Diario calais e dunkerque II

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Diario calais e dunkerque II
30/4/2016
M^C^O
viale Molise 68
The way up
(to) here
#daquassùlaterraèbellissima
Diario calais e dunkerque II
È bello stare in mezzo a tante persone
nuove unite sotto il tetto di un obbiettivo
comune, ma è anche bello incontrare
vecchi amici, insieme per portare
solidarietà internazionale in un campo
emergenziale nel cuore dell’Europa.
La sorpresa del mattino, oltre ad un
cielo finalmente limpido, è l’arrivo di un
furgone targato Italia carico di aiuti. Sono
gli amici di Hope Speranza for Children
arrivati in nottata che vengono accolti
dal solito entusiasmo dei magazzinieri
oltre che dal caffè appena uscito dalla
nostra moka. L’ultima volta ci eravamo
visti a dicembre, a Macao, per un
incontro sulle politiche europee sul tema
dell’immigrazione. “Ci vediamo presto!”.
Già, si finisce sempre per salutarsi così
pur sapendo che in fondo potrebbero
passare mesi o anni, ma per una
fortunata coincidenza, sono state le prime
persone che abbiamo incontrato questa
mattina.
Ci mettiamo d’accordo per incontrarci
più tardi alla Jungle, luogo dove di lì
a poco ci saremmo diretti. Ottenuto il
pass di autorizzazione per entrare con la
macchina, guidiamo quei 10-15 minuti
che separano la Warehouse dal campo
ignorando completamente quello che ci
saremmo trovati davanti a breve.
L’arrivo non è per niente simile a quello
del campo di Dunkerque: già a qualche
centinaio di metri dall’ingresso Sud del
campo, decine di mezzi della polizia
presidiano l’area e rendendo l’atmosfera
piuttosto tesa. Ovviamente veniamo
fermati, nessun veicolo può entrare senza
l’autorizzazione della polizia. Controllano
il nostro pass e ci lasciano passare un
po’ stizziti. Seguiamo la strada sterrata
e fangosa che porta a quello che un
tempo era l’area sud del campo evitando
i cumuli di materiale abbandonato, i resti
delle baracche demolite e detriti per
raggiungere l’Infopoint, una delle poche
strutture rimaste ancora in piedi nell’arco
di circa 100 metri intorno a noi. La vista è
una di quelle che difficilmente si possono
dimenticare. Sembra quasi di vedere gli
effetti di una frana, con oggetti, vestiti,
tende e materiali vari inghiottiti dal fango
e dall’acqua. Fa male camminarci sopra,
calpestare pezzi di vita di qualcuno che
un tempo animava le strade di questa
città nella città e che è stato cacciato con
violenza.
Veniamo accolti nell’Infopoint da una
volontaria, visibilmente provata, ci fa
accomodare e ci spiega come vanno
le cose e chi possiamo incontrare.
All’interno due uomini intorno alla
stufa, con delle mascherine da chirurgo
sulla faccia, in silenzio. Forse il cartello
“HUNGER STRIKE” appeso alla porta
si riferisce proprio a loro ma non ci
sentiamo di chiedere nulla a riguardo.
Ci viene suggerito di recarci ad un altro
Infopoint, nel lato nord del campo, gestito
da un gruppo di attivisti spagnoli, per
avere maggiori informazioni sulle attività
in corso e sulle loro necessità. Il lato
nord, al momento, non è ancora oggetto
di demolizione e molte delle persone
sgomberate si sono spostate là. Arrivarci
non è semplice perché un cordone
di polizia in assetto antisommossa
impedisce a chiunque di avvicinarsi alla
via che porta al lato nord: alle loro spalle
infatti, stanno proseguendo le demolizioni
e la strada è chiusa. Dobbiamo quindi
uscire dal campo e girarci intorno
dall’esterno e a mano a mano che ci
avviciniamo la landa desolata si trasforma
nuovamente in piccola città in fermento.
Qua dove lo sgombero non è ancora
avvenuto ci si comporta come nulla
fosse. Fuori e dentro dalle baracche in
legno c’è un gran via vai di persone che
trasportano materiali, che si accalcano
in piccole file davanti ai negozietti
improvvisati o che semplicemente
prendono un chai chiacchierando fra loro.
In questa parte di esplorazione siamo con
Francesca, attivista di No Borders che
si trova a Calais da 5 mesi. Ci racconta
di quanto sia complicata la situazione
all’interno della Jungle, di come si è
arrivati persino a scontrarsi all’interno del
movimento e della violenza della polizia.
Ci racconta anche di dieci migranti in
sciopero della fame da alcuni giorni che
si sono cuciti le labbra a vicenda per dare
più forza alla protesta (ecco il perché
delle mascherine).
Li vicino una calca di persone discute
animatamente con degli uomini inglesi
in divisa: sono ufficiali di frontiera,
venuti dall’altra parte della manica per
convincere i profughi a chiedere asilo in
Francia senza tentare di attraversare il
tunnel della Manica.** Un insegnante di
inglese siriano, che ci ha accompagnato
per un po’, ci raccontava di come molti
di loro siano effettivamente riusciti a
raggiungere il Regno Unito, ma siano stati
riportati indietro in Francia senza uno
straccio di documentazione che attesti
il fatto che abbiano raggiunto il suolo
inglese. Mi chiedo come sia possibile che
le autorità possano agire indisturbate e
nell’illegalità più totale disumanizzando
le persone al punto di portarle avanti e
indietro come dei pacchi postali spediti
all’indirizzo sbagliato. Mi chiedo dove
siano gli osservatori internazionali tanto
attivi in alcune parti del mondo e perché
chiudono più di un occhio quando si tratta
di Europa. Sulla via del ritorno passiamo
nuovamente nella zona demolita e tutto
intorno persone vagano alla ricerca
di materiale da recuperare dal fango
per portarlo nell’altra parte di campo.
Si vedono gruppi spingere carrelli di
legname, portare materassi o addirittura
trascinare le pesanti baracche rimaste
ancora in piedi per riutilizzarle dall’altra
parte del campo.
Vicino a noi, due colonne di fumo nero e
fitto si alzano verso il cielo. Prima che la
polizia in antisommossa chiuda l’area, si
intravedono delle insegne scritte a mano
avvolte dalle fiamme. Quelli che furono
due negozietti stanno ora crollando
sotto al fuoco. Quella che è stata la vita
di qualcuno è ora l’ennesimo cumulo di
detriti in una distesa di fango.
Accio
** Francia e Regno Unito nel 2003 hanno
siglato un accordo bilaterale (il cd. “La
Touquet Agreement”) che prevede per la
polizia di frontiera inglese la possibilità
di pattugliare nei territori francesi di
frontiera (come Calais) con lo scopo di
bloccare i migranti verso l’UK. L’accordo,
in vigore dal 2005, ha ridotto del 90% gli
arrivi di migranti in UK negli ultimi dieci
anni. Questo accordo potrebbe essere
annullato da parte della Francia nel caso
di un Brexit, rendendo così impossibile
per agenti UK pattugliare il confine
francese.