Armando Gnisci Transculturazione e Migrazione I demografi
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Armando Gnisci Transculturazione e Migrazione I demografi
Armando Gnisci Transculturazione e Migrazione I demografi contemporanei hanno elaborato statistiche che annunciano per la fine del XXI secolo la maggioranza di meticci rispetto agli autoctoni nelle popolazioni delle nazioni della UE. Allo stesso tempo, gli intellettuali italiani manifestano “lo smarrimento che ci ha colti, noi europei, di fronte a quei mutamenti di scena che hanno trasformato molti aspetti della nostra vita quotidiana in problemi di elevata e plurale complessità: l’umanità intorno a noi cambia colore, ci mescola a nuovi arrivati che hanno aspetto, abitudini, cibi e lingue diversi.”1 Questo è lo stato odierno dell’Unione Europea e del nostro “spirito”. Cosa facciamo affinché questo secolo in cui tutti noi viviamo possa diventare veramente il tempo della mutazione gentile nella concordia dell’umano? Nel maggio del 2014, rispondo: niente. Eppure è questa la sfida dell’umanità del nostro tempo e noi che ci preoccupiamo del presente-futuro dobbiamo pronunciare questa condizione trasformatrice e animarla con una cosmovisione eutopica: la “Via della Transculturazione e della Gentilezza”. “Eutopico” per noi vuol dire un “progetto di cambiamento mediante il desiderio di un luogo migliore dove vivere tutti insieme”, un luogo reale e immaginario al tempo stesso, e non solo immaginario e “in cielo”, come nei libri utopici europei. Questi luoghi dove portare il desiderio e il progetto di convivenza di milioni di esseri umani in migrazione da tutte le civiltà, oggi è l’Europa centro-occidentale, oltre gli USA e il Canada. Il Nord-ovest della Terra. Ecco perché l’integrazione che noi offriamo ai migranti è inadeguata e scadente, mentre dovrebbe essere giustamente relazionale e reciproca: non solo programmando la loro integrazione alla nostra civiltà, ma anche la nostra integrazione al loro progetto di “speranza” per costruire insieme un luogo e un modo di vivere migliore per tutti: la vera salute. La possibilità di instaurare un progetto reciproco, però, naufraga sulle scogliere del 1 Prefazione di Giancarlo Bosetti a Omnia mutantur, di R. J. Bernstein, S. Veca, Mario Ricciardi, Venezia, Marsilio 2014, p. 7. 1 nostro disinteresse sordo ed egoista e della debolezza degli stranieri, che non vengono tra noi con vele, cavalli e cannoni, come noi conquistadores del sedicesimo secolo nel Nuovo Mondo. La transculturazione non è una teoria né una impresa scientifica né una filosofia e tantomeno una ideologia, è piuttosto una cosmovisione poetica, etica e politica dell’azione che nasce e lavora nella coscienza critica di far parte di un movimento mondiale transculturale. La transculturazione è un’azione che predica una trasformazione antropologica attiva e comunitaria attraverso un’azione giusta nel campo mondiale delle civiltà, delle migrazioni, delle decolonizzazioni, delle creolizzazioni e delle mondializzazioni delle menti e delle vite nel nostro tempo. Dalla transculturazione degli europei mi sono convinto a pensare con il mondo intero dal punto di vista di tre momenti cruciali messi a spirale: la decolonizzazione, da noi stessi con l’apporto dei migranti; la creolizzazione delle nostre vite; la mondializzazione delle nostre menti e del nostro spirito europeo migliore, se ancora esiste. E quindi, dopo aver pensato che il mandato specifico della transculturazione era quello di agire su di noi europei, ho trovato che queste tre forme unite della transculturazione sono utili a definire, anche se non da sole, la transculturazione mondiale di tutte le civiltà in vista di una civiltà umana generale dei diversi nella concordia. Tutte le altre civiltà si decolonizzano da noi / se non da noi, da chi? Noi dobbiamo decolonizzarci da noistessi. Solo a noi è dato questo fardello rimosso. Ma non siamo soli. Anche la creolizzazione investe tutte le civiltà, eccetto il mondo arabo, il Giappone e la Cina, la mondializzazione è la risorsa comune contro la globalizzazione che rappresenta il mondo attuale come il paradiso del capitalismo sfrenato, incubo per tutti quei 90% che non fanno globalizzazione ma la subiscono. La mondializzazione è il rovescio della globalizzazione. La civiltà mondiale che è più avanti nel cammino della transculturazione è la civiltà latino-américana, doppia ma unita dei Caraibi 2 e dell’América latina, la Nuestra América (José Martí è quella più transculturale, Ortiz e in spagnolo transculturación). A noi sembra un ammasso di nazioni o mezzi-continenti di derivazione ed eredità linguistica e culturale europea e di seconda fila, terzo mondo ecc.; la nostra ignoranza ci porta a vederle così, mentre esse sono all’avanguardia giusta di un presente e di un futuro neo-umanista: decolonizzazione dagli europei da 200 anni (Neruda e lingua spagnola) fusione di tre civiltà: indigene, europee, africane; difesa della natura-madre, miglioramento progressivo del profilo dell’umano. I Caraibi sono il luogo poetico e attivo della creolizzazione, così come della mondializzazione; lo testimoniano i popoli indigeni oggi al potere: Morales e Costituzione Pacha Mama, Marcos subcomandante, Chapas, maya. In Nuestra América non ci sono filosofi, ma poeti, artisti, politici come José Martí che mostrarono e mostrano la via della nuova civiltà umanista, a partire dall’Europa e dopo-oltre l’Europa (decolonizzazione, creolizzazione, mondializzazione) Perché per definire l’Europa e il suo mandato civile rispetto al mondo del XXI secolo pongo al centro il colonialismo europeo della modernità? Esso mostra il carattere prevalente e cruciale della civiltà mondiale moderna assunto dalle nazioni atlantiche europee nel colonizzare il mondo dal Mundus Novus all’Australia. Il nucleo del colonialismo porta con sé l’avventurosità del nascente capitalismo e il cammino aperto della superiorità razziale e del fardello dell’uomo bianco (Kipling): civilizzare i mezzi-barbari-diavoli (demi-evil, Shak, half-evil, Kipl) che troverà il suo nome nella “volontà di potenza” di Nietzsche e la sua definizione nel Capitale di Marx, in particolar modo nel capitolo sulla “accumulazione originaria del capitale”, Libro I, VII, cap. 24: superiorità conoscitiva e civile, violenza e sfruttamento dei non-europei, razze inferiori. Dice Marx nel Capitale, cominciato ad essere pubblicato nel 1867: “La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia delle pelli nere, sono i segni che 3 contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. Questi procedimenti idillici sono momenti fondamentali dell’accumulazione originaria. Alle loro calcagna viene la guerra commerciale delle nazioni europee, con l’orbe terracqueo come teatro. La guerra commerciale si apre con la secessione dei Paesi Bassi dalla Spagna, assume proporzioni gigantesche nella guerra antigiacobina dell’Inghilterra e continua ancora nelle guerre dell’oppio contro la Cina, ecc.” Questo è “il sistema coloniale”, “la violenza più brutale” dell’uomo sull’uomo messa in atto dalla “civiltà occidentale” sul mondo intero.2 L’ effetto dell’impatto della civiltà occidentale è messa in scena dal poeta e primo Presidente dell’Angola Antonio Agostinho in un poema breve e sorprendente, ascoltiamolo: Lamiere inchiodate su travi conficcate nel terreno fanno la casa gli stracci completano l’ultimo paesaggio il sole penetrando le fessure sveglia il suo abitante dopo dodici ore di lavoro da schiavo Spaccare pietre portare pietre spaccare pietre portare pietre col sole sotto la pioggia spaccare pietre portare pietre La vecchiaia fa presto ad arrivare Una stuoia nelle scure notti gli basta per morire riconoscente e di fame. 2 Traduzione italiana, Roma, Editori Riuniti 1974, p. 813 e sgg. 4 [tr. it. di Pedro Francisco Miguel]. Il titolo del breve poema di Neto, è “Civiltà occidentale”. L’Europa colonialista ha mondializzato il mondo con la sua volontà di potenza che ha assunto la forma di “guerra mondiale” verso tutte le altre civiltà e di “mercato mondiale”, come affermato già nel 1848, nel famoso Manifesto del Partito Comunista, firmato da Marx con Engels. L’accumulazione originaria, sia quella coloniale che quella di rapina intraeuropea, è la fonte sorgiva e palese della volontà di potenza che crea l’alienazione disumana, gloria e oggi “paradiso” del capitalismo sfrenato e propriamente universale – con un solo verso, quello del capitale – della globalizzazione: pensate all’assassinio di decine di minatori due anni fa nella miniera di platino di Marikana, in Sudafrica. L’Europa nasce dalla catastrofe della struttura dell’impero romano, quando i latini crearono una nuova civiltà meticcia e creola con gli invasori germanici e goti, ma anche berberi, arabi, turchi e asiatici come i magiari ecc. La nuova civiltà nacque dalle guerre devastanti che diedero forma ai regni “romano barbarici” (come in Portogallo, in Spagna, in Francia, in Inghilterra). Alla Germania toccò, con alterne vicende fino agli Asburgo con la Prima Guerra Mondiale, il titolo imperiale sacro romano e all’Italia toccò il suo smembramento di colonia del Papa e delle altre nazioni europee. L’Italia fu ed è colonia, dai romani, che non erano italiani, fino a noi oggi. Machiavelli, nel libro I, dal XI in poi, dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, mostrò questa mostruosità attribuendo la “sventura” dell’Italia al Papato romano che non permise mai, a partire dal tentativo abortito dei Longobardi, che ci fosse in Italia un regno romano-barbarico, che avrebbe accerchiato e strozzato lo Stato della Chiesa. Torniamo al colonialismo. I regni romano-barbarici formarono la civiltà nuova dell’Europa e nel 1492 “scoprirono” e invasero il Mundus Novus (Amerigo Vespucci). Abbiamo detto che questa apertura della modernità ci ha portati con Nietzsche a riconoscerci alla fine del secolo XIX come portatori della “volontà di potenza”, suprema e universale, in 5 quanto con “un verso solo, quello occidentale”. Perché la modernità e il colonialismo segnano l’epoca del capitalismo e della disumanità globale? La mia risposta è: gli europei atlantici (Portogallo, Spagna, Francia, Olanda, Inghilterra e poi gli altri, perfino noi italiani dalla seconda metà del XIX secolo in Africa) invasero il mondo intero scoprendo di avere in sé mettendola in atto la superiorità su tutte le civiltà scoperte. Questa rivoluzione storica del moderno porta nell’etimologia il suo significato e valore: la voce del latino tardo “modernus” viene dall’avverbio modo che vuol dire “adesso”, “proprio mentre lo pensi e lo fai” e quindi “giusto nel tempo”. Ciò ha comportato che i bianchi occidentali, europei e nordamericani, si siano sentiti talmente potenti da riconoscere a sé stessi il mandato di poter fare tutto, senza limiti, fino ad Auschwitz e Hiroshima e Nagasaki. Gli europei sterminarono e alienarono le civiltà sconosciute – diversa sarà la storia delle grandi civiltà asiatiche: India, Cina e Giappone – per 5 secoli e ancora oggi lo fanno insieme agli USA. Il Mondo Nuovo lo abbiamo istaurato noi con tutti gli altri sottomessi e Dio lo ha voluto. Fu allora che nacque anche il pensiero critico e propriamente umanistico della modernità, con Montaigne, che nella Prefazione rivolta al Lettore dei suoi Essais, afferma addirittura che se egli fosse vissuto tra i popoli del Nuovo Mondo si sarebbe potuto veramente esprimere a pieno su sé stesso e mostrarsi veramente a nudo e intero. Loro erano più “naturali” di un uomo europeo colto che volesse mettere in scena la condizione e la vicenda del soggetto umano. E un europeo era meno umano dei “selvaggi”. L’uomo moderno europeo si scoprì militare, mercante e vincitore al momento giusto, quando mise mano sul Mondo Nuovo e sugli altri mondi, fino all’Antartide, senza essere umani, ma con risorse minerarie tutte da scoprire e ancora da sfruttare. L’incontro con il “momento giusto” lo fece sentire in corsa padrone del mondo e prediletto dal suo Dio, come portatore della verità. Il motto dell’ Università di Oxford (1096-1214) è prelevato dal Salmo 26 della Bibbia: “Dominus Illuminatio mea” e consacra l’uomo europeo occidentale come “illuminato” da Dio e pronto a prendere su di sé il “fardello dell’uomo bianco”: la conquista, il possesso e lo sfruttamento del mondo intero. Il fardello della civilizzazione degli 6 europei è questo. E dobbiamo ancora iniziare a riconoscerlo e a trasformarlo in un vero nuovo umanesimo critico e salutare. Oggi in Europa questa visione antica e moderna è messa in crisi da una invasione umana da tutti gli angoli del mondo, non barbarica né militare o mercantile. La grande Migrazione, come l’ha chiamata Hans Magnus Enzensberger nel 1992. Cosa portano con sé i migranti in Europa? Il fardello del migrante è sperare di vivere meglio portando il meglio della sua vitalità nel nostro mondo antico e pieno di gente per inserirsi – noi diciamo “integrarsi” – in maniera creativa, con un progetto di vita migliore portato anche per noi, in una partnership del convivere e coevolvere creativamente, creolizzandoci insieme. Un progetto eutopico al quale rispondiamo con sordità, tolleranza, carità, assistenza e integrazione. Ma mai ancora comprensione e cooperazione: non andiamo oltre la tolleranza e l’illusione dell’integrazione. Cosa può essere l’integrazione ad una civiltà che è diventata incivibile a sé stessa? Va tutto perso nel cimitero del Mediterraneo? La via è un’altra. Qualcuno di noi deve cominciare a fare il passaggio transculturale. Andare oltre e scoprire poeticamente e politicamente che gli stranieri venuti senza armi, cavalli, corazze e assalti ci portano la possibilità di cambiare insieme, con la mutua cooperazione della transculturazione, attraverso le tre forme vitali intrecciate: decolonizzazione, creolizzazione e mondializzazione delle menti e delle vite. Questa forma transculturale complessa mondializza la nostra civiltà in loco insieme con tutti quelli che vengono da tutto il mondo a vivere con noi, noi che dimentichiamo ogni giorno di più la parte migliore della nostra civiltà, italiana ed europea. In questo modo la complessità della storia, della bellezza, della creatività e della conoscenza è rivolta a tutti in una nuova forma di coeducazione. Nuova per tutti e concepita per una diversa forma di nazione-civiltà. L’Europa per stare al mondo nel XXI secolo deve farsi avanti con il progetto civile della transculturazione per donare qualcosa al mondo dopo averlo devastato per 5 secoli. Il dono sarà la Concordia del XXI secolo avviando la formazione di una civiltà umana generale dei diversi. Propongo questa concezione transculturale non come utopia o ideologia. 7 Questa concezione è l’esito della poetica di una esistenza votata al senso e alla transculturazione del vivere e pensare con il mondo. Due grandi donne del nostro tempo chiamano l’effetto civile della modernità coloniale europea sui popoli confiscati: l’indiana Gayatri Chakravorthy Spivak, violenza epistemica e la chicana Gloria Anzaldúa, ferita coloniale; e verso la Grande Migrazione odierna, noi oggi proponiamo indifferenza e sordità. Ma l’imprevedibilità e la sorpresa che i migranti hanno per noi è il loro progetto eutopico generale che sembra voler disegnare proprio il profilo di una civiltà umana generale dei diversi nella concordia. E rispetto al passato ogni migrante testimonia e propone il progetto eutopico anche per noi per poter vivere insieme nella concordia, ora, domani, entro questo secolo. Questo progetto dà anche la forma del grande perdono per noi coloni ancora non decolonizzati, che possono decolonizzarsi solo ora, insieme con i migranti. Questo progetto, infatti, rovescia il paradigma coloniale del passato dal quale veniamo tutti, coloni e colonizzati dalla modernità. Porta concordia e non guerra, come noi portammo presso di loro, e desolazione. La civiltà occidentale deve diventare capace di scrivere un nuovo poema su di sé accanto a quello di A. A. Neto. L’anticolonialismo è un fiore che non cresce nei giardini europei, pieni invece come non mai di postcolonialismo accademico. L’anticolonialismo non è stato e non è terrorismo ma la maturazione civile di un pensiero civile mondiale, come quello di Neto e Mandela. Bisogna andare anche nelle Americhe per trovarlo, per riconoscerlo e per ascoltare finalmente le sue voci. Due su tutte: quella dell’afroamericano MalcomX e quella del poeta della Martinica Aimé Césaire, che tanti anni fa ci rivolse la domanda senza ascolto e senza risposta: Qui êtes vous? Chi siete voi europei coloni che vi siete incoronati come padroni del regno di questo mondo? Penso che oggi in Europa ogni migrante si presenti a noi come un Montaigne extracomunitario e come il nostro migliore amico. A questo servono la transculturazione e la gentilezza. 8
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