Newsletter 8 Ottobre 2015
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Newsletter 8 Ottobre 2015
Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo Piazza D’Aracoeli 12, 00186 Roma Tel e fax 06 6784168 [email protected] Dove hanno inizio i diritti umani universali? In posti piccoli, vicino a casa, così vicini e così piccoli che non possono essere visti su nessuna mappa del mondo”. Eleanor Roosevelt L’editoriale del Presidente La presentazione del Segretario Generale Dibattito sul TTIP Seconda conferenza internazionale: “Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza” Il pensiero della LIDU sul DDL “La Buona Scuola” Quanto ancora dovremo aspettare per vivere sicuri in un Paese che oggi solo virtualmente è dimora Europea? Intervento della LIDU alla manifestazione africana contro il silenzio dei governi africani sulle tragedie nel mediterraneo Presentazione Annuario Italiano dei Diritti Umani Analisi della situazione demografica in Europa Vi diamo il benvenuto alla nuova Newsletter della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo. 21 settembre 2015 La giornata internazionale per la Pace I nostri prossimi eventi A cura di Caterina Navarro e Ilaria Nespoli L’editoriale del Presidente La tutela degli immigrati e dei rifugiati è un settore a cui la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo punta molta attenzione perché, in esso, si possono verificare facilmente e frequentemente gravi lesioni dei Diritti Umani fondamentali. L’epocale processo di mobilitazione umana che si sta verificando in Europa e nel mondo per cause che contrastano con le continue affermazioni di pace, amicizia e fratellanza tra i popoli, rende più difficile l’applicazione dei doveri di umanità correlati all’accoglienza dei rifugiati e, di conseguenza, più urgente la necessità di modificare i caratteri rigidi del Diritto Internazionale, di natura tipicamente reciproca, pattizia (in sostanza privatistica e interstatale) in quelli solidaristici, rivolti all’individuo. Il fenomeno migratorio, quando è mal regolato, oltre a determinare negli Stati destinatari problemi di accoglienza, protezione ed integrazione, fa emergere gravi difficoltà nell’applicazione dei Diritti Umani fondamentali ed inderogabili verso i richiedenti asilo e i migranti. È ciò che sta avvenendo in Europa che, pur in presenza di un Trattato, quello di Lisbona, che dovrebbe determinare una politica unitaria comune, solidaristica tra gli Stati che la compongono, fa prevalere una politica “pattizia interstatale” che si ripercuote negativamente nell’affrontare il pressante impatto con i migranti. I doveri di umanità che stanno sempre più emergendo nel Diritto Internazionale come riferimento etico-politico, dovrebbero vedere nell’Europa la loro decisa applicazione. Un progetto strategico europeo che affronti il problema della migrazione in modo organico, definendo tempi, modi, luoghi e mezzi per la sua soluzione, non esiste. Si rincorre l’urgenza, l’emergenza, in modo improvvisato e dissociato, creando i gravi, drammatici episodi che si verificano alle frontiere di terra e di mare. È necessario richiamare l’Europa ai suoi doveri ed alle sue responsabilità che scaturiscono dalla sua storia, dalla sua cultura e dall’impegno che Le deriva per essersi posta con le sue leggi, i suoi trattati e le sue istituzioni a difesa dei valori e dei principî espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Non è più tempo di registrare solo sulla carta gli Universali principî, ma è necessario concretizzarli con atti politici che dimostrino che l’Europa esiste ed è in grado di attuare quanto proclamato e codificato nei trattati. È necessario che l’UE sappia esprimere una politica forte e comune nel campo dell’emigrazione e dell’asilo, in grado di conciliare le esigenze della sicurezza, il rispetto dei Diritti dell’Uomo e la tempestività e l’efficacia degli interventi. Gli articoli 79 e 67 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) contengono elementi sufficienti ad indicare le politiche necessarie per affrontare il processo migratorio. Una politica migratoria che risponda innanzitutto al rispetto dei Diritti e della dignità dell’Uomo, così come d’altronde indicato dalla Corte di Giustizia e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Presentazione del Segretario Generale Cari Soci, Amici ed Amiche della LIDU, La nostra Associazione sta crescendo grazie al vostro impegno, e sempre più i Cittadini diventano consapevoli della gravità della situazione dei Diritti Umani nel mondo. Migrazioni, dittature, torture, pena di morte sono solo i sintomi di un malessere sempre più diffuso, cui si sommano catastrofi naturali in parte dovute ad uno sfruttamento irresponsabile delle risorse planetarie. La lotta per i Diritti Umani è ormai assimilabile ad una lotta per difendere la nostra civiltà, la nostra cultura, le nostre Libertà. Siamo grati a voi tutti, Amiche ed Amici, per il vostro sostegno e vi chiediamo un sempre maggiore impegno. Questa periodica relazione sulle iniziative della nostra Associazione che vi invieremo con cadenza quindicinale vuol essere non solo un'informativa ma anche uno stimolo a partecipare alle nostre, e vostre, attività, per rafforzare la presenza della LIDU nella nostra società civile e nelle lotte che ci attendono per la costruzione di un mondo migliore, per noi e per i nostri figli. Vi rendiamo partecipi dell’attività svolta nella nostra sede negli ultimi mesi DIBATTITO SUL TTIP Lettera al Presidente Mattarella Roma 20/05/2015 On. Presidente, la L.I.D.U., Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, nacque nel 1919, per iniziativa d’Ernesto Nathan, dalla Lega per la Democrazia fondata da Giuseppe Garibaldi e condotta poi da Alberto Mario, per propugnare l’evoluzione democratica dello Stato liberale nato dal Risorgimento; e nell’esilio in Francia, nel 1927 promosse la Concentrazione antifascista, contro la dittatura totalitaria, nuovo e più duro ostacolo all’affermarsi della democrazia. Una delle battaglie fondamentali, per ottenere un governo del popolo e per il popolo, fu ed è quella contro la diplomazia segreta, sotto la copertura della quale passa l’imposizione ai popoli, nel concerto internazionale, degli interessi più inconfessabili. Contro la diplomazia segreta furono pensate le previsioni costituzionali inerenti le leggi d’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, il cui scopo è quello di rendere pubblici, attraverso la via maestra del dibattito parlamentare, i vincoli internazionali sottoscritti dallo Stato, e di sottoporli al previo dibattito dell’opinione pubblica e dei rappresentanti dei cittadini, questi ultimi i soli investiti del potere di statuirne l’efficacia. Nello stesso senso andò e dovrebbe andare il processo d’integrazione europea, secondo lo schema istituzionale previsto nei trattati istitutivi prima delle Comunità oggi dell’Unione europea. Si tende attraverso esso, difatti, a costruire un quadro istituzionale che faccia transitare le scelte politiche comuni degli Stati membri dai negoziati diplomatici a deliberazioni supernazionali, decise in un quadro costituzionale, con tanto di controllo parlamentare. In entrambe i casi, al di là degli adempimenti formali, quello che si richiede è la più assoluta trasparenza di ogni negoziato, che deve avvenire in piena luce, davanti agli occhi dell’opinione pubblica. Non corrispondono, con evidenza, a questo spirito le modalità seguite nel negoziato in corso pel trattato TTIP, Trade and Investiment Partnership, in corso fra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America. La commissaria al commercio dell’esecutivo dell’Unione europea, Cecilia Malmström, si è impegnata per la trasparenza nel negoziato, e la Commissione pubblica sull’oggetto una marea di documenti. Tuttavia se, poi, un Parlamentare europeo, o dei qualificati esponenti delle amministrazioni, dei governi e soprattutto dei legislativi nazionali chiedono prendere visione delle proposte negoziali, possono essere autorizzati ad essere ammessi, per pochi minuti, in una saletta di lettura, senza poter portare con sé strumenti che possano fotografare i testi, con solo una penna od una matita e carta per appunti. Lo stesso se qualcuno che ne possa essere autorizzato, ad esempio il membro d’un Parlamento nazionale, voglia prendere visione delle proposte statunitensi. Questi viene ammesso in analoghe salette di lettura nelle ambasciate degli Stati Uniti. Oltretutto al visitatore autorizzato alla consultazione viene fatta sottoscrivere una dichiarazione in cui lo stesso s’obbliga a non divulgare a terzi quanto consultato. È innegabile che tal procedura tenda a conservare segreto il negoziato in corso, che riguarda argomenti delicatissimi di grande interesse per l’opinione pubblica, come la coltivazione ed il commercio degli O.G.M., alla quale sono interessate grosse multinazionali come la Monsanto. A tanto non vale eccepire che, comunque, una volta steso il testo del Trattato, questo verrà sottoposto alle procedure di ratifica previste ed, allora, sarà pubblico. Esso sarà comunque esito, infatti, di diplomazia segreta, e l’opinione pubblica verrà privata dei tempi necessarî ad un dibattito aperto, in grado di sviscerare punti delicati, sofisticati da un punto di vista tecnico, che la gente comune deve aver modo di comprendere prima di poter manifestare, pubblicamente, una presa di posizione popolare. Signor Presidente, la L.I.D.U. ritiene che simili metodi di diplomazia segreta violino radicalmente, da un punto di vista sostanziale, lo spirito delle norme costituzionali inerenti le leggi di ratifica, anche e soprattutto qualora esse venissero osservate, con ostentato scrupolo, nel loro dettato formale. Per questo, anche in quanto Ella ha la rappresentanza dello Stato nella Comunità Internazionale, siamo a chiederLe una presa di posizione, con l’utilizzo del potere d’esternazione che Le appartiene, sia nei confronti delle Istituzioni dell’Unione europea che degli Stati terzi coinvolti nel negoziato, e responsabili della procedura segreta adottata nel corso dello stesso; sia davanti al Parlamento nazionale, che dovrà discutere la legge d’autorizzazione alla ratifica, e del Governo, per le responsabilità di sua competenza. Con sensi, mi creda, di rispettosa stima Alfredo Arpaia - Presidente LIDU Lettera ai Parlamentari Europei 08/07/2015 Egregi Membri del Parlamento Europeo, in occasione del voto del Parlamento Europeo sul T.T.I.P., previsto per la giornata di domani 9 Luglio, la L.I.D.U., Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo ribadisce la sua posizione sul tema. Da quanto finora trapelato attraverso indiscrezioni ( vige infatti una segretezza sospetta e inaccettabile su tali trattative) i necessari principi di Democrazia, informazione e tutela dei Diritti di cittadini e consumatori non sarebbero adeguatamente tutelati. Pertanto la L.I.D.U. si unisce a quanti, singoli cittadini ed organizzazioni, hanno ritenuto di richiamare ogni Rappresentante dei popoli d'Europa alla più rigorosa vigilanza sul rispetto dei Diritti Umani che qualunque trattato sottoscritto dal Parlamento Europeo deve garantire. Cinquecento milioni di Cittadini e consumatori d'Europa si attendono da voi una posizione forte e responsabile. ~ Lettere ricevute Mail del 13/07/2015 Risposta di Daniel Hannan, Rappresentante del Partito conservatore del Sud Est dell’Inghilterra al Parlamento Europeo. Grazie mille per avermi scritto delle vostre preoccupazioni circa il TTIP. Devo dire che non ho mai subito tante pressioni su una tematica in 16 anni da membro del Parlamento europeo, con la possibile eccezione della stupida restrizione posta dall’UE sulle erbe medicinali e la medicina alternativa una decade fa o più. Ho ricevuto numerose mail e ho deciso di rispondere in maniera collettiva all’interno di questo blog: http://www.capx.co/brussels-is-a-corporatist-racket/ Probabilmente avrete sentito che il voto sulla Risoluzione è stato posticipato di una settimana. Non sarò nella posizione di prendere una decisione in maniera definitiva fino a che non avrò visto l’accordo effettivo, che potrà essere a più di un anno di distanza. Nel frattempo spero che considererete di estendere la logica della vostra mail. TTIP o no, gli abusi che voi denunciate, ovvero la segretezza, la mancanza di democrazia, il lobbismo ed il corporativismo, continueranno ad esistere e ci sarà bisogno di un maggior impegno. Con i migliori auguri, Daniel Hannan Mail del 15/07/2015 Risposta di Gerard Batten, Rappresentante dell’UK Indipendence Party al Parlamento Europeo. Caro elettore, Lei è una delle tante migliaia di persone che mi hanno scritto sul TTIP. La Relazione Lange sul TTIP è stato votato prima dal Parlamento europeo mercoledì 8 luglio. Desidero comunicarle ciò che è avvenuto. In primo luogo, mi permetta di spiegarle l’antefatto Mi lasci sottolineare il fatto che la Relazione Lange è un’”iniziativa in proprio” nel senso che non ha assolutamente forza legislativa. E’ un mero elenco di buone intenzioni di come la Commissione per il commercio intende emendare il TTIP. L’effettivo trattato per il commercio TTIP potrebbe richiedere anni prima di essere portato a termine. Quando ciò avvenisse poi in base al Trattato di Lisbona spetta al Parlamento europeo votare a favore o contro la ratifica dello stesso. Comunque, questo sarà un voto singolo, SI o NO, sul trattato nel suo complesso, noi infatti non abbiamo il potere di modificare il TTIP. Ho premesso ai miei elettori che avrei votato contro la Relazione Lange sulla base del presupposto che la politica commercial dovrebbe essere decisa dai governi democraticamente eletti di ciascun paese e non dall’UE. Ho inoltre promesso di votare per escludere il meccanismo di risoluzione delle controversie fra investitore e Stato (conosciuto con l’acronimo ISDS) dal TTIP. La lista di votazione contiene circa 126 voti separati. Non ho votato su questi emendamenti perché sinceramente non desidero essere parte di una visione alternativa del TTIP suggerita dal Parlamento quando, in primo luogo, non ritengo che l’UE abbia la legittimità democratica di legiferare su questa e su altre materie. Avevo l’intenzione di votare sugli emendamenti 40 e 27 al fine di escludere il meccanismo ISDS ma Martin Schulz, Presidente del Parlamento, ha consentito che un emendamento promosso dal gruppo dei socialisti, il quale escludeva questi emendamenti dalla lista di votazione, fosse votato per primo. Questo rappresentava da parte sua un palese frammento di cinica manipolazione politica. Mr Schulz ha permesso che l’emendamento 117 fosse votato prima degli emendamenti 40 e 27 nonostante le proteste provenienti dalla platea circa il suo diritto di fare ciò in base alle norme procedurali. L’emendamento 117 è stato approvato e di conseguenza gli emendamenti 40 e 27 sono decaduti e non sono stati oggetto di votazione. L’emendamento 117 è stato descritto come 'ISDS leggero', una sorta di versione del ISDS che seppur mitigata continuerebbe a consentire alle compagnie di citare in giudizio gli Stati al di fuori dei loro tribunali ordinari. Tuttavia, potevo votare per escludere l’ISDS, ma ho comunque votato contro il report nel suo complesso nella votazione finale. Il voto finale è stato 436 a favore e voti contrari con 32 astensioni. Le suggerisco di chiedere ad altri membri del Parlamento europeo, appartenenti al distretto elettorale e di altre fazioni politiche, come hanno votato. Se pensa che la politica commerciale del Regno Unito (in linea con le altre politiche) dovrebbe essere decisa da governi responsabili e democraticamente eletti, le suggerisco di votare per l’uscita dall’Unione quando avremo il tanto promesso referendum sull’appartenenza all’UE. Cordialmente, Gerard Batten MEP Mail del 15/06/2015 Risposta automatica del Parlamento Europeo alle richieste di informazioni sul TTIP dei cittadini Onorevoli Colleghi, La Unità preposta alle richieste dei cittadini del Parlamento europeo conferma l’inoltro del Suo messaggio al Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, nel quale esprime la Sua critica al Trattato sul Commercio in EU-USA (TTIP). In nome del Parlamento europeo possiamo assicurarLe che le numerose preoccupazioni relative al suddetto Trattato saranno subito esaminate. Pertanto i deputati europei esamineranno nel dettaglio i testi del trattato negoziati prima della votazione e avvieranno una discussione e successivamente approveranno o rigetteranno le varie norme. Attualmente Il Parlamento europeo lavora ad una Relazione interlocutoria relativa al negoziato in corso. La commissione competente per il commercio internazionale ha varato il “Piano di raccomandazioni ai negoziatori della Commissione Europea“. Tali raccomandazioni dovrebbero agevolare un accordo fra l’Ue e gli Usa e l’ingresso de4lle imprese europee al mercato statunitense; non può minare alcuno standard europeo o ridimensionare il diritto alla regolamentazione nel pubblico interesse. Il dibattito originariamente fissato per il 10 giugno 2015 e la votazione sulle raccomandazioni al TTIP del Parlamento europeo sono state rimandate a causa dell’elevato numero di emendamenti. Il Trattato sul libero scambio si trova di nuovo nell’agenda della Commissione per il commercio internazionale, che ora ha più tempo per meditare su questo importante tema e per ridurre per quanto possibile il numero degli emendamenti opposti. Ulteriori informazioni sono disponibili nel Comunicato stampa del Parlamento europeo dell’11 giugno 2015 Il Parlamento europeo, sin dall’inizio delle trattative si impegna affinché gli elevati standard europei sulla protezione dei consumatori, sui diritti sociali, sulla protezione della salute, dell’ambiente e sulla tutela dei dati personali siano salvaguardati e elevati. Il Parlamento europeo ha chiarito tutto ciò prontamente prima dell’inizio delle trattative per il TTIP, nella sua Risoluzione del 23 maggio. Il Parlamento europeo ha esercitato pressioni sulla Commissione europea al fine di rafforzare la trasparenza delle trattative e rendere pubblici i testi europei del TTIP. Siamo lieti di informarLa che i trattati internazionali sul commercio con Stati terzi sono sempre negoziati per conto della Commissione europea e in nome dell’UE, poiché gli scambi commerciali ricadono nell’ambito di competenza esclusiva dell’UE. La Commissione diviene fin d’ora attiva, nel momento in cui gli Stati membri l‘hanno investita innanzitutto del mandato di condurre le trattative, che per il TTIP nel frattempo sono state pubblicate. Sono inoltre gli Stati membri che stabiliscono quali obiettivi la Commissione deve conseguire in sede di trattative condotte in nome dell’UE. Il Parlamento europeo non prende parte alle trattative e non ha alcuna possibilità di sospendere quest’ultime. Tuttavia, il trattato può essere approvato solo con il consenso del Parlamento. Il Parlamento non può modificare il testo del trattato negoziato, al contrario deve o approvare il testo finale nella sua interezza o rigettarlo. Il Parlamento può stabilire ulteriori raccomandazioni alle trattative in corso dovrebbe essere a suo avviso nella propria versione finale. e chiarire come il trattato Il Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha chiarito i dettagli sul ruolo del Parlamento in sede di trattative per la conclusione di trattati internazionali in un discorso del 21 aprile 2015. Il Parlamento europeo ha previsto due siti web sulle trattative del TTIP : "The European Parliament and the TTIP" und "TTIP: Chance per il mercato interno europeo?". Documenti ufficiali e informazioni attuali sul trattato di libero scambio EU-USA sono disponibili sul TTIP-Webseite della Commissione europea der Europäischen Kommission. Speriamo che queste informazioni rafforzino la Sua fiducia nel lavoro del Parlamento europeo. Cordiali saluti Mail del 21/07/2015 Risposta di Gerard Deprez, Rappresentante della comunità Francese in Belgio al Parlamento Europeo. Cari Signore e Signori, è già un po’ di tempo che mi avete fatto recapitare una e-mail riguardante le vostre preoccupazioni circa il TTIP, attualmente in fase di negoziazione tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Ho preso conoscenza del vostro messaggio con grande interesse. Come saprete l’8 Luglio il Palamento ha votato una Risoluzione non legislativa favorendo la prosecuzione delle negoziazioni e stabilendo linee rigorose per il negoziato europeo. Io ho votato in favore di questa risoluzione perché credo che l’idea di stimolare e facilitare, attraverso un trattato, gli scambi commerciali tra l’UE e gli USA sia una buona idea che potrà avere degli effetti positivi per la crescita e l’impiego delle due coste dell’Atlantico. Ci credo sinceramente. A questo stadio delle negoziazioni, sulla base delle informazioni a mia disposizione, credo necessario fissare un certo numero di etichette (e ho anche già presentato vari emendamenti in tal senso), io non vedo alcuna ragione per mettere fine a queste negoziazioni. Tuttavia io continuerò a votare liberamente fino alla fine delle negoziazioni, quando si deciderà il testo finale. Si terrà conto delle risposte che il Trattato apporterà alle tre principali preoccupazioni, che si riscontrano in parte nelle vostre, e io deciderò di votare questo Trattato o di rigettarlo. Vi posso assicurare sin da ora che non voterò in favore del TTIP in caso di: Se le norme europee attuali in materia di sanità, sviluppo e protezione sociale saranno chiamate in causa o ce ne sia anche solo l’ipotesi; Se il corpo cooperazione normativa istituita sconfina in qualche modo sulla sovranità delle Assemblee europee e sull’emanazione delle proprie norme; Se il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori e stati non corrisponderà, almeno per ciò che è incluso nella risoluzione adottata ai primi di luglio, vale a dire: “Assicurarsi che gli investitori stranieri godano di un trattamento non discriminatorio, senza avere diritti maggiori di quelli accordati con gli investitori nazionali, e sostituire il sistema RDIE (ISDS) con un nuovo sistema di risoluzione delle controversie tra investitori e membri, fatti salvi i principi democratici e di controllo, in cui qualsiasi affare sarà gestito in modo trasparente da giudici indipendenti nominati dal governo, in udienza pubblica, che includerà un meccanismo di appello, dispositivo che assicura la coerenza delle decisioni giudiziarie e il rispetto per la competenza dei giudici dell'Unione europea e dei suoi Stati membri e che impedirà che gli obiettivi di politica pubblica siano compromessi da interessi privati.” Augurandovi la positiva ricezione di questa e-mail, vi prego di credere, Gentile Signora, Egregio Signore, ai sensi della mia più alta considerazione. Molto cordialmente, Gérard DEPREZ Mail del 30/07/2015 Risposta di Keith Taylor, Rappresentante del Sud Est dell’Inghilterra al Parlamento Europeo Cara Segreteria Nazionale LIDU Onlus, Grazie per la mail inviata a Keith Taylor circa il Trattato fra UE e Stati Uniti TTIP (Trattato Transatlantico per il commercio e gli investimenti). Keith mi ha chiesto di replicare a proprio nome. Come sapete, agli inizi di luglio c’è stata una votazione volta a stabilire la posizione del Parlamento europeo sul TTIP . I membri del PE hanno votato sulla risoluzione nel suo complesso, ma anche sull’insieme di emendamenti al testo. Fra di essi c’era un emendamento di compromesso sul discusso meccanismo investitorestato, supportato dal Presidente del Parlamento. Tale emendamento di compromesso suggerisce la sostituzione dei tribunali previsti nell’ambito della risoluzione delle controversie fra investitore e Stato (ISDS)1 con una sorta di “nuovo” sistema , ma nella vaga formulazione non fornisce ulteriori spiegazioni o dettagli su come tale sistema differirebbe dal precedente. Dal punto di vista di Keith, se c’è un qualunque sistema che consente all’investitore di citare in giudizio il governo, come richiede il compromesso, questo è ancora l’ISDS. Sappiate che Keith ha votato contro tale emendamento di compromesso perché non ritiene che quest’ultimo sia sufficiente ad escludere completamente qualsiasi meccanismo ISDS dal TTIP. Tuttavia, sfortunatamente l’emendamento di compromesso ha ottenuto ampio sostegno da parte dei membri del Parlamento europeo di centro destra e centro sinistra ed è stato adottato il giorno stesso. Altri emendamenti ancora più progressisti sono stati messi in discussione per opporsi all’ ISDS nel TTIP (come l’emendamento 40 e l’emendamento 27) ma non hanno avuto la possibilità di essere votati. 1 Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato (ISDS) è uno strumento di diritto internazionale pubblico, che garantisce un investitore il diritto di utilizzare un procedimento di risoluzione delle controversie nei confronti di un governo straniero. Keith ha votato contro la risoluzione del TTIP nel suo complesso. Ha postato la spiegazione al suo voto nel proprio sito web, come segue: “Ci sono numerose tematiche che suscitano in me allarme circa il TTIP, al di là del “nuovo” sistema proposto per sostituire l’ISDS, che ancora prevede un quadro giuridico parallelo e distinto esclusivamente a favore. Un’ulteriore preoccupazione che mi ha spinto a votare contro le raccomandazioni alla Commissione circa I negoziati sul TTIP è la cooperazione normativa, la quale mira soprattutto a ridurre le barriere al commercio differendo leggi, regolamenti e standard. Molte di queste differenziazioni sono state adottate dai paesi per perseguire obiettivi politici non legati al commercio, quali la protezione dell’ambiente, della salute pubblica e dei consumatori . Sotto il TTIP tali decisioni democratiche sono semplicemente note come “barriere non doganali al commercio” (NTBs). La risoluzione non è stata in grado di convincermi che saranno prese adeguate misure per assicurare che il il TTIP non eserciterà una pressione al ribasso su una moltitudine di importanti regolamentazioni, erodendo tutele sociali ambientali e sanitari conquistate a fatica. In qualità di Vicepresidente dell’intergruppo benessere degli animali del Parlamento europeo, sono anche preoccupato della minaccia che il TTIP pone ai diritti degli animali e alla loro tutela. Dal momento che le regolamentazioni dell’UE circa il benessere degli animali sono molto più avanzate di quelle vigenti negli USA, ho paura che un ulteriore risultato negativo legato alla riduzione delle barriere non doganali sarà la riduzione o l’indebolimento delle regole che disciplinano tale benessere.” Questo è stato un voto profondamente deludente che ha visto molti politici di centro sinistra unire le forze con I loro colleghi liberali di centro destra. Insieme si sono unite in un grande affare, e facendo ciò hanno messo i fondamenti della nostra democrazia a rischio. La legislazione nazionale è lavoro ad appannaggio di parlamenti eletti, è non deve essere decisa nei consigli di amministrazione delle multinazionali. Questo non rappresenta il voto finale e i Verdi continueranno a organizzare una robusta opposizione al TTIP. Per maggiori informazioni, Keith ha delineato la sua posizione generale sul TTIP sotto, e ha fornito maggiori informazioni su ciò che ha fatto in qualità di membro del MEP per opporsi a un accordo commercial così potenzialmente dannoso. Potete mantenervi aggiornati con la campagna Verdi/EFA attraverso il sito web TTIP e il loro aggiornamento . Grazie ancora per aver trovato il tempo per scrivere a Keith e per favore non esitate a contattarci qualora dovreste porre qualsiasi ulteriore domanda. Cordiali saluti, Monika Monika Baunach Assistente parlamentare e Ricercatore ~ La LIDU ha poi cercato di fare un punto della situazione unendo tutto il materiale e portandolo a conoscenza dei Parlamentari stessi e lo ha fatto scrivendo un’altra lettera: Mail del 28/07/2015 Egregi Parlamentari, alla nostra lettera di raccomandazione sul TTIP solo alcuni di Voi hanno risposto, e tali risposte sono allegate, assieme al testo originale, che ripetiamo. Ci permettiamo di sottolineare che in ogni caso le procedure adottate sinora impediscono ai Parlamentari stessi di prendere adeguata visione della bozza del trattato in progress, la qual cosa è già altamente sospetta di una segretezza non compatibile coi metodi di trasparenza e democrazia che dovrebbero informare i lavori di qualsivoglia Commissione. Inoltre il Parlamento Europeo potrà esclusivamente approvare o rigettare il testo definitivo del Trattato, senza potervi apportare modifiche o emendamenti. Ciò fa sì che, presentato in tempi ristretti, i Parlamentari potrebbero non avere il tempo di un adeguato studio e valutazione del medesimo, riducendo o eliminando le necessarie fasi di riflessione, discussione e confronto. Se si pensa alla portata di un simile accordo, le conseguenze potrebbero essere molto gravi. Pertanto Vi riproponiamo tutte le nostre preoccupazioni e perplessità, invitandoVi ad una rafforzata vigilanza sul progredire delle trattative, investendo di tali funzioni i Componenti della Delegazione trattante. Certi di un Vostro impegno a rappresentare nelle sedi opportune queste preoccupazioni, che sono senza dubbio quelle dei cinquecento milioni di Cittadini Europei che Voi rappresentate. Vi inviamo i nostri più cordiali auguri di buon lavoro. SECONDA CONFERENZA INTERNAZIONALE “Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza” a cura di Ilaria Nespoli La L.I.D.U. Onlus – Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo ha partecipato alla Seconda Conferenza Internazionale dal titolo “l’Universalità dei Diritti Umani per la Transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza”, tenutasi il 27 luglio 2015 a Roma, presso il Senato della Repubblica. Organizzata dal Partito Radicale Nonviolento assieme a Non c’è pace Senza Giustizia e Nessuno tocchi Caino, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano, la conferenza ha avuto come obiettivo quello di essere un punto di partenza per l’affermazione del diritto umano alla conoscenza in sede delle Nazioni Unite, promuovendo la transizione verso lo Stato di Diritto sia in Europa sia nel mondo arabo-musulmano. A tal proposito, concordiamo con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel ritenere assolutamente meritoria l’iniziativa promossa dal Partito Radicale e dagli altri organizzatori: come affermato dal nostro Capo dello Stato nel messaggio augurale inviato al Coordinatore del progetto, Matteo Angioli, la conoscenza ed il relativo diritto rappresentano un tema emergente nella nostra epoca, che merita attenzione a livello dello stesso sistema delle Nazioni Unite; soprattutto in un’epoca in cui l’informazione è sempre più veloce e in apparenza senza confini. La Conferenza è stata articolata in tre parti principali, le quali hanno affrontato rispettivamente: - l’universalità dei Diritti Umani minacciata da tendenze antidemocratiche, populiste e nazionaliste; - la promozione di una transizione verso lo Stato di Diritto democratico, federalista e laico - la campagna globale per l’affermazione e ilo riconoscimento del Diritto alla Conoscenza. Nel corso della prima parte della conferenza, nella quale sono intervenuti Abdullah AnNa'im, Professore Emory University; Marou Amadou, Ministro della Giustizia del Niger; Furio Colombo, giornalista, scrittore, già deputato, Bakhtiar Amin, già Ministro per i Diritti Umani dell’Iraq; Marco Beltrandi, Membro della Direzione di Radicali Italiani, già deputato; Sir Graham Watson, Presidente ALDE Party del Regno Unito; si è evidenziato come in relazione alla questione dei diritti umani giochi un ruolo fondamentale il “contesto”. Sotto questo profilo, è emerso chiaramente come tra le cause del mancato rispetto dei diritti umani vi sia la debolezza degli Stati, in cui uno Stato forte è un democrazia che agisce in conformità alla carta costituzionale che si è data, capace di tutelare i diritti fondamentali della persona. Inoltre, nella mancata protezione dei diritti umani giocano un ruolo importante la corruzione e una società civile poco attiva ed informata. Di qui l’importanza di giungere alla codificazione del diritto alla conoscenza. Qui si inserisce l’iniziativa radicale che, parafrasando le parole del giornalista Furio Colombo, costituisce una vera e propria “campagna di liberazione volta a fare in modo che i singoli cittadini si sentano protagonisti della vita politica e reclamino diritti che sono propri”. Come evidenziato da Bakthiar Amin, già Ministro per i Diritti Umani nel post Saddam Hussein in Iraq, il Medioriente sente sempre maggior bisogno di democrazia e rispetto dei diritti umani. Da qui è sorto un vivace dibattito con l’ambasciatore turco in Italia, Aydin Adnan Sezgin in cui Amin ha accusato la Turchia di aver regredito sul piano della difesa dei diritti umani, attaccando la minoranza curda, fra le più attive nella lotta alle forze oscurantiste dello Stato islamico. Quindi, Amin ha sottolineato come la conoscenza rappresenti anche il miglior rimedio alle minacce internazionali emergenti ma anche a tutti quei movimenti quali il nazionalismo, il populismo ed il dogmatismo che, insieme alla cattiva gestione delle diversità etniche, culturali e religiose, costituiscono i peggiori mali all’intera Regione mediorientale, dal momento che impediscono a quest’ultima di progredire verso lo sviluppo. La necessità di scongiurare tendenze populistiche in atto è stata affermata anche dal Presidente di quella sorta di partito radicale britannico, quale è l’ALDE Party, Sir Watson, il quale ha anche evidenziato l’importanza di sostenere una battaglia per il diritto alla conoscenza come base per comprendere e, dunque, affrontare adeguatamente i fenomeni attuali. Del resto, siamo assolutamente concordi con il Sottosegretario agli Affari Esteri, Benedetto Della Vedova, il cui intervento ha inaugurato la seconda sessione di lavoro della conferenza, nel giudicare i diritti umani un cantiere aperto nel quale nessun paese, nemmeno quello più democratico e liberale, può dirsi arrivato. In particolare, quando si parla di diritti della persona umana non si può mai far riferimento ad un traguardo ma bensì ad un percorso che non necessariamente rappresenta una linea retta continua. In questo contesto, parafrasando le parole di Giulio Terzi, già Ministro degli Affari Esteri italiano, “il diritto alla conoscenza, declinato quale esercizio del diritto-dovere d’informazione, principio della trasparenza decisionale, assunzione di responsabilità dei governanti nei confronti della società civile e un’informazione realmente libera ed indipendente, rappresenta un elemento centrale dei processi democratici e dell’affermazione dello Stato di diritto in senso compito”. La seconda sessione della conferenza è stata caratterizzata dalla descrizione dei complessi processi di transizione verso lo Stato democratico dei paesi del Maghreb: Tunisia, Algeria e Marocco. In particolare, viene in rilievo l’intervento di Najima Thay Thay Rhozali, già Segretaria di Stato e Ministro dell’Istruzione del Marocco, la quale ha sottolineato l’importanza della formazione e dell’affermazione del diritto all’educazione come via maestra per affermare il diritto alla conoscenza, senza la quale non si può parlare di democrazia e di diritti. Infine, la terza parte del dibattito si è incentrata sull’evoluzione della campagna globale volta all’affermazione dei diritto alla conoscenza. Un battaglia, come evidenziato dal coordinatore del progetto Matteo Angioli, che è iniziata nel 2002-2003 con il tentativo di scongiurare l’intervento militare in Iraq, deciso da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sulla base di informazioni che ancora oggi rimangono elusive e proseguita dal Partito Radicale e dalle altre associazioni costituenti; e prosegue fino ad oggi con la conferenza del 27 luglio in cui si è inteso esplorare la possibilità di definire nel dettaglio la formazione di un vero e proprio Diritto alla Conoscenza attraverso la promozione di una campagna internazionale per una Risoluzione, Convenzione Protocollo specifico in materia da realizzare in sede delle Nazioni Unite. In questo ambito, come evidenziato da Elisabetta Zamparutti, Tesoriera di Nessuno Tocchi Caino, innanzitutto il diritto alla conoscenza deve essere concepito come un contenimento del potere dello Stato, in particolare per quanto riguarda il “segreto di Stato”, formula spesso usata dai governanti per celare il perseguimento di interessi particolari spesso in contrasto con quelli propri dell’opinione pubblica. In secondo luogo, il diritto alla conoscenza deve costituire il diritto dei cittadini ad acquisire informazione da parte delle istituzioni pubbliche e ad elaborarle attraverso un confronto improntato al dialogo. Da parte sua anche la L.I.D.U. si è sempre battuta strenuamente per l’affermazione di un simile diritto all’interno del contesto internazionale: lo dimostra l’ultima iniziativa condotta contro il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (meglio noto con l’acronimo TTIP), un accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato dal 2013 tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, le cui trattative rimangono assolutamente nascoste. Sicuramente la codificazione a livello internazionale del Diritto alla Conoscenza potrebbe aiutare a scongiurare il rischio che vengano approvati trattati, quali il TTIP; che, come abbiamo denunciato agli stessi deputati europei chiamati a pronunciarsi sull’accordo, comporterà una riduzione delle garanzie a tutela dei diritti dei consumatori europei e renderà più difficile ai governi il controllo dei mercati per massimizzare il benessere collettivo. Inoltre, crediamo fermamente che l’affermazione del diritto all’informazione e alla conoscenza non possa prescindere da una adeguata formazione ai diritti umani in generale, in cui la L.I.D.U. è impegnata da anni attraverso l’implementazione del “Progetto Scuola”. Tuttavia, se da un lato concordiamo con gli organizzatori della conferenza nel ritenere che molto probabilmente i tempi non siano ancora maturi per l’avvio di un processo di codificazione internazionale del diritto alla conoscenza, dall’altro siamo sicuri che incontri come questo servano proprio a “tracciare il punto nave”, parafrasando le parole di Paolo Reale, intervenuto nel corso della conferenza in qualità di Segretario Generale dell’ISISC Istituto Sup. Internazionale di Scienze Criminali, al fine di individuare una nozione condivisa e una base giuridica di tale diritto, senza le quali nessun diritto può aspirare ad essere riconosciuto come diritto umano fondamentale. Solo per questa via sarà possibile favorire un simile percorso per l’affermazione di un diritto, il Diritto alla Conoscenza, senza il quale non ha senso parlare né di democrazia né di alcun esercizio degli altri diritti umani. Il pensiero della LIDU sul DDL La Buona Scuola A cura di Navarro e Virgili Mentre la LIDU Onlus, Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo è impegnata a portare nelle aule i Diritti Umani col suo Progetto Scuola, cercando di instillare nei bambini e nei ragazzi una conoscenza ragionata e non passiva di questi, della loro solidità e utilità ai fini di una sana e rispettosa convivenza all’interno della società; il Governo italiano, il 7 Luglio riporta alla Camera, dopo l’approvazione del Senato del 25 Giugno, un ddl che riformerà la scuola annegando nel Lete, fiume dell’oblio, concetti quali pluralismo, laicità, libertà d’insegnamento e uguaglianza. Mentre una buona scuola dovrebbe essere finalizzata alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, alla formazione del cittadino e all’acquisizione di conoscenze e competenze nel rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; la Buona Scuola di questo governo ci presenta una nuova istituzione-azienda che, con logica privatistica più che da servizio pubblico fondamentale, tende alla competizione sia dall’esterno che dall’interno. Dal punto di vista esterno la nuova scuola pubblica – che di pubblico ha sempre meno- dovrà cercare di essere più fascinosa e appetibile agl’occhi di investitori privati, in quanto i loro finanziamenti -detraibili per il 65% dalla dichiarazione dei redditi- e la donazione del 5 per mille costituiranno probabilmente una importante fonte di sostentamento dell’istituzione. La realizzazione di un’autonomia finanziaria, attraverso l’attrazione di risorse esterne, diventerebbe fattore scatenante di disparità e concorrenza tra scuola e scuola, accentuando le disparità territoriali già molto ampie e relegando le scuole del mezzogiorno d’Italia inevitabilmente ad un ruolo marginale, in violazione ai primari principi fondativi della Costituzione. Oltretutto ampliando le agevolazioni per le scuole private, con un gioco di parole ora definite “paritarie” delle quali il Ministero normalmente dovrebbe occuparsi non per i finanziamenti ma per la verifica della qualità e della serietà. Dal punto di vista interno, invece, le linee direttive del ddl sono tutte catastrofiche. Partendo dal vertice della piramide, il Dirigente scolastico godrà di poteri non adeguatamente definiti, privi di efficaci controlli e senza chiarire quali sanzioni non discrezionali saranno comminate ai dirigenti che incorreranno nell’abuso di ufficio oltre che in scelte poco corrette, appare di stampo vagamente fascista, quali la chiamata diretta dei docenti senza il rispetto di graduatorie, la possibilità di strappare alle altre scuole i docenti migliori e di utilizzare insegnanti appartenenti a classi di concorso diverse, purché posseggano titoli validi. Ricordando innanzitutto che una sentenza della Corte Costituzionale del 2013 ha bocciato la Regione Lombardia per aver concesso in via sperimentale ai Presidi la chiamata diretta dei docenti, tutto ciò ci sembra andare contro i principi, istituzionalmente garantiti, di uguaglianza, diritto al lavoro, buon andamento e imparzialità dell’agire amministrativo. Scendendo un gradino della piramide, sarà introdotto un nuovo criterio di progressione di carriera degli insegnanti, non più basato sull’anzianità di servizio, e neppure su titoli o documentazioni oggettive bensì sulla “valutazione” delle attività svolte. Questo criterio, che in teoria potrebbe essere un buon progetto, rivela in pratica essere un cavallo di Troia, poiché prevede che ogni tre anni, due terzi dei docenti ricevano uno “scatto di competenza” di 60 euro mensili, sulla base di criteri valutativi decisamente opinabili (1) in quanto gli studenti e le loro famiglie avranno voce in capitolo sulla carriera degli insegnanti e, inoltre, il Dirigente avrà il ruolo centrale nel Nucleo di Valutazione. Ciò stimolerà servilismo e conformismo, intaccando inevitabilmente la residua libertà d’insegnamento che sarà condizionata dalla ricerca di premi di produzione su modello aziendale. Il personale docente dunque, invece di focalizzare la propria attività “al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali” come recita l’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, vivrà nella scuola una dimensione homo homini lupus fortemente diseducativa. Alla base della piramide scolastica troviamo ovviamente i discenti, per i quali è prevista un’alternanza scuola-lavoro che favorisca l’autoimprenditorialità. Nascerà per loro il registro nazionale delle imprese e gli studenti dovranno obbligatoriamente stipulare contratti di apprendistato il cui valore conterà in sede di Esame di Stato. Dubitiamo della compatibilità di una tale imposizione col diritto allo studio costituzionalmente garantito e finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, alla formazione del cittadino e della cittadina, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno, secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Sarebbe invece auspicabile articolare l’alternanza scuolalavoro su base volontaria e valutarne l’efficacia considerando le inclinazioni e le aspirazioni della persona. Ci viene pertanto presentata, non un’autonomia scolastica proiettata verso la dimensione educativa ma, una scuola-azienda che intende valorizzare un’autonomia scolastica unicamente piegata a logiche di mercato imprenditoriali dove tutti competono per accaparrarsi le già scarse risorse disponibili. Di fatto la piramide dovrebbe essere rovesciata, avendo al vertice gli studenti, la cui formazione è scopo primario e prioritario ed i cui interessi sociali e morali dovrebbero avere la massima attenzione. Poi dovrebbero venire i docenti, che andrebbero sicuramente meglio qualificati ed anche motivati, e solo alla fine i dirigenti che devono far funzionare la macchina, non guidarla scegliendo la strada in relativa autonomia. Il fatto è che la maggior parte dei “consulenti” e dei ministri o sono persone poco competenti nello specifico, che non hanno dimestichezza delle vita reale nelle scuole, o sono accademici che della scuola hanno una visione limitata e spesso snobistica. Basti pensare che per un accademico medio l’ attività prioritaria “importante” è normalmente la ricerca e solo ad ampia distanza viene la didattica, attività che alcuni accademici -per fortuna solo una parte- considerano noiosa se non degradante. Ho sentito accademici dire, a proposito di riforme universitarie, “mica vogliamo finire come nelle scuole a fare solo didattica”. Come si immagina che essi decidano cosa si dovrebbe fare nelle scuole? Quanti di loro sanno scrivere testi didattici chiari e non di pura erudizione, utili sostanzialmente solo per rendere noto ad altri addetti ai lavori ciò che sanno? Vengono in mente le parole di Goethe “Certi libri sembrano scritti non perché da essi si impari qualcosa, ma perché si sappia che l’autore sapeva qualche cosa..”. L’immissione in ruolo dei precari, sollecitata dall’Unione Europea, è stata usata come arma rozza di ricatto per far approvare l’insieme del testo di presunta riforma. Ricatto verso i sindacati, forse, ma chi ha detto che il personale in servizio sia comunque favorevole ad una massiccia immissione in ruolo di personale, purtroppo non sempre adeguatamente selezionato e formato? La qualificazione della formazione pubblica passa anche attraverso una adeguata selezione e qualificazione del personale, che non deve lavorare nella scuola solo perché non ha trovato alternative più interessanti o abbordabili, una sorta di ripiego per poveracci. Non deve lavorare nelle scuole anche se detesta i ragazzi o mentalmente non è in grado di sopportarne esuberanza ed atteggiamenti. Non deve lavorare nelle scuole se non è portato per le relazioni umane e non ha adeguata sensibilità relazionale. E quanti oggi vi lavorano e non hanno le caratteristiche giuste (o non hanno più, visto che oramai la maggior parte del personale ha oltre 50 anni) dovrebbe essere destinato ad altra attività nella pubblica amministrazione. E qui si tocca un ulteriore punto dolente: la tanto citata mobilità per il personale della scuola non esiste se non in modo degradante. Passati eventualmente ad altra amministrazione si è collocati in una nicchia chiusa, senza possibilità di carriera, bloccati nel livello stipendiale, come se un ingegnerie od un laureato in lettere classiche che lavorano nella scuola fossero analfabeti rispetto ai loro omologhi che lavorano in un altro ministero. Non solo non c’è adeguata mobilità verso altre amministrazioni, ma con il decreto si è bloccata anche la mobilità spaziale, con la riduzione drastica dei trasferimenti, scoraggiando le possibilità di spostarsi sul territorio per scegliere una sede meno lontana od una scuola più vicina alla propria formazione. Il decreto non ha risolto il problema delle classi di concorso, alcune delle quali sistematicamente penalizzate, con ulteriori discriminazioni interne tra il personale. Il decreto non ha affrontato il problema del raggruppamento delle classi di concorso stesse, consentendo a quanti hanno più abilitazioni e competenze di muoversi con minori intralci tra una classe e l’altra, ma senza lasciare che alcune classi di concorso si “estinguano” in modo naturale nella indifferenza della amministrazione, che non provvede ad adeguata riqualificazione del personale. Il decreto non prevede l’obbligo della informatizzazione dei dati del personale, per cui ancora oggi un docente che lavora già da decenni, se cambia scuola deve ripresentare alla nuova sede di servizio tutti i dati come se fosse un emerito sconosciuto e non un dipendente del MIUR. Il decreto amplia il solco già tracciato con l’eliminazione del ruolo, come esisteva alcuni decenni fa, ed il passaggio ai contratti a tempo determinato ed indeterminato. Rendendo ancora più precario il senso del lavoro ed il rapporto tra dipendente e Ministero. Piero Calamandrei, padre costituzionalista, parlando della scuola diceva “La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue...” Questo per dire che l’autonomia, che ora con un decreto legislativo dopo l’altro si cerca di tropizzare e di reinterpretare in chiave utilitaristica imprenditoriale, non solo viene da lontano ma costituisce, o dovrebbe costituire, la garanzia stessa dell’esercizio della democrazia. Noi della LIDU Onlus auspichiamo dunque che, alla luce di nuovi punti di vista focalizzati verso un’educazione libera, civile e costituzionale, il decreto legge venga ridiscusso dagli organi competenti e ridefinito nelle sue criticità, al fine di alleviare la nostra società da una cappa di autonomia asservita e facilitare lo sviluppo di nuove generazioni ben formate sulla base delle loro attitudini e inclinazioni, libere nel pensiero e rispettose del prossimo. (1) Il docente “bravo” è quello che boccia poco e distribuisce volti alti? O è quello che lavora seriamente ed esige una preparazione adeguata? E’ quello più simpatico quale intrattenitore, qualunque sia la preparazione degli studenti, o quello burbero che contribuisce ad una buona formazione ma usa voti bassi? Ai dirigenti non farà più comodo il docente che da una buona immagine della scuola, ma forse è poco attendibile? Nella vaghezza ed indefinitezza dei criteri, che di fatto non esistono, sarà possibile tutto ed il suo opposto, creando non solo confusione, ma ancora una volta procedure e criteri dissimili da un luogo all’altro, da una scuola all’altra, da un anno all’altro. Deve prevalere il “aiutiamoli tutti perché sono poveri ragazzi” o il “dobbiamo dare loro una buona preparazione e chi non ce la fa si ferma o cambia indirizzo”? Già oggi esistono disparità che saranno amplificate, oppure che saranno eliminate come in una catena di montaggio, i cui “bulloni” sono gli studenti. Quanto ancora dovremo aspettare per vivere sicuri in un Paese che oggi solo virtualmente è dimora Europea? di Caterina Navarro Nel 2007 un imprenditore casertano, Antonio Picascia, aveva denunciato un tentativo di estorsione facendo arrestare alcuni emissari del clan Esposito-Di Lorenzo. Nel 2008 era stato scelto da Confindustria come testimonial nazionale per la prima giornata alla legalità, diventando così l’uomo simbolo della lotta al racket. Nonostante i molti episodi di intimidazione l’uomo non si è mai scoraggiato, ha continuato a lottare e denunciare finché lo scorso venerdì notte ha visto bruciare la propria fabbrica di detergenti in un incendio doloso di matrice camorristica. Importante notare che proprio il giorno precedente il disastro, Picascia aveva preso parte al Festival dell’Impegno Civile “Le Terre di Don Diana” affiancando il Presidente dell’Autorità Antimafia Raffaele Cantone. L’evento era il primo di una tre giorni in memoria di un altro imprenditore antiracket, Alberto Varone, che fu ucciso il 24 luglio del 1991 per non aver voluto sottostare alle richieste estorsive dei clan dei Muzzoni che volevano impadronirsi del suo mobilificio. Come loro molti altri, in tutto il territorio italiano, da nord a sud, hanno lottato e lottano ogni giorno per evitare che il nostro Paese prenda una piega sbagliata, come il diffondersi di un diritto consuetudinario, dal carattere medievaleggiante, in cui il più forte détta una regola che nel tempo diventa legge. Oggi la consuetudine a pagare il racket accanto alle tasse statali, la consuetudine all’omertà, al silenzio per salvarsi, per preservare l’incolumità della propria famiglia, sono diventati parte non codificata, ma non per questo meno passibile di pena, della giurisprudenza locale in alcune zone più che in altre. Ci chiediamo dunque perché le istituzioni continuino ad essere miopi in questa direzione; di certo molti passi avanti sono stati fatti, forse meno certamente il Governo ha salvato la sua indipendenza dalle ingerenze di tale criminalità, ma per noi della LIDU Onlus è altresì importante sottolineare che lo Stato, purtroppo, ancora permette che singoli cittadini vengano privati della loro vita e dei frutti del proprio lavoro. Reputiamo che la sicurezza debba essere obiettivo dello Stato e diritto del Cittadino, e ricordiamo che storicamente è sempre stata considerata come un diritto fondamentale a cominciare dalle Dichiarazioni dei diritti contenute nelle Costituzioni delle ex colonie britanniche. Nel Bill of Right della Virginia del 1776 vengono considerati diritti innati "il godimento della vita, della libertà, mediante l'acquisto ed il possesso della proprietà e il perseguire e ottenere felicità e sicurezza” e si stabilisce che "sia il governo a garantire protezione e sicurezza del popolo". Anche l'art. 7 della carta del Massachusetts e l'art. 5 della Carta della Pennsylvania proclamano che "Ogni membro della società ha diritto di essere protetto nel godimento della vita". Non si può non citare la Costituzione italiana del 1948, dopo la Riforma del titolo V°, parte II, introdotta con L. cost. n. 3 del 2001, nel quale la sicurezza pubblica – più precisamente "ordine pubblico e sicurezza" – viene in rilievo in relazione alla ripartizione di competenza legislativa ed amministrativa esclusiva dello Stato. Ovviamente non possiamo dimenticare la codificazione fondamentale, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, di cui l’articolo 3 recita “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.” La sicurezza, intesa come esistenza protetta, rappresenta la conditio sine qua non per la fruizione ed il godimento di tutti gli altri diritti, basilarmente indispensabile per un’esistenza dignitosa. Ci chiediamo dunque quanti altri Picascia in Italia e nel Mondo debbano veder rovinato il frutto del proprio lavoro prima che le Istituzioni diano il colpo di grazia a questo cancro sociale. Ci chiediamo perché gli ultimi Governi abbiano speso fior di miliardi per accrescere in numero e vigore le forze armate con l’unico scopo di proteggere i loro privilegi e l’inviolabilità della loro posizione. Ci chiediamo quando verrà quel giorno in cui il singolo cittadino potrà beneficiare finalmente di una società “isola” dal mare di violenza e contraffazione del potere. Intervento della LIDU alla manifestazione africana contro il silenzio dei governi africani sulle tragedie nel mediterraneo La L.I.D.U. Onlus – Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo si unisce alle associazioni africane d’Italia che interverranno alla manifestazione in Piazza Santi Apostoli a Roma sabato 5 settembre nel chiedere con forza una presa di posizione urgente contro il silenzio dei governi africani in merito alle tragedie che si stanno consumando nelle acque del Mar Mediterraneo. Infatti, se è indubbio che l’Europa abbia la sua parte di responsabilità legate al all’incapacità dei singoli paesi membri di sviluppare delle politiche migratorie realmente comuni capaci di fornire soluzioni concrete per fermare le stragi che si stanno accumulando in quello che il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha definito “un mare di miseria”, è altrettanto vero che la crisi dei migranti non riguarda solo l'Europa, ma anche l'Africa. Sotto questo profilo si registra un silenzio assoluto da parte dei governi dei Paesi di appartenenza dei migranti, un silenzio che non esitiamo a definire “colpevole”: ad annegare nelle acque del Mediterraneo sono infatti cittadini africani in fuga. Un silenzio che da la sensazione che tali Paesi possano in qualche modo ottenere un profitto da tali partenze. Infatti, i Paesi d’origine hanno il dovere di seguire queste persone nel grande disagio che incontrano e di adoperarsi per ottenere dalla solidarietà dei popoli del mondo quell’attenzione, per non dire aiuto ad evitare l’espatrio di costoro. Al di là delle accuse più o meno dirette, a nostro avviso è importante fornire una soluzione a tali questioni. Sebbene siamo consapevoli che la migrazione di migliaia di disperati verso l’Europa non costituisca una questione che si possa risolvere dall’oggi al domani; mai come ora riteniamo necessario che l’Unione europea debba agire di concerto con i Paesi d’origine, i quali a loro volta devono assumersi le proprie responsabilità, iniziando a dissuadendo i candidati alle partenze di affidare la loro sorte nelle mani dei trafficanti. Infatti, piuttosto che pensare a distruggere barconi, come risuona in numerosi proclami di non pochi gruppi politici pronti a cavalcare l’onda populista, le autorità europee dovrebbero rapportarsi con le istituzioni , che vivono lì e che controllano quei porti, quei territori: si tratta in sostanza di stabilire un sistema di presidi realizzato dalla rete diplomatico consolare dei paesi dell’Unione e del servizio europeo per l’azione esterna, insieme a UNHCR e alle altre organizzazioni umanitarie internazionali, e farsi carico del far cessare le partenze pericolose e selvagge, dei profughi in balìa degli scafisti. Solo per questa via, ovvero aumentando la cooperazione con il Nord Africa e i Paesi dell'Africa Sub sahariana, sarà possibile sviluppare un Piano d’azione comune capace di arginare questa macabra spirale di tragedie umane. Tuttavia, riteniamo fondamentale che tali rapporti di cooperazione non si esauriscano nell’affrontare un problema contingente, quale il fenomeno migratorio, in maniera meramente emergenziale ma proseguano nel lungo periodo in altri ambiti che vanno dalla promozione di un percorso pacifico di tali Paesi verso la democrazia fino al supporto dell'innovazione, del commercio e degli investimenti, dello sviluppo agricolo e industriale come motori per una crescita inclusiva. Presentazione Annuario italiano dei diritti umani a cura di Ilaria Nespoli Il giorno 16 settembre 2015 presso la sala Aldo Moro della Camera dei Deputati la L.I.D.U. Onlus ha partecipato, con il suo Presidente Alfredo Apaia ed il Segretario Generale Roberto Vismara, alla presentazione dell’”Annuario italiano dei diritti umani” redatto dal Centro Diritti umani Università di Padova. La presentazione è stata inaugurata dal saluto introduttivo della Presidente della Camera dei Deputati, l’on. Laura Boldrini, la quale dopo aver evidenziato la qualità e l’utilità dell’Annuario, capace di combinare un quadro informativo accurato con proposte costruttive stimolanti, ha sottolineato l’importanza di due raccomandazione rivolte al Parlamento europeo, ovvero l’istituzione di una Commissione nazionale indipendente per i diritti umani e l’invito a svolgere un dibattito parlamentare con cadenza annuale sui diritti fondamentali all’interno dei Parlamenti di ciascun paese. Se, in ordine al primo aspetto la Presidente della Camera ha affermato la necessità di un intervento legislativo, per quanto concerne il secondo aspetto si è impegnata a proporre alla Conferenza dei Presidenti dei gruppi la calendarizzazione nei lavori dell'Assemblea della Camera una sessione parlamentare dedicata alla verifica del rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali nel nostro Paese. Lo svolgimento di questo dibattito sarà la base di partenza per stimolare anche altri Parlamenti dell'Unione europea a fare altrettanto, scambiandosi informazioni e valutazioni sulle rispettive esperienze. E' infatti dovere dei Parlamenti contribuire a rafforzare i meccanismi per la salvaguardia dei diritti fondamentali all'interno dell'Unione europea. A tal proposito la Boldrini ha suggerito di istituire un rapporto sistematico di collaborazione tra i Parlamenti nazionali e l'Agenzia europea per i diritti fondamentali,in modo da valorizzare il patrimonio di conoscenza di quest'ultima, spesso non messo sufficientemente a frutto. Infine, La L.I.D.U concorda pienamente sulla necessità espressa dalla Boldrini di ricollocare la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali al centro dell'azione e delle politiche dell'Unione europea, nella consapevolezza che questo è il primo e più qualificante connotato che rende l'esperienza dell'Unione europea un modello unico ed esemplare a livello internazionale. Questo è quanto mai vero oggi, in un'Europa in cui sta prendendo piede una dimensione politico-culturale che si allontana da questo substrato comune con Stati che ritengono di doversi difendere da quanti fuggono da violazioni di diritti umani, erigendo dei muri. Ora come non mai si avverte la necessità di un’”Europa 2.0” basata sulla tutela dei diritti e delle libertà della persona umana e capace di rispondere ai bisogni dei propri cittadini. Ai saluti della Boldrini fa eco l’intervento di Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria dei diritti umani: “L’annuario italiano costituisce un monito autorevole, quanto mai necessario in un momento come questo in cui la categoria dei diritti umani vive un momento di crisi cruciale”: se finora i diritti umani non sono sembrati un problema dell’Occidente sviluppato ma dei Paesi del Terzo o Quarto mondo; tutto ciò è ormai stato messo in discussione dai processi involutivi che le nostre stesse democrazie sviluppate hanno conosciuto, con violazioni dei diritti della persone che tendono addirittura ad acuirsi, specie se si guarda alla gestione europea dei flussi migratori. Per quanto riguarda i punti di maggior rilievo dell’Annuario 2015, essi sono stati evidenziati da Antonio Papisca, professore emerito Università di Padova e direttore dell’Annuario italiano dei diritti umani. Un primo passo è sicuramente costituito dalla ratifica, da parte del Parlamento italiano, del Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti economici e sociali del 2008 che prevede la possibilità per il cittadino di adire il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali in caso di violazioni di tali diritti. Tale Comitato non ha il potere di emettere decisioni giuridicamente vincolanti ma si limita a produrre una serie di osservazioni e raccomandazioni rivolte agli Stati affinché si adoperino al meglio nel garantire la protezione e la promozione dei diritti economici, sociali e culturali a livello interno. In particolare, Papisca evidenzia la necessità che tale Comitato lavori in sinergia con gli organismi istituiti in sede di Consiglio d’Europa. Fra i principali punti deboli in ordine alla situazione dei diritti umani in Italia, Papisca segnala il crollo del finanziamento italiano agli organismi internazionali preposti alla tutela dei diritti umani e la mancata istituzione di una Commissione indipendente sui diritti umani. A tali questioni, Marco Mascia, Direttore del Centro di Ateneo per i Diritti Umani, aggiunge tre punti sul quale il nostro paese risulta carente: la mancata ratifica, sia da parte dell’Italia (e da parte dei Paesi membri dell’Unione europea) della Convenzione per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti, di cui proprio quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario dall’entrata in vigore; la questione dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo in cui si denota un’incapacità del nostro paese di rispondere agli standard internazionali prevalenti; la mancata previsione del reato di tortura all’interno del sistema giuridico italiano. Riguardo a quest’ultimo punto il Presidente della commissione diritti umani ha sottolineato come attualmente un disegno di legge sull’introduzione del reato di tortura stia per essere approvato nella versione licenziata in Commissione Giustizia, che tuttavia non rispecchia gli auspici iniziali avendo cancellato il riferimento allo stato di privazione della libertà e alla condizione di minorata difesa che nel testo del senato erano il necessario corollario della scelta di qualificare la tortura come un reato comune. Fra le proposte più importanti avanzate dall’Annuario segnaliamo l’opportunità di introdurre l’insegnamento dei diritti umani nei corsi di formazione destinati alla Pubblica Amministrazione e soprattutto, nei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado. Temi, questi su cui la L.I.D.U. si batte da anni attraverso l’implementazione di progetti miranti alla diffusione dei principi della Dichiarazione universale e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’interno degli istituti scolastici. Analisi della situazione demografica in Europa A cura di Ilaria Nespoli La demografia dell'Europa al 2010, secondo dati dell'ONU, contava circa 738.200.000 abitanti entro i confini geografici del continente, rappresentando l'11% della popolazione mondiale; prendendo in considerazione, però, l'intera popolazione di stati transcontinentali come Russia e Turchia, il totale sale fino a poco più 832.000.000 di abitanti. Densità della popolazione in Europa. Fonte Eurostat Tuttavia, per quanto riguarda il tasso di natalità e la crescita della popolazione autoctona, essa è relativamente basso se confrontato ai tassi di continenti quali l'Asia, l'Africa e le Americhe. Sulla base di un confronto effettuato tra gli Stati membri dell'UE-28, nell'arco temporale compreso tra il 1° gennaio 1960 e il 1° gennaio 2013 la popolazione è aumentata ogni anno, registrando una crescita complessiva di 98,9 milioni di abitanti, con un tasso medio di crescita annuo pari allo 0,4 %. Storicamente, la crescita della popolazione dell'UE ha rispecchiato ampiamente l'evoluzione del saldo naturale della popolazione (la differenza totale tra il numero di nascite e il numero di decessi), e non le dinamiche migratorie. Tuttavia, dal 1964, quando sono state registrate 3,6 milioni di nascite in più rispetto al numero di decessi, i tassi di natalità sono scesi progressivamente e la speranza di vita è aumentata gradualmente, determinando un rallentamento del tasso naturale di crescita della popolazione. Prima del 2003, la crescita naturale della popolazione per gli Stati membri dell'UE-28 era vicina al pareggio, in quanto il numero delle nascite superava il numero di decessi di meno di 100 000 unità. Successivamente, il tasso di natalità e la crescita naturale della popolazione sono nuovamente aumentati in numerosi Stati membri; questa tendenza si è generalmente invertita con l'insorgere della crisi economica e finanziaria. Fino al 2025 si ritiene che la popolazione europea continuerà ad aumentare per arrivare fino a circa 743.890.000 abitanti. L’Eurostat evidenzia come l’80% di tale crescita sia determinato da flussi migratori. In particolare, l’incremento demografico maggiore ha riguardato le regione urbane dell’Ue dove si registra un saldo migratorio più alto. Nel periodo 2008–2012, erano 784 le regioni di livello NUTS 3 dell'UE-28 a presentare un saldo migratorio positivo (un numero di immigrati superiore al numero degli emigrati). Tra queste, il più forte afflusso netto di immigrati è stato osservato nelle due regioni che hanno registrato la più elevata crescita demografica complessiva: Ilfov (la regione situata intorno alla capitale della Romania), e le isole spagnole di Eivissa e Formentera nelle Baleari, in cui i tassi grezzi di migrazione netta erano in media rispettivamente pari a 32,7 e 22,6 per mille abitanti. Il successivo tasso più elevato del saldo migratorio è stato registrato in Lussemburgo (un'unica regione a questo livello di analisi), dove la popolazione è aumentata di 16,9 per mille abitanti. Le uniche altre regioni in cui il tasso grezzo di migrazione netta era superiore a 15,0 per mille abitanti sono Fokida, regione interna della Grecia centrale, e York, situata nell'Inghilterra settentrionale. Altre 100 regioni di livello NUTS 3 (rappresentate con il colore più scuro nel cartogramma 4), distribuite in varie parti dell'UE, hanno registrato una variazione demografica netta dovuta ai flussi migratori, pari in media a un aumento di almeno 8,0 per mille abitanti, nel periodo 2008–2012. Queste regioni, prevalentemente urbane, includono le regioni delle capitali del Belgio (Arr. de Bruxelles-Capitale/Arr. van Brussel-Hoofdstad), della Danimarca (Byen København), dell'Italia (Roma), dell'Ungheria (Budapest) e della Svezia (Stockholms län), nonché altre città della Germania (per esempio, Leipzig, Frankfurt am Main, München, Dresden e Wolfsburg), dell'Italia (per esempio, Parma, Bologna, Firenze, Pisa e Perugia) e del Regno Unito (per esempio, Portsmouth, Edinburgh, Luton, Nottingham, Sheffield, Tyneside, Bristol e Greater Manchester South); tutti i dati si riferiscono al periodo 2008–2010. Tuttavia la tendenza è opposta in Francia, dove le regioni con i tassi grezzi di migrazione netta più elevati sono generalmente rurali e situate nella parte meridionale del paese (per esempio, Tarn-et-Garonne, Dordogne, Landes, Hérault, Gers, Gard e Hautes-Alpes). Tale analisi è ricavata dalla seguente tabella Tasso grezzo medio del saldo migratorio (inclusa rettifica statistica), Regioni NUTS (Nomenclatura delle unità territoriali statistiche) - Fonte: Eurostat La minore propensione ad avere figli nell'UE contribuisce al rallentamento, e perfino all'inversione, della crescita naturale della popolazione, prevista dall’Eurostat dal 2030 in poi. Nel 2012, il tasso grezzo di natalità dell'UE-28 era pari a 10,4 nascite per mille abitanti. Tra gli Stati membri dell'UE, il tasso grezzo di natalità ha raggiunto il picco di 15,7 nascite per mille abitanti in Irlanda, ma ha registrato valori relativamente alti anche in Regno Unito (12,8) e in Francia (12,6). Per quanto riguarda invece i valori più bassi, nella maggior parte dei paesi dell'Europa orientale (Bulgaria, Croazia, Ungheria, Polonia e Romania), dell'Europa meridionale (Grecia, Spagna, Italia, Malta e Portogallo), così come in Germania, Lettonia e Austria, il tasso grezzo di natalità era minore o uguale a 10,0 nascite per mille abitanti. Confrontando i dati del 2009 con quelli del 2012, si rileva un calo dei tassi grezzi di natalità nella maggior parte degli Stati membri dell'UE: se nel 2002, il tasso di fecondità totale dell'UE-28 ha raggiunto un minimo storico di 1,45 nati vivi per donna. Successivamente è stata osservata una leggera ripresa, raggiungendo un valore pari a 1,61 nel 2008 prima di scendere nuovamente a 1,58 nel 2012 dopo l'inizio della crisi economica e finanziaria. Nelle regioni più sviluppate del mondo, un dato pari a 2,1 nati vivi per donna è considerato il tasso naturale di sostituzione, ovvero il livello per cui la popolazione rimarrebbe costante, a lungo termine, in assenza di flussi migratori in entrata o uscita. Ciò suggerisce che la crisi economica e finanziaria influisce sulla decisione di avere figli. Germania, Austria e Regno Unito sono gli unici Stati membri ad aver registrato un aumento dei propri tassi grezzi di natalità tra il 2009 e il 2012 (nel caso di Germania e Austria, da tassi molto bassi in principio), mentre Lussemburgo, Malta e Slovenia hanno mantenuto tassi di natalità costanti. Gli esperti di politiche demografiche e familiari si dividono sulle ragioni di questa apparente riluttanza ad avere bambini. Tuttavia, secondo le più recenti proiezioni demografiche di Eurostat, nei prossimi decenni probabilmente si registrerà un calo demografico e, tra gli Stati membri, i paesi più colpiti saranno la Germania, la Spagna e i paesi Baltici. Inoltre, analizzando i dati forniti dall’Eurostat, sull'intero territorio dell'UE-28, il 1° gennaio 2013 i giovani di età compresa tra 0 e 14 anni) rappresentavano il 15,6 % del totale della popolazione, mentre la popolazione in età lavorativa (15–64 anni) costituiva quasi i due terzi (66,2 %) del totale, con il restante 18,2 % della popolazione rappresentato dalle persone di età superiore ai 65 anni. È possibile analizzare ulteriormente le variazioni strutturali della popolazione dell'UE-28 attraverso gli indici di dipendenza ottenuti confrontando il numero di persone dipendenti (giovani e/o anziani) con la popolazione in età lavorativa (a prescindere che questa sia occupata o meno). Tali indici sono intesi a fornire informazioni sull'onere potenziale gravante sulla popolazione in età lavorativa, per esempio per sostenere l'istruzione, la spesa sanitaria o le prestazioni pensionistiche. Indici di dipendenza in aumento possono costituire motivo di preoccupazione per le amministrazioni pubbliche per quanto riguarda i loro programmi di spesa pubblica e alle loro risorse finanziarie. L'indice di dipendenza degli anziani evidenzia il rapporto tra il numero di anziani e la popolazione in età lavorativa che, al 1° gennaio 2013, era del 27,5 % in tutto il territorio dell'UE-28. Gli indici di dipendenza degli anziani sono particolarmente elevati nelle regioni periferiche e rurali. Osservando attentamente il cartogramma relativo all’indice di dipendenza degli anziani, figurano 274 regioni di livello NUTS 3 in cui l'indice di dipendenza degli anziani era pari o superiore al 35,0 % (le regioni riprodotte con il colore più scuro), molte delle quali registrano tassi di natalità tra i più bassi dell'UE. Tali regioni sono per lo più situate in aree rurali, periferiche e montuose (specialmente nel nord-ovest della Spagna, nelle regioni interne del Portogallo e nel centro-sud della Francia) e sono spesso caratterizzate da un decremento demografico, in parte dovuto al fatto che i giovani sono "spinti" a lasciare la regione in cerca di lavoro, il che causa a sua volta l'aumento della quota relativa degli anziani. Per contro, alcune regioni con indici di dipendenza degli anziani relativamente elevati hanno registrato un aumento della popolazione più anziana, riconducibile all'attrazione che tali destinazioni esercitano, per le loro condizioni climatiche o per le strutture e i servizi offerti, sulle persone in età pensionabile. L'incidenza delle variazioni demografiche nell'Unione europea (UE) avrà probabilmente una considerevole importanza nei prossimi decenni: la grande maggioranza dei modelli per le future tendenze demografiche suggerisce infatti che i tassi di fecondità costantemente bassi e la sempre maggiore longevità determineranno un continuo invecchiamento della popolazione dell'UE. Nonostante svolga un ruolo importante nelle dinamiche demografiche dei paesi europei, il saldo migratorio da solo quasi certamente non invertirà l'attuale tendenza attuale all'invecchiamento della popolazione registrata in varie aree dell'UE. Infatti, nel corso dei prossimi 35 anni si prospetta un consistente invecchiamento della popolazione in Europa lo scenario principale delle proiezioni demografiche di Eurostat (EUROPOP2013) fornisce un contesto per i possibili sviluppi in questo senso. Le proiezioni suggeriscono che l'invecchiamento demografico porterà a un aumento della popolazione di età pari o superiore ai 65 anni dell'UE-28, la quale passerà dal 18,2 %, registrato all'inizio del 2013 al 28,1 % entro il 2050, mentre la quota della popolazione in età lavorativa scenderà dal 66,2 % al 56,9 %. Di conseguenza, la popolazione in età lavorativa diminuirà di quasi 40 milioni di persone. Le dimensioni e il peso relativo della popolazione di età pari o superiore a 65 anni aumenteranno rapidamente nel periodo interessato dalle proiezioni, e questo gruppo di età raggiungerà quasi 150 milioni di persone entro il 2050. Data la diversità tra le tendenze delle classi di età, si prevede un aumento dell'indice di dipendenza degli anziani (il rapporto tra il numero di persone di 65 anni o più e le persone tra i 15 e i 64 anni) dal 27,5 %, registrato all'inizio del 2013, a una percentuale quasi pari al 50 % entro il 2050. Di conseguenza, nell'UE, in meno di 40 anni, si passerà da avere quasi quattro persone in età lavorativa per ogni persona di 65 anni o più, ad averne solo due. Le conseguenze sociali ed economiche associate all'invecchiamento della popolazione sono destinate ad avere notevoli ripercussioni in Europa, a livello sia nazionale che regionale. Per esempio, i bassi tassi di fecondità determineranno una riduzione del numero degli studenti e delle persone in età lavorativa rispetto al resto della popolazione, nonché un aumento della percentuale di anziani, alcuni dei quali necessiteranno di ulteriori infrastrutture, servizi di assistenza sanitaria e abitazioni adeguate. Queste variazioni strutturali della popolazione potrebbero ripercuotersi sulla capacità dei governi di aumentare le entrate fiscali, far quadrare i propri bilanci o fornire pensioni e servizi di assistenza sanitaria adeguati. Una risposta a tali problematiche legate alle esigenze economiche di manodopera potrebbe venire dal fenomeno migratorio. I numeri di questo fenomeno sono impressionanti: secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) è più che raddoppiato il flusso dei migranti che hanno attraversato il Mediterraneo nel 2014. Più nel dettaglio, risulta che i richiedenti asilo siano quasi mezzo milione (432761), di cui 309356 sono arrivati via mare in Grecia, 121139 in Italia, 2166 in Spagna e 100 a Malta. Molti di essi accettano di fare dei lavori che non vogliono più fare gli europei. Proprio da questo punto di vista, possiamo affermare che gli immigrati possono rappresentare anche un notevole surplus per il paese di accoglienza; basterebbe dare una occhiata ai dati offertoci dai principali laboratori di statistica per comprendere che gli immigrati sono infatti perlopiù giovani in età lavorativa, e incoraggiare l’integrazione nel nostro sistema produttivo apparirebbe quindi la scelta più lungimirante. A rendersi conto di come i flussi migratori possano divenire una risorsa importante per combattere il cosiddetto “suicidio demografico europeo” non sono soltanto gli Stati membri, Germania in primis, che richiede una modifica nella distribuzione delle quote non per una riscoperta solidarietà europea ma con l’obiettivo di rispondere alle proprie esigenze di manodopera, ma i vertici stessi della Banca centrale europea. Come affermato dal Vicepresidente della BCE, Vitor Costancio, in una recentissima intervista a Reuters "Per modificare le tendenze demografiche, promuovere le nascite non è sufficiente. Bisogna farlo attraverso l'immigrazione. In caso contrario, stiamo ostacolando la crescita e il benessere delle generazioni future". 21 settembre 2015 La giornata internazionale per la Pace Noi della LIDU, quali difensori dei Diritti Umani, abbiamo molto a cuore questo tema, perché non ci può essere pace senza giustizia, che sia in ambito territoriale, religioso o culturale. Non ci può essere pace se non si è pronti a tendere la mano al prossimo e non ci può essere pace se non ci uniamo tutti perché la quotidianità sia una lotta continua, che tende al bene comune. Per questo la LIDU chiede a Voi, carissimi Soci, di dedicare qualche momento in più alla nostra Associazione, di partecipare insieme alle nostre attività e alla nostra quotidianità, perché è insieme che si trovano soluzioni, è insieme che si fa nascere una buona idea ed è insieme che si progetta il futuro. Ritroviamoci tutti, discutiamo, condividiamo le reciproche idee di futuro e interveniamo insieme, perché senza lavorare per il rispetto dei Diritti Umani non ci potrà mai essere PACE. Vi invitiamo a partecipare ai nostri prossimi eventi Vi diamo appuntamento quotidiano per conoscere le novità sul nostro sito web: www.liduonlus.org e sulla pagina facebook: https://www.facebook.com/liduonlus TESSERAMENTO 2015 Socio Giovane Socio Ordinario Socio Sostenitore Socio Benemerito quota minima quota minima versamento minimo versamento minimo € 10,00= (fino a 30 anni) € 50,00= € 200,00= € 500,00= contanti; assegno; bollettino di c/c/postale n° 64387004 bonifico bancario IBAN IT 90 W 05216 03222 000000014436 bonifico postale IBAN IT 34 N 07601 03200 000064387004 Intestati a: F.I.D.H. Fédération International des Droits de l’Homme - Lega Italiana onlus NOTA Poiché la L.I.D.U. è un'Associazione Onlus e la quota associativa è stata fissata ad euro 50,00- ogni versamento maggiore della quota suddetta, verrà considerata come versamento liberale e potrà essere dedotta, nei termini di legge, dalla dichiarazione dei redditi. 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