MONTAGNA: TERRITORIO DI VALORE

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MONTAGNA: TERRITORIO DI VALORE
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Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia Applicate alle Aree Alpine
MONTAGNA: TERRITORIO DI VALORE
Ridefinire il concetto di montanità
25 Novembre 2008 – bz 06
IREALP - Research Institute for Ecology and Economy Applied
1 to Alpine Areas
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Il presente studio è stato elaborato grazie al contributo del Comitato Tecnico
Scientifico di IREALP, coordinato dal Consigliere Delegato Enrico Dioli, con la
supervisione del Direttore Raffaele Raja e il supporto dell’Area Sviluppo
Territoriale e Strategico.
Foto di copertina di Filippo Manfredi.
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Introduzione
Innovare la definizione di “montanità” appare oggi fondamentale e
irrinunciabile per definire politiche di sviluppo e governance veramente
efficaci.
Il presupposto fondante sulla base del quale si definivano in passato
normative e strumenti di sviluppo era la condizione di svantaggio dei
territori montani: la montagna è svantaggio.
Le politiche, gli incentivi, la governance venivano di conseguenza pensati
per colmare quello che appariva un divario, portando i territori montani a
tendere verso gli stessi modelli, gli stessi traguardi degli altri.
Per innovare, il presupposto più corretto, in linea con le politiche
comunitarie (Strategia di Lisbona) e regionali appare oggi essere impostato
sulla diversità della montagna intesa come ricchezza: la montagna è
diversa. È la morfologia stessa del territorio ad opporsi in qualche misura a
processi
spinti
di
integrazione
socio-economica
intervalliva
e
transfrontaliera, ma ciò, se per certi versi rappresenta un limite, è invece da
considerarsi un elemento positivo per il mantenimento della ricca pluralità
culturale delle popolazioni originarie. Una pluralità che per altro, proprio in
virtù essenzialmente della particolare morfologia, non impedisce, come si
vedrà, il riconoscimento di un comune denominatore identitario (la
montanità appunto).
Le politiche, gli incentivi, la governance “su misura” per la montagna
devono pertanto considerare come vere opportunità per la montagna le
sue stesse diversità, elementi unici da valorizzare, difendere, innovare.
La ridefinizione del concetto di montanità si attua attraverso l’analisi di
queste molteplici ed eterogenee diversità, definendo poi in quali termini
possano essere valutate come potenzialità di sviluppo, in un’ottica più di
incentivazione e valorizzazione che di sostegno.
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1 – L’evoluzione del quadro normativo europeo
L'Unione Europea è stata incessantemente sollecitata, ormai da diversi
anni, a soffermare la propria attenzione sulle aree montane e ad
approvare un regolamento (o una direttiva) del Consiglio o della
Commissione, contenente specifiche misure per le aree montane che
dessero origine così ad una politica integrata multisettoriale, quale base
sulla quale attuare azioni di governance e politiche mirate per i territori
montani.
Le aree montane in Europa rappresentano il 40,6% dell’intero territorio
continentale e il 19,1% della popolazione complessiva1 e, come
sottolineato dalla Dichiarazione di Brig del 10 ottobre 2008, è necessario,
anche a fronte del momento storico di instabilità economica e di
transizione politica che l’Europa sta vivendo, che venga riconosciuta a
livello comunitario l’estrema importanza che i territori di montagna
rivestono da un punto di vista economico, ambientale, sociale e culturale
e come essi abbiano un ruolo chiave nel perseguimento dell’unità e della
coesione territoriale dell’Unione Europea.
Appare però evidente che la Comunità Europea non può adottare
nessuna specifica iniziativa in assenza di un'apposita disposizione del
trattato europeo che ne affermi la competenza in materia. È necessario,
pertanto, che l'Unione Europea riconosca la specificità della montagna e
che preveda, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà, un'apposita
organica politica europea. Le caratteristiche della "specificità montana",
seppure in presenza di condizioni economiche diverse, sono ovunque
riconoscibili e determinano particolari condizioni di vita delle popolazioni,
per l'organizzazione e gestione dei servizi, per l'informazione, per l'accesso
e la mobilità.
In relazione alle montagne europee, le politiche di tutela e promozione
dell'ambiente, del paesaggio, della biodiversità, le politiche di tutela di
tecniche agricole specifiche, di antiche culture proprie di popolazioni
insediatesi secoli or sono e provenienti da regioni lontanissime, la
salvaguardia di culture locali di eccezionale portata, di beni storici e
artistici, assumono particolare ed urgente rilievo e a tal proposito risulta
prioritario proporre una definizione del concetto di “montanità”, univoco,
basato su solide basi scientifiche e condiviso e accettato a livello europeo.
1
Fonte: Dichiarazione di Briga del 10 ottobre 2008.
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Un rapido excursus nell’evoluzione della normativa europea in materia
parte dalle prime elaborazioni del CESE del 1988, per arrivare ai giorni
nostri, con la relazione della DG REGIO del 2004.
Anche in questa evoluzione è segnato il passaggio da una sottolineatura
dello svantaggio delle aree montane all’esaltazione della diversità e della
differenziazione di aree determinanti per l’identità sociale ed economica
dell’Europa.
Nella relazione informativa della sezione Sviluppo regionale su "Una politica
per le aree montane", il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) organo consultivo dell'Unione europea per le proposte di leggi comunitarie
– si è giunti ad un tentativo di uniformazione semantica della nozione di
"zona di montagna" che raccoglie tutta la gamma di situazioni geofisiche,
climatiche, ecologiche e socio-economiche che caratterizzano la
montagna europea.
È stata quindi stabilita e pubblicata nel parere d'iniziativa CES 461/88 una
definizione con carattere e finalità metodologiche e pratiche: una zona di
montagna "è una entità geografica, ambientale, socio-economica e
culturale in cui gli svantaggi derivanti dalla combinazione tra altitudine e
altri fattori naturali debbono essere posti in relazione con i condizionamenti
socio-economici, con la situazione di squilibrio territoriale e con il livello di
degrado ambientale."
Sono state proposte anche altre definizioni di zone di montagna, come ad
esempio quella contenuta nell’articolo 18 del regolamento (CE) n.
1257/1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo Europeo
d'Orientamento e di Garanzia Agricola (FEAOG):
“Le zone di montagna sono quelle caratterizzate da una notevole
limitazione delle possibilità di utilizzazione delle terre e da un notevole
aumento del costo del lavoro”, dovuti:
1. all'esistenza di condizioni climatiche molto difficili a causa
dell'altitudine, che si traducono in un periodo vegetativo nettamente
abbreviato;
2. all'esistenza nella maggior parte del territorio di forti pendii che
rendono impossibile la meccanizzazione o richiedono l'impiego di
materiale speciale assai oneroso, indipendentemente dal fattore
altitudinale;
3. a una combinazione dei due fattori, quando lo svantaggio derivante
da ciascuno di questi fattori presi separatamente è meno
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accentuato, ma la loro combinazione comporta uno svantaggio
equivalente.
Tale regolamento precisa i criteri generali di classificazione (altitudine, forti
pendii, combinazione di questi due fattori), ma non stabilisce un livello
minimo da rispettare da parte dagli Stati membri.
In effetti, nel quadro di una più estesa applicazione della sussidiarietà,
spetta alle autorità nazionali e/o regionali stabilire i livelli da rispettare e
procedere alla classificazione delle zone nell'osservanza dei criteri
comunitari di base.
Il Comitato Economico e Sociale (CESE), a fronte della mancanza di una
definizione normativa di montagna univoca e condivisa, ha rilevato quindi
la necessità di un'omogeneizzazione dei criteri giuridici di classificazione
delle aree montane, sinora adottati sia dai singoli Stati che dalla Comunità
Europea.
Tale omogeneizzazione necessita di una griglia di criteri, definita a livello
comunitario, che comprenda i diversi fattori di handicap, naturali e socioeconomici.
Il più recente “Progetto di rapporto della commissione Sviluppo sostenibile
in merito a: L’azione comunitaria per le zone di montagna2”, adottato dal
Comitato delle Regioni dell’Unione Europea nel febbraio 2003, sottolinea
invece come esistano attualmente numerose definizioni di zone di
montagna, ma nessuna tra queste è unanimemente accettata, né utilizzata
in modo sistematico.
Ciascuna di queste definizioni privilegia una (o più) dimensione specifica
alla quale è riconosciuta un'importanza particolare.
Come indicato infine nel Rapporto Nordregio 2004:1 (Mountain areas in
Europe – Analysis of mountain areas in EU Member Stase, acceding and
other European countries), una legislazione specifica per la montagna
esiste solamente in Paesi caratterizzati da una politica per la montagna
ben sviluppata e strutturata, come l’Italia, la Francia o la Svizzera.
A questo riguardo, un esempio importante è costituito dalla “Legge
Svizzera sugli Investimenti nelle Regioni Montane” (LIM), approvata nel 1974
e revisionata nel 1997, mentre in Francia, la prima definizione di montagna
risale al 1961 (la relativa Legge nazionale è stata emessa nel 1985).
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Documento approvato dal Comitato delle Regioni nel corso della Sezione plenaria di Bruxelles del
12-13 febbraio 2003.
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Per contro, in Spagna, nel corso dell’Anno Internazionale della Montagna
nel 2002, è stata realizzata solo una carta per le aree montane3.
Per quanto riguarda invece gli Stati entrati da poco nell’UE o candidati
all’inserimento, ad esempio in Bulgaria e Romania sono in corso di
preparazione o approvazione diverse leggi specifiche sulla montagna.
A livello Comunitario, in sostanza, tutti i Paesi europei, per la definizione del
concetto di “montagna” utilizzano un mix di fattori, in cui l’altimetria non è
l’unico criterio dirimente come viene invece spesso proposto a livello di
normativa italiana.
Quasi tutti i Paesi utilizzano infatti una combinazione tra altitudine e
pendenza, dall’Irlanda che parte da 200 metri come quota minima per
definire “montano” un territorio, al Regno Unito che parte da 240 metri.
La Svezia ad esempio definisce montane le aree inserite negli ex Obiettivi 1
e 2 europei, mentre l’Austria parte da 500 metri ma definisce montano un
comune in cui ci sia almeno un’azienda agricola. In Grecia sono invece
montani i comuni sotto i 600 metri che hanno una pendenza del 20%. La
Svizzera, infine, non utilizza l’altitudine per definire montano un comune,
ma fa ricorso a tre criteri in ordine decrescente: le condizioni climatiche, le
vie di accesso e di comunicazione e la configurazione del terreno e
demanda proposte e scelte ai Comuni e ai Cantoni, anziché decidere
tutto a livello nazionale.
Inoltre, come sottolineato dal Rapporto Nordregio 2004:1, esistono anche
altre definizioni specifiche di “montagna”, basate su altre tipologie di criteri
e parametri ed elaborate per scopi specifici.
Ad esempio, la “montagna” viene anche definita:
- come parte delle aree sfavorite da un punto di vista agricolo (LFA –
agricoltural less favoured areas) in base alla Direttiva 75/268 modificata
col Regolamento 950/97 e in seguito nell’articolo 18 del Regolamento
1257/99;
- per politiche multi-settoriali in un contesto nazionale (ad esempio le
“politiche di massiccio” in Francia);
- sulla base di accordi internazionali, come ad esempio la “Convenzione
delle Alpi”4;
3 Fonte: Rapporto Nordregio 2004:1 (Mountain areas in Europe – Analysis of mountain areas in EU
Member Stase, acceding and other European countries).
4 Convenzione quadro intesa a salvaguardare l’ecosistema naturale delle Alpi e a promuovre lo
sviluppo sostenibile in quest’area, tutelando gli interessi economici e culturali delle popolazione
residenti dei Paesi aderenti (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Principato di Monaco,
Slovenia, Svizzera). La Convenzione prevede dei Protocolli di attuazione relativi a dodici settori,
finalizzati alla definizione degli aspetti particolari della Convenzione stessa.
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per studi specifici (ad esempio le aree al di sopra della linea della
vegetazione, come avvenuto in Svezia in un rapporto sulla protezione
dell’ambiente).
Appare chiaro quindi come non vi sia una definizione normativa univoca di
“montagna” in Europa, ma tutti i documenti in materia richiamano
l’esigenza di una combinazione di fattori tra l’altitudine e altri fattori naturali
da un lato e i condizionamenti socio-economici, la situazione di squilibrio
territoriale e il livello di degrado o di pericolo ambientale dall’altro.
La combinazione, nelle differenti situazioni, delle variabili indicate definisce
un territorio come "area montana" e fa variare la soglia altimetrica a partire
dalla quale un territorio può definirsi montano. Per questo, la scelta, la
parametrazione e la combinazione dei diversi fattori non possono essere
univoche per l'intera Comunità europea, ma vanno adattate alle diverse
situazioni e definite a livello nazionale e regionale5.
E’ necessario inoltre tenere in considerazione il fatto che criteri quali
l'altitudine, la pendenza e i gradienti ambientali che esse generano, sono
sicuramente i fattori chiave di una definizione di “montagna”, ma la loro
combinazione risulta assai complessa.
Limitarsi a stabilire delle soglie d'altitudine fa escludere sia i sistemi montuosi
più antichi che quelli meno elevati, determinando al tempo stesso
l'inclusione di zone relativamente elevate con modesto rilievo topografico
e scarsi gradienti ambientali.
Utilizzare come criterio la pendenza, da sola o in combinazione con
l'altitudine, può risolvere quest'ultimo problema, ma non il primo.
Da ciò emerge la forte necessità di una proposta di definizione non solo a
livello regionale e nazionale, ma europeo, delle zone di montagna basata
sui criteri relativi alle caratteristiche naturali come altitudine, pendenza,
configurazione del suolo e fattori climatici, nonché su criteri socioeconomici come densità della popolazione, sviluppo demografico,
strutture delle età, scala delle attività economiche, potenzialità di sviluppo
delle aree economiche, tramite una combinazione di tali criteri secondo
un percorso metodologico e scientifico, ai fini dell’individuazione delle
“zone di montagna”.
5
Fonte: Parere d’iniziativa del Comitato economico e sociale (CES 461/88)
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Va sottolineato infine, come la maggior parte delle leggi nazionali e la
stessa direttiva 75/268/CEE fa riferimento, per la delimitazione delle aree
montane, ai territori dei comuni o a parti di essi.
Sebbene questa unità amministrativa possa, in molti casi, portare ad un
eccessivo frastagliamento del territorio da prendere in considerazione, il
livello comunale è presente, come unità riconosciuta a livello europeo.
Sarebbe quindi auspicabile che le misure per le aree montane
intervenissero su "blocchi" compatti di territorio (visti anche i problemi di
integrazione tra le aree montane e quelle pedemontane) che
comprendano la zona montana propriamente detta e le zone che le sono
immediatamente contigue e formano con essa una medesima entità
geografica, economica e sociale.
Ciò esprime in sostanza quella che viene ormai comunemente definita –
almeno a livello UE – “politica di massiccio”.
Tuttavia, dal punto di vista operativo, risulta necessaria l’individuazione di
un’unità di calcolo di base, che porti alla perimetrazione di un’area come
“area montana”, che non può che essere il Comune.
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2 – Il concetto di montagna: verso una nuova “montanità”
Il concetto di montagna va dunque articolato in termini fisici e socioeconomici.
In termini fisici, la montagna è quel territorio contraddistinto da peculiarità
di carattere geografico riconducibili sostanzialmente a due elementi:
•
la verticalità delle terre
•
l’altimetria.
Entrambi condizionano fortemente il meso e il micro-clima e con essi i cicli
biologici degli organismi e gli ecosistemi. Si pensi ad esempio al contrasto
che si viene a creare tra versanti esposti a meridione, dove si possono
avere livelli di illuminazione e termia paragonabili a quelli di stazioni
mediterranee, e versanti esposti a settentrione, dove invece le condizioni
sono poco discordi da quelle di luoghi a latitudini elevate. Oppure si pensi
all’effetto della quota sulle temperature, sulle escursioni termiche
giornaliere e stagionali, sul regime delle precipitazione, sull’umidità
atmosferica e gli altri parametri climatici.
Gli ecosistemi naturali e gli organismi in essi ospitati risultano così molto
diversificati, ma accomunati da una tendenziale scarsità di risorse materiali
e da forti costrizioni determinate principalmente dalla severità climatica.
Ciò ha un marcato effetto selettivo sulle specie e fa della biodiversità
l’attrattore principale di questi ecosistemi, ossia il punto di convergenza
delle dinamiche evolutive.
Gli ecosistemi hanno di conseguenza elevata omeostasi e resilienza, ossia
notevole capacità di resistere a stress e disturbi esterni o di riprendere
l’assetto originario una volta cessata un’azione che ne aveva determinato
l’alterazione.
La qualifica vulnerabile attribuita al territorio montano appare, da questo
punto di vista, del tutto impropria. La vulnerabilità appartiene semmai agli
ecosistemi ricchi e con poche costrizioni delle pianure, in cui gli elevati flussi
energetico-materiali, ponendo quale attrattore la crescita quantitativa
invece della biodiversità, ne compromettono il potere omeostatico e
resiliente.
In termini socio-economici, i nuovi assetti economici
(prevalenza
dell’economia dei servizi e marginalizzazione dell’agricoltura), l’ulteriore
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apertura dei mercati (processi di internazionalizzazione delle imprese e
globalizzazione) e una nuova configurazione territoriale (abbandono delle
terre marginali e neo-inurbamento) hanno tracciato un profondo solco
con la civiltà rurale, omologando gli stili di vita e le aspettative degli
abitanti della montagna, minandone l’identità storica, la compattezza
sociale delle comunità e alcuni preziosi fondamenti solidaristici. Nel
complesso si è assistito a ciò che viene sociologicamente descritto come
uno “straniamento” delle popolazioni rispetto alle proprie radici originarie.
Alcuni tratti identitari ovviamente resistono, ma certamente hanno subito
un allentamento significativo e anche alcune definitive rotture.
La ruralità parrebbe dunque essere al più un retaggio del passato e ciò è
senz’altro vero se intesa in rapporto all’economia. Così non è se invece è
assunta come relazione dell’uomo con il territorio.
Quei criteri ecologici, culturali e sociali che fondavano la civiltà rurale
appaiono in qualche modo costitutivi del vivere in montagna, non
negoziabili. Prova ne sono i problemi di degrado materiale e immateriale
determinati dal loro venir meno in conseguenza della crisi dell’agricoltura e
dell’abbandono delle terre alte.
Pur dentro prospettive di modernità aperte ad altri settori economici e altre
forme di socialità, la montagna sembra dunque vincolata ai valori
ecologici e culturali della ruralità.
La sfida è riuscire a coniugarli in un contesto caratterizzato da processi di
integrazione dei redditi degli individui e delle famiglie basati sulla
pluriattività e sull’intersettorialità degli impieghi.
Anche il concetto di montanità, inteso come identità alpina, ha un duplice
aspetto, individuale e collettivo, ambedue precipitati di processi di
adattamento a situazioni d’incertezza che Luigi Zanzi6, attingendo al
linguaggio sistemico, definisce alle soglie del caos, ossia al confine della
compatibilità con la vita.
A livello individuale, la sfida contro l’incertezza fa sì che la montagna non
possa essere in alcun modo subita, ma debba essere liberamente e
consapevolmente assunta, come fu per quei popoli del passato che vi si
insediarono non per costrizione, ma per scelta.
Circa la dimensione collettiva, la tesi di un’identità alpina è sostenuta da
molti studiosi. Di recente è stata ribadita e argomentata da Annibale
Salsa7, che parla di una sorta di “unità nella diversità”, risultato dei processi
adattativi delle varie popolazioni alle costrizioni ambientali, espresse
ancora una volta soprattutto dall’acclività e dall’altimetria del territorio. Se,
6
7
Luigi Zanzi, 2004. Le Alpi nella storia d’Europa. CDA Vivalda
Annibale Salsa, 2007. Il tramonto delle identità tradizionali. Priuli e Verlucca.
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infatti, l’isolamento, altro tratto distintivo della vita in montagna, facilita la
sedimentazione di peculiarità, le costrizioni ambientali tendono a comporle
in un comune denominatore. Si tratta quindi di un’identità non fondata su
omogeneità etno-linguistica e tanto meno su un medesimo genotipo
montanaro, bensì, si ribadisce, sul rapporto con la realtà fisica naturale.
Quanto più le condizioni di acclività e altimetria si fanno estreme tanto più
esse operano in profondità e selettivamente, uniformando le specificità.
Palese è la simmetria sistemica tra la realtà naturale e quella sociale. In
entrambe l’attrattore è la diversità, rispettivamente di tipo ecologico e di
tipo culturale. Le costrizioni ambientali esercitano per altro un forte azione
selettiva sulle componenti (le specie negli ecosistemi, gli individui nelle
comunità sociali), favorendo i soggetti adatti a vivere, nell’ordine, in
condizioni di risorse scarse e di incertezza, introducendo così quegli
elementi di omogeneità su cui si fondano le identità.
Montagna come territorio diverso e differenziato
L’idea, oggi dominante e recepita a piene mani dalla stessa legislazione,
che la montagna sia un territorio svantaggiato scaturisce da una visione
meramente economicista e urbano-centrica della realtà.
Le difficoltà di comunicazione, i vincoli ambientali, i limiti dimensionali
rendono in effetti l’economia montana scarsamente competitiva in tutti i
settori produttivi e anche in molti comparti del terziario, giustificando da
questo punto di vista un giudizio svalutativo.
Tuttavia, se si approccia la realtà da una prospettiva più ampia del mero
ambito economico e affrancata dai modelli consumistici globali, ovvero in
una prospettiva centrata sul primato della persona, quindi sulla qualità
della vita come triplice armonia (con sé stesi, con gli altri, con l’ambiente),
l’equazione montagna = territorio svantaggiato non regge. Anzi, per molti
aspetti, la montagna si propone come luogo privilegiato, dove non solo è
auspicabile trascorrere la vacanza, ma è desiderabile viverci. Contatto
con la natura, spazi senza confini, bellezza, significati spirituali sono alcuni
dei suoi elementi specifici, essenziali per il benessere della persona.
Al concetto di montagna come territorio svantaggiato occorre allora
sostituire quello di montagna come territorio di valore e di senso.
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Ma come si evolve e si differenzia la montagna al suo interno negli ultimi
trenta anni, cioè da quando furono individuate le Comunità Montane nella
legislazione italiana? E’ possibile parlare di una “montagna” o si deve più
correttamente parlare al plurale di “montagne”? Se non addirittura, come
vedremo, di un “Sistema Montagna”?
L’analisi recentemente svolta dal CENSIS (“Il Valore della Montagna”, 2003)
offre molti spunti al riguardo.
Il territorio montano, negli anni dell’emigrazione verso valle, dello
spopolamento e della senilizzazione, è stato considerato da parte dei sui
residenti, una sorta di “maledizione biblica”.
Tale visione negativa della montagna è proseguita anche quando le
dinamiche socio-economiche hanno messo in evidenza una dicotomia tra
la montagna marginale e la montagna più ricca, beneficiaria dei flussi
turistici.
Al giorno d’oggi, tale modello dicotomico pare decisamente superato, a
favore di un’immagine di montagna a “macchia di leopardo”, in cui si
evidenzia un’alternarsi di aree forti e di aree deboli. Una montagna quindi
così diversificata da renderla molto più difficile da descrivere e interpretare
come “area a sé stante”.
L’isolamento culturale e la distanza dai modelli di consumo “urbani” sono
ormai un lontano ricordo per molte aree montane, i beni di consumo di cui
si dispone in montagna sono sostanzialmente gli stessi della pianura e le
attività agro-silvo-pastorali in alcune aree sono state sostituite dal terziario.
Sopravvivono comunque aree caratterizzate in passato da intenso
spopolamento e che presentano oggi marcati livelli di invecchiamento
della popolazione, alla stessa stregua di aree ai confini della marginalità
economica, per le quali, solo politiche fiscali o di incentivo economico
mirate a compensare lo svantaggio localizzativo possono impedire loro di
confluire più o meno lentamente verso la tipologia della montagna
“svuotata”.
D’altro canto, si può affermare che negli ultimi anni i fenomeni di rapido
impoverimento hanno subito un sostanziale rallentamento e la stessa
dinamica migratoria verso i centri urbani ha rallentato, fino a sparire in
alcuni casi o a trasformarsi in pendolarismo. In alcuni, anche se rari casi, si
registrano addirittura fenomeni di ripopolamento.
Anche la montagna ricca sta cambiando: basti pensare ad esempio al
fatto che la “monocultura” dello sci alpino tende ad essere sostituita o
integrata con modelli di turismo più flessibili e orientati a una
diversificazione dell’offerta.
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Emerge quindi, nel complesso, il quadro di una montagna in rapida
evoluzione, sempre più orientata verso un uso efficiente delle risorse
disponibili, una corretta individuazione delle potenzialità e una definizione
“locale” delle priorità.
Secondo i risultati di una cluster analysis condotta sempre dal Censis nel
2003, l’evoluzione socio-economica dei territori prescinde ampiamente dal
loro carattere morfologico, configurandosi quest’ultimo, ora come risorsa,
ora come handicap, ma mai come un reale discrimine rispetto alle
capacità delle aree di “partecipare alla determinazione del reddito
nazionale”.
Si può quindi sostenere con certezza che le differenti tipologie e livelli di
sviluppo delle aree montane sono legati alla collocazione all’interno delle
tradizionali aree geografiche (Nord, Centro, Sud), molto più che al
carattere di “montanità” che viene loro ufficialmente assegnato.
Questa affermazione viene ampiamente supportata dal dato relativo alla
stima del valore aggiunto prodotto nell’insieme del territorio montano, che
risulta essere solo lievemente inferiore alla media dell’intero territorio
nazionale.
Il dato economico è certamente significativo per sottolineare come la
connotazione di “territorio svantaggiato” storicamente assegnata alla
montagna sia ormai superata e obsoleta, ma non è sufficiente per far
emergere le differenze che esistono all’interno di un aggregato così ampio
ed eterogeneo come il “Sistema Montagna8”, caratterizzato, come già
affermato in precedenza, dall’avere come aspetto predominante la
“diversità”. Diversità data da un insieme di fattori fisico-geografici, climatici,
socio-economici e storico culturali, che non possono prescindere gli uni
dagli altri per connotare i diversi tipi di “montagna”.
La cluster analysis svolta dal Censis propone di fatto una classificazione dei
comuni in base a tipologie omogenee, da cui emerge un quadro
caratterizzato da 6 principali gruppi tipologici distinti, che evidenzia ancora
una volta come esistono numerose e diverse realtà di montagna:
1. la montagna come risorsa, che presenta valori degli indicatori relativi
alle attività e al comparto turistico superiori alla media;
•
8 Nella proposta di Piano Territoriale Regionale (PTR) approvata dalla Giunta Regionale con DGR
del 16.1.08, n.6447, fra i sei Sistemi Territoriali individuati per rappresentare le potenzialità e le
opportunità della Lombardia e affrontare, con la prevenzione, le criticità, vi è il “Sistema della
Montagna” e il “Sistema Pedemontano”, che trovano collocazione al fianco degli altri principali
sistemi territoriali quali, il Sistema Metropolitano, il Sistema dei Laghi, il Sistema della Pianura
Irrigua e il Sistema del Po e grandi fiumi.
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2. la montagna dell’invecchiamento e del declino demografico, dove gli
indicatori più significativi e al di sopra delle medie riguardano
l’incidenza delle abitazioni non occupate, l’indice di vecchiaia, i tassi di
mortalità, il rapporto tra residenti e abitazioni occupate e il numero di
componenti per famiglia;
3. la montagna marginale, che concentra il maggior numero di comuni e
in cui sono elevati gli indicatori relativi al numero di residenti per
abitazione occupata e ai componenti per famiglia e sono ai valori
minimi i livelli pro-capite di reddito;
4. la montagna urbana e industriale, contraddistinta da valori molto
superiori alla media negli indicatori relativi alla struttura industriale e
rispetto al ruolo di centri attrattori (rapporto tra addetti e residenti,
densità di operatori economici per abitante);
5. la montagna dei comuni peri-urbani, in cui il reddito pro-capite è molto
superiore alla media, con un’elevata quota di addetti artigiani;
6. la montagna dei piccoli centri rurali, che presenta i valori massimi in
corrispondenza agli addetti in agricoltura espressi sia come quota, sia in
rapporto agli abitanti e una prevalenza di classi di età mature e
anziane.
Ne emerge in generale un livello di segmentazione molto elevato per
quanto riguarda i territori montani.
La montagna è allora “diversità” e diversità significa un insieme di
“identità”, da un punto di vista storico-culturale e naturale, da preservare e
valorizzare. Ma anche differenze forti all’interno di un “Sistema” territoriale e
socio-economico, in cui agire su uno dei suoi elementi costitutivi significa
agire contemporaneamente su tutti gli altri, generando effetti a catena,
appunto “sistemici”, che devono essere considerati nella valutazione di
qualsiasi policy per la montagna si intenda porre in essere.
Questi aspetti sono quindi da tenere in forte considerazione per proporre e
individuare politiche adeguate per la governance della montagna.
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3 - Proposta di determinazione di parametri per le aree montane
Partendo dalla considerazione che manca, allo stato attuale, una
definizione chiara e univoca di “comune montano” e che tale incertezza e
vuoto legislativo ha provocato negli anni un progressivo allargamento
della montagna “legale”, diluendo l’efficacia di interventi economici su
una base territoriale eccessivamente ampia, viene di seguito illustrato un
percorso metodologico basato su una serie di criteri scientifici, che
Regione Lombardia potrebbe presentare come propria proposta di
definizione del concetto di “montanità”. (cfr. ALLEGATO A).
In seguito alle considerazioni fin qui riportate, pare evidente che la
definizione della “montanità” non può prescindere dal tenere in
considerazione i caratteri fisici, morfologici e geografici del territorio, delle
caratteristiche demografiche e sociali, delle attività produttive e del grado
di isolamento.
La classe di indicatori più idonea ad individuare le aree montane con
minore margine di approssimazione, sia per significatività e univocità
dell’informazione, sia per la disponibilità di dati certi e certificati, è quella
riconducibile alla categoria fisica e morfologica.
L’altimetria costituisce, in particolare, un parametro fondamentale nella
classificazione dei territori montani, presente in tutti documenti e nella
normativa esistente in materia. A questa categoria viene aggiunto il dato
relativo alla pendenza e al clima (calcolato sulla base dei gradi/giorno di
ciascun comune).
La definizione di territorio montano in base ad altimetria, pendenza e clima
si rifà inoltre all’indicazione contenuta nella legislazione UE, così come
riportato già nella direttiva 75/268/CEE, e da ultimo confermata, almeno
fino al 2010, dall’art. 50 del Regolamento n. 1698 del 20 settembre 2005, sul
sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo
sviluppo rurale.
Si sottolinea inoltre come, mentre i dati di altimetria e pendenza sono dati
storici, l’utilizzo dei gradi/giorno per connotare da un punto di vista
climatico e climatologico i diversi territori, è una nuova proposta, che tiene
conto delle attuali tematiche del cambiamento climatico e del risparmio
energetico.
A questo insieme di parametri fisico-geografici e naturali, va aggiunta
come detto una componente di indicatori a carattere socio-economico e
demografico.
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La categoria socio-economica, pur rivestendo un ruolo significativo nella
descrizione dei territori di montagna, non possiede la caratteristica di
univocità nella definizione propria dei parametri fisici: ai singoli parametri
socio-economici non viene dunque conferito il ruolo di delimitare la
montagna in modo assoluto, mentre acquisiscono forte valenza descrittiva
e interpretativa della composita realtà delle aree montane se affiancati
alla componente geografico - fisica.
Per qualificare la condizione socio-economica delle aree montane, è stata
a lungo utilizzata nella letteratura scientifica la categoria di “marginalità”,
intesa non solo come perifericità geografica e lontananza dai centri
decisionali e di potere, ma anche nell’accezione di deprivazione e
povertà di risorse. Questo concetto è stato inoltre tenuto in considerazione
dalla normativa regionale per la classificazione dei comuni montani e dei
piccoli comuni in “classi di svantaggio”9, classificazione effettuata sulla
base anche qui di una serie di indicatori, oltre che fisico-geografici, anche
socio-economici.
A tal proposito, si è ritenuto opportuno mantenere una certa coerenza con
le scelte già effettuate da RL nell’individuazione delle aree montane
differenziate, derivando quindi in parte dalla relativa normativa regionale i
parametri socio-economici da utilizzare nella definizione del concetto di
“montanità”.
Questi parametri demografici e socio-economici potrebbero avere il ruolo
di correttori della componente fisico-geografica definita con i tre
parametri (altimetria, pendenza e gradi/giorno) illustrati in precedenza.
Una proposta preliminare di indicatori utilizzabili potrebbe essere la
seguente:
•
•
•
•
dimensione demografica
indice di spopolamento
presenze turistiche
attività produttive extra
agricole
•
•
Indice di Infrastrutturazione
Indicatore di Situazione
Economica Equivalente (ISEE)
e altri…
•
9
-
Indicatori per i quali sono disponibili
banche dati.
Indicatori per i quali non sono
attualmente disponibili banche dati;
sarebbe pertanto necessario
procedere a costruirle.
Cfr. DGR 30 settembre 2002 n. 7/10443 e DGR 29 dicembre 1999 n. 6/47359
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In particolare, i primi quattro parametri di esempio sono stati proposti in
quanto caratterizzati dall’ampia disponibilità di banche dati.
Si sottolinea comunque che potrebbe essere interessante inserire nuovi
parametri e a tal proposito, si potrebbero individuare altri indicatori che
potrebbero essere utilizzati in aggiunta o in sostituzione di quelli qui sopra
proposti, tra cui ad esempio l’Indice di Benessere Economico Sostenibile
(ISEW) e l’Indice di Sviluppo Umano (HDI).
Oltre a questi indicatori a carattere socio-economico, si potrebbe valutare
l’introduzione di un’ulteriore serie di parametri, quali ad esempio il livello di
urbanizzazione del territorio, la quota di superfici prato-pascolive o un
indice di biodiversità, che potrebbero risultare particolarmente efficaci nel
mettere in evidenza valori e opportunità delle aree montane, soprattutto
rispetto agli aspetti ambientali, naturalistici e paesaggistici.
Infine, è allo studio la possibilità di rappresentare l’andamento del grado di
“montanità” dei territori mediante una funzione continua n-dimensionale
che potrebbe permettere di caratterizzare ciascun territorio per il suo
grado di montanità specifico.
La definizione di una curva della Montanità potrebbe avere infatti il
vantaggio di rappresentare con assoluta fedeltà la realtà, evitando le
approssimazioni e imprecisioni delle ripartizioni in classi. Una variabilità
continua è infatti in grado di cogliere anche le più piccole differenze,
mentre una variabilità discreta non solo non può fare questo, ma introduce
semplificazioni che possono distorcere in misura più o meno marcata
l’oggetto o il fenomeno osservato.
In particolare, per la classificazione del territorio (livello comunale o altro) si
possono impiegare varie tecniche di analisi statistica multivariata, la Cluster
analysis10 (come fatto dal CENSIS) e la Gradient analysis11.
10
Il Clustering o Cluster analysis (Robert Tryon - 1939) o analisi di raggruppamento è un insieme di
tecniche di analisi multivariata dei dati volte alla selezione e raggruppamento di elementi
omogenei in un insieme di dati. Tutte le tecniche di clustering si basano sul concetto di distanza tra
due elementi. Infatti la bontà delle analisi ottenute dagli algoritmi di clustering dipende
essenzialmente da quanto è significativa la metrica e quindi da come è stata definita la distanza. La
distanza è un concetto fondamentale dato che gli algoritmi di clustering raggruppano gli elementi
a seconda della distanza e quindi l'appartenenza o meno ad un insieme dipende da quanto
l'elemento preso in esame è distante dall'insieme.
11
La Gradient analysis è lo studio delle relazioni tra degli oggetti e dei fattori esterni, finalizzato ad
interpretare la variabilità degli oggetti alla luce dei fattori. È così chiamata perché gli oggetti sono
collocati lungo dei gradienti di variabilità ottenuti attraverso delle tecniche di ordinamento.
L’analisi può essere realizzata secondo due strategie, indiretta e diretta. Nella prima sono utilizzati
degli ordinamenti liberi e gli assi o gradienti più significativi sono confrontati con i fattori esterni per
mezzo dell’analisi di correlazione o di regressione. Nell’analisi diretta sono utilizzati ordinamenti
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La Cluster analysis è molto efficace nella formazione degli aggregati
omogenei. Esistono forme gerarchiche e non, le prime evidenziano, oltre ai
gruppi, anche la struttura delle relazioni tra gli oggetti, le seconde si
limitano a raggrupparli. La Gradient analysis si presta invece per
interpretare e spiegare in maniera sintetica la struttura della variabilità. Essa
si basa sulle tecniche di ordinamento (autoanalisi di matrice) libere o
vincolate, le prime usate nella forma indiretta di analisi, le seconde in
quella diretta.
vincolati o canonici, che incorporano nell’ordinamento anche i fattori esterni, integrando in un
unico procedimento le due fasi dell’analisi indiretta.
Gli ordinamenti liberi più noti sono l’analisi delle Componenti Principali e l’Analisi di Corrispondenza.
Le relative forme vincolate sono l’analisi di Ridondanza e l’analisi di Corrispondenza Canonica.
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Conclusioni
Apprezzare i valori della montagna non significa dimenticare le difficoltà
della vita alle soglie del caos. Al contrario, è proprio la consapevolezza di
ciò che la montagna rappresenta a spingere ad affrontare con decisione
e cognizione di causa il problema della sua attuale gravissima crisi. Una
crisi che l’ha marginalizzata finora, e che ha il suo punto d’innesco nel XVI
secolo con la nascita degli stati nazionali.
L’apposizione di confini sugli spartiacque, in assoluto dispregio alla
contiguità culturale e ai contatti vitali che sussistevano tra i versanti, ha
lacerato il territorio alpino, creando artificiose aggregazioni con la pianura
e facendo perdere alle Alpi quell’unitarietà e quel protagonismo che le
aveva fino ad allora contraddistinte.
Annibale Salsa identifica nella costruzione delle entità statuali una delle
maggiori violazioni perpetrate nei confronti dello spazio alpino in età
moderna.
Il tentativo di marginalizzazione ha avuto impulso dalle politiche di sviluppo
degli ultimi decenni, tese a identificare le Alpi essenzialmente come spazio
ricreativo, di compensazione ecologica, di collegamento tra le pianure e,
in futuro, verosimilmente, di serbatoio idrico; sempre meno come luogo da
abitare.
Schiacciate tra queste politiche, lo spopolamento e lo svuotamento
identitario, le comunità alpine rischierebbero di smarrirsi definitivamente o
diluirsi al più in una dinamica di periferizzazione metropolitana che ne
accentuerebbe l’anonimato e la subalternità.
La sola possibilità di evitare questo destino risiede in un riordino innanzitutto
concettuale e poi anche amministrativo-istituzionale che riconosca
l’unitarietà geografica e storica della montagna alpina, sottraendola al
governo diretto delle istituzioni e dei territori di pianura, o quanto meno
attenuandone la pervasività.
Il riferimento più generale è all’ipotesi, sostenuta da molti, di realizzare la
macro-regione alpina dentro l’Europa.
D’altra parte le indicazioni recentemente fornite da organismi
rappresentativi dei territori montani in ambito europeo (AEM e
Euromontana), sintetizzate nella c.d. “Dichiarazione di Briga” (9 ottobre
2008), vanno proprio in questa direzione: considerare il territorio montano
europeo (40% del territorio, 20% della popolazione) come un unicum su cui
impostare una politica unitaria, a partire da un documento specifico come
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il “Green Paper on Mountain Areas” (sul modello di quello oggi in
consultazione, “Green Paper on Territorial Cohesion”), e una governance
“per massicci”.
Localmente la proposta potrebbe concretizzarsi nella creazione di una
qualche aggregazione territoriale unitaria, dentro la Regione Lombardia,
una entità che abbia naturalmente una qualche forma di
autodeterminazione che ridia fiato all’identità, rinnovando quell’orgoglio di
appartenenza, quel desiderio di partecipazione alla vita pubblica, quel
senso comunitario e quelle reti di solidarietà di paese che contraddistinsero
la civiltà rurale del passato e di cui non si può fare a meno.
In estrema sintesi, la nuova concezione di montanità è basata su:
1. il concetto di diversità, anziché di svantaggio, che ne esalta l’identità
e promuove le molteplici opportunità;
2. un “Sistema Montagna” che è ampiamente articolato e differenziato
al suo interno (non esiste una sola montagna”, ma più “montagne”,
magari riassumibili in una “funzione” o algoritmo che le istituzioni di
ricerca si incaricheranno di trovare);
3. una politica “di massiccio”, che comprenda unitariamente i territori
di montagna europei e quindi esprima al meglio la governance della
globalità dei problemi: così si ipotizza un “sistema alpino”, un
“sistema dei Carpazi”, e a livello regionale, una aggregazione che
potrebbe essere il “Sistema delle Alpi Lombarde”.
************
21
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ALLEGATO A
Ipotesi di parametri (a titolo meramente esemplificativo)
In sintesi i parametri utilizzati sono:
PARAMETRI NATURALI E FISICO-GEOGRAFICI
1. altimetria
2. pendenza
3. fattori climatici (gradi-giorno)
PARAMETRI SOCIO-ECONOMICI
4.
5.
6.
7.
dimensione demografica (numero di abitanti)
dinamica demografica (indice di spopolamento)
presenze turistiche
attività produttive extra-agricole
I sette parametri vengono pesati singolarmente come dettagliato di
seguito e sommati, ottenendo così un valore unico per ciascuna area
montana considerata.
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1 - ALTIMETRIA DEL TERRITORIO COMUNALE
Al territorio di ciascun Comune viene attribuito un punteggio da 1 a 9 in
relazione alla altimetria del territorio comunale, secondo quanto indicato
nel seguente prospetto:
punteggio
1
4
9
altimetria del territorio comunale
Meno del 50% della superficie complessiva a
quota superiore a 600 m (500 m per i territori
appenninici)
Tra il 50% e il 70% della superficie complessiva a
quota superiore a 600 m (500 m per i territori
appenninici)
Oltre il 70% della superficie complessiva a quota
superiore a 600 m (500 m per i territori
appenninici)
2 - PENDENZA DEL TERRENO
Al territorio di ciascun comune viene attribuito un punteggio da 1 a 8 in
relazione alle pendenze del terreno secondo quanto indicato nel seguente
prospetto:
punteggio
1
4
8
pendenza del terreno
Meno del 15% del territorio comunale con
pendenze superiori al 20%
Tra il 15% e il 30% del territorio comunale con
pendenze superiori al 20%
Oltre il 30% del territorio comunale con pendenze
superiori al 20%
3 – ZONE CLIMATICHE
Al territorio di ciascun comune viene attribuito un punteggio da 1 a 8 in
relazione alla zona climatica (parametro che tiene conto dei “gradi-
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giorno12” e dell’utilizzo consentito del riscaldamento su scala giornaliera) di
appartenenza, secondo quanto indicato nel seguente prospetto:
punteggio
1
3
8
zone climatiche
Appartenente alle zone climatiche da “A” a “D”
(minore di 2100 gradi-giorno)
Appartenente alla zona climatica “E” (da 2100 a
3000 gradi-giorno)
Appartenente alla zona climatica “F” (oltre 3000
gradi-giorno)
4 – DIMENSIONE DEMOGRAFICA (numero di abitanti)
Viene attribuito un punteggio da 1 a 3 in relazione alla popolazione
anagrafica al 31 dicembre 2006 risultante da fonte ISTAT secondo quanto
indicato nel seguente prospetto:
punteggio
1
2
3
numero di abitanti
Superiore a 2.000 abitanti
Superiore a 500 e inferiore o uguale a 2.000
abitanti
Inferiore o uguale a 500 abitanti
5 – DINAMICA DEMOGRAFICA (indice di spopolamento)
Al territorio di ciascun Comune viene attribuito un punteggio da 1 a 3 in
relazione alla variazione percentuale tra la popolazione anagrafica al 31
dicembre 2006 risultante da fonte ISTAT e la popolazione anagrafica
risultante al Censimento Generale della Popolazione 2001 secondo quanto
indicato nel seguente prospetto:
punteggio
1
2
indice di spopolamento
Superiore o uguale a 0
Inferiore a 0 e superiore o uguale a - 5%
12 L'unità di misura utilizzata per l'individuazione della zona climatica di appartenenza di ciascun
comune è il grado-giorno, ovvero la somma, estesa a tutti i giorni, di un periodo annuale
convenzionale di riscaldamento, delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura
dell'ambiente, convenzionalmente fissata a 20°C, e la temperatura media esterna giornaliera.
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3
Inferiore a - 5%
6 – PRESENZE TURISTICHE
Al territorio di ciascun Comune viene attribuito un punteggio da 1 a 3 in
relazione al numero di presenze rilevate su dati ISTAT aggiornati al 2006 sul
movimento dei clienti negli esercizi ricettivi secondo quanto indicato nel
seguente prospetto:
punteggio
1
2
presenze turistiche
Superiori a 5.000
Inferiori o uguali a 5.000
7 - ATTIVITA’ PRODUTTIVE EXTRA-AGRICOLE
Al territorio di ciascun Comune viene attribuito un punteggio da 1 a 3 in
ordine crescente in relazione alla percentuale di occupati nei settori extraagricoli sul totale degli occupati in base ai dati risultanti al Censimento
Generale della Popolazione del 2001 secondo quanto indicato nel
seguente prospetto:
punteggio
1
2
attività produttive extra-agricole
Superiore al 95%
Inferiore o uguale al 95%
Totale punteggi
PARAMETRI FISICO-GEOGRAFICI
Da 3 a 25
PARAMETRI SOCIO-ECONOMICI
Da 4 a 10
TOTALE
Da 7 a 35 PUNTI
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Comune montano: punteggio ≥18
Comune parzialmente montano: punteggio ≤ 18 oppure ≥ 15
Comune non montano: punteggio < 15
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BIBLIOGRAFIA
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Proposta – Indici di caratterizzazione e classificazione del territorio
montano - Fausto Gusmeroli, 2008 – contributo al Comitato Tecnico
Scientifico IREALP.
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Flavio Boscacci 2008 - contributo al Comitato Tecnico Scientifico IREALP.
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