Trasporti e ambiente: quando la tassa è “giusta”
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Trasporti e ambiente: quando la tassa è “giusta”
Trasporti e ambiente: quando la tassa è “giusta” Venerdì 28 Novembre 2014 20:25 di Marco Ponti e Francesco Ramella da Lavoce.info del 25/11/2014 - Una ricerca del Fondo monetario si propone di definire le politiche fiscali più adeguate per le fonti di energia da fossili, concentrandosi sui trasporti. L’Italia con le sue accise sulla benzina è senz’altro tra le nazioni più virtuose. Il futuro nelle scelte di motorizzazione dei paesi emergenti. I COSTI SOCIALI DEI TRASPORTI “Getting Energy Prices Right” (Imf, Washington DC, 2014), la ricerca recentemente resa pubblica dal Fondo monetario (appare di straordinaria vastità. Concerne infatti 156 paesi del mondo, e si ripropone di definire e valutare politiche fiscali per le quattro fonti principali di energia da fonti fossili (carbone, gas naturale, benzina, diesel), tali da “internalizzare i costi esterni” che generano. E ciò tenendo conto di quanto le politiche fiscali nazionali già non “internalizzino” tali costi. Inoltre si spinge successivamente fino a valutare l’ordine di grandezza dei benefici socioeconomici e fiscali che la fissazione di una imposizione corretta genererebbe. Il volume, di quasi 200 pagine, è stato onorato da una prefazione di Christine Lagarde. L’analisi si concentra soprattutto sul settore dei trasporti, per due motivi: la complessità del settore e la presenza di numerose altre esternalità, che in una ottica di internalizzazione non possono certo essere ignorate. Le esternalità considerate per il settore dei trasporti appaiono nel complesso esaustive: infatti, accanto agli effetti climalteranti ed ai danni alle persone proprie di tutte le emissioni gassose in atmosfera, vengono valutati statisticamente i costi sociali degli incidenti ed i fenomeni di congestione. Sulla valutazione di questi ultimi tuttavia non si possono non esprimere tre dubbi metodologici rilevanti. Il primo concerne la definizione di assenza di congestione (flusso veicolare libero) assunto come riferimento: in realtà la teoria dimostra che un flusso libero non è efficiente, perché evidenzia la sottoutilizzazione dell’infrastruttura. Il flusso che massimizza il surplus sociale è intermedio tra il flusso libero e quello congestionato. Nel caso della città di Parigi il rapporto fra costo “economico” della congestione e quello del “tempo perso” è stato stimato da Prud’Homme pari a 1/15. Il secondo dubbio è l’assimilazione della congestione ad altre esternalità: anche qui la teoria, sviluppata dal premio Nobel Buchanan ma certo non universalmente condivisa, include la congestione stradale tra le “esternalità di club”, in cui i soggetti danneggiati coincidono con i soggetti che generano il danno, al contrario delle esternalità da emissioni. Il terzo dubbio è la nota inefficienza dell’uso delle accise sui carburanti nell’internalizzare la congestione: considerata l’estrema variabilità nel tempo e nello spazio del fenomeno è di gran lunga preferibile ricorrere a strumenti del tipo “congestion charge”. Analoga considerazione può essere svolta con riferimento al tema della incidentalità. IL PESO DELL’EUROPA E QUELLO DEI PAESI EMERGENTI Ma qui non c’è spazio per una trattazione più esaustiva di questi punti; c’è solo da osservare che essi collocano tendenzialmente i risultati dello studio del Fmi “on the safe side”, nel senso di non sottostimare le esternalità del settore dei trasporti, piuttosto il contrario. Appare prudenziale anche il costo sociale per tonnellata di CO2 emessa, assunto pari a 35 dollari. Un recente paper che prende in rassegna i dati di 311 studi pubblicati finora indica come valore medio del costo sociale, assumendo un tasso di preferenza intertemporale molto basso (1 per cento), quello di 23 $/tCO2. Tale valore dovrebbe aumentare nel tempo (contemporaneamente si ridurranno i consumi unitari dei veicoli e quindi le emissioni: tra il 2007 ed il 2013, le emissioni 1/2 Trasporti e ambiente: quando la tassa è “giusta” Venerdì 28 Novembre 2014 20:25 medie dei nuovi veicoli in Europa sono diminuiti di oltre il 20 per cento). Dall’analisi condotta emerge come il Fmi, al contrario della Commissione europea, consideri le tasse specifiche sulle fonti energetiche (cioè non l’Iva ecc.), “internalizzanti i costi esterni”, quali che siano gli scopi formalmente dichiarati (le parole non possono mutare il significato economico di tali tasse). La base dati di riferimento dello studio, data la fonte, è ovviamente assai ampia: tutte le maggiori organizzazioni internazionali hanno contribuito, la Banca mondiale e l’Ocse in primo luogo, ma anche la Commissione europea e organismi sanitari di varia natura, e poi moltissimi studi e ricerche di singoli paesi. Da un così ricco campione poi si è potuto estrarre una casistica “per analogia”, che è stata estesa con buoni livelli di confidenza a paesi più poveri di dati diretti. Confrontando i costi sociali delle emissioni con le politiche fiscali dei diversi paesi, è stato prodotto un ranking di paesi più o meno “virtuosi”. Come era logico aspettarsi, il paese meno virtuoso (considerando sia la quantità di emissioni che il livello di internalizzazione) è risultato gli Stati Uniti. Ma è emerso altresì che molti importanti paesi in via di sviluppo non solo non tassano l’uso dei combustibili fossili, ma li sussidiano esplicitamente, ponendoli in commercio a prezzi nettamente inferiori di quelli che spunterebbero sui mercati internazionali (“colpevoli” sono in particolare risultati l’Egitto, l’Indonesia ed il Venezuela). Per quanto concerne in particolare i trasporti, l’Europa, dato l’elevato livello di pressione fiscale sui carburanti, risulta essere particolarmente virtuosa. In generale, tale pressione risulta molto superiore ai costi esterni complessivi, includendovi quindi incidenti e congestione stradale. L’Italia si colloca ovviamente tra i paesi “virtuosi”, cioè con un prelievo per nei trasporti stradali mediamente superiore alle esternalità come prima definite (assai più per la benzina e meno per il gasolio). In uno studio più analitico per il caso italiano era in già effetti emerso che per alcuni settori del trasporto stradale verosimilmente il prelievo fiscale superava le esternalità generate. I numeri relativi sono eloquenti: tassa per litro necessaria per internalizzare tutti i costi esterni, benzina € 0,42, diesel € 0,59. Tassa attuale: benzina € 0,85, diesel € 0,68. Sono dati calcolati per il 2010, per ovvie ragioni di disponibilità omogenea di dati a livello mondiale, ma verosimilmente la pressione fiscale delle accise in questi ultimi anni si è accentuata. Per concludere: a confronto con altri settori inquinanti i trasporti sono quelli che in Italia internalizzano di più i costi esterni mentre ve ne sono altri come l’agricoltura che sono fortemente sussidiati. Certo, sarebbe imprudente e semplicistico concludere che ridurre le accise sui carburanti sia per i paesi “virtuosi” una politica da perseguire, tuttavia la questione meriterebbe di essere sollevata almeno a livello di ricerca sia perché al di sopra di certe soglie di prelievo le entrate complessive non aumentano o addirittura calano, sia per i caratteri di regressività del prelievo (Tabella 1): il “diritto alla mobilità” su quattro ruote non sembra finora avere attirato la stessa attenzione di quello, minoritario, soddisfatto dai mezzi collettivi. Ma anche il notevolissimo “surplus fiscale” che questo settore genera potrebbe contribuire a rendere l’approccio ai problemi della mobilità meno ideologico. 2/2