301 Giuseppe Abbati. Una vita d`artista

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301 Giuseppe Abbati. Una vita d`artista
n° 301 - settembre 2001
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Giuseppe Abbati. Una vita d’artista
Se altri sono i nomi che
il grande pubblico collega immediatamente
alla pittura macchiaiola,
Signorini e Fattori in
primis, e la figura di Abbati è rimasta un po’ in
ombra rispetto a Lega e
Borrani, questa minore
attenzione da parte della
critica non implica certo
un giudizio riduttivo
dal punto di vista della
qualità pittorica ma,
come nel caso di Raffaello Sernesi, è forse dovuta alla brevità del percorso artistico ed esistenziale di entrambi,
morti in giovane età - a
28 anni Sernesi, e a 32
Abbati - quando da poco
avevano toccato la piena
maturità del proprio percorso artistico. Rende
finalmente giustizia alla
intensa personalità di
Giuseppe Abbati la bella
rassegna monografica
che si è tenuta nei mesi
estivi presso il castello
Pasquini di Castiglioncello, e che si chiuderà
il prossimo 14 ottobre,
nella quale viene messa
in luce l’importanza determinante che la figura
di Abbati esercitò nei
confronti degli altri macchiaioli, e il valore della
sua presenza sulla scena
dell’arte del suo tempo.
Giuseppe Abbati fu uno
dei pittori che aderirono
al movimento macchiaiolo giungendo a Firenze
da ambienti e formazioni artistiche diverse,
come sarebbe avvenuto
per Zandomeneghi e De
Nittis. Figlio di un pittore specializzato in di-
pinti d’interni, era nato
a Napoli nel 1836 e si
era trasferito in tenera
età con la famiglia prima
a Firenze, al seguito della
Duchessa di Berry che
aveva assunto il padre
Vincenzo come pittore
di corte, e poi a Venezia, dove Giuseppe frequentò l’Accademia di
Belle Arti negli anni fra
il 1850 e il 1853, e dove
nel 1856 conobbe Telemaco Signorini. La collaborazione con il padre, segnata dall’esordio nel 1859 con un dipinto che rappresentava
l’interno della chiesa di
San Domenico Maggiore
a Napoli, si interruppe
bruscamente l’anno successivo, quando Giuseppe partì volontario
con la spedizione dei
Mille, imbarcandosi a
Genova. La ferita che riportò in combattimento
presso Capua gli costò
la perdita dell’occhio
destro: in seguito, Abbati avrebbe rifiutato la
pensione di invalidità
che gli era stata assegnata, sostenendo che
il suo era stato un sacrificio spontaneo, per il
quale non richiedeva
compensazioni.
Il carattere dell’artista,
fieramente avverso all’ufficialità e alle celebrazioni istituzionali di
stampo accademico, si
mise in luce anche nel
1861, poco dopo il suo
arrivo a Firenze, in occasione della prima Esposizione Nazionale. Qui
Abbati aveva presentato
tre dipinti di interni
delle chiese di Santa Ma-
ria Novella e San Miniato, ricevendo in premio dalla giuria una medaglia; il pittore non
solo rifiutò il premio,
ma si unì alla contestazione di un gruppo di
artisti che la giuria non
aveva ammesso all’esposizione. A Firenze, Abbati frequentava assiduamente il gruppo dei
macchiaioli che si riunivano presso il Caffé
Michelangelo, e abbracciando subito le istanze
fondamentali della pittura di macchia, trasportava con esiti felicissimi i suoi soggetti
dalla penombra delle
chiese alla luce del sole;
nell’ambiente del Caffé
Michelangelo, vero crocevia per tutti gli artisti progressisti presenti a Firenze, ebbe inizio anche la fraterna e
durevole amicizia con
Diego Martelli, che ospitava Abbati durante
l’estate nella sua villa di
Castiglioncello, insieme
con Borrani e Sernesi;
con questi ultimi, al ritorno dall’infelice spedizione con Garibaldi
conclusasi in Aspromonte nell’estate del
1862 - alla quale aveva
partecipato insieme a
Martelli - Abbati condivise anche la fase sperimentale di ricerca tecnica e figurativa, che
conducevano dipingendo
all’aperto nella campagna di Piagentina, alle
porte di Firenze. Appartiene a questo periodo
la Stradina al sole, alla
quale ben si intona
quanto Martelli scriveva
Giuseppe Abbati ritratto da Giovanni Boldini, 1865
- Collezione privata
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definendo gli esiti delle
ricerche pittoriche di
Abbati: «si avviò sempre più a dei risultati di
colore stupendi dove con
una apparente parsimonia di mezzi e con sapere grandissimo otteneva luce, risparmio di
crudità violente negli
scuri e modestia grandissima d’intonazione».
La nitida definizione
prospettica, la cura formale e compositiva, costituiscono la sigla della
pittura di Abbati, che
attinge ad una limpida
e serena classicità, e appare spesso percorsa da
una composta vena maliconica. Nelle opere di
Abbati la ricerca formale della pittura di
“macchia” appare pienamente risolta nell’armonia di volumi e colori, immersi in una luce
perlacea e immota, in
virtù della quale il momento contingente viene
sublimato ad assoluto,
pur nella modesta quotidianità dei soggetti
prescelti. La perfetta impostazione architettonica della composizione
risalta in alcuni dipinti
su tavola di piccolo formato, come nella Via di
Montughi (cm 22 x 13,5),
dove l’orizzonte chiuso
da un muro al di sopra
del quale spunta il moto
ascensionale di un
gruppo di scuri cipressi,
e la prospettiva ribassata a rendere il senso di
fatica con cui il viandante affronta la salita,
appaiono assurgere a metafora esistenziale di una
visione severamente
stoica delle vicende
umane, toccando un’essenzialità formale che
dovremo attendere quasi
un secolo per ritrovare
in certi paesaggi moran-
diani degli anni Quaranta del Novecento.
Nei soggiorni presso la
famiglia Martelli a Castiglioncello, Abbati si
dedicava alla pittura di
paesaggio, producendo
una serie di capolavori,
tra i quali il Lido con i
bovi al pascolo: in questo
dipinto l’artista dà vita
a un raffinato e calibrato
studio di luci e volumi
nell’intersecarsi di terra,
cielo, acqua, e cielo riflesso nell’acqua, costruito secondo un gioco
di diagonali che conducono lo sguardo dello
spettatore dalla penombra del primo piano alla
luminosa striscia di mare
azzurro sullo sfondo,
fino al trascolorare pallido di un cielo velato
da chiare nubi che domina su tutto, occupando quasi metà della
superficie pittorica.
I primi anni Sessanta videro consolidarsi il sodalizio con Martelli che,
consapevole fino dall’inizio di svolgere il
ruolo di elemento catalizzatore per gli ospiti
della sua casa, divenne
una sorta di “regista”
per i macchiaioli, uniti
da una comune spinta
verso la sperimentazione
di un linguaggio libero
dalle pastoie della tradizione accademica. Per
il tramite di Martelli,
Abbati entrò in contatto
praticamente con tutti
gli esponenti della pittura di macchia, stringendo amicizia in particolare con Zandomeneghi, tanto che i tre
condividevano nel 1865
lo stesso appartamento
e l’anno successivo, allo
scoppio della III guerra
d’Indipendenza, si arruolavano tutti come
volontari nei bersaglieri.
Giuseppe Abbati: Stradina al sole - Collezione privata
L’attiva e diretta partecipazione alla costituzione dello stato nazionale è una caratteristica
che accomuna numerosi
artisti del gruppo dei
macchiaioli - come accadrà per i futuristi nel
corso della prima guerra
mondiale - che affrontarono spesso notevoli
rischi personali: Abbati,
catturato dagli Austriaci
e incarcerato in Croazia,
non tornò in Italia fino
alla fine del conflitto,
mentre Raffaello Sernesi, ferito a una gamba
e fatto prigioniero, fu
ucciso dalla cancrena all’ospedale di Bolzano.
Nel 1867 il quadro Monaco al coro, un soggetto
in linea con le tematiche degli anni della sua
formazione che Abbati
aveva esposto a Napoli
e al Salon parigino, ve-
Giuseppe Abbati: Via di Montughi - Collezione
privata
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niva acquistato dal Museo di Capodimonte.
Con il ricavato, il pittore si ritirò a vivere a
Castelnuovo della Misericordia, nei pressi di
Castiglioncello; nell’estate dello stesso anno
incontrava Giovanni Fattori, ospite dei Martelli,
con il quale si instaurava un rapporto di reciproco scambio, che
Fattori ricorderà più
tardi nei suoi scritti:
«Lavorai molto con
Beppe e lui cominciò a
fare gli animali incoraggiato da me; e lui fu
molto utile a me in certe
ricerche che io ancora
non ero ben chiaro: mi
ricordo di un nero all’ombra, e di un nero al
sole», rendendo omaggio, come già Martelli,
alla capacità di Abbati
di non appesantire le
ombre nei contrasti chiaroscurali, in una precoce
intuizione di come nel
rapporto tra fonte di luce
e superfici di colore nero
- il non-colore che nasce dalla somma di tutti
i colori - si giocasse il
punto decisivo di una
partita nella quale, da
Degas in poi, si cimenterà il nouveau régard degli impressionisti.
Come unico compagno
nella vita solitaria di Castelnuovo, Abbati aveva
portato con sé un cane
mastino, acquistato dopo
la morte del pointer nero
con il quale lo aveva ritratto Boldini nel 1865.
In seguito a un morso
del cane, che era affetto
da idrofobia, l’artista
chiuse la sua esistenza
nel febbraio del 1868,
dopo un inutile ricovero
in ospedale a Firenze. Il
suo destino si compiva
così proprio nel modo
Giuseppe Abbati: Lungo l’Arno alle Cascine - Livorno, Bottega d’Arte
Giuseppe Abbati: Bovi aggiogati - Collezione privata
che, per una sorta di premonizione, aveva prefigurato quasi un anno
prima in una lettera
scritta nel marzo 1867
a Odoardo Borrani («mi
convinco che sono disgraziato anche coi cani
e stanotte ho sognato
d’essere arrabbiato in
seguito d’una dentata
del suddetto»).
Nella città, che era all’epoca la capitale d’Italia, venne sepolto presso
il cimitero delle Porte
Sante, vestito con la tunica rossa di garibaldino
e decorato con tutte le
medaglie che si era guadagnato nelle numerose
campagne a cui aveva
partecipato.
donata brugioni