Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani

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Rassegna stampa - Ordine degli Avvocati di Trani
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
stampa
6 maggio 2008
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
Pag. 3 NUOVO GOVERNO: No a indebite ingerenze (mondo professionisti)
Pag. 4 NUOVO GOVERNO: «Carriere separate e Csm le priorità» (il sole 24 ore)
Pag. 5 NUOVO GOVERNO: Scappa anche Scajola
di Franco Bechis (italia oggi)
Pag. 6 PREVIDENZA: Alleanza europea per le Casse (il sole 24 ore)
Pag. 7 SICUREZZA: Sicurezza, servono meno uomini (italia oggi)
Pag. 8 ANTIRICICLAGGIO: Con l’ antiriciclaggio consulenza sotto esame
di Ranieri Razzante (il sole 24 ore)
Pag.10 FALLIMENTI: Fallimenti lenti, c'è danno erariale (italia oggi)
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MONDO PROFESSIONISTI
No a indebite ingerenze
Michelina Grillo, Oua: sul futuro guardasigilli lasciamo in pace il Premier
Michelina Grillo, presidente Oua, interviene sulle polemiche
in corso sul nome del prossimo ministro di Giustizia, criticando le pressioni e i veti che si stanno
esercitando in questi giorni. Per l’Oua, organismo di rappresentanza politica dell’avvocatura, si
devono rispettare l’autonomia delle istituzioni, le prerogative del Presidente della Repubblica e il
mandato elettorale dei cittadini. «Dalle indiscrezioni che emergono sui giornali - ha continuato
Grillo – sembrerebbe che ci sia un gioco di veti incrociati da parte di alcuni settori della
magistratura. È incredibile e inaccettabile che si facciano tante pressioni sulla scelta del prossimo
Guardasigilli, l’avvocatura non ha mai avuto propri candidati e non ha mai partecipato e mai
parteciperà a questa indebita ingerenza perchè rispetta l’autonomia della Politica, le regole e le
prassi istituzionali, le prerogative del Presidente della Repubblica e il responso delle urne.
Vogliamo ricordare – ha concluso - che nella campagna elettorale la giustizia non è mai stata una
priorità, solo l’avvocatura ha insistito con forza affinchè si parlasse della grave crisi del settore e
delle conseguenze sulla vita dei cittadini, delle imprese e dello sviluppo del Paese. Ora, a elezioni
concluse, alla vigilia di una legislatura che speriamo possa essere risolutiva dei molti problemi del
nostro sistema giudiziario, dobbiamo assistere ad un avvilente teatrino sul nome di un ministro,
ciò che ci sta a cuore non è la tutela di qualche privilegio corporativo ma la tutela di un diritto
sancito costituzionalmente, quello ad una giustizia giusta ed efficiente »
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IL SOLE 24 ORE
Oreste Dominioni/ Presidente Unione camere penali
«Carriere separate e Csm le priorità»
«Il Governo deve riformare l’ordinamento giudiziario per mettere il Paese al passo con l’Europa. Non penso solo
alla separazione delle carriere ma anche al Csm». Oreste Dominioni, presidente delle Camere penali, indica le
priorità degli avvocati e rivendica pari dignità con i magistrati, ai quali chiede dj «non interferire» su scelte
politiche, come la nomina del ministro della Giustizia.
Presidente, l’Anm ha smentito di aver esercitato interferenze e anche di aver dato giudizi sui candidati. Perché
insiste su questa polemica? Un autorevole quotidiano ha riferito di una «rivolta silenziosa in Forza Italia e
nell’Anm» contro la nomina di Elio Vito. La smentita dell’Anm era doverosa Ma, osi prende posizione netta su
ciò che viene detto o ci si fa carico del fatto che ci sono state interferenze se non dei responsabili dell’Anm,
quanto meno dalle sue file interne.
Qualcuno avrà espresso un’opinione personale. Qualcuno che aveva peso politico. È inammissibile porre veti
sulle persone.
Marcello Pera, artefice della riforma sul giusto processo, è il ministro giusto per la separazione delle carriere?
Non esprimiamo giudizi sui singoli candidati.
Sembra che magistratura e politica non abbiano voglia di scontri, ma di dialogo. Non si può dire altrettanto per
magistrati e avvocati. Vogliamo il dialogo. Ma siamo assolutamente reattivi rispetto a rapporti anomali tra
magistratura e politica, tanto più se, come nell’ultima legislatura, c’è subalternità della politica alla magistratura.
Noi siamo per un dialogo costruttivo e leale, che rispetti le regole del gioco. La politica ha il do vere di aprire
subito il cantiere delle riforme e ha il diritto di decidere. Purché al cantiere partecipino tutti gli operatori,
paritariamente.
L’Anm auspica una riforma della giustizia e non dei giudici. E’ d’accordo? La crisi della giustizia deriva sia da
meccanismi processuali sia da un ordinamento giudiziario anchilosato, che non consente una gestione moderna
della giustizia.
E’ stato appena riformato... La legge Castelli-Mastella contiene modifiche settoriali. E’ prioritario riformare
l’ordinamento giudiziario e metterlo al passo con l’Europa. Cominciando a separare le carriere.
La “tolleranza zero” sulla sicurezza non vi piace. Ma mentre sulla separazione delle carriere avete scioperato a
raffica, qui siete più cauti. Perché? A dicembre abbiamo scioperato contro il decreto Amato. Allora come oggi
riteniamo che le misure per garantire la sicurezza non possano essere incostituzionali. La sicurezza richiede
interventi efficaci, non di mera facciata. Bisogna attrezzare il territorio in finzione preventiva di una criminalità
diffusa. E pura demagogia pensare che la sicurezza si ottenga modificando il processo penale.
Chi chiede la «certezza della pena», a questo pensa. Si dice che chi viene arrestato e condannato in primo grado
non sarà rimesso in libertà. Oggi, il 65% dei detenuti è in attesa di giudizio: c’è già un ricorso preoccupante alla
custodia cautelare. Non si può continuare su questa strada. Anzi, la rotta va invertita.
Dunque, la ricetta per la sicurezza non è “più carcere”. I dati dicono che il carcere non produce rieducazione,
ma un alto tasso di recidiva, mentre le misure alternative alla detenzione hanno un forte effetto rieducativo, tant’è
che la recidiva è dello 0,6%. E su queste che bisogna puntare per la sicurezza. E per risolvere la crisi del carcere.
Donatella Stasio
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ITALIA OGGI
Scappa anche Scajola
Rifiuta il ministero della Giustizia per non finire come Mastella
di Franco Bechis
Silvio Berlusconi non riesce a trovare il suo ministro della Giustizia. Tutti i suoi candidati, uno dopo
l'altro hanno fatto capire al presidente del Consiglio in pectore di preferire altra destinazione. E' già
volato via anche il falco per eccellenza, Claudio Scajola, l'uomo su cui puntava di più il leader del
Partito delle libertà. La motivazione ufficiale è quella di volere portare a termine il lavoro iniziato
qualche anno fa al ministero delle attività produttive (ora dello Sviluppo Economico), ma lo stesso
Scajola ha confessato agli amici di volere evitare ad ogni costo la poltrona di via Arenula. Perché teme
di finire come Clemente Mastella e di trascinare con sè anche qualche famigliare (...)C'è una sola parola
per definire la grande fuga dalla poltrona di via Arenula: paura. Un ostacolo non da poco a quasi un
mese dalla vittoria elettorale del centrodestra, e alla vigilia del conferimento di un incarico che mai
come ora sembra arrivare assai tardivo. Stando alle indiscrezioni della vigilia, il governo sarà assai
politico e la squadra quella ipotizzabile con gli organigrammi dei partiti che hanno vinto le elezioni.
Nessun innesto esterno, nessun tecnico di chiara fama, nessuna sorpresa. Scelta legittima, in fondo
anche condivisibile al di là della simpatia o della stima che questo o quel ministro riscuote nell'opinione
pubblica e fra gli osservatori. L'unico superesperto della materia sembra essere oggi Giulio Tremonti,
che siederà sulla poltrona di ministro dell'Economia suo malgrado: avrebbe preferito altro, ma sapeva
fin dall'inizio della campagna elettorale di non potere nemmeno chiedere un destino diverso. Lì si
rivedrà al suo fianco l'uomo delle finanziarie, quel Giuseppe Vegas ormai insostituibile. La squadra
verrà completata da tre sottosegretari, uno per partito della coalizione: Alberto Giorgetti (An), Daniele
Molgora (Lega Nord) e probabilmente Luigi Casero (Forza Italia). Molte altre poltrone di governo,
nonostante il mese trascorso dal risultato elettorale, sono ancora ballerine, e per un governo che dovrà
fare del decisionismo la sua arma migliore, è inizio fin troppo claudicante. Zoppo, se si aggiunge questo
clamoroso caso Giustizia, materia in cui Berlusconi ha già fallito una volta ogni suo proposito di
riforma, e su cui alla fine è scivolato rovinosamente il governo di Romano Prodi. Se tanti timori quella
poltrona suscita, forse sarebbe il caso di riconsiderare l'esclusione di Giulia Bongiorno, una che
difficilmente si tirerebbe indietro...
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IL SOLE 24 ORE
Previdenza. Coordinamento Italia-Francia-Germania
Alleanza europea per le Casse
Un”filo rosso”per”totalizzare” i contributi previdenziali maturati dai professionisti europei in uno o più
Paesi comunitari diversi da quello di origine in cui decidono di esercitare. La costruzione di un percorso
previdenziale di respiro europeo è uno degli otto punti prioritari dell’agenda Eurelpro, una sorta di
coordinamento degli Adepp europei. L’associazione, che riunisce le sigle delle associazioni
previdenziali professionali di Italia (Adepp),Francia(Cnavpl) e Germania (Abv), ha eletto presidente, lo
scorso 14 aprile, attraverso un’assemblea di delegati della previdenza professionale dei tre Paesi, il
numero uno dell’organismo italiano, Maurizio de Tilla. Nella pratica, si tratta di «un accordo biennale
— ha spiegato de Tilla - che prevede la creazione di un organismo unitario attraverso il quale le Casse
di previdenza dei professionisti affronteranno in sede europea le tematiche professionali e
previdenziali». Una task force che avrà il doppio incarico di monitorare i lavori del Parlamento europeo
e costituire un gruppo di pressione. «Un organismo non burocratico — ha aggiunto il vice presidente
Karl August Beck - ma capace di dialogare con le istituzioni Ue per rappresentare le istanze comuni
delle Casse. Con una sede in condivisione con quella ormai decennale di Abv a Bruxelles». La
necessità è creare procedure più snelle e strumenti previdenziali per agevolare l’esercizio della
professione nei Paesi della comunità. «Esistono due problemi uno legato ai legali, l’altro che riguarda
tutti i professionisti», ha spiegato De Tilla. «L’avvocato straniero che risiede ed è iscritto a un Albo
italiano - è l’esempio di de Tilla —versa i contributi alla Cassa forense. Ma se si trasferisce in Francia
perde i versamenti effettuati senza possibilità di recupero. Anche il legale italiano che si trasferisce in
Francia e li fattura rischia una doppia imposizione. Proponiamo un percorso di totalizzazione europea
sulla linea dì quello in vigore in Italia. E bastano accordi tra gli enti per studiare modalità e procedure
standard». Altro discorso è la libera circolazione dei professionisti. «E necessaria — ha continuato De
Tilla - una direttiva europea che disciplini un sistema di totalizzazione, tenendo conto del fatto che non
sempre a una professione corrisponde una omologa Cassa di previdenza Ad esempio, se un avvocato
italiano va a esercitare la professione di revisore contabile all’estero (dove la categoria gode magari di
Albo ed ente previdenziale autonomi) il percorso previdenziale maturato deve potersi gestire in una
logica trasversale». Il prossimo obiettivo dell’associazione sarà estendere l’adesione a Spagna,
Portogallo, Grecia e Paesi dell’Est Europa (più complesso ìl dialogo con l’area scandinava). Un
rafforzamento che punta a consolidare il dialogo con i gruppi europarlamentari anche in vista delle
elezioni europee del prossimo anno. Laura Cavestri
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ITALIA OGGI
Troppi addetti, mezzi e risorse che non servono a tutelare i cittadini, perchè gestiti male
Sicurezza, servono meno uomini
In Italia circa 485 mila poliziotti, uno ogni 120 abitanti
I candidati dell'una e dell'altra sponda alle ultime elezioni hanno promesso più sicurezza ai cittadini, additando il
medesimo rimedio: più soldi, più mezzi, più uomini. Andando indietro con la memoria sin dagli anni del
terrorismo, non c'è mai stata un'emergenza di ordine pubblico per la quale tanto i politici responsabili come le
organizzazioni sindacali di polizia non abbiano invocato sempre più mezzi, più soldi, più uomini sembrando
sempre insufficienti le risorse portate dall'emergenza precedente. Così si è registrato un costante aumento del
personale delle tre polizie principali, cioè Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza, le quali d'ora in
avanti chiameremo più semplicemente polizia. Oggi ammontano, secondo il ministero dell'economia, a 334.245
unità. Secondo l'Istat, gli italiani sono 58.462.375. Da queste due cifre sappiamo di avere un poliziotto ogni 175
abitanti. Siamo quindi il paese che ha in assoluto più polizia sia rispetto al numero di cittadini sia rispetto
all'estensione territoriale. In Germania, per fare un esempio, ad ogni poliziotto sono affidati poco meno di 400
cittadini. La situazione è tuttavia ancora peggiore. Trascuriamo, per ora, la polizia penitenziaria e il corpo
forestale dello stato, i cui organici sono praticamente raddoppiati negli ultimi anni. Meritano più attenzione due
ulteriori polizie i cui costi ricadono sui cittadini in maniera diretta e indiretta. La prima di queste categorie è
rappresentata dalle polizie locali, cioè comunali e provinciali. Per brevità omettiamo di parlare delle polizie a
carattere regionale.
Lo stato non sa quanto si spende per le polizie locali poiché non sa quanti siano i poliziotti degli enti locali. Si
ipotizza che siano non meno di 80.000 e forse non più di 100.000, tenendo conto che il limite inferiore è
certamente superato quello superiore è invece solo una stima. A questa polizia si affianca spesso la figura
dell'ausiliare. Questi ha solo il compito di rilevare specifiche infrazioni e, dunque, non è assimilabile a un vigile
vero e proprio. Non di meno il suo costo grava sull'assetto complessivo di sicurezza, specie quando la polizia
locale è utilizzata male.
Un ulteriore gravame deriva dalle polizie private. Le varie emergenze, come la violenza negli stadi o gli assalti
alle abitazioni isolate, hanno irradiato la privatizzazione della sicurezza. Il cittadino, pressato da situazioni che lo
stato non sa fronteggiare, adotta rimedi che vanno dalle “ronde”, il fai-da-te della sicurezza, alla sorveglianza
privata. Tali costi non gravano sullo Stato ma sui cittadini che offrono tempo e danaro per la sicurezza, alla quale
avrebbero diritto grazie alle tasse. Nel Meridione la vigilanza privata assume spesso forme inquietanti di
ambiguità. Al calar della sera vasti territori sono affidati alla vigilanza privata, mentre le polizie statali arretrano.
Se avete una casa isolata, sarete bersagliati da furti e danneggiamenti, finché non ricorrete alla locale polizia
privata. Pagato il canone dei vigilantes, i furti e i danneggiamenti cessano. Sono almeno 50.000 i poliziotti
privati; sommati alle polizie locali, abbiamo 150.000 uomini. Ricapitoliamo. 334.245 uomini delle polizie, più
150.000 fra locali e privati, portano a 484.245 le persone che badano alla nostra sicurezza; ogni 120 italiani
(compresi 60 fra lattanti e vegliardi) c'è un addetto alla sicurezza. Non basta. Nelle tre principali polizie
imperversano ridondanze e sovrapposizioni. Almeno due polizie scientifiche, tre reparti a cavallo e una quantità
interminabile di bande musicali e gruppi sportivi. Migliaia di elicotteri, aerei, battelli, oltre che navi vere e
proprie; necessari per la sorveglianza in mare, dicono. Peccato che ci sia un'altra specifica polizia per questo, la
Guardia Costiera, la quale con 5 pattugliatori della classe 900, 28 unità d'altura a grande autonomia della classe
200, 43 motovedette classe 800 per la ricerca e soccorso in mare, 26 motovedette classe 2000 e 32 unità navali
classe 500 e 9 elicotteri Agusta AB 412 CP non ha nulla da invidiare alla Coast Guard degli Stati Uniti
d'America, che ha due coste oceaniche da sorvegliare e la frastagliatissima e lontanissima Alaska. La situazione è
ancora peggiore ma ci fermiamo qui, per ora. Chi in Italia voglia fare qualcosa per la sicurezza deve ridurre,
unificare e risparmiare uomini, mezzi e soldi. Piero Laporta
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IL SOLE 24 ORE
Lotta al crimine. Fa eccezione l‘esercizio della difesa
Con l’ antiriciclaggio consulenza sotto esame
di Ranieri Razzante
La terza direttiva Ue è l’ultima tappa di un percorso che ha avvicinato sempre di più il mondo dei
professionisti alle regole antiriciclaggio. Il decreto legislativo 56/2004, che recepisce la seconda
direttiva, ha “preparato la strada” per un allargamento progressivo e proporzionale dei soggetti obbligati
alla disciplina antiriciclaggio. Questo perché le tecniche di lavaggio del denaro sporco stanno sempre
più affinandosi e i canali non sono più solo quelli tradizionalmente finanziari. Per questo i professionisti
sono tenuti agli obblighi di adeguata verifica, registrazione e segnalazione delle operazione sospette.
La terza direttiva introduce una più efficace graduazione degli obblighi e ne delimita gli ambiti in base
al principio di “proporzionalità” (recepito nell’articolo 3 del decreto 231/2007). Dunque non più, come
previsto un po’ disorganicamente nel decreto 56/2004, precetti unificati per intermediari finanziari e
professionisti a prescindere dalle loro dimensioni, ma adozione di presìdi aziendali proporzionati sia
alla complessità dell’organizzazione dello studio, sia al grado obiettivo di esposizione al rischio.
Commercialisti. L’adeguata verifica, ossia la compilazione di una “scheda cliente” che contiene i suoi
dati, quelli del titolare effettivo e la dichiarazione su scopo e natura di operazione o rapporto posti in
essere, andrà redatta all’inizio del rapporto di consulenza. La data di riferimento è quella
dell’affidamento del mandato o del compimento dell’operazione - per conto di un cliente anche
occasionale — che comporti trasmissione di mezzi di pagamento superiori a 15 mila euro. La scheda va
utilizzata anche quando l’operazione è di valore indeterminato o non determinabile (come l’affidamento
della tenuta dei registri contabili). La registrazione dei dati del cliente (non di altre informazioni
contenute nella scheda) e di chi eventualmente lo rappresenta dovranno essere inseriti, entro 30 giorni
dalla data dell’incarico o dell’operazione, in un archivio unico, tenuto con modalità cartacea o
informatica. Il “registro della clientela” (non più “archivio unico cartaceo”) è disciplinato dall’articolo
38 del decreto: non è quello imposto dalia normativa fiscale, è un registro a parte. L’unica deroga è
consentita ai notai, che possono utilizzare a fini antiriciclaggio i repertori, opportunamente integrati in
base alla legge Bersani. Per i commercialisti è prevista l’esenzione dell’adeguata verifica e della
registrazione (non della segnalazione) per la «mera attività di redazione e/o di trasmissione della
dichiarazione dei redditi» (articolo 12, comma 3, Dlgs 231/2007): quindi solo l’opera che consiste nella
materiale compilazione dei modelli fiscali. E naturalmente escluso tutto ciò che è propedeutico, cioè la
tenuta della contabilità e altri incarichi che possano concretizzare una “consulenza”. La segnalazione di,
operazione sospetta non è obbligatoria né facoltativa per le informazioni ricevute dal commercialista
quando esercita poteri di difesa o rappresentanza nei giudizi tributari, quando è curatore fallimentare o
consulente, tecnico d’ufficio.
Consulenti del lavoro. Sbaglia chi pensa che siano esclusi. Non a caso i consulenti sono iscritti alla
lettera a) del comma 1 dell’articolo 12 del decreto. Tuttavia, l’articolo 12, comma 3, può trarre inganno
perché prevede l’esenzione per gli “adempimenti in materia di amministrazione del personale”.
L’esclusione riguarda dunque gli adempimenti per la compilazione di buste paga e calcoli legati
all’attività previdenziale obbligatoria. Se il consulente del lavoro presta invece attività di consulenza,
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per esempio impostando e gestendo un piano di assunzioni di personale per conto di un’azienda, è
evidente che ci sono adempimenti antiriciclaggio.
Avvocati. Sono assoggettati all’obbligo di adeguata verifica e di registrazione nei casi previsti
dall’articolo 12, alla lettera c) del comma 1. Un’elencazione che condensa tutta la casistica possibile.
Un esempio? L’assistenza al cliente che costituisce una società e tutte le operazioni collegate. La
criminalità organizzata usa questo canale di frequente. Sono esentate le attività legate alla difesa. Anche
gli avvocati hanno la possibilità di scegliere l’archivio cartaceo o informatico. Le recenti sentenze della
giurisprudenza belga e francese non possono essere considerate dei precedenti per chiedere l’esenzione
dagli obblighi. L’Ue è legittimata (anche dalla nota sentenza della Corte di Giustizia dell’arino scorso)
ad aprire una procedura di infrazione contro gli Stati che non applicano la normativa comunitaria.
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ITALIA OGGI
La Corte dei conti mette al bando le lungaggini con una sentenza che richiama la legge Pinto
Fallimenti lenti, c'è danno erariale
Il ministero della giustizia può rivalersi sui curatori-lumaca
Rischia il danno erariale il curatore che, senza documentato motivo, tiri per le lunghe una procedura
fallimentare. Se il fallito ricorre alla giustizia ordinaria per la violazione alla Legge Pinto sulla durata
ragionevole dei processi e il ministero della giustizia viene costretto a pagare una somma di denaro, il
dicastero stesso può poi rivalersi sul curatore, attraverso il giudizio contabile.
È quanto contenuto nell'atto di citazione n. 2342/2008 con cui il procuratore regionale della Corte dei
conti Sicilia, Guido Carlino, intende rinviare a giudizio un curatore fallimentare che da ben nove anni
non riesce (o meglio non vuole chiudere) una procedura. Comportamento omissivo e negligente che ha
causato alle casse del pubblico erario un danno di 7 mila euro, pari a quanto contenuto nella sentenza
emessa dalla corte di appello di Caltanissetta che ha condannato il ministero della giustizia a rifondere
il soggetto «inciso» dal fallimento per le lungaggini dallo stesso subito. Un documento, quello della
magistratura contabile siciliana, che potrebbe creare un valido deterrente, se confermato in sede
giudicante, ai fallimenti lumaca.
Va da sé che l'impulso all'apertura del procedimento di responsabilità amministrativa lo ha dato proprio
la trasmissione, da parte della sezione equa riparazione della corte di appello del capoluogo nisseno,
della copia del decreto con cui si accoglieva la domanda proposta dal soggetto sottoposto a procedura
fallimentare per il danno non patrimoniale dallo stesso subito a causa dell'eccessiva durata della citata
procedura pendente innanzi al tribunale di Trapani.
Come si ricorderà, la legge n. 89/2001(Legge Pinto) prevede un'equa riparazione a favore di coloro che
abbiano subito un danno per effetto della violazione del termine di ragionevole durata del processo. A
sgomberare il campo da possibili profili di giurisdizione della magistratura contabile sulla figura del
curatore, la citazione del procuratore siciliano, non lascia alcun dubbio. Egli assume un rapporto di
servizio con l'amministrazione della giustizia nell'ambito di una procedura, quella fallimentare,
«fortemente connotata da profili pubblicistici». Il curatore è pertanto un pubblico ufficiale (art. 30 legge
fallimentare) e ne è prova che compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice
delegato.
Venendo al merito del danno causato alle casse dell'amministrazione giudiziaria, l'attenta disamina
operata nell'atto di citazione ha permesso di evincere che il ritardo nella definizione del giudizio è stato
determinato unicamente dalla condotta del curatore fallimentare, in quanto, dopo le attività di verifica
dello stato passivo, si legge nel testo, «non diede più impulso alla procedura», omettendo di procedere
alla liquidazione dell'unico bene acquisito all'attivo fallimentare. Inerzia che si è protratta per nove anni
e che è costata la censura della Corte d'appello per violazione del termine ragionevole del processo.
Sarà adesso un collegio giudicante ad accertare il danno. Antonio G. Paladino
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