serena Marrocco Alla ricerca del centesimo nome: Il periplo di Baldassarre Embriaco 263 Luigi Martellini Matilde Serao nel paese di Gesù ovvero, Ricordi di un viaggio in Palestina 283 Sonia Maria Melchiorre Ritorno nella “Perfida Albione”: Storie di migranti in due romanzi contemporanei in lingua inglese 293 Federico Meschini Avirel, un archivio digitale per l’Odeporica 305 Francesca Petrocchi Alberto Moravia a Dublino con “UlYsses” 331 Gaetano Platania Un diario di viaggio pronto per la stampa Il veneziano Cavanis alla volta di Varsavia 361 Stefano Pifferi Libri di viaggio, libri in viaggio Verso nuovi, virtuali orizzonti 381 Sandra Puccini L’esplorazione e la scrittura A proposito dell’incontro tra Piaggia e De Amicis 395 Antonello Ricci Colori di città, luce di paesaggi: I viaggiatori dell’immaginario a Viterbo e in Maremma laziale 411 Simona Rinaldi Arte in viaggio nei taccuini dei Grandtourists 431 Cristina Rosa Libri proibiti in viaggio per l’Europa: la biblioteca della Marchesa de Alorna 439 Mariagrazia Russo Manoscritti di interesse portoghese nella biblioteca di Cristina di Svezia 459 Matteo Sanfilippo Viaggiatori, giornalisti, cinematografari contro gli italiani (prima metà del XX secolo) 481 Beata Dagmara Wienska Le Lettere di Odyniec come testimonianza sul soggiorno di Mickiewicz a Roma 487 Bibliografia degli scritti di Vincenzo De Caprio PREMESSA Studioso di fama internazionale, esperto di Letteratura Italiana del Quattrocento/Cinquecento e dell’Ottocento, Vincenzo De Caprio è conosciuto anche oltre i confini nazionali per i suoi importanti contribuiti dedicati alla Letteratura di Viaggio. Autore di fondamentali studi sulle tematiche dell’odeporica, ha fondato presso l’Università degli Studi della Tuscia la cattedra di “Letteratura del viaggio” oltre ad essere stato Presidente del Centro Interuniversitario di Ricerca sul Viaggio (CIRIV) che ha egli stesso fondato. Membro ordinario dell’Istituto Nazionale di Studi Romani dove, tra l’altro, dirige la collana “Effetto Roma: il viaggio”, dell’Accademia dell’Arcadia, fa parte dell’Advisory Board degli “Annali d’Italianistica” presso l’Università della North Carolina e del Comitato scientifico di “Adriatico/Jadran. Rivista di cultura tra le due sponde”. Ha fondato e dirige con Marco Mancini e Pietro Trifone, la rivista “Carte di viaggio. Studi di lingua e letteratura italiana”. Nei molti anni che ho avuto l’onore di avere Vincenzo De Caprio collega di Facoltà, oltre che amico carissimo, ho sempre apprezzato in lui la costante e sollecita ricerca che oltrepassava i modi per rendere operativo e fecondo un impegno culturale. Un modo di essere docente che andava oltre gli stretti steccati della Letteratura italiana e che, nel promuovere il dialogo tra colleghi, sia di Facoltà sia del mondo accademico nazionale che internazionale, offrisse agli studenti tutti quegli strumenti indispensabili per osservare la realtà del mondo che li circonda da prospettive non ristrette. Soprattutto nella convinzione che per lui tutte le discipline (la Letteratura italiana, quella straniera, la Filosofia, la Storia, l’Antropologia ecc.), ancor prima che professionalizzare, hanno il compito di educare le giovani generazioni, soprattutto di aiutarle ad orientarsi nelle proprie scelte di vita e di cultura così da portare a compimento, attraverso gli studi universitari, il processo della propria crescita personale e sociale. 7 Nell’ambito specifico della ricerca su temi legati al viaggio e all’odeporica, Vincenzo De Caprio si è da sempre occupato del ruolo delle diverse tipologie delle scritture di viaggio, dei loro codici comunicativi soprattutto fra Sette e Ottocento, dei testi odeporici come strumenti di una mediazione intellettuale fra culture e lingue diverse. Per questo motivo, i colleghi del DISUCOM, Dipartimento al quale ha afferito dopo la riforma “Gelmini”, hanno voluto testimoniare la stima e l’affetto che hanno sempre avuto nella sua persona e, proprio per restare fedeli a quello che Enzo ha sempre sostenuto e sollecitato, il volume raccoglie nella diversità degli argomenti e soprattutto nella diversità del singolo approccio disciplinare, temi legati all’odeporica e alla storia del viaggio. Gaetano Platania 8 Il primo gesto di ogni vero viaggio ha qualcosa di lento. Nasconde sensazioni incomprensibili e contraddittorie. È qualcosa di inspiegabile: dietro il sorriso appare un indefinibile senso di solitudine. La partenza è un momento di fine e di inizio che richiede coraggio. Ne occorre tanto per sciogliere gli ormeggi e mollare la cima che ci tiene legati alla banchina. Quando una barca salpa le emozioni si mescolano l’una all’altra fino ad essere inseparabili. Partire è doloroso. Partire è straordinario. È malinconia ma è anche felicità pura. Siamo stati per un bel tratto di strada compagni di viaggio: Lei la guida. Il desiderio di imparare la nostra bussola. Ma i viaggi non finiscono. Sono per sempre. Chi parte resta. Chi rimane sa andare. Questo ci ha insegnato. Grazie Professore Cinzia Capitoni Stefano Pifferi 9 Daniela Giosuè John Capgrave e Margery Kempe a Roma Immagini della città a confronto Nella seconda metà del Trecento, in una cittadina del Norfolk affacciata sul Mare del Nord che allora si chiamava Lynn e oggi si chiama King’s Lynn, nacquero due importanti personalità del panorama letterario inglese che in anni recenti, anche se in diversa misura, sono state fortemente rivalutate e studiate. Se il frate agostiniano John Capgrave [1393-1464], autore di una preziosa guida di Roma intitolata Ye Solace of Pilgrimes1 e di altre opere di carattere esegetico, teologico, agiografico e storico in gran parte perdute2, è noto soltanto a pochi studiosi, assai più numerosa è la schiera di quanti si appassionano alla controversa figura dell’inquieta borghese Margery Kempe [c. 1373-c. 1440], autrice di una singolare 1 Per un’esaustiva bibliografia su John Capgrave e sul Solace of Pilgrimes, cfr. J. Capgrave, Ye Solace of Pilgrimes. Una guida di Roma per i pellegrini del Quattrocento, introduzione e traduzione integrale a cura di D. Giosuè, Roma 1995, pp. 7-28 (da ora in avanti: Solace). Cfr., inoltre, D. Giosuè, L’immagine di Roma tra mito e realtà. Il “Solace of Pilgrimes” di John Capgrave, in «Studi Romani», XL, 1992, pp. 12-22; Ead., Ye Solace of Pilgrimes di John Capgrave. Le meraviglie di Roma nella descrizione di un “turista” inglese del Quattrocento, in Viaggiando Viaggiando. Personaggi, paesaggi e storie di viaggio, a cura di F. De Caprio, Viterbo 2006, pp. 25-44; C. Nardella, La Roma dei visitatori colti: dalla mentalità umanistica di maestro Gregorio (XII-XIII sec.) a quella medioevale di John Capgrave (XV sec.), in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CXIX, 1996, pp. 49-64; P. J. Lucas, From Author to Audience: John Capgrave and Medieval Publication, Dublin 1997; J. Grossi Jr., John Capgrave’s “Smal Pypyng”: Marveling at Rome in Ye Solace of Pilgrimes, in «Medievalia et Humanistica», XXX, 2004, pp. 55-83; K. A. Winstead, John Capgrave’s Fifteenth Century, Philadelphia 2007. 2 Delle quarantatre opere attribuite a Capgrave dai primi biografi, solo dodici sono giunte fino a noi: sette sono tràdite da un unico manoscritto, quattro da due manoscritti e una da quattro manoscritti. Della maggior parte di esse si conoscono soltanto i titoli dati dai biografi in elenchi spesso imprecisi. Cfr. Solace, cit., pp. 8-11. Per l’elenco delle opere attribuite a Capgrave, ivi, pp. 26-28. 195 Daniela Giosuè autobiografia spirituale dal titolo The Book of Margery Kempe3. La storia di Margery Kempe, scritta in terza persona e da lei stessa dettata a più riprese a due diversi amanuensi durante gli ultimi anni della sua vita, tra il 1425 e il 1438, inizia non dalla nascita, ma dal suo matrimonio con John Kempe, avvenuto nel 1393, quando la protagonista aveva circa vent’anni. Vittima di una condizione che non la soddisfaceva, e del controllo umiliante che in quel tempo le autorità religiose esercitavano sulla vita dei fedeli, la creatura – è così che Margery viene chiamata nell’opera – mostrò assai presto di non sentirsi a proprio agio nel ruolo di moglie e di madre, nel quale restò tuttavia imprigionata fino all’età di quarant’anni. Il suo disagio, che oggi, ancor più che allora, verrebbe interpretato semplicemente come disagio mentale, si manifestò fin dalla gravidanza del primo dei suoi quattordici figli, quando Margery rischiò di soccombere sotto il peso di una terribile depressione, dalla quale si risollevò dopo aver ricevuto conforto da Gesù, che le apparve, bellissimo, in una visione. Quella prima visione segnò l’inizio di una lunga serie di esperienze mistiche sempre più profonde che, soprattutto nei casi in cui implicavano non stati di beatitudine, ma di sofferenza, avevano su di lei effetti tali da portarla a piangere in modo irrefrenabile, a levare urla strazianti e ad avere violente convulsioni. Già in seguito alle prime esperienze, Margery si sentì spinta a visitare molti luoghi sacri d’Inghilterra e ad incontrare le maggiori personalità religiose dell’epoca, tra cui la grande mistica Giuliana di Nor- 3 Cfr. M. Kempe, The Book of Margery Kempe, ed. by L. Staley, Kalamazoo 1996. Il presente studio è stato condotto sull’edizione digitale dell’opera citata, pubblicata sul sito http://www.lib.rochester.edu/camelot/teams/staley.htm. Nelle citazioni dal testo originale del Book of Margery Kempe che seguiranno, non è stato pertanto possibile indicare i numeri di pagina corrispondenti all’edizione a stampa, ma solo i capitoli e i numeri delle righe relativi ai passi citati. Per non appesantire le note, si è scelto di non citare neppure i più recenti tra i numerosi studi dedicati alla figura di Margery Kempe, analizzata soprattutto come mistica e femminista ante litteram. Per un interessante studio su Margery Kempe come viaggiatrice cfr. T. N. Bowers, Margery Kempe as Traveler, in «Studies in Philology», XCVII, 1, 2000, pp. 1-28. Per un’edizione italiana cfr. Il libro di Margery Kempe, trad. di M. Pareschi, Palermo 2003. Cfr., inoltre, il materiale presente sul sito http://college.holycross.edu/projects/kempe/index.html. 196 John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto wich4, per trovare sostegno contro quanti la consideravano solo una pazza o un’indemoniata, oppure un’ingannatrice e un’eretica. La salda educazione religiosa e la profonda conoscenza – eccezionale per una donna quasi sicuramente del tutto analfabeta – dei testi biblici e della letteratura devozionale e mistica allora in voga, le consentirono di difendersi dalle accuse mosse contro di lei dalle autorità religiose, che la vedevano come un pericolo per l’ordine costituito e per il loro stesso potere, e di provare più volte, salvandosi anche dal rogo, la sua perfetta ortodossia e la sua totale estraneità alle idee lollarde. Nella sua autobiografia Margery si limita a narrare i fatti e le esperienze utili ad illustrare in quale modo riuscì a mutare se stessa da comune peccatrice in creatura illuminata, completamente abbandonata alla volontà di Dio. I momenti più importanti della sua vita e del suo cammino spirituale sono frequentemente legati ai pellegrinaggi da lei compiuti, tra il 1413 e il 1434, sia nella sua terra natale che verso tutte le mete tradizionali: Gerusalemme, Assisi, Roma, Santiago di Compostella, Wilsnack e Aachen. Il pellegrinaggio a Roma, al quale è dedicata parte di questo studio, risale al periodo che va dal mese di agosto del 1414 alla primavera del 1415. John Capgrave nacque il 21 aprile 1393, nello stesso anno in cui, presumibilmente, inizia la storia di Margery Kempe. Di questo teologo e storico erudito, che raggiunse alte cariche nella gerarchia dell’ordine agostiniano e fu eletto più volte priore del convento di King’s Lynn, dove morì il 12 agosto 1464, non si sa molto. La sua biografia è stata ricostruita quasi esclusivamente sulla base delle scarse notizie da lui stesso fornite nelle poche opere giunte fino a noi5. Anche il suo viaggio a Roma e la stesura del Solace of Pilgrimes non hanno una datazione certa, ma alcuni riferimenti interni all’opera relativi a personaggi 4 Anche su Giuliana di Norwich (c. 1342-c. 1416) e sulla sua opera, intitolata Revelations of Divine Love, esistono molti studi e, per non appesantire le note, si è scelto di evitare di citare anche i più recenti. 5 Per la biografia di Capgrave cfr. Solace, cit., pp. 7-25 passim e, in particolare, p. 11, nota 11. 197 Daniela Giosuè noti6, e la lettera dedicatoria che accompagna una delle sue opere esegetiche7, permettono di collocarli tra il 1449 e il 1452. Il Solace of Pilgrimes presenta la struttura e i contenuti tipici delle guide medievali di Roma al loro ultimo stadio di elaborazione, delle quali l’autore, consapevole dell’impossibilità di fissare un’immagine precisa e oggettiva della città soltanto sulla base delle sue conoscenze e di ciò che riuscì a vedere, ha fatto un uso estremamente fedele e acritico. Nella prima parte, che dipende dai Mirabilia urbis Romae8 e dalla Graphia aureae urbis9, si trovano la storia delle origini di Roma dall’arrivo di Noè in Italia alla fondazione della città, la descrizione dei monumenti antichi e la narrazione delle leggende ad essi collegate, e un elenco degli uomini che governarono la città da Romolo a Federico II. La seconda e la terza parte dipendono dai martirològi e dai libri di indulgenze e reliquie; nella seconda parte vengono descritte le sette chiese e le stazioni quaresimali, nella terza altre chiese presso le quali non si faceva stazione durante la quaresima. Per conferire maggiore autorevolezza alla sua guida, Capgrave ha arricchito il testo con frequenti riferimenti ai classici, ai Padri della Chiesa, a numerosi autori medievali e alle Scritture10. Non mancano, inoltre, 6 Ivi, pp. 16-17. 7 Ivi, p. 17. 8 La prima redazione dei Mirabilia urbis Romae a noi pervenuta è compresa in un codice miscellaneo, il Liber politicus di Benedetto Canonico, nel quale sono raccolti atti amministrativi e giuridici della curia pontificia. Poiché Benedetto fu canonico di San Pietro prima della morte di Innocenzo II, è possibile datare la stesura dei Mirabilia ad un periodo non successivo al 1143. La tradizione manoscritta dei Mirabilia è estremamente ricca, e le ultime redazioni sono state datate al XVI secolo. Cfr. Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini e G. Zucchetti, III, Roma 1953, pp. 3-65 (Fonti per la storia d’Italia, 91). Per una vasta bibliografia sull’argomento cfr., inoltre, Solace, cit., p. 19, nota 44. 9 Il testo della Graphia aureae urbis, datato al XII secolo e tràdito da un manoscritto laurenziano del XIII secolo, riunisce tre testi indipendenti che contengono rispettivamente la storia delle origini di Roma, una redazione dei Mirabilia urbis Romae più tarda e leggermente variata rispetto a quella che è considerata la redazione più antica (vedi supra, nota 8) e il Libellus de cerimoniis aulae imperatoris, nel quale viene descritto il cerimoniale imperiale modellato su quello bizantino. Cfr. Codice topografico, cit., III, pp. 67-110. 10 Cfr. Solace, p. 24, nota 57. 198 John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto notizie e osservazioni che sembrano derivare da esperienze dirette, tra cui alcune informazioni di carattere topografico, dalle quali risulta evidente che l’abitato di Roma, durante il medioevo, si era ridotto alla sola zona compresa entro l’ansa del Tevere, mentre in tutto il resto dell’area compresa entro le mura aureliane, le rovine dei palazzi, delle terme e degli acquedotti si ergevano tra campi, pascoli e vigneti11: [La] chiesa di san Lorenzo in Damasco […] si trova nei pressi di Campo de’ Fiori […] nella zona più popolosa di Roma12. Vi è in Roma una chiesa che un tempo si chiamava Pantheon ed ora si chiama Santa Maria Rotonda o Santa Maria dei Martiri. […] Questa chiesa si trova nel cuore di Roma, dove abita molta gente13. [La] chiesa di Santa Susanna […] si trova nei pressi di quel luogo chiamato terme diocleciane, che significa bagni di Diocleziano. Questo imperatore costruì là un palazzo magnifico, del quale, ancora oggi, restano in piedi le mura, gli archi e numerose volte […] e la chiesa di Santa Susanna si trova sul lato occidentale dello stesso […] e dista dall’abitato su un lato mezzo miglio e sull’altro un miglio14. Sulla riva destra, il Borgo e Trastevere, nonostante lo sviluppo avuto nei secoli precedenti, risultavano ancora separati dal resto della città: La chiesa di San Pietro sorge ad ovest di Roma, ma non dentro Roma, perché qui esiste una città distinta da essa, dove, oltre a questa chiesa, si trovano il palazzo del papa, Castel Sant’Angelo e una strada con tre chiese e un ospedale. Questa città nelle cronache antiche viene chiamata Civitas Leonina15. Trastevere è una città sulla riva occidentale del Tevere dotata di 11 Il contrasto tra «abitato» e «disabitato» caratterizzò l’immagine di Roma dal V al XIX secolo. Cfr. R. Krautheimer, Roma, profilo di una città, 312-1308, Roma 1981, pp. 89 sgg., 357-359, 383-403. 12 Solace, II, XXXV, pp. 163, 164 passim. 13 Ivi, III, I, pp. 195, 196 passim. 14 Ivi, II, XXXII, p. 158 passim. 15 Ivi, II, I, p. 100. 199 Daniela Giosuè proprie mura, come la Civitas Leonina, […] e si chiama così perché tra questa città e Roma scorre il Tevere16. Nel prologo Capgrave informa i lettori che la guida era accompagnata da una mappa, purtroppo andata perduta. Trovare mappe della città unite a questo genere di opere è cosa estremamente rara, e quella di cui parla Capgrave non doveva essere molto dissimile dalle raffigurazioni della città contenute nei manoscritti medievali, nella maggior parte delle quali si vedono soltanto i monumenti della Roma pagana e della Roma cristiana in mezzo a un’area vuota circondata dalle mura. Palazzi, torri e campanili medievali, almeno fino al XV secolo, vennero riprodotti raramente, e la ragione della loro esclusione dall’immagine paradigmatica della città è dovuta al fatto che questi appartenevano al quotidiano e non avevano alcun valore simbolico, mentre le emergenze monumentali pagane e cristiane rappresentavano l’opposizione, e nello stesso tempo la continuità, tra il passato pagano e il presente cristiano e, quindi, il trasferimento dell’antica potenza di Roma alla Chiesa. La stessa immagine anatomizzata, che non tiene conto del tessuto urbano medievale, ricorre anche nei Mirabilia e nella Graphia, e viene puntualmente riproposta nel Solace of Pilgrimes17. Attraverso le osservazioni di natura topografica cui si è fatto cenno poc’anzi, e grazie alle frequenti considerazioni personali, Capgrave aggiunge tuttavia dettagli che, a volte, portano l’immagine della città che traspare dalla sua opera a discostarsi un poco dallo stereotipo tra16 Ivi, II, XXII, p. 144. 17 Sul tema dell’immagine di Roma nel medioevo, ivi, p. 18, nota 42. Cfr., in particolare, R. Krautheimer, Roma, cit.; S. Maddalo, In Figura Romae. Immagini di Roma nel libro medioevale, Roma 1990; G. Lombardi, La città, libro di pietra. Immagini umanistiche di Roma prima e dopo Costanza, in Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-1431), Roma 1992, pp. 17-46 (Nuovi studi storici. Istituto storico italiano per il medioevo); J. Summit, Topography as Historiography: Petrarch, Chaucer, and the Making of Medieval Rome, in «Journal of Medieval and Early Modern Studies», XXX, II, 2000, pp. 211-246. Sul tema della trasformazione delle emergenze monumentali pagane e cristiane in simboli etico-politici e religiosi, e sull’uso dell’antico per il recupero del passato a fini politici cfr. Solace, p. 19, nota 44; in particolare, per un quadro della situazione politica e culturale romana nel periodo in esame, oltre a Solace, p. 20, nota 44, cfr. V. De Caprio, Roma, in Storia della letteratura italiana. Storia e geografia. II. L’età moderna, Torino 1983, pp. 328-472. 200 John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto mandato dall’iconografia e dai testi tradizionali. Alcuni brevi passi del capitolo dedicato alle porte, alle mura e alle torri possono bastare a rendere l’idea: Dovete sapere che oggi le mura sono, come è naturale, un poco deteriorate dal tempo, ma per la maggior parte sono ancora alte e forti come le torri delle città dell’Inghilterra. […] Per quanto riguarda le torri, gli scrittori antichi dicono che ve ne sono trecentosessantuno, ed è probabile che questo sia vero, perché stanno tutte vicine tra loro18. La stretta relazione, sia ideale che materiale, tra antico e nuovo, tra passato pagano e presente cristiano, emerge specialmente nella prima parte della guida, nella quale notevole spazio è dedicato, oltre che alla descrizione dei monumenti pagani e alla storia della conversione di molti di essi all’uso cristiano, anche alla narrazione delle leggende su di essi elaborate dalla fantasia popolare per cercare di spiegare cosa fossero e quale fosse stata la loro funzione originaria. Tali leggende contribuirono ad alimentare il mito della potenza di Roma – senza dubbio l’aspetto più misterioso e inconcepibile di un passato ormai in gran parte sconosciuto – che nel medioevo poté essere spiegata unicamente facendola dipendere non dalla volontà umana, ma da un congegno magico, la Salvatio Romae o Consecratio statuarum. Costruito dal poeta Virgilio, anch’egli trasformato dalla fantasia medievale in un sapiente mago19, secondo la versione più diffusa della leggenda il meccanismo della Salvatio si trovava nel palazzo del Campidoglio, ma in diversi casi viene collocato nel Pantheon, nel Colosseo, nel Tempio della Pace o in altri templi immaginari. Nel capitolo dedicato al Campidoglio, Capgrave scrive: All’interno di questa fortezza era un tempio, del quale dicono che fosse tanto prezioso da valere la terza parte del mondo per l’oro, l’argento, le perle e le pietre preziose che conteneva. Qui Virgilio costruì 18 Solace, I, II, p. 41. 19 Sulle leggende cfr. Solace, cit., p. 19, nota 44 e, in particolare, D. Comparetti, Virgilio nel medioevo, II, Pisa 1872, pp. 22 sgg.; A. Graf, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del medioevo, Torino 1882, pp. 182 sgg.; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel medioevo, II, Torino 1973, pp. 1116 sgg; N. Cilento, Sulla tradizione della «Salvatio Romae»: la magica tutela della città medioevale, in Roma, anno 1300, a cura di A. M. Romanini, Roma 1983, pp. 695-703. 201 Daniela Giosuè un congegno meraviglioso: per ogni regione del mondo vi era un simulacro di legno con un campanello in mano, e ogni volta che una regione minacciava di ribellarsi contro la suprema maestà di Roma, il simulacro ad essa associato faceva subito suonare il suo campanello. Al centro dell’edificio, in alto, era inoltre un cavaliere di bronzo su un cavallo dello stesso metallo che, appena un campanello suonava, puntava la lancia verso la parte del mondo dove abitava il popolo che si voleva ribellare. I sacerdoti che, a gruppi, erano incaricati di attendere alla sorveglianza di questo meccanismo, davano l’allarme, e subito tutti i cavalieri di Roma con le loro legioni si preparavano per andare a sedare la rivolta. Alcuni autori dicono che il campanello era appeso al collo delle statue, e appena un popolo si ribellava, il simulacro che lo rappresentava volgeva le spalle alla grande statua di Giove che stava al centro. I Romani chiesero a Virgilio per quanto tempo quest’opera sarebbe durata, ed egli rispose finché una vergine non avesse partorito. Essi, allora, conclusero che sarebbe durata per sempre, ma dicono che quando Cristo nacque tutto questo crollò, e crollarono anche molte altre cose nella città, per dimostrare che era venuto il Re dei re20. Il ricordo del passato venne reso ancora più confuso dall’azione esorcizzatrice della Chiesa, che per annullare l’attrazione e la suggestione che i monumenti e i misteri che li riguardavano esercitavano sulla fantasia dei romani e dei pellegrini, e così affermare il proprio controllo sulle loro menti, distrusse gli idoli, convertì i templi in chiese, trasformò le statue degli dèi e degli imperatori in simulacri di santi, e mise in circolazione altre leggende che potessero smentire quelle già esistenti. Uno dei casi più rilevanti di perdita della memoria storica, e di successiva manipolazione delle leggende da parte delle autorità ecclesiastiche, è quello del Colosseo, per il quale, nel medioevo, era divenuto necessario spiegare non solo cosa fosse, ma anche perché avesse quel nome: Dicono che il Colosseo era un tempio molto alto e grande, intitolato e consacrato al sole e alla luna, nel quale si trovavano molte opere meravigliose. Il tetto era ricoperto di lastre di metallo dorato, dipinte sì da sembrare un cielo stellato nel quale, con arte sottile, venivano simulati tuoni, fulmini, pioggia e altre tempeste, come vengono giù dal firmamento. Vi erano rappresentati anche i segni zodiacali, ed era indicato 20 Solace, cit., I, XI, pp. 60-61. 202 John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto con precisione il tempo dell’anno in cui il sole li attraversa. […] Tutti i segni erano raffigurati in modo meraviglioso, nei movimenti e in molti altri particolari. […] Al centro dell’edificio era il grande dio Febo,[…] con i piedi toccava la terra e con la mano destra il cielo, mentre nella mano sinistra teneva una sfera, per indicare che aveva tutto il mondo in suo potere. […] Ora vi racconterò perché questa bella opera fu distrutta. Dopo che ebbe battezzato il grande Costantino, san Silvestro venne fatto signore e imperatore di tutta questa parte del mondo. Costantino andò a Costantinopoli, e là fissò la sua dimora, così che né lui né alcuno dei suoi potesse usurpare il grande potere e i grandi possedimenti che aveva dato alla Chiesa. La Chiesa, dunque, era libera, e molti cristiani venivano in pellegrinaggio a Roma, ma quando vedevano questo gaio edificio e il movimento dei pianeti che ho descritto, abbandonavano le pratiche religiose e si fermavano a guardare queste vanità, che erano una cosa mai vista. Per questo, san Silvestro fece distruggere l’idolo e lo destinò ad un uso migliore. […] Dicono che il giorno in cui l’opera doveva essere distrutta san Silvestro venne qui in processione e la statua, dall’alto della sua mole, per il potere che il demonio aveva là dentro, parlò a Silvestro e disse: «Colis eum!», che in inglese significa: «Rendigli onore!». Il demonio disse queste parole per tenere sotto il suo dominio il popolo, pronto a distruggere l’idolo, così che, per timore, lasciasse andare la sua statua. San Silvestro, allora, con grande audacia, trasformò il significato della frase e disse all’idolo: «Colis Deum!», che significa: «Onora Dio!». Si racconta che essi, da allora, gridassero spesso così, uno «Colis eum» e l’altro «Colis Deum», e da questo dialogo, dopo qualche tempo, prese origine il nome del luogo, che fu chiamato Colosseo. Non posso dire con sicurezza se questa sia la verità, ma a proposito di ciò ho letto che Silvestro distrusse la statua, e per dimostrare che un tempo era esistita, pose la grande testa e la mano sinistra nella quale teneva la sfera in Laterano, e queste si trovano ancora là21. Da vari passaggi in cui difende l’azione della Chiesa, appare chiaro che l’agostiniano non trovava nulla di deplorevole nel fatto che la città pagana fosse stata, e continuasse ad essere distrutta, per costruire la città cristiana. Come la trasformazione dei templi in chiese, anche la distruzione degli edifici antichi per costruirne di nuovi significava semplicemente destinarli ad un uso migliore, convertire al servizio di Dio ciò che era stato costruito in onore del demonio, secondo quanto previsto nel piano divino. Per questo, l’inevitabile stupore di Capgrave di fronte 21 Ivi, I, XIV, pp. 68-69. 203 Daniela Giosuè alla bellezza e alla magnificenza delle rovine dei monumenti pagani, la nota di tristezza che accompagna le sue osservazioni relative alla distruzione di opere del passato e allo stato di abbandono di alcuni luoghi di culto, la notevole attenzione che egli mostra di avere per le epigrafi, non possono essere interpretati quali segni di interesse umanistico22. Mentre la prima parte della guida è dominata dal meraviglioso pagano, nella seconda e nella terza domina il meraviglioso cristiano. Alle dettagliatissime descrizioni delle chiese, e ai lunghi elenchi delle reliquie in esse contenute e delle indulgenze che visitandole era possibile lucrare, si aggiungono suggestive e realistiche narrazioni delle storie dei santi e dei martiri ai quali le chiese erano dedicate e dei miracoli in esse avvenuti, molti dei quali operati non dai santi, ma da reliquie o immagini. Tra le tante immagini miracolose della Madonna di cui parla Capgrave, la più dolce è senza dubbio quella della chiesa di Santa Maria della Consolazione, che non parla né sanguina, ma versa latte dal seno: Vicino al Campidoglio è un’altra piccola chiesa intitolata alla Madonna, che chiamano Santa Maria della Consolazione. Si dice che in questa chiesa san Bernardo fosse solito recitare le devozioni dell’ufficio divino e quelle volontarie, e anche che attendesse di poter restare solo per inginocchiarsi davanti all’immagine della Madonna, contemplarla, e fare le sue meditazioni solitarie con grande devozione. Dopo che ebbe continuato a lungo in questa nobile pratica, un giorno s’inginocchiò davanti all’immagine, la guardò e recitò l’inno intitolato Ave maris stella, e quando arrivò al verso che dice: «Monstra te esse matrem», all’improvviso, per un grande miracolo, l’immagine si portò la mano al seno, lo premette e spruzzò due o tre gocce di latte sul volto di Bernardo23. Una considerevole forza evocativa emana anche dalle storie relative a ritrovamenti, trasferimenti, scambi e furti di reliquie, come dimostra la storia del ritrovamento della santa croce, narrata nel secondo dei tre capitoli dedicati alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. Il ritrovamento avvenne per volontà di sant’Elena, madre dell’imperato22 Sul tema delle rovine cfr. V. De Caprio, Sub tanta diruta mole: il fascino delle rovine nella Roma del Quattro e Cinquecento, in Poesia e poetica delle rovine di Roma, momenti e problemi, a cura di V. De Caprio, Roma 1987, pp. 21-53. 23 Solace, cit., III, XII, pp. 208-209. 204 John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto re Costantino, che costrinse un discendente di santo Stefano, di nome Giuda, a rivelarle dove era nascosta la croce minacciandolo di farlo morire di fame in fondo a un pozzo: In seguito Giuda chiese pietà e promise alla regina che le avrebbe detto dove si trovava la croce. Dopo averla condotta nel luogo, si mise in ginocchio e pregò Dio nostro Signore affinché gliela facesse trovare, e appena smise di pregare, la terra tremò e dalle crepe uscì un vapore che aveva un profumo più dolce di qualunque spezia. Giuda, allora, levò in alto le mani per la gioia e gridò a gran voce: «Ora sono sicuro che tu, Cristo, sei il salvatore del mondo!». Poi si misero a scavare e alla profondità di venti passi trovarono tre croci e le portarono in città. Quello stesso giorno, verso mezzodì, portarono un morto su una bara. Giuda prese una croce e la pose sull’uomo, ma quello non si alzò; prese allora la seconda, e l’uomo rimase immobile, ma quando prese la terza, l’uomo risuscitò. In questo modo seppero con sicurezza quale era la croce che Cristo aveva consacrato col suo sangue24. Se si escludono i rari accenni a personaggi viventi o scomparsi di recente25, e gli sporadici passi in cui l’autore lascia presumere di aver incontrato grandi folle26, non si può fare a meno di notare che la Roma descritta da Capgrave è popolata da una moltitudine di uomini e donne del passato. Al pari di quanto avviene per gli edifici medievali, neanche gli abitanti entrano dunque a far parte dell’immagine della città trasmessa dalla guida, mentre i personaggi del passato mitico e del passato storico e, protagonista e testimone di tutti gli avvenimenti narrati, il popolo di Roma, continuano ad esistere nel presente sempre vivo della narrazione. A differenza del Solace of Pilgrimes, e pur rientrando a pieno titolo nel genere della letteratura di viaggio, il Book of Margery Kempe non contiene alcuna descrizione dei luoghi visitati dall’autrice, ma è tutto concentrato sulle sue azioni, e su ciò che avviene dentro di lei, intorno a lei, e nelle sue relazioni con gli altri. Al di là delle inevitabili somiglianze dovute al profondo sentimento religioso che anima i due autori, e alla comune ambientazione, la 24 Ivi, II, XXXIII, p. 161. 25 Ivi, pp. 16-17. 26 Ivi, III, VIII, pp. 204-205. 205 Daniela Giosuè guida di Capgrave e i capitoli dedicati al pellegrinaggio romano di Margery Kempe – nei quali, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non si trova traccia neppure delle storie dei martiri e dei santi e degli elenchi di reliquie e indulgenze – mostrano pertanto solo poche, ma interessanti analogie. L’abbandono con cui Margery vive il suo rapporto con la divinità, e le descrizioni di visioni e stati fisici e mentali come quelli di cui si parla, ad esempio, nello splendido capitolo dedicato al racconto dell’esperienza del matrimonio mistico da lei vissuta nella chiesa dei Santi Apostoli27, contribuiscono a creare un’atmosfera che ricorda quella che si respira in diverse pagine della seconda e della terza parte del Solace of Pilgrimes, dominate, come si è detto, dal meraviglioso cristiano. L’affinità più forte risiede decisamente nel fatto che sia nella Roma di Capgrave che in quella di Margery Kempe sono in azione moltissimi personaggi. La presenza della gente, in particolare delle donne, si avverte soprattutto nei passi in cui vengono descritti i comportamenti di Margery durante le celebrazioni religiose. Al momento dell’eucaristia, accadeva spesso che gli astanti assistessero sgomenti alle crisi di Margery, che «piangeva amaramente, era scossa da violenti singulti e levava grida alte e orribili»28. Molte donne, che la vedevano soffrire in modo tanto atroce, avendo compassione per il suo dolore, e provando grande meraviglia per il suo piangere e urlare, la amavano ancora di più, e desiderando darle conforto dopo il suo travaglio spirituale, a segni e a gesti, poiché lei non comprendeva ciò che esse dicevano, la pregavano, quasi la costringevano ad entrare nelle loro case, e non volevano più lasciarla andare29. Non era soltanto durante le funzioni religiose che Margery suscitava stupore tra la gente; non di rado la si vedeva «piangere e singhiozzare amaramente»30 per le vie di Roma, e questo accadeva ogni volta che incontrava un bell’uomo, poiché vedere uomini avvenenti la 27 Cfr. M. Kempe, Book, cit., 35, 2001-2083 passim. 28 Ivi, 33, 1930. I testi delle citazioni, a partire dalla presente, sono stati tradotti da chi scrive. 29 Ivi, 41, 2317-2321. 30 Ivi, 35, 2017. 206 John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto induceva a pensare all’umanità di Cristo, di cui era innamorata31. Per lo stesso motivo, quando in Roma vedeva donne con i figli in braccio, se si rendeva conto che erano maschi, si metteva a gridare, a urlare e a piangere, come se avesse visto Gesù bambino, e se avesse potuto fare ciò che voleva, li avrebbe molte volte strappati dalle braccia delle madri, e li avrebbe baciati come se al loro posto vi fosse stato Cristo32. I brani che saranno citati più avanti, e una serie di brevi passaggi nei quali si afferma che «Dio concesse [a Margery] la grazia di essere molto amata in Roma, sia dagli uomini che dalle donne, e di godere di grande favore tra il popolo33»; che molte persone virtuose «la invitavano spesso a mangiare, dandole grande conforto e pregandola di pregare per loro»34 e, infine, che «dopo il suo arrivo [sparse] molti buoni semi in Roma […], dando il buon esempio alla gente, che per questo [amò] Dio più di prima»35, mettono in rilievo che Margery intrattenne ottimi rapporti con persone di ogni condizione. Al suo arrivo in città, ella trovò asilo presso l’ospedale di San Tommaso di Canterbury, dal quale fu scacciata quasi subito in seguito ad uno dei tanti interventi malevoli che i suoi compagni di viaggio e, tra questi, in particolare un sacerdote, continuarono a mettere in atto contro di lei nonostante l’avessero definitivamente abbandonata dopo il rientro a Venezia dalla Terra Santa. La buona reputazione che Margery riuscì a costruirsi, fece comunque sì che, nell’ultimo periodo della sua permanenza a Roma, venisse di nuovo accolta nell’ospedale. Prima di essere richiamata dai frati di San Tommaso, Margery visse quasi sempre mendicando, ed ebbe modo di rendersi conto della immane povertà che affliggeva il popolo. Un giorno, una povera donna, vedendola passare, la invitò ad entrare nella sua casa, e la fece sedere accanto al piccolo focolare, offrendole da bere del vino in una tazza di pietra. E aveva un bambino piccolo 31 Ivi, 35, 2008-2009. 32 Ivi, 35, 2011-2015. 33 Ivi, 39,2209-2210 34 Ivi, 33, 1959-1960. 35 Ivi, 41, 2324-2325. 207 Daniela Giosuè che prendeva ancora il latte, che un po’ succhiava al seno della madre, e un po’ correva dalla creatura, mentre la madre restava seduta, piena di dolore e tristezza. La creatura, allora, scoppiò a piangere, come se avesse visto nostra Signora e suo figlio nel momento della passione, ed ebbe così tanti pensieri santi che non sarebbe mai riuscita a dirne neppure la metà. Così, restò seduta, e pianse copiosamente tanto a lungo, che la povera donna, provando compassione per il suo pianto, e non sapendo perché piangesse, la pregò di smettere. Allora Gesù Cristo nostro signore disse alla creatura: «Questo luogo è santo». E lei si alzò e andò per le vie di Roma, e vide molta povertà tra il popolo, e ringraziò altamente Dio per la povertà in cui si trovava, confidando così di poterne condividere il merito36. Pur trovandosi in gravi difficoltà, Margery donò più volte tutto quello che aveva, frutto di prestiti o di provvidenziali elargizioni, e il momento in cui maggiormente si avvicinò alla piena condivisione della povertà fu quando il suo confessore, per penitenza, le ordinò di servire una vecchia donna, una povera creatura di Roma. E lei lo fece per sei settimane, e la servì come avrebbe servito nostra Signora. E non aveva un letto su cui distendersi, né panni per coprirsi, tranne il mantello, e si riempì di pidocchi che le causarono una grande sofferenza. E poi, portava a casa per la povera donna acqua e legna sulle spalle, e per lei mendicava cibo e vino, e quando il vino inacidiva, la creatura beveva il vino acido e dava alla povera donna il vino buono che aveva comprato per sé37. Tra le numerose figure che animano la Roma di Margery Kempe, meritano di essere ricordati, tra i religiosi, il superiore e i fratelli dell’ospedale di San Tommaso di Canterbury38, e uno dei più alti dignitari ecclesiastici della città, Wenslawe, prete tedesco della basilica di San Giovanni in Laterano. Con Wenslawe, che divenne il suo confessore e la protesse trattandola come madre e sorella, Margery riuscì a comunicare grazie all’intervento divino, benché lei parlasse solo inglese e lui, oltre che latino, solo tedesco39. 36 Ivi, 39, 2195-2206. 37 Ivi, 34, 1992-1999. 38 Ivi, 31, 1857-1858; 39, 2210-2214. 39 Ivi, 33, 1904-1928 passim, 1933-1960 passim; 34, 1966-1984 passim; 37, 2136-2140 passim. 208 John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto Anche molti laici aiutarono Margery durante il suo soggiorno romano, e tra questi si distingue l’affascinante figura di una gentildonna di nome Margarita Florentina, che Margery conobbe ad Assisi, e che le permise di viaggiare al sicuro con lei e il suo seguito fino a Roma40. Incontrando di nuovo Margery nella città, e rendendosi immediatamente conto della difficile situazione in cui si trovava, la dama le chiese: «Margerya in poverté?»41; e Margery rispose: «Ya, graunt poverté, Madam»42. Così, sebbene potessero comunicare «solamente a segni o gesti, o con poche semplici parole»43, la signora la invitò a mangiare con lei ogni domenica, e la faceva sedere alla sua tavola, assegnandole un posto più importante del suo e servendole il cibo con le sue stesse mani. E la creatura sedeva e piangeva forte, ringraziando nostro Signore perché, per il suo amore, coloro che non comprendevano la sua lingua le davano tanto conforto e la trattavano con riguardo. Dopo aver mangiato, la buona signora le portava un cesto con altre provviste per fare la minestra, quante ne bastavano per mangiare due giorni, le riempiva la bottiglia di buon vino, e a volte le dava anche otto bolendini44. Margery nomina molte altre persone, tra cui un uomo che si chiamava Marcello, [che] la invitò a mangiare per due giorni a settimana. Sua moglie era incinta, e avrebbe molto desiderato che [Margery] facesse da madrina al loro bambino […], ma lei non restò a Roma tanto a lungo. Vi fu anche una pia giovane che le diede da mangiare il mercoledì. Gli altri giorni, quando non c’era nessuno che provvedesse a lei, mendicava il cibo di porta in porta45. Una grande nobildonna pregò Margery di fare da madrina alla figlia, alla quale diede nome Brigida in onore di santa Brigida di Svezia, 40 Ivi, 31, 1845-1849 passim. 41 Ivi, 38, 2181. 42 Ivi, 38, 2182. 43 Ivi, 38, 2180.. 44 Ivi, 38, 2182-2189. 45 Ivi, 38, 2189-2194. 209 Daniela Giosuè che lei e suo marito avevano conosciuta mentre si trovava a Roma46. Margery, che alla santa era molto devota, e alla cui figura chiaramente si ispirò, accettò la loro richiesta di buon grado. Con l’aiuto di un interprete, Margery parlò anche con la donna che era stata la serva di santa Brigida e con un uomo che l’aveva conosciuta, e visitò la camera dove era morta47. I brani portati ad esempio ben si prestano a porre in evidenza come l’elemento di corrispondenza più significativo tra il Book of Margery Kempe e il Solace of Pilgrimes risulti essere, nel contempo, anche un chiaro tratto di distinzione. Il Book of Margery Kempe contiene, infatti, proprio ciò di cui nell’opera di Capgrave si sente di più la mancanza: la presenza delle persone appartenenti al presente dell’autore. Queste due splendide opere quasi coeve, che affondano le proprie radici nella temperie culturale e religiosa dell’Inghilterra tardomedievale, sono dunque unite da una forte complementarietà: accostando, o, meglio, sovrapponendo le immagini della città, entrambe parziali e tra loro tanto diverse, che esse trasmettono, si può ottenere un’immagine della Roma quattrocentesca più viva e, per questo, più vicina al reale. 46 Ivi, 39, 2206-2209 passim. 47 Ivi, 39, 2223-2236 passim. Per un interessante studio sulla figura di santa Brigida [1303-1373] – dedicato in particolare alla figura della figlia Caterina (c. 1331-1381) – sul periodo della sua presenza a Roma e sui pericoli che le donne in pellegrinaggio dovevano affrontare, cfr. F. De Caprio, Caterina di Svezia a Roma: agiografia e pellegrinaggio, in Donne Sante Sante Donne, Viterbo 2007, pp. 103-120. 210