Martedì 11 Ottobre 2011

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Martedì 11 Ottobre 2011
Federazione italiana bancari e assicurativi
via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136
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sito web: www.fiba.it
Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale
RASSEGNA STAMPA
Martedì 11 Ottobre 2011
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di Tremonti e Bossi.............................................................3
 No dell’Italia al direttorio tra Francia e Germania.
Ottimismo delle borse. ...............................................................................4
 «L’Europa bilaterale non basta per convincere i mercati»...........................5
 «La crisi dell’euro? Può mandare in frantumi il senso dell’Unione»............6
 «La Popolare di Milano cambi Il duale per trovare un alleato»...................7
 Arpe si fa avanti per il consiglio Messori: chiarezza sugli Amici ................9
 Produzione mai così bene dal 2000 ..............................................................10
 Piazza Affari? Adesso imiterà Wall Street Con la campanella d'inizio .......11
 Sims e Sargent, due Nobel anti-crisi ............................................................12
 L’Italia protesta: “Basta vertici a due”
Gelo da Merkel-Sarkozy: “Noi i leader”......................................................13
 “Da voi leadership fragile Parigi e Berlino essenziali
per evitare il contagio”................................................................................14
 “Non ha senso lamentarsi siete tra le cause della crisi
ma Berlusconi pensa ad altro”....................................................................15
 Wall Street Journal attacca Roma
“Conti dubbi per entrare nell’euro” ............................................................16
 L’industria italiana rialza la testa .................................................................17
 Un messaggio contro la recessione:
il Nobel a due studiosi della crescita .........................................................18
 Bpm, la lista Messori all’attacco degli Amici................................................19
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Rassegna Stampa del giorno 11 Ottobre 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
OCCORRE AVER POCA FIDUCIA
DI CHI PARLA TROPPO!!
”
( Giovenale)
Rassegna Stampa del giorno 11 Ottobre 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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A. Bac.
Condono, muro di Tremonti e Bossi
L'idea di un prelievo dell'1% sulle baby pensioni nella legge di Stabilità
ROMA — Il cantiere del decreto Sviluppo procede a rilento tra l'idea di una «minipatrimoniale» e
quella del condono, mentre nella legge di Stabilità spunta l'ipotesi di un prelievo dell'1% sulle baby
pensioni.
Ieri ad Arcore Silvio Berlusconi ha incontrato il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, tenendosi in
contatto con il sottosegretario all'Economia tremontiano, Luigi Casero. La sintesi tra le posizioni è difficile: il premier punterebbe ancora a recuperare risorse, si parla di 4 miliardi, tra l'altro con una minipatrimoniale, forse del 5 per mille, prevedendo una messa in sicurezza del Piano delle grandi opere. Il
Cavaliere però non scarta il condono, magari da inserire nella delega fiscale. Ma la versione del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ieri confermata da un vertice con la Lega, resterebbe quella del
decreto «a costo zero». Alla fine sul decreto Sviluppo potrebbe essere posta la fiducia.
Nel frattempo spunta il prelievo sulle baby pensioni nella legge di Stabilità, la cui approvazione potrebbe slittare oltre metà ottobre, insieme con il decreto Sviluppo. Oggi se ne occuperà il preconsiglio
dei ministri. L'idea del contributo di solidarietà porterebbe poche risorse: qualche decina di milioni di
euro. Il costo degli assegni a coloro che sono andati in pensione con meno di 50 anni, per la precisione
535.752, oggi si aggira sui 9,5 miliardi, 7 dei quali riguardano il pubblico impiego. Le pensioni concesse sotto i 50 anni sono concentrate al Nord: il 65% circa. Al primo posto c'è la Lombardia con
110.497 baby pensioni e una spesa di 1,7 miliardi, poi Veneto, Emilia Romagna e Piemonte.
Sempre nell'ex Finanziaria potrebbe rientrare un'ulteriore stretta sui privilegi residui dei fondi di previdenza speciali (elettrici, telefonici, ecc). E ancora, la proroga per il 2012 della tassazione agevolata al
10% sui premi di produttività e un piccolo stanziamento per l'edilizia scolastica e le borse di studio universitarie. Tra le richieste in lizza c'è anche quella del ministero del Lavoro di rifinanziare per almeno un miliardo gli ammortizzatori sociali e di abbattere i contributi sull'apprendistato, mentre è escluso
un condono previdenziale. Resta in alto mare, e potrebbe essere tra i motivi del rinvio della legge di
Stabilità, la ripartizione dei tagli da 7 miliardi ai ministeri.
Sul condono ieri si è registrato l'ennesimo scambio tra Casero e il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto. «La posizione del governo non è cambiata rispetto a venerdì. C'è una nota di Palazzo
Chigi, e Cicchitto non è il governo ma rappresenta i gruppi», ha detto Casero. In mattinata Cicchitto
aveva denunciato i «tabù ideologici» che inquinano la discussione sul condono; polemiche, aveva detto, «che non ci intimidiscono affatto, per cui non ritiriamo la questione». In serata Cicchitto ha rincarato la dose contro Tremonti, definito un «Savonarola» in una lettera pubblicata oggi sul Foglio. Sul piano tecnico il capogruppo, che ieri si è confrontato telefonicamente con Casero, ha precisato che l'ipotesi del condono «non va esclusa nel caso in cui non bastino le risorse che possono essere recuperate con
interventi fiscali, con l'innalzamento dell'età pensionabile, con la vendita degli immobili».
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No dell’Italia al direttorio
tra Francia e Germania.
Ottimismo delle borse.
Milano guadagna il 3,67%, la migliore d'Europa
LUSSEMBURGO — Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha criticato l'asse franco-tedesco dando
voce ai malumori dei Paesi che più hanno pagato le conseguenze finanziarie delle dilazioni e degli attendismi imposti da Berlino e Parigi nella politica comune anticrisi e nel salvataggio della Grecia.
«Noi pensiamo che una situazione globale non si risolve con assi bilaterali», ha dichiarato Frattini lasciando il Consiglio dei ministri degli Esteri Ue a Lussemburgo e riferendosi all'incontro a Berlino di
domenica scorsa tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy.
Dopo quel colloquio bilaterale il presidente stabile del Consiglio dei governi, il belga Herman Van
Rompuy, ieri ha annunciato a sorpresa lo slittamento del summit Ue dal 17-18 al 23 ottobre per «finalizzare la strategia complessiva sulla crisi del debito sovrano nell'Eurozona». A Lussemburgo è trapelato che Berlino e Parigi vorrebbero più tempo per concordare il loro piano di ricapitalizzazione delle
banche. L'obiettivo è evitare tracolli come quello della banca franco-belga Dexia e contagi a catena.
Ma Sarkozy vorrebbe l'intervento dell'Ue. Merkel preferirebbe che a pagare siano gli azionisti delle
banche o i singoli Stati. Van Rompuy ha aggiunto che ci sarà un Eurogruppo/Ecofin dei ministri finanziari prima del summit. Le Borse europee hanno apprezzato la spinta franco-tedesca alla ricapitalizzazione delle banche in difficoltà. Milano ha chiuso a +3,67%, Francoforte a +3,02%, Parigi a +2,13% e
Londra a +1,8%.
«Francamente di tutto quell'incontro non siamo riusciti a capire quale sia il succo — ha detto Frattini
sul Merkel-Sarkozy di domenica scorsa — . Sarebbe meglio rilanciare il metodo comunitario, che faccia sedere tutti i Paesi membri al tavolo del Consiglio senza perdere tutto questo tempo rischiando di
far fallire la Grecia». Il responsabile della Farnesina si è detto preoccupato delle «tensioni sociali», delle «conseguenze devastanti» per l'Europa di un fallimento di Atene e di un «effetto domino» del tracollo della Dexia. Nell'ultimo Ecofin il ministro dell'Economia Giulio Tremonti aveva già accusato Merkel e Sarkozy per la loro «passeggiata a Deauville». Il presidente della Commissione europea, il portoghese José Manuel Barroso, ha ribadito che «solo uniti» si può uscire dalla crisi. In varie capitali dell'Eurozona le condizioni e i tempi imposti dall'asse franco-tedesco sollevano sempre più perplessità.
Anche perché la linea di Parigi e Berlino non ha risolto la crisi greca, sembra guardare principalmente
alle banche francesi e tedesche esposte nei Paesi a rischio ed è costata carissima ad Atene, Roma, Madrid, Dublino e Lisbona a causa dell'aumento dei tassi sui loro titoli di Stato. Il ministero degli Esteri
tedesco ha replicato a Frattini sostenendo che «Germania e Francia sono le economie nazionali più
grandi dell'Eurozona e hanno una responsabilità particolare per il futuro dell'Europa e della moneta unica». Sarkozy ha fatto sapere di aver riferito per telefono al presidente Usa Barack Obama «i risultati»
dell'incontro di Berlino con la Merkel e di aver ricevuto «il pieno appoggio alla strategia della Germania e della Francia». Parigi e Berlino stanno discutendo anche sull'aumento della quota di perdite sui
titoli greci da attribuire alle banche. La Merkel chiede poi modifiche dei trattati per introdurre controlli
più severi sui conti pubblici. Il tedesco Jorg Asmussen, nuovo membro della Bce, ha però ammonito a
varare un «pacchetto completo» al più presto perché «il contagio si sta diffondendo». Il premier greco
George Papandreou ha fatto sapere che giovedì sarà a Bruxelles da Van Rompuy per sollecitare gli otto
miliardi continuamente rinviati.
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«L’Europa bilaterale non basta per
convincere i mercati»
Verhofstadt: il fondo salva Stati va potenziato. Ma decisioni a maggioranza
I governi di Berlino e Parigi «sono chiamati a fare proposte, ma da soli non possono decidere nulla, se non altro perché i mercati si aspettano impegni sottoscritti da tutti i Paesi europei».
In questi giorni Guy Verhofstadt è in visita in Turchia. Da europeista di lungo corso mantiene vivo lo spirito comunitario che prescrive di coltivare al meglio le relazioni con i vicini, quando non è possibile ampliare i confini dell'Europa. In fondo è lo stesso criterio che l'europarlamentare applica alla crisi dell'euro: serve una risposta largamente condivisa e quindi occorre rilanciare «il metodo comunitario». Verhofstadt, 58 anni, è stato primo ministro del Belgio dal
1999 al 2008. Oggi è il leader del gruppo Alde, (Alleanza tra liberali e democratici per l'Europa) al Parlamento europeo.
Nicolas Sarkozy e Angela Merkel sembrano decisi a dettare all'Unione Europea le misure per uscire dalla crisi economica. Ieri hanno incassato l'appoggio di Barak Obama. Che cosa ne pensa?
«Ben vengano le loro proposte. Siamo tutti pronti a discuterne. Però mi pare evidente che non sarà con una soluzione
intergovernativa che usciremo dalla crisi. Al di là di ogni considerazione politica o giuridica, faccio notare che non è
che le turbolenze sui mercati si plachino ogni volta che viene annunciata un'iniziativa congiunta franco-tedesca».
Qual è il punto critico?
«È difficile credere che i governi possano davvero tenere fede fino in fondo ai loro impegni. Sono comunque soggetti
a pressioni, possono essere costretti a rimandare, rivedere eccetera. Non è questa la strada: i mercati non ci consentono più incertezze, decisioni dall'esito ambiguo».
Dall'altra parte, però, abbiamo assistito a una specie di afasia a livello comunitario. Finora non si è sentita la
voce di Bruxelles. Se non per protestare contro gli sconfinamenti dell'asse franco-tedesco.
«Vero. Ma il presidente della Commissione Barroso ha promesso che presenterà un piano complessivo per salvare
l'euro, perché deve essere chiaro che di questo stiamo parlando e dunque occorre coinvolgere tutti i soggetti politici
e istituzionali toccati dalla moneta unica».
Parlamento compreso allora. Vi limitate ad aspettare le proposte di Barroso?
«Niente affatto. Stiamo lavorando a una risoluzione comune insieme con i gruppi del Ppe, dei socialisti e dei Verdi.
Vale a dire le rappresentanze che coprono circa l'80% del Parlamento europeo. La presenteremo proprio domani,
mercoledì, e sarà un documento dettagliato per incalzare il lavoro della Commissione».
Di che cosa c'è bisogno?
«Innanzitutto serve procedere alla ricapitalizzazione delle banche che sono in difficoltà».
Con quali soldi? Tocca ai singoli governi intervenire o si può ricorrere al fondo finanziario per i salvataggi
(European financial stability facility)?
«Sicuramente il fondo va potenziato e allargato, perché con queste risorse non è in grado di fare fronte a tutti i compiti di cui si vorrebbe caricarlo. Vale a dire: comprare sul mercato bond dei Paesi in difficoltà; prestare denaro alla
Grecia ed eventualmente ad altri Stati e, appunto anche ricapitalizzare le banche».
Sarà un'impresa mettere tutti i Paesi d'accordo su un piano tanto ambizioso, non crede?
«Il vero problema è che le decisioni su come distribuire le risorse del fondo di salvataggio non possono più essere
prese all'unanimità. Ancora una volta: non possiamo permetterci che una decisione importante sia bloccata da una
piccola minoranza. Questo sarà un punto chiave del nostro documento comune».
Pensa davvero che le risorse del fondo, anche «rafforzato»,sarebbero sufficienti?
«La nostra risposta deve anche guardare oltre l'emergenza. Per questo motivo chiediamo di adottare finalmente delle obbligazioni uniche per il mercato europeo. Gli Eurobond insomma, ma non è tutto...».
Come si chiude la lista?
«Tutte queste misure hanno senso se vengono accompagnate da un vero processo di integrazione economica. Dobbiamo costruire un percorso, una "road map", per arrivare ad un'unione economica e monetaria integrata con l'unione fiscale».
Non si sta spingendo troppo in avanti?
«Il Parlamento, pressoché al completo, sottoscrive questo progetto. Penso che sarà questa la base su cui tutti si dovranno confrontare».
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«La crisi dell’euro?
Può mandare in frantumi
il senso dell’Unione»
Monti: «Roma decisiva per la Ue ma estranea alle decisioni»
MILANO — «La mia preoccupazione è che la crisi dell'Eurozona non mandi in frantumi l'euro ma il
senso di appartenenza all'Unione Europea, a un continente comune». Mario Monti, presidente della
Bocconi ed ex commissario Ue, è certo che la moneta unica stia dando prova di forza: «Il caso della
Grecia e le trasformazioni che ora Atene sta mettendo in atto dimostrano il poderoso funzionamento
della macchina dell'euro come vettore di stabilità». Ma l'interrogativo che torna ricorrente nei diversi
Paesi è «più o meno Europa?». E considerata l'Italia, l'altra domanda che sorge è «sacrifici per noi o
per l'Europa?». Il nodo da sciogliere non è solo economico ma anche politico e ne hanno discusso gli
economisti Mario Monti e Franco Bruni con il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli in
un incontro organizzato dalla Fondazione Corriere della Sera, Ispi e Università Bocconi. Sul tavolo ci
sono scelte economiche nazionali, la politica economica dell'Unione Europea e della Bce.
«Il cuore del problema — ha sottolineato Bruni — è la scoperta dell'interdipendenza tra gli Stati». Il
risultato è che «la salute dell'Europa dipende dal successo del riaggiustamento dell'Italia, ma la salvezza del nostro Paese dipende dal completamento del processo di integrazione europea». Anzi, per Monti
«l'Italia non è mai stata così decisiva per l'avvenire dell'Europa e così estranea alle decisioni sull'avvenire dell'Europa». Si tratta per de Bortoli di «un'autoesclusione del nostro Paese dal novero di coloro
che hanno fondato l'Unione Europea». Il risultato di una serie di scelte mancate, come «il ritardo nell'adottare le misure necessarie per la crescita e il continuare a parlare dell'Italia come di eccezione nella
crisi globale» quando invece c'eravamo dentro. Sono state Bruxelles e Francoforte a riportarci con i
piedi per terra, proprio quelle istituzioni che rischiano di essere prese di mira dalle opinioni pubbliche
nazionali se non adeguatamente informate. «Noi italiani senza interventi dall'esterno — ha ricordato
Monti — staremo a vantarci del nostro modello invincibile e misconosciuto dagli analisti internazionali». Del resto, prima della famosa lettera della Bce al nostro governo con il viatico per affrontare la crisi di agosto, la politica sosteneva — tagliando corto — che «l'Italia era vittima della speculazione internazionale», ha fatto presente de Bortoli.
Quella lettera così come il comunicato congiunto di Merkel e Sarkozy a Italia e Spagna, secondo Monti ha messo in evidenza «le derive nella governance europea rispetto ad alcuni Stati membri», la forte
attenuazione del ruolo della Commissione Ue e il protagonismo di Germania e Francia. Tutti chiedono
«un salto di qualità all'Europa» ha spiegato Bruni, ma è anche vero che «siamo abituati a pensare a
Bruxelles come a qualcosa che prosegue con gradualità. E i tempi della politica sono più lenti di quelli
dell'economia».
In più, la lettera della Bce a uno Stato membro ha aperto «una serie di interrogativi»: Monti avrebbe
preferito che «la prescrizione di politica economica arrivasse da Bruxelles e non da Francoforte». E se
Bruni si chiede se si debbano «rivedere le strategie della Bce includendovi la stabilità», Monti si dice
«non favorevole all'inserimento dell'obiettivo di crescita nella Banca centrale europea perché sarebbe
un alibi per gli Stati membri per attribuirle le responsabilità». Il cuore del problema: le scelte dei politici. Monti constata «un crescente populismo persino nell'ambito della politica economica», risultato
dell'orizzonte di «breve termine» di chi è al governo. E per l'ex commissario Ue il rischio a Bruxelles
come a Francoforte è di passare «dalla democrazia alla creditocrazia».
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«La Popolare di Milano cambi
Il duale per trovare un alleato»
L’addio di Ponzellini: me ne andrò senza liquidazione e premi
Bello quel Picasso! Un nuovo acquisto? «Macché! Era nell'antibagno. Meglio nell'ufficio del presidente. Qui in piazza Meda ho portato solo le foto di mia moglie e dei figli e il 22 ottobre me ne andrò con
quelle, niente liquidazioni né premi». Massimo Ponzellini si appresta a lasciare Bipiemme in occasione
dell'assemblea che varerà l'aumento di capitale da 800 milioni e il nuovo governo societario dualistico
di questa singolare cooperativa bancaria, dove i dipendenti azionisti, riuniti nell'Associazione Amici
della Bipiemme, comandano pur avendo solo il 3,5% del capitale e nonostante i ripetuti richiami della
Banca d'Italia.
Sabato sono state depositate le liste per il consiglio di sorveglianza. Il giorno prima la Banca d'Italia le
aveva scritto affinché si superasse lo strapotere sindacale. Oggi doveva riunire il consiglio di amministrazione, ma l'ha rinviato.
Problemi, dottor Ponzellini?
«Ma no. Abbiamo rinviato al 20 per valutare, assieme a Mediobanca, se stabilire il prezzo della nuova
emissione prima o dopo l'assemblea del 22. Ben sapendo che l'impegno delle banche a formare il consorzio di collocamento scade il 31 ottobre».
La Banca d'Italia ha chiesto discontinuità...
«La lettera di venerdì è indirizzata al presidente in forma riservata. Ne ho reso nota la sostanza nel
comunicato, previo accordo con la Vigilanza. In effetti, si chiede una svolta. Liste con nomi di alto
profilo, liberi dalle eredità del passato».
La lista degli Amici, che ricandida consiglieri 5 uscenti su 11 e che poi proporrà ancora Enzo
Chiesa, in quota Uilca, come capo azienda, ha queste caratteristiche?
«Chi fa una rivoluzione non può pretendere di gestirne il seguito. Garibaldi ha cacciato i Borboni, ma
poi ha consegnato il Regno delle Due Sicilie al Piemonte. Nel suo piccolo, il sottoscritto aveva quattro
obiettivi difficili da tenere assieme: l'aumento di capitale; la conservazione della struttura cooperativa; la separazione tra soci e gestione, indispensabile per convincere il mercato a sottoscrivere la nuova emissione; evitare che le tensioni si scaricassero sulla splendida rete della Bipiemme. Questi quattro obiettivi — e il più arduo è il terzo — li stiamo conseguendo. Già 3-4 mesi fa avevo detto in Banca
d'Italia e agli Amici: faccio la rivoluzione e poi non chiedetemi di stare ancora lì».
Ma glielo avrebbero chiesto?
«Non credo. Sa, i rivoluzionari... In ogni caso, a scanso di equivoci, dal 22 ottobre squadra nuova».
E quella degli Amici è abbastanza nuova?
«Avrei visto con immenso piacere una lista con persone che avessero in maggior grado le caratteristiche richieste dalla Banca d'Italia. Ma gli Amici vanno anche capiti».
Sembrano un sindacato azionario non dichiarato alla Consob, che controlla l'assemblea sfruttando il voto capitario.
«I patti di sindacato azionario delle spa perseguono l'interesse capitalistico dei soci. Gli Amici coltivano un'idea di banca cooperativa fatta dai dipendenti, che spesso sono qui da generazioni».
Gli accordi tra gli Amici e Andrea Bonomi configurano un concerto da comunicare alla Consob?
«No. Gli Amici avranno parlato con tutti. Anche con Arpe».
Arpe non ha comprato azioni.
«Gliene va dato atto. Arpe ha chiesto di incontrare i dipendenti ed è un'iniziativa che vedo con favo-
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L'acquisto di titoli effettuato da Bonomi tra approvazione e pubblicazione dello statuto configura l'uso di informazioni sensibili?
«Gli Amici non sanno nemmeno tradurre insider trading e Bonomi ha comprato ma non ha venduto».
La Bipiemme non va bene.
«Nel 2011, il titolo Bipiemme ha perso meno degli altri bancari».
Troppe sofferenze, per la Vigilanza.
«Ho controllato le 40 posizioni più a rischio. Nessuna ha meno di tre anni. Durante la mia presidenza,
si son contenuti i danni della crisi».
Troppo esposti verso il settore immobiliare, dice ancora Roma.
«Abbiamo spiegato alla Vigilanza che solo il 10% dei crediti immobiliari ha carattere speculativo. Il
resto è legato all'economia reale».
I sottoscrittori del vostro prestito convertendo al dunque perderanno assai. Chi ha avuto l'idea?
«Tecnicamente viene dalla direzione generale, ma il consiglio l'ha fatto suo e non darei la croce addosso a nessuno. Come crede si trovino quelli che hanno sottoscritto gli aumenti di capitale delle altre
banche?».
Serviva a rimborsare i costosi Tremonti bond. E invece li tenete.
«All'attuale costo della raccolta i Tremonti bond cominciano ad avvicinarsi alla convenienza».
Chiedete ancora soldi ai soci.
«La Vigilanza esige maggior liquidità».
La Borsa risponderà bene se la gestione del personale viene decisa tramite accordi riservati sindacati-Amici?
«L'aumento andrà in porto. Anche e soprattutto per la forza della nostra rete. E lì si scoprirà il vantaggio di avere dipendenti soci. Quanto ai carteggi privati tra sindacati, il consiglio non ne ha avuto
evidenza, la direzione non ha mai firmato nulla...».
Ma se agli Amici tutti i top manager devono il posto?
«Guardi che qui, da sempre, tutti i consiglieri avevano l'etichetta di un sindacato. Ma i comportamenti
conteranno più delle etichette. E la Bipiemme ha appena ricevuto il plauso degli analisti di Deutsche
Bank. Comunque, per scrupolo, stiamo vagliando le promozioni degli ultimi 5 anni. Ce ne saranno
200 su alcune migliaia in teoria ascrivibili a persone collegabili all'Associazione. E in genere si tratta
di carriere addirittura più lente».
Tanto rumore per nulla?
«No. Non va bene dare anche solo l'idea che la gestione del personale stia altrove. Serve un maggior
impegno sul fronte della meritocrazia. Una riforma ci vuole. Lo stesso fronte sindacale è in fase di ripensamento. Fabi e Fiba-Cisl sostengono l'altra lista guidata da Messori e sostenuta da Arpe...».
Come le pare questa seconda lista?
«Posso dire che vi colgo nomi di qualità, meno riconoscibili nella geografia della banca».
Dunque una lista più vicina alla Banca d'Italia.
«Da presidente resto neutrale. Pure Annunziata, candidato presidente degli Amici, è vicino a via Nazionale. Forse chi sta fuori da questi uffici dimentica che, alla fine, i voti bisogna prenderli».
Se si violano le regole, i diritti di voto possono essere sterilizzati.
«Sulla carta. Ma se anche, per ipotesi, si sterilizzassero i voti dei dipendenti aderenti agli Amici della
Bipiemme, ci sarebbero le mogli, i pensionati, gli amici degli Amici. Il consenso in una popolare è una
cosa seria. Ci vuole pazienza, capacità di convincere. Le esibizioni muscolari non servono».
A un presidente che termina il suo mandato si deve chiedere quale prospettiva ha l'azienda che
lascia. La Bipiemme potrà continuare da sola o è meglio che si fonda con altre popolari ovvero
con istituti diversi, come Mediobanca?
«Credo che la concentrazione nel sistema bancario italiano non sia ancora terminata. In generale, ritengo sia meno difficile associarsi ai propri simili. E la nuova governance la renderà possibile».
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Arpe si fa avanti per il consiglio
Messori: chiarezza sugli Amici
MILANO — Finora era rimasto dietro le quinte. Solo sabato, con il deposito ufficiale delle liste per la
nomina del consiglio di sorveglianza della Bpm, si è vista chiaramente l'impronta di Matteo Arpe nell'elenco presentato da Fabi e Fiba, guidato da Marcello Messori. E ieri il banchiere milanese è uscito
ufficialmente allo scoperto manifestando «la propria disponibilità di principio» a far parte del nuovo
consiglio di gestione di Bpm.
Lo ha fatto sapere lo stesso Messori che mercoledì inizierà la sua «campagna elettorale» probabilmente
insieme ad Arpe. Nel comunicato con cui ha dato notizia della disponibilità del patron della Sator, l'ex
presidente di Assogestioni ha chiesto anche al board di Bpm di vigilare affinché ci sia «un processo di
massima trasparenza capace di consentire a tutte le liste di competere con regole esplicite e comuni»
alle elezioni del nuovo consiglio di sorveglianza in programma il 22 ottobre. Non un invito generico:
Messori ha chiesto in particolare di «chiarire se il noto documento “Promozioni politici”, recentemente
pubblicato da organi di stampa, sia autentico e se esso sia stato firmato da membri dell'Associazione
Amici della Bipiemme». Se così fosse «si configurerebbe un insanabile conflitto di interesse».
Ad accertarlo sarà il consiglio straordinario chiesto dalle minoranze, originariamente convocato per
oggi che però è slittato al 20 «in attesa delle risultanze delle indagini» ha spiegato ieri il presidente di
Piazza Meda, Massimo Ponzellini. L'indagine punta ad accertare se l'accordo con cui è stata creata una
corsia preferenziale per le carriere degli Amici abbia avuto effetti concreti. Anche la Banca d'Italia avrebbe chiesto informazioni in proposito. Il consiglio, che martedì scorso aveva liquidato il documento
in fretta e furia, spiegando in una nota di non esserne al corrente, dovrà quindi dare una risposta ufficiale a Palazzo Koch. La richiesta sarebbe contenuta nella stessa lettera inviata venerdì scorso alla
Bpm, con cui la Vigilanza ha chiesto per Piazza Meda un rinnovo integrale degli organi sociali. Un
messaggio che a molti è suonato come un invito agli Amici. Per i quali, invece, si tratta solo di un auspicio, tant'è che nella lista depositata sabato hanno ricandidato cinque attuali consiglieri. «Non sfidiamo nessuno, tanto meno la Banca d'Italia ma siamo disponibili a un confronto» ha spiegato Massimo Masi, segretario generale della Uilca che con la Fisac sostiene la lista Amici. Anche tra i candidati
dei soci non dipendenti ci sono attuali consiglieri Bpm: tre su cinque. E uno in quella guidata da Messori.
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Produzione mai così bene dal 2000
Salto del 4,3%. L'Istat: dato influenzato dalla volatilità di agosto
MILANO — Un boom, all'apparenza. O quanto meno un inatteso, forte risveglio. Arrivano i dati Istat
sulla produzione industriale di agosto e sembrano dare un primo controsegnale a tutti gli allarmi sull'Italia che non cresce. Indice congiunturale mensile: +4,3% (rispetto a luglio). Indice tendenziale annuo,
corretto per gli effetti del calendario: +4,7%. Media dei primi otto mesi 2011: +1,7%. Dell'ultimo trimestre: +0,7%. Sono numeri che sorprendono gli analisti. Una leggera correzione al rialzo se l'aspettavano. Ma limitata: intorno allo 0,2%. Si ritrovano quel 4,3% che rappresenta l'incremento mensile più
consistente mai registrato dal gennaio 2000. Spia di un'insperata ripresa, trainata dall'export e favorita
dal progressivo indebolimento dell'euro? No, è la risposta secca.
Lo si potrebbe pensare scomponendo l'indice tendenziale, il +4,7% della proiezione annua: la linea poco più che piatta dei beni di consumo (+0,6%) è compensata da una crescita robusta della produzione
di beni intermedi e strumentali (+8,3% e +6,9%). Un quadro al cui interno un solo settore segna un pesante calo: il tessile-abbigliamento, giù del 10%. E un altro va marcatamente sopra la media: l'auto,
con un balzo addirittura del 31,7%.
Proprio questo, però, è l'indicatore più evidente di una classica «distorsione statistica». Sono gli stessi
uomini dell'Istat, del resto, a sottolineare la «volatilità storica» di un mese come agosto. Le fabbriche
chiudono per ferie, la base ridotta di attività enfatizza variazioni in sé minime, gli «aggiustamenti stagionali» sono più importanti ma anche più difficili da rilevare. Si spiega così lo scetticismo generale.
Non sulla correttezza della rilevazione in sé, ovviamente, ma sull'effettivo significato di quell'apparente salto. Dal fronte del governo si tende — ed è scontato — a leggere il dato di agosto come una certificazione di avvio di ripresa. Per Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, «ci dice che l'economia italiana si muove: con le prossime misure dobbiamo assecondare questa attitudine». Per Paolo Romani,
titolare dello Sviluppo, non è solo «un segnale incoraggiante che dimostra la solidità dell'economia italiana»: indica che «il Paese ha ripreso a camminare sulla strada dello sviluppo», su cui ora «è necessario accelerare». Su questo, sulla «necessità di accelerare», nessun dubbio dalle parti sociali. L'inversione di tendenza, però, non la vedono né gli analisti, né le imprese, né il sindacato. «Non illudiamoci»,
avverte la Cgil: agosto è «un mese anomalo», il fatto che a settembre «la cassa integrazione abbia ripreso a crescere» dimostra che «l'inversione non c'è». La Cisl registra il «positivo rimbalzo». Gli stessi
dati Istat, aggiunge, confermano però «la lunga e preoccupante fase di stagnazione».
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Piazza Affari?
Adesso imiterà Wall Street
Con la campanella d’inizio
MILANO — Piazza Affari come Wall Street. Borsa italiana sta pensando a una cerimonia di apertura e
chiusura delle contrattazioni proprio come nello stile della city americana, dove ogni giorno presidenti,
manager delle più importanti multinazionali e star reclutate per l'occasione, sgomitano per suonare la
campana di avvio degli «scambi». Una cerimonia che a breve («nelle prossime settimane») potrebbe
essere importata a Palazzo Mezzanotte. L'obiettivo? «Umanizzare» la Borsa e attirare nuovamente la
fiducia degli italiani che, con la crisi e i recenti sbandamenti dei mercati, hanno portato il livello delle
azioni da loro possedute ai minimi storici. Dal 18% del 2000 si è passati al 7% del gennaio scorso fino
al 4% di oggi. Non a torto considerato che le sole banche italiane, che al 1 luglio valevano a Piazza Affari 92,6 milioni di euro, oggi valgono 57 milioni. «Dopo la fusione con Londra siamo una Borsa globale — ha spiegato ieri l'ad di Borsa italiana Raffaele Jerusalmi, nella presentazione della campagna
«La Borsa c'è», in collaborazione con il gruppo Milano Finanza e Class Cnbc — e non è vero che siamo stati colonizzati. Ma l'investitore retail è spaventato, bisogna riconquistare la sua fiducia». Insieme
a quelle delle società, per cui Jerusalmi ha annunciato ieri di voler presentare a livello istituzionale la
possibilità di rendere deducibili le spese per la quotazione.
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Sims e Sargent, due Nobel anti-crisi
I vincitori del premio per l'Economia hanno studiato i rapporti tra politica e crescita
E le risposte alla congiuntura
NEW YORK — Nel 1976 Robert Lucas, celebre economista della Scuola di Chicago, criticò come inefficaci i modelli econometrici usati per analizzare in quegli anni l'insidiosa crisi globale sfociata nel
fenomeno della «stagflazione». Le ricerche, condotte separatamente da Christopher Sims e da Thomas
Sargent — che ieri sono valse ai due accademici americani il Nobel per l'Economia — sono partite
proprio da quella critica. La Reale Accademia delle Scienze di Svezia alterna riconoscimenti a personaggi relativamente giovani, apparente conferiti con l'intento di premiare le loro vedute progressiste
(Krugman, Stiglitz), a premi a personaggi meno noti i cui contributi di studio sono più tecnici e possono risalire anche a più di quarant'anni fa. La decisione annunciata ieri appartiene di certo alla seconda
categoria, ma ha, comunque, un suo aspetto singolare perché i due premiati — uniti dal genere di ricerche effettuate oltre trent'anni fa e dal fatto di insegnare in questo momento, e in modo del tutto casuale, a Princeton — sono assai diversi. Sims, un 68enne cresciuto a Princeton, è considerato uno dei
padri della moderna analisi macroeconomica. Suo il «metodo VAR» (se l'espressione vi sembra oscura, pensate che l'alternativa è "autoregressione vettoriale") utilizzato per analizzare, utilizzando un'infinità di formule matematiche, il modo in cui l'economia viene influenzata dalle scelte di politica economica dei governi e da quelle monetarie delle banche centrali. Analisi matematiche che richiedono
tempo e pazienza e che consentono di capire solo dopo un bel po' di tempo se un certo intervento ha
avuto gli effetti attesi o no. «Il mio metodo non dà risposte alla crisi attuale. Non ho idea di come si
possa uscire da questo macello» ha detto ieri Sims, facendo ricorso a un linguaggio assai poco accademico, appena buttato giù dal letto alle 7 del mattino da una telefonata da Stoccolma che gli annunciava il premio e lo trascinava subito in un'audioconferenza stampa.
Ma il contenuto scientifico del lavoro di Sims è certamente di altissimo livello. Basti dire che la sua
costruzione macroeconomica è alla base di molte delle ricerche condotte da Ben Bernanke (economista
a Princeton prima di andare alla Casa Bianca con Bush e, poi, alla Federal Reserve) e dal capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard.
Anche Sargent è partito dalla sfida di Robert Lucas che, tra l'altro, esaminando l'esperienza dell'iperinflazione europea dopo le guerre mondiali, si chiedeva come fosse possibile combattere l'inflazione
senza provocare una grave recessione. La risposta data da questo docente della New York University
ha seguito percorsi diversi perché Sargent è un personaggio più eclettico di Sims: economista ma anche storico dell'economia, è celebre soprattutto per aver costruito all'inizio della sua carriera accademica la teoria delle aspettative razionali che, benché contestata da molti, ha finito per influenzare profondamente il pensiero economico, il comportamento degli attori politici e, a volte, anche delle autorità
monetarie. Nonostante la contestazione della scuola dell'economia comportamentale e la stessa correzione di rotta di Sargent che, anno dopo anno, modificò le sue convinzioni, l'idea che i soggetti del
mercato scelgano sempre in modo razionale e siano, perciò, più «saggi» dei governi, è divenuta una
bandiera dei liberisti e, a partire dagli anni 90 del Novecento, è stata applicata con rigidità ideologica
anche dall'allora capo della Fed, Alan Greenspan. Ma il contributo scientifico di Sargent è andato ben
oltre la tesi che gli ha dato la celebrità.
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Lo scontro
L’Italia protesta: “Basta vertici a due”
Gelo da Merkel-Sarkozy: “Noi i leader”
Obama appoggia l´asse franco-tedesco, le Borse volano
ROMA - Italia contraria al patto Merkel-Sarkozy per un governo unico dell´Europa. A protestare stavolta è il ministro degli Esteri, Franco Frattini: «Noi pensiamo che una situazione globale non si risolve con assi bilaterali». Immediata le repliche: «La Francia e la Germania non hanno nessuna vocazione ad essere il Direttorio della Ue», spiegano fonti francesi. E da Berlino: «Siamo le economie più
grandi dell´Eurozona. Abbiamo una responsabilità particolare per il futuro dell´Europa e dell´euro».
Ne nasce un caso, l´ennesimo. Tanto più che anche il presidente Usa, Obama, chiama Sarkozy dando «pieno sostegno alla strategia» franco-tedesca per rispondere alla crisi. Analoga telefonata c´è
stata pure con il premier inglese Cameron: «Servono azioni decise». Il tutto, mentre la Bce, con il
numero due Constancio, lancia l´allarme-contagio: il fondo salva-Stati deve aiutare Italia e Spagna.
Ma le Borse festeggiano: il summit a due, considerato decisivo per risolvere la crisi del debito, galvanizza i mercati. Ovunque, tranne ad Atene, domina il segno più. Francoforte guadagna il 3%, Parigi il
2,1%, Londra l´1,8% e Milano chiude con un rialzo del 3,66%.
Comunque, Frattini bolla il faccia a faccia Merkel-Sarkozy come una perdita di tempo: «Di tutto
l´incontro non siamo riusciti a comprendere quale sia stato il succo, non c´era un´agenda dichiarata,
non sappiamo neanche se c´era un´agenda sostanziale. Sarebbe molto meglio rilanciare il metodo
comunitario, che fa sedere i 27 attorno al tavolo del Consiglio, senza perdere tutto questo tempo che
rischia di fare fallire la Grecia». Però il dialogo privilegiato tra Francia e Germania è servito a dare il sì
politico alla ricapitalizzazione delle banche, alla riforma dei Trattati e ad affrontare la crisi greca: un
pacchetto globale sarà pronto entro il mese, in tempo per il G20 di Cannes. Di qui il rinvio - una sorpresa - del vertice Ue dei capi di governo al 23 ottobre.
Nel panorama euforico dei mercati spicca l´altalena del titolo Dexia, il colosso franco-belga appena
salvato con un piano da 4 miliardi per l´acquisizione da parte di Bruxelles della filiale belga. Un´altra
offerta per la branca lussemburghese è arrivata dal Qatar. Sospeso, il titolo è affondato del 36%, per
poi riprendersi. Frattini: «E l´antipasto dell´effetto-domino» di un mancato salvataggio della Grecia. Ad
Atene, gli esperti di Fmi-Ue-Bce stanno chiudendo il negoziato sugli aiuti; a giorni il premier Papandreou incontrerà il leader Ue Van Rompuy mentre la stampa tedesca continua a scrivere che Merkel
sarebbe per il default. Frattini: «Senza aiuti, conseguenze devastanti per la Ue».
Contro l´asse franco-tedesco negli anni si sono espressi: Buttiglione, Casini, Tremonti, Marzano. Nel
2005, lo stesso Frattini si era detto convinto che questo Direttorio fosse ormai «morto». Il nuovo caso
suscita polemiche anche all´interno. «L´esclusione dell´Italia è la conseguenza dell´assenza di governo», Enrico Letta, Pd. Ed Evangelisti (Idv): Berlusconi è fuori dai vertici per indegnità politica e morale». Amaro il commento dell´economista Mario Monti: «L´Italia non è mai stata così estranea alle decisioni sull´Europa».
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Henri Gibier, direttore del giornale francese Les Echos
“Da voi leadership fragile
Parigi e Berlino essenziali
per evitare il contagio”
La sovranità italiana non è a rischio. Ma data la confusione istituzionale italiana, tocca a
Francia e Germania agire
PARIGI - «L’
Italia soffre di un deficit di leadership. È una fragilità che ormai preoccupa tutti i partner
europei». Henri Gibier è il direttore di Les Echos, principale giornale economico francese. «Angela
Merkel e Nicolas Sarkozy - spiega - stanno cercando di creare un cordone sanitario intorno all´Italia.
L’
asse franco-tedesco vuole infatti evitare l´effetto contagio sul vostro Paese in caso di default greco».
Eppure il ministro Frattini sostiene che la riunione tra Merkel e Sarkozy è stata deludente, che
si è trattato solo di una perdita di tempo.
«Non mi sembra una visione corretta. Gli obiettivi sono ambiziosi. Germania e Francia hanno annunciato modifiche importanti ai Trattati e si sono impegnate chiaramente per la ricapitalizzazione delle
banche».
Ma non è chiaro come si procederà per raggiungere questi obiettivi.
«Non sono stati ancora forniti i dettagli. Conosciamo solo la scadenza temporale di questi obiettivi,
ovvero il prossimo G20. Per ora si tratta di una dichiarazione d´intenti. Ma il fatto che ci sia una volontà comune è già fondamentale. Ora speriamo che i tempi saranno rapidi e comunque adeguati
all´urgenza della situazione».
Bisognerebbe tornare a un metodo più “comunitario”come chiede il governo italiano?
«In questo momento la Francia presiede il G20, quindi Sarkozy deve giustamente fare di tutto per
preparare al meglio il prossimo vertice. Ma non nascondiamoci dietro a un dito. L´Europa ha sempre
funzionato così. L´accordo franco-tedesco è necessario, anche se non sufficiente, per avanzare.
Senza queste due potenze europee, nessuna soluzione sarebbe possibile».
Intanto però l’Italia, al centro delle discussioni, viene esclusa.
«Non è a rischio la vostra sovranità. Ma data la confusione istituzionale che c´è in questo momento in
Italia, spetta a Germania e Francia fare di tutto per evitare lo scenario peggiore. Solo questi due Paesi hanno i mezzi finanziari per garantire la stabilità dell´Eurozona in caso di default greco e conseguente attacco all´Italia».
Pensa che un’uscita di Silvio Berlusconi risolverebbe il problema di fiducia dei mercati?
«La fragilità esagerata della vostra attuale leadership è sotto gli occhi di tutti. Soffrite di una mancanza di affidabilità politica. I mercati sono estremamente sensibili a questa incertezza, lo abbiamo visto
quando c´è stata negli Stati Uniti la battaglia tra democratici e repubblicani che ha portato al downgrade di Standard & Poor´s. Le manovre approvate dal governo di Roma sono un buon segnale in
termini quantitativi ma è sulla solidità di questi impegni che ci s´interroga».
Dopo la Grecia, toccherà all’Italia?
«Entriamo in un periodo estremamente pericoloso. Purtroppo, il default della Grecia appare sempre
più probabile. Si parlava del 20% del debito pubblico a luglio, oggi si discute già di un 60%. Rischiamo di dover affrontare uno choc di cui nessuno può davvero misurare l´impatto. E l´Italia da sola non
è più in grado di rassicurare i mercati».
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Clemens Wergin, editorialista del giornale tedesco Die Welt
“Non ha senso lamentarsi
siete tra le cause della crisi
ma Berlusconi pensa ad altro”
“Paradossale lamentarsi siete una causa della crisi e Berlusconi pensa ad altro”
Le critiche vengono proprio da un Paese che non ha saputo ridurre la spesa pubblica né fare
le riforme strutturali
BERLINO - «Proprio Roma, che è una delle grandi cause della crisi dell´euro, protesta se Francia e
Germania cercano di superare le divergenze tra loro nell´interesse comune? Simili proteste, da un
paese il cui premier ha più tempo per problemi personali, escort, party di Putin?». Clemens Wergin,
principe degli editorialisti di politica estera di Die Welt - l´autorevole quotidiano conservatore vicinissimo all´establishment della cancelliera - risponde così sulle critiche di Frattini.
Clemens, che ne dici della reazione di Frattini?
«Da una parte si può capire la frustrazione di altri partner europei. Ma deve anche essere permesso
di dire che Angela Merkel è criticata in ogni caso: Obama e la Banca mondiale la criticano se fa poco
o nulla dicendo che non è all´altezza della crisi. Quando invece insieme alla Francia tenta di risolvere
i problemi è criticata lo stesso».
Con vertici bilaterali non si risolvono problemi globali, dice Frattini. Che ne pensi?
«È sbagliato. Si è visto quanto a volte sia difficile se non impossibile risolvere sempre ogni problema
tutti insieme, e soprattutto qui c’
era in primo luogo un problema particolare: le divergenze tra Francia
e Germania sulle misure per le banche. Divergenze causate dal fatto che le banche francesi sono
particolarmente esposte alla crisi greca, più di quelle tedesche. Vedersi a due per risolvere queste divergenze è stato importante per tutti».
Cosa pensa Berlino quando sente le critiche più dure da Roma?
«Molti si chiedono perché vengano proprio dalla capitale del paese che è uno dei problemi più gravi
per l´euro, il paese che da anni non ha saputo ridurre la spesa pubblica né varare riforme strutturali di
cui l´Italia stessa ha assolutamente bisogno per dare fiducia ai mercati».
Alla Cancelleria e all´Eliseo la pensano così?
«Non lo so, però il problema dell´Italia è che con l’
attuale premier, chi la prende ancora sul serio? Non
è questione di destra e sinistra: appare una persona che ha troppo più tempo per i suoi problemi personali o per le escort o per il party di Putin che non per la salvezza dell´euro e per i gravi problemi
dell´economia italiana e dei conti pubblici italiani».
Duopolio francotedesco come perdita di tempo prezioso per risolvere la crisi greca, come dice
Frattini?
«No, Merkel e Sarkozy hanno affrontato un problema bilaterale che urgeva risolvere nell´interesse
dell´eurozona intera. E hanno fatto proposte nell´interesse di tutti. Così si guadagna tempo. Si perde
tempo invece quando oltre al tema Berlusconi un´intera classe politica appare non all´altezza della
serietà della situazione. Secondo McKinsey la burocrazia italiana è la più inefficiente dell´eurozona
dopo quella greca. Se anche di fronte a questo Berlino e Parigi cercano soluzioni urgenti, hanno davvero loro colpa dell´emergenza che viviamo tutti?».
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Wall Street Journal attacca Roma
“Conti dubbi per entrare nell’euro”
ROMA - L´Italia come la Grecia. Ma non solo perché potrebbe essere il prossimo Paese sull´orlo del
naufragio. L´Italia - accusa apertamente un editoriale del Wall Street Journal - potrebbe aver truccato
i conti per entrare nell´euro. «Ci sono tutte le ragioni per ritenere - scrive Alen Mattich - che il governo
italiano sia stato aggressivo almeno quanto gli altri Paesi europei nel mascherare lo stato delle proprie finanze in modo da ottenere l´ingresso nell´area della moneta unica». E quindi, prosegue inesorabile, «se il debito pubblico di fondo dell´Italia fosse più alto e/o se lo stato del suo deficit fosse peggiore rispetto alle cifre ufficiali, allora la questione diventerebbe di solvibilità piuttosto che di liquidità.
Si ricordi lo shock avvertito dagli investitori quando la Grecia ammise di aver falsato i propri numeri».
Il Wsj riconosce i punti di forza dell´Italia, a cominciare dal deficit di bilancio strutturale e dall´avanzo
primario atteso (4 punti in termini di Pil, al netto delle spese per interessi), oltre al consistente risparmio privato, che in larga parte finanzia il debito pubblico. Inoltre, il sistema finanziario italiano «sembra più sicuro rispetto a quello di altri Paesi». A minacciare il Paese sono però intanto la bassa crescita: «E´ probabile che l´Italia continuerà a flirtare con la recessione, rendendo più difficile per il governo il raggiungimento dei target strutturali». Ma la difficoltà maggiore è costituita dalla mancanza di
credibilità, che non dipende solo dalle pessime battute di Berlusconi («dell´infamous burlesque humor» del premier si parla in apertura dell´articolo), ma è giustificata dallo stato delle finanze italiane:
«Il mercato sta probabilmente sottostimando il livello di difficoltà con il quale l´economia italiana dovrà
confrontarsi e il fatto che l´attuale stato delle sue finanze sia peggiore di quanto riferito». E se i conti
italiani sono truccati, osserva il Wsj, gli acquisti di bond da parte della Banca Centrale Europea non
risolveranno certo il problema.
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L’industria italiana rialza la testa
Ad agosto produzione +4,7%. Ma per l’Ocse continua il declino della nostra economia
Esulta il governo: il Paese si muove, cauti i sindacati: la ripresa è ancora lontana
ROMA - La produzione industriale c´è e ad agosto ha battuto un colpo. Secondo gli ultimi dati
dell´Istat, quest´estate - mentre nei palazzi del governo ci si affannava a rimettere mano alla manovra
e dare una risposta alla lettera della Bce - le aziende hanno vissuto un periodo d´inaspettata vitalità.
La loro produzione è aumentata del 4,3 per cento rispetto al precedente mese di luglio e del 4,7 per
cento rispetto all´agosto 2010. L´inversione di tendenza è netta: solo a luglio, rispetto all´anno prima,
stavamo a meno 1,1 per cento. Un balzo del genere non si vedeva dal 2000.
A tirare la volata sono stati i settori votati all´export: la metallurgia (più 16,8 per cento rispetto all´anno
precedente), la riparazione e installazione di macchine e apparecchiature (più 13), o fabbricazione
delle stesse (più 12,9 per cento). Il tessile, l´abbigliamento e la pelletteria non hanno invece agganciato il rimbalzo (meno dieci per cento rispetto al 2010).
Ora di fronte ad un segnale positivo dopo mesi di buio, le prospettive e le analisi si dividono. Il governo è ottimista e parla di avvio di una nuova fase, i sindacati frenano, gli analisti sono cauti e fanno notare l´effetto rimbalzo e la particolarità del mese di agosto.
L´andamento della produzione industriale «è un segnale incoraggiante, che dimostra la solidità
dell´economia italiana - ha commenta Paolo Romani, ministro dello Sviluppo - il paese ha ripreso a
camminare». Stessa linea per Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro: «L´economia si muove - ha detto - e noi dobbiamo assecondare questa attitudine a crescere».
L´analisi però non convince tutti, anche perché ieri - assieme ai dati Istat - è arrivato il superindice
Ocse, un «voto» che tiene conto di più fattori: dagli ordinativi agli indici di attesa dei consumatori. Sul
fronte europeo le cose non sono andate molto bene: il superindice d´agosto ha perso lo 0,5 per cento
rispetto a luglio e l´Italia ha perso l´1,1 per cento. Un rallentamento che sta a metà fra quello della
Germania (meno 1,3) e quello della Francia (meno 0,9 per cento).
Il quadro dunque, secondo l´Ocse, non giustificherebbe ottimismi e così la pesano anche i sindacati,
Cgil in testa. «L´inversione di tendenza purtroppo non c´è - commenta Vincenzo Scudiere, segretario
confederale - alla luce dei dati sulla cassa integrazione, più 47,2 per cento a settembre su agosto, gli
aumenti potrebbero essere rivisti al ribasso, non illudiamoci». Cauta anche la Cisl: «Finalmente un
rimbalzo positivo - ha notato il segretario confederale Luigi Sbarra - ma agosto è un mese piuttosto
incerto per valutare gli andamenti congiunturali. I dati Istat, confrontati con gli andamenti del fatturato,
mostrano che una parte rilevante del settore industriale, come la metallurgia e la fabbricazione di
macchine hanno realizzato recuperi produttivi notevoli; altri settori come il tessile e il legno si sono
spostati su fasce più elevate di qualità e prezzo dei prodotti, riducendo volumi produttivi ed occupati.
Serve sostegno».
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Sono gli economisti americani Thomas Sargent e Christopher Sims: “Ma non ci sentiamo di
dare consigli ai governi”
Un messaggio contro la recessione:
il Nobel a due studiosi della crescita
Premiata la ricerca sui modi in cui i tagli di tasse e tassi possono dar fiato all´economia
NEW YORK - Germania e Francia fanno fronte comune per salvare le banche: sarà una "buona notizia"
ma ci riporta dov´eravamo esattamente nel 2008. In America gli economisti si dividono in due clan: quelli
che prevedono una ricaduta nella recessione, e quelli convinti che non ne siamo mai usciti. Frenano perfino la Cina e il Brasile, le due ultime locomotive della crescita, sia pure rallentando per effetto di deliberate
politiche anti-inflazione.
In questo panorama il premio Nobel per l´Economia sembra una prova di "ottimismo della volontà", o forse
un augurio scaramantico, un modo per gettare il cuore oltre l´ostacolo. Il comitato del Nobel ha scelto
quest´anno due americani: Thomas Sargent docente alla New York University, e Christopher Sims che insegna a Princeton. In comune, hanno lo studio degli effetti delle politiche economiche sulla crescita. In particolare, il modo in cui la riduzione delle imposte o le manovre sui tassi d´interesse possono rianimare
l´economia. I lavori di Sargent e Sims durano da decenni. Una parte del loro merito sta nella ricerca di una
migliore qualità delle statistiche. La costruzione di dati attendibili è un passaggio indispensabile per misurare correttamente gli effetti di trasmissione fra le mosse dei governi e delle banche centrali, e le reazioni
dell´economia reale.
Lo stesso Sims ieri ha interpretato così l´assegnazione del Nobel: «Il nostro lavoro è rilevante per quei paesi che devono reagire alla stagnazione, e hanno i bilanci pubblici decimati per i costi della crisi bancaria».
Di fronte a domande sulla loro ricetta anti-recessione, però, Sims ha dovuto ammettere di non avere consigli specifici da dare ai governi. Se ci aspettavamo che il Nobel indicasse il nuovo John Maynard Keynes,
sarà per un´altra volta. La scienza economica non sembra sul punto di partorire una nuova "rivoluzione
copernicana", come quella che consentì di rispondere alla Grande Depressione degli anni Trenta ribaltando il dogma del pareggio di bilancio e adottando le teorie keynesiane sulla spesa pubblica come volano
della crescita. Eppure mai come ora si sente il bisogno di un nuovo Keynes. Lo stato dell´economia è miserevole, ci ricorda l´analisi dell´Economic Cycle Research Institute: l´unico centro di analisi ad avere azzeccato sistematicamente tutte le recessioni degli ultimi 15 anni (le avrebbe previste anche prima, fu fondato solo 15 anni fa ma una simulazione retroattiva ha confermato la validità dei suoi metodi per periodi
più lunghi). Il direttore di questo istituto, Lakshman Achuthan, è convinto che "se non siamo ancora dentro
la recessione del 2008, stiamo per ricaderci". Vede come probabile un rialzo della disoccupazione, verso
"tassi a due cifre" (attualmente negli Stati Uniti è il 9,1% della forza lavoro). Goldman Sachs prevede una
nuova recessione anche per le due economie più forti dell´eurozona, Germania e Francia. Da Barack Obama al suo banchiere centrale Ben Bernanke, i massimi responsabili della politica economica americana
sono convinti che la crisi dell´eurozona può far deragliare la ripresa mondiale.
In questo clima, ha deluso il fatto che il Nobel non sia andato a due teorici della crescita come Robert Barro e Paul Romer, candidati da molti anni. Una loro specialità è l´analisi dei legami fra innovazioni tecnologiche e sviluppo economico: un tema avvincente, tornato al centro del dibattito pubblico in occasione della
morte di Steve Jobs. Quanti Jobs, quante Apple ci vorrebbero per trainare l´America fuori da questa crisi?
Sotto questa angolatura, la situazione attuale viene considerata perfino peggiore degli anni Trenta. Nel bel
mezzo della Grande Depressione l´America sfornò innovazioni a non finire: furono inventate la tv e il nylon,
cominciò la diffusione di massa di elettrodomestici come il frigo e la lavatrice. Oggi con tutto il rispetto per
Jobs, i suoi iPhone non hanno un impatto altrettanto potente. Gli unici due settori ad aver visto aumentare
l´occupazione in America sono la finanza e la sanità. Due settori parassitari: i banchieri hanno distrutto ricchezza collettiva, il settore sanitario aumenta il suo fatturato non per la qualità delle cure mediche ma per il
rigonfiamento di costi amministrativi legati alle inefficienze. L´impatto di Apple ha un´alta visibilità, ma è
circoscritto al distretto hi-tech della Silicon Valley, o all´occupazione operaia nelle fabbriche cinesi che assemblano gli iPhone.
Rassegna Stampa del giorno 11 Ottobre 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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Bpm, la lista Messori
all’attacco degli Amici
Conflitto di interesse se il documento sulle carriere pilotate è vero. "Arpe disponibile
per il Cdg"
MILANO - Slitta il cda straordinario - previsto per oggi - sulle carriere interne alla Bpm appaltate dai
sindacati interni, su cui è in corso una verifica da parte della direzione. La motivazione è che gli uffici
non hanno ancora terminato la verifica interna sulle promozioni negli ultimi anni, aspetto su cui peraltro è ragionevole immaginare che anche la Banca d´Italia aspetti una relazione.
Ieri intanto ha preso ufficialmente posizione la "lista Messori", promossa da Fabi e Fiba nazionali e vicina al finanziere Matteo Arpe. Marcello Messori, candidato alla presidenza del consiglio di sorveglianza, ha informato con una nota di aver chiesto ad Arpe un eventuale intervento nella gestione. Il
finanziere «ha manifestato la propria disponibilità di principio» ad entrare nel consiglio di gestione, attestando tuttavia che «lui personalmente, Sator o sue controllate non detengono azioni della Bpm, né
hanno assunto alcun impegno a qualsivoglia investimento». Messori (e probabilmente lo stesso Arpe)
daranno il via ad una sorta di road show, che partirà da Milano, in vista dell´assemblea del 22 ottobre.
Prima di quella data, la lista Messori ha anche chiesto al cda attuale di Bpm di chiarire se il famoso
documento sulle Promozioni politiche sia autentico e se esso sia stato firmato da membri
dell´Associazione Amici della Bipiemme. «Qualora fosse accertato un ruolo attivo da parte
dell´Associazione - si legge nella nota - garantendo criteri privilegiati rispetto agli altri dipendenti, si
configurerebbe un insanabile conflitto di interesse».
Le liste per il prossimo consiglio di sorveglianza, secondo le regole di uno Statuto che non ha ancora
ricevuto l´ok da Bankitalia, restano "sorvegliate speciali" per Via nazionale, che con una lettera di venerdì scorso ha caldeggiato un profondo e radicale rinnovamento delle nuove cariche. Come si legge
infatti nella missiva «l´ispezione ha messo in luce come le carenze che connotano gli assetti di governo del gruppo e la mancata adozione di misure realmente efficaci per ripristinare un equilibrato sistema di governance, abbiano contribuito in misura significativa al deterioramento del quadro aziendale». E ancora: «L´improprio coinvolgimento delle rappresentanze dei soci dipendenti nelle scelte gestionali e i condizionamenti che ne sono derivati hanno anche comportato ricadute negative» per la
funzionalità degli organi aziendali, nonché per «la reputazione e il buon nome» della banca.
Rassegna Stampa del giorno 11 Ottobre 2011
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pagina19
La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una giornata serena
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Arrrriivveeddeerrccii aa
domani 12 Ottobre
ppeerr uunnaa nnuuoovvaa
rraasssseeggnnaa ssttaam
mppaa!!
Rassegna Stampa del giorno 11 Ottobre 2011
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Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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