libri di viaggio, libri in viaggio

Transcript

libri di viaggio, libri in viaggio
Daniela Giosuè
John Capgrave e Margery Kempe a
Roma
Immagini della città a confronto
estratti da
libri di viaggio,
libri in viaggio
Studi in Onore di
Vincenzo de Caprio
3
A cura di Stefano Pifferi e Cinzia Capitoni
SETTE CITTÀ
CIRIV
testi e studi
-8-
Collana diretta da Vincenzo De Caprio
Comitato Scientifico
Antonello Biagini, Università di Roma “La Sapienza”
Dino S. Cervigni, Università della North Carolina at Chapell Hill
Luigi de Anna, Università di Turku
Marilena Giammarco, Università di Chieti-Pescara
Danuta Quirini-Popławska, Università “Jagellonica”, Cracovia
Giovanna Scianatico, Università di Bari
Ljerka Šimunkovič, Università di Spalato
Daniel Tollet, Università di Paris IV-Sorbonne
Brigitte Urbani, Università di Aix en Provence
Proprietà letteraria riservata.
La riproduzione in qualsiasi forma,
memorizzazione o trascrizione con qualunque
mezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia,
in disco o in altro modo, compresi cinema,
radio, televisione, internet) sono vietate senza
l’autorizzazione scritta dell’Editore.
©2011 Sette Città
Via Mazzini, 87 • 01100 Viterbo
Tel 0761 304967 Fax 0761 1760202
www.settecitta.eu • [email protected]
isbn: 978-88-7853-275-6
Immagine di copertina:
Malle-Bibliothéque Ernest Hemingway, 1923,
tratta da Louis Vuitton: 100 Legendary Trunks.
Pierre Léonforte, Éric Pujalet-Plaà (a cura di)
Finito di stampare nel mese di marzo 2012 dalla
Tipolitografia Quatrini A. & F. - Viterbo
Caratteristiche
Questo volume è composto in Jenson Pro
disegnato da Robert Slimbach e prodotto in
formato digitale dalla Adobe System nel 1989; è
stampato su carta ecologica Serica delle cartiere
di Germagnano; le segnature sono piegate a
sedicesimo (formato 13,5 x 21) con legatura
in brossura e cucitura filo refe; la copertina è
stampata su carta patinata opaca da 250 g/mq
delle cartiere Burgo e plastificata con finitura
lucida.
La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire
tutti i diritti relativi al corredo iconografico della
presente opera, rimane a disposizione di quanti
avessero comunque a vantare ragioni in proposito.
Indice
p.
7
Premessa
11
Maria Cristina Baleani
Un diario di viaggio eclettico
I doveri ecclesiastici e gli sguardi curiosi di Jean-Baptiste Labat
27
Cristina Benicchi
I viaggiatori senza Baedeker di E.M. Forster, Rubén
Darío e Miguel de Unamuno e la crisi della cultura
visuale del primo Novecento
47
Nadia Boccara
Viaggio a Bordeaux per ritrovare Montaigne
55
Alessandro Boccolini
Gli “incontri” nei Viaggi di Marianna Candidi Dionigi
65
Raffaele Caldarelli
M. Zikmund e J. Hanzelka
Storie di viaggi, di libri e di vita
83
Cinzia Capitoni
Oriente, occidente e scienza
Dimensioni a confronto nel Giornale egiziano di Giambattista Brocchi
99
Antonio Ciaschi
L’immagine della montagna nella storia del viaggio in
età moderna
119
Rita Corsi
Il conte Camille de Tournon (1778-1833) prefetto di Roma
in viaggio per la Tuscia
133
Anabela Galhardo Couto
Da Penelope alla neo-Penelope
Viaggiando con Ana Hatherly attorno al femminile
143
Francesca De Caprio
una principessa italo-francese in viaggio verso il regno dei sarmati europei
159
Ornella Discacciati
Al capolinea
L’illusione del movimento sui tram sovietici
171
Ela Filippone
Hājj Sayyāh
Un iraniano anticlericale nel Lazio dei Papi
195
Daniela Giosuè
John Capgrave e Margery Kempe a Roma
Immagini della città a confronto
211
Filippo Grazzini
Scrittori italiani classici in viaggio con libri
Alcuni casi in Petrarca, Machiavelli, Alfieri
p.
235
Anna Lo Giudice
Un viaggiatore singolare: Paul Valery
251
Serena Marrocco
Alla ricerca del centesimo nome: Il periplo di Baldassarre Embriaco
263
Luigi Martellini
Matilde Serao nel paese di Gesù ovvero, Ricordi di un
viaggio in Palestina
283
Sonia Maria Melchiorre
Ritorno nella “Perfida Albione”: Storie di migranti in
due romanzi contemporanei in lingua inglese
293
Federico Meschini
Avirel, un archivio digitale per l’Odeporica
305
Francesca Petrocchi
Alberto Moravia a Dublino con “UlYsses”
331
Gaetano Platania
Un diario di viaggio pronto per la stampa
Il veneziano Cavanis alla volta di Varsavia
361
Stefano Pifferi
Libri di viaggio, libri in viaggio Verso nuovi, virtuali
orizzonti
381
Sandra Puccini
L’esplorazione e la scrittura
A proposito dell’incontro tra Piaggia e De Amicis
395
Antonello Ricci
Colori di città, luce di paesaggi: I viaggiatori dell’immaginario a Viterbo e in Maremma laziale
411
Simona Rinaldi
Arte in viaggio nei taccuini dei Grandtourists
431
Cristina Rosa
Libri proibiti in viaggio per l’Europa: la biblioteca della Marchesa de Alorna
439
Mariagrazia Russo
Manoscritti di interesse portoghese nella biblioteca
di Cristina di Svezia
459
Matteo Sanfilippo
Viaggiatori, giornalisti, cinematografari contro gli
italiani (prima metà del XX secolo)
481
Beata Dagmara Wienska
Le Lettere di Odyniec come testimonianza sul soggiorno di Mickiewicz a Roma
487
Bibliografia degli scritti di Vincenzo De Caprio
PREMESSA
Studioso di fama internazionale, esperto di Letteratura Italiana del Quattrocento/Cinquecento e dell’Ottocento, Vincenzo De
Caprio è conosciuto anche oltre i confini nazionali per i suoi importanti contribuiti dedicati alla Letteratura di Viaggio. Autore di
fondamentali studi sulle tematiche dell’odeporica, ha fondato presso
l’Università degli Studi della Tuscia la cattedra di “Letteratura del
viaggio” oltre ad essere stato Presidente del Centro Interuniversitario di Ricerca sul Viaggio (CIRIV) che ha egli stesso fondato.
Membro ordinario dell’Istituto Nazionale di Studi Romani
dove, tra l’altro, dirige la collana “Effetto Roma: il viaggio”, dell’Accademia dell’Arcadia, fa parte dell’Advisory Board degli “Annali
d’Italianistica” presso l’Università della North Carolina e del Comitato scientifico di “Adriatico/Jadran. Rivista di cultura tra le due
sponde”. Ha fondato e dirige con Marco Mancini e Pietro Trifone, la
rivista “Carte di viaggio. Studi di lingua e letteratura italiana”.
Nei molti anni che ho avuto l’onore di avere Vincenzo De Caprio
collega di Facoltà, oltre che amico carissimo, ho sempre apprezzato
in lui la costante e sollecita ricerca che oltrepassava i modi per rendere operativo e fecondo un impegno culturale. Un modo di essere
docente che andava oltre gli stretti steccati della Letteratura italiana
e che, nel promuovere il dialogo tra colleghi, sia di Facoltà sia del
mondo accademico nazionale che internazionale, offrisse agli studenti tutti quegli strumenti indispensabili per osservare la realtà del
mondo che li circonda da prospettive non ristrette. Soprattutto nella
convinzione che per lui tutte le discipline (la Letteratura italiana,
quella straniera, la Filosofia, la Storia, l’Antropologia ecc.), ancor
prima che professionalizzare, hanno il compito di educare le giovani
generazioni, soprattutto di aiutarle ad orientarsi nelle proprie scelte
di vita e di cultura così da portare a compimento, attraverso gli studi
universitari, il processo della propria crescita personale e sociale.
7
Nell’ambito specifico della ricerca su temi legati al viaggio e all’odeporica, Vincenzo De Caprio si è da sempre occupato del ruolo
delle diverse tipologie delle scritture di viaggio, dei loro codici comunicativi soprattutto fra Sette e Ottocento, dei testi odeporici
come strumenti di una mediazione intellettuale fra culture e lingue
diverse.
Per questo motivo, i colleghi del DISUCOM, Dipartimento al
quale ha afferito dopo la riforma “Gelmini”, hanno voluto testimoniare la stima e l’affetto che hanno sempre avuto nella sua persona
e, proprio per restare fedeli a quello che Enzo ha sempre sostenuto e sollecitato, il volume raccoglie nella diversità degli argomenti e
soprattutto nella diversità del singolo approccio disciplinare, temi
legati all’odeporica e alla storia del viaggio.
Gaetano Platania
8
Il primo gesto di ogni vero viaggio ha qualcosa di lento. Nasconde
sensazioni incomprensibili e contraddittorie. È qualcosa di inspiegabile: dietro il sorriso appare un indefinibile senso di solitudine.
La partenza è un momento di fine e di inizio che richiede coraggio.
Ne occorre tanto per sciogliere gli ormeggi e mollare la cima che
ci tiene legati alla banchina. Quando una barca salpa le emozioni si
mescolano l’una all’altra fino ad essere inseparabili.
Partire è doloroso. Partire è straordinario. È malinconia ma è
anche felicità pura. Siamo stati per un bel tratto di strada compagni
di viaggio: Lei la guida. Il desiderio di imparare la nostra bussola.
Ma i viaggi non finiscono. Sono per sempre.
Chi parte resta. Chi rimane sa andare.
Questo ci ha insegnato.
Grazie Professore
Cinzia Capitoni
Stefano Pifferi
9
Daniela Giosuè
John Capgrave e Margery Kempe a Roma
Immagini della città a confronto
Nella seconda metà del Trecento, in una cittadina del Norfolk affacciata sul Mare del Nord che allora si chiamava Lynn e oggi si chiama King’s Lynn, nacquero due importanti personalità del panorama
letterario inglese che in anni recenti, anche se in diversa misura, sono
state fortemente rivalutate e studiate.
Se il frate agostiniano John Capgrave [1393-1464], autore di una
preziosa guida di Roma intitolata Ye Solace of Pilgrimes1 e di altre opere di carattere esegetico, teologico, agiografico e storico in gran parte perdute2, è noto soltanto a pochi studiosi, assai più numerosa è la
schiera di quanti si appassionano alla controversa figura dell’inquieta
borghese Margery Kempe [c. 1373-c. 1440], autrice di una singolare
1
Per un’esaustiva bibliografia su John Capgrave e sul Solace of Pilgrimes, cfr. J.
Capgrave, Ye Solace of Pilgrimes. Una guida di Roma per i pellegrini del Quattrocento, introduzione e traduzione integrale a cura di D. Giosuè, Roma 1995, pp.
7-28 (da ora in avanti: Solace). Cfr., inoltre, D. Giosuè, L’immagine di Roma tra
mito e realtà. Il “Solace of Pilgrimes” di John Capgrave, in «Studi Romani», XL,
1992, pp. 12-22; Ead., Ye Solace of Pilgrimes di John Capgrave. Le meraviglie di
Roma nella descrizione di un “turista” inglese del Quattrocento, in Viaggiando Viaggiando. Personaggi, paesaggi e storie di viaggio, a cura di F. De Caprio, Viterbo
2006, pp. 25-44; C. Nardella, La Roma dei visitatori colti: dalla mentalità umanistica di maestro Gregorio (XII-XIII sec.) a quella medioevale di John Capgrave
(XV sec.), in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CXIX, 1996, pp.
49-64; P. J. Lucas, From Author to Audience: John Capgrave and Medieval Publication, Dublin 1997; J. Grossi Jr., John Capgrave’s “Smal Pypyng”: Marveling at
Rome in Ye Solace of Pilgrimes, in «Medievalia et Humanistica», XXX, 2004,
pp. 55-83; K. A. Winstead, John Capgrave’s Fifteenth Century, Philadelphia 2007.
2
Delle quarantatre opere attribuite a Capgrave dai primi biografi, solo dodici
sono giunte fino a noi: sette sono tràdite da un unico manoscritto, quattro da
due manoscritti e una da quattro manoscritti. Della maggior parte di esse si conoscono soltanto i titoli dati dai biografi in elenchi spesso imprecisi. Cfr. Solace,
cit., pp. 8-11. Per l’elenco delle opere attribuite a Capgrave, ivi, pp. 26-28.
195
Daniela Giosuè
autobiografia spirituale dal titolo The Book of Margery Kempe3.
La storia di Margery Kempe, scritta in terza persona e da lei stessa
dettata a più riprese a due diversi amanuensi durante gli ultimi anni
della sua vita, tra il 1425 e il 1438, inizia non dalla nascita, ma dal suo
matrimonio con John Kempe, avvenuto nel 1393, quando la protagonista aveva circa vent’anni.
Vittima di una condizione che non la soddisfaceva, e del controllo
umiliante che in quel tempo le autorità religiose esercitavano sulla vita
dei fedeli, la creatura – è così che Margery viene chiamata nell’opera –
mostrò assai presto di non sentirsi a proprio agio nel ruolo di moglie e di
madre, nel quale restò tuttavia imprigionata fino all’età di quarant’anni.
Il suo disagio, che oggi, ancor più che allora, verrebbe interpretato semplicemente come disagio mentale, si manifestò fin dalla gravidanza del primo dei suoi quattordici figli, quando Margery rischiò di
soccombere sotto il peso di una terribile depressione, dalla quale si
risollevò dopo aver ricevuto conforto da Gesù, che le apparve, bellissimo, in una visione.
Quella prima visione segnò l’inizio di una lunga serie di esperienze
mistiche sempre più profonde che, soprattutto nei casi in cui implicavano non stati di beatitudine, ma di sofferenza, avevano su di lei effetti
tali da portarla a piangere in modo irrefrenabile, a levare urla strazianti e ad avere violente convulsioni.
Già in seguito alle prime esperienze, Margery si sentì spinta a visitare molti luoghi sacri d’Inghilterra e ad incontrare le maggiori personalità religiose dell’epoca, tra cui la grande mistica Giuliana di Nor-
3
Cfr. M. Kempe, The Book of Margery Kempe, ed. by L. Staley, Kalamazoo 1996.
Il presente studio è stato condotto sull’edizione digitale dell’opera citata, pubblicata sul sito http://www.lib.rochester.edu/camelot/teams/staley.htm. Nelle
citazioni dal testo originale del Book of Margery Kempe che seguiranno, non è
stato pertanto possibile indicare i numeri di pagina corrispondenti all’edizione
a stampa, ma solo i capitoli e i numeri delle righe relativi ai passi citati. Per non
appesantire le note, si è scelto di non citare neppure i più recenti tra i numerosi
studi dedicati alla figura di Margery Kempe, analizzata soprattutto come mistica e femminista ante litteram. Per un interessante studio su Margery Kempe
come viaggiatrice cfr. T. N. Bowers, Margery Kempe as Traveler, in «Studies
in Philology», XCVII, 1, 2000, pp. 1-28. Per un’edizione italiana cfr. Il libro di
Margery Kempe, trad. di M. Pareschi, Palermo 2003. Cfr., inoltre, il materiale
presente sul sito http://college.holycross.edu/projects/kempe/index.html.
196
John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto
wich4, per trovare sostegno contro quanti la consideravano solo una
pazza o un’indemoniata, oppure un’ingannatrice e un’eretica.
La salda educazione religiosa e la profonda conoscenza – eccezionale per una donna quasi sicuramente del tutto analfabeta – dei
testi biblici e della letteratura devozionale e mistica allora in voga,
le consentirono di difendersi dalle accuse mosse contro di lei dalle
autorità religiose, che la vedevano come un pericolo per l’ordine costituito e per il loro stesso potere, e di provare più volte, salvandosi
anche dal rogo, la sua perfetta ortodossia e la sua totale estraneità
alle idee lollarde.
Nella sua autobiografia Margery si limita a narrare i fatti e le esperienze utili ad illustrare in quale modo riuscì a mutare se stessa da comune peccatrice in creatura illuminata, completamente abbandonata
alla volontà di Dio.
I momenti più importanti della sua vita e del suo cammino spirituale sono frequentemente legati ai pellegrinaggi da lei compiuti,
tra il 1413 e il 1434, sia nella sua terra natale che verso tutte le mete
tradizionali: Gerusalemme, Assisi, Roma, Santiago di Compostella,
Wilsnack e Aachen. Il pellegrinaggio a Roma, al quale è dedicata
parte di questo studio, risale al periodo che va dal mese di agosto del
1414 alla primavera del 1415.
John Capgrave nacque il 21 aprile 1393, nello stesso anno in cui, presumibilmente, inizia la storia di Margery Kempe. Di questo teologo
e storico erudito, che raggiunse alte cariche nella gerarchia dell’ordine
agostiniano e fu eletto più volte priore del convento di King’s Lynn,
dove morì il 12 agosto 1464, non si sa molto. La sua biografia è stata
ricostruita quasi esclusivamente sulla base delle scarse notizie da lui
stesso fornite nelle poche opere giunte fino a noi5. Anche il suo viaggio
a Roma e la stesura del Solace of Pilgrimes non hanno una datazione certa, ma alcuni riferimenti interni all’opera relativi a personaggi
4
Anche su Giuliana di Norwich (c. 1342-c. 1416) e sulla sua opera, intitolata Revelations of Divine Love, esistono molti studi e, per non appesantire le note, si è
scelto di evitare di citare anche i più recenti.
5
Per la biografia di Capgrave cfr. Solace, cit., pp. 7-25 passim e, in particolare, p. 11,
nota 11.
197
Daniela Giosuè
noti6, e la lettera dedicatoria che accompagna una delle sue opere esegetiche7, permettono di collocarli tra il 1449 e il 1452.
Il Solace of Pilgrimes presenta la struttura e i contenuti tipici delle
guide medievali di Roma al loro ultimo stadio di elaborazione, delle
quali l’autore, consapevole dell’impossibilità di fissare un’immagine
precisa e oggettiva della città soltanto sulla base delle sue conoscenze e di ciò che riuscì a vedere, ha fatto un uso estremamente fedele e
acritico.
Nella prima parte, che dipende dai Mirabilia urbis Romae8 e dalla
Graphia aureae urbis9, si trovano la storia delle origini di Roma dall’arrivo di Noè in Italia alla fondazione della città, la descrizione dei monumenti antichi e la narrazione delle leggende ad essi collegate, e un
elenco degli uomini che governarono la città da Romolo a Federico
II. La seconda e la terza parte dipendono dai martirològi e dai libri
di indulgenze e reliquie; nella seconda parte vengono descritte le sette
chiese e le stazioni quaresimali, nella terza altre chiese presso le quali
non si faceva stazione durante la quaresima.
Per conferire maggiore autorevolezza alla sua guida, Capgrave ha arricchito il testo con frequenti riferimenti ai classici, ai Padri della Chiesa, a numerosi autori medievali e alle Scritture10. Non mancano, inoltre,
6
Ivi, pp. 16-17.
7
Ivi, p. 17.
8
La prima redazione dei Mirabilia urbis Romae a noi pervenuta è compresa in
un codice miscellaneo, il Liber politicus di Benedetto Canonico, nel quale sono
raccolti atti amministrativi e giuridici della curia pontificia. Poiché Benedetto fu
canonico di San Pietro prima della morte di Innocenzo II, è possibile datare la
stesura dei Mirabilia ad un periodo non successivo al 1143. La tradizione manoscritta dei Mirabilia è estremamente ricca, e le ultime redazioni sono state datate
al XVI secolo. Cfr. Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini
e G. Zucchetti, III, Roma 1953, pp. 3-65 (Fonti per la storia d’Italia, 91). Per una
vasta bibliografia sull’argomento cfr., inoltre, Solace, cit., p. 19, nota 44.
9
Il testo della Graphia aureae urbis, datato al XII secolo e tràdito da un manoscritto laurenziano del XIII secolo, riunisce tre testi indipendenti che contengono rispettivamente la storia delle origini di Roma, una redazione dei Mirabilia
urbis Romae più tarda e leggermente variata rispetto a quella che è considerata
la redazione più antica (vedi supra, nota 8) e il Libellus de cerimoniis aulae imperatoris, nel quale viene descritto il cerimoniale imperiale modellato su quello
bizantino. Cfr. Codice topografico, cit., III, pp. 67-110.
10
Cfr. Solace, p. 24, nota 57.
198
John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto
notizie e osservazioni che sembrano derivare da esperienze dirette, tra
cui alcune informazioni di carattere topografico, dalle quali risulta evidente che l’abitato di Roma, durante il medioevo, si era ridotto alla sola
zona compresa entro l’ansa del Tevere, mentre in tutto il resto dell’area
compresa entro le mura aureliane, le rovine dei palazzi, delle terme e
degli acquedotti si ergevano tra campi, pascoli e vigneti11:
[La] chiesa di san Lorenzo in Damasco […] si trova nei pressi di
Campo de’ Fiori […] nella zona più popolosa di Roma12.
Vi è in Roma una chiesa che un tempo si chiamava Pantheon ed
ora si chiama Santa Maria Rotonda o Santa Maria dei Martiri. […]
Questa chiesa si trova nel cuore di Roma, dove abita molta gente13.
[La] chiesa di Santa Susanna […] si trova nei pressi di quel luogo
chiamato terme diocleciane, che significa bagni di Diocleziano. Questo
imperatore costruì là un palazzo magnifico, del quale, ancora oggi, restano in piedi le mura, gli archi e numerose volte […] e la chiesa di Santa
Susanna si trova sul lato occidentale dello stesso […] e dista dall’abitato
su un lato mezzo miglio e sull’altro un miglio14.
Sulla riva destra, il Borgo e Trastevere, nonostante lo sviluppo
avuto nei secoli precedenti, risultavano ancora separati dal resto della città:
La chiesa di San Pietro sorge ad ovest di Roma, ma non dentro
Roma, perché qui esiste una città distinta da essa, dove, oltre a questa
chiesa, si trovano il palazzo del papa, Castel Sant’Angelo e una strada
con tre chiese e un ospedale. Questa città nelle cronache antiche viene
chiamata Civitas Leonina15.
Trastevere è una città sulla riva occidentale del Tevere dotata di
11
Il contrasto tra «abitato» e «disabitato» caratterizzò l’immagine di Roma dal V
al XIX secolo. Cfr. R. Krautheimer, Roma, profilo di una città, 312-1308, Roma
1981, pp. 89 sgg., 357-359, 383-403.
12
Solace, II, XXXV, pp. 163, 164 passim.
13
Ivi, III, I, pp. 195, 196 passim.
14
Ivi, II, XXXII, p. 158 passim.
15
Ivi, II, I, p. 100.
199
Daniela Giosuè
proprie mura, come la Civitas Leonina, […] e si chiama così perché tra
questa città e Roma scorre il Tevere16.
Nel prologo Capgrave informa i lettori che la guida era accompagnata da una mappa, purtroppo andata perduta. Trovare mappe della
città unite a questo genere di opere è cosa estremamente rara, e quella
di cui parla Capgrave non doveva essere molto dissimile dalle raffigurazioni della città contenute nei manoscritti medievali, nella maggior
parte delle quali si vedono soltanto i monumenti della Roma pagana e
della Roma cristiana in mezzo a un’area vuota circondata dalle mura.
Palazzi, torri e campanili medievali, almeno fino al XV secolo, vennero riprodotti raramente, e la ragione della loro esclusione dall’immagine paradigmatica della città è dovuta al fatto che questi appartenevano
al quotidiano e non avevano alcun valore simbolico, mentre le emergenze monumentali pagane e cristiane rappresentavano l’opposizione,
e nello stesso tempo la continuità, tra il passato pagano e il presente
cristiano e, quindi, il trasferimento dell’antica potenza di Roma alla
Chiesa. La stessa immagine anatomizzata, che non tiene conto del tessuto urbano medievale, ricorre anche nei Mirabilia e nella Graphia, e
viene puntualmente riproposta nel Solace of Pilgrimes17.
Attraverso le osservazioni di natura topografica cui si è fatto cenno poc’anzi, e grazie alle frequenti considerazioni personali, Capgrave
aggiunge tuttavia dettagli che, a volte, portano l’immagine della città
che traspare dalla sua opera a discostarsi un poco dallo stereotipo tra16
Ivi, II, XXII, p. 144.
17
Sul tema dell’immagine di Roma nel medioevo, ivi, p. 18, nota 42. Cfr., in particolare, R. Krautheimer, Roma, cit.; S. Maddalo, In Figura Romae. Immagini
di Roma nel libro medioevale, Roma 1990; G. Lombardi, La città, libro di pietra.
Immagini umanistiche di Roma prima e dopo Costanza, in Alle origini della nuova
Roma. Martino V (1417-1431), Roma 1992, pp. 17-46 (Nuovi studi storici. Istituto
storico italiano per il medioevo); J. Summit, Topography as Historiography: Petrarch, Chaucer, and the Making of Medieval Rome, in «Journal of Medieval and
Early Modern Studies», XXX, II, 2000, pp. 211-246. Sul tema della trasformazione delle emergenze monumentali pagane e cristiane in simboli etico-politici e
religiosi, e sull’uso dell’antico per il recupero del passato a fini politici cfr. Solace,
p. 19, nota 44; in particolare, per un quadro della situazione politica e culturale
romana nel periodo in esame, oltre a Solace, p. 20, nota 44, cfr. V. De Caprio,
Roma, in Storia della letteratura italiana. Storia e geografia. II. L’età moderna, Torino 1983, pp. 328-472.
200
John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto
mandato dall’iconografia e dai testi tradizionali. Alcuni brevi passi
del capitolo dedicato alle porte, alle mura e alle torri possono bastare
a rendere l’idea:
Dovete sapere che oggi le mura sono, come è naturale, un poco deteriorate dal tempo, ma per la maggior parte sono ancora alte e forti
come le torri delle città dell’Inghilterra. […] Per quanto riguarda le torri, gli scrittori antichi dicono che ve ne sono trecentosessantuno, ed è
probabile che questo sia vero, perché stanno tutte vicine tra loro18.
La stretta relazione, sia ideale che materiale, tra antico e nuovo, tra
passato pagano e presente cristiano, emerge specialmente nella prima
parte della guida, nella quale notevole spazio è dedicato, oltre che alla
descrizione dei monumenti pagani e alla storia della conversione di
molti di essi all’uso cristiano, anche alla narrazione delle leggende su
di essi elaborate dalla fantasia popolare per cercare di spiegare cosa
fossero e quale fosse stata la loro funzione originaria.
Tali leggende contribuirono ad alimentare il mito della potenza di
Roma – senza dubbio l’aspetto più misterioso e inconcepibile di un
passato ormai in gran parte sconosciuto – che nel medioevo poté essere spiegata unicamente facendola dipendere non dalla volontà umana,
ma da un congegno magico, la Salvatio Romae o Consecratio statuarum. Costruito dal poeta Virgilio, anch’egli trasformato dalla fantasia
medievale in un sapiente mago19, secondo la versione più diffusa della
leggenda il meccanismo della Salvatio si trovava nel palazzo del Campidoglio, ma in diversi casi viene collocato nel Pantheon, nel Colosseo,
nel Tempio della Pace o in altri templi immaginari. Nel capitolo dedicato al Campidoglio, Capgrave scrive:
All’interno di questa fortezza era un tempio, del quale dicono che
fosse tanto prezioso da valere la terza parte del mondo per l’oro, l’argento, le perle e le pietre preziose che conteneva. Qui Virgilio costruì
18
Solace, I, II, p. 41.
19
Sulle leggende cfr. Solace, cit., p. 19, nota 44 e, in particolare, D. Comparetti,
Virgilio nel medioevo, II, Pisa 1872, pp. 22 sgg.; A. Graf, Roma nella memoria e
nelle immaginazioni del medioevo, Torino 1882, pp. 182 sgg.; F. Gregorovius, Storia
della città di Roma nel medioevo, II, Torino 1973, pp. 1116 sgg; N. Cilento, Sulla
tradizione della «Salvatio Romae»: la magica tutela della città medioevale, in Roma,
anno 1300, a cura di A. M. Romanini, Roma 1983, pp. 695-703.
201
Daniela Giosuè
un congegno meraviglioso: per ogni regione del mondo vi era un simulacro di legno con un campanello in mano, e ogni volta che una regione
minacciava di ribellarsi contro la suprema maestà di Roma, il simulacro ad essa associato faceva subito suonare il suo campanello. Al centro
dell’edificio, in alto, era inoltre un cavaliere di bronzo su un cavallo dello
stesso metallo che, appena un campanello suonava, puntava la lancia
verso la parte del mondo dove abitava il popolo che si voleva ribellare. I
sacerdoti che, a gruppi, erano incaricati di attendere alla sorveglianza di
questo meccanismo, davano l’allarme, e subito tutti i cavalieri di Roma
con le loro legioni si preparavano per andare a sedare la rivolta. Alcuni
autori dicono che il campanello era appeso al collo delle statue, e appena
un popolo si ribellava, il simulacro che lo rappresentava volgeva le spalle
alla grande statua di Giove che stava al centro.
I Romani chiesero a Virgilio per quanto tempo quest’opera sarebbe
durata, ed egli rispose finché una vergine non avesse partorito. Essi, allora, conclusero che sarebbe durata per sempre, ma dicono che quando
Cristo nacque tutto questo crollò, e crollarono anche molte altre cose
nella città, per dimostrare che era venuto il Re dei re20.
Il ricordo del passato venne reso ancora più confuso dall’azione
esorcizzatrice della Chiesa, che per annullare l’attrazione e la suggestione che i monumenti e i misteri che li riguardavano esercitavano
sulla fantasia dei romani e dei pellegrini, e così affermare il proprio
controllo sulle loro menti, distrusse gli idoli, convertì i templi in chiese, trasformò le statue degli dèi e degli imperatori in simulacri di santi,
e mise in circolazione altre leggende che potessero smentire quelle già
esistenti.
Uno dei casi più rilevanti di perdita della memoria storica, e di successiva manipolazione delle leggende da parte delle autorità ecclesiastiche, è quello del Colosseo, per il quale, nel medioevo, era divenuto
necessario spiegare non solo cosa fosse, ma anche perché avesse quel
nome:
Dicono che il Colosseo era un tempio molto alto e grande, intitolato e consacrato al sole e alla luna, nel quale si trovavano molte opere meravigliose. Il tetto era ricoperto di lastre di metallo dorato, dipinte sì da
sembrare un cielo stellato nel quale, con arte sottile, venivano simulati
tuoni, fulmini, pioggia e altre tempeste, come vengono giù dal firmamento. Vi erano rappresentati anche i segni zodiacali, ed era indicato
20
Solace, cit., I, XI, pp. 60-61.
202
John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto
con precisione il tempo dell’anno in cui il sole li attraversa. […] Tutti i
segni erano raffigurati in modo meraviglioso, nei movimenti e in molti
altri particolari. […] Al centro dell’edificio era il grande dio Febo,[…]
con i piedi toccava la terra e con la mano destra il cielo, mentre nella
mano sinistra teneva una sfera, per indicare che aveva tutto il mondo in
suo potere. […] Ora vi racconterò perché questa bella opera fu distrutta. Dopo che ebbe battezzato il grande Costantino, san Silvestro venne
fatto signore e imperatore di tutta questa parte del mondo. Costantino
andò a Costantinopoli, e là fissò la sua dimora, così che né lui né alcuno
dei suoi potesse usurpare il grande potere e i grandi possedimenti che
aveva dato alla Chiesa.
La Chiesa, dunque, era libera, e molti cristiani venivano in pellegrinaggio a Roma, ma quando vedevano questo gaio edificio e il movimento dei pianeti che ho descritto, abbandonavano le pratiche religiose
e si fermavano a guardare queste vanità, che erano una cosa mai vista.
Per questo, san Silvestro fece distruggere l’idolo e lo destinò ad un uso
migliore. […] Dicono che il giorno in cui l’opera doveva essere distrutta san Silvestro venne qui in processione e la statua, dall’alto della sua
mole, per il potere che il demonio aveva là dentro, parlò a Silvestro e
disse: «Colis eum!», che in inglese significa: «Rendigli onore!». Il demonio disse queste parole per tenere sotto il suo dominio il popolo, pronto
a distruggere l’idolo, così che, per timore, lasciasse andare la sua statua.
San Silvestro, allora, con grande audacia, trasformò il significato della
frase e disse all’idolo: «Colis Deum!», che significa: «Onora Dio!». Si racconta che essi, da allora, gridassero spesso così, uno «Colis eum» e l’altro
«Colis Deum», e da questo dialogo, dopo qualche tempo, prese origine il
nome del luogo, che fu chiamato Colosseo.
Non posso dire con sicurezza se questa sia la verità, ma a proposito
di ciò ho letto che Silvestro distrusse la statua, e per dimostrare che un
tempo era esistita, pose la grande testa e la mano sinistra nella quale
teneva la sfera in Laterano, e queste si trovano ancora là21.
Da vari passaggi in cui difende l’azione della Chiesa, appare chiaro
che l’agostiniano non trovava nulla di deplorevole nel fatto che la città pagana fosse stata, e continuasse ad essere distrutta, per costruire la
città cristiana. Come la trasformazione dei templi in chiese, anche la distruzione degli edifici antichi per costruirne di nuovi significava semplicemente destinarli ad un uso migliore, convertire al servizio di Dio ciò
che era stato costruito in onore del demonio, secondo quanto previsto
nel piano divino. Per questo, l’inevitabile stupore di Capgrave di fronte
21
Ivi, I, XIV, pp. 68-69.
203
Daniela Giosuè
alla bellezza e alla magnificenza delle rovine dei monumenti pagani, la
nota di tristezza che accompagna le sue osservazioni relative alla distruzione di opere del passato e allo stato di abbandono di alcuni luoghi di
culto, la notevole attenzione che egli mostra di avere per le epigrafi, non
possono essere interpretati quali segni di interesse umanistico22.
Mentre la prima parte della guida è dominata dal meraviglioso pagano, nella seconda e nella terza domina il meraviglioso cristiano. Alle
dettagliatissime descrizioni delle chiese, e ai lunghi elenchi delle reliquie
in esse contenute e delle indulgenze che visitandole era possibile lucrare,
si aggiungono suggestive e realistiche narrazioni delle storie dei santi e
dei martiri ai quali le chiese erano dedicate e dei miracoli in esse avvenuti, molti dei quali operati non dai santi, ma da reliquie o immagini.
Tra le tante immagini miracolose della Madonna di cui parla
Capgrave, la più dolce è senza dubbio quella della chiesa di Santa Maria
della Consolazione, che non parla né sanguina, ma versa latte dal seno:
Vicino al Campidoglio è un’altra piccola chiesa intitolata alla Madonna, che chiamano Santa Maria della Consolazione.
Si dice che in questa chiesa san Bernardo fosse solito recitare le
devozioni dell’ufficio divino e quelle volontarie, e anche che attendesse di poter restare solo per inginocchiarsi davanti all’immagine della
Madonna, contemplarla, e fare le sue meditazioni solitarie con grande
devozione. Dopo che ebbe continuato a lungo in questa nobile pratica,
un giorno s’inginocchiò davanti all’immagine, la guardò e recitò l’inno
intitolato Ave maris stella, e quando arrivò al verso che dice: «Monstra
te esse matrem», all’improvviso, per un grande miracolo, l’immagine si
portò la mano al seno, lo premette e spruzzò due o tre gocce di latte sul
volto di Bernardo23.
Una considerevole forza evocativa emana anche dalle storie relative a ritrovamenti, trasferimenti, scambi e furti di reliquie, come dimostra la storia del ritrovamento della santa croce, narrata nel secondo
dei tre capitoli dedicati alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. Il
ritrovamento avvenne per volontà di sant’Elena, madre dell’imperato22
Sul tema delle rovine cfr. V. De Caprio, Sub tanta diruta mole: il fascino delle rovine nella Roma del Quattro e Cinquecento, in Poesia e poetica delle rovine di Roma,
momenti e problemi, a cura di V. De Caprio, Roma 1987, pp. 21-53.
23
Solace, cit., III, XII, pp. 208-209.
204
John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto
re Costantino, che costrinse un discendente di santo Stefano, di nome
Giuda, a rivelarle dove era nascosta la croce minacciandolo di farlo
morire di fame in fondo a un pozzo:
In seguito Giuda chiese pietà e promise alla regina che le avrebbe
detto dove si trovava la croce. Dopo averla condotta nel luogo, si mise in
ginocchio e pregò Dio nostro Signore affinché gliela facesse trovare, e
appena smise di pregare, la terra tremò e dalle crepe uscì un vapore che
aveva un profumo più dolce di qualunque spezia. Giuda, allora, levò in
alto le mani per la gioia e gridò a gran voce: «Ora sono sicuro che tu,
Cristo, sei il salvatore del mondo!». Poi si misero a scavare e alla profondità di venti passi trovarono tre croci e le portarono in città. Quello
stesso giorno, verso mezzodì, portarono un morto su una bara. Giuda
prese una croce e la pose sull’uomo, ma quello non si alzò; prese allora
la seconda, e l’uomo rimase immobile, ma quando prese la terza, l’uomo
risuscitò. In questo modo seppero con sicurezza quale era la croce che
Cristo aveva consacrato col suo sangue24.
Se si escludono i rari accenni a personaggi viventi o scomparsi di
recente25, e gli sporadici passi in cui l’autore lascia presumere di aver
incontrato grandi folle26, non si può fare a meno di notare che la Roma
descritta da Capgrave è popolata da una moltitudine di uomini e
donne del passato. Al pari di quanto avviene per gli edifici medievali,
neanche gli abitanti entrano dunque a far parte dell’immagine della
città trasmessa dalla guida, mentre i personaggi del passato mitico e
del passato storico e, protagonista e testimone di tutti gli avvenimenti
narrati, il popolo di Roma, continuano ad esistere nel presente sempre
vivo della narrazione.
A differenza del Solace of Pilgrimes, e pur rientrando a pieno titolo
nel genere della letteratura di viaggio, il Book of Margery Kempe non
contiene alcuna descrizione dei luoghi visitati dall’autrice, ma è tutto
concentrato sulle sue azioni, e su ciò che avviene dentro di lei, intorno
a lei, e nelle sue relazioni con gli altri.
Al di là delle inevitabili somiglianze dovute al profondo sentimento religioso che anima i due autori, e alla comune ambientazione, la
24
Ivi, II, XXXIII, p. 161.
25
Ivi, pp. 16-17.
26
Ivi, III, VIII, pp. 204-205.
205
Daniela Giosuè
guida di Capgrave e i capitoli dedicati al pellegrinaggio romano di
Margery Kempe – nei quali, contrariamente a quanto ci si potrebbe
aspettare, non si trova traccia neppure delle storie dei martiri e dei
santi e degli elenchi di reliquie e indulgenze – mostrano pertanto solo
poche, ma interessanti analogie.
L’abbandono con cui Margery vive il suo rapporto con la divinità,
e le descrizioni di visioni e stati fisici e mentali come quelli di cui si
parla, ad esempio, nello splendido capitolo dedicato al racconto dell’esperienza del matrimonio mistico da lei vissuta nella chiesa dei Santi
Apostoli27, contribuiscono a creare un’atmosfera che ricorda quella che
si respira in diverse pagine della seconda e della terza parte del Solace
of Pilgrimes, dominate, come si è detto, dal meraviglioso cristiano.
L’affinità più forte risiede decisamente nel fatto che sia nella Roma
di Capgrave che in quella di Margery Kempe sono in azione moltissimi personaggi. La presenza della gente, in particolare delle donne, si
avverte soprattutto nei passi in cui vengono descritti i comportamenti
di Margery durante le celebrazioni religiose. Al momento dell’eucaristia, accadeva spesso che gli astanti assistessero sgomenti alle crisi di
Margery, che «piangeva amaramente, era scossa da violenti singulti e
levava grida alte e orribili»28. Molte donne, che la vedevano soffrire in
modo tanto atroce,
avendo compassione per il suo dolore, e provando grande meraviglia per
il suo piangere e urlare, la amavano ancora di più, e desiderando darle
conforto dopo il suo travaglio spirituale, a segni e a gesti, poiché lei non
comprendeva ciò che esse dicevano, la pregavano, quasi la costringevano
ad entrare nelle loro case, e non volevano più lasciarla andare29.
Non era soltanto durante le funzioni religiose che Margery suscitava stupore tra la gente; non di rado la si vedeva «piangere e singhiozzare amaramente»30 per le vie di Roma, e questo accadeva ogni
volta che incontrava un bell’uomo, poiché vedere uomini avvenenti la
27
Cfr. M. Kempe, Book, cit., 35, 2001-2083 passim.
28
Ivi, 33, 1930. I testi delle citazioni, a partire dalla presente, sono stati tradotti da
chi scrive.
29
Ivi, 41, 2317-2321.
30
Ivi, 35, 2017.
206
John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto
induceva a pensare all’umanità di Cristo, di cui era innamorata31. Per
lo stesso motivo,
quando in Roma vedeva donne con i figli in braccio, se si rendeva conto che erano maschi, si metteva a gridare, a urlare e a piangere, come
se avesse visto Gesù bambino, e se avesse potuto fare ciò che voleva, li
avrebbe molte volte strappati dalle braccia delle madri, e li avrebbe baciati come se al loro posto vi fosse stato Cristo32.
I brani che saranno citati più avanti, e una serie di brevi passaggi
nei quali si afferma che «Dio concesse [a Margery] la grazia di essere
molto amata in Roma, sia dagli uomini che dalle donne, e di godere di
grande favore tra il popolo33»; che molte persone virtuose «la invitavano spesso a mangiare, dandole grande conforto e pregandola di pregare per loro»34 e, infine, che «dopo il suo arrivo [sparse] molti buoni
semi in Roma […], dando il buon esempio alla gente, che per questo
[amò] Dio più di prima»35, mettono in rilievo che Margery intrattenne
ottimi rapporti con persone di ogni condizione.
Al suo arrivo in città, ella trovò asilo presso l’ospedale di San Tommaso di Canterbury, dal quale fu scacciata quasi subito in seguito ad
uno dei tanti interventi malevoli che i suoi compagni di viaggio e, tra
questi, in particolare un sacerdote, continuarono a mettere in atto
contro di lei nonostante l’avessero definitivamente abbandonata dopo
il rientro a Venezia dalla Terra Santa. La buona reputazione che Margery riuscì a costruirsi, fece comunque sì che, nell’ultimo periodo della
sua permanenza a Roma, venisse di nuovo accolta nell’ospedale.
Prima di essere richiamata dai frati di San Tommaso, Margery
visse quasi sempre mendicando, ed ebbe modo di rendersi conto della
immane povertà che affliggeva il popolo. Un giorno, una povera donna, vedendola passare, la invitò
ad entrare nella sua casa, e la fece sedere accanto al piccolo focolare, offrendole da bere del vino in una tazza di pietra. E aveva un bambino piccolo
31
Ivi, 35, 2008-2009.
32
Ivi, 35, 2011-2015.
33
Ivi, 39,2209-2210
34
Ivi, 33, 1959-1960.
35
Ivi, 41, 2324-2325.
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Daniela Giosuè
che prendeva ancora il latte, che un po’ succhiava al seno della madre, e un
po’ correva dalla creatura, mentre la madre restava seduta, piena di dolore
e tristezza. La creatura, allora, scoppiò a piangere, come se avesse visto
nostra Signora e suo figlio nel momento della passione, ed ebbe così tanti
pensieri santi che non sarebbe mai riuscita a dirne neppure la metà. Così,
restò seduta, e pianse copiosamente tanto a lungo, che la povera donna,
provando compassione per il suo pianto, e non sapendo perché piangesse,
la pregò di smettere. Allora Gesù Cristo nostro signore disse alla creatura:
«Questo luogo è santo». E lei si alzò e andò per le vie di Roma, e vide molta
povertà tra il popolo, e ringraziò altamente Dio per la povertà in cui si
trovava, confidando così di poterne condividere il merito36.
Pur trovandosi in gravi difficoltà, Margery donò più volte tutto
quello che aveva, frutto di prestiti o di provvidenziali elargizioni, e
il momento in cui maggiormente si avvicinò alla piena condivisione
della povertà fu quando il suo confessore, per penitenza,
le ordinò di servire una vecchia donna, una povera creatura di Roma.
E lei lo fece per sei settimane, e la servì come avrebbe servito nostra
Signora. E non aveva un letto su cui distendersi, né panni per coprirsi,
tranne il mantello, e si riempì di pidocchi che le causarono una grande
sofferenza. E poi, portava a casa per la povera donna acqua e legna sulle spalle, e per lei mendicava cibo e vino, e quando il vino inacidiva, la
creatura beveva il vino acido e dava alla povera donna il vino buono che
aveva comprato per sé37.
Tra le numerose figure che animano la Roma di Margery Kempe,
meritano di essere ricordati, tra i religiosi, il superiore e i fratelli dell’ospedale di San Tommaso di Canterbury38, e uno dei più alti dignitari
ecclesiastici della città, Wenslawe, prete tedesco della basilica di San
Giovanni in Laterano. Con Wenslawe, che divenne il suo confessore e
la protesse trattandola come madre e sorella, Margery riuscì a comunicare grazie all’intervento divino, benché lei parlasse solo inglese e
lui, oltre che latino, solo tedesco39.
36
Ivi, 39, 2195-2206.
37
Ivi, 34, 1992-1999.
38
Ivi, 31, 1857-1858; 39, 2210-2214.
39
Ivi, 33, 1904-1928 passim, 1933-1960 passim; 34, 1966-1984 passim; 37, 2136-2140
passim.
208
John Capgrave e Margery Kempe a Roma. Immagini della città a confronto
Anche molti laici aiutarono Margery durante il suo soggiorno romano, e tra questi si distingue l’affascinante figura di una gentildonna
di nome Margarita Florentina, che Margery conobbe ad Assisi, e che
le permise di viaggiare al sicuro con lei e il suo seguito fino a Roma40.
Incontrando di nuovo Margery nella città, e rendendosi immediatamente conto della difficile situazione in cui si trovava, la dama le chiese: «Margerya in poverté?»41; e Margery rispose: «Ya, graunt poverté,
Madam»42. Così, sebbene potessero comunicare «solamente a segni o
gesti, o con poche semplici parole»43, la signora
la invitò a mangiare con lei ogni domenica, e la faceva sedere alla sua
tavola, assegnandole un posto più importante del suo e servendole il
cibo con le sue stesse mani. E la creatura sedeva e piangeva forte, ringraziando nostro Signore perché, per il suo amore, coloro che non comprendevano la sua lingua le davano tanto conforto e la trattavano con
riguardo. Dopo aver mangiato, la buona signora le portava un cesto con
altre provviste per fare la minestra, quante ne bastavano per mangiare
due giorni, le riempiva la bottiglia di buon vino, e a volte le dava anche
otto bolendini44.
Margery nomina molte altre persone, tra cui un uomo
che si chiamava Marcello, [che] la invitò a mangiare per due giorni a
settimana. Sua moglie era incinta, e avrebbe molto desiderato che [Margery] facesse da madrina al loro bambino […], ma lei non restò a Roma
tanto a lungo. Vi fu anche una pia giovane che le diede da mangiare il
mercoledì. Gli altri giorni, quando non c’era nessuno che provvedesse a
lei, mendicava il cibo di porta in porta45.
Una grande nobildonna pregò Margery di fare da madrina alla figlia, alla quale diede nome Brigida in onore di santa Brigida di Svezia,
40
Ivi, 31, 1845-1849 passim.
41
Ivi, 38, 2181.
42
Ivi, 38, 2182.
43
Ivi, 38, 2180..
44
Ivi, 38, 2182-2189.
45
Ivi, 38, 2189-2194.
209
Daniela Giosuè
che lei e suo marito avevano conosciuta mentre si trovava a Roma46.
Margery, che alla santa era molto devota, e alla cui figura chiaramente si ispirò, accettò la loro richiesta di buon grado. Con l’aiuto di un
interprete, Margery parlò anche con la donna che era stata la serva di
santa Brigida e con un uomo che l’aveva conosciuta, e visitò la camera
dove era morta47.
I brani portati ad esempio ben si prestano a porre in evidenza
come l’elemento di corrispondenza più significativo tra il Book of Margery Kempe e il Solace of Pilgrimes risulti essere, nel contempo, anche
un chiaro tratto di distinzione. Il Book of Margery Kempe contiene,
infatti, proprio ciò di cui nell’opera di Capgrave si sente di più la mancanza: la presenza delle persone appartenenti al presente dell’autore.
Queste due splendide opere quasi coeve, che affondano le proprie
radici nella temperie culturale e religiosa dell’Inghilterra tardomedievale, sono dunque unite da una forte complementarietà: accostando, o,
meglio, sovrapponendo le immagini della città, entrambe parziali e tra
loro tanto diverse, che esse trasmettono, si può ottenere un’immagine
della Roma quattrocentesca più viva e, per questo, più vicina al reale.
46
Ivi, 39, 2206-2209 passim.
47
Ivi, 39, 2223-2236 passim. Per un interessante studio sulla figura di santa Brigida
[1303-1373] – dedicato in particolare alla figura della figlia Caterina (c. 1331-1381) –
sul periodo della sua presenza a Roma e sui pericoli che le donne in pellegrinaggio dovevano affrontare, cfr. F. De Caprio, Caterina di Svezia a Roma: agiografia
e pellegrinaggio, in Donne Sante Sante Donne, Viterbo 2007, pp. 103-120.
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